FIABE.
Estratto da "Ortodossia" di G.K. Chesterton
Le fiabe delle fate non sono affatto evasioni; lungi dall'essere irreali sono più reali del reale perché sono un tentativo di dirne la verità profonda:
“La mia prima ed ultima filosofia, quella alla quale ho creduto con ininterrotta certezza, l'ho imparata da bambino. L'ho imparata generalmente da una nutrice: solenne e predestinata sacerdotessa della democrazia e della tradizione. Le cose in cui ho sempre creduto di più, allora ed ora, sono le cosiddette novelle delle fate: che a me sembrano cose interamente ragionevoli. Non sono fantastiche: tante altre cose, al loro confronto sono fantastiche. Al loro confronto la religione e il razionalismo sono tutt'e due anormali, sebbene la religione sia anormalmente vera e il razionalismo anormalmente falso. II paese delle fate è il soleggiato paese del senso comune”. (GKC, Ortodossia, pagg. 67-68)
Ci spiega Chesterton che è il giardino delle fate che insegna all'uomo la corretta definizione della ragione così come essa è, liberata dalle restrizioni e dalle amputazioni alle quali la tradizione filosofica, derivata in vario modo dall'Illuminismo, ci ha abituato. È la ragione che rifiuta sia il determinismo, che vuole ricondurre tutto al meccanismo della natura che sarebbe governata da leggi universali e necessarie, ma che i vari scetticismi, che traggono dall'impossibilità di fondare le affermazioni della ragione una visione di insensatezza del mondo.
Sto ri-leggendo Ortodossia di Chesterton. Scrive:"Mi sta a cuore quel modo di considerare la vita che ho acquisito attraverso le fiabe, e che ho poi tranquillamente sperimentato con i fatti.”....contenuto in “Ma qui voglio illustrare ciò che nell’etica e nella filosofia trae nutrimento dalle fiabe. Se le descrivessi nei particolari, potrei cogliere i molti principi nobili e sani che ne derivano. Nella fiaba Jack l’ammazzagiganti c’è una lezione di cavalleria: i giganti dovrebbero essere uccisi perché sono giganteschi. È una virile ribellione contro l’orgoglio in quanto tale. La figura del ribelle è più antica di tutti i regni e il Giacobino ha una tradizione più lunga del Giacobita 3. C’è una lezione anche in Cenerentola, che è la stessa del Magnificat: exaltavit humiles. Anche in La Bella e la Bestia c’è una grande lezione: una cosa deve essere amata prima di essere amabile. C’è una terribile allegoria in La bella addormentata nel bosco, che racconta come una creatura umana alla nascita sia stata benedetta da molti doni, ma abbia ricevuto anche la maledizione della morte, poi attenuata in una condanna a un lungo sonno. Non voglio occuparmi delle varie regole che governano il paese delle fate, ma dello spirito che anima la sua legge. Io l’ho assimilato ancora prima di imparare a parlare e lo serberò dentro di me anche quando non sarò più in grado di scrivere. Mi sta a cuore quel modo di considerare la vita che ho acquisito attraverso le fiabe, e che ho poi tranquillamente sperimentato con i fatti.”