martedì 24 gennaio 2023

EVERYTHING MUST GO

 
 
EVERYTHING MUST GO

"Everything Must Go"  è un film del 2010 diretto da Dan Rush, interpretato da Will Ferrell, Rebecca Hall e Laura Dern

Questo è un film tratto da un racconto di un grande della letteratura: Raymond Carver.  Di solito i film non rendono  molta giustizia allo scritto, ma questa volta non è stato, con mia sorpresa, il caso.

Il film si chiama “Everything must go”, del 2010,  visibile in streaming,  tratto da un racconto di Carver, “Perché non ballate?”, incluso nell’antologia che lo stesso Carver aveva messo insieme poco prima di morire, “Da dove sto chiamando”.
Il film, è un po’ particolare: non solo riesce a non rovinare uno dei migliori racconti di Carver, ma addirittura ne allarga parecchio il contesto, senza però snaturare mai la storia, e anzi ricreando una pellicola che suona molto “carveriana” pur essendolo solo nell’ispirazione. Complimenti quindi al regista (e a Will Ferrell che qui, per una volta in una parte seria, è davvero da applausi).

Di seguito il racconto.
Perché non ballate?

In cucina si versò un altro bicchiere e guardò i mobili della camera da letto sistemati nel giardino. Il materasso era scoperto, mentre le lenzuola a righe colorate erano piegate sul cassettone, accanto ai due cuscini. A parte questo dettaglio, tutto era disposto come lo era stato nella stanza: comodino e abat-jour dalla parte di lui, comodino e abat-jour dalla parte di lei.

La parte di lui, la parte di lei.

Sorseggiava whisky e rifletteva su questo punto.

Il cassettone era a poca distanza dai piedi del letto. Quella mattina aveva svuotato i cassetti e sistemato il contenuto in scatoloni che ora erano allineati in soggiorno. Accanto al cassettone c’era una stufa elettrica. Ai piedi del letto c’era anche una poltroncina di bambù con un cuscino fantasia. I mobili da cucina in alluminio lucido occupavano invece il vialetto. Il tavolino era coperto da una tovaglia di mussola gialla, un regalo; la tovaglia, troppo grande, ricadeva ai lati fin quasi a terra. Sul tavolino c’era anche un vaso di felci, un servizio di posate ancora nella scatola e un giradischi, regali anche quelli. Un grosso televisore era poggiato su un tavolino da salotto e, qualche metro più in là, c’erano un divano, una poltrona e una lampada a stelo. La scrivania era accostata alla porta del garage. Sopra c’erano degli accessori, un orologio da parete e due stampe incorniciate. Sempre sul vialetto c’era uno scatolone pieno di tazze, bicchieri e piatti, avvolti uno per uno in fogli di giornale. Aveva passato l’intera mattinata a svuotare guardaroba e credenze, e ora, a parte i tre scatoloni in soggiorno, tutta la roba era fuori dalla casa. Aveva portato anche una prolunga in giardino e tutti gli elettrodomestici erano collegati alla corrente elettrica. Funzionavano, proprio come quando erano ancora dentro casa.

Ogni tanto qualcuno rallentava in macchina e la gente fissava lo spettacolo. Però, nessuno si fermava.

Gli venne in mente che neanche lui l’avrebbe fatto, forse.

 

 

«Mi sa che stanno svendendo i mobili», la ragazza disse al ragazzo.

Il ragazzo e la ragazza stavano arredando un piccolo appartamento.

«Sentiamo quanto vogliono per il letto», disse la ragazza.

«Magari anche il televisore», disse lui.

Il ragazzo entrò nel vialetto e fermò la macchina davanti al tavolo da cucina.

Scesero e cominciarono a esaminare gli oggetti: la ragazza toccò la tovaglia di mussola, il ragazzo attaccò la spina del frullatore e ne girò la manopola su trita, la ragazza soppesò lo scaldavivande, il ragazzo accese la tv e si mise a regolarne i comandi.

Poi si sedette sul divano a guardarla. Si accese una sigaretta, si diede un’occhiata attorno e gettò il fiammifero nell’erba.

La ragazza si sedette sul letto. Poi si sfilò le scarpe e si sdraiò. Le sembrò di vedere una stella in cielo.

«Jack, vieni un po’ qui. Prova il letto. Porta uno di quei cuscini», disse.

«Com’è?», disse il ragazzo.

«Provalo», disse lei.

Lui si guardò attorno. La casa era al buio.

«Mi sento un po’ strano», disse lui. «Meglio vedere se c’è qualcuno in casa».

Lei si molleggiò un po’ sul letto.

«Prima provalo», disse.

Lui si sdraiò sul letto e si mise il cuscino sotto la testa.

«Be’, che te ne pare?», gli chiese lei.

«È bello solido», disse lui.

Lei si girò su un fianco e gli toccò la faccia.

«Baciami», disse.

«Sarà meglio alzarsi», disse lui.

«Baciami», disse lei.

Chiuse gli occhi. Lo tenne fermo.

Lui disse: «Vado a vedere se c’è qualcuno in casa».

Ma poi si limitò a tirarsi su seduto e rimase dov’era, facendo finta di guardare la televisione.

Le luci cominciarono ad accendersi nelle case lungo la strada.

«T’immagini come sarebbe buffo se...», disse la ragazza sorridendo, ma non finì la frase.

Il ragazzo si mise a ridere, ma non sapeva neanche lui perché.

Sempre senza sapere perché, accese l’abat-jour.

La ragazza scacciò una zanzara e a quel punto il ragazzo si alzò e s’infilò la camicia nella cintura dei pantaloni.

«Vado a vedere se c’è qualcuno in casa», disse. «Secondo me non c’è nessuno. Ma se c’è, vedrò a quanto mette queste cose».

«Qualunque cifra ti proponga, offri dieci dollari di meno. È sempre una buona idea», disse lei. «E poi, mi sa che devono essere disperati o qualcosa del genere».

«Il televisore non è male», disse lui.

«Chiedigli quanto vogliono», disse la ragazza.

 

 

L’uomo tornò lungo il marciapiedi con una busta del supermercato.

Panini, birra e whisky. Vide la macchina parcheggiata all’inizio del vialetto e la ragazza sdraiata sul letto. Poi vide il televisore acceso e il ragazzo sotto la veranda.

«Salve», disse alla ragazza. «E così ha trovato il letto. Bene».

«Salve», rispose la ragazza. «Lo stavo provando». Diede qualche colpetto sulla coperta. «È un letto niente male».

«Sì, è un buon letto», disse l’uomo, mettendo giù la busta e tirando fuori la birra e il whisky.

«Credevamo non ci fosse nessuno», disse il ragazzo. «Ci interesserebbe il letto e forse anche il televisore. Magari pure la scrivania. Quanto vuole per il letto?»

«Pensavo di venderlo per cinquanta dollari», rispose l’uomo.

«Quaranta vanno bene?», chiese la ragazza.

«Vanno bene anche quaranta», disse l’uomo.

Prese un bicchiere dallo scatolone. Scartò il bicchiere dal foglio di giornale. Svitò il tappo sigillato della bottiglia di whisky.

«E il televisore?», chiese il ragazzo.

«Venticinque».

«Vanno bene quindici?», disse la ragazza.

«Quindici vanno benone. Posso accettarne anche quindici», disse l’uomo.

La ragazza lanciò un’occhiata al ragazzo.

«Ragazzi, magari vi va di bere un goccetto», disse l’uomo. «I bicchieri sono in quello scatolone. Io mi devo sedere. Adesso mi siedo sul divano».

Si sedette sul divano, si appoggiò allo schienale e si mise a fissare il ragazzo e la ragazza.

 

 

Il ragazzo trovò due bicchieri e versò il whisky.

«Basta, basta», disse la ragazza. «Mi sa che nel mio ci voglio l’acqua».

Tirò fuori una sedia e si sedette al tavolo da cucina.

«Quello là è il rubinetto», disse l’uomo. «Apra pure quel rubinetto».

Il ragazzo tornò con il whisky annacquato. Si schiarì la gola e si sedette al tavolo della cucina. Sorrise. Ma non aveva ancora toccato il whisky del suo bicchiere.

L’uomo fissò il televisore. Svuotò il bicchiere e ne cominciò un altro. Si voltò per accendere la lampada a stelo. Fu allora che la cicca della sigaretta gli cadde dalle mani e finì tra i cuscini del divano.

La ragazza si alzò e lo aiutò a recuperarla.

«Allora, che cosa vuoi?», disse il ragazzo alla ragazza.

Poi tirò fuori il libretto degli assegni e se lo portò alle labbra come se stesse riflettendo.

«Voglio la scrivania», disse la ragazza. «Quanto vuole per la scrivania?»

L’uomo agitò la mano come se la domanda fosse assolutamente fuori posto.

«Dite una cifra», disse infine.

Li guardò, seduti intorno al tavolo. Alla luce della lampada a stelo, c’era una strana espressione sui loro volti. Buona o cattiva, non si riusciva a distinguere.

 

 

«Ora spengo la tv e metto su un disco», disse l’uomo. «Anche il giradischi è in vendita, sapete? Costa poco. Fate un’offerta».

Si versò dell’altro whisky e aprì una lattina di birra.

«È tutto in vendita», disse.

La ragazza gli porse il proprio bicchiere e lui le versò da bere.

«Grazie», gli disse lei. «Lei è molto gentile».

«Ti dà alla testa», disse il ragazzo. «Almeno, a me sta dando alla testa». Alzò il bicchiere e lo agitò un po’.

L’uomo svuotò il suo e lo riempì ancora una volta, poi trovò la scatola con i dischi.

«Scelga quello che vuole», disse alla ragazza, porgendole i dischi.

Il ragazzo stava riempiendo l’assegno.

«Ecco», disse la ragazza, scegliendone uno a caso, perché non conosceva nessuno dei nomi sulle copertine. Si alzò dalla sedia, ma poi si risedette. Non le andava di starsene seduta lì senza far niente.

«Lascio l’intestazione in bianco», disse il ragazzo.

«Va bene», disse l’uomo.

Bevvero. Ascoltarono il disco. Poi l’uomo ne mise su un altro.

Perché voi ragazzi non vi mettete a ballare?, decise di dire e poi lo disse. «Perché non ballate?»

«No, non credo», disse il ragazzo.

«Coraggio», insisté l’uomo. «Il giardino è mio. Potete ballare, se vi va».

 

 

Abbracciati stretti, il ragazzo e la ragazza si mossero su e giù per il vialetto. Ballavano. E quando finì il disco, ne misero su un altro, e quando finì anche quello il ragazzo disse: «Sono ubriaco».

La ragazza gli disse: «Ma va’ là che non è vero».

«E invece sono ubriaco», disse il ragazzo.

L’uomo mise su l’altra facciata del disco e il ragazzo disse: «È vero».

«Balla con me», la ragazza disse al ragazzo e poi all’uomo, e quando l’uomo si alzò, lei gli si avvicinò a braccia spalancate.

 

«C’è della gente laggiù che ci guarda», disse lei.

«È tutto a posto», rispose l’uomo. «Questa è casa mia», disse.

«Che guardino pure», disse la ragazza.

«Proprio così», disse l’uomo. «Credevano di averne viste di tutti i colori, qui. Ma una cosa del genere non l’avevano ancora vista, eh?», disse.

Sentiva il fiato della ragazza sul collo.

«Spero che il letto le piaccia», disse.

La ragazza chiuse e riaprì gli occhi. Spinse il viso contro la spalla dell’uomo. Lo strinse ancora di più a sé.

«Lei dev’essere disperato o qualcosa del genere», disse.

 

Dopo qualche settimana, lei ne parlava ancora: «Era un tizio di mezz’età. Aveva tutte le cose là fuori, nel bel mezzo del giardino.

Vi giuro. Ci siamo presi una bella sbronza e abbiamo ballato. Lì, sul vialetto. Oh, Signore. C’è poco da ridere. Metteva su i dischi per noi. Guardate questo giradischi. Ce l’ha dato quel tizio. Anche tutti questi dischi di merda. Ma avete visto che roba?»

Non smetteva di parlarne. Lo raccontava a tutti. C’era qualcos’altro da dire e lei tentava di tirarlo fuori. Ma dopo un po’, smise di provarci.