mercoledì 4 ottobre 2017


INSODDISFAZIONE
(da Carlo Dossi. "Gocce d'inchiostro")
Era, nella città, l'ora, in cui i ciccajoli allùmano i lor lampioncini, e i mangia-malta appòstano i gatti, e i pòveri vergognosi di nani, dagli ampi mantelli, fanno la traversata dalla bottega alla casa. Gli ùltimi raggi di sole avèano arroventato una rastrelliera di casserole di rame, e si èran rinfranti in una di majòliche e vetri, e fatto brillare una fila di guantiere e cucchiài di ottone; dunque, è una cucina la scena; ed io aggiungo, cucina di un'osteria mezzo perduta tra i monti.
Nella quale, ora, l'ombra ha inghiottito un giòvane di sédici anni, seduto in un canto. Chi, verso le sei, la chiacchierava alla porta, avèalo visto a venire e ad entrare, lo schioppo a tracolla, un cane ai tacchi. Era, la giubba sua, frustagno, ma la fòdera, seta. E il giovanetto, di dove avèa pranzato non si era più mosso; insieme alle frutta, sopragiungèvan le tènebre.
Siano le benvenute! Sentìvasi stanco, forse. Scarpe di montanaro, nelle montagne, non bàstano. Allora, la ostina avèa deposte, inaccese, due stoppiniere dal piattel verde di latta sopra la tàvola, e, mentr'ei si stendeva, chiudendo gli occhi, su 'na panchetta di legno, zitta, era andata a sedere sulla predella del vasto camino e si appoggiava, come a dormire, contra uno stipite. Il bracco poi, lappata la sua scodella di pappa, e leccàtosi i baffì, già stàvasi accovacciato a pie' del padrone, i nottolini giù — di tutti e tre il solo che non facesse per finta.
Infatti, sotto palpèbra, il giòvane teneva lo sguardo fiso nella fanciulla. In confidenza, essa l'avèa turbato fin da principio, quando, con una di quelle voci soavi, di argento, che ricèrcan le vene, avèagli detto «buon dì», mentre, intorno alla voce, appariva il più bel gràppolo di giovinetta che mai. E, com'egli avèa voluto, per dare passata alla emozione che gl'imbragiava la gota, arrischiarsi a delle disinvolture, ajutando, ad esempio, l'ostina a dispiegar la tovaglia, a porre giù i tondi e i bicchieri, a cavar l'aqua dal pozzo, questa emozione era invece aumentata; così, egli avèa scelto un cibo per l'altro, bevuto aqua per vino… poi, si scottava, tagliava… Tènebre, oh benedette!
Ché, protetto da esse, Guido ora pasceva la vista nella fanciulla, aggruppata al camino, e illuminata, a tratti, dal chiaror di uno stizzo. Con gli occhi, il giovanetto accarezzava, ricarezzava il viso di lei malinconicamente inclinato, dai colori contadineschi ma dal profilo di dama, e la sua bocca da baci, e il mento dal «sigillo di Amore»; poi, si godeva a smarrire nei folti e castagnini capelli; poi, sostato all'orecchio sur il grassello incorallato, veniva giù giù con le volte più tonde per un vèrgine corpo, sciutto, sveltìssimo. E ritornava ai capelli, e vi scopriva un bottone di rosa. Oh felici le mani che ve l'avèano messo! Pur non èran le sue! e, sospirando, invidiava colùi del quale la giovinetta sognava.
Or, chi era colùi? Più di una volta, ella avèa arrossito, e non di certo pel calor della fiamma. La giovinetta sentiva la presenza di Guido; stava, dirèi, in una attesa vaga, che la mano di lui le frisasse la spalla; e desiosa e temente. Oh! com'egli era gentile! La ostina non poteva fuggire di confrontarlo con que' suòi rozzi paesani, che non venìvan da lei se non per pigliare la sbornia e attaccar delle liti, e le dicèvano brutte e villane parole, e le buffàvano in faccia il lor ributtante tabacco. Poi, quanto bello! (quì la ostina aggricchiava). Essa ancor lo vedeva con quel suo viso aperto, dal velluto di pesca, il sorriso che rischiarava, la pupilla azzurrina, buona come la stessa bontà. Ma lui era ricco, lui! essa lavava i piatti!
E lì, gonfi gli occhi, affisàvasi giù.
Momenti, per tutti e due, di un acuto languore; momenti fuor dagli spazi e dai tempi, in cui scorgèano, in una, migliaja di cose e di affetti a indefiniti contorni; momenti, che la mùsica solo — universal lingua — saprebbe narrare.
Il silenzio, profondo; il cielo, stellato.
E così stèttero… Quanto?… Non guardài l'orologio. So tuttavìa che sarèbberci stati molto e molto di più, se dalla chiesa vicina non fòsser piovuti sulla osteria, gravi, severi, lenti, ùndici tocchi.
Quella, era una voce che rassegnata diceva «il tempo passa». E taque.
Ma, quasi contemporaneamente, udissi un trach nella stanza. Tosto, il grido aspro del cùculo ripetè l'ora.
E questo, un corollario maligno alla sentenza del cainpanile. Parèa dicesse «dunque, svelti!». E, trach, l'usciolo si chiuse.
La giovinetta si alzò con premura. Venne alla tàvola, tòlsene una stoppiniera, e, tornata al camino, chinossi e l'accese.
Guido levò pure su. Prese la seconda bugìa, e, fàttosi presso alla bella, le dimandò con la voce lì lì per tremare «una càmera».
— Venga — disse in mezzo tono colèi; e precede' Guido. E, uno dietro dell'altro, salìrono una scaluccia, stretta; salìrono lentamente, come se in cima li attendesse la scure.
Senonché, ecco il primo ripiano.
E si fèrmano là. Guido china la candela di lui, intatta, verso l'accesa di lei; quanto agli sguardi, sono bassi di già, ché ciascuno si crede sotto quelli dell'altro.
Diàvolo di uno stoppino! non vuòi pigliare, eh? È Amore che ti filò? ti par di troppo anche una? Cert'è, che, adesso, i polsi dei due be' giovanetti non sono i propri per accèndere lumi.
Ma, infine, aah! ci rièscono. Le due fiammelle stanno un istante confuse, poi si distàccano. E anch'essi. Auguransi la buona notte (intantoché se la danno cattiva); lui, apre un uscio e scompare; lei ridiscende la scala.
E il bracco? Il bracco, navigato vecchione, che ride forse tra i denti, si allunga alla porta del suo arancino signore.
Pare, dei tre, l'ùnico soddisfatto.