venerdì 1 ottobre 2021

CASA DELLA STUPIDITÀ Estratto da TUTTA LA VITA Alberto Savinio



STUPIDITÀ
Estratto da "TUTTA LA VITA”
Alberto Savinio
(Adelphi).

Nel racconto “Casa della stupidità" una statua di marmo che sostiene il balcone di un palazzo decide di «andarsene», ben contenta di provocare in tal modo il crollo dell'edificio, giacché tra quelle mura alligna la «stupidità a tutti i piani».”


CASA DELLA STUPIDITÀ
  « Te ne vai definitivamente da questa casa oppure ci devi ritornare?». Mi voltai di scatto. Non c'era nessuno. Ero solo sul marciapiede davanti al portone che mi ero tirato dietro le spalle. Anche le strade intorno eran deserte fin dove l'occhio arrivava. Chi aveva parlato? La congiunzione di tre vie formava un piccolo largo, e in mezzo a questo, come una immobile nave, avanzava la casa nella quale avevo passato la serata: quella stupida serata. Tornai a guardarmi intorno: non c'era anima viva. La casa simile a una prora enorme imponeva alla piazza la sua ombra lunga. Di là da questa la luce dell'invisibile luna spandeva sull'asfalto un metallico lucore. Tutto era morto intorno e freddo. Sembrava che in questo costruito deserto la vita si fosse spenta per gelo.

  Alzai gli occhi alla facciata dubitando che la voce fosse calata da una delle finestre che in cinque file parallele vi stavano schierate; ma le finestre erano tutte ermeticamente chiuse e troppo alte d'altra parte, troppo lontane perché una voce mi avesse potuto parlare così da vicino.

  Era una voce aspra. Più aspra di quante avevo udite fino allora. Una voce pietrosa. E così profonda che sembrava uscita con tremenda fatica dal viscere di un monte. «Una voce da Encelado» pensai mio malgrado. Ma perché Encelado parlare proprio a me, e senza corpo visibile, e nel cuore di una città moderna, tra mezzanotte e l'una di notte; e dopo quella serata passata in una casa nella quale ero capitato posso dire per sbaglio; ove mi ero trovato in compagnia di gente con la quale non solo non ho nulla da spartire, ma che mi si era dimostrata ostile, nemica a tutto quanto io amo e stimo, e amica di tutto quanto io odio e disprezzo; e ove mi ero trattenuto fino a un'ora così tarda solo per quella inerzia, per quella specie di stato ipnotico al quale talvolta costringe l'antipatia, e che ci impedisce di moverci, di reagire, di «salvarci».

  Dalle finestre dell'ultimo piano il mio sguardo calò sul balcone monumentale del primo, che era sorretto dalle robuste spalle di due telamoni di marmo che fiancheggiavano il portone, pensosi, barbuti, malinconici e curvi sotto la soma, il corpo appuntito nella parte inferiore in due pilastri a forma di piramide capovolta. Mentre guardavo il balcone nel dubbio che la misteriosa voce fosse venuta da qualcuno che stava nascosto dietro la balaustra a colonnette doppiamente rigonfie e simili a salsicce strette alla vita, mi sembrò di assistere a un terremoto: il balcone e i due telamoni che lo sorreggevano ondeggiavano lentamente, come se all'improvviso fossero diventati così leggeri da lasciarsi movere dal vento. Ma quale vento se l'aria era perfettamente immobile?

  « Non cercare più a lungo: sono io che ti ho parlato».

  Passarono alcuni minuti prima che io potessi accettare per vera l'incredibile evidenza. « Rispóndimi » continuò il telamone di sinistra. « Sei uscito da questa casa definitivamente oppure ci devi ritornare?». Raccolsi la mia voce come per terra i grani di una collana rotta, riannodai i fili, risposi: « Definitivamente ».

  « Bene » disse il telamone. « Così ora io me ne posso andare». Lo stupore rinvigorì la mia voce: «Andartene?».

  «Cinquant'anni si sono compiuti mezz'ora fa allo scoccare della mezzanotte, da che io e questo mio compagno qui alla mia sinistra reggiamo notte e giorno questo balcone. E nostro dovere, ma il dovere mi è venuto a fastidio e ho risolto di sciogliermene». Domandai:

  «Perché dovere? La tua presenza qui sulla facciata di questa casa non ha forse uno scopo decorativo?».

  «Che dici!» gridò il telamone, e sembrò che la pietra onde usciva quella voce nello sforzo si spaccasse. «E il dovere che mi fa stare qui. Le cariatidi, come insegna il nome, erano originariamente le abitanti della Caria e furono condannate a reggere il peso quali di un tetto, quali di un'architrave, quali soltanto di un tavolino o di un bracciolo di poltrona, ma non erano queste le meno infelici, per espiare un tradimento perpetrato dai loro connazionali».

  « Una bella iniquità far espiare ad altri... ». « Iniquo ma abituale. Le colpe dei padri non ricadono forse sui figli? Nulla di strano però se anche le colpe degli uomini ricadono qualche volta sulle donne, le quali essendo in certo modo generate da noi, sono dunque nostre figlie. Senza dire che i Carii erano orientali ed è uso degli orientali far portare alle donne i loro fardelli. Ma come hai potuto pensare che la mia presenza al fianco di questo portone ha uno scopo decorativo? I Greci non facevano nulla, neppure un particolare di architettura, che non rispondesse a una ragione morale; e chi oggi ancora sa capire i loro templi e comunque i loro edifici, li legge nelle loro varie parti come legge un dialogo di Platone. Anche noi che siamo cariatidi - il maschile non ti sorprenda: Vitruvio insegna che le cariatidi possono essere anche maschili - e ci chiamano telamoni per figura e in omaggio all'Aiace Telamonio che mentre Achille se ne stava a far le bizze sotto la tenda sostenne si può dire da solo il peso dell'assedio di Troia, anche noi ci siamo addossati la colpa degli antichi Carii e teniamo a espiarla. E per questo che mi vedi curvo sotto questo balcone che reggo con la nuca e con le mani, e sul quale escono di tanto in tanto a pigliare il fresco i membri della famiglia Oxifels, ossia il commendatore Oxifels, sua moglie nata Pedalini e i loro due figli Armanda e Gustavo. Capisco: tu mi guardi e non ritrovi in me quel fiero portamento che avevano le cariatidi del Pànteon di Agrippa di cui parla Plinio e che andarono perdute assieme con le scolture di Diogene, né quello soprattutto delle cariatidi dell'Eretteo, le quali non flettono minimamente il collo sotto la soma e hanno un aspetto perfettamente impassibile, e ostentano persino una certa quale libertà di movimenti, quasi non l'architrave del portico di Filoclete reggessero sul capo, ma una conca d'acqua attinta dianzi nell'Ilisso; e la ragione di questa differenza si è che il greco stimava indecenti le manifestazioni della fatica e del dolore, mentre io e il mio collega qui accanto siamo stati scolpiti a imitazione degli Omenoni di Leone Leoni, che stanno qui a poca distanza in un'altra via di questa medesima città, il quale come tu sai era una specie di Michelangelo in seconda, ossia un èmulo di quel grande uomo che assieme con Adolfo Wildt ed Eleonora Duse, fu un grandissimo cultore del fatichismo e del do-lorismo».

  « Ma come va » domandai « che dopo mezzo secolo di fedele e ininterrotto servizio, hai risolto a un tratto di venir meno al tuo dovere e troncare l'espiazione dell'antica colpa dei Carii?».

  «Prima di tutto» rispose il telamone «questa mia risoluzione è un pezzo che me la vado maturando; in secondo luogo mi sono convinto che io, e così tutti noi cariatidi uomini e donne che reggiamo chi un balcone, chi una volta, chi una mènsola, chi una sedia per espiare l'antico tradimento dei Carii, facciamo una fatica del tutto inutile ». « E proprio tu mi dici questo che poco prima mi vantavi i Greci che non facevano nulla che non rispondesse a una ragione morale?».

  «Penso che quell'antico tradimento dei Ca- rii, a cagione appunto della sua antichità, sia ormai caduto in prescrizione; e poi la colpa risulta tale soprattutto in contrasto all'innocenza, siccome l'ombra risulta tale in contrasto alla luce, mentre ombra in mezzo a ombra non è ombra né colpa è colpa là ove tutto è colpa».

  «E dove hai trovato tanta piena di colpe?». « Qui in questa casa che mi reggo sulle spalle. Colpe no ma stupidità, che è madre di tutte le colpe. Stupidità a tutti i piani, in tutte le camere, nei corridoi, nei ripostigli, dalla cantina al solaio. E ti par giusto che per espiare una colpa commessa non si sa quanti secoli addietro, e di cui nessuno ha più memoria, e che forse non era nemmeno quella gran colpa, ti par giusto che io mi stia ancora a reggere sulle spalle questa casa piena di uomini stupidi?». « Giusto davvero non direi, ma se si dovessero tirare giù tutte le case che ospitano uomini stupidi... ».
  «Né io m'incarico delle altrui case ma solo di questa mia, e lascio le altre ciascuna ai suoi telamoni. Vuoi che te lo dica? Questa casa non mi sarebbe venuta tanto a schifo se sapessi che quassù c'è un solo inquilino disposto ad aprire la finestra e a buttarsi di sotto per riscattare con la sua morte la stupidità propria e quella degli altri inquilini. Voi uomini dite che siete riscattati dal peccato originale. Ma dalla stupidità originale che vi riscatta?».
  Questa interrogazione il telamone la pronunciò con tanta veemenza, che la casa intera ne tremò e assieme il marciapiede sul quale essa poggiava. « Ma hai tu pensato che uscendo da sotto a questo balcone romperai la stabilità della facciata e la metterai al rischio di crollare e magari di far crollare l'intero edificio?». «E proprio questo che io voglio. E se potessi far crollare anche le altre case della stupidità che sono in questa città e assieme tutte le case della stupidità che sono nel mondo, sarei più contento ».
  «E il tuo collega qui accanto che dice?». « Gli ho parlato, gli ho proposto di venire via con me: mi ha risposto che non se la sente. E uno di quelli che godono nell'adempimento del dovere per la sola gioia di servire, senza esaminare se il dovere cui adempiono serve davvero a qualche cosa.
  Questo mio compagno è lo schiavo perfetto. Rispettiamo la sua felicità».
  «E quando pensi di mettere in atto il tuo progetto?».
  «Sùbito. Aspettavo appunto che tu uscissi». 128 «Io? E perché soltanto me hai pensato di salvare?».
  « Ti ho guardato mentre entravi circa un tre ore fa in questa casa. C'è intorno a te una leggera luce che io conosco. Di giorno è difficile vederla, ma di notte dà una luminosità opaca come il quadrante di certi orologi da polso. Da cinquantanni che sto qui, gli inquilini di questa casa li conosco uno per uno: nessuno dà luce. E la casa della stupidità. Fatti in là che il balcone non ti caschi in testa».
  Volevo gridare, dare l'allarme agli inquilini, chiedere aiuto, ma chi mi avrebbe udito in quel deserto?
  Del resto la catastrofe avvenne nella maniera più rapida e discreta, e in mezzo a un silenzio perfetto. Il telamone, debbo riconoscerlo, operava da padreterno. Egli uscì da sotto il balcone, la casa dietro a lui s'inginocchiò sul marciapiede, il tetto e tutto l'interno si versarono nel fondo, e nel vuoto fra i due muri laterali che soli rimasero ritti come due braccia imploranti, apparve la luna rotonda e indifferente. Allora io cristianamente dissi: « La casa della stupidità ha terminato di soffrire».
  Su queste parole la città si accese improvvisamente di luci, si animò di passanti e di veicoli di ogni sorta. Enormi manifesti attaccati ai muri altissimi degli edifici annunciavano a caratteri cubitali: «La Casa della Stupidità», e gli altoparlanti urlavano: «La Casa della Stupidità! Articoli per uomini, donne e bambini! La migliore qualità e i prezzi migliori! Tutti alla Casa della Stupidità! E la vostra Casa!». Altrettanto subitamente la città si spense, e nel silenzio udii il tonfo dei passi del telamone che si allontanava per le strade deserte, saltellando sul pilastro suo unico piede.
  Nota. - Prima di uscire da sotto il balcone, il telamone mi diede l'elenco completo degl'inquilini della Casa della Stupidità, che io trascrissi nel mio taccuino. Non oso pubblicare i nomi e del resto per carità di patria ho distrutto l'elenco. C'erano molti grandi uomini. Alcuni politici che hanno diretto la sorte del mondo. Alcuni generali che si sono coperti di gloria. Alcuni scienziati di fama mondiale. Un grande filosofo. Alcuni celebri artisti. Persino un uomo riconosciuto e ammirato per la sua «intelligenza». Ma tant'è. Si scambia di solito per intelligenza quello che in verità non è se non fertile e brillante stupidità. Il telamone se ne intendeva.