LA FIGLIA DEL CAPITANO
Aleksandr Sergeevič Puškin
CAPITOLO QUINTO
L'AMORE
Ah, tu, figlia, figlia bella!
Non sposarti, figlia, giovane; Chiedi, figlia, a babbo, a mamma,
Ai parenti, alla casata;
Tu giudizio, figlia, accumula,
E giudizio, e senno, e dote
(Canzone Popolare)
Se meglio di me trovi - tu mi scordi,
Se peggio di me trovi - mi ricordi.
(Canzone popolare).
Dopo aver ripreso i sensi, per qualche tempo non potei
raccapezzarmi e capire quello che m'era accaduto. Giacevo in letto in una camera sconosciuta e sentivo una gran debolezza. Davanti a me stava Savelic' con una candeletta in mano. Qualcuno svolgeva
cautamente le fasciature da cui avevo stretti il petto e la spalla. A poco a poco i miei pensieri si schiarirono. Rammentai il mio duello e mi avvidi ch'ero ferito. In quel momento l'uscio cigolò.
- Ebbene, come va? - proferì in bisbiglio una voce che mi fece
sussultare.
- Sempre nello stesso stato, - rispose Savelic' con un sospiro,- sempre senza conoscenza, ecco ormai il quinto giorno.
Io volevo girarmi, ma non potevo.
- Dove sono? chi c'è? - dissi con sforzo.
Maria Ivànovna si accostò al mio letto e si chinò su me.
- Ebbene, come vi sentite? - disse.
- Dio sia lodato, - risposi con voce debole, - siete voi, Maria
Ivànovna? Ditemi...
Non fui in grado di continuare e tacqui. Savelic' mandò un gemito. La gioia si dipinse sul suo viso.
- E' rinvenuto! è rinvenuto! - ripeteva, - gloria a Te, o Signore!
Orsù, "bàtiuska" Piotr Andreic'! quanto m'hai spaventato! Va meglio? Cinque giorni!
Maria Ivànovna interruppe il suo dire.
- Non parlare molto con lui, Savelic', - disse, - è ancora debole.
Ella usci e riaccostò la porta pian piano.
I miei pensieri si agitavano. Dunque ero in casa del comandante:
Maria Ivànovna entrava da me. Volevo fare a Savelic' varie domande, ma il vecchio scosse la testa e si turò gli orecchi. Io con dispetto chiusi gli occhi e ben presto mi assopii.
Svegliatomi, chiamai Savelic', ma invece di lui scorsi davanti a me Maria Ivànovna; la sua angelica voce mi salutò. Non posso esprimere il dolce sentimento che si impadronì di me in quell'istante. Afferrai la sua mano e mi ci attaccai, versando lacrime d'intenerimento. Mascia non la strappava via... e di un
tratto i suoi labbruzzi sfiorarono la mia guancia, e io sentii il loro bacio fresco e ardente. Un fuoco mi percorse.
- Cara, buona Maria Ivànovna, - le dissi, - sii mia moglie,
acconsenti alla mia felicità.
Ella si riprese.
- Per l'amor dl Dio, calmatevi, - disse, togliendomi la sua mano, - siete ancora in pericolo, la ferita può aprirsi. Abbiatevi riguardo, non fosse che per me.
A queste parole uscì, lasciandomi nell'ebbrezza dell'estasi. La felicità mi rianimò. Ella sarà mia! mi ama! Questo pensiero
riempiva tutta la mia esistenza.
Da allora andai sempre più migliorando. Mi curava il barbiere del reggimento, poiché nella fortezza non c'era altro medico e, grazie a Dio, non faceva il saputo. La giovinezza e la natura affrettarono la mia guarigione. Tutta la famiglia del comandante si dava premura di me. Maria Ivànovna non mi lasciava. Alla prima occasione favorevole, s'intende, ripresi la conversazione interrotta, e Maria Ivànovna mi ascoltò più pazientemente. Senza alcuna leziosaggine mi confessò la sua sincera propensione e disse che i suoi genitori sarebbero certamente stati lieti della sua felicità.
- Ma pensaci bene, - soggiunse, - da parte dei tuoi parenti non vi saranno poi ostacoli?
Mi feci pensieroso. Della tenerezza della mamma non dubitavo; ma, conoscendo l'indole e il modo di pensare di mio padre, sentivo che il mio amore non l'avrebbe troppo commosso, e che egli l'avrebbe considerato come il ghiribizzo di un giovanotto. Lo confessai francamente a Maria Ivànovna, e stabilii tuttavia di scrivere al babbo nella maniera più eloquente possibile, domandando la benedizione paterna. Feci vedere la lettera a Maria Ivànovna, la quale tanto la trovò persuasiva e commovente che non dubitò del suo buon esito, e si abbandonò ai sentimenti del tenero cuor suo con tutta la fiducia della giovinezza e dell'amore.
Con Svabrin mi riconciliai nei primi giorni della mia guarigione. Ivan Kuzmìc', rimbrottandomi per il duello, mi disse:
- Eh, Piotr Andreic'! dovrei metterti agli arresti, ma sei già punito anche così. Quanto ad Aleksiéj Ivanic', lo tengo chiuso sotto buona guardia nel deposito del grano, e la sua spada ce l'ha sotto chiave Vassilissa Jegòrovna. Se ne stia a riflettere, e a pentirsi. Ero troppo felice per serbare in cuore un sentimento malevolo. Presi a intercedere per Svabrin, e il buon comandante, con l'assenso della sua consorte, si decise a liberarlo. Svabrin venne da me; testimoniò un profondo rammarico per quello che era accaduto tra noi; si riconobbe pienamente colpevole, e mi pregò di scordare il passato. Essendo per natura alieno da rancore, gli perdonai sinceramente e la nostra rissa e la ferita che da lui avevo ricevuto. Nella sua calunnia scorsi il dispetto dell'amor proprio offeso e del respinto amore, e generosamente scusai il mio rivale sfortunato. Ben presto guarii e potei passare nel mio alloggio. Aspettavo con impazienza la risposta alla lettera inviata, non osando sperare e sforzandomi di soffocare tristi presentimenti. Con Vassilissa Jegòrovna e suo marito non m'ero ancora spiegato; ma la mia proposta non doveva far loro meraviglia. Né io né Maria Ivànovna cercavamo di nascondere a loro i nostri sentimenti, e eravamo anticipatamente sicuri del loro consenso.
Infine una mattina Savelic' entrò da me, tenendo in mano una lettera. L'afferrai con trepidazione. L'indirizzo era scritto di mano del babbo. Ciò mi preparò a qualcosa di grave, poiché di solito le lettere me le scriveva la mamma, e lui in calce aggiungeva qualche riga. A lungo non dissuggellai il piego e rilessi la solenne soprascritta: "Al figlio mio Piotr Andréievic' Griniòv, provincia di Orenbùrg, fortezza di Bielogòrsk". Mi sforzavo d'indovinare dalla scrittura la disposizione di spirito in cui era stata scritta la lettera; infine mi risolsi ad aprirla, e fin dalle prime righe mi avvidi che tutta la faccenda era andata a monte. Il tenore della lettera era il
seguente:
"Figlio mio Piotr! La tua lettera, nella quale ci chiedi la nostra benedizione e il consenso al matrimonio con Maria Ivànovna figlia di Mironov, la ricevemmo il 15 corrente mese, e non solo non intendo darti né la mia benedizione né il mio consenso, ma ancora mi accingo a raggiungerti e darti una buona lezione, come si dà a un ragazzaccio, nonostante il tuo grado di ufficiale: perché hai dimostrato che ancora non sei degno di portare la spada, la quale ti è stata concessa per la difesa della patria, e non per duelli con rompicolli pari tuoi. Scriverò immediatamente ad Andréj Kàrlovic', pregandolo di trasferirti dalla fortezza di Bielogòrsk in qualche parte più lontano, dove ti passi il ruzzo. Mamma tua, saputo del tuo duello e ch'eri stato ferito, si ammalò per il dispiacere e ora è a letto. Che sarà di te? Prego Dio che tu ti corregga, sebbene neppure osi sperare nella Sua grande misericordia.
"Tuo padre A. G.".
La lettura di questa lettera svegliò in me sensazioni diverse. Le crudeli espressioni, che il babbo non aveva lesinato, mi offesero profondamente. Lo sprezzo col quale menzionava Maria Ivànovna mi parve non tanto sconveniente quanto ingiusto. Il pensiero di un mio trasferimento dalla fortezza di Bielogòrsk mi sgomentava; ma più di tutto mi afflisse la notizia dell'infermità di mia madre. Mi indignavo contro Savelic', non dubitando che il mio duello fosse stato conosciuto dai genitori per mezzo suo. Misurando a grandi passi avanti e indietro la mia angusta camera, mi fermai davanti a lui e dissi, guardandolo minaccioso:
- Non ti basta, si vede, che per causa tua fui ferito e per tutt'un mese stetti sull'orlo della tomba; vuoi far morire anche mia madre.
Savelic' rimase come colpito dalla folgore.
- Per carità, signore - disse, per poco non scoppiando in singhiozzi, - perché dici questo? Io la causa che fosti ferito? Dio lo vede, correvo a ripararti col mio petto dalla spada di Aleksléj Ivanic'! Me l'impedì la dannata vecchiaia. Ma che cosa feci a mamma tua?
- Che facesti? - risposi, - chi ti pregò di scrivere denunce contro di me? Mi fosti preposto, forse, per spia?
- Io scrissi denunce contro di te? - rispose Savelic' in lacrime.
- Signore, re dei cieli! Ebbene, di grazia, leggi un po' quello che mi scrive il padrone: vedrai come ti ho denunciato.
Qui egli cavò di saccoccia una lettera e lesse quanto segue:
"Vergognati, vecchio cane, di non avermi riferito, nonostante i miei severi ordini, circa il figlio mio Piotr Andréievic', e che gli
estranei son costretti a informarmi delle sue scappate. Così adempi
il tuo dovere e la volontà del padrone? Ti manderò, vecchio cane, a pascolare i porci per aver nascosto la verità e per connivenza col giovanotto. Al ricevere della presente, ti ordino di scrivere senza indugio come va ora la sua salute, della quale mi scrivono che si è ristabilita; e in che posto precisamente fu ferito e se l'hanno guarito bene".
Era evidente che Savelic' di fronte a me aveva ragione e che a
torto l'avevo offeso coi rimproveri e i sospetti. Gli domandai perdono; ma il vecchio era inconsolabile.
- Ecco quel che dovevo vedere, - ripeteva, - ecco quali ricompense ho ricevuto dai miei signori! Sono e un vecchio cane, e un guardiano di porci, e poi anche la causa della tua ferita!... No, "bàtiuska" Piotr Andreic'! non io, ma il maledetto "mossié" ha la colpa di tutto: lui t'insegnò a infilzare con gli spiedi di ferro, e a scalpicciare, come se con l'infilzare e lo scalpicciare ci si potesse guardare da un malvagio! C'era bisogno di prendere un "mossié" e di sprecar quattrini!
Ma chi s'era preso la briga d'informare mio padre della mia condotta? Il generale? Ma egli sembrava non darsi troppo pensiero di me; e Ivàn Kuzmìc' non aveva stimato necessario far rapporto sul mio duello. Mi perdevo in congetture. I miei sospetti si fermarono su Svabrin. Lui solo aveva interesse a una denuncia, conseguenza della quale poteva essere il mio allontanamento dalla fortezza e una rottura con la famiglia del comandante. Andai ad annunciare tutto a Maria Ivànovna. Ella mi venne incontro sul terrazzino.
- Che mai vi è accaduto? - disse, vedendomi, - come siete pallido!
- Tutto è finito! - risposi, e le porsi la lettera del babbo.
Ella impallidì a sua volta. Dopo aver letto, mi rese la lettera con mano tremante e con voce tremante disse:
- Si vede che non è mio destino... I vostri parenti non mi vogliono nella loro famiglia. Sia fatta in tutto la volontà del Signore! Dio sa meglio di noi quel che ci occorre. Non c'è che fare, Piotr Andreic', siate almeno voi felice...
- Non sarà mai! - gridai io, afferrandole la mano, - tu mi ami; io sono pronto a tutto. Andiamo a gettarci ai piedi dei tuoi genitori; loro sono gente semplice, non superbi dal cuor duro...
Ci benediranno; ci sposeremo. E laggiù, col tempo, ne son certo,
placheremo mio padre; la mamma sarà per noi; lui mi perdonerà...
- No, Piotr Andreic', - rispose Mascia, - non ti sposerò senza la benedizione dei tuoi genitori. Senza la loro benedizione non avrai fortuna. Pieghiamoci al volere di Dio. Se troverai colei che t'è destinata, se amerai un'altra, Dio sia con te, Piotr Andreic'; e io per tutt'e due voi...
Qui ella scoppia in pianto e mi lasciò; io volevo già seguirla in camera sua, ma sentii che non ero in grado di dominarmi, e tornai a casa.
Sedevo immerso in profonde fantasticherie, quando a un tratto Savelic' interruppe le mie meditazioni.
- Ecco, signore, - disse, porgendo un foglio scritto, - guarda se
sono io il denunciatore del mio padrone, e se cerco di mettere in discordia padre e figlio.
Gli presi dalle mani la carta: era la risposta alla lettera da lui ricevuta. Eccola, parola per parola:
"Signore Andréj Petrovic', padre nostro graziosissimo!
"Ricevetti il vostro grazioso scritto, nel quale ti compiaci di adirarti con me, vostro schiavo, che non abbia vergogna di non eseguir gli ordini dei miei signori; ma io non sono un vecchio cane, bensì il fedele vostro servo, ubbidisco agli ordini del padrone e sempre con zelo vi servii e ho fatto i capelli bianchi.
Della ferita di Piotr Andreic' nulla vi scrissi, per non spaventare inutilmente, e sento dire che la padrona, la madre nostra Avdotia Vassìlievna, anche così già si e ammalata dallo spavento, e io pregherò Dio per la sua salute. E Piotr Andreic' fu ferito sotto la spalla destra, al petto, proprio sotto l'osso, profondo tre dita, e stette in letto in casa del comandante, dove lo portammo dalla riva, e lo curò il barbiere di qui, Stiepàn Paramonov, e ora Piotr Andreic', grazie a Dio, sta bene, e di lui nulla c'è da scrivere, fuor che bene. I comandanti, sento dire, son contenti di lui; e Vassilissa Jegòrovna lo ha in conto di figlio proprio. E che gli sia capitato un caso simile, al giovanotto non va mosso rimprovero: il cavallo, pur con quattro zampe, inciampa. E se credete di scrivere che mi manderete a pascolare i porci, sia fatta anche in ciò la vostra padronale volontà. Col che vi saluto ossequiosamente.
"Il vostro fedel servitore "Archip Saveliev".
Non potei a più riprese non sorridere, leggendo l'epistola del buon vecchio. Di rispondere al babbo non ero in grado; e a tranquillizzare la mamma, la lettera di Savelic' mi parve
sufficiente. Da allora la mia situazione cambiò. Maria Ivànovna quasi non mi parlava e cercava in tutti i modi di evitarmi. La casa del comandante fu per me priva di attrattive. A poco a poco mi abituai a starmene solo in casa. Vassilissa Jegòrovna in principio me ne rimproverava, ma, vedendo la mia ostinazione, mi lasciò in pace. Con Ivàn Kuzmìc' mi trovavo solo quando l'esigeva il servizio; con Svabrin m'incontravo di rado e malvolentieri, tanto più che osservavo in lui una nascosta inimicizia per me, il che mi confermava nei miei sospetti. La vita mi si fece insopportabile. Caddi in una tetra fantasticaggine, che isolamento e inazione alimentavano. L'amor mio divampava in solitudine e sempre più mi diventava penoso. Perdetti il gusto per la lettura e la letteratura. Il mio spirito si abbatté. Temevo o d'impazzire o di darmi agli stravizi. Inaspettati avvenimenti, che ebbero importanti influssi su tutta la mia vita, diedero di un tratto alla mia anima una scossa violenta e fortunata.