domenica 18 dicembre 2022

L'UNIVERSO MUSICALE DI BACH Christoph Wolff



L'UNIVERSO MUSICALE DI BACH

Christoph Wolff


Recensione Rinaldo Censi

Ecco un magnifico regalo di Natale. Un libro che non si smetterebbe mai di consultare e di lodare. Christoph Wolff, professore emerito presso l’Università di Harvard, già direttore del Bach-Archiv di Lipsia è autore di numerosi testi dedicati alla storia della musica. Si è numerose volte occupato di Bach: mirabile ossessione. Ricorderemo almeno Johann Sebastian Bach: La scienza della musica (2003). Biografia ragguardevole. Con L’universo musicale di Bach, Wolff si sofferma in particolare sul suo stile compositivo, sottolineandone la genialità, ma soprattutto la capacità di creare attraverso questo metodo una sorta di galassia, un universo in costante espansione, che nei secoli ha sedotto musicisti, matematici, filosofi o semplici ascoltatori. Come scrive Wolff nella sua introduzione: “In gran parte indipendente dagli eventi esterni della sua vita, l’universo di Bach assomiglia a un grande cosmo in cui ciascuna delle sue inesauribili idee musicali trova il proprio posto”. Da questa galassia, Wolff isola un numero ristretto di opere che vengono studiate, approfondite, grazie all’analisi di manoscritti (spesso riprodotti nel volume), fonti d’epoca che dotano le composizioni di supplementi informativi e permettono di consolidare una visione allargata del contesto storico che le ingloba. Concerti Brandeburghesi, Arte della fuga, Clavicembalo ben temperato, Partite per violino, Suite per violoncello, semplici album per tastiera: qual è l’opera che preferite? E in quale esecuzione? Con piglio filologico, ma senza pedanteria, Wolff scandaglia, fa parlare le carte in modo che le note risuonino nel modo giusto. Si prenda ad esempio l’elaborazione di idee musicali polifoniche. Per Bach, “l’elaborazione contrappuntistica di un tema, dunque, presentava fin dall’inizio la sfida di scoprire le sue latenti qualità armoniche”. Queste qualità latenti innervano una ricerca che lo accompagnerà per tutta la vita, fin dai primi passi mossi in maniera quasi autodidatta: una ricerca inesauribile di ciò che fosse possibile realizzare con sette note. Ed eccolo Bach, ritratto da E. G. Haussmann, nel 1748. Contravvenendo alla posa tipica dei compositori, sceglie di farsi ritrarre nell’atto di allungare un “canone musicale” simile a un biglietto da visita. Canone triplo a sei voci – ne esiste anche una stampa originale (1747). La “storia” di questo canone la trovate nel volume. Come un “emblema”, dice molto di colui che vi appare ritratto. 


L'UNIVERSO MUSICALE DI BACH

Christoph Wolff

Prefazione

di Raffaele Mellace

Farà bene il lettore italiano a scegliere Christoph Wolff come Virgilio nell’esplorazione dell’universo Bach? Nell’attraversare cioè un territorio non meno complesso e anfrattuoso di quello che si parò davanti all’immaginazione dantesca? Chi scrive crede di sì, per diversi ordini di ragioni. Andrà innanzitutto apprezzata la competenza dello studioso, a lungo direttore del Bach-Archiv di Lipsia e autore di alcune centinaia di pubblicazioni di argomento bachiano: una produzione impressionante per entità, varietà, capillarità degli interessi, estensione temporale. La strada che porta al volume qui tradotto parte da molto lontano, dal contributo inaugurale dell’allora studente sulle fonti manoscritte bachiane (1963), seguito dalla dissertazione dottorale sullo Stile antico nella musica di Johann Sebastian Bach, ancora oggi punto fermo nella bibliografia bachiana, discussa all’Università di Erlangen-Norimberga nel 1966 e pubblicata due anni dopo in una collana diretta da un gigante della musicologia come Hans Heinrich Eggebrecht. Nei sei interi decenni intercorsi da allora, Wolff, parimenti finissimo esegeta dell’ultimo Mozart, ha costituito senza titubanze né pause una delle voci più significative di una stagione formidabile per l’approfondimento e la rivalutazione della figura di Bach e del suo lascito artistico.

L’ha fatto spaziando in lungo e in largo sulla tastiera delle opzioni a disposizione dello storico della musica:

– Sul versante delle edizioni critiche, contribuendo ovviamente anche al grande cantiere della Neue Bach-Ausgabe: negli anni ha proposto in edizione L’offerta musicale, il Concerto italiano, le Variazioni Goldberg, l’Arte della fuga, la Messa in Si minore, un gruppo di Cantate, i Canoni BWV 1072-1078 e 1087, i corali Neumeister, individuati dallo stesso Wolff nella biblioteca dell’Università di Yale, ma anche la raccolta completa dei corali per organo.

– Con una serie di contributi specifici alla ricerca su una varietà di temi specifici, proposti in forma di articoli su riviste, saggi in volume, voci di dizionari ed enciclopedie.

– Partecipando a progetti collettivi di sistemazione delle conoscenze sul compositore, come la Bach-Bibliographie e il Bach Compendium, usciti entrambi nell’anno giubilare 1985; il secondo completato nel 1989 per ora soltanto rispetto alla musica vocale, raro progetto incompiuto nella bibliografia wolffiana.

– Attraverso la curatela di volumi importanti che costellano puntuali i decenni, dalla raccolta di scritti bachiani di Friedrich Smend (1969), agli studi di letteratura organistica in omaggio a Michael Schneider (1984), dalla preziosa silloge di fonti del New Bach Reader (1998) ai saggi sulla biografia bachiana in omaggio a Hans-Joachim Schulze (1999), ai tre volumi del Mondo delle cantate di Bach, usciti in più Paesi (due anche in Italia, auspice la Società del Quartetto di Milano) tra il 1995 e il 2000, l’anno del giubileo bachiano successivo.

– Il capitolo più audace della bibliografia bachiana di Christoph Wolff è costituito però da alcune opere che hanno l’ambizione di abbracciare con uno sguardo complessivo il magistero bachiano: lavori, come quello che avete ora ha tra le mani, il cui merito sta nel mettere a disposizione del lettore l’eccellenza della competenza unita a una visione critica personale. Il primo di questi è stato proposto nel 1991, a quasi trent’anni dalla prima pubblicazione bachiana di Wolff, con il titolo pudico e senza pretese di Bach: Essays on His Life and Music. Certo, sono effettivamente saggi sulla vita e la musica di Bach quelli che il lettore si trova di fronte, ma, si badi bene, non si tratta certo di una semplice raccolta consuntiva. L’impianto del volume copre l’intero arco dai modelli di Bach fino alla prima ricezione bachiana: tra questi due estremi, nel cuore del libro 20 dei 32 saggi (complessivamente oltre 400 pagine fitte) si concentrano su questioni stilistiche, cui Wolff accede interrogando fonti e progetti compositivi, con lo scopo dichiarato di proporre «broadened perspectives», prospettive più vaste.

A un decennio di distanza, per l’anniversario del 2000, è seguito il capitale Johann Sebastian Bach: The Learned Musician, tradotto in Italia come La scienza della musica: una monografia complessiva e tuttavia nata già progettualmente come in cerca di completamento. Nel senso che quel testo ricchissimo, fitto di notizie e interpretazioni, dati storici e bilanci estetici, offre deliberatamente solo una metà del quadro: la biografia del compositore e non il commento sistematico alla sua musica. Per parafrasare il titolo del libro precedente: «His Life», not his «Music». Questa deliberata scissione del binomio classico vita-opere nasce evidentemente dalla necessità di approfondire realmente ciascun ambito (biografia e produzione) di questo autore immenso secondo prospettive diverse, iuxta propria principia. E tuttavia, lungi dall’isolare in compartimenti stagni esistenza e creatività, una simile operazione ha prodotto un dittico prezioso, che trova nel presente volume, uscito esattamente a vent’anni dalla “parte prima”, il suo coronamento. Se allora il focus era stato sul «Musician», il quadro viene ora completato, ricongiungendo i due termini della questione, il «Composer» e il suo «Work», ovvero la sua opera, il suo “universo musicale”. Senza peraltro che il volume biografico si esima dall’insegnare molto sulle opere o questa seconda parte non ritorni in termini assai persuasivi sui capisaldi di un’interpretazione coerente del percorso biografico, rafforzandone gli assunti.

L’autorevolezza di Christoph Wolff nel parlare a noi, suoi contemporanei, di Bach è dunque fuori discussione. E tuttavia, non sta in ciò il motivo principale che consiglierebbe di aprire questo libro. Se ne possono annoverare almeno altri tre. Innanzitutto colpisce, e convince, il metodo con cui Wolff legge e racconta Bach: un “doppio movimento” intimamente coerente. Convivono infatti regolarmente nello studioso – ed è forse questo il segno al massimo grado di una lettura critica in grado di penetrare e illuminare compiutamente i fenomeni – attenzione al particolare e sguardo d’assieme. Il dettaglio compositivo, la formulazione d’un breve testo d’accompagnamento o di introduzione a della musica manoscritta o a stampa, costituiscono di norma il punto di partenza, l’avvio d’una riflessione che man mano si allarga, con movimento centrifugo, in cerchi sempre più estesi e comprensivi. Il particolare altro infatti non è se non la spia d’un fenomeno più vasto: un’evidenza convalidata da un procedimento rigorosamente induttivo che conferisce credibilità inoppugnabile all’assunto generale esposto. Il necrologio di Bach, un dettaglio del celebre ritratto di Haußmann, le formulazioni sui frontespizi autografi rivelano, sotto la lente di Wolff, una folla di particolari che a un esame superficiale rischiano di passare inosservati. Sottoposti a un interrogatorio tanto scrupoloso finiscono invece per lasciarsi sfuggire formidabili dettagli rivelatori.

Una seconda peculiarità del racconto bachiano di Wolff è la capacità di argomentare e documentare, al di là di qualsiasi abusata e perciò spuntata iperbole retorica, l’eccezionalità di Bach. Quanto straordinaria sia stata l’incidenza di Bach nella storia della musica degli ultimi due secoli e quanto a tutt’oggi resti praticamente senza reali paragoni la sua presenza nella coscienza dell’uomo contemporaneo sono dati incontrovertibili. Ciò che riesce a Wolff è individuare il segno di questa eccezionalità nella cifra dell’eccesso nella produzione e nel pensiero bachiani. Una cifra testimoniata dal Clavicembalo ben temperato, microcosmo che si spinge a coprire tutte le tonalità; dal progetto colossale dell’annata corale, che ambisce a collocare l’intero anno liturgico sotto l’ala dell’innologia luterana; dall’Arte della fuga, summa di contrappunto strumentale; dalla Messa in Si minore, monumento dal formato inedito, al di là di qualsiasi funzionalità pratica nella liturgia di qualsivoglia confessione. Così come eccezionale e solum suo è il principio guida della scrittura bachiana, si direbbe la vocazione di un’intera vita creativa: quella polifonia pervasiva cui spetta il compito d’innervare capillarmente, elevare sul piano retorico e arricchire di significato l’invenzione musicale di qualsiasi formato.

Permea, infine, la riflessione di Wolff sulla produzione bachiana, e ancor prima sul profilo del compositore, un’idea che è andata prendendo sempre più peso nell’immagine di Bach accarezzata, coltivata, sviluppata assiduamente nei decenni dal grande musicologo: il concetto di opus. Si rischia spesso infatti di guardare al complesso dell’opera di Bach come a una distesa sterminata, una congerie di musica strumentale e vocale di ogni taglio, genere, formato, una cornucopia frutto della prolificità creativa (e perfino biologica) d’un autore dalla prodigalità smisurata. Wolff propone su questo punto una sostanziale, energica correzione di tiro. Nel suo racconto, Bach in realtà perseguì per buona parte dell’esistenza l’ambizione di realizzare non tanto lavori isolati in grande quantità quanto piuttosto raccolte organiche e coerenti: libri, opera che presentassero un carattere normativo e si offrissero come punti di riferimenti per chiunque ambisse a emularlo in quello specifico genere vocale o strumentale. È irrilevante che la quasi totalità di questi lavori sia rimasta inedita in vita di Bach: la configurazione come libri (esattamente come quelli delle opere strumentali di Vivaldi o di Corelli che all’inizio del Settecento avevano invaso il mercato editoriale del continente) resta perfettamente leggibile anche nella veste manoscritta cui questa musica rimase a lungo confinata e, anche per questo, trascurata. Questa tensione, che attraversa continua e fino alla fine, perlomeno per tre decenni filati, la produzione bachiana è ravvisabile nella musica per tastiera (l’OrgelbüchleinIl clavicembalo ben temperato, le quattro parti della Clavier-Übung, i Diciotto corali di Lipsia), per gruppi strumentali più o meno cameristici (le sonate e partite per violino, le suite per violoncello, le sonate per clavicembalo e violino, i Concerti brandeburghesi, i concerti per uno o più clavicembali), nel quartetto di messe Kyrie-Gloria, nel progetto dei progetti, la monumentale e incompiuta annata di cantate corali, nelle due trilogie che Wolff individua: le tre Passioni e il trittico oratoriale, che insieme vengono a costituire un grandioso ciclo cristologico, presidiato da composizioni monumentali di eccezionale valore estetico e cronologicamente parallelo allo sviluppo della Clavier-Übung. E naturalmente nei monumenti ultimi, isolati ma non per questo meno eccezionali, dell’Arte della fuga e della Messa in Si minore.

Letto in quest’ottica, il grande cantiere bachiano si presenta come attraversato da un pensiero progettuale costante, che vede l’organista, poi Conzertmeister, maestro di cappella e infine Cantor sempre alla ricerca di nuove sfide, campi inesplorati da perlustrare o territori noti da innalzare a standard inimmaginabili di perfezione formale e densità espressiva. Se una simile lettura incide inevitabilmente sull’interpretazione e sulla percezione dei singoli lavori o gruppi di lavori interessati, finisce per investire anche l’immagine stessa di Bach. Nel 1950, bicentenario della morte del compositore, nel ringraziare per il conferimento del Premio Bach della Città di Amburgo Paul Hindemith tratteggiava il ritratto d’un vecchio Bach sulla cui attività «è scesa un’ombra, l’ombra della malinconia». Un Bach che si è come ritirato dalla vita attiva, che nell’ultimo decennio di esistenza non realizza più di un’opera all’anno, ben magro bottino a confronto con la prodigiosa prolificità dei decenni precedenti. A questa immagine si contrappone la visione epica ed entusiasmante trasmessa da Wolff: quella d’un autore al culmine delle sue facoltà, intento a costruire un monumento per la posterità. Intento cioè a dilatare al possibile i confini di un’arte che egli osserva come dall’alto, da un punto della storia che lo spinge ad abbracciare con lo sguardo e far propri gli esiti più cospicui della vasta stagione che si estende tra Palestrina e Pergolesi. Nel realizzare i progetti degli ultimi due decenni, varcato nel 1735 quel cinquantesimo compleanno che dovette dir molto all’uomo e all’artista, Bach mette coscientemente e programmaticamente a frutto il patrimonio ingentissimo della musica che aveva scritto per Weimar, Cöthen e Lipsia, recuperandola e ripensandola in organismi che avrebbero assicurato a quelle note talvolta dalla storia pluridecennale, una lunga vita. Un Bach vitale, dunque, quest’ultimo Bach, più che mai propenso al futuro, alieno da qualsiasi umore malinconico.

Chi avrà richiuso, a lettura terminata, il libro che ha ora tra mani si sarà probabilmente visto rinnovare in termini sensibili la propria immagine di Bach, anche quando questi rientri tra i suoi autori d’elezione, i compagni d’una vita. Che ciò possa accadere sarà dipeso dalla forza, dalla qualità e dall’originalità della lettura di uno studioso che con Bach ha intrattenuto uno dei dialoghi più fruttuosi e duraturi della storia. Credo si debba essere grati a Christoph Wolff per aver tanto arricchito la capacità di confrontarsi con Bach di noi inquieti abitatori di questo xxi secolo, restituendocene un’immagine convincente e coerente, in grado di tener conto a un tempo dell’eccezionalità dell’artista e della profondità del suo universo interiore, della ricchezza del contesto culturale, delle ambizioni e delle inquietudini intellettuali e professionali che l’hanno attraversato. Si tratta naturalmente di un’immagine inevitabilmente in movimento, un ritratto di Bach credo estremamente eloquente per il lettore odierno. In attesa del Bach, anzi plausibilmente dei molti Bach che, non v’è dubbio, attenderanno noi stessi e i nostri posteri nel futuro.

Introduzione

L’universo musicale di Bach è il titolo scelto per segnalare che questo libro seguirà una strada ben distinta dal modello convenzionale imperniato sul «compositore e la sua opera». Un esame critico dell’intera produzione musicale di Johann Sebastian Bach sarebbe solo una fatica frustrante e inutile: la sua eredità musicale è di tale ricchezza che nessuno studioso, da solo, potrebbe trattare in modo adeguato l’intera sua opera. Per cause di forza maggiore ho quindi deciso di concentrarmi su una serie limitata ma altamente significativa di composizioni, adottando criteri di selezione mai tentati finora. Gli studi sulla musica di Bach sono abitualmente organizzati intorno a composizioni simili fra loro, dello stesso genere o di generi affini, o risalenti a uno stesso periodo. La scelta fatta per questo libro travalica invece i confini convenzionali e, in un certo senso, è stata determinata dallo stesso Bach. Lungo tutta la sua carriera di compositore, Bach organizzò con metodo – in raccolte accuratamente progettate, manoscritti in bella copia e edizioni a stampa – un certo numero di composizioni di valore esemplare, uniche e innovative. Queste opere di riferimento, ineguagliabili e insuperate, avviarono una straordinaria sequenza di creazioni altamente originali e chiaramente destinate a servire da paradigma della sua arte musicale, rivelando una mente musicale curiosa, costantemente aperta all’esplorazione e alla scoperta. Come tali, esse costituiscono forse l’autobiografia musicale più efficace e autentica che si possa immaginare.


Dall’insieme di un’opera vasta ed estremamente complessa si stacca una serie di composizioni fuori del comune – dal primo gruppo di sei toccate per tastiera fino alle più tarde Arte della fuga e Messa in Si minore – evocando la metafora di pianeti ben individuabili nel vasto firmamento della musica di Bach, entità chiaramente organizzate che illustrano il suo gusto per la varietà e la sua propensione verso una dimensione ampia e profonda, man mano che il suo universo musicale continuava a espandersi. In gran parte indipendente dagli eventi esterni della sua vita, l’universo di Bach assomiglia a un grande cosmo in cui ciascuna delle sue inesauribili idee musicali trova il proprio posto. Lascio qui la metafora senza spingerla ulteriormente verso asteroidi, buchi neri e altre parti dell’astronomia.


Il rapporto di questo libro con lo storico e copioso patrimonio di studi bachiani è un’altra sua caratteristica saliente. A tutte le opere e le raccolte qui considerate sono stati dedicati molteplici monografie, capitoli di libri, articoli accademici e brevi introduzioni. Molte di queste pubblicazioni hanno già guidato generazioni di ricercatori e appassionati, mentre altre più recenti forniscono informazioni e stimoli ancora oggi. Eppure nessuna è elencata nella bibliografia alla fine del libro, tranne poche eccezioni che necessitavano di essere menzionate per ragioni specifiche. Il mio intento primario, infatti, era quello di condurre un metastudio indipendente, concentrandomi su alcuni distinti progetti trasversali ben individuabili nella sovrabbondante produzione musicale di Bach. Questo metodo di analisi essenzialmente sinottica della sua opera mette in maggiore evidenza il carattere indagatore della sua mente musicale, che produsse un flusso così straordinariamente costante di opere di grande valore trasformativo.


Di ognuna delle composizioni prese in considerazione, questo volume esamina la genesi (con particolare attenzione alle fonti primarie), le caratteristiche musicali salienti, e altri aspetti essenziali di rilevanza storica e di importanza generale. Per le raccolte e i brani individuali ho anche incluso concise tabelle illustrative, pensate per favorire una pratica consultazione e una visione d’insieme. Tuttavia i capitoli e le sezioni di questo libro non possono rendere completamente giustizia alla musica che descrivono: non aspirano a presentare analisi dettagliate, né vogliono soppiantare le introduzioni critiche disponibili alle opere in esame, ma vanno piuttosto intesi come complemento a ciò che è reperibile nella letteratura esistente. In questo libro ho attinto liberamente ai miei scritti, insegnamenti e ricerche precedenti, ma nel concepire il suo obiettivo e il suo spirito volevo soprattutto che servisse da integrazione e completamento del quadro offerto dal mio saggio biografico, Johann Sebastian Bach: La scienza della musica (Bompiani, 2003).


Nonostante il libro sia a essa strettamente collegato, questa precedente biografia si troverà citata solo occasionalmente, quando siano necessarie specifiche informazioni biografiche e altri elementi essenziali, mentre in generale qualsiasi biografia di Bach può fornire i ragguagli del caso. Una breve sinossi alla fine del volume si limita a ricordare le date più importanti. Poiché le partiture di Bach sono facilmente reperibili, gli esempi musicali sono stati ridotti al minimo. I facsimili delle fonti originali forniscono molte informazioni supplementari sulle opere trattate e avvicinano il lettore al loro contesto storico. Le pagine in facsimile riprodotte in questo libro trovano un ampio ed esaustivo complemento in Bach digital (www.bach-digital.de), la biblioteca digitale completa dei manoscritti di Bach messa a disposizione dall’Archivio Bach di Lipsia, che fornisce istruzioni di navigazione anche in italiano (https://www.bacharchivleipzig.de/). Per la ricerca nella letteratura secondaria, i lettori potranno trovare utile la Bach Bibliography Online (http://swb.bsz-bw.de/), anch’essa ospitata dall’Archivio Bach.


Le composizioni qui discusse sono identificate dai numeri del Bach-Werke-Verzeichnis, il catalogo sistematico-tematico delle opere di Bach di norma abbreviato in BWV. Questi numeri facilitano la ricerca delle partiture e relative edizioni, nonché dell’ampia varietà di registrazioni disponibili praticamente per ogni composizione di Bach. L’ultima versione di questo indispensabile manuale di riferimento, la terza edizione accuratamente rivista del catalogo (anch’essa pubblicata sotto gli auspici dell’Archivio Bach di Lipsia), comprende informazioni su ogni singola opera, aggiornate alla luce della ricerca accademica più recente.


Le numerose illustrazioni e le varie tabelle del libro servono a scopi precisi. Le immagini delle belle copie autografe e delle stampe originali documentano il peso che il compositore attribuiva alle sue opere di riferimento, mentre le partiture di lavoro autografe riflettono la cura scrupolosa con cui affrontava i suoi progetti più importanti. Le altre copie manoscritte, che generalmente hanno un ruolo significativo nella trasmissione e nella conservazione della musica di Bach, offrono ulteriori prove a sostegno di questa tesi. Le tabelle permettono di avere un quadro essenziale dei contenuti e della struttura sia delle raccolte paradigmatiche che delle opere individuali di grandi dimensioni, come gli oratori della Passione. In alcuni casi, in particolare nel capitolo 8, hanno anche lo scopo di sgravare il testo corrente da questioni analitiche più complesse o altri dettagli, a disposizione di coloro che desiderano approfondire tali aspetti.

[...]


C.W.

Prologo

Sul primato e la pervasività della polifonia

Il biglietto da visita del compositore


Nel Sei e Settecento, compositori e teorici della musica discutevano con vigore sui principi generali della composizione musicale, e tuttavia raramente o forse mai lasciarono traccia di riflessioni in merito alle loro motivazioni creative, finalità artistiche o priorità estetiche. Si cercano invano discussioni su approcci compositivi individuali, scelte fantasiose e preferenze specifiche, ovvero su tutti gli elementi dell’originalità artistica. In che modo, dunque, possiamo definire quale fosse per Johann Sebastian Bach l’essenza del comporre musica?


Maestro inveterato di quest’arte, Bach espresse il proprio punto di vista di compositore quasi esclusivamente tramite le opere, vale a dire in termini puramente musicali anziché teorici. A dispetto del ruolo di insegnante appassionato e carismatico, che fece di lui uno dei più attivi e influenti educatori musicali di ogni tempo, fu sempre notoriamente riluttante a scrivere alcunché circa la sua vita e il suo lavoro. Non diede mai seguito, per esempio, alla richiesta fattagli nel 1717 da Johann Mattheson perché scrivesse una nota autobiografica.1 Allo stesso modo, nel 1738 delegò all’amico Johann Abraham Birnbaum il compito di rispondere alle osservazioni critiche di Johann Adolph Scheibe che l’aveva accusato di avere «uno stile ampolloso e confuso» a causa di «eccessivi artifici».2


La sua inclinazione a lasciare che fosse la musica stessa a parlare al suo posto emerge con evidenza nell’unica immagine autentica di Bach conservata fino a oggi, il ritratto a olio dipinto da Elias Gottlob Haußmann quando il compositore aveva poco più di sessant’anni (si veda il frontespizio).3 Pittore del consiglio comunale di Lipsia, Haußmann aveva dipinto numerosi funzionari della città, raffigurandoli più o meno sempre nella stessa posa. Il ritratto di Bach non se ne discosta in modo sostanziale, salvo per un dettaglio: il brano musicale che tiene fra le mani lo identifica immediatamente come musicista (si veda la Figura P-1).





Figura p-1 Canone triplo a sei voci, BWV 1076:

dettaglio del ritratto a olio di J.S. Bach di E.G. Haußmann (1748).


Contravvenendo infatti alle abituali convenzioni usate per i ritratti di musicisti, Bach scelse di non utilizzare la postura tradizionalmente privilegiata dai Cantor o dai maestri di cappella, di norma raffigurati nell’atto di dirigere stringendo in mano un rotolo di musica. Non volle nemmeno venire identificato come un interprete accanto al proprio strumento, cosa che sarebbe peraltro risultata più che pertinente, dal momento che per tutta la vita fu largamente apprezzato e ammirato come brillante organista e virtuoso della tastiera.4 Scelse invece di porsi di fronte all’osservatore esibendo della musica scritta su un fogliettino, come se fosse il suo biglietto da visita con nome e professione.



Figura p-2 Canone triplo a sei voci,

BWV 1076: stampa originale (Leipzig, 1747).


Se l’analogia con un biglietto da visita dipinto sembra inappropriata o inverosimile, non ci resta che osservarne la versione cartacea (si veda la Figura P-2). Inciso su un foglio in dodicesimo (in cui la stampa occupa 8,12 cm per 10,16) si trova il medesimo «Canon triplex à 6 Voc:» (canone triplo a sei voci), l’unico di questo tipo pubblicato da Bach singolarmente e utilizzato come modello nel dettaglio del dipinto.


Il canone non era stato composto né per il ritratto né per essere stampato separatamente, e fu selezionato dalla serie di Quattordici Canoni, BWV 1087,5 sul basso dell’aria della quarta parte della Clavier-Übung («Variazioni Goldberg») pubblicata nel 1741 (si veda il capitolo 8).


Nel 1747 Bach aveva fatto stampare il canone staccato per distribuirlo fra i membri della «Società per corrispondenza di scienze musicali», della quale era appena divenuto socio. Aveva scelto di presentarsi ai membri di questa associazione accademica, fondata dal suo ex allievo Lorenz Christoph Mizler, inserendo delle copie del canone in uno dei pacchi che questi si scambiavano periodicamente. Poiché i membri vivevano lontani uno dall’altro – per esempio George Frideric Handel a Londra, Georg Philipp Telemann ad Amburgo e Meinrad Spieß a Irsee, in Svevia – l’organizzazione funzionava per corrispondenza. Secondo statuto, infatti, il suo principale mezzo di comunicazione consisteva nella circolazione di pacchi (Zirkular-Pakete), preparati e spediti due volte l’anno dal segretario Mizler, che consentivano il reciproco scambio di saggi e composizioni. Ogni pacco veniva spedito al primo membro della lista, che poi lo inoltrava al successivo, e così via.


Mizler ristampò il canone di Bach alla fine del necrologio del compositore pubblicato nella Musikalische Bibliothek (Leipzig, 1754), aggiungendo la nota:


Nel quinto pacco dell’Associazione il fu Kapellmeister Bach presentò una tripla fuga [canone circolare] per la sua risoluzione.6


Questo stesso pacco è espressamente citato in una lettera del 23 ottobre 1747 indirizzata da Mizler al compositore e teorico Spieß, priore dell’abbazia benedettina di Irsee:


L’ultimo pacco, tuttavia, che fu spedito già il 29 maggio di quest’anno, non è ancora tornato indietro, e non so dove si sia fermato così a lungo. Lei lo riceverà dal sig. Bach.7


La copia contenuta nel pacco finalmente ottenuto da padre Spieß si è rivelata essere uno dei due soli esemplari della tiratura originale conservati fino a oggi.8


Nella sua duplice versione dipinta e stampata, il piccolo spartito del canone, apparentemente insignificante, solleva la questione di quale immagine di sé Bach intendesse offrire per il suo tramite. Nell’associare le sembianze del compositore alla sua opera creativa, il ritratto trasmette un messaggio inequivocabile: sorridendo con aria mite e benevola, Bach sembra dichiarare: «Ecco chi sono e cosa rappresento: l’arte della polifonia contrappuntistica». Sereno, con orgoglio, e forse non senza un tocco di presunzione, sembra che sfidi l’osservatore a scoprire come questo enigmatico spartitino di tre righe si possa risolvere in un triplo canone perpetuo a sei voci.


L’utilizzo di un canone per designare il soggetto di un ritratto come musicista non è certo un caso unico. La compatta notazione in forma crittografata permette infatti a un canone di rappresentare una composizione polifonica completa seppur breve, e come tali i canoni si trovano in numerose raffigurazioni, in particolare di musicisti del Seicento.9 Nei ritratti, sono di norma impiegati come epigrafi o come iscrizioni emblematiche, in generale fisicamente staccate dal modello. Il quadro di Haußmann, invece, incorpora il canone rendendolo elemento integrante di una scelta deliberata da parte del musicista in effigie.


Come indicato dal suo stesso titolo, questo insolito canone presenta una serie di proprietà. La dicitura «Canon triplex à 6 voc[ibus]» chiarisce infatti che si tratta sia di un canone triplo che di una composizione a sei voci, e tuttavia non sono visibili i punti di ingresso per le voci del canone, né vengono forniti altri indizi per risolvere la notazione enigmatica. Come può ciascuna delle tre voci suscitare la sua risposta in canone o contrappunto, così che la combinazione di tre canoni a due voci possa generare una partitura completa a sei voci? Di per sé, il titolo non rivela che la brevissima composizione non è soltanto un semplice canone triplo, ma è di fatto un canone inverso o a specchio, dato che lo si può guardare in due modi, dal punto di vista dell’osservatore o da quello di chi lo presenta, cioè Bach (si vedano il Diagramma P-1 e l’Esempio P-1). In altre parole, i contrappunti in canone impliciti, generati da ciascuna delle tre voci in chiave di contralto, tenore e basso (= 1a-3a) devono essere ricavati dalle loro singole inversioni melodiche e vanno letti in chiave di soprano, contralto e tenore (= 1b-3b).


Diagramma p-1 Canone triplo inverso, risolto


lettura dell’osservatore


lettura

del presentatore


risoluzione


rigo 1a. (A:) ⊂⊂⊂⊂⊂⊂


rigo 2a. (T:) ⊂⊂⊂⊂⊂⊂


rigo 3a. (B:) ⊂⊂⊂⊂⊂⊂


rigo 3b. (S:) ⊃⊃⊃⊃⊃⊃


rigo 2b. (A:) ⊃⊃⊃⊃⊃⊃


rigo 1b. (T:) ⊃⊃⊃⊃⊃⊃


rigo 3b. (S:) ⊃⊃⊃⊃⊃⊃


rigo 1a. (A:) ⊂⊂⊂⊂⊂⊂


rigo 2b. (A:) ⊃⊃⊃⊃⊃⊃


rigo 2a. (T:) ⊂⊂⊂⊂⊂⊂


rigo 1b. (T:) ⊃⊃⊃⊃⊃⊃


rigo 3a. (B:) ⊂⊂⊂⊂⊂⊂


S, A, T, B: parti lette in chiave di soprano, contralto, tenore e basso


Il canone in quanto tale è stato risolto da molto tempo,10 ma la maggior parte delle volte è presentato come una partitura a sei voci consistente in tre coppie di canoni, senza preoccuparsi che il suo profilo sia completamente invertibile. E invece l’ipotizzata risoluzione completa può prodursi solo attraverso la lettura simultanea della visibile partitura a tre voci (1a-3a) e della sua prefigurata immagine rovesciata (1b-3b) nelle chiavi appropriate (implicite ma non indicate): soprano (per la parte bassa), contralto (per la parte mediana), e tenore (per la parte superiore). Il risultato è una partitura ottimamente spaziata, equamente distribuita dal punto di vista melodico e musicalmente efficace:


bmu_P_01

Esempio p-1 Canone triplo, BWV 1076, risolto


Enfatizzando le funzioni chiaramente distinte delle tre voci nel loro corretto equilibrio ritmico-melodico e nella spaziatura armonica, il canone definisce in maniera inequivocabile l’essenza di una struttura contrappuntistica, chiarendo la natura stessa della musica. La partitura del canone ripete con la notazione musicale ciò che a proposito della «natura della musica» Bach aveva espresso nel 1738 con le parole del suo amico e portavoce Johann Abraham Birnbaum:


Essa [cioè l’essenza della musica] ha il proprio fondamento nell’armonia. L’armonia diviene tanto più perfetta [weit vollkommener] quanto più tutte le voci collaborano. Di conseguenza, non si tratta di un difetto, ma piuttosto di una forma di perfezione musicale.11


L’affermazione intendeva confutare la critica, avanzata da Johann Adolph Scheibe, che la musica di Bach mancasse di una «voce principale» [Hauptstimme] e che le voci procedessero «lavorando tutte insieme e con pari complicazione».12 La critica spinse Bach a definire la perfezione musicale quale scopo ultimo dei suoi sforzi, collocandosi al tempo stesso nella consolidata tradizione della polifonia contrappuntistica e suggerendo che si potesse


guardare alle opere di Praenestinus [Palestrina], fra i compositori del passato, o di [Antonio] Lotti fra quelli più recenti, e trovare non solo che tutte le voci sono costantemente impegnate, ma anche che ciascuna ha una melodia sua propria che si armonizza perfettamente con le altre.13


Mentre il canone di Bach nella sua notazione a tre voci indica l’essenza del contrappunto semplice, in cui ciascuna voce ha realmente «una melodia sua propria», la risoluzione a sei voci definisce invece il contrappunto doppio. Il contrappunto doppio o invertibile comporta l’osservanza del principio che, collocando la voce più bassa sopra la più acuta e viceversa, la nuova struttura continui a rimanere armonicamente corretta. Poiché il BWV 1076 comporta lo scambio di tutte e tre le voci, il canone si inserisce allo stesso tempo nelle categorie di contrappunto doppio, triplo e quadruplo. Quando tutte e tre le voci e le loro rispettive versioni a specchio sono collocate una al di sopra dell’altra compongono un quadro perfettamente armonico in contrappunto quadruplo, fornendo un esempio dal vero dell’ideale di perfezione musicale di Bach (si vedano nuovamente il Diagramma P-1 e l’Esempio P-1).


Oltre alla sua sofisticata configurazione polifonica a più livelli, la miniatura di sole due battute ha anche un significato emblematico. Innanzi tutto, l’aperto e inequivocabile riferimento, nella linea del basso, al monumentale ciclo di variazioni «Goldberg» della Clavier-Übung è un’orgogliosa autocitazione come virtuoso e interprete-compositore, che aveva innalzato l’arte della tastiera a un livello insuperabile e mai prima raggiunto dal punto di vista sia concettuale che tecnico. La sua parte centrale riprende – trasponendolo in Sol maggiore – il soggetto della fuga in Mi maggiore da Ariadne Musica di Johann Caspar Ferdinand Fischer (1702), lo stesso soggetto utilizzato da Bach per la fuga in Mi maggiore BWV 878/2 nel Secondo libro del Clavicembalo ben temperato, in una forma appena modificata dal punto di vista ritmico. Questo riferimento sottolinea l’indipendenza della melodia della parte centrale come contrappunto e, allo stesso tempo, la sua derivazione storica dalla musica per tastiera del Seicento,14 nonché il suo legame con le conquiste rivoluzionarie del Clavicembalo ben temperato. La parte alta della partitura a tre voci, come unico contrappunto liberamente concepito e il meno melodico, garantisce un cruciale slancio ritmico, dando così alla piccola composizione il necessario equilibrio senza ulteriori implicazioni. Le otto «note fondamentali» dell’aria su cui sono basate le Variazioni Goldberg, d’altra parte, rappresentano un riferimento doppio grazie al prestito da Handel (si veda il capitolo 5, p. 246), uno dei destinatari del quinto pacchetto – contenente il foglio con il canone di Bach – fatto circolare dalla «Società per corrispondenza di scienze musicali». Il canone quindi potrebbe anche essere inteso come un amichevole ammiccamento al compositore londinese, unito forse a una sottile critica del modesto canone a due voci che conclude la sua Ciaccona in Sol maggiore con 62 variazioni, HWV 442, basata sulle stesse note. In ogni modo, il canone a sei voci condiviso con i membri della Società obbediva perfettamente agli scopi formulati nel suo statuto del 1746, fra i quali figurava «il rinnovamento della maestà della musica antica»,15 anche se non è detto che questa sia stata per Bach la motivazione principale.


Qual è, dunque, il messaggio più importante del ritratto di Bach e del suo biglietto da visita? In primo luogo, entrambi lo qualificano come compositore. Nonostante i suoi richiami alle Variazioni Goldberg e al Clavicembalo ben temperato, il canone di per sé mette in secondo piano il suo ruolo di esecutore, così come fa il ritratto di Haußmann, con la sua scelta di non mostrare il soggetto mentre stringe in mano una partitura virtuosistica per tastiera e di non porlo di fronte a un organo o un clavicembalo. Sembra quasi che Bach stesso volesse contrastare la propria predominante immagine pubblica di esecutore virtuoso, quale sarà ancora richiamata dal titolo del suo necrologio che lo cita premettendo «organista di fama mondiale» al suo titolo di corte.16 Da parte sua, desiderava innanzi tutto essere considerato un compositore ed essere annoverato fra gli esperti della polifonia erudita. Il canone simboleggia e rappresenta – pars pro toto – l’ambito musicale sul quale, alla fine della sua lunga carriera, Bach riteneva di aver lasciato la propria impronta: la polifonia contrappuntistica, con il suo primato e la sua pervasività. Il canone, inoltre, sottolinea due ulteriori aspetti: in primo luogo, in quanto composizione a sei voci e unica di questo genere nella raccolta dei Quattordici Canoni, enfatizza ben al di là dell’abituale scrittura a quattro voci la competenza dell’autore nell’ambito di una polifonia onnipresente a molte voci (Vollstimmigkeit); in secondo luogo, la notazione enigmatica del canone allude simbolicamente ai «significati nascosti dell’armonia» che vanno scoperti nel processo compositivo e sapientemente portati alla luce.


Entrambi gli aspetti furono trattati in modo esplicito nella prima disamina critica sul compositore, comparsa nel citato necrologio.17 Risalente all’autunno del 1750, poco dopo la sua morte avvenuta il 28 luglio, fu scritto da Carl Philipp Emanuel, secondogenito del defunto, in collaborazione con Johann Friedrich Agricola, collega più giovane e futuro direttore della cappella di corte a Berlino, uno dei più eminenti allievi di Bach. Facendo seguito alla sezione biografica del necrologio, Agricola si assunse la responsabilità del giudizio generale sui risultati ottenuti dal compositore. Va da sé che gli elogi funebri impongono parole di lode, senza risparmio di sentimenti di ossequio. Nonostante ciò, nel suo racconto Agricola offre un riassunto degno di nota dell’arte di Bach, ed è lecito supporre che il suo tono complessivo fosse in sintonia con le opinioni del figlio. Il primo paragrafo è incentrato sugli aspetti compositivi, e recita (grassetti aggiunti):


Se mai un compositore rivelò la polifonia onnipresente [Vollstimmigkeit] con la massima intensità, questi fu certamente il nostro defunto Bach. Se mai un compositore utilizzò i più reconditi segreti dell’armonia con la più grande maestria, quello è stato certo il nostro Bach. Nessuno quanto lui ha mai mostrato così tante idee ingegnose e insolite in pezzi elaborati che normalmente sembrano aridi esercizi di mestiere. A lui bastava udire un tema qualsiasi per essere consapevole – fin dal primo istante – di tutta la complessità che la maestria poteva produrre nel suo trattamento. Le sue melodie erano certamente non convenzionali (fremd), ma sempre variate, ricche d’invenzione, e diverse da quelle di qualsiasi altro compositore. È vero che il suo temperamento serio lo spingeva di preferenza verso una musica seria, elaborata e profonda, ma egli poteva anche all’occorrenza, quando l’occasione lo richiedeva, assumere toni leggeri e scherzosi. La sua pratica costante nell’elaborazione di pezzi polifonici [vollstimmige Stücke] aveva dato ai suoi occhi una tale prontezza che anche nelle partiture più ampie poteva cogliere con un solo sguardo tutte le voci contemporaneamente.18


Questo passaggio è importante per capire ciò che rende unica l’arte di Bach e sembra coincidere con la terminologia specifica, i principi e le peculiarità artistiche inerenti lo scopo ultimo della sua attività didattica così come era stata sperimentata personalmente da Agricola. Inoltre, le prime due frasi sembrano quasi rappresentare un commento al biglietto da visita di Bach:


«polifonia onnipresente»19


Il termine tedesco Vollstimmigkeit non è completamente sinonimo di polifonia (Mehrstimmigkeit), e non ha un equivalente in inglese né in italiano. Vollstimmigkeit suggerisce l’idea di una trama composta di linee melodiche simultanee e indipendenti, e può forse essere resa al meglio dalla frase «polifonia onnipresente» volutamente utilizzata «con la massima intensità». Mentre in generale lo stile di Bach è caratterizzato dalla capacità di combinare, modellare e intrecciare le voci in maniera estrosa e ingegnosa, questo genere di polifonia implica due modalità compositive complementari. La prima prevede una struttura a molte voci che va oltre la convenzionale trama a quattro voci, come dimostra la scelta deliberata di un canone a sei voci per il ritratto del compositore e per il suo biglietto da visita. In effetti, grandi partiture polifoniche a cinque, sei, sette o più voci in contrappunto erano la specialità di Bach, che nei suoi ultimi anni ne discuteva le specifiche problematiche con gli allievi più progrediti, come documentano le note lasciate da Agricola (si veda p. 361). La seconda, per estensione, con il concetto di polifonia onnipresente prevede la capillare applicazione di tecniche e tessiture polifoniche e di elementi contrappuntistici in generi tipicamente non polifonici, in modo tale che anche le partiture a una, due o tre voci diano un’impressione di pienezza sonora anziché sembrare in qualche modo manchevoli. In altri termini, la polifonia onnipresente comprende perfino la musica strumentale a una o a due voci, a patto che queste sappiano creare un’armonia perfetta.


«i più reconditi segreti dell’armonia»


L’approccio di Bach alla composizione comportava innanzitutto l’elaborazione di idee musicali non intese – almeno in primo luogo o esclusivamente – come frutto di un libero atto creativo, bensì piuttosto di un processo inventivo di ricerca dell’intrinseco potenziale armonico e contrappuntistico del materiale scelto. Questa vera e propria passione, che lo accompagnò tutta la vita, risaliva agli anni della sua formazione da sostanziale autodidatta, che intorno al 1714 trasformò l’impegno nella composizione musicale in una ricerca inesauribile di quanto fosse possibile realizzare. L’elaborazione contrappuntistica di un tema, dunque, presentava fin dall’inizio la sfida di scoprire le sue latenti qualità armoniche, in modo che nel disegno finale tutte le voci procedessero «meravigliosamente in rapporto l’una all’altra, senza la minima confusione».20 Poteva dunque realmente rappresentare l’unità nella diversità, o ciò che per Bach significava «perfezione musicale», e includere anche una dimensione religiosa. Come formulato da Georg Venzky, membro della Società di scienze musicali:


Dio è un essere armonico. Qualunque armonia nasce dal suo saggio ordine e dalla sua organizzazione […] Dove non c’è concordia non c’è neppure ordine, non c’è bellezza né perfezione. Perché la bellezza e la perfezione trovano fondamento nella concordia della diversità.21


Tuttavia, i «segreti nascosti» in quanto tali erano per il pragmatico Bach meno interessanti dell’aspirazione vitale e cruciale di portarli alla «più esperta esecuzione» senza che per questo suonassero come «aridi esercizi». È possibile che Agricola abbia ricordato questo punto come un avvertimento dato da Bach ai suoi studenti.


«melodie non convenzionali» e «idee ingegnose»


La grande fantasia e il profilo delle «melodie non convenzionali» di Bach e delle sue «idee imgegnose» (Gedanken) erano plasmate da una consapevole valutazione del loro intrinseco potenziale di elaborazione. I due argomenti di Agricola si completano a vicenda. Ancora una volta, sono in sintonia con il punto di vista di Bach come insegnante di composizione, e confermano la testimonianza di Carl Philipp Emanuel Bach a proposito dell’«invenzione delle idee» come criterio decisivo con cui il padre individuava uno studente di composizione promettente. «La pretendeva fin dall’inizio, e consigliava chiunque non l’avesse di stare lontano dalla composizione.»22


La specifica allusione alle «melodie non convenzionali diverse da quelle d’ogni altro compositore» è da ogni punto di vista la più inconsueta e straordinaria osservazione di Agricola, un’affermazione davvero senza confronti e senza precedenti circa l’originalità artistica. Prima del 1750 nessuna opera musicale era stata descritta in questi termini, e l’asserzione indica come gli autori del necrologio – con la loro profonda conoscenza del repertorio musicale passato e presente – fossero fortemente consapevoli dell’elevata originalità e unicità della musica di Bach, che si distingueva per così tanti aspetti da quella dei suoi contemporanei.


Non solo Bach stesso era consapevole di questi giudizi, ma addirittura enfatizzò tale differenza quando in una lettera del 1736 descrisse le proprie cantate da chiesa come «incomparabilmente più difficili e più intricate».23 Si rendeva conto, insomma, che nessun altro compositore aveva mai scritto nulla di paragonabile al Clavicembalo ben temperato, ai soli per violino o violoncello, al doppio coro della Passione secondo Matteo o ai concerti per uno o più clavicembali, per non citare che pochi titoli. Anche se durante la sua vita i concetti di originalità e unicità – contrapposti alle più correnti nozioni di amenità, bellezza, maestrìa, eccetera – non giocarono nessun ruolo nel pensiero estetico, Bach coltivò questi importanti aspetti del suo stile personale in maniera consapevole e priva di compromessi.


Rimane sorprendente come nel 1750 – appena pochi mesi dopo che la morte aveva interrotto l’opera di Bach – il breve riassunto di Agricola riesca a sottolineare con tanta acutezza gli aspetti fondamentali dell’arte del suo maestro. Avendo esaminato e copiato molti dei suoi lavori, ne conosceva la musica in maniera approfondita, ma era anche cosciente delle pretese spesso eccezionali che il compositore avanzava nei confronti dei suoi musicisti. Agricola si riferiva a questo problema quando scriveva:


Il suo orecchio era così fine che era in grado di cogliere il più piccolo errore anche nelle musiche a tantissime voci [vollstimmigsten Musiken]. È un gran peccato che solo di rado egli abbia avuto la fortuna di trovare per le sue opere degli esecutori capaci di risparmiargli quei commenti stizziti [diese verdrießlichen Bemerkungen].24


Bach stesso, ovviamente consapevole delle difficoltà di esecuzione che la sua musica imponeva agli esecutori, considerava della massima importanza per la comprensione e il giudizio sulle sue opere che le partiture fossero oggetto di studio:


È vero, nel giudicare una composizione non ci si deve basare soprattutto e innanzitutto sull’impressione generata dalla sua esecuzione. Ma se tale giudizio, che in effetti può essere ingannevole, non va tenuto in conto, non vedo altro modo di esprimere un giudizio se non andando a vedere come il lavoro è stato messo per iscritto con le note.25


L’interprete-compositore sapeva bene che solo la partitura scritta poteva rappresentare una documentazione affidabile delle sue idee, e la sua nota inclinazione per le correzioni e le revisioni non fece che accentuare il valore che attribuiva al testo scritto. Eppure, ciò che sembra una frase di palese evidenza non era per nulla abituale nel linguaggio della critica musicale settecentesca. L’invito a «vedere come il lavoro è stato messo per iscritto con le note» come base per emettere un giudizio di valore su una composizione suona come un’eco del rivoluzionario metodo didattico bachiano, con il quale il compositore istruiva gli allievi ad analizzare la musica che veniva posta loro di fronte.


Di fatto, una medesima eco avvolge lo spettatore del ritratto di Haußmann e il lettore del biglietto da visita di Bach. Il triplo canone perpetuo, la cui musica non ha mai fine se non viene deliberatamente interrotta, non è concepito per l’esecuzione, ma invita piuttosto a una seria contemplazione di ciò che il compositore aveva in mente quando, al termine di una lunga vita creativa, scelse di presentarsi agli amici attuali e a quelli futuri con un piccolo brano musicale, simbolo di quanto lui stesso rappresentava: l’arte della polifonia contrappuntistica e il suo predominio e la sua pervasività nel proprio pensiero musicale. Ideato e progettato in modo geniale e profondo, il piccolo canone funge da lampo che illumina, ma non può in alcun modo lasciar intuire o compendiare, né tanto meno illustrare adeguatamente il complesso della vita di Bach e del suo lascito musicale.





1. Svelare la trama di un universo musicale

Il primo elenco di opere del 1750

Il necrologio di Johann Sebastian Bach venne commissionato da Lorenz Christoph Mizler, editore della Musikalische Bibliothek, a Carl Philipp Emanuel, secondogenito del compositore, che condivise l’incarico con il collega berlinese Johann Friedrich Agricola. A lui fu affidata la seconda parte, nella quale tracciò un bilancio globale dei risultati raggiunti dal suo ammiratissimo maestro, mentre Carl si concentrò sulla ben più ampia biografia di apertura.1

Fin dalla pubblicazione del necrologio, la sezione biografica – con i molteplici episodi inediti ma anche le numerose omissioni – svolse un ruolo cruciale e determinante nella ricostruzione progressiva della vita di Bach. Un catalogo di due pagine – inserito fra la storia della vita professionale e familiare del compositore e l’analisi critica di Agricola – permette di avere una visione d’insieme della sua opera creativa e ne costituisce una sorta di primo resoconto pubblico. Questa è la parte del necrologio utilizzata più di rado (Figura 1-1), sebbene non si tratti di una semplice appendice inserita alla fine, ma ne occupi la parte centrale. La frase di apertura, «le opere che dobbiamo a questo grande compositore sono le seguenti», lascia trasparire quanto il figlio di Bach avvertisse lo straordinario valore della sua eredità non solo in termini puramente quantitativi, ma ancor più per la varietà, la sostanza e l’eccezionalità del patrimonio.

Figura 1-1 Primo catalogo delle opere inserito nel necrologio di J.S. Bach
(Lipsia, 1750): dettaglio dalla Musikalische Bibliothek, vol. iv (Lipsia 1754).

Non sappiamo se i membri della famiglia Bach si siano o meno resi pienamente conto che questa parte centrale del necrologio avrebbe raccontato una storia fuori del comune e destinata a durare nel tempo, ma è certo che ne riconobbero l’impatto e il significato di eredità storica. Bach stesso si era a lungo occupato di rintracciare, radunare e riutilizzare le opere dei suoi antenati, in particolare dei dotati fratelli Johann Christoph (1642-1703) e Johann Michael Bach (1648-1694). Alcune di queste opere erano sopravvissute in una notevole seppur piccola raccolta di 27 composizioni poi ereditata per l’appunto da Carl Philipp Emanuel come «Vecchio archivio Bach» (Alt-Bachisches Archiv). L’aggiunta dell’enorme eredità del suo membro più produttivo aveva da un giorno all’altro fatto crescere in maniera smisurata il patrimonio musicale della famiglia. Allo stesso tempo, i Bach erano sicuramente consapevoli del fatto che in nessun caso sarebbe stato possibile mantenerlo unito. Poiché non c’era dubbio che il patrimonio del Thomascantor dovesse essere diviso tra dieci eredi – la vedova e nove figli – la percezione di un futuro incerto costituì un motivo ulteriore per inserire nel necrologio il resoconto del lavoro da lui prodotto in vita, mentre conservava ancora in qualche modo le caratteristiche di un corpus integro.

Il catalogo delle opere del padre curato da Carl Philipp Emanuel fornì la prima, e per più di un secolo l’unica rassegna edita dell’intera produzione musicale bachiana (Tabella 1-1). In senso moderno, questo elenco in ordine sistematico non è un catalogo delle opere, ma sembra piuttosto il frutto di una ricognizione lungo gli scaffali della biblioteca musicale di Bach alla Thomasschule, in vista della suddivisione del patrimonio tra gli eredi. Mentre fu fatto un inventario dei beni di casa, non furono invece depositati atti ufficiali per documentare le composizioni di Bach e la consistenza della sua biblioteca. Accadde quindi che quando ricevette l’incarico di scrivere il necrologio il figlio di Bach era da tempo ritornato da Lipsia a Berlino e non aveva altra scelta che lavorare a memoria.>2 Questo spiegherebbe perché abbia accidentalmente omesso alcuni elementi, aggiungendoli più tardi nella sua corrispondenza del 1774 con Johann Nicolaus Forkel.>3

La prima parte dell’elenco numerato delle opere, comprendente quelle pubblicate, è sostanzialmente completa e riporta tutti i titoli in ordine cronologico. >4 La seconda, che copre la musica manoscritta – di gran lunga la porzione più consistente della biblioteca – separa la musica vocale da quella strumentale ed elenca le varie categorie di composizioni, apparentemente nell’ordine in cui erano state conservate sugli scaffali per ragioni di uso pratico. Per primi si trovavano gli scaffali in cui era conservato il segmento maggiore della produzione bachiana, le cantate da chiesa, seguite da opere sacre e profane per le occasioni speciali, mentre passioni e mottetti erano collocati separatamente. Veniva poi la musica per organo, con un’ulteriore divisione fra opere di libera ispirazione e quelle basate su corali, e infine musica per tastiera (clavicembalo e altri strumenti a tastiera a corde), soli per archi non accompagnati, musica da camera e lavori orchestrali. In linea con la funzione riepilogativa del catalogo, non venivano forniti dettagli né titoli specifici, nemmeno per opere importanti come la Passione secondo Matteo o il Clavicembalo ben temperato. Sarebbero risultati privi di significato per un pubblico di lettori formato in gran parte da dilettanti, mentre l’indicazione «per doppio coro», «due volte ventiquattro preludi e fughe in tutte le tonalità» e le indicazioni «senza basso» o «per uno, due, tre e quattro clavicembali» evocavano direttamente le qualità fuori del comune di queste opere.

Anche la musica manoscritta è numerata ed elencata per categorie: le prime quattro comprendono le opere vocali descritte approssimativamente in base alla loro funzione. Il gruppo numero 1 rappresenta non solo l’unità di gran lunga più consistente, ma anche il repertorio utilizzato con più regolarità una domenica dopo l’altra nel corso dell’anno. Il 2 raggruppa essenzialmente tutte le opere di uso occasionale, e stranamente non separa le opere profane da quelle sacre. Invece di citare qualche opera in particolare, l’elenco enfatizza la ricchezza e l’ampiezza del repertorio del compositore, dalle opere liturgiche in latino ai drammi in musica e ai pezzi comici. I numeri 3 e 4 contengono due distinti generi sacri («Cinque Passioni, delle quali una per doppio coro»; «Numerosi mottetti per doppio coro») con funzioni specifiche prestando particolare attenzione alle composizioni per doppio coro.

La sezione strumentale comprende com’era prevedibile molte più suddivisioni di quella vocale, a cominciare dalla musica per organo – com’è appropriato nel necrologio di un «organista di fama mondiale» – e presenta i gruppi 7 e 8, di composizioni basate su corali, separati dai brani in forma libera dei gruppi 5 di cui ci si limita a dire che sono «moltissimi» e 6 «sei trii». Le composizioni con pedale obbligato e le sonate in trio, due particolari specialità di Bach in quanto virtuoso dell’organo, sono di proposito segnalate a parte. Il «libro» espressamente citato al numero 8, identificabile con l’Orgel-Büchlein, era forse l’unico libro rilegato tra i materiali manoscritti. Tutto il resto, partiture e parti vocali e strumentali, era conservato per motivi pratici in forma sciolta, rispettivamente in buste e cartelle. I numeri successivi da 9 a 12 e da A a C rappresentano tutti raccolte di diverse dimensioni e tipologie per tastiera a corde (clavicembalo), e sono catalogati singolarmente. I numeri 11 e 12 comprendono rispettivamente le cosiddette Suite inglesi e francesi e B i piccoli preludi BWV 933938.

Tabella 1-1 Carl Philipp Emanuel Bach: catalogo sintetico dell’opera del padre (1750, corretta nel 1774)*

opere pubblicate

1. Prima parte della Clavier-Übung, consistente in sei suite.

2. Seconda parte della Clavier-Übung, consistente in un concerto e un’overture per clavicembalo con 2 manuali.

3. Terza parte della Clavier Uebung, consistente in vari preludi su numerosi inni da chiesa per organo.

4. [Quarta parte della Clavier-Übung,] Un’Aria con 30 Variazioni, per 2 manuali.

5. Sei preludi a tre voci su altrettanti inni, per organo.

6. Alcune variazioni canoniche sull’inno Vom Himmel hoch da komm ich her.

7. Due fughe, un trio e numerosi canoni, sul […] tema dato da Sua Maestà il Re di Prussia; sotto il titolo Offerta musicale.

8. L’arte della fuga. Questo è l’ultima opera del compositore, che contiene ogni sorta di contrappunti e canoni, su un unico soggetto principale. […]. L’opera vide la luce solo dopo la morte del compianto autore.

opere non pubblicate

1. Cinque cicli annuali di pezzi da chiesa, per tutte le domeniche e feste.

2. Molti oratori, Messe, Magnificat, Sanctus, drammi, serenate, musica per compleanni, onomastici e funerali, messe nuziali e anche alcuni pezzi vocali comici.

3. Cinque Passioni, delle quali una per doppio coro.

4. Alcuni mottetti per doppio coro.

5. Moltissimi preludi liberi, fughe e pezzi simili per organo, con pedale obbligato.

6. Sei trii per organo, con pedale obbligato.

7. Molti preludi corali per organo.

8. Un libro di brevi preludi sulla maggior parte degli inni da chiesa, per organo.

9. Due volte ventiquattro preludi e fughe, in tutte le tonalità, per tastiera.

10. Sei toccate per tastiera.

11. Sei suites per la stessa.

12. Ancora sei come sopra, un poco più brevi.

A. Quindici invenzioni a due voci e quindici sinfonie a tre voci.

B. Sei brevi preludi per principianti.

13. Sei sonate per violino, senza basso.

14. Sei come sopra, per violoncello.

C. Sei sonate per clavicembalo e violino.

15. Diversi concerti per uno, due, tre e quattro clavicembali.

16. Infine, moltissimi altri pezzi strumentali, di ogni specie e per ogni sorta di strumenti.

* Estratto dal necrologio; aggiunte A-C dalla lettera di C.P.E. Bach a J.N. Forkel (1774). BD ix, p. 106.

L’ultimo gruppo prosegue con un elenco di composizioni di carattere inusuale, che colloca all’inizio – numeri 13 e 14 – i soli per violino e violoncello, seguiti dai concerti per uno o più clavicembali 15, tutte raccolte di opere impareggiabili. Lo stesso vale anche per l’aggiunta C, descritta nel 1774 come «6 Claviertrio» (Sei trii per tastiera). Altre sonate e musica da camera per due o più strumenti, così come opere per ensemble più grandi come i Concerti brandeburghesi o i concerti per strumenti soli diversi dalla tastiera, le suite, le sonate, ecc. sono raggruppate alla voce numero 16 come «moltissimi», sotto la dicitura generica «pezzi di ogni specie e per ogni sorta di strumenti »: in altre parole, pezzi ordinari che avrebbe potuto scrivere anche la maggior parte degli altri compositori. Separando sempre con metodo lo speciale dall’ordinario, il catalogo sintetico intendeva soprattutto sottolineare in modo convincente l’unicità del lascito musicale del compositore.

Un confronto tra il necrologio di Bach e gli altri due pubblicati nello stesso volume della Musikalische Bibliothek – quelli di Georg Heinrich Bümler (1669-1745), Capellmeister alla corte di Brandeburgo-Ansbach, e di Gottfried Heinrich Stölzel (1690-1749), Capellmeister alla corte ducale di Sassonia-Gotha – evidenzia differenze significative nelle informazioni fornite sulla produzione musicale di ciascun compositore.>5 Per questi ultimi, infatti, le rispettive opere sono semplicemente elencate all’interno della prosa biografica. Per esempio, il passaggio relativo ai trent’anni passati da Stölzel al servizio di due duchi specifica che egli compose in quel periodo

otto doppi cicli annuali di cantate, circa 14 Passioni e oratori di Natale, 14 opere, 16 serenate, più di 80 «Tafelmusiken», e quasi altrettanti straordinari pezzi sacri per compleanni, diete plenarie…, senza nominare la quantità di Messe, ouvertures, sinfonie, concerti, ecc.>6

Carl Philipp Emanuel affrontò l’elenco delle opere vocali del padre con lo stesso approccio generalista, salvo evidenziare quando era il caso le opere per doppio coro: ulteriori aspetti distintivi sembravano evidentemente superflui ai fini di una visione d’insieme. Il maggiore dettaglio riservato alle opere strumentali sia pubblicate che inedite certifica invece il desiderio di attirare l’attenzione almeno su alcune caratteristiche salienti per sottolineare ciò che era davvero speciale. Sia che si tratti dell’esigenza di «due manuali» nelle opere per clavicembalo o dell’uso del «pedale obbligato» nei brani per organo, del riferimento a «ogni sorta di contrappunti e canoni su un unico soggetto principale», della menzione «in tutte le tonalità» o «senza basso», o dell’indicazione nelle partiture dei concerti «per uno, due, tre e quattro clavicembali», la chiara intenzione è quella di sottolineare i tratti inusuali e le qualità singolari delle rispettive composizioni. Grazie a queste caratteristiche, il catalogo del 1750 è il primo esempio del genere e rappresentò per il figlio di Bach un prototipo per i successivi cataloghi sistematici e tematici delle proprie opere.>7

Tenendo conto del suo carattere di sintesi generale, un’analisi critica del catalogo fa emergere qualche altro aspetto che deve essere brevemente affrontato, in particolare le dimensioni del patrimonio musicale bachiano e la sorte dei materiali originali.

Dimensioni del patrimonio

La cospicua produzione di Bach fu creata in un arco temporale di circa mezzo secolo, ma in diverse aree la sua vera dimensione rimane tuttora ignota. La ragione di questa malaugurata situazione è che durante la sua vita furono pubblicate relativamente poche opere, mentre la stragrande maggioranza esisteva solo in forma di singole copie manoscritte. Le perdite complessive di repertorio sono considerevoli, ma il catalogo riepilogativo non permette una stima completa, e tanto meno affidabile, delle opere perdute prima e dopo la sua morte. Fra le perdite vi sono opere documentate come la Passione secondo Marco e numerose cantate sacre e profane, delle quali si è conservato il testo a stampa, ma non la partitura musicale. Alcuni pezzi perduti sono inoltre documentati da riferimenti archivistici, come l’Ode latina BWV 1115 (già Anh. i/20), mentre altri sono sopravvissuti in maniera lacunosa, come la Fantasia e fuga (frammento) in Do minore, BWV 562, o incompleta, come l’ultima fuga incompiuta dell’Arte della Fuga. Vi sono poi opere per ensemble strumentale note solo tramite le loro trascrizioni, come le sonate per organo BWV 525-530. Infine, c’è la questione riguardante la maggior parte della musica da camera: ciò che il catalogo sintetico menziona alla voce 16 come «moltissimi altri pezzi strumentali di ogni specie e per ogni sorta di strumenti» non è in alcun modo precisato né quanto al numero delle opere né quanto alla varietà degli organici strumentali.

A parte le opere composte per le corti di Weimar e di Cöthen, che Bach potrebbe aver dovuto lasciare in loco, la maggior parte delle perdite che intaccarono le dimensioni della parte nota della sua opera furono causate dalla divisione della sua eredità nell’autunno del 1750. Non è impossibile, tuttavia, che in precedenza egli stesso avesse distrutto una quantità ignota di composizioni per lo più giovanili considerandole immature, insieme ad altri pezzi che intendeva eliminare. La quasi totale mancanza di manoscritti autografi precedenti il 1708 circa fa pensare a una notevole attività di bonifica. Mentre Carl Philipp Emanuel fece lo stesso in una fase successiva della propria vita, quando riconobbe che molte delle sue prime opere erano «troppo puerili» e non soddisfacevano più i suoi standard estetici, suo padre era probabilmente ancora più consapevole dell’eventuale mediocrità del proprio lavoro e attento all’eredità musicale che avrebbe lasciato (si veda il capitolo 7, pagina 320).

Queste ampie lacune rendono certamente più difficile approfondire alcuni aspetti cruciali della vita creativa di Bach, in particolare l’educazione ricevuta, i primi passi come compositore e il suo profondo ed esteso interesse per la musica da camera come Conzertmeister a Weimar e Capellmeister a Cöthen. Tuttavia, in linea con il principio tradizionale per cui «l’insieme è maggiore della somma delle sue parti», l’integrità compromessa del suo lascito ha un impatto limitato sul quadro generale. Le opere superstiti illuminano infatti con certezza il senso generale e l’importanza storica del suo contributo artistico.

Conservazione dei manoscritti originali

L’elenco delle opere inedite citate nel catalogo sintetico è basato esclusivamente sui manoscritti custoditi nell’ufficio di Bach finché la sua biblioteca era ancora fisicamente intatta. Il repertorio vocale e i pezzi per ensemble strumentali comprendevano sempre le partiture autografe e le parti da esecuzione (in buona parte opera di copisti), da lui rivedute e utilizzate, mentre la musica per tastiera consisteva per lo più in manoscritti autografi e edizioni a stampa originali. Le voci del catalogo relative alle opere vocali sono troppo succinte per poter determinare correttamente quante composizioni siano andate perdute, ma per la maggioranza di quelle vocali oggi note – presumibilmente due terzi di quelle esistenti in origine – si sono conservate le fonti originali, spesso sia le partiture che le parti. Dei «numerosi mottetti a doppio coro» del gruppo 4, tuttavia, sopravvivono solamente i due autografi della partitura e alcune parti originali di «Singet dem Herrn ein neues Lied» e di «Der Geist hilft unsrer Schwachheit auf». La situazione è decisamente peggiore nel campo strumentale, perché per molte raccolte i manoscritti autografi sono andati interamente perduti e la loro musica è nota solo grazie a fonti non autografe, come nei seguenti casi: 10, sei toccate; 11, sei suite «inglesi»; 14, sei suite per violoncello solo; B, sei brevi preludi; e C, sei sonate per clavicembalo e violino. Si sono invece conservati i manoscritti autografi elencati alle voci 8, 9, 12, 13, 15 e A, oltre a una serie incompleta di cinque Suite francesi nel Clavier-Büchlein per Anna Magdalena Bach del 1722.

Come illustrato dalla Tabella 1-2, fra quelli appartenenti ai tre gruppi più ampi nella categoria delle opere strumentali inedite sono sopravvissuti relativamente pochi dei manoscritti autografi entrati nel lascito:>8 per il numero 5 solo quattro; per il 7 solo l’autografo parziale dei Diciotto grandi corali e per il 16 non più di dieci,>9 ma alcuni in forma frammentaria. Se non fosse stato per l’attività degli allievi di Bach e per il loro interesse a procurarsene copie per uso personale, di questi repertori sarebbe stato trasmesso molto meno.

Opere di riferimento

In generale, quando Bach metteva in bella copia le proprie composizioni, la sua prassi rifletteva l’importanza che attribuiva loro e il loro status di opere paradigmatiche. I manoscritti rivelano la grande cura con cui li preparava, e rispecchiano la seria dedizione concettuale che riservava al loro contenuto. La maggior parte delle copie autografe citate nella sezione precedente è costituita da opere vocali e strumentali di particolare rilevanza, siano esse composizioni individuali o appartenenti a un gruppo, o parte di raccolte concepite secondo un programma. Dal punto di vista dei parametri formali, la finalità di fondo non appare mai tanto evidente quanto nelle tre partiture autografe dei sei pezzi per violino solo, del Primo libro del Clavicembalo ben temperato, e delle Invenzioni e Sinfonie, le cui sorprendenti impaginazioni calligrafiche sono senza uguali tra i manoscritti del compositore.

Tabella 1-2 Manoscritti autografi vari dal lascito di Bach

gruppo

opera

bmw

5

Preludio e fuga in Sol maggiore

541

Preludio e fuga in Si minore

544

Preludio e fuga in Mi minore (autografo parziale)

548

Fantasia e fuga (frammento) in Do minore

562

7

Diciotto grandi corali (autografo parziale)

651-688

16

Fantasia e fuga in Do minore per clavicembalo

906

Sonata in Sol maggiore per clavicembalo e viola da gamba

1027

Sonata in Si minore per clavicembalo e flauto

1030

Sonata in La maggiore per clavicembalo e flauto

1032

Sonata in Sol maggiore per flauto, violino e continuo

1038

Sonata in Sol maggiore per 2 flauti e continuo

1039

Concerto in La minore per violino, archi e continuo

1041

Concerto in Re minore per 2 violini, archi e continuo

1043

Concerto in Re maggiore per clavicembalo, flauto e archi

1050

Overture in Si minore per flauto, archi e continuo

1067

Overture in Re maggiore per 3 trombe, timpani, 2 oboi,

archi e continuo

1068

Tra le raccolte strumentali edite e inedite in cui si trova riunito un assortimento di brani di un determinato tipo o genere, un numero cospicuo riveste «carattere di opus» e indica che Bach le aveva preparate con particolare attenzione. Non meno di undici gruppi di opere>10 seguono lo schema tradizionale delle raccolte con numero di opus introdotto nell’Italia del Seicento, utilizzato da Arcangelo Corelli, Antonio Vivaldi e altri per le loro pubblicazioni strumentali composte abitualmente da una serie di dodici o sei sonate o concerti. Sebbene Bach abbia usato il termine «opus» una sola volta (nel 1731, per il Primo volume della Clavier-Übung), per le sue raccolte manoscritte di opere dello stesso genere si attenne a questo schema ormai consolidato, progettandone la maggior parte come serie di sei brani assortiti.

Si discostano da questo impianto numerico le raccolte con carattere di opus che hanno un tema omogeneo, fra cui l’Orgel-Büchlein (che contiene 44 corali per organo), le contrappuntistiche Invenzioni e Sinfonie (15 per ciascun genere), entrambi i libri del Clavicembalo ben temperato (due serie di 24 preludi e fughe in tutte le tonalità maggiori e minori), la Seconda e Quarta parte della Clavier-Übung (diverse collezioni di opere per tastiera), l’Offerta musicale e l’Arte della fuga (canoni e fughe monotematici).

Lo scopo voluto, anche se non dichiarato, di queste raccolte con carattere di opus derivava dall’interesse di Bach per la costruzione di gruppi tematicamente definiti e ben articolati di generi diversi, sia in ambito vocale che strumentale. Ognuna di esse comprende infatti opere esemplari di un genere specifico, e allo stesso tempo costituisce un parametro di riferimento del suo repertorio compositivo e dei risultati raggiunti. Sembra che l’inizio di questi consapevoli progetti paradigmatici risalga al 1708, quando Bach si trasferì alla corte di Weimar come organista e musicista da camera. Rispetto al passato, l’incarico gli lasciava più tempo per perseguire progetti compositivi ambiziosi. Le prime due raccolte con carattere di opus, le sei toccate 10 e l’Orgel-Büchlein 8 sono databili agli anni intorno al 1708 e successivi. Sebbene differiscano in maniera significativa per natura e dimensioni, entrambe rivelano con chiarezza il rispettivo principio uniformatore, un criterio fondamentale che il compositore rispettò in maniera costante in tutte le sue raccolte strumentali fino all’Arte della fuga.

Il grande repertorio vocale non segue questo schema, perché il genere di cantate sacre e profane che Bach era incline a scrivere non si prestava alla pubblicazione e alla commercializzazione sotto forma di raccolte con carattere di opus. Infatti non si dedicò mai a cantate di tipo funzionale come quelle pubblicate da Telemann nel ciclo annuale di brani da chiesa intitolati Harmonischer Gottes-Dienst (Amburgo, 1725-26) o al tipo di cantate da camera per voce sola da lui pubblicate sotto il titolo di 6 moralische Kantaten (Amburgo, 1736-37). E tuttavia, all’interno del grande corpus delle cantate da chiesa bachiane, è invece presente un gruppo omogeneo di composizioni volutamente progettate intorno alle melodie e ai testi dell’innario luterano, assunto a idea unificante. Questa serie di molte decine di cantate corali del ciclo annuale di Lipsia del 1724-25 non implicò soltanto un’ampia progettazione ma, in quanto gruppo omogeneo di modelli esemplari, assunse anche una vera e propria funzione paradigmatica all’interno del repertorio delle cantate. Pur non producendone una «bella copia» come per le collezioni strumentali, Bach mostrò comunque una particolare predilezione per le cantate appartenenti a questo nutrito gruppo dalle caratteristiche omogenee, eseguendole più spesso di tutte le altre e prestando anche una meticolosa attenzione alla qualità delle loro parti esecutive, alcune delle quali contrassegnò espressamente come «completamente riviste» (völlig durchgesehen). Appena poche settimane dopo la sua morte, la vedova Anna Magdalena fece dono alla Thomasschule dell’intera serie delle parti. Insieme ai mottetti, esse furono utilizzate in modo mirato, nei decenni successivi, per le esecuzioni alla Nikolaikirche e alla Thomaskirche, le due chiese principali di Lipsia, dove diedero vita a una tradizione bachiana duratura.

Le singole opere vocali di maggiore ampiezza, come gli oratori, possiedono per natura un carattere di opus, insito nella rilevante dimensione e nel loro tema specifico. Inoltre, la particolare considerazione che Bach riservava loro è ancora una volta sottolineata dall’attenzione a preservarle mettendo le partiture in bella copia. Nel corso degli anni trenta, infatti, sostituì le partiture di lavoro delle Passioni secondo Matteo e Giovanni e dell’Oratorio di Pasqua con nuovi autografi in bella copia, mentre l’Oratorio di Natale e l’Oratorio dell’Ascensione erano stati messi in bella copia fin dall’inizio. Anche se non è sopravvissuta nessuna partitura della Passione secondo Marco, è lecito supporre che l’intero gruppo delle sei opere in stile oratoriale costituisse una categoria speciale di opere esemplari all’interno del complesso della produzione bachiana di musica sacra. E, in modo analogo, anche la Messa in Si minore ebbe funzioni di paradigma. A differenza di qualsiasi altra composizione del repertorio bachiano, la Messa è un’opera di grande ampiezza e sonorità che allo stesso tempo, come la partitura autografa finale dimostra in modo così appropriato, funge da raccolta tematicamente definita di brani per quattro diversi segmenti liturgici numerati singolarmente: 1. Missa, 2. Symbolum Nicenum, 3. Sanctus, 4. Osanna, Benedictus, Agnus Dei, et Dona nobis pacem.

L’ordine più o meno sistematico dei materiali conservati nell’ufficio del compositore – in cui le opere edite erano separate da quelle manoscritte, e queste ultime erano suddivise fra vocali e strumentali, con ulteriori sottocategorie – sembra aver reso abbastanza facile per Carl Philipp Emanuel preparare una rassegna ben organizzata, utile e ricca di informazioni. La particolare sistemazione della biblioteca può anche aver facilitato la separazione di opere e raccolte paradigmatiche da una grande quantità di pezzi strumentali di ogni genere che rimasero non classificati. Questi comprendevano pezzi singoli anche assai rilevanti come la Passacaglia in Do minore, BWV 582, per organo, la Fantasia cromatica, BWV 903, per clavicembalo, il Concerto in La minore, BWV 1044, per clavicembalo, flauto traverso, violino e orchestra, e l’Ouverture in Do maggiore, BWV 1066, per due oboi, fagotto, archi e continuo, per citarne solo alcuni. Ma il catalogo sintetico preferì concentrarsi sulla creazione di titoli descrittivi in grado di suscitare la curiosità di lettori che non avevano alcuna conoscenza delle opere in quanto tali, e che in questo modo avrebbero potuto farsi un’idea più precisa della straordinaria ampiezza del contributo di Bach alla musica. Pertanto, il primo elenco di opere del 1750, con il suo approccio selettivo e mirato, fornisce molto più di una sintesi sommaria della sua opera. Quella che propone è piuttosto una narrazione totalmente indipendente dalla biografia del compositore, e una visione dell’universo musicale bachiano come di «un tutto capace di integrare le diverse parti che lo compongono».>11

In altre parole, le raccolte con carattere di opus e le opere principali, strumentali o vocali che siano, costituiscono dei veri e propri capisaldi all’interno della produzione globale del compositore, e rivelano un processo di espansione, ampliamento e approfondimento delle sue esperienze estetiche. Queste pietre miliari riflettono inoltre il modo peculiare in cui Bach tracciava la mappa di uno spazio in continua espansione, capace di sintetizzare un universo musicale che abbraccia l’intera sua opera, ma in cui spiccano alcuni elementi cruciali. Il loro emergere nel contesto delle varie tappe della sua vita, delle sue attività e delle sue responsabilità non è né casuale né legato a incarichi o commissioni. Al contrario, le opere di riferimento rivelano, senza eccezione, la mente indipendente di un compositore alla costante e metodica ricerca di nuove scoperte per se stesso, e che esplora senza preconcetti un paesaggio musicale ampio e profondo tutt’altro che predeterminato. Esse forniscono la prova lampante di un sempre più intenso processo di conquista di un nuovo orizzonte musicale, in termini di tecniche, stili, generi e mezzi di esecuzione, e documentano il lavoro di un compositore che in modo consapevole classifica, calibra, modella e quindi definisce e ridefinisce i propri standard normativi in costante evoluzione.

L’elenco delle opere con carattere di opus in ordine quasi cronologico rivela una biografia musicale che illustra in maniera efficace l’evoluzione di Bach, che ampliò costantemente il proprio raggio d’azione e spinse la sua ambizione sempre più in là, senza mai adagiarsi in alcun genere di routine musicale. Eccolo infatti risolvere sostanzialmente il tema delle suite per tastiera in tre tappe determinanti – le sei Suite inglesi, le sei Suite francesi e le sei Partite – e lasciarlo senza più tornarvi. Eccolo, ancora, affrontare e poi concludere il capitolo delle passioni oratoriali in tre momenti altrettanto decisivi, dalla Passione secondo Giovanni alla Passione secondo Matteo alla Passione secondo Marco, senza ripetersi concettualmente.

Questo sguardo d’insieme, stimolato dall’elenco delle opere del 1750, non intende sorvolare sul fatto che ogni singola composizione è a suo modo parte integrante della produzione artistica bachiana nel suo complesso. E poiché le perdite di opere sono notevoli e non quantificabili, non se ne conoscerà mai l’intera dimensione.

L’attenzione alle opere paradigmatiche di Bach fa anche luce sul modo in cui le generazioni successive ne compresero e trattarono l’eredità musicale. A differenza del caro amico e collega Georg Philipp Telemann, che ammirava e considerava tra i suoi pari, Bach non fu mai protagonista di nuove tendenze stilistiche e di un’estetica progressista, né contribuì al mercato musicale del suo tempo. Conosceva bene la musica in voga, e avrebbe potuto facilmente comporre secondo le tendenze di moda prevalenti – come fece nel dramma per musica BWV 201 con l’aria comica di Pan «Zu Tanze, zu Sprunge, so wackelt das Herz» (Danzando, saltando mi s’agita il cor). Ebbe invece preferenze e priorità del tutto diverse. La breve analisi critica di Agricola del 1750, che mette in evidenza il fenomeno della polifonia onnipresente, coglie bene il suo orientamento fondamentale: Bach offrì esempi pionieristici di contrappunto moderno, di tonalità armonica avanzata, di disciplina formale e di spiccata originalità, che raggiunsero l’apice in fughe sofisticate, ma si estesero perfino al corale a quattro voci, influenzando quasi tutto ciò che si trovava fra questi estremi. E la formidabile potenza dei suoi modelli esercitò un’influenza duratura sulle generazioni successive.

2. Strategie innovative per la composizione
e l’esecuzione

Tre album per tastiera unici nel loro genere

Natura innovativa ed estrema originalità sono le due qualità prominenti nell’insieme della produzione musicale di Johann Sebastian Bach. Un approccio genuinamente metamorfico, che indirizza l’evoluzione creativa dei suoi lavori dal primo all’ultimo, è ciò che ha conferito alla sua arte autorità e durata, dando alla storia della musica successiva sia un filo conduttore che molteplici nuove direzioni. Se Bach ha in un certo qual modo preparato il terreno per ripensare i principi fondamentali della composizione musicale, oltrepassando le categorie convenzionali di stili e generi strumentali e vocali, sorge la questione di dove, quando e come questa linea innovatrice di pensiero musicale si sia incarnata nei suoi lavori.

L’attitudine meditativa di Bach, la profondità della sua riflessione su questioni compositive mai prese in considerazione in precedenza, o almeno non in modo così audace, è rappresentata in maniera straordinaria da tre raccolte per tastiera che videro la luce una dopo l’altra negli anni dieci. Solo alla fine del 1722, e per ragioni ben precise che verranno discusse di qui a poco, furono loro attribuiti i titoli con cui passarono alla storia: l’Orgel-Büchlein (Piccolo libro d’organo), con la sua quarantina di brevi preludi corali su inni luterani, Das Wohltemperierte Clavier (Il clavicembalo ben temperato), con 24 preludi e 24 fughe in tutte le tonalità, e l’Aufrichtige Anleitung (Guida veridica) con 15 invenzioni a due voci e 15 sinfonie a tre voci. La genesi di queste tre opere fa pensare che il compositore abbia lavorato a ciascuna di esse per diversi anni, ma inizialmente senza un’espressa definizione della loro duplice funzione: brani intriganti da eseguire da un lato, materiali didattici per lo studio e l’apprendimento dall’altro. Per Bach, che si era ben presto affermato come brillante virtuoso all’organo e ad altri strumenti a tastiera, la complementarità dell’esecuzione e della composizione divenne sempre più essenziale. Pur assolvendo ad ambedue le funzioni, i tre album mettono chiaramente in primo piano le regole fondamentali della composizione musicale: istituire e mantenere la sua logica interna mentre si modella un linguaggio musicale di grande flessibilità espressiva. Anche se l’impareggiabile padronanza intellettuale di Bach nell’arte della composizione è ciò che si impone all’attenzione, tutte e tre le raccolte sono anche altrettante testimonianze di un consapevole progresso nelle tecniche esecutive.

Ripensamenti rivelatori: tre frontespizi unici nel loro genere

Nell’autunno del 1722 il Capellmeister di Cöthen Bach ponderò seriamente la possibilità di imprimere una svolta importante alla sua carriera e decise di candidarsi per la prestigiosa posizione di Cantor e direttore musicale della Thomaskirche di Lipsia. Se all’inizio pareva soddisfatto del suo incarico presso la corte di Anhalt-Cöthen dove il principe Leopoldo gli aveva offerto tutta la sua protezione, dopo cinque anni le cose avevano assunto una piega diversa. Il calcolo delle nuove tasse imposte dal vicino regno di Prussia ebbe un impatto negativo sul bilancio di corte, e la musica ne aveva particolarmente risentito. Le attrattive della posizione a Lipsia includevano, inoltre, la consolidata fama della cantoria della Thomaskirche con la sua miriade di attività, il fascino della vita in una grande città e, soprattutto, opportunità educative decisamente migliori per i figli della famiglia Bach che si stavano facendo grandi. In breve, dopo la morte della prima moglie Maria Barbara nel 1720 e il secondo recente matrimonio con Anna Magdalena, Bach pareva pronto a un nuovo inizio.

A Lipsia Bach non era uno sconosciuto: nel 1717 vi aveva esaminato il nuovo grande organo della Chiesa dell’Università e da quel momento in poi aveva probabilmente compiuto alcuni soggiorni in città in qualità di artista ospite dalla vicina Cöthen.1 Poteva contare sul fatto che l’esperienza e reputazione come Cappelmeister a Cöthen e il passato di organista e violinista di corte a Weimar avrebbero giocato a suo favore. Contemporaneamente dovette però rendersi conto che come candidato a quella posizione la mancanza di una formazione universitaria lo privava di un requisito importante: il cantorato aveva in primo luogo una funzione educativa che richiedeva qualifiche come insegnante e a partire dal xvi secolo tutti i Cantor precedenti della prestigiosa Thomasschule avevano frequentato l’università – alcuni ottenendo persino titoli accademici superiori. Due dei candidati principali alla posizione, Georg Philipp Telemann e Christoph Graupner, avevano entrambi studiato all’università di Lipsia nei primi anni del Settecento. In confronto, Bach aveva ricevuto una solida educazione umanistica di stampo illuminista e si era diplomato alla celebre scuola di latino della Chiesa di San Michele a Lüneburg, ma era innegabile che non avesse frequentato un’istituzione accademica superiore. Avrebbe dovuto quindi dimostrare alle autorità della Thomaskirche la sua levatura accademica e la sua competenza come insegnante. Pur potendo attestare che a partire all’incirca dal 1705 aveva insegnato privatamente a più di una dozzina di allievi privati,2 la maggior parte dei quali avevano poi ottenuto delle posizioni professionali rispettabili, queste esperienze avrebbero potuto non essere considerate sufficienti. Doveva quindi sottoporre prove convincenti della sua dedizione agli studi e della sua esperienza didattica, tanto più se si considera che il rettore della scuola, Johann Heinrich Ernesti, era un distinto classicista, filosofo, teologo e professore di poesia all’Università di Lipsia, con un gran numero di pubblicazioni a suo nome.

Prevedendo questa situazione, Bach sembra aver preso criticamente in esame le proprie composizioni, con l’intento di identificare dei lavori già terminati che dimostrassero le sue conoscenze, interessi, abilità didattiche e metodi d’insegnamento. Presentò la candidatura per il cantorato di Lipsia nel novembre del 1722, dopo aver avuto notizia che Telemann aveva rifiutato l’incarico, e divenne un candidato papabile per questa posizione in seguito alla soddisfacente audizione dell’8 febbraio 1723. Nel giro di poche settimane doveva però sottoporre ulteriori materiali attestanti le sue competenze. I tempi erano davvero stretti e dunque si mise rapidamente al lavoro per dare una forma presentabile alle tre raccolte per tastiera. Se la raccolta dei preludi corali andava già bene così com’era, bisognava ancora trascrivere in bella copia gli altri due manoscritti di lavoro. Doveva inoltre trovare dei titoli descrittivi che specificassero l’utilità didattica dei tre album e impressionassero favorevolmente le autorità lipsiensi – una mossa che infine contribuì al conferimento del prestigioso incarico.3

La Thomasschule non era solo una scuola di latino estremamente selettiva. All’epoca – e già da oltre un secolo – era anche, di fatto se non di nome, un conservatorio, di certo il più importante centro di formazione musicale di tutto il territorio germanico.4 Consapevole delle numerose pubblicazioni accademiche che potevano vantare i suoi potenziali colleghi, Bach puntò su tre particolari raccolte per tastiera slegate dai suoi obblighi presso le corti di Weimar e Cöthen e che si distinguevano sia dai repertori tradizionalmente eseguiti che dai manuali didattici convenzionali. Tutte e tre erano chiaramente caratterizzate da un profilo didattico-musicale particolarmente inventivo e in quanto tali sarebbero state adatte, sia dal punto di vista della loro idoneità pedagogica che della loro varietà didattica, all’istruzione degli studenti della scuola. Delle tre, una era un libro non ancora completato, le altre due erano manoscritti di lavoro. Tutte e tre mancavano di titoli descrittivi che le classificassero come opere pedagogiche.

  1. Un libro manoscritto con più di quaranta preludi corali per organo, iniziato tra il 1708 e il 1710, era finito solo in parte, ma i suoi contenuti apparivano sufficientemente rappresentativi. Il frontespizio ancora intonso era stato lasciato così per diversi anni, forse perché il compositore voleva aspettare il compimento del progetto. Bach vi appose allora un titolo principale dal carattere neutro: Orgel-Büchlein. Le righe successive esplicitavano tuttavia il concetto e la funzione della raccolta e culminavano in un devoto distico dedicatorio. (Figura 2-1). Proprio alla fine il compositore si definiva in modo significativo e per la prima volta come «autore» collocandosi in tal modo orgogliosamente all’interno della congregazione accademica dei creatori di opere scritte.5

Figura 2-1 Orgel-Büchlein BWV 599-644: titolo autografo (1723);
riga 2 «mit 48 ausgeführten Chorälen» (con 48 corali elaborati)
aggiunta da J.C.F. Bach (1750).

Figura 2-2 Das Wohltemperirte Clavier, BWV 846-869: frontespizio autografo (1722).

Le due raccolte successive, in condizioni meno adatte a una presentazione rispetto al Orgel-Büchlein, esistevano solo come manoscritti di lavoro di non facile decifrazione. Di conseguenza, durante i mesi invernali del 1722-23 Bach ne trasse delle belle copie, esemplari notevoli della sua calligrafia musicale e praticamente prive di correzioni.

  1. Il manoscritto di lavoro comprendente 24 preludi e 24 fughe in tutte le tonalità maggiori e minori e le cui origini risalgono a ben prima del 1720 fu sostituito da una versione autografa in bella copia dal creativo titolo di Das Wohltemperirte Clavier seguito dal sottotitolo Preludia und Fugen durch alle Tone und Semitonia (Preludi e fughe in tutti i toni e semitoni; Figura 2-2).
  2. Manoscritti di lavoro del 1721-22, essenzialmente le partiture di trenta brevi brani contrappuntistici, 15 preludi a due voci e 15 fantasie a tre voci, contenuti nel Clavier-Büchlein vor Wilhelm Friedemann Bach, furono sostituiti da una versione autografa in bella copia dal titolo principale Auffrichtige Anleitung (Guida veridica) seguito da un elaborata descrizione della sua funzione didattica (Figura 2-3). Inoltre, in questa nuova copia Bach cambiò la definizione dei brani da «Praeambulum» a «Inventio» e da «Fantasia» a «Sinfonia».

Figura 2-3 Auffrichtige Anleitung (Invenzioni e Sinfonie),
BWV 772-801: frontespizio autografo (1723).

Per quanto concerne i frontespizi coordinati tra loro ed elaborati, le tre raccolte per tastiera rimasero un caso unico tra i manoscritti musicali autografi scritti negli ultimi mesi del suo impiego presso la corte principesca di Anhalt-Cöthen (per l’attenta enunciazione dei titoli completi, si veda Tabella 2-1).

Tabella 2-1 Tre lavori per tastiera tradotti in parole: Nuovi titoli, 1722-23

1. orgel-büchlein / piccolo libro d’organo

Orgel-Büchlein,

Worinne einem anfahenden Organisten Anleitung gegeben wird, auff allerhand Arth einen Choral durchzuführen, anbey auch sich im Pedal studio zu habilitiren, indem in solchen darinne befindlichen Choralen das Pedal gantz obligat tractiret wird.

Dem Höchsten Gott allein’ zu Ehren,

Dem Nechsten, draus sich zu belehren.

Autore Joanne Sebast: Bach p[ro]. t[empore]. Capellae Magistri S[erenissimi].P[rincipis] R[egnantis]. Anhaltini-Cotheniensis.

Piccolo libro d’organo
nel quale si dà a un organista principiante un metodo per eseguire un corale in tutte le maniere e nel medesimo tempo per perfezionarsi nello studio del pedale, poiché nei corali che vi si trovano il pedale
è trattato in modo obbligato.

Al solo Dio supremo per onorarlo,

al prossimo perché si istruisca.

Autore Johann Sebast: Bach, presentemente Capellmeister del Serenissimo Principe Regnante
di Anhalt-Cöthen.*

2. das wohltemperierte clavier / il clavicembalo ben temperato

Das Wohltemperirte Clavier.

oder Præludia und Fugen durch alle Tone und Semitonia, So wohl tertiam majorem oder Ut Re Mi anlangend, als auch tertiam min.m oder Re Mi Fa betreffend. Zum Nutzen und Gebrauch der Lehr-begierigen Musicalischen Jugend, als auch derer in diesem studio schon habil seyenden besonderem ZeitVertreib – auffgesetzet und verfertiget von Johann Sebastian Bach. p[ro]. t[empore]: HochFürstlich Anhalt-Cöthenischen Capel-Meistern und Directore derer CammerMusiquen. Anno 1722.

Il Clavicembalo ben temperato
ossia Preludi e Fughe attraverso tutti i toni e semitoni, tanto nella tertia major ossia Ut Re Mi quanto nella tertia minor o Re Mi Fa. Per profitto e uso della gioventù musicale desiderosa di apprendere, e anche per diletto di coloro che sono già esperti in questa dottrina, redatto e messo a punto da Johann Sebastian Bach, presentemente Kapellmeister e direttore della musica da camera di Sua Altezza Serenissima il Principe di Anhalt-Cöthen. Nell’anno 1722.

3. aufrichtige anleitung / guida veridica

Aufrichtige Anleitung

Womit denen Liebhabern des Clavieres, besonders aber denen Lehrbegierigen, eine deutliche Art gezeiget wird, nicht alleine (1) mit 2 Stimmen reine spielen zu lernen, sondern auch bey weiteren progreßen (2) mit dreyen obligaten Partien richtig und wohl zu verfahren, anbey auch zugleich gute inventiones nicht alleine zu bekommen, sondern auch selbige wohl durchzuführen, am allermeisten aber eine cantabele Art im Spielen zu erlangen, und darneben einen starcken Vorschmack von der Composition zu überkommen. Verfertiget von Joh: Seb: Bach. Hochfürstlich Anhalt-Cöthenischer Cappelmeister. Anno Christi 1723.

Guida veridica

mediante la quale si indica ai dilettanti della tastiera, ma specialmente a coloro i quali sono desiderosi di apprendere, un metodo chiaro, non soltanto 1) per imparare a suonare correttamente a 2 voci, ma anche, con ulteriori progressi, 2) a procedere giustamente e bene a 3 parti obbligate, e inoltre a ottenere al tempo stesso non solo delle buone inventiones, ma anche a ben eseguirle, e soprattutto ad acquisire nell’esecuzione una maniera cantabile e inoltre ad impadronirsi sin dall’inizio di un solido gusto nei confronti della composizione. Predisposta da Joh:Seb:Bach Capellmeister della corte di Anhalt-Cöthen. Nell’Anno del Signore 1723.

* Trad. it. in Alberto Basso, Frau Musika, EdT, Torino 1996, vol. 1, p. 471.

Le arzigogolate enunciazioni tipiche dell’epoca barocca furono formulate in modo tale da integrarsi tra loro come compendi dei testi didattici. Di conseguenza al termine «Anleitung» (guida) viene data una posizione centrale nei titoli 1 e 3; i titoli 2 e 3 si rivolgono specificatamente ai «lehr-begierige» (i desiderosi di apprendere), mentre i titoli 1 e 2 fanno riferimento agli «anfahende Organiste» (organisti principianti) e alla «musicalische Jugend» (gioventù musicale), ma anche a musicisti più esperti, ovvero «derer in diesem studio schon habil seyenden». I tre titoli sottolineano la varietà dei generi e delle tonalità (composizioni corali di diversi tipi; preludi e fughe; brani con due e tre linee contrappuntistiche) e mettono anche l’accento su questioni di esecuzione e sui progressi raggiungibili in questo ambito – fra cui suonare in modo corretto e cantabile e utilizzare il pedale obbligato all’organo. Le enunciazioni sottolineano inoltre il duplice intento di tutti e tre i lavori: offrire materiali per l’esecuzione, ma anche materiali di studio per apprendere i principi generali della composizione, il trattamento delle composizioni corali, esempi di scrittura sia in stile libero che rigoroso e modelli per ottenere e sviluppare delle buone idee musicali.

Per come furono concepite e rielaborate nel 1722-23, le tre raccolte per tastiera – pur essendo di fatto assai diverse tra loro – avevano in comune l’obiettivo di rappresentare dei progetti musicali esemplari e senza precedenti. Il loro approccio metodologico mostrava Bach così come voleva apparire: insegnante esperto e autore di album per tastiera innovativi, creativi, pratici e versatili dedicati all’esecuzione e alla composizione. I titoli elaborati e la loro esplicita attenzione nei confronti della didattica – un tratto che non trova eguali nell’opera di Bach – rappresentavano tuttavia delle autentiche riflessioni a posteriori e, nella loro specifica formulazione, erano estranei all’origine concettuale di queste opere. Allo stesso tempo, i titoli aggiunti rivelano molto sulle motivazioni originali delle varie composizioni, riflettendo la naturale inclinazione didattica di Bach che non produceva mai aridi esercizi, ma creava invece composizioni autentiche e complesse, non ultimo per via dell’intrinseco proposito di contribuire al proprio personale processo di apprendimento.

«Orgel-Büchlein»: una raccolta di brevi preludi corali

Nonostante il suo piccolo formato in quarto oblungo (15 cm x 19 cm), l’Orgel-Büchlein è una delle raccolte più ampie tra i superstiti autografi bachiani per organo. Contiene 45 preludi corali (BWV 599-644) e l’inizio di un quarantaseiesimo (BWV 1167).6 Ma sebbene le sue 182 pagine contengano i titoli di 164 corali, se si prescinde dai pentagrammi (Figura 2-4) tracciati in anticipo, due terzi delle pagine appaiono bianche. Il gran numero di intestazioni di corali indica che questa raccolta, inizialmente priva di titolo, fu concepita come un ampio progetto inteso a costruire una raccolta quanto più esauriente possibile di composizioni corali per organo sulle melodie dei classici inni luterani del xvi e xvii secolo. Una raccolta così ambiziosa di brevi preludi corali, anche prescindendo dal loro sofisticato e innovativo metodo compositivo, non era mai stata tentata prima di allora – né lo fu in seguito. In quanto tale, la raccolta attesta l’aplomb e l’atteggiamento propositivo dell’organista di corte di Weimar Bach, fiducioso nelle proprie risorse.

Il progetto dell’Orgel-Büchlein era iniziato intorno al periodo in cui il compositore aveva assunto l’incarico di organista e musicista da camera presso la corte ducale di Weimar, diventato effettivo a partire dal 1o luglio 1708.7 Prove calligrafiche e stilistiche suggeriscono che Bach si fosse imbarcato nel progetto della raccolta poco dopo aver assunto l’incarico a Weimar. Fin dall’inizio dovette apparirgli evidente che comporre 164 preludi corali del tipo che aveva in animo di scrivere non era questione di settimane e neppure di mesi, ma sarebbe stata un’impresa a lungo termine. Effettivamente il manoscritto dimostra che i corali per organo vi furono inseriti a intervalli irregolari nell’arco di un periodo di diversi anni, con ogni probabilità fino al 1714-15. Non ci sono prove di inserimenti datati molto oltre il 1715, ma più tardi, a Lipsia, Bach aggiunse due brani (BWV 613 e il frammento BWV 1167) e rivide due composizioni (BWV 620 e BWV 631) inserite in precedenza.8

Il titolo del frontespizio, «Orgel-Büchlein» (si vedano la Tabella 2-1 e la Figura 2-1), o per la precisione «Orgel-Buch», non è un tipico titolo tedesco per una raccolta di musica per organo. Anzi, questo titolo particolare si differenzia dai nomi di altre raccolte organistiche e fu scelto da Bach facendo un evidente riferimento alla tradizione francese del «Livre d’orgue». Il compositore possedeva copie di almeno tre livres d’orgue – di André Raison (1688), Nicolas de Grigny (1699) e Pierre du Mage (1708) – ed è verosimile che ne conoscesse parecchi altri. Tutti quanti contengono in prevalenza una varietà di brevi brani liturgici, perlopiù composizioni basate su inni latini e numeri tratti da messe per organo. La scelta di Bach di ricorrere al diminutivo tedesco «Büchlein» faceva riferimento non solo al formato tascabile del libro, ma anche al formato ridotto delle composizioni corali che aveva in progetto per l’intera raccolta, la maggior parte delle quali risulta persino più breve del tipico brano francese corrispondente.

Il solo riferimento specifico all’idea di base dell’Orgel-Büchlein come una raccolta di «brevi preludi organistici» si trova nel catalogo riepilogativo inserito nel necrologio di Bach (si veda la Tabella 1-1). Curiosamente, il frontespizio autografo menziona un «metodo per eseguire un corale in tutte le maniere» ma non il formato volutamente ridotto. Tuttavia, nel preparare il manoscritto e prima ancora di scrivere una sola nota, Bach distribuì lungo tutto il manoscritto le intestazioni dei 164 inni in modo tale che il formato compatto di ogni singolo brano risultava di fatto predeterminato dalla lunghezza della melodia corale. Per la gran parte dei preludi corali lasciò una sola pagina, su cui erano tracciati sei pentagrammi. Solo sedici melodie più lunghe occupavano due pagine: a una che variava in ciascuna delle tre strofe furono assegnate tre pagine (BWV 627), e una melodia molto breve fu limitata a due terzi di pagina, lasciando un po’ di spazio in più per quella più lunga del corale successivo (Figura 2-4). Questo schema mostra come Bach avesse ideato l’intera raccolta con ampio anticipo, in maniera tale da costringersi a comporre ogni brano in modo che rientrasse nello spazio assegnatogli e lo riempisse. Questa disciplina rigorosa venne meno solo in rare occasioni, nelle quali dovette aggiungere una o due battute alla fine del brano, intavolandole per risparmiare spazio. In generale, tuttavia, Bach riuscì ammirevolmente a mantenersi nei limiti prestabiliti, un risultato che difficilmente sarebbe stato possibile se si fosse limitato a preparare il manoscritto in modo meccanico, senza considerare ogni singola melodia corale e pensare in anticipo alla sua composizione.

Esplorare con creatività il potenziale generativo offerto da ciascuna melodia e testo corale fu l’idea unificatrice di fondo dell’ambiziosa raccolta di brevi preludi corali. Bach non avrebbe potuto scegliere un progetto migliore per dimostrare il principio di varietà «in tutte le maniere», attingendo a 164 melodie molto diverse tra loro e ai relativi testi poetici, che presentavano un’ampia gamma di funzioni e una varietà di temi distinti, inclusi corali per le diverse stagioni dell’anno ecclesiastico, inni catechistici per l’insegnamento della dottrina e canti di lode al Signore e di amore per Gesù. Molti riflettono un’ampia varietà di sentimenti umani, dalla gioia al dolore, ed esprimono anche le molteplici esperienze di una vita cristiana. L’idea di ricorrere all’immaginario ispirato dai testi e di articolare dei sentimenti specifici in un linguaggio puramente strumentale ebbe ripercussioni dirette anche sulla composizione vocale, nella quale il rapporto tra parole e musica è di importanza cruciale. Di conseguenza, a differenza di quanto avviene nel caso degli altri due album, l’Orgel-Büchlein rappresentò una guida generale per la composizione basata sul testo, con un’enfasi sulla concreta relazione tra parole e musica e sull’espressione musicale legata ai contenuti.

Figura 2-4a «Christus, der ist mein Leben» e «Herzlich lieb hab ich dich, o Herr»: titoli autografi con lo spazio previsto per i corali in progetto (pagina 152).

Figura 2-4b Spazio riservato a «Herzlich lieb hab ich dich, o Herr»
(pagina 153).

La composizione di corali di vario genere fa parte del tradizionale bagaglio di conoscenze di ogni organista. Bach si formò su preludi corali, variazioni e fantasie di diversi tipi e ben presto mostrò un particolare interesse per quelli di ampie dimensioni. Il suo più antico manoscritto musicale autografo superstite attesta che a tredici o quattordici anni, lo studente della scuola di Ohrdruf ricopiò «Nun freut eich, liben Christen g’mein» BuxWV 210, la più lunga, complessa e tecnicamente assai impegnativa fantasia corale di Dietrich Buxtehude.9 Alcune tra le primissime composizioni bachiane di brevi preludi corali, in particolare quelle facenti parte della cosiddetta Neumeister-Sammlung,10 mostrano una certa tendenza all’uniformità della costruzione e al controllo dei motivi, ma non arrivano certo a eguagliare il disegno compatto, la sofisticata trama polifonica, i mezzi espressivi e in particolare il pedale obbligato che caratterizzano i brani dell’Orgel-Büchlein. Se questa raccolta non appare dunque completamente priva di antecedenti, non esisteva nella letteratura organistica una così ampia elaborazione di materiali musicali esemplari sostenuti da un’idea unificante. Bach si era inoltrato in un territorio inesplorato e già in questo primo tentativo era riuscito a creare un capolavoro assoluto.

In ogni preludio corale l’inno funge da ispirazione per determinare in modo efficace il disegno generale della breve composizione, sia grazie a un motivo derivato o estratto dalla melodia corale data che attraverso un motivo accompagnatore che illustra o interpreta il contenuto specifico dell’inno sacro o, se possibile, in entrambi i modi. In breve, Bach si proponeva di «eseguire un corale in tutte le maniere» prendendo la melodia e il testo di ciascun corale come punto di partenza e sviluppando e individualizzando ciascuna composizione strumentale per rendere più intensa la poesia sacra e potenziarne il messaggio ermeneutico. Quattro esempi rappresentativi tratti dalla prima sezione della collezione possono servire per illustrare gli obiettivi di Bach e le procedure da lui utilizzate per ottenerli.

«Gott, durch deine Güte oder: Gottes Sohn ist kommen»
(Oh Dio, con la tua bontà o: Il figlio di Dio è venuto), BWV 600

Come indicato dal doppio titolo, la melodia dell’inno del 1544 che forma la base di questo preludio, il secondo del libro, intona due testi differenti (Figura 2-5). Entrambi sono inni per l’Avvento. Avendo intuito che la melodia si prestava a essere elaborata contrappuntisticamente in un canone all’ottava, Bach scelse di scriverla in Fa maggiore, utilizzando semibrevi e minime, riprendendo poi la medesima melodia a una battuta di distanza e all’ottava inferiore. In tal modo la linea del soprano e del tenore (affidata al pedale dell’organo) determinano la struttura canonica della composizione. Le voci del contralto e del basso completano la trama come contrappunti indipendenti con un moto di crome e semiminime, cioè a velocità contrastanti con l’andamento lento del canone corale. Dal momento che la composizione intona due testi diversi le relazioni tra le parole e la musica non possono essere puntuali. Eppure la triplice stratificazione dell’intricata struttura ritmica dà vita a un brano decisamente gioioso che definisce il carattere di entrambi i corali come inni di lode per il periodo dell’Avvento.

«Herr Christ, der ein’ge Gottes Sohn oder: Herr Gott, nun sei gepreiset»
(Cristo Signore, l’unico Figlio di Dio o: Sia ora lodato il Signore Dio) BWV 601

Anche questo preludio corale, il secondo che intona due testi differenti per il periodo dell’Avvento, si presenta con le caratteristiche generali di un inno di lode (Figura 2-6). A differenza del BWV 600, che contiene un certo numero di correzioni, questo corale è scritto in bella copia, suggerendo che il brano già esisteva all’epoca in cui venne cominciato il libro.

Figura 2-5 «Gott, durch deine Güte» o «Gottes Sohn ist kommen»
BWV 600: partitura autografa.

Figura 2-6 «Herr Christ, der ein’ge Gottes Sohn oder» o «Herr Gott, nun sei
gepreiset» (Cristo Signore, l’unico Figlio di Dio: Sia ora lodato il Signore Dio) BWV 601: versione autografa in bella copia.

Figura 2-7 «Das alte Jahr vergangen ist» BWV 614: partitura autografa.

Figura 2-8 «In dir ist Freude» BWV 615: versione autografa in bella copia.

La melodia risalente al 1524, uno dei più antichi motivi corali luterani, è concepita secondo la consueta forma bar (AAB) consistente in due brevi Stollen (strofe) ripetuti (A) denominati collettivamente Aufgesang, seguiti da un più lungo Abgesang (B). Bach, tuttavia, modificò arbitrariamente la struttura in una forma AABB, che ricorda un movimento di una suite di danze, con la ripetizione di due parti di diversa ampiezza. Pur non arrivando alla dominante alla prima stanghetta doppia, segue per altri versi il modello della danza con una melodia prevalente e un accompagnamento motivico persistente. Bach conferisce inoltre alla melodia una svolta ritmica enfatizzando il tempo forte della maggior parte degli incipit della frase corale per mezzo di un ritmo puntato. La melodia originale inizia in effetti con un intervallo di terza (La4-Do diesis5), che viene trasformato in una formula motivica di fondo dell’intero accompagnamento a tre voci. Il pedale dell’organo segue attivamente questo stesso modello contribuendo a creare una vibrante sensazione di vivacità, quale appropriato sostegno per un inno di lode.

«Das alte Jahr vergangen ist» (L’anno vecchio è passato) BWV 614

Questo brano, basato su un inno di Capodanno del 1588, conferisce alla melodia un’enfasi particolare, ornandola in maniera sfumata ed elegante (Figura 2-7). La melodia è affidata a un manuale separato dell’organo con una combinazione di registri espressivi, in modo che il suo timbro si differenzi da quello delle linee inferiori di accompagnamento. Queste tuttavia, per via della trama contrappuntista del brano, giocano comunque un ruolo essenziale nell’interpretazione musicale del testo. La quartina della prima strofa, che in genere definisce l’elemento centrale dell’inno, recita come segue:

Das alte Jahr vergangen ist, Il vecchio anno è passato,

wir danken dir, Herr Jesu Christ Sia il Signore Gesù Cristo ringraziato

dass du uns in so groß’r Gefahr ché da sì grandi pericoli

behütet hast lang Zeit und Jahr. per tutto l’anno ci ha preservato.

Come nel BWV 601, Bach modifica la struttura della quartina, in questo caso ripetendone la prima e l’ultima riga in modo da allungarne sia il testo che la relativa musica. Questo ha non solo lo scopo di riempire la pagina del manoscritto autografo, ma anche di sottolineare l’importanza della terza riga della quartina: le parole «da sì grandi pericoli» sono intonate nella melodia su un tetracordo cromatico ascendente, la tradizionale evocazione del “lamento” La-Si bemolle-Si bequadro-Do-Do diesis-Re. Questa figura retorico-musicale ispira il tempo lento del brano e plasma l’intera trama a tre voci dell’accompagnamento in una polifonia sofisticata nella quale tanto il motivo cromatico ascendente che la sua inversione discendente vengono utilizzati fin dalle prime battute. In tal modo il preludio corale si trasforma in una composizione espressiva che rende grazie per la salvezza da tutti i pericoli dell’anno passato.

«In dir ist Freude» (In te è la gioia) BWV 615

Nel libro il BWV 614 è seguito da un inno di Capodanno profondamente diverso (Figura 2-8). L’inno parla dell’amore di Gesù e culmina in giubilo, trionfo e Alleluja offrendo una visione positiva e fiduciosa per l’anno nuovo. Bach intensifica la gioiosa melodia a ritmo ternario – basata su una parodia sacra tedesca risalente al 1588 di un madrigale secolare italiano di Giovanni Gastoldi – grazie a un andamento dinamico particolarmente vivace, davvero brioso. La melodia è affidata soprattutto alla voce superiore, ma viene continuamente percorsa da ogni sorta di inserti, da brevi frammenti e inserimenti armonici a varie figurazioni ascendenti e discendenti, riprese a loro volta nella raffinata e variegata trama dell’accompagnamento. Brevi frasi della melodia si ripresentano anche altrove nella partitura che è essenzialmente polifonica a quattro voci. Un elemento in particolare, tuttavia, lascia un segno distintivo sull’intera composizione: un significativo motivo ostinato di una sola battuta nel pedale del basso, introdotto proprio all’inizio e ripetuto fino alla fine, che funge da controparte contrastante ma in sintonia con la melodia corale e ne sottolinea il tono gioioso.

Questo tipo di invenzione motivica creativa – ricca di implicazioni affettive, figurative, metaforiche o simboliche che comunicano il messaggio musicale implicito di Bach – suggerì ad Albert Schweitzer la descrizione estremamente perspicace dell’Orgel-Büchlein come «il dizionario della lingua musicale [di Bach], la chiave per capire l’insieme della sua musica».11 Il termine «dizionario» descrive forse la raccolta in modo troppo riduttivo, quale una sorta di elenco di motivi musicali esemplificativi, ma ha il pregio di sottolineare la sua funzione essenziale di manuale «per eseguire un corale in tutte le maniere». Bach persegue questo risultato variando l’approccio compositivo da un brano all’altro, in modo da esaltare le qualità melodiche caratteristiche di ciascun corale e il significato dei versi sacri o di una frase poetica prominente. Questi preludi corali strumentali rappresentano effettivamente una pietra miliare decisiva nel progresso, espansione e messa a fuoco dell’arte compositiva di Bach, con immediate ripercussioni nell’ambito della composizione vocale.

Le trame estremamente dense e concentrate dei preludi corali sono pensate in modo da integrare a pieno titolo una parte di pedale obbligato, caratteristica che non si trova in maniera così costante altrove, compresi i precedenti lavori per organo dello stesso Bach. Per questa ragione la funzione secondaria dei preludi corali come studi del pedale è espressamente menzionata nell’annesso frontespizio. Eppure il repertorio attentamente circoscritto dell’Orgel-Büchlein indica che la sua funzione non era specificatamente o eminentemente liturgica. L’organista della corte di Weimar Bach, esperto improvvisatore, non avrebbe certo avuto bisogno di annotare questi brani per suonarli nelle funzioni religiose: nell’affidare queste elaborate composizioni alla carta la sua motivazione andava dunque ben al di là di un utilizzo funzionale. Evidentemente il suo scopo era dare vita a un libro di esercizi destinato a ispirare e mettere alla prova la creatività musicale in forma di composizioni concise, non basate su un’invenzione tematica libera, bensì attingenti a un ampio spettro di preesistenti melodie corali modali, in maggiore e in minore, associate a testi che invitano a una vasta gamma di espressioni musicali. Inoltre, per via dell’auto-imposta sfida compositiva di far rientrare tutto in un formato miniaturizzato, Bach si concentrò specificatamente sulla creazione di soluzioni originali, non solo dando vita a partiture contrappuntistiche, prevalentemente a quattro voci, caratterizzate da una varietà di trame e un’architettura compatta, ma rendendo anche elemento distintivo di ogni singolo brano l’innovativa tecnica del pedale. Da questo punto di vista l’Orgel-Büchlein offre delle prospettive autenticamente innovative, innanzitutto per l’attività di Bach come studioso e per suo uso personale in quanto esecutore-compositore. Il metodo di progettare brani brevi dall’altissimo contenuto musicale era tanto brillante quanto unico, e il processo fu, inoltre, di primaria importanza per progredire come compositore. Nessun altra serie di esercizi compositivi teoricamente onnicomprensivi ebbe un impatto così diretto e duraturo su di lui, stimolandone l’intelletto musicale e acuendone l’immaginazione, tanto che l’assoluta attenzione ai dettagli sia nei lavori di piccole quanto di ampie dimensioni finì col diventare una consuetudine. Questa circostanza può forse anche spiegare perché non portò a termine l’ambizioso progetto dell’Orgel-Büchlein, lasciando intonsi i pentagrammi già tracciati di oltre cento preludi corali. Dopo aver scritto quarantacinque lavori esemplari e aver riempito appena un quarto delle pagine del libro, Bach sentiva forse di aver raggiunto il proprio scopo ed era ansioso di passare ad altro. Ma persino nella sua forma incompiuta l’Orgel-Büchlein aveva ampiamente soddisfatto la sua prima ragion d’essere e poteva quindi svolgere la nuova funzione di testo modello per l’insegnamento sia dell’esecuzione che della composizione.

«Das Wohltemperierte Clavier»: preludi e fughe in tutte
le tonalità

Intorno al 1717 Bach iniziò il progetto di un nuovo album nel quale proponeva un grande esperimento: verificare la possibilità – fino a quel momento non dimostrata – che fosse possibile comporre brani significativi sia in stile libero che rigoroso basandoli su due sistemi musicali emergenti, ben prima che fossero accettati come norma: 1) il moderno sistema tonale armonico di dodici tonalità maggiori e dodici tonalità minori; 2) un nuovo approccio al temperamento che sostituiva il tradizionale temperamento mesotonico e permetteva agli strumenti a tastiera di includere tutte e ventiquattro le tonalità maggiori e minori.

Nel 1680 Andreas Werckmeister, organista, matematico e teorico della musica tedesco, aveva proposto diverse nuove modalità di accordatura chiamate «ben temperate», intese a sostituire il vecchio e assai restrittivo temperamento mesotonico che garantisce terze maggiori giuste nelle tonalità più comuni, ma rende ineseguibili le triadi delle tonalità più remote. Nel tardo Seicento, uno dei compositori più desiderosi di esplorare e sperimentare la gamma ampliata di tonalità maggiori e minori fu Buxtehude, intimo amico di Werckmeister. Il giovane Bach ne seguì presto l’esempio quando, all’inizio del 1703, ebbe a disposizione un organo ben temperato ad Arnstadt. Tuttavia il concetto di circolo delle quinte – che nell’armonia tonale definiva le relazioni tra i dodici gradi della scala cromatica, le loro tonalità nei modi maggiori e minori e i rispettivi relativi – non fu pienamente sviluppato fino al 1710 circa e fu messo per iscritto per la prima volta l’anno seguente da Johann David Heinichen (Figura 2-9).12

Come dimostrano alcuni dei suoi primi lavori per tastiera, Bach aveva già iniziato a sperimentare e a verificare i limiti dell’armonia tonale negli anni di Arnstadt. Ma solo a partire dal 1722 si occupò della questione in modo sistematico sviluppando l’idea di quello che avrebbe poi intitolato Das Wohltemperierte Clavier. Il suo manoscritto autografo di quell’anno è una versione in bella copia che non getta alcuna luce sulla lunga genesi dell’opera,13 la cui datazione è incerta perché il manoscritto di lavoro è andato perduto. Le più antiche fonti conservate – nel Clavier-Büchlein vor Wilhelm Friedemann Bach iniziato nel 1720 – attestano solo undici preludi (senza fughe), perlopiù di mano di Friedemann e databili intorno al 1721.14 Questi brani, che si discostano notevolmente dai loro corrispettivi nella successiva versione autografa in bella copia, derivano chiaramente da una versione precedente del lavoro. Ulteriori indicazioni sulla storia compositiva del Clavicembalo ben temperato si trovano in taluni altri manoscritti,15 in particolare nella più antica copia completa dell’opera conservata fino a oggi, fatta per mano di Bernhard Christian Kayser, allievo di Bach a Cöthen che seguì il maestro a Lipsia.16 Kayser sembra aver tratto la copia intorno al 1722-23 direttamente dalla partitura di lavoro di Bach, sulla quale erano state apportate molte correzioni dopo che anche Friedemann ne aveva fatto delle copie. Di conseguenza il manoscritto di Kayser rappresenta uno stadio intermedio nel percorso che avrebbe portato la raccolta alla sua versione autografa in bella copia.

Informazioni ulteriori e piuttosto specifiche sulla storia della raccolta si possono trovare alla voce Bach dell’Historisch-Biographisches Lexicon der Tonkünstler (Lipsia, 1790) di Ernst Ludwig Gerber il cui padre, Heinrich Nicolaus Gerber, aveva studiato per due anni con Bach a partire dal 1724. Il giovane Gerber riferì che «secondo una certa tradizione» Bach scrisse il suo Clavicembalo ben temperato «in un luogo dove scontento, noia e la mancanza di qualsiasi tipo di strumento musicale lo avevano costretto a questo passatempo»17

Anche se il luogo esatto e le circostanze restano sconosciute, la vicenda è stata lungamente associata all’arresto cui Bach fu sottoposto per quattro settimane da parte del duca di Weimar «a causa delle sua ostinata risolutezza a forzare il suo congedo»,18 subito prima di assumere l’incarico di Capellmeister a Cöthen. Se la «tradizione» così tramandata va presa alla lettera, il Clavicembalo ben temperato fu composto essenzialmente tra il 6 novembre e il 2 dicembre 1717, nel periodo in cui Bach fu confinato in una cella carceraria priva di uno strumento a tastiera, ma fornita, a quanto pare, di carta e strumenti di scrittura. Nel corso di questi ventisei giorni Bach avrebbe abbozzato all’incirca un preludio e una fuga al giorno – un ritmo plausibile per un compositore di tal fatta. Inoltre, la mancanza di uno strumento a tastiera non smentisce questa versione della vicenda poiché Gerber menziona il lavoro come un esempio della sua affermazione che Bach «non era mai uso adoperare il suo clavicembalo come un aiuto per la composizione». Carl Philipp Emanuel Bach corrobora l’affermazione quando in seguito spiega che a eccezione dei brani frutto di improvvisazione, suo padre «compose tutti gli altri brani senza l’ausilio di uno strumento, ma poi ne utilizzò uno per provarli».19 Il progetto teorico dei ventiquattro preludi e fughe era forse già stato concepito prima dell’arresto di Bach, ma le condizioni adatte a realizzarlo non si presentarono fino al momento in cui, a causa dell’arresto, si ritrovò con tutto quel tempo morto a disposizione. Il processo di composizione dell’opera continuò sicuramente oltre il dicembre del 1717 con un costante perfezionamento delle partiture di lavoro. Le partiture divennero superflue dopo la versione in bella copia del 1722 e sono andate perdute.

Figura 2-9 «Circolo musicale»:
J.D. Heinichen, Der General-Bass
in der Composition
 (Dresda, 1728).

Il problema di comporre in tutte le ventiquattro tonalità era chiaramente nell’aria, come mostrato dall’Organisten-Probe (Amburgo, 1719) di Johann Mattheson in cui sono pubblicate per la prima volta due serie di ventiquattro brevi esercizi («Prob-Stücke») per la realizzazione del basso cifrato in tutte le tonalità.20 Un precedente tentativo di esplorare il sistema tonale ampliato, il notissimo Ariadne musica neo-organoedum (Schlackenwerth/Ostrov, 1702: ristampato a Vienna, 1713 e 1715) di Johann Caspar Ferdinand Fischer, proponeva una modesta e utile raccolta di venti semplici preludi e fughe («Viginti Praeludia, todidem Fugas») in altrettante tonalità e in ordine ascendente, ma priva di esempi in Mi bemolle minore, Fa diesis maggiore, Sol diesis minore e Si bemolle minore. Di conseguenza il compito di dimostrare come tutte e ventiquattro le tonalità maggiori e minori potessero davvero essere utilizzate per realizzare composizioni oltremodo elaborate e ardue e per esecuzioni ancora più impegnative su strumenti a tastiera ricadde su Bach. Pur seguendo il prototipo di Fischer, che teneva in grande stima,21 Bach decise di dimostrare come mai prima quanto fosse valida e necessaria l’evoluzione graduale verso un temperamento equabile, così come l’indiscutibile efficacia e il potenziale del completo sistema tonale maggiore-minore nella composizione musicale.

Con il suo stile ornato, il frontespizio calligrafico del Clavicembalo ben temperato (Figura 2-2) rende evidente che il titolo in alto nella pagina indica l’idea principale della raccolta, ossia il suo legame con un’innovazione cruciale nella storia degli strumenti a tastiera. Per buona parte del xviii secolo il temperamento mesotonico si era imposto come metodo ordinario di accordatura per gli organi e gli strumenti tastiera a corde come il clavicembalo e il clavicordo. Questa accordatura, introdotta per gli strumenti a tastiera nel xvi secolo, era adatta al sistema tradizionale dei modi ecclesiastici e offriva sia delle radiose triadi maggiori che la possibilità di creare sonorità spiccatamente dissonanti eppure utilizzabili. Tuttavia non poteva più tenere il passo con la progressiva espansione del sistema tonale maggiore-minore, così come con l’esigenza di modulazioni sempre più lontane nell’ambito di un linguaggio armonico via via più complesso, che richiedeva degli intervalli maggiori utilizzabili all’interno delle triadi minori in ciascuna posizione.

Da qui l’uso da parte di Bach del termine «ben temperato», mutuato da Werckmeister, riferito a un’accordatura distinta dal temperamento equabile che permetteva tuttavia di suonare in tutte le tonalità. Ma resta ignota quale precisamente delle diverse varianti tra le accordature ben temperate egli preferisse realmente e quali modifiche possa averle apportato nel corso dei decenni. Affermazioni significative di Bach ci sono state trasmesse solo da fonti indirette, senza dettagli specifici e solo relative ai suoi ultimi anni. Il necrologio afferma, per esempio, che «nell’accordatura dei clavicembali ottenne un temperamento così corretto e puro che tutte le tonalità suonavano bene e piacevolmente. Non c’erano per lui delle tonalità che si dovevano evitare per via dell’accordatura impura».22 Integrando questa testimonianza, Carl Philipp Emanuel riferì in una lettera del 1774 che «nessuno sapeva accordare o impennare il suo strumento in modo soddisfacente. Faceva tutto da solo».23 Suo padre non seguiva dunque nessuno dei sistemi di accordatura pubblicati e scientificamente elaborati, incluso il temperamento equabile,24 ma aveva un suo proprio metodo. Questo sembra coerente con quanto riportato da Johann Philipp Kirnberger quando riferì che il suo maestro Bach «gli aveva chiesto espressamente di allargare tutte le terze maggiori».25 Da questa informazione non è possibile dedurre un temperamento preciso, ma a quanto pare durante i primi anni quaranta Bach preferiva ancora la soluzione di compromesso di un temperamento moderatamente inequabile nel quale le varie tonalità mantenevano in una certa misura il loro carattere distintivo, seppure attenuato.

Subito sotto il titolo Clavicembalo ben temperato la versione in bella copia di Bach presenta il sottotitolo «Preludi e Fughe attraverso tutti i toni e semitoni» (Tabella 2-1). La frase non si limita a indicare i due generi di cui è costituita la raccolta, ma anche la loro sequenza cromatica lungo l’ottava e la loro organizzazione per modi, il maggiore prima del minore. Il principio di un ordine fondato su una scala ascendente non era nuovo e si trova già nella Modulatio organica super Magnificat octo ecclesiasticis tonis (Monaco, 1686) di Johann Caspar Kerll e nelle poco più tarde fughe sul Magnificat di Johann Pachelbel, che sono entrambi organizzati in base ai modi ecclesiastici. Un equivalente più moderno in termini di modi maggiore e minore si trova nelle suite Neue Clavier-Übung di Johannn Kuhnau dove nella parte i (Lipsia, 1689) sette partite ascendono da Do maggiore a Si bemolle maggiore passando per Re-Mi-Fa-Sol-La, mentre nella parte ii (Lipsia, 1692) ascendono da Do minore a Si minore passando nuovamente per Re-Mi-Fa-Sol-La. Con i suoi venti preludi e fughe l’Ariadne Musica di Fischer (menzionata più sopra) mostrava una gamma di tonalità ancora più vasta e probabilmente influenzò Bach nella sua peculiare scelta del titolo. Mentre Fischer scelse il suo titolo emblematico per associare il mitologico filo di Arianna al labirinto delle tonalità, Bach, in modo più prosaico ma non meno efficace, ricorse all’immagine concreta di uno strumento a tastiera teorico battezzato «Wohltemperierte Clavier».

Emulando di nuovo Fischer, Bach organizzò i suoi preludi e fughe in un ordine ascendente di tonalità a partire da Do maggiore, ma, come si vede nella versione autografa in bella copia, in rigorosa sequenza cromatica e con il modo maggiore che precede sempre il minore. Questo tuttavia non deve essere stata la scelta iniziale poiché nel Clavier-Büchlein per Friedemann Bach l’ordine delle tonalità degli undici preludi è Do maggiore-Do minore-Re minore-Re maggiore-Mi minore-Mi maggiore-Fa maggiore-Do diesis maggiore-Do diesis minore-Mi bemolle minore-Fa minore. In altri termini, le triadi le cui terze naturali cadevano sulle note bianche della scala ascendente da Do a Fa ebbero la precedenza nello stabilire l’ordine delle tonalità. In modo simile, la soprannominata copia completa del lavoro di Kayser mostra un analogo ordine delle tonalità, in cui la precedenza è attribuita alle terze naturali: ossia Re minore prima di Re maggiore, Mi minore prima di Mi maggiore eccetera. In alcuni casi la copia di Kayser utilizza la cosiddetta notazione dorica per le tonalità minori con bemolle, ossia l’armatura di chiave moderna meno un bemolle. Al contrario, la versione bachiana in bella copia della fine del 1722 rispecchia un’accurata rielaborazione di questi dettagli per quanto concerne l’organizzazione e la notazione. In merito alle armature di chiave, Bach fece a modo suo anche rispetto all’Organisten-Probe di Mattheson, tramite l’uso sistematico di armature di chiave che vanno da zero a sei diesis e bemolle, stabilendo così un modello di notazione che detta ancora oggi la norma

Oltre alle questioni del temperamento e della tonalità, il Clavicembalo ben temperato esplorò in profondità le implicazioni della contrapposizione fra due tipi essenzialmente diversi di composizione musicale: la forma libera del preludio improvvisato e quella rigorosa della fuga contrappuntistica. Anche se nella raccolta di ventiquattro brani ogni preludio è seguito da una fuga nella tonalità corrispondente, i due stili opposti non vanno necessariamente intesi come due parti di una stessa unità. Questo è vero nonostante le numerose indicazioni di «verte, sequitur fuga» (girare [pagina], segue fuga) nella versione bachiana in bella copia lascino intendere che il preludio debba essere suonato come un’introduzione libera alla fuga rigorosa. Allo stesso tempo, la versione autografa in bella copia numera in maniera incontrovertibile e sistematica sia i preludi che le fughe individualmente, non intitolandoli «Preludio e Fuga» (come avviene nella maggior parte delle edizioni moderne),26 ma utilizzando intestazioni separate, quali «Praeludium 1.» e «Fuga 1. à 4» (Figura 2-10). In altre parole, Bach sottolinea volutamente il forte contrasto nella realizzazione e nei principi guida dei due tipi di composizione. Seppur posizionati ed eseguiti uno dopo l’altro, essi costituiscono in tutto e per tutto delle entità individuali, le cui diverse tonalità sono identificate solo dall’armatura di chiave. Il fatto che, come discusso in precedenza, nel Clavier-Büchlein vor Wilhelm Friedemann Bach si trovino inclusi dei preludi non seguiti da alcuna fuga rafforza l’idea che nel Clavicembalo ben temperato ogni preludio e ogni fuga vadano intesi come delle composizioni autonome e dimostra anche la teoria che tutte le tonalità sono adatte alla composizione e all’esecuzione sia in stile libero che rigoroso.

In quanto organista e virtuoso della tastiera, Bach aveva già eseguito, improvvisato e composto molti esempi sia di preludi che di fughe prima ancora di ideare la raccolta. Perfettamente a suo agio in entrambi questi generi complementari, con la nuova ambiziosa raccolta si proponeva assai più che dimostrare semplicemente la realizzabilità dei nuovi modi maggiore e minore in tutte le tonalità cromatiche. Presentò quindi una collezione variegata di modelli esemplari che si discostavano dai formati tipicamente più lunghi o più brevi allora in voga. Come nel caso dei corali dell’Orgel-Büchlein Bach ideò un formato ineguagliabile e succinto che avrebbe messo in rilievo la natura e il carattere di modello dei singoli brani della raccolta. Per questa ragione nel manoscritto autografo la lunghezza ordinaria di ciascun preludio e di ciascuna fuga ammonta in media a due pagine. Sedici preludi con le loro corrispondenti fughe seguono lo schema di una lunghezza quasi uguale per entrambi. In cinque casi le fughe (nn. 3, 4, 8, 12 e 20) durano circa il doppio dei preludi della stessa tonalità, mentre a loro volta due dei preludi (nn. 7 e 10) durano all’incirca il doppio delle fughe corrispondenti. Proprio alla fine della raccolta sia il preludio 24 che la fuga 24 sono i più ampi di ciascuna categoria. Tuttavia, e a prescindere dai diversi formati, ogni singolo brano rappresenta un modello di struttura e carattere musicale compatto e ben definito che lo differenzia dal modo in cui Bach aveva precedentemente composto questo genere di brani come, per esempio, le toccate o i primi movimenti delle Suite inglesi (si veda il capitolo 3).

La caratteristica tecnica più evidente dei preludi è l’uniformità della loro costruzione motivica, che ricorda, seppure su più vasta scala, il principio costruttivo dell’Orgel-Büchlein. Nella maggior parte dei casi un’idea motivica breve e distinta – non una semplice frase melodica, ma sempre una configurazione che coinvolge entrambe le mani dell’esecutore – definisce la tonalità e caratterizza fin dall’inizio la struttura del preludio come, per esempio, in BWV 848/1 (Figura 2-10). Talvolta alcuni passaggi liberi portano alla cadenza finale, conferendo al brano un tocco di virtuosismo. Alcuni elementi improvvisativi di base come figurazioni arpeggiate o altre sequenze triadiche giocano un ruolo fondamentale nel sottolineare come la funzione del preludio sia quella di stabilire e confermare la tonalità. Simili trame sono presenti con sorprendente varietà nei preludi 1-3, 5, 6, 11, 15 e 21. Ma come dimostrano i preludi 7, 19 e 24 occasionalmente si trovano persino dei casi di contrappunto imitativo. Tempo, figurazioni ritmiche, artifici metrici e altri strumenti compositivi contribuiscono alla varietà della composizione. Anche se la maggior parte dei preludi sono scritti in tempo intero, Bach fece ricorso a una gamma quasi completa di metri musicali: tempo tagliato (alla breve), 3/23/43/86/46/89/812/816/8 e 24/16. In quanto esempi di composizione creativa, estemporanea e di stile libero, in cui si trova una fusione estremamente variegata e concentrata di elementi diversi, questi lavori rappresentano un tipo di preludio nuovo, innovativo ed estremamente inventivo che per certi versi prefigura i brani di carattere espressivo delle generazioni successive.

Figura 2-10 Preludio in Do diesis maggiore
BWV 848/1: versione autografa in bella copia.

Quanto alle fughe, queste si focalizzano in primo luogo sull’approccio procedurale della composizione fugata, in opposizione alla capricciosa fantasia improvvisatrice che plasma i preludi. Nel loro insieme, esse definiscono il genere della fuga con inedita sistematicità, abbracciandone tutti gli aspetti teorici e pratici. In quanto caso particolare di contrappunto imitativo, la fuga richiede tradizionalmente il trattamento rigoroso di un certo numero di voci. Nella prima esposizione, il soggetto riceve la risposta alla dominante e questa risposta, a seconda del soggetto, può essere reale (identica) o tonale (con la mutazione di certi intervalli melodici). Il soggetto e la risposta si alternano costantemente, così come le esposizioni e gli episodi o interludi, sono consentite tecniche contrappuntistiche quali l’inversione tematica o lo stretto (sovrapporsi di esposizioni) e l’uso di controsoggetti o di temi multipli. Tutto questo rappresenta la norma nel Clavicembalo ben temperato, ma le convenzioni codificate fino a quel momento assurgono a un impareggiabile livello di sofisticazione compositiva e varietà musicale. Questi tratti sono in gran parte dovuti alla caratterizzazione estremamente individuale dei soggetti bachiani in termini di lunghezza, carattere melodico e contorni ritmici cangianti e agli episodi non tematici ricchi di materiale collegato o contrastante dal punto di vista motivico. Le fughe a due, tre, quattro e cinque voci del Clavicembalo ben temperato rappresentano la prima suprema affermazione artistica del compositore, che secondo le testimonianze «solo attraverso lo studio e la riflessione personale … era diventato, già nella sua giovinezza, un autentico scrittore di fughe».27 Nell’esplorare compiutamente tutte le possibilità di scrittura della fuga, Bach realizzò lo studio più autorevole sulla composizione fugata stabilendo in tal modo le norme compositive per questo genere musicale.

Le fughe, più ancora dei preludi, consentirono a Bach di esibire le sue eccezionali capacità nella triplice combinazione di fecondità creativa, comprensione intellettuale della sfida compositiva e abilità interpretativa. Ciononostante, la raccolta – nella versione autografa in bella copia interamente rivista del 1722 – rende piena giustizia a entrambi i generi compositivi. Lievi ritocchi apportati di tanto in tanto negli anni seguenti indicano tuttavia il suo sottile senso del dettaglio musicale, come rivelano due esempi di carattere diverso (Figura 2-10):

  • nel Preludio n. 3 (in Do diesis maggiore) la revisione riguarda una questione localizzata e di natura eminentemente tecnica, concernente soprattutto la logica contrappuntistica, la condotta delle voci e la struttura: Bach si limitò a invertire le prime tre note della voce superiore da Sol diesis1-Do diesis5-Mi diesis5 a Mi diesis5-Do diesis5-Sol diesis(correzioni parallele alle battute nn. 17 e 55) e alterò la transizione del motivo iniziale nella voce inferiore della battuta 8 da tre crome Do diesis4-Si diesis3-La diesis3 a Do diesis4-Si diesis4-La diesis4-Sol diesis4-La diesis4 (correzioni parallele nelle battute nn. 16, 24 e 54). Con nitide cancellature e sovrascritture, ottenne una condotta delle voci più elegante. Il motivo di questo intervento era ovviamente l’adozione della versione che era sempre stata presente nella voce inferiore della battuta n. 9, ottenendo in tal modo una tardiva unificazione di tutti i passaggi paralleli;
  • nella Fuga n. 1 (in Do maggiore) la revisione riguarda il processo retorico della composizione musicale e include un motivo formale, una variegata articolazione espressiva e mosse armoniche incisive: nella battuta n. 1 e in tutti i suoi successivi ingressi Bach modificò la quarta, quinta e sesta nota del soggetto fugale, puntando l’ottavo e comprimendo i sedicesimi dello stesso valore in due trentaduesimi:

Esempio 2-1 Fuga in Do BWV 870/2: soggetto con due correzioni ritmico-melodiche

In tal modo rese più incisivo il profilo ritmico del soggetto – una correzione apportata solo intorno alla metà degli anni trenta (copie precedenti tratte dall’autografo rispecchiano tutte la versione originale).

Bach potrebbe aver introdotto altre correzioni minori, e sicuramente ulteriori ornamentazioni – senza alterare la partitura autografa – nell’eseguire l’opera per i suoi allievi, che annotarono nelle loro copie quanto avevano ascoltato. Un’esecuzione di questo tipo è documentata dal soprammenzionato Heinrich Nicolaus Gerber, il quale attestò che il maestro eseguì per lui l’intera raccolta «tre volte nella sua interezza nella sua maniera incomparabile», facendogli annoverare «tra i suoi momenti più felici quelli in cui Bach, con il pretesto di non sentirsi nell’umore adatto a insegnare, si sedeva a uno dei suoi pregevoli strumenti volgendo quelle ore in minuti».28

Il Clavicembalo ben temperato rappresenta la prima opera veramente significativa del compositore. Il suo eclatante frontespizio ornato, che non trova eguali nella produzione bachiana, sottolinea l’importanza che lui stesso gli attribuiva. All’epoca della sua ideazione l’esecutore-compositore, che aveva ampiamente superato i trent’anni, era diventato acutamente consapevole del punto in cui si trovava l’arte della composizione per tastiera e di cos’altro fosse possibile attuare in questo campo. Di conseguenza si dedicò allo studio che lo preparò all’epocale progetto e infine coltivò l’ambizione di affrontare e integrare in un colpo solo diverse idee innovative per le quali i tempi erano maturi: l’adozione della tonalità maggiore-minore, nuove norme per la composizione libera e rigorosa, illimitato uso della scala cromatica di quattro ottave e una gamma pienamente sviluppata di linguaggi e tessiture per tastiera – da intendere come rispondenti allo spirito intellettuale di un’epoca che aveva una predilezione per imprese sistematiche ed enciclopediche.

«Aufrichtige Anleitung»: invenzioni e sinfonie

Paragonata a quelle dell’Orgel-Büchlein e del Clavicembalo ben temperato, la genesi e la cronologia delle invenzioni a due voci e delle sinfonie a tre voci raccolte sotto il titolo di Aufrichtige Anleitung (Guida veridica) lascia poco spazio alle congetture. La prima fonte manoscritta della doppia serie di quindici brani è ancora il Clavier-Büchlein vor Wilhelm Friedemann Bach del 1720 e la versione autografa in bella copia permette di determinare che la data in cui il lavoro fu terminato non può essere successiva al 13 aprile 1723, dal momento che dopo il suo congedo – avvenuto in quella data – Bach non avrebbe più potuto apporre accanto al suo nome il titolo che deteneva alla corte di Cöthen (si vedano la Tabella 2-1 e la Figura 2-3). Le invenzioni e le sinfonie sono la sola grande opera strumentale di Bach della quale si siano conservate due versioni originali, le partiture di lavoro e le versioni in bella copia, una circostanza che rivela alcuni fatti significativi:

  • innanzitutto, la prima fonte manoscritta prova che la raccolta era concretamente legata a un programma didattico. Il suo primo destinatario era il figlio del compositore: il libro di 144 pagine fu iniziato il 22 gennaio 1720, esattamente due mesi dopo il nono compleanno di Friedemann;
  • i vari contributi di padre e figlio per tutto l’arco del Clavier-Büchlein non seguirono una rigorosa sequenza cronologica. Le invenzioni a due voci, ciascuna intitolata «Praeambulum» e numerate da 1 a 15, occupano le pagine da 71 a 103; i brani a tre voci, ciascuno intitolato «Fantasia» e ugualmente numerati da 1 a 15, seguono come un blocco separato sulle pagine da 118 a 144. È però chiaro che i trenta brani furono inseriti l’uno dopo l’altro in un arco di tempo relativamente breve e seguendo il ritmo dei rapidi progressi compiuti dal ragazzo nel corso del 1721 e forse all’inizio del 1722;
  • i contributi del padre sono sempre partiture di lavoro (Figura 2-11),
    ma sorprendentemente contengono pochi cambiamenti significativi: la Fantasia in Do maggiore BWV 787, per esempio, si presenta quasi come una bella copia. La pulizia della scrittura dimostra la capacità di Bach di concepire e annotare rapidamente delle composizioni contrappuntistiche complesse a due o tre voci. I contributi di Friedemann, nei due blocchi di brani, sono limitati ai praeambula da 4 a 7. Solo questi quattro furono copiati dalle loro partiture autografe di lavoro, non direttamente sul libro, ma scritte a quanto pare su fogli separati e indicano che copiare la musica era una parte importante dell’istruzione di Friedemann;29
  • la versione autografa in bella copia dell’inizio del 1723 combinava per la prima volta entrambe le serie di brani a due e tre voci in un unico manoscritto presentato come una raccolta unificata sotto il titolo di Aufrichtige Anleitung, «Guida veridica».

Esempio 2-2 BWV 785 e BWV 796: correzioni per aumentare la continuità motivica

La storia complessiva della composizione dell’opera si svolge in meno di due anni, dai primi abbozzi nel Clavier-Büchlein di Wilhelm Friedemann Bach fino alla versione autografa in bella copia. Ci sono relativamente poche differenze tra i due manoscritti: la bella copia si limita a ritoccare alcuni passaggi in certi brani, cambiare qualche nota qua e là per migliorare la condotta delle voci e specificare l’articolazione di alcuni punti. Modifiche più significative, ma pur sempre limitate, si trovano nell’ampliamento di quattro misure dell’Invenzione 8 BWV 779 e nel finale di alcuni brani, in particolare l’Invenzione n. 11, BWV 782 (battute 21-23), l’Invenzione n. 14, BWV 785 (battuta 19) e la Sinfonia n. 10, BWV 796 (battuta 32):

In primo luogo tali cambiamenti accentuano l’enfasi sulle cadenze conclusive e rispecchiano il sottile intuito bachiano per l’effetto retorico di una vera conclusione.30 Le ultime tre misure sia del Praeambulum n. 10 BWV 782.1 (Figura 2-11) che della sua perfezionata versione finale, l’Invenzione n. 11 BWV 782.2 (Figura 2-12), illustrano come l’eliminazione da parte del compositore di due salti di ottava nella penultima battuta della prima versione crea una maggiore tensione ritmica, melodica e armonica verso la cadenza finale ritardata.

Di ben maggior portata per l’opera nel suo insieme è invece la completa riorganizzazione della configurazione tonale quale originariamente concepita nel Clavier-Büchlein di Friedemann. A differenza del Clavicembalo ben temperato, con la sua organizzazione cromatica ascendente, il piano tonale generale era compreso nella cornice convenzionale delle quindici tonalità limitate a quattro diesis o bemolle in chiave, una decisione che salvaguardava con più decisione il carattere distintivo di ciascuna tonalità. Bach, inizialmente, decise di rispettare e insegnare a suo figlio l’armonia tonale maggiore-minore più tradizionale, così come il corrispondente metodo di accordatura. Di conseguenza, ogni serie di quindici brani fu disposta in modo circolare, iniziando con la scala diatonica ascendente da Do a La con le triadi «naturali» (Do maggiore, Re minore, ecc. fino a La minore) e concludendo – dopo aver passato le tonalità (e triadi) cruciali di Si bemolle maggiore e Si minore con la scala diatonica discendente da La a Do con le triadi alterate (La maggiore, Sol minore, ecc. fino ad arrivare a Do minore).

Questa organizzazione tonale è in qualche modo collegata al precedente ordine delle tonalità del Clavicembalo ben temperato, con la sequenza iniziale di Do maggiore, Do minore, Re minore, Re maggiore, Mi minore, Mi maggiore e la triade costruita sulla tonica della scala di Do maggiore che precede la triade alterata (come indicato nel Clavier-Büchlein).

Figura 2-11 Praeambulum in Sol minore BWV 782.1:
partitura di lavoro autografa (battuta 11b fino alla fine).

Figura 2-12 Invenzione in Sol minore BWV 782.2: versione autografa
in bella copia (con finale rielaborato).

La versione in bella copia del 1722 modificò la sequenza in uno schema che pone sistematicamente i modi maggiori prima di quelli minori su un’unica scala cromatica ascendente. Dato che Bach preparò le belle copie delle due raccolte l’una dopo l’altra, fece in modo che le modifiche da lui apportate facessero meglio corrispondere le Invenzioni e le Sinfonie allo schema ascendente unidirezionale del Clavicembalo ben temperato. Di conseguenza, sia la numerazione che il progetto tonale della Guida veridica si scostarono dal precedente ordinamento dei praeambula e delle fantasie (dove le lettere maiuscole indicano le tonalità di modo maggiore e le minuscole quelle in modo minore):

1721 (Praembula/Fantasie 1-15): Do2-Re3-Mi3-Fa2-Sol2-La3-Si3-Si bemolle2-La2-Sol3Fa3-Mi2-Mi bemolle2-Re2-Do3

1723 (Invenzioni/Sinfonie 1-15): Do2-Do3-Re2-Re3-Mi bemolle2-
Mi2-Mi3-Fa2-Fa3-Sol2-Sol3-La2-La3-Si bemolle2-Si3

L’altra contestuale modifica, non meno importante, riguarda la terminologia. Nessuno dei quattro termini (praeambulum, fantasia, inventio e sinfonia) rimanda a una specifica connotazione di genere, e non esistevano precedenti che permettessero di dare un nome al tipo di composizioni contrappuntistiche per tastiera a due e tre voci apparse per la prima volta nel Clavier-Büchlein di Friedemann. In realtà, quest’ultimo conteneva anche alcuni singoli praeambula e preludi scritti in precedenza, inclusi undici brani raccolti sotto il titolo di «Praeludium» che avrebbero trovato posto nel futuro Clavicembalo ben temperato. Perciò Bach differenziò i due tipi di preludi concettualmente diversi che si trovavano nello stesso libro attribuendo al preludio contrappuntistico a due voci il titolo di «Praeambulum». Più tardi, nel riconsiderare le designazioni fondamentalmente neutrali di «praeambulum» e «fantasia» che aveva inizialmente scelto per questi originali e anomali brani contrappuntistici per tastiera, coniò i brillanti e insoliti termini di «Inventio» e «Sinfonia» (si veda sotto) che li ricollega all’elaborata formulazione nel frontespizio della versione autografa in bella copia del 1723.

Il titolo «Aufrichtige Anleitung» risulta piuttosto oscuro senza una spiegazione di ciò a cui questa «Guida veridica» doveva servire (Tabella ٢-١). Colà Bach descrisse con accuratezza i diversi obiettivi che si sarebbero raggiunti eseguendo e studiando i pratici esempi musicali proposti da questa raccolta didattica polivalente. Come nel caso del Clavicembalo ben temperato i suoi contenuti sono volutamente tutt’altro che aridi esercizi e sono destinati «ai dilettanti della tastiera, ma specialmente a coloro i quali sono desiderosi di apprendere». E proprio come nel Clavier-Büchlein e nel Clavicembalo ben temperato il formato dei brani della Guida devota è stabilito in anticipo, solo in modo ancor più rigoroso poiché ogni singola composizione occupa esattamente due pagine del manoscritto, in modo da evitare di dover girare pagina.31 Attenersi a un vincolo così rigoroso impone un metodico processo di logica compositiva e richiede fin dall’inizio di ogni singolo brano un’idea musicale idonea, capace di adattarsi al percorso di una scrittura contappuntistica condensata. Di conseguenza, al centro di ogni lavoro si trova il concetto retorico di invenzione, ossia l’invenzione di «buone idee» nella forma di soggetti musicali distinti: temi melodici o compositi che fungono da punto di partenza del lavoro. Bach sottolineò questo momento cruciale, che segna l’inizio del processo creativo, ribattezzando i Praembula a due voci «invenzioni», una denominazione all’epoca decisamente inusuale per dei brani musicali.

Il termine latino «inventio» si ricollega al processo creativo di un’orazione nella retorica classica, ma gioca un ruolo anche nella teoria musicale. In particolare, in italiano il termine si riferisce anche a un soggetto insolito, come nelle Invenzioni da camera per violino e basso continuo (Bologna, 1712) di Antonio Bonporti, una raccolta di cui Bach era venuto a conoscenza prima del 1723.32 Sebbene sia un lavoro dal tenore completamente diverso, il suo titolo probabilmente intrigò Bach e lo spinse a cambiare l’intitolazione. In ogni caso la scelta del termine «inventio» si rivolgeva direttamente a quei fruitori della Guida veridica che volevano «impadronirsi sin dall’inizio di un solido gusto nei confronti della composizione» e imparare «a ottenere […] delle buone inventiones (idee musicali)» e «anche a bene eseguirle (svilupparle)». Queste frasi enfatizzano chiaramente i prerequisiti ritenuti fondamentali da Bach per lo studio della composizione, come riportato in seguito da Carl Philipp Emanuel Bach: «Per quanto riguarda l’inventività nella creazione delle idee [Erfindung der Gedanken], egli la pretendeva fin dall’inizio, e a chi non la possedesse consigliava di tenersi alla larga dalla composizione».33 Dal punto di vista concettuale, le fantasie, in quanto oggetto di studi compositivi, avrebbero potuto essere categorizzate a loro volta sotto il titolo di «invenzioni» visto che servivano essenzialmente allo stesso intento. Nello scegliere dei nomi diversi per i brani a due e a tre voci nel Clavier-Büchlein di Friedemann, Bach intendeva non solo conservarema addirittura rafforzare la distinzione terminologica tra praeambula e fantasie. Usando per queste ultime la denominazione di «sinfonie»ancora una volta un termine inusuale nell’ambito del repertorio per tastiera, attirò di fatto l’attenzione sulla loro caratteristica costruzione, contrappuntistica basata sulla configurazione di tre voci separate che costituivano l’armonia triadica. Per questo il loro nuovo nome (dal greco symphonia, concordia di suoni) sottolineava in maniera esplicita il risuonare insieme delle tre voci. Mentre le invenzioni dimostrano che la Vollstimmigkeit può essere ottenuta con successo persino in una trama formata da due voci, le sinfonie esplorano le ulteriori possibilità melodiche e armoniche offerte da una terza parte.

I nuovi titoli «Inventio» e «Sinfonia» corrispondono, nella loro originalità, alla concezione innovativa dei brani. Bach si rese sicuramente conto che con le composizioni contrappuntistiche sia a due che a tre voci si era inoltrato in un territorio del tutto inesplorato. L’Orgel-Büchlein Il clavicembalo ben temperato si rifacevano, sia pure a livello generale e non specifico, a dei precursori nell’ambito dei corali per organo, dei preludi e delle fughe. Ma i brani della Guida veridica rappresentavano una dimostrazione paradigmatica dello sviluppo di idee liberamente inventate, concise e ben riconoscibili, utilizzate nell’ambito di composizioni molto compatte e al tempo stesso contrappuntistiche, nelle quali le due o tre voci indipendenti sono ugualmente essenziali, tutte derivate dal materiale esposto nelle prime battute. Ogni singolo brano evidenzia la premessa bachiana che solo un buono spunto musicale è degno di essere sviluppato, che solo un’idea originale chiaramente definita – spesso plasmata dall’interazione di un breve soggetto con il suo controsoggetto – merita di essere portata avanti. I brani intendono dimostrare le infinite possibilità della polifonia strumentale contrappuntistica al di là del classico regno della fuga, con il suo principio obbligato di esposizione del tema-e-risposta.

Figura 2-13 Sinfonia in Fa minore BWV 795.2: versione autografa in bella copia.

Le dimostrazioni includono applicazioni fluide ed eleganti di complesso contrappunto invertibile o doppio, come, per esempio, nella Sinfonia n. 9 a tre voci in Fa minore (= Fantasia n. 11) BWV 795 (Figura 2-13). Il triplice scambio di voci nella sinfonia si evolve nel corso della composizione che nelle prime quattro battute introduce tre motivi contrappuntistici distinti: a, il motivo del sospiro (suspiratio) nella parte mediana accompagnato da b, il tetracordo cromatico seguito dal motivo c, con il suo ritmo tagliente e spigoloso subito usato in combinazione con i motivi a e b (Tabella 2-2). Tutti e tre i motivi appaiono regolarmente nel corso del brano (e simultaneamente altre otto volte) in una notevole varietà di combinazioni e inversioni e in diverse aree tonali.

Tabella 2-2 Sinfonia 9 (Fantasia 11) BWV 795: Passaggi di contrappunto invertibile utilizzando tre motivi (a-c)

battute

1-2

3-4

7-8

11-12

13-14

18-19

24-25

26-27

31-32

33-34

Parte 1

a

b

c

a

b

b

a

a

c

Parte 2

a

b

c

a

b

a

c

b

b

a

Parte 3

b

c

a

b

c

c

a

c

c

b

tonalità

Fa min.

Do magg.

Fa min.

La magg.

Mi magg.

Do min.

Fa min.

La magg.

Fa min.

Fa min.

La Sinfonia 9 non rappresenta che uno dei numerosi esempi di approccio innovativo nell’applicazione di tecniche e artifici contrappuntistici a un nuovo tipo di musica per tastiera rigorosa a due e tre voci di libera concezione. Sia a livello individuale che collettivo, le invenzioni e le sinfonie mostrano l’arte del contrappunto nella sua gamma completa di imitazioni tematiche e motiviche, con variazioni, inversioni, canoni, stretti e altre tecniche incorporate il più delle volte quasi impercettibilmente nelle strutture compositive a due e tre voci di una polifonia strumentale che non ha uguali.

Bach non avrebbe mai più scritto alcuna composizione strumentale come quelle che costituiscono questa raccolta. Ma i principi generali di scrittura contrappuntistica mostrati qui divennero un aspetto quanto mai essenziale della trama delle sue partiture strumentali e vocali. Le composizioni a due e poi a tre voci vennero alla luce l’una dopo l’altra come lezioni per il figlio maggiore, riflettendo anche il risultato finale del processo di apprendimento dello stesso compositore. La loro creazione lo spinse anche a illustrare l’esperienza che aveva acquisito col tempo nell’arte musical-retorica dell’invenzione (ars inveniendi) e a presentare le sue conoscenze in una serie sistematica di brani originali che si proponevano quali modelli esemplari di composizioni contrappuntistiche variegate e godibili.34

I riferimenti di Bach all’approccio compositivo adottato nelle composizioni della Guida veridica sono di fatto preceduti dalle più dettagliate istruzioni in merito all’esecuzione contenute nella formulazione del titolo, cosa che rammenta il costante impegno di Bach a integrare l’esecuzione con lo studio della composizione. Le partiture contrappuntistiche delle due serie di brani sono intese a rispecchiare direttamente le due modalità tecniche di apprendimento dell’esecuzione, ovvero imparare «a suonare correttamente a 2 voci, ma anche, dopo ulteriori progressi, a confrontarsi correttamente e bene con 3 parti obbligate». Le voci superiori e inferiori delle invenzioni richiedono assoluta indipendenza fisica e identica agilità nella mano destra e sinistra dell’esecutore, e sono basate su un nuovo tipo di diteggiatura che attribuisce al pollice un ruolo indispensabile in quanto quinto dito di entrambe le mani. La diteggiatura tradizionale limitava l’uso del pollice all’esecuzione degli accordi e non lo utilizzava abitualmente nella scrittura orizzontale, sia nel caso di passaggi virtuosistici che di brani polifonici per tastiera.35 Sebbene esistano vari esempi di brani per tastiera seicenteschi che richiedono l’uso del pollice, le opere didattiche continuavano a mantenere il tradizionale metodo a quattro dita. Di conseguenza, e in maniera quasi programmatica, il motivo principale dell’Invenzione n. 1 è pensato per rispondere esattamente al modello di diteggiatura avanzata basata sull’utilizzo uniforme di tutte e cinque le dita.

diteggiatura della mano destra 1-2-3-4-2-3-1-5

linea melodica Do-Re-Mi-Fa-Re-Mi-Do-Sol

diteggiatura della mano sinistra 5-4-3-2-4-3-5-1

L’Invenzione n. 1 è notevole anche perché Bach vi dimostra per tutto il brano, con grande inventiva, i molti modi in cui lo stesso motivo dato può generare del materiale musicale per mezzo dell’inversione, aumentazione, frammentazione, ricombinazione e simili. Il brano esemplifica inoltre ampiamente come ottenere una composizione musicale godibile. Offre un esempio conciso ma molto illuminante in termini di gestione della forma: il primo segmento di sei battute è coronato dall’arrivo alla dominante, seguito da una modulazione sapientemente calibrata alla relativa minore. Il cambio di tonalità si accompagna a un’intensificarsi dell’attività in entrambe le parti e a un’estensione della gamma. In tal modo l’acme del brano si trova a circa due terzi dalla fine (battuta 14), un approccio destinato a diventare un archetipo corrente nell’ambito delle procedure formali per tutto il xviii secolo e oltre.

La sfida particolare proposta dai brani a tre voci concerne essenzialmente lo stesso aspetto fisiologico del suonare in modo appropriato la musica polifonica all’organo, già sottolineato da Bach nell’Orgel-Büchlein quando richiedeva l’uso sistematico del pedale per la voce del basso. Inoltre, le sinfonie a tre voci si concentravano sulla gestione di voci indipendenti nelle quali ogni mano può suonare due voci e le voci possono alternarsi fra una mano e l’altra. Utilizzare tutte e cinque le dita di entrambe le mani per suonare le voci mediane era una tecnica non insegnata prima di allora e che rappresentava anche un addestramento per eseguire con le mani [N.d.T.: senza pedale] musica polifonica per tastiera a più di tre voci su qualunque strumento a tastiera. Ma l’obiettivo dichiarato da Bach non consisteva solo nello «suonare correttamente» e «procedere giustamente e bene» con il testo musicale, bensì «soprattutto ad acquisire nell’esecuzione una maniera cantabile», ossia suonare in uno stile che imitasse un duo o un trio di voci umane, in cui ciascuna enuncia le linee a essa assegnate in maniera ben articolata ed espressiva. Questo concetto introdusse una categoria estetica del tutto nuova e fondamentale che divenne di vitale importanza per l’esecuzione della musica da tastiera, un aspetto non espressamente menzionato nella formulazione dei titoli del Orgel-Büchlein e del Clavicembalo ben temperato, per non parlare delle istruzioni per l’esecuzione di altri compositori. Anticipava, per giunta, lo stile esecutivo propugnato e descritto una generazione più tardi da Carl Philipp Emanuel Bach nel suo trattato dedicato alla tastiera Versuch über die wahre Art das Clavier zu spielen (Berlino, 1753).36

Quando nel 1722-23 Bach preparò le belle copie dei suoi tre album musicali con cui intendeva comprovare la sua competenza didattica per ottenere l’incarico come Cantor presso la Thomaskirche di Lipsia, la Guida veridica fu trattata per ultima, senza dubbio poiché le invenzioni e le sinfonie non richiedevano molto lavoro o modifiche aggiuntive. Ma quando cominciò l’insegnamento a Lipsia, utilizzò la guida come materiale fondamentale per i musicisti non ancora esperti che studiavano presso la Thomasschule e per i suoi numerosi allievi privati. Heinrich Nicolaus Gerber ricordava la funzione fondamentale ed essenziale della Guida veridica in quello che apparentemente divenne il tipico corso di studi con Bach: «Alla prima prima lezione gli metteva davanti le sue invenzioni [a due e tre voci]. Quando le aveva apprese tutte con soddisfazione di che Bach, seguiva una serie di Suite [le francesi seguite dalle inglesi] e poi Il clavicembalo ben temperato».37 Gerber riferì solo sulle sue lezioni di clavicembalo e composizione e di conseguenza non fece alcuna menzione dell’Orgel-BüchleinMa dal momento che in seguito divenne organista di corte a Sondershausen dovette sicuramente prendere anche delle lezioni di organo, in occasione delle quali l’Orgel-Büchlein avrà certamente avuto un ruolo fondamentale.

Quando iniziò a concepire i tre album Bach avrebbe difficilmente potuto immaginare il loro impatto successivo sul processo di integrazione tra composizione ed esecuzione, la loro funzione innovativa e il loro valore complementare come fonte di diletto musicale e nutrimento intellettuale per future generazioni di studenti. Ma come virtuoso della tastiera e compositore-esecutore, gli atti di comporre e suonare erano per lui inseparabili. Di conseguenza, l’approccio innovativo di Bach nel comporre corali per organo, per esempio, fece progredire sia l’arte dell’espressione musicale che la tecnica del pedale. Ugualmente, l’ineguagliabile raccolta di preludi e fughe in tutte le tonalità razionalizzò e ratificò non solo l’essenza dell’armonia tonale moderna, esemplificata negli stili libero e rigoroso, ma il graduale se pur incompleto passaggio verso un temperamento equabile e la libertà di una nuova diteggiatura che faceva un uso sistematico del pollice e permetteva di passare per tutte le note cromatiche della tastiera con uguale disinvoltura. Infine la sua brillante idea di concepire dei brani contrappuntistici strettamente controllati a due e tre voci promosse gli obiettivi intrecciati dello studio compositivo e analitico, introducendo nel contempo una maniera di eseguire la musica polifonica estremamente trasparente e caratterizzata da un cantabilità esteticamente piacevole.

I tre album per tastiera sono diversi dalle antologie convenzionali. Si tratta piuttosto di raccolte concepite individualmente, ciascuna dotata di un suo scopo preciso e di un fulcro coerente, e priva di concorrenti diretti. Tutte e tre inoltre fissarono, in aree diverse, nuovi standard sia per la composizione che per l’esecuzione: furono così istituiti dei principi che Bach avrebbe continuato a coltivare in ulteriori opere di riferimento di vari generi strumentali e vocali, amalgamando felicemente principi e generi secondo l’immagine di un universo musicale in espansione, in cui l’arte della tastiera aveva assunto la funzione di una forza quasi gravitazionale. L’indole, la natura e il talento di un esecutore di razza ne plasmarono e penetrarono la mentalità e la visione musicale da autentico compositore-esecutore, per il quale la relazione dinamica tra esecuzione e composizione era una condizione esistenziale. Per questo la profondissima e sempre crescente dedizione di Bach alla composizione restò sotto tutti i punti di vista fortemente influenzata dalla sua autorevolezza alla tastiera, in particolare nel progredire costante della sua geniale e potente originalità, della maestria tecnica e del dominio intellettuale. Il linguaggio musicale di Bach era costituito da tutti questi elementi, il cui fine ultimo era quello di toccare il cuore.

3. Alla ricerca di una struttura strumentale autonoma

Toccata, Suite, Sonata, Concerto

Nello stabilire i principi concettuali che determinarono la struttura nei tre album didascalici trattati nel capitolo precedente, Bach non prestò grande attenzione alla letteratura per tastiera dell’epoca, traendone ben poca ispirazione. Le tipologie di corali per organo, preludi e fughe, invenzioni e sinfonie da lui composti non avevano quasi precedenti o uguali. Eppure il compositore era anche molto interessato ai repertori dominanti di cui tanto gli esecutori quanto i compositori di musiche per tastiera si occupavano da lungo tempo, ambiti che lo videro estremamente attivo. Inizialmente, e nello specifico, questi erano essenzialmente rappresentati dalle grandi toccate alla maniera dei suoi venerati idoli della Germania del Nord, Dietrich Buxtehude e Johann Adam Reincken. Era anche attratto dai generi sempre più popolari della suite, della sonata e del concerto che dominarono la musica strumentale europea durante la prima metà del xviii secolo. Nella loro progettazione formale e strutturale tutti i contributi rilevanti di Bach a questi generi seguirono fondamentalmente dei modelli formali già esistenti, senza apportare cambiamenti radicali o ridefinire le premesse di base. Con un approccio assai differente da quello con cui affrontò la composizione dell’Orgel-Büchlein, del Clavicembalo ben temperato e della Guida veridica, il compositore si attenne chiaramente ai consolidati parametri esteriori delle forme dominanti. Nel contempo, tuttavia, le numerose raccolte con carattere di opus che racchiudono i suoi contributi accuratamente selezionati ai vari generi esistenti sottolineano in modo enfatico gli idiomi caratteristici del suo linguaggio musicale peculiare, emerso nei primi anni del Settecento. Ne rappresenta una testimonianza incisiva l’iniziale gruppo di sei toccate, BWV 910-915, prima attestazione di una serie di brani dirompenti che videro gradualmente la luce in seguito. In tutti questi lavori Bach soppesò e riconsiderò le convenzioni correnti della musica strumentale, il tutto come parte di una genuina e risoluta ricerca di un linguaggio originale e autonomo, i cui esiti sonori sarebbero stati facilmente identificabili quali creazioni della sua penna.

Il modo in cui si materializzò questa serie di raccolte di riferimentoprima arricchendo il repertorio per tastiera di due differenti serie di suite, poi ampliando il campo con due libri di soli per violino e violoncello e infine includendo i concerti orchestralisembra riflettere un percorso accuratamente meditato. Naturalmente non esiste alcuna prova dell’esistenza di un piano metodico di tal fatta, predisposto in anticipo in previsione di una carriera in pieno svolgimento, con tutte le sue svolte inaspettate. Retrospettivamente, tuttavia, la serie e il suo contesto generale si presentano come un processo di sviluppo dotato di una logica stringente, che rivela i passi fondamentali nella costante ricerca bachiana di allargamento e approfondimento della propria esperienza. La realizzazione successiva di ciascun opus rappresenta una summa deliberata e metodica dei risultati ottenuti da Bach in ciascuna categoria.

Il catalogo postumo stilato da Carl Philipp Emanuel Bach (si veda la Tabella 1-1) annota tutti i lavori strumentali che suo padre riunì in raccolte manoscritte con carattere di opus. Le poche eccezioni includono i concerti per clavicembalo per uno o più solisti, riuniti nello stesso gruppo, e anche i cosiddetti Concerti brandeburghesi, di cui la lista non fa alcuna menzione. Per quanto riguarda i primi, il concerto per clavicembalo era considerato di per sé una specialità di Bach e il singolo riferimento in cui vengono citati i concerti per uno, due, tre o quattro solisti non fa che rafforzare questa prospettiva. Quanto ai secondi, questi sei concerti per vari strumenti esistevano come raccolta particolare solo nella partitura dedicata e consegnata al margravio Christian di Brandeburgo e non costituivano quindi un vero e proprio opus, essendo stati conservati come brani individuali nella biblioteca musicale di Bach.1 È comunque improbabile che esistessero altre raccolte dedicatarie di questo genere o consimili, poiché una raccolta completa di brani aveva assai meno possibilità di andare perduta senza lasciare traccia. Eppure, come indicato dalle molte opere individuali giunte fino a noi, le raccolte manoscritte a noi note rappresentano certamente solo una piccola parte della produzione strumentale complessiva del compositoreuna situazione resa ancora più complicata da molte perdite imprecisate legate alla divisione del patrimonio di Bach avvenuta nel 1750. Da questo punto di vista il generico riferimento, annotato alla fine del catalogo postumo delle opere, a «moltissimi altri pezzi strumentali, di ogni specie e per ogni sorta di strumenti» si rivela purtroppo inutile ai fini di una qualsiasi stima numerica. D’altra parte era pressoché impossibile elencare propriamente tutti i numerosi e presumibilmente inestimabili lavori singoli dato che la famiglia aveva a che fare con un vasto patrimonio musicale. Tuttavia la chiara separazione tra le raccolte a carattere di opus elencate e la massa di brani non meglio identificati riflette assai probabilmente una distinzione operata dalla stesso compositore e ben nota ai suoi famigliari.

Come suggerito dal catalogo delle opere del 1750, Bach intendeva probabilmente separare le sue raccolte di brani esemplari dai singoli lavori sparsi a esse collegati. Questa sistemazione non suggerisce necessariamente una discriminazione basata sulla qualità musicale. Ma le raccolte a carattere di opus erano non solo caratterizzate da un’organizzazione interna, ma anchecome mostrato dai manoscritti autografi esistenticollezionate come entità fisiche separate, suggerendo che in ciascun caso il compositore intendeva dare un apporto specifico. Nel creare una raccolta omogenea di lavori esemplari, Bach si proponeva di riassumere orgogliosamente quanto aveva realizzato e mostrare la peculiarità del suo approccio nei confronti della rispettiva categoria compositiva. Chiaramente considerava le raccolte a carattere di opus una sorta di stato dell’arte in ogni categoria, visto che decise puntualmente di passare ad altro piuttosto che aggiungere un ennesimo lavoro dello stesso genere. La seconda parte del Clavicembalo ben temperato rappresenta la sola eccezione: circa vent’anni dopo aver finito la prima parte, l’insegnante che era in Bach parve sentire la forte necessitàtanto per i suoi studenti quanto per sédi aggiornare e modernizzare il suo primo metodo per la tastiera offrendo nuove soluzioni all’arduo compito di comporre in tutte le ventiquattro tonalità.

Il compositore che era in Bach si trovava sempre in competizione con se stesso e per molti versi era anche il proprio critico principale, come dimostra la sua costante e accurata attività di revisione dei propri lavori. Il suo atteggiamento generalmente competitivo lo portò anche a valutare con la massima cura e attenzione il lavoro di altri compositori, tanto contemporanei quanto maestri del passato: questo allo scopo di conoscere della nuova musica, esaminare approcci compositivi differenti e soprattutto definire più chiaramente il suo proprio percorso. Un’attenta disamina preventiva di quello che avevano fatto gli altri lo rendeva capace di perseguire il suo costante intento di creare della musica decisamente originale, distintamente diversa da quella di tutti gli altri. A differenza di autori a lui contemporanei quali Telemann, Vivaldi e François Couperin, Bach non rielaborò mai i modelli concettuali e formali della suite, della sonata e dei concerti per perseguire i propri intenti particolari,2 preferendo piuttosto mantenersi all’interno dei parametri dati. Eppure, i suoi contributi nel corso del tempo alle varie categorie di musica strumentale costituirono di fatto delle repliche nei confronti dei repertori esistenti, dimostrando chiaramente la sua ambizione di eclissare e superare i propri modelli in termini di raffinatezza intrinseca, ricchezza testuale e profondità espressiva. Giocò quindi un ruolo davvero determinante nel campo dell’ideazione indipendente e originale della forma compositiva, in un modo destinato ad avere una profonda influenza ben al di là della sua epoca.

Nel proprio elemento alle tastiere e con altri strumenti

Perfino un’occhiata superficiale al complesso della produzione strumentale bachiana rivela fasi alterne di impegno, legate soprattutto al mutare dei suoi doveri ufficiali e delle sue priorità. Le cariche di Bach ne rappresentano chiavi di volta determinanti: organista ad Arnstadt (1703) e Mühlhausen (1707), organista di corte e musicista da camera a Weimar (1708), dove venne promosso Concertmaister nel 1714, assunse poi il posto di Capellmeister della cappella principesca a Cöthen (1717) e infine la posizione di Cantor e direttore musicale a Lipsia (1723), dove per più di un decennio fu anche direttore dell’eminente Collegium Musicum, precursore dell’orchestra del Gewandhaus.3 Queste cariche influenzarono l’equilibrio complessivo della sua produzione di lavori per ensemble strumentali e vocali, ma non ebbero mai un impatto sulla creazione dei lavori per tastiera, l’attività più costante (pur se in continua evoluzione) nella vita musicale di Bach. L’interprete-compositore aveva una vera e propria ossessione per l’organo e per gli altri strumenti a tastiera, tanto che essi restarono costantemente al centro dei suoi interessi e rappresentarono di fatto un punto focale pressoché esclusivo fino al 1714 circa.

Fin dall’inizio Bach suonò anche il violino, la viola e probabilmente persino il violoncello. Come membro più giovane della famiglia del direttore della banda comunale di Eisenach (un ensemble professionale alle dipendenze del consiglio comunale), nato nella terza generazione di musicisti di mestiere e cresciuto in una casa piena di strumenti diversi, Bach apprese fin da bambino i rudimenti di come maneggiarli e suonarli. Dal momento che suo padre Johann Ambrosius Bach (1645-1695) era un violinista provetto e direttore dell’ensemble strumentale nella chiesa di San Giorgio, Johann Sebastian deve aver impugnato il violino prima di compiere i dieci anni, formandosi sotto la guida del padre; il prezioso violino di Jacobus Stainer in suo possesso era probabilmente lo strumento che aveva ereditato dal padre.4 Ambrosius Bach suonava anche regolarmente presso la corte di Sassonia-Eisenach sotto la guida del suo Capellmeister, l’illustre violinista Daniel Oberlin (più tardi suocero di Telemann), e sicuramente conosceva (e forse aveva persino incontrato) il celebre virtuoso di formazione italiana Johann Paul von Westhoff (1656-1705) della vicina corte di Sassonia-Weimar. Uno dei più notevoli musicisti del tempo, Westhoff era ancora attivo presso la cappella di Weimar nel 1703, durante i primi mesi in cui Johann Sebastian vi assunse il proprio incarico. In seguito, in particolare come Conzertmeister a Weimar e Cappelmeister a Cöthen, ma anche nelle sue diverse funzioni a Lipsia, Bach diresse spesso, se non prevalentemente, i suoi ensemble imbracciando il violino e suonava regolarmente anche la viola. Come riportato da Carl Philipp Emanuel Bach nel 1774,

come massimo esperto e conoscitore dell’armonia, gli piaceva soprattutto suonare la viola con la sonorità e la morbidezza appropriate. Nella sua giovinezza, e fino a un età piuttosto avanzata, suonava il violino con chiarezza e in modo penetrante, mantenendo così l’ordine in orchestra meglio di quanto avrebbe potuto fare dal clavicembalo.5

Non ci sono riferimenti specifici a testimonianza del fatto che Bach suonasse il violoncello, ma il suo trattamento competente e idiomatico dello strumento rappresenta un solido indizio della sua profonda familiarità anche con questo strumento.

Appassionato esecutore per tutto il corso della sua vita, Bach si guadagnò la propria reputazione innanzitutto come eccellente organista e clavicembalista. La corte ducale di Weimar ne riconobbe presto la fama e lo premiò periodicamente con generosi aumenti salariali. Anche i suoi successi in quanto virtuoso erano ampiamente riconosciuti oltre l’ambiente legato al suo incarico professionale: viaggiò spesso come artista ospite, soprattutto in Turingia e Sassonia, ma spingendosi occasionalmente anche a Kassel, Amburgo e Berlino. Il suo nome era sicuramente ben noto già nel 1717, quando Johann Mattheson pubblicò un riferimento al «celebre organista di Weimar».6 Quello avrebbe anche dovuto essere l’anno di un duello di clavicembali che non ebbe mai luogo. Il potenziale antagonista di Bach, il celebre virtuoso francese Louis Marchand, si sottrasse alla prevista competizione di Dresda fuggendo nel cuore della notte, forse temendo che le sue capacità non sarebbero state all’altezza di una prova del genere. Il giorno seguente Bach si esibì quindi da solo, suscitando il plauso di un illustre pubblico di cortigiani. Solo una minima parte dei numerosi concerti e recital per clavicembalo di Bach, spesso legati ai suoi frequenti viaggi destinati all’ispezione di organi, furono oggetto di una cronaca dettagliata. Tra questi l’affollato concerto per organo del 1720 presso la chiesa di Santa Caterina ad Amburgo, almeno tre concerti pubblici per organo a Dresda (1725, 1731 e 1736) e la celebre esibizione di Bach per re Federico ii di Prussia nel 1747. Tutte queste esibizioni riscossero l’entusiasmo generale, come esemplificato da un poema adulatorio pubblicato in un giornale di Dresda, l’ultima riga del quale proclama: «cCome si mette a suonare, riempie tutti di meraviglia».7 Intraprendere percorsi pionieristici per espandere l’uso del clavicembalo, dell’organo e, più tardi, anche del fortepiano, fu un tratto costante del percorso artistico bachiano. Infine, e sicuramente per via di come veniva generalmente percepito oltre i confini di Lipsia, il titolo del necrologio stampato non si riferisce a lui come al «Compositore», definendolo bensì «Il celeberrimo organista».8

I precoci e notevolissimi progressi di Bach alla tastiera sono riportati nel noto aneddoto a proposito di «un libro di brani per clavicembalo dei più celebri maestri dell’epocaFroberger, Ker[l], Pachelbel» che il ragazzino avrebbe preso a prestito, senza permesso, dal fratello-insegnante. Il giovane Johann Sebastian «tirava fuori il libro di notte, … e lo ricopiava ai raggi della luna… In segreto e con grande fervore cercava di trarne beneficio».9 Se a dieci o undici anni il ragazzino eseguiva le complesse sonate e i brani contrappuntistici di Johann Jakob Froberger e a tredici anni riuscì a superare la sfida della più ardua fantasia corale di Dietrich Buxtehude «Nun freut euch, lieben Christien g’main» (BuxWV 210), significa che la carriera di un promettente virtuoso era già ben instradatapersino durante gli anni trascorsi a Ohrdruf prima del 1700. Non sorprende dunque che, poco dopo essersi diplomato alla scuola latina di Lüneburg nel 1702, il diciassettenne fu nominato organista municipale a Sangerhausen. L’incarico se ne andò ben presto in fumo dato che il duca regnante annullò il voto del consiglio municipale per conferire il ruolo a un proprio protetto. Ma nel 1703 Bach ottenne un posto migliore a Arnstadt dove, presso la Neue Kirche, ebbe a disposizione un nuovo organo di qualità eccelsa. Nel 1705 fece una visita di tre mesi al suo idolo Buxtehude, autore del repertorio per organo tecnicamente più avanzato e musicalmente più sofisticato dell’epoca e, assimilato lo stile del compositore di Lubecca, cominciò a scrivere dei brani similinello spirito di Buxtehude, ma ora a suo proprio merito.

L’Opus inaugurale: Sei toccate per tastiera

Considerando la fiducia nelle proprie capacità e le ambizioni del giovane virtuoso della tastiera, appare del tutto plausibile che, con la scelta di fare una sorta di debutto nell’ambito significativo e ragguardevole della toccata della Germania settentrionale, Bach intendesse compiere un gesto eclatante per dimostrare al mondo le proprie capacità. Nel riunire sei brani virtuosistici di vaste proporzioni, si sarebbe imposto come il vero erede dei suoi idoli della Germania settentrionale in quanto interprete-compositore di lavori per tastiera direttamente paragonabili ai loro in termini di inventiva, varietà musicale e complessità tecnica. I modelli principali, costituiti soprattutto dall’opera di Buxtehude, Johann Adam Reincken e Nicolaus Bruhns, erano ben noti a Bach sin di tempi di Lüneburg (nell’immediata e stimolante vicinanza di Georg Böhm), dei suoi viaggi ad Amburgo per ascoltare Reincken e del suo soggiorno di studio con Buxtehude a Lubecca nel 1705. La toccata per tastiera della Germania settentrionale aveva raggiunto il vertice della magnificenza nella toccata o preludio per organo e doveva gli effetti più eclatanti soprattutto alle eccezionali qualità sonore dell’organo anseatico, il più grande e potente strumento musicale dell’epoca, che ebbe una profonda influenza sulla struttura e sui contenuti del repertorio per tastiera dell’epoca.

Nei suoi primi lavori per organo, in particolare nella Toccata in Mi maggiore, BWV 566, e nel Preludio in La minore, BWV 551, Bach emulò coscientemente il modello della Germania settentrionale sebbene l’offerta di organi della Germania centrale non offrisse strumenti di qualità paragonabile a quelli anseatici. Di conseguenza, quando Bach decise di dare vita a un fantasioso genere di toccata per tastiera quale epitome dello stylus fantasticus del xvii secolo, si concentrò di proposito sulla toccata per clavicembalo, scegliendo deliberatamente di servirsi di strumenti da suonare al manuale. Questa decisione gli permise di concentrarsi sui dettagli compositivi e strutturali, indipendentemente dai variegati effetti sonori resi possibili da un grande organo. Le prime fonti tramandano senza eccezione, nei titoli delle sue toccate, la specificazione «manualiter», esplicitando in tal modo la loro destinazione per strumenti a tastiera privi di pedaliera, quale è in particolare il clavicembalo, anche se potrebbero certamente essere suonate all’organo.

Dato che i lavori di Bach per organo del genere «pedaliter» richiedevano di regola il pedale obbligato, una raccolta di toccate «manualiter» rappresentava una scelta avveduta che sosteneva le qualità paradigmatiche complessive della raccolta, inclusa la moderna concezione armonica che richiedeva un temperamento equabile. Ma nell’investire le proprie energie creative in questo genere particolarmente affascinante di musica per tastiera di vaste proporzioni, Bach non si rese conto appieno che si stava impegnando in un genere senza futuro, per cui i suoi lavori avrebbero rappresentato non solo il punto culminante di questo tipo di toccata, ma anche la fine di un’antica tradizione. A giudicare da quanto indicato dall’intricata trasmissione e sopravvivenza delle toccate e delle loro fonti, Bach si rese però ben presto conto di questa situazione. I brani non restarono a lungo nel suo repertorio di opere didattiche e da esecuzione e vennero presto sostituiti da un repertorio più attuale.

Le toccate bachiane non ci sono giunte né in una partitura autografa né in alcuna copia manoscritta completa. Il solo riferimento alla raccolta nella sua forma originale si trova tra le composizioni inedite citate nel catalogo delle opere del 1750, alla voce «Sei toccate, per tastiera». Questa elencazione non è tuttavia coerente con il totale di sette toccate per clavicembalo giunte fino a noi, ciascuna delle quali è in una tonalità differente (si veda la Tabella 3-1). I primi sei lavori, BWV 910-915, seguono rigorosamente il formato a più sezioni tipico della toccata della Germania settentrionale.

Ma il formato di BWV 916 differisce dagli altri in modo significativo: stilisticamente influenzato dal modello del concerto italiano, consiste in tre movimenti ben delineati con un movimento centrale lento. Nella loro affinità stilistica e strutturale BWV 910-915 formano quindi un gruppo omogeneo e autonomo di sei toccate avvalorando la voce registrata nella lista delle operee suggeriscono che l’ulteriore toccata BWV 916 abbia avuto un’origine indipendente e sia stata aggiunta al gruppo delle sei toccate in una successiva operazione di integrazione.

La versione autografa perduta – assai probabilmente una cartella contenente sei partiture in fascicoli separati o un album il cui titolo faceva riferimento al numero sei (analogamente al catalogo delle opere del 1750) – ebbe un destino simile a quello di un certo numero di altri oggetti che sparirono dopo la spartizione del patrimonio del compositore. Non esiste quindi alcuna informazione su cosa contenesse esattamente e su come fosse organizzato. Alcuni dettagli degni di nota sono tuttavia forniti dalla prima, se pur frammentata, trasmissione manoscritta nell’ambito della cerchia intima dei Bach, che include copie fatte dal fratello maggiore di Bach, Johann Christoph di Ohrdurf, racchiuse in due antologie manoscritte note come «manoscritto Möller»10 e «Andreas Bach Buch».11 Queste copie includono sia le versioni più antiche di BWV 912 e BWV 913 del 1704 circa che quelle interamente riviste intorno al 1708, e sembrano rappresentare il primo stadio delle toccate sia a livello cronologico che stilistico. Il titolo latinizzato della prima versione, «Toccata Prima. ex Clave D.b.manualiter per J.S. Bachium»12una caratteristica tipica delle prime fonti bachianesuggerisce inoltre che questo brano nel tradizionale modus primus (il modo dorico di Re annotato senza il bemolle in chiave) potrebbe essere stato composto per primo. Estendendosi su più di 300 battute, è senza dubbio la toccata più lunga di Bach e in quanto tale potrebbe aver avuto la funzione di brano di apertura della serie. Dal momento che la sua versione rivista condivide con le fonti di altre quattro toccate il nome italianizzato dell’autore «Giov[anni]. Bast[iano]. Bach» – un vezzo adottato dal compositore in seguitoè assai verosimile che la compilazione di un opus di sei toccate nella loro versione rivista e corretta risalga all’incirca al 1707-1708, con il BWV 916 aggiunto o inserito intorno o dopo il 1710. Lo schema strutturale fornito nella Tabella 3-1 si riferisce alle versioni finali delle toccate.13

Tabella 3-1 Sei toccate per tastiera, BWV 910-915, e BWV 916

toccata
in fa min.
bwv 910

toccata
in do min.
bwv 911

toccata
in re magg.
bwv 912

toccata
in re min.
bwv 913

toccata
in mi min.
bwv 914

toccata
in sol min.
bwv 915

passaggio
: mm. 1-18

passaggio
: mm. 1-12

passaggio
: mm. 1-10

passaggio
: mm. 1-15

passaggio Allegro
3/2: mm. 1-13

passaggio
24/16: mm. 1-4

[adagio]
3/2: mm. 19-48

adagio
: mm. 12-33

allegro
: mm. 11-67

[adagio] – presto
: mm. 15-32

adagio
3/2: mm. 5-17

fuga – presto
e staccato
: mm. 49-107

fuga – allegro
: mm. 34-83

adagio
: mm. 68-79

fuga
: mm. 33-120

fugato – un poco allegro
: mm. 14-41

fugato – allegro
: mm. 18-67

[adagio]
: 108-35

adagio
: mm. 84-86

fuga
: mm. 80-111

adagio – presto
: mm. 121-45

adagio
: mm. 42-70

adagio
3/2: mm. 68-78

fuga
6/8: mm. 135-88

fuga – allegro
: 86-70

con discrezione
: 111-26

fuga allegro
3/4: mm. 146-294

Fuga
: mm. 71-138

Fuga
: mm. 79-189

finale
6/8: mm. 191-99

finale-adagio-presto
: mm. 171-75

fuga
6/16: mm.127-275

finale
: mm. 138-142

finale
24/16: mm.189-94

finale
: mm. 276-77

Toccata in Sol magg., BWV 916:

[1.] : mm. 1-56; [2.] adagio (Mi min.) : 57-89; [3.] presto [fuga] – 6/8 mm. 81-177

La toccata della Germania settentrionale, soprattutto il suo prototipo per grande organo con pedaliera, rappresenta il genere più notevole di musica per tastiera di vaste proporzioni del primo Settecento. La categoria include un’ampia varietà di idee, tecniche, strutture compositive ed elementi virtuosistici come anche un’eterogeneità di ritmi e di modi espressivi, il tutto sottolineato da una variopinta registrazione organisticanella maniera descritta da Johann Mattheson come «stile fantastico» (fantastische Styl).14 Il maestro di Lubecca Buxtehude aveva posto il suo marchio inconfondibile su questo genere così strettamente legato al peculiare contesto nord europeo con i suoi grandi organi da chiesa a tre e quattro manuali con più di cinquanta registri. Il suo collega e amico di Amburgo Johann Adam Reincken e il suo allievo Nicolaus Bruins diedero a loro volta un contributo significativo all’evoluzione della toccata a più movimenti. Il giovane Bach considerò i loro lavori come dei modelli da cui trarre ispirazione, per poi sperimentare ampiamente il proprio approccio personale alla composizione di lavori per organo secondo questa maniera musicale estroversa, così confacente agli interpreti più virtuosi. Il fatto che l’opus bachiano dedicato alle toccate fosse principalmente destinato al clavicembalo appare particolarmente chiaro nella Toccata in Re maggiore, BWV 912 (si veda la Figura 3-1a), la cui apertura deriva dallo straordinaria scala per pedaliera sola del preludio per organo BWV 532 nella stessa tonalità (si veda la Figura 3-1b). Nella loro diversa elaborazione i due lavori dimostrano l’intenzione di Bach di sottolineare le differenze tra l’organo e il clavicembalo, o in altri termini tra gli idiomi «pedaliter» e «manualiter», ossia tra lavori specificatamente destinati a strumenti a tastiera con o senza pedale.

Figura 3-1a Toccata in Re maggiore, BWV 912:
copia di J.C. Bach (circa 1710), dettaglio.

Figura 3-1b Preludio in Re maggiore, BWV 532/1:
copia di L. Sichart (circa 1740), dettaglio.

Tra le opere del repertorio di toccate «manualiter» della Germania settentrionale accessibili a Bach, solo la Toccata in Sol maggiore di Reincken, con le sue due fughe incorporate, gli servì da vero e proprio modello, sebbene essa abbia proporzioni minori. Dopo essere tornato da Lüneburg,

Bach deve aver mostrato il lavoro a suo fratello Johann Christoph, che in seguito lo ricopiò in una delle sue antologie per tastiera insieme a BWV 910-911.15 Anche due toccate «manualiter» più brevi di Buxtehude, BuxWV 164-165, ciascuna con una sola fuga, passarono tra le mani di Bach,16 ma i grandi preludi per organo «pedaliter» del compositore di Lubecca, la maggior parte dei quali comprendono due movimenti fugati, lo influenzarono in misura assai maggiore. Come mostrato schematicamente nella Tabella 3-1, le sei toccate di Bach adottano vagamente la cornice concettuale dei loro modelli, ma li oltrepassano da tutti i punti di vista: pura tecnica virtuosistica, dimensioni significativamente aumentate, numero dei movimenti contrastanti, ricchezza contrappuntistica complessiva e, in particolare, complessità delle fughe, alcune delle quali presentano inversioni tematiche e combinazioni di soggetti e controsoggetti. Anche se assomigliano ai relativi brani per organo «pedaliter» di Buxtheude, i corrispettivi bachiani «manualiter» non seguono una singola modalità nella disposizione della pluralità dei movimenti, con il risultato di rappresentare sei soluzioni musicali radicalmente diverse.

Figura 3-2 Toccata in Fa diesis minore, BWV 910: copia di J.C. Bach (circa 1710), dettaglio.

Le differenze rispetto ai loro presunti modelli della Germania settentrionale appaiono già alle prime battute di ciascuna toccata. Nei suoi più ampi passaggi di apertura Bach propone una gamma insolitamente vasta e differenziata di espedienti melodici e ritmici: volate, scale, arpeggi e figurazioni. I movimenti lenti, ricchi di passaggi armonici azzardati, cromatismi audaci e artifici retorici sorprendenti, sono particolarmente riusciti. Da questo punto di vista la Toccata in Fa diesis minore, BWV 910, raggiunse un livello senza precedenti (si veda la Figura 3-2). I suoi ampi movimenti fugati dominano i modelli formali e ogni singolo movimento si manifesta come una ricerca sperimentale del giusto equilibrio in cui ampi temi fantasiosi e controsoggetti contrastanti si combinano con rigorosi sviluppi contrappuntistici. L’interazione creativa tra figurazioni libere e discreti schemi sequenziali verso la conclusione della seconda fuga conduce al folgorante finale.

La raccolta delle sei toccate di Bach mostra più di ogni altra cosa la sua particolare propensione alla grande formasingoli brani arrivano a durare più di dieci minuticome anche l’ambizione di oltrepassare i venerabili traguardi stabiliti dai suoi vari modelli. Questo obiettivo trova dei parallelismi con altre opere del suo repertorio strumentale e viene riecheggiato in modo alquanto significativo in alcune opere per organo «pedaliter» scritte intorno alla stessa epoca. Un caso particolare, da questo punto di vista, è la Passacaglia in Do minore, BWV 582, un’opera che dura più di 12 minuti (durata media anche delle toccate). Questa Passacaglia rappresenta l’ennesimo esempio tipico di come Bach, nel tentativo di superare Buxtehude17 proprio in ciò che aveva appreso da lui, innalzi la soglia dei limiti esecutivi e stabilisca nuovi paradigmi compositivi.

Raccolte di opus da Weimar e Cöthen

Se una magnifica raccolta di toccate pareva la scelta naturale per il primo opus del giovane virtuoso della tastiera, le sue successive raccolte con carattere di opus sembrano inizialmente del tutto slegate da quell’esordio antiquato. Pur sempre interessato alla sfida di dedicarsi a lavori strumentali di ampie dimensioni nei quali eccellere, ma non incline a muoversi in direzione dell’eccezionale Toccata in Sol maggiore in tre movimenti, BWV 916, Bach si allontanò completamente dalla toccata, in procinto di diventare antiquata, per occuparsi di generi ben più alla moda come le suite, le sonate e i concerti, con la loro struttura moderna, articolata in tre o quattro movimenti distinti. La suite o partita consisteva fin dall’inizio in una concatenazione di danze e in quanto tale formava una sequenza di movimenti autonomi, mentre fu solo dopo il 1700 che la sonata e il concerto si mossero in direzione di una sequenza di tre o quattro movimenti, ciascuno rappresentante un’unità musicale compiuta e a se stante.

due raccolte di sei suite per clavicembalo, con e senza preludi

Il suo costante interesse nei confronti delle nuove tendenze musicali, fece sì che mentre scriveva le toccate il giovane Bach suonasse e componesse anche delle suite. Il legame tra queste opere è confermato dalle antologie «Möller» e «Andreas Bach», compilate come già detto da Johann Christoph, fratello maggiore del compositore, principalmente sulla base di materiali ricevuti quasi sempre prima del 1710 dallo stesso Johann Sebastian. Le antologie contengono non solo quattro toccate, ma anche tre suite: l’Ouverture in Fa maggiore, BWV 820 (Ouverture-Entrée-Menuet/Trio-Bourrée-Gigue), la Suite in La maggiore, BWV 832 (Allemande-Air-Sarabande-Bourrée-Gigue), e il Praeludium e Partita in Fa maggiore, BWV 833 (Praeludium-Allemande-Corrente-Sarabande/Double-Air).18 Questi brani rappresentano i due diversi tipi di suite emersi nel repertorio francese: la suite «avec prélude» e quella «sans prélude»ossia con o senza un’introduzione libera in forma di ouverture o di preludio. Tuttavia lo schema dei movimenti dei BWV 820, 832 e 833 non mostra un modello coerente di organizzazione formale; lo stesso vale per quanto concerne la loro struttura compositiva irregolare. D’altra parte questi lavori rivelano una combinazione di sperimentazioni audaci, avanzata comprensione della declamazione ritmico-metrica, trama variegata e una spiccata caratterizzazione musicale. Nei due manoscritti, le prime tre suite si trovano a fianco di un consistente numero di suite di Reincken, Böhm e altri, che presentano invariabilmente uno schema uniforme a quattro movimenti: allemanda-corrente-sarabanda-giga. Sebbene nella Germania settentrionale questa sequenza di movimenti rappresentasse la norma, Bach inizialmente si propose di prendere una strada indipendente, probabilmente ispirato dalla grande varietà di suite presenti nelle autentiche raccolte di suite francesi, come i Pièces de clavecin (Parigi, 1677) di Nicholas Lebègue. I lavori particolarmente autorevoli di Lebègue erano molto diffusi in Germania e si trovano anche nelle due antologie per tastiera di Ohrdurf. È noto che Bach ebbe accesso anche ad altre raccolte francesi autentiche, compresi i Pièces de clavecin di Jean-Henri d’Anglebert (Parigi, 1689) da cui trasse la tavola di ornamenti per il Clavier-Büchlein di Wilhelm Friedemann Bach, e le Six Suites de Clavecin di Charles François Dieupart (Amsterdam, 1701), di cui trasse delle copie tra il 1709 e il 1715.19

Riconoscendo l’importanza della musica da ballo di corte, la sua influenza sulla dilagante cultura galante al di fuori delle corti e la conseguente richiesta di suite per tastiera da parte di un numero sempre crescente di musicisti dilettanti esperti, negli anni Dieci e nei primi anni venti Bach finì col rivolgere tutta la sua attenzione a questo genere strumentale popolare. Diede vita a tre raccolte esemplari, ciascuna consistente di sei suite, ma già dal 1725 considerò di aver fondamentalmente esaurito questo genere musicale. L’ultimo opus costituisce un caso a parte, in quanto rappresentò l’esordio della serie della Clavier-Übung, ma le raccolte di suite precedenti mostrano già gli intenti musicalmente trasformativi del compositore. Note in seguito come Suite inglesi e Suite francesi, le due raccolte esemplificano i due principali tipi di suitela prima consistendo di suite di danze con preludi introduttivi e la seconda di suite prive di introduzione.

Dal momento che non ci è giunto alcun manoscritto autografo delle Suite inglesi, le date della prima raccolta sono difficili da stabilire. Una copia della prima Suite in La maggiore, BWV 806, intitolata «Prélude avec les Svites composeé par Giov: Bast: Bach» appartenuta a Johann Gottfried Walther,20 amico e collega di Bach a Weimar, prova chiaramente che l’origine è precedente al 1717. Il titolo, in un misto di francese e italiano, non solo fa riferimento al primo periodo di Weimar, ma sottolinea in particolare l’importanza del primo movimento (prélude avec…) nell’ambito della singola suite. Per quanto concerne le Suite francesi, la loro origine legata a Cöthen trova una prova definitiva nelle partiture di lavoro delle Suite i, ii, iii, iv e v contenute nel Clavier-Büchlein di Anna Magdalena Bach del 1722.21 Questo album ci è giunto in forma mutilata, e quindi molti degli inserimenti autografi, comprese le pagine delle prime tre Suite, sono purtroppo andati perduti. Le copie dei suoi studenti fanno ritenere che intorno al 1724,22 a Lipsia, Bach abbia apportato qualche ritocco finale alle due raccolte, molto probabilmente nel corso della revisione in vista del suo ultimo exploit in questo genere alla moda, le partite della Prima parte della Clavier-Übung.

Non è possibile stabilire il titolo originale delle Suite inglesi, ma le copie più autorevoli, che riportano enunciazioni quali «Six Svittes aver leurs Préludes pour le Clavicin composées par Jean Sebast: Bach» potrebbero avvicinarsi all’originale. L’intestazione successiva appare per la prima volta in alcuni manoscritti berlinesi della metà degli anni cinquanta con intitolazioni quali «Sechs Suiten für das Clavier…., die Englischen Suiten gennant».23 Il riferimento a “inglesi” risaliva a una copia appartenuta al giovane Johann Christian Bach,24 che rimase a Berlino presso il fratellastro Carl quando Johann Christian partì per l’Italia nel 1755. In questa copia, al titolo «Suite i. avec Prelude pour le Clavecin» viene aggiunta l’osservazione «Fait pour les Anglois» (fatta per gli inglesi).25 Il riferimento in quanto tale risulta generico, ambiguo e insufficiente a corroborare la spiegazione data successivamente da Johann Nicolaus Forkel, ossia che la raccolta sia stata intitolata «Suite inglesi perché il compositore l’aveva composta per un nobile inglese».26 Poiché questa affermazione non è documentata da alcuna prova, l’intitolazione potrebbe avere una spiegazione affatto diversa, legata alla configurazione delle suite e alla loro stretta correlazione con le Six Suittes De Clavecin Divisés en Ouvertures, Allemandes, Courantes, Sarabandes, Gavottes, Menuetts, Rondeaux & Gigues (Amsterdam 1701) di François Dieupart, di cui Bach trasse delle copie (indirette) a Weimar dopo il 1709.27 Intorno al 1702-3 Dieupart si trovava a Londra ed era molto apprezzato dal suo pubblico inglese.28

Le Suite francesi, d’altronde, furono intitolate così a Berlino dopo il 1750, apparentemente in analogia con le Suite inglesi e puramente allo scopo di distinguere le due raccoltema chiaramente senza alcuna implicazione di natura stilistica. Il primo riferimento al nome «Suite francesi» appare in una copia della metà degli anni cinquanta di mano di Carl Friedrich Christian Fasch,29 un membro della cerchia berlinese di Carl Philipp Emanuel Bach. Nel 1762, anche un altro membro di quella cerchia, Friedrich Wilhelm Marburg, parla di «vi Suite francesi del defunto Capellmeister Bach».30 In ogni caso entrambi i titoli rappresentano un netto miglioramento rispetto alla catalogazione neutrale delle due raccolte come «Sei suite» e «Ancora sei come sopra, un poco più brevi» presente nel primo catalogo delle opere del 1750 (Tabella 1-1).

Potrebbe non essere una coincidenza il fatto che la prima versione delle Suite inglesi includesse dei preludi notevoli. Sebbene questi movimenti introduttivi non costituiscano un lascito diretto delle precedenti raccolte di toccate, essi rappresentano comunque un legame e un’eco del carattere d’improvvisazione e dello stile polifonico delle toccate (si veda la Figura 3-3). Con la loro lunghezza, che arriva a 213 misure, presentano inoltre una durata simile a quella delle toccate, di cui abbandonano però la struttura a più sezioni, mentre stabiliscono un approccio più focalizzato, che pone l’enfasi su una tessitura imitativa motivica e tematica foriera dei principi polifonici delle Invenzioni e Sinfonie, BWV 772-801. Il Preludio della Sesta Suite è quello che più si avvicina al modello di una toccata ampliata, sebbene scandita da un consistente metro di 9/8 e costituita solo da due sezioni: una sezione di apertura con carattere d’improvvisazione che si conclude in una battuta cadenzale in tempo adagio e un’estesa sezione fugata inframmezzata da figurazioni libere, approccio frammentato che Bach abbandonerà completamente nel Clavicembalo ben temperato. Il Preludio della Terza Suite, con la sua struttura che alterna strofa e ritornello, rappresenta d’altra parte un movimento concertistico moderno ed elaborato, mentre il Preludio della Prima Suite prende spunto dal prototipo francese del prélude non mesuré (preludio non misurato) nel quale la durata delle note è fondamentalmente lasciata alla discrezione dell’esecutore. In generale i preludi conferiscono a ciascuna suite un distinto profilo individuale.

Figura 3-3 Preludio della Suite inglese in La minore, BWV 807/1:
copia di J.G. Walther (circa 1720).

Le sequenze di danze, che per tutta la raccolta delle Suite inglesi seguono ciascun preludio, stabiliscono un piano formale coerente costruito su una cornice stabile che si articola in allemanda-corrente-sarabanda-giga, con un’ulteriore coppia di danze inserita tra le sarabande e le gighe, da suonare «da capo» come, per esempio, nella Bourrée i-ii-i (si veda la Tabella 3-2). Qui Bach seguì il modello di base delle suite di Dieupart, con i movimenti ordinati in Ouverture-Allemande-Courante-Sarabande-Gavotte, Menuet o Passepied-Gigue,31 sebbene si sia lievemente discostato da questo schema aggiungendo le bourrées alla lista delle danze proponibili (qui, sempre appaiate) tra la sarabanda e la giga: bourrées (Suite 1 e 2), gavottes (Suite 3 e 6), minuets (Suite 4) e passepieds (Suite 5).

Tabella 3-2 Sei suite inglesi

suite 1
in la magg.
bwv 806

suite 2
in la min.
bwv 807

suite 3
in sol min. bwv 808

suite 4
in fa magg.
bwv 809

suite 5
in mi min.
bwv 810

suite 6
in re min.
bwv 811

Prélude

12/8

3/4

3/8

C

6/8

9/8

Allemande

Courante i

3/2

3/2

3/2

3/2

3/2

3/2

Courante ii1

3/2

Sarabande

3/4

3/4

3/4

3/4

3/4

3/25

3/42

3/42

Bourrée i

2

Bourrée i

2

Gavotte i

2

Menuet i C

3

Passepied i4

3/8

Gavotte i

2

Bourrée ii

2

Bourrée ii
(La magg.)

2

Gavotte ii
(Sol magg.)

2

Menuet ii

3

Passepied ii

3/8

Gavotte ii

2

Gigue

6/8

6/8

12/8

12/8

3/8

12/16

1 avec deux Doubles 2 Les agréments de la même Sarabande

3 ou la Musette 4 en Rondeau 5 avec Double

Paragonati alle Suite inglesi, con i loro sette consueti movimenti per ogni brano, i formati e le strutture delle Suite francesi appaiono non solo più compatti, ma anche più vari e irregolari (si veda la Tabella 3-3). Mantenendo il medesimo schema fondamentale costituito da quattro movimenti di base (allemanda-corrente-sarabanda-giga), le danze supplementari inserite dopo la giga variano da una coppia di «da capo» a due o tre danze indipendenti che includono non solo il minuetto, la gavotta e la bourrée, ma anche tre generi nuovi e più alla moda: l’air, la loure e la polonaise. Comune a entrambe le raccolte è il trattamento della giga come una cospicua, lunga ed elaborata conclusione. Con la sola eccezione della giga nella Suite inglese n. 2, tutte le gighe presentano una struttura imitativa fugata che propone invariabilmente un’inversione melodica del tema dopo la doppia stanghetta nella seconda metà di ciascun brano.

Figura 3-4 Sarabanda dalla Suite francese in Do minore, BWV 813:
partitura di lavoro autografa nel Clavier-Büchlein di A.M. Bach del 1722.

L’origine delle Suite francesi è inestricabilmente legata ad Anna Magdalena, la seconda moglie che Bach sposò il 12 dicembre del 1721, in seguito alla morte, sopravvenuta nell’estate del 1720, di Maria Barbara Bach. In un’occasione e data imprecisata del 1722 il compositore fece omaggio alla giovane moglie di un bell’album con rilegatura in quarto di pelle, la cui copertina verde era ornata da incisioni floreali. All’interno si trova l’iscrizione «Clavier-Büchlein von Anna Magdalena Bachin anno 1722». Nelle prime pagine dell’album (che, come sopra accennato, ci è giunto solo in parte) si trovavano le Suite francesi, e il fatto che la maggior parte dei movimenti furono composti direttamente su quelle pagine (si veda la Figura 3-4) fa ritenere che questi lavori particolarmente eleganti fossero stati scritti per Anna Maria Magdalena e a lei dedicati. Immaginando che il marito non glieli avesse solo dedicati, ma li avesse anche eseguiti, Anna Maria Magdalena deve aver apprezzato e compreso il carattere innovativo e intimo dei vari movimenti di danza e la loro ampia gamma musicale di sfumature espressive che spaziano da un senso di gravità, afflizione, dolore e melanconia a sentimenti di consolazione, omaggio, gaiezza e schietta gioia.

Così come furono annotate nel Clavier-Büchlein, le Suite erano destinate in primo luogo al compositore-esecutore stesso il quale, suonandole per la sua famiglia, non aveva certo avuto bisogno di indicare gli abbellimenti. Per l’insegnamento Bach approntò una nuova copia originale con gli abbellimenti accuratamente annotati, inclusi alcuni miglioramenti del testo delle suite, e aggiunse anche dei minuetti a BWV 813, BWV 814 e BWV 815. La copia autografa di Bach è purtroppo andata perduta, ma il tutto fu accuratamente annotato in un manoscritto a opera di Bernhard Christian Kayser, già allievo di Bach a Cöthen e poi suo studente a Lipsia32 (la Tabella 3-3 rispecchia le versioni riviste). In seguito, ma solo dopo il 1735, quando probabilmente aveva già appreso a suonarle, Anna Magdalena copiò nel suo secondo Clavier-Büchlein33 (1725) le prime due delle «sue» suite (nella loro versione rivista).

Tabella 3-3 Sei suite francesi

suite 1
in re min.
bwv 812

suite 2
in do min.
bwv 813

suite 3
in si min.
bwv 814

suite 4
in mi magg.
bwv 815

suite 5
in sol magg.
bwv 816

suite 6
in mi magg.
bwv 817

Allemande

Courante

3/2

3/4

6/4

3/4

3/4

3/4

Sarabande

3/4

3/4

3/4

3/4

3/4

3/4

Air

Gavotte

Gavotte

2/[2]

Gavotte

Gavotte

Menuet i

3/4

Menuet i

3/4

Menuet i

3/[4]

Air

C

Bourrée

C

Polonaise

3/[4]

Menuet ii

3/4

Menuet ii

3/4

Menuet ii

3/[4]

Menuet

3/4

Loure

6/4

Menuet

3/[4]

Bourrée

2/[2]

Gigue

3/8

3/8

3/8

6/8

12/16

6/8

Nonostante lo scarto di forse dieci anni che separa le due raccolte, le Suite inglesi e francesi rivelano degli obiettivi musicali simili, che andavano ben oltre quanto ottenuto nella raccolta delle toccate. Sempre confrontandosi con la questione di padroneggiare una forma strumentale di ampio respiro, Bach si concentrò ora sullo sviluppo di una sequenza di unità ben definite dalle dimensioni minori, ciascuna nella stessa tonalità maggiore o minore e con la medesima struttura formale binaria ||: ––– :||: ––– :||, in cui la seconda parte è uguale o più lunga della prima. Ogni movimento di danza possiede tuttavia un proprio carattere distintivo, definito dalla struttura ritmico-metrica di una melodia intesa a sottolineare e intensificare lo specifico disegno coreografico dei passi caratteristici di ogni singolo tipo di danza.

Figura 3-5 François Dieupart, Suite in Fa maggiore: copia J.S. Bach (circa 1708).

La melodia e la sua impaginazione metrica sono l’elemento propulsore della danza. Maestri di danza impiegati presso le corti aristocratiche di tutta Europa insegnavano i diversi tipi di danze ai loro allievi, di solito con l’accompagnamento musicale di un piccolo violino o «Tanzmeister-Geige», come indicato dai principali manuali di danza dell’epoca.34 Il nome del maestro di danza di Weimar all’epoca di Bach non ci è noto, ma a Cöthen fu il francese Jean François Monjou. In tutte le sue suite Bach presta grande attenzione a questo essenziale aspetto melodico delle danze, alla loro peculiare, ripetitiva coreografia di passi e alle loro frasi costituite perlopiù da due o quattro misure. Differenziandosi notevolmente dalle sue suite di danze precedenti, come la BWV 820 e altre sopra menzionate, nelle Suite inglesi seguì il modello di Dieupart, dove la parte del basso agisce come una voce contrappuntistica abbinata almeno per certi versi alla melodia principale35 e con riempimenti armonici intermittenti nelle voci mediane (si veda la Figura 3-5).

Ma Bach andò ben oltre Dieupart, non solo per quanto concerne i preludi assai più ampi ed elaborati delle Suite inglesi, ma anche e soprattutto concentrandosi nella creazione di una singola melodia per la voce principale di ogni tipo di danza, chiaramente articolata in sottofrasi e vere e proprie strutture periodiche. Un rigoroso accompagnamento a tre o quattro voci della melodia principale andrebbe naturalmente contro le regole dell’originario «style brisé» o «style luthé» (stile arpeggiato o luthé) che caratterizza la tessitura delle danze francesi, eppure Bach riuscì a imprimere il proprio marchio allo stile dell’accompagnamento, integrandovi ripetutamente delle derivazioni contrappuntistiche. Il più delle volte queste sono costituite da brevi motivi tratti dalla melodia della danza, spesso utilizzati in moto contrario. Bach mise in moto le armonie con regolari scansioni cinetiche, introducendo di tanto in tanto delle sorprendenti svolte armoniche. In tal modo creò dei movimenti la cui tessitura dinamica e immediatamente riconoscibile rispecchia il suo approccio sofisticato e personalissimo. Questo modo generale di procedere divenne un suo tratto distintivo, più tardi applicato in modo analogo nel contesto della sonata o del concerto. Traendo beneficio dalla raccolta precedente, le Suite francesi compirono nel complesso un passo avanti verso l’animazione ritmico-contrappuntistica dei diversi tipi di danza al fine di acuirne il carattere individuale e renderle più incisive. Un esempio concreto si trova nella Sarabanda della Suite in Re minore BWV 812, dove nella seconda sezione (battute 9-13) Bach introdusse un doppio contrappunto rendendo la linea del basso identica alla melodia principale della prima sezione.

I disegni metrici che determinano la tipologia delle danze diedero a Bach l’opportunità di esplorare la più grande varietà di opzioni. Osservò consapevolmente la differenza tra la lenta allemanda e la rapida corrente, entrambe con le loro brevi ed elementari anacrusi. Similmente, rispettò l’inizio in battere dell’espressiva sarabanda in lento ritmo ternario, con un secondo tempo enfaticamente prolungato e molti diversi modi di accentuarlo. Utilizzò anche diversi tipi di tempi composti nelle gighe, creando dei brillanti movimenti finali in rapido tempo ternario o veloci tempi binari con terzine, generalmente con una breve anacrusi. In alcune delle gighe Bach si rifece alla tradizione delle toccate e preludi per organo delle Germania settentrionale culminanti in fughe nello stile della giga.36 Ciascuna raccolta di suite comprende tre gighe in rigoroso stile fugato (BWV 808, 810 e 811; BWV 812, 815 e 816) con estesi soggetti virtuosistici la cui melodia viene invertita dopo la doppia stanghetta. Le gighe restanti presentano a loro volta una trama imitativa, compresa l’inversione contrappuntistica.

Nei diversi tipi di danze, mentre la maggior parte dei compositori non andò oltre schemi metrici regolari quali 3/23/4 e 6/8, Bach ampliò in modo significativo la varietà metrica sia nelle Suite inglesi che nelle Suite francesi utilizzando indicazioni di tempo quali C6/49/812/8 e 12/16 (si vedano le Tabelle 3-2 e 3-3). I brani, inoltre, propongono anche ritmi giustapposti e altri scostamenti inaspettati dalle norme metriche. Nel complesso si trova un’infinita varietà di creazioni, non solo nei movimenti principali delle suite, ma anche nelle danze supplementari.

Le suite per tastiera portarono anche direttamente a potenziare il disegno concettuale alla base di un numero crescente di composizioni vocali bachiane successive al 1714, sia a Weimar che a Cöthen. Da questo punto di vista l’esperienza di apprendimento compiuta da Bach con questa grande varietà di danze si dimostrò una risorsa decisiva per l’ideazione tecnica e la costruzione del carattere espressivo di arie e cori. La logica conseguenza fu che incoraggiò i suoi studenti a iniziare i loro esercizi di composizione con minuetti e altre semplici danze, affinché comprendessero come organizzare le melodie per mezzo di metri, frasi e periodi regolari, e come accentuare la linea melodica con il supporto di un accompagnamento appropriato. I due volumi del Clavier-Büchlein di Anna Magdalena Bach includono un certo numero di esempi illuminanti e suggestivi di marce, minuetti e polonaise tramite i quali possiamo osservare i figli37 adolescenti di Bach compiere i primi passi nella formulazione di idee musicali e nella creazione di piccole composizioni.

due libri di soli per violino e violoncello
senza accompagnamento

Le popolari sonate per strumento solo e sonate a tre con basso continuo di Arcangelo Corelli, pubblicate come op. 1-5 durante gli ultimi vent’anni del xvii secolo e più volte ristampate, gettarono le basi del repertorio cameristico sviluppatosi in tutta Europa nel corso dei decenni successivi. Pur conoscendo a fondo l’opera cameristica di Corelli e dei suoi successori, nella sua prima raccolta non dedicata alla tastiera Bach evitò di emulare i loro lavori per uno o più strumenti ad arco e basso continuo, prendendo invece l’insolita decisione di creare dei brani per violino e violoncello solo. Già nel 1720 aveva completato il primo libro di sei brani per violino solo, cui ben presto si aggiunse l’analogo volume di sei brani per violoncello solo. È difficile immaginare che nel suo doppio incarico di organista di corte e musicista da camera a Weimar, Bach non abbia composto dei brani per strumento solo e per trio con basso continuo. E le cantate di Weimar, con la loro strumentazione traboccante d’immaginazione, sono effettivamente un forte indizio in questo senso. Ma di tutta la musica che potrebbe aver composto in quegli anni si è tramandata solamente la Fuga in Sol minore, BWV 1026, per violino e continuo. Si tratta di un brano in un unico movimento la cui parte per violino, fin dalle prime 181 battute, si caratterizza per le figurazioni polifoniche ampie ed estremamente complesse, dimostrando che il compositore era in primo luogo interessato a esplorare e sperimentare il trattamento della parte violinistica in quanto tale, piuttosto che il suo accompagnamento.

Prevedibilmente, il compositore e virtuoso della tastiera aveva trasformato l’organo della chiesa e il clavicembalo di casa in laboratori sperimentali. Si sentiva ispirato ad arrangiare per organo o clavicembalo i concerti per violino e orchestra di Vivaldi e di altri compositori e a trasformare le sonate a tre destinate a più esecutori in esibizioni individuali all’organo. Non lo fece per compiere delle mere acrobazie ginniche, ma per indagare fin dove fosse possibile spingersi nell’ambito della scrittura per strumento solo, priva del supporto di qualsivoglia genere di accompagnamento. Verosimilmente con il medesimo intento, trattò il violino e il violoncello quali oggetti di studio nel campo dell’indipendenza musicale, concentrandosi su questi strumenti a corda dominanti nell’orchestra barocca, con le loro differenze quanto a dimensioni, tecniche esecutive e timbri, nonché in merito alle loro distinte funzioni, trovandosi ai due estremi della partitura musicale. Questo musicista curioso, appassionatamente innovativo ed estremamente pieno di risorse, trovò da solo, unicamente in compagnia dello strumento del caso, le risposte alla ricerca di soluzioni esecutive capaci nel contempo di far avanzare i suoi obiettivi musicali.

L’interesse di Bach nei confronti della musica per violino solo era stato destato con ogni verosimiglianza dal violinista di Weimar Paul von Westhoff, il cui nome e la cui musica gli erano assai probabilmente già noti prima dell’arrivo a Weimar. Westhoff aveva pubblicato una raccolta di suite dal titolo Erstes Dutzend Allemanden, Couranten, Sarabanden und Giguen Violino Solo sonder Passo Continuo (Dresda, 1682), cui in seguito si aggiunse una seconda raccolta di sei partite (Dresda, 1696).38 La sua scelta di suite di danze era del tutto sensata, dato che esisteva una lunga tradizione di maestri di danza a servizio dell’aristocrazia che durante le lezioni improvvisavano su un violino tascabile o pochette (un piccolo violino che poteva essere messo in una tasca). Westhoff elevò queste pratiche d’improvvisazione su uno strumento non accompagnato a un nuovo livello di grande maestria. Trascorse gli ultimi anni della sua carriera presso la corte ducale di Weimar, dove tra il gennaio e il giugno del 1703 Bach ebbe il suo primosia pur temporaneoimpiego. Alla luce di questa circostanza e della forte propensione del giovane musicista a incontrare i suoi contemporanei più brillanti e a imparare da loro, si può dare quasi per scontato che sia entrato in diretto contatto con l’acclamato musicista. Due anni e mezzo più tardi, come se il giovane compositore volesse raccogliere il testimone direttamente dai più eminenti maestri tedeschi del violino e dell’organo, Westhoff e Dietrich Buxtehude, Bach andò fino a Lubecca, dove si intrattenne per tre mesi con quest’ultimo.

Se Westhoff diede l’impulso principale all’idea dei soli per violino, Bach non era a conoscenza di alcun modello per le suite per violoncello. In ogni caso, per quanto concerne la costruzione tecnica e stilistica delle due raccolte, si trovava in un terreno vergine. Deve aver improvvisato e sperimentato per un certo tempo prima di raggiungere dei risultati abbastanza soddisfacenti da convincerlo ad affidarli alla carta. Non è stato tramandato alcun abbozzo o partitura di lavoro di nessuna delle due raccolte, eppure la bella copia autografa dei «Sei solo. a Violino senza Basso accompagnato. Libro primo», un manoscritto straordinariamente accurato e di grande bellezza calligrafica, rivela chiaramente che il compositore non stava scrivendo i brani per la prima volta, ma che stesse invece lavorando a partire da versioni in bozza. Non adottò l’ingegnosa seppure peculiare notazione a più chiavi e otto linee di Westhoff (Fig. 3-6), utilizzando invece l’usuale pentagramma, di cui era completamente soddisfatto e con il quale si trovava a proprio agio, nonostante la sua esigenza di complesse tessiture polifoniche (Fig. 3-7). L’autografo con la data originale del 1720 cade nel pieno del periodo di Cöthen, una fase in cui le incombenze poco impegnative della sua carica di Capellmeister gli permisero di godere di più tempo e flessibilità di quanto ne avesse mai avuti prima o ne avrebbe avuti in seguito. Significativamente, i manoscritti a noi noti caratterizzati da una comparabile qualità calligrafica appartengono tutti solo a questa stessa epoca. Sebbene non sia stata tramandata alcuna bozza di questi lavori violinistici, le difficoltà del progetto suggeriscono una lunga fase di gestazione, durata probabilmente all’incirca un decennio.

Prove di natura stilistica indicano che la vera e propria composizione delle sonate e partite per violino solo difficilmente può essere cominciata prima del 1718-19: la Siciliana della sonata in Sol minore (BWV 1001), per esempio, rappresenta la prima occorrenza di questo tipo di movimento nella musica di Bach. Infine, la dicitura «Libro Primo» nel frontespizio dei soli per violino implica che il secondo librodi soli per violoncellofosse, se non finito, almeno in corso d’opera.

Figura 3-6 Johann Paul von Westhoff, Partita in La minore per violino solo:
Allemande (Dresda, 1696).

Figura 3-7 Fuga della Sonata in Sol minore per violino solo, BWV 1001/2: manoscritto
autografo in bella copia (1720).

In mancanza di una partitura autografa, la datazione delle suite per violoncello rimane necessariamente aperta, sebbene la loro composizione fu sicuramente completata dopo il 1720, ma prima del trasferimento di Bach a Lipsia nella primavera del 1723. La sola copia esistente dell’autografo andato perduto è di mano di Anna Magdalena Bach,39 approntata su richiesta di Georg Heinrich Ludwig
Schwanenberger (1696-1774), un musicista da camera presso la corte ducale di Brunswick-Wolfenbüttel, che nel 1727-28 trascorse diversi mesi studiando con Bach a Lipsia. La signora Bach trasse delle copie, tanto dei soli per violino che per violoncello, in un singolo manoscritto a due parti
40 nel quale la «Pars 2» reca il titolo scritto da Schwanenberger: «6 Suites a Violoncello Solo senza Basso composes par S.r J.S. Bach. Maitre de Chapelle»- L’uso del titolo di corte di Cöthen, invece di altri, conferma che l’opera venne davvero completata lì, e non più tardi a Lipsia. La copia delle suite per violoncello di Anna Magdalena e le prime altre copie manoscritte mostrano un certo numero di discrepanze interne, indicatrici del fatto che l’autografo perduto potrebbe non essere stato una bella copia calligrafica paragonabile a quella tramandataci per i soli per violino. Questo, a sua volta, fa ritenere che Bach non abbia avuto il tempo di preparare una bella copia prima di lasciare Cöthen e non abbia poi trovato il modo di farlo a Lipsia. Dalle copie secondarie si evince che all’occasione apportò probabilmente qua e là delle piccole aggiunte e delle modifiche minori. Ma il destino della partitura autografa resta completamente incerto. Era probabilmente identica a un manoscritto perduto che appartenne a Carl Philipp Emanuel Bach.41 Quel particolare manoscritto deve essere stato il modello per la copia fatta a un certo momento dopo il 1757 da Johann Nicolaus Schober, copista della cappella di corte di Berlino, che copiò gran parte della biblioteca di Bach prima della sua partenza per Amburgo nel 1768. La copia di Schober costituì anche la base per la trasmissione del manoscrittocon ogni verosimiglianza tramite Jean-Pierre Duport (1741-1818), dal 1773 violoncellista presso la corte prussianache culminò infine con la prima edizione pubblicata a Parigi intorno al 1824.42

Considerando che Bach era noto soprattutto come un’autorità nel campo dell’organo e del clavicembalo, è decisamente degno di nota il fatto che i suoi soli per violino e violoncello fossero largamente diffusi prima del 1800, malgrado il numero relativamente esiguo di una ventina di copie manoscritte giunte fino a noi. I soli per violino apparvero a stampa nel 1801-2, quasi contemporaneamente alla prima edizione del Clavicembalo ben temperato. Entrambe le raccolte furono pubblicate allo stesso tempo da Simrock a Bonn e dal suo distributore a Parigi, mentre le suite per violoncello furono date alle stampe due decenni più tardi.

All’epoca, l’abilità e la conoscenza di Bach nell’ambito degli strumenti ad arco è soprattutto documentata dalle due raccolte di soli. La testimonianza del 1774 di Carl Philipp Emanuel Bach illumina il contesto:

Conosceva alla perfezione le possibilità di tutti gli strumenti ad arco. Ne sono una prova i suoi soli per il violino e il violoncello senza basso. Uno dei più grandi violinisti mi disse una volta di non aver mai visto niente di più perfetto per apprendere a diventare un buon violinista e di non poter raccomandare nulla di più adatto dei suddetti soli per violino senza basso a chiunque fosse desideroso di imparare.43

Anche se il figlio di Bach menziona specificatamente il fatto che suo padre suonasse sia il violino che la viola, non fa esplicito riferimento al violoncello. Ma il fatto che Bach si occupasse intensivamente e per lungo tempo di diversi strumenti a quattro e cinque corde, e che li maneggiasse e suonasse in varie posizioni, è chiaramente riflesso nei due libri di soli non accompagnati. La frase «conosceva alla perfezione le possibilità di tutti gli strumenti ad arco» sottolinea inoltre in modo particolare la sua profonda conoscenza di questi strumenti e di come utilizzarli nel modo più efficace. La dichiarazione di Carl Philipp Emanuel risulta perfino alquanto riduttiva, dato che dal punto di vista tecnico ed estetico i due libri di soli non accompagnati raggiungono una soglia mai più superata.

Carl non nomina il musicista definito nel passo sopracitato come «uno dei più grandi violinisti», ma i candidati plausibili sono solo tre. Uno è il Conzertmeister berlinese Johann Gottlieb Graun (1703-1771), che era alla guida della cappella prussiana quando Carl vi assunse il suo ingaggio nel 1740. Anche Johann Sebastian conosceva Graun, un brillante allievo sia di Johann Georg Pisendel a Dresda che di Giuseppe Tartini a Padova, e mandò suo figlio Wilhelm Friedemann a prendere lezioni da lui. È praticamente inconcepibile che Graun non fosse a conoscenza dei soli per violino. Un’altra possibilità potrebbe essere il musicista di corte berlinese Franz Benda (1709-1786), un allievo di Graun e a sua volta eccellente violinista nonché amico di Carl. Il terzo candidato è il brillante virtuoso Johann Peter Salomon (1745-1815) di Bonn, che nel 1765 venne ingaggiato dal principe Enrico di Prussia come Conzertmeister dei suoi ensemble di Rheinsberg e Berlino. Emanuel Bach lo conosceva bene da quel periodo e si tenne in contatto con lui anche dopo essersi trasferito ad Amburgo.44 A prescindere da chi Carl avesse in mente, l’enfatica caratterizzazione dei soli per violinoe per analogia di quelli per violoncellocome «niente di più perfetto per apprendere» si riferisce al loro impareggiabile valore didattico. Potrebbe non essere una coincidenza il fatto che il frontespizio delle sopraccitate prime edizioni di questi soli per violino e violoncello, entrambe basate su manoscritti settecenteschi della cerchia berlinese di Bach, facessero rispettivamente allusione ai termini «studio» ed «études», riaffermando in tal modo l’uso di questi lavori a fini didattici. Le prime due copie dei soli per violino effettivamente puntano già in questa direzione. Una fu approntata da un copista di Cöthen nel 1720, o poco dopo, a uso della cappella principesca, e l’altra fu trascritta nel 1723 dallo studente della Thomasschule Johann Andreas Kuhnau per gli ensemble di Bach a Lipsia.45 Sembrerebbe che il compositore-esecutore presentasse questi soli di estrema difficoltà agli strumentisti ad arco con cui lavorava, a prescindere dal loro livello di abilità, nello stesso modo in cui proponeva ai suoi studenti di organo e clavicembalo dei materiali didattici estremamente impegnativi. Non erano dei semplici esercizi su cui formare le proprie capacità tecniche, ma anche raffinate creazioni atte a impegnare la mente e l’anima, esemplari ineguagliabili che dimostravano come tecnica e arte possano fondersi e diventare un tutt’uno.

La scarsa documentazione in merito alle esecuzioni di questi soli non deve portare a delle conclusioni errate. Presso la corte principesca di Cöthen o al Collegium Musicum di Lipsia devono esserci state numerosissime occasioni di eseguirli. Sicuramente il brillante violinista Joseph Spieß, Conzertmeister dell’ensemble di Bach a Cöthen, o il suo amico Johann Georg Pisendel, violinista di Dresda,per non parlare dello stesso compositoredevono aver eseguito un solo in questa o quella occasione. E siamo anche certi del fatto che nel corso di più di un decennio, nei suoi concerti a Berlino e altrove, il virtuoso Salomon fosse solito eseguire regolarmente i soli per violino. Il Capellmeister prussiano Johann Friedrich Reichardt ricorda nelle sue memorie un evento che risale al periodo di Carnevale del 1774 a Berlino:

L’artista più interessante che incontrai fu l’eccellente violinista Salomon. Grazie a lui conobbi per la prima volta i magnifici soli per violino senza accompagnamento di Seb. Bach, nei quali la composizione è spesso sviluppata a due o tre voci, ma anche a una sola voce ricolma di mirabile invenzione, sì da far apparire superfluo ogni ulteriore accompagnamento. Il grande vigore e la sicurezza con cui Salomon eseguì questi capolavori mi diedero una nuova spinta a perfezionare l’esecuzione polifonica al violino, cosa che ho praticato a lungo con passione.46

Nel 1781 Salomon si trasferì, via Parigi, a Londra, dove trascorse il resto della propria vita. Ma continuò a eseguire i soli di Bach, come riportato da Ernst Ludwig Gerber nel 1790:

Germania e Inghilterra unanimemente si vantano di questo grande maestro del violino. Sa eseguire un Adagio e un Allegro con uguale abilità. Si dice che suoni al violino, con precisione e sentimento, perfino delle fughe di Johann Sebastian Bach.47

Da notare qui il riferimento all’esecuzione espressiva delle fughe, un’indicazione in merito all’affascinante stile esecutivo di Salomon. Nel 1819, quattro anni dopo la sua morte, una relazione sulla musica in Inghilterra riporta che «era uno dei pochi ancora capaci e disposti a eseguire i famosi soli di Sebastian Bach»48implicando che oltre a lui ve ne erano stati altri e che dunque, dopo la loro composizione da parte di Bach, questi lavori furono davvero eseguiti per tutto il corso del secolo successivo. Purtroppo non esiste alcuna informazione del genere che documenti le prime esecuzioni delle suite per violoncello.

Per quanto concerne la loro costruzione formale, le due raccolte mostrano un approccio ugualmente originale. Il Primo libro (si veda la Tabella 3-4) si focalizza sulla giustapposizione contrastante di due generi distinti, alternando sonate a quattro movimenti e suite strutturate in modo assai irregolare alla maniera della partita49 italiana, includendo movimenti quali Preludio, Allemanda, Corrente, Sarabanda, Borea e Giga. Le sonate e partite del Primo libro non formano due gruppi separati costituiti da tre brani ciascuno; si alternano, invece, come sottolineato dalla loro numerazione originale, riconoscendo in un certo qual modo uguali diritti ai due generi strumentali predominanti. Per le sonate Bach preferì il genere corelliano articolato in quattro movimenti (lento-veloce-lento-veloce), con una concezione polifonica di tutti i primi tre movimenti, mentre i quarti movimenti sono costituiti da rapidi finali monofonici. I secondi movimenti hanno una scrittura fugata, e i terzi movimenti, dal carattere marcatamente lirico, sono composti in una tonalità relativa. All’interno del ciclo dei quattro movimenti della sonata, ogni singolo movimento si caratterizza per un profilo estremamente individuale. Nel loro ruolo particolare, i movimenti fugati fungono da composizioni esemplari di polifonia imitativa, sebbene molta della condotta delle vocida eseguire con doppie e triple corde e con accordi arpeggiatinon sia sostenibile e possa creare solo l’illusione di una rigorosa polifonia a tre e quattro voci. Esposizioni di motivi tematici chiaramente articolati, lo sviluppo di motivi derivati essenzialmente dai soggetti fugati e interludi costituiti da figurazioni libere si alternano tra loro, stabilendo le strutture formali di autentiche fughe.

Tabella 3-4 Sei sonate e partite per violino solo

sonata 1
in sol min.
bwv 1001

partita 1
in si min.
bwv 1002

sonata 2
in la min.
bwv 1003

partita 2
in re min.
bwv 1004

sonata 3
in do magg.
bwv 1005

partita 3
in mi magg.
bwv 1006

Adagio

Allemanda

Grave

Allemanda

Adagio

3/4

Preludio

3/4

Fuga

C

Double

C

Fuga

2/4

Corrente

3/4

Fuga

C

Loure

6/4

Siciliana
(Si magg.)

12/8

Corrente

3/4

Andante
(Do magg.)

3/4

Sarabanda

3/4

Largo
(Fa magg.)

Gavotte en
Rondeau


C

Presto

6/8

Double

3/4

Allegro

C

Giga

12/8

Allegro assai

3/4

Menuet i

3/4

Sarabande

3/4

Ciaccona

3/4

Menuet ii

3/4

Double

9/8

Bourrée

2

Tempo di Borea

C

Gigue

6/8

Double

C

In contrasto con le sonate, le tre partite non sono accomunate dalla medesima sequenza di movimenti né seguono alcuno schema convenzionale. Da questo punto di vista, in virtù della loro libera scelta dei movimenti, le partite per violino si differenziano in modo significativo anche dalle suite per tastiera bachiane. Nel desiderio di trovare soluzioni uniche nel loro genere e di evitare ogni tratto di uniformità, Bach conferì a ciascuna partita una sua propria struttura e un numero diverso di movimenti. La Prima Partita propone quattro tipi di danze, ciascuna con un movimento basato sulla variazione. Solo la Seconda Partita presenta la tipica sequenza di base allemanda-corrente-sarabanda-giga, ma al posto delle danze inserite dopo la sarabanda c’è una grandiosa ciaccona conclusiva. La Terza Partita, infine, comincia con un preludio di proporzioni considerevoli, seguito da una sequenza di cinque danze mai realizzata altrove. In contrasto con il metodo usato nelle sonate, le trame di accordi generati da doppie e triple corde non servono qui allo scopo di sottintendere una polifonia contrappuntistica, ma presentano invece una grande varietà di accentuazioni e inflessioni armoniche poste al servizio dei diversi schemi ritmici che caratterizzano i vari tipi di danza e potenziandone la forza espressiva.

Nell’ambito delle partite, l’unica Ciaccona si distingue da ogni punto di vista, non solo perché si tratta di un movimento senza pari nel complesso dell’opera strumentale bachiana, ma anche per la sua semplice lunghezza, di ben 257 misure, e soprattutto per il suo ineguagliato ed estremo virtuosismo.50 Questa struttura imponente consiste in 64 variazioni su un basso ostinato costituito da otto note. È un esercizio che combina in modo magistrale disciplina formale e fantasia creativa e che giustappone effetti esteriori a eloquenti momenti d’introspezione. La Ciaccona, non solo come apogeo della raccolta, ma anche in quanto rappresentativa di tutta l’opera, costituisce l’esempio ideale del compito in apparenza impossibile acutamente descritto da Johann Friedrich Reinhardt nel 1805 con la sua felice metafora del grande maestro capace di «spostarsi liberamente e con risolutezza pur essendo in catene».51

Il Secondo libro contiene sei soli per violoncello e si concentra esclusivamente sulle suite (si veda la Tabella 3-5). Segue da vicino la disposizione delle Suite inglesi, non solo nella scelta tipologica «avec prélude» e nell’uso costante di movimenti d’apertura molto definiti e di gighe finali prominenti, ma anche perché in tutte le suite Bach inserisce sistematicamente delle coppie di minuetti, di bourrées e di gavotte tra la sarabanda e la giga. Nel suo complesso, questa serie presenta la disposizione di movimenti più regolare e coerente fra tutte le raccolte bachiane di suite strumentali. Eppure la struttura e il fascino dei singoli movimenti riflettono i notevoli risultati ottenuti dal compositore nella sua ricerca di soluzioni a un problema mai affrontato prima: quello di fare in modo che un singolo violoncello possa riprodurre in maniera idiomatica le caratteristiche specifiche di una varietà di generi compositivi, evitando nel contempo la sensazione che gli manchi qualcosa. Da questo punto di vista il Preludio arpeggiando della Prima Suite in Sol maggiore, BWV 1007, può essere inteso come una risposta in termini violoncellistici al primo preludio in Do maggiore del Clavicembalo ben temperato e al gesto d’apertura del Preludio della Suite in Do maggiore, BWV 1009, con la sua ampia scala di due ottave da Do4 a Do2, una dimostrazione che il violoncello può facilmente eseguire l’intera gamma delle note musicali.

Tabella 3-5 Sei suite per violoncello solo

suite 1
in sol magg.
bwv 1007

suite 2
in re min.
bwv 1008

suite 3
in do magg.
bwv 1009

suite 4
in mi magg. bwv 1010

suite 5
in do min.
bwv 1011
discordable

suite 6
in re magg.
bwv 1012
a cinque cordes

Prélude

3/4

3/4

C

C-3/8

12/8

Allemande

C

C

C

Courante

3/4

3/4

3

3/4

3/2

3/4

Sarabande

3/4

3/4

3/4

3/4

3/4

3/2

Menuet i

3/4

3/4

Bourrée i

C

Bourrée i

C

Gavotte i

C

Gavotte i

C

Menuet ii

3/4

Menuet i

3

Bourrée ii

C

Bourrée ii

Gavotte ii

C

Gavotte ii

2

Gigue

6/8

Menuet ii

3/8

3/8

12/8

3/8

6/8

In considerazione dei parametri della tecnica violoncellistica, Bach usò le doppie e triple corde con più moderazione rispetto ai soli per violino. Per esempio, la sezione fugata del Preludio della Quinta Suite (la sola fuga delle suite per violoncello) consiste in una linea monofonica con il soggetto chiaramente articolato secondo le regole della fuga: quindi nell’esposizione il soggetto è sulla tonica e la risposta alla dominante. Ma il soggetto non si connette mai a un contrappunto, come è sempre il caso nel trattamento a corde multiple delle fughe violinistiche: con ingegno e abilità, Bach trasformò invece la partitura verticale in una lineare. D’altra parte, ricorse brillantemente a una scrittura a corde doppie in un certo numero di movimenti di danza, in particolare nelle sarabande di cinque su sei suite. Per contrasto, l’eccezionale Sarabanda della Quinta Suite in Do minore, incorniciata dalla scrittura accordale della Courante e della Gavotte, presenta una melodia insolitamente intima e melanconica, da cui scaturisce la versione più astratta e coinvolgente di questa austera danza per strumento solo mai concepita da Bach (Fig. 3-8). La linea melodica maschera l’onnipresente struttura ritmica della sarabanda con il suo accento sul secondo tempo, il tipico passo della sarabanda, occultandolo costantemente tramite la semiminima apparentemente dislocata alla fine delle prime due misure in entrambe le sezioni del brano. Il secondo tempo sembra essere stato smussato per tutto il corso del movimento. Ma vi è chiaramente l’intenzione di conferirgli una certa enfasi tramite le appoggiature inferiori e superiori.

L’arrangiamento simmetrico del secondo tempo con i semitoni Si2-Do3, Mi3-Fa3, Mi3-Fa3, Si2-Do3 nelle prime quattro misure illustra una strategia ritmico-melodica straordinariamente sottile ed efficace. Nel loro complesso le suite per violoncello propongono delle illustrazioni particolarmente fantasiose e sensibili dei diversi tipi di danza, con le loro variegate e peculiari sfumature emotive, il tutto nell’ambito di un idioma musicale che né uno strumento a tastiera né un violino potrebbero mai emulare.

Figura 3-8a Sarabanda dalla Suite in Do minore per violoncello solo,
BWV 1011/4: copia A.M. Bach (1728 circa), dettaglio.

Figura 3-8b Sarabanda dalla Suite in Do minore per violoncello solo, BWV 1011/4: copia di uno scrivano berlinese che collaborava con J.N. Schober
(dopo il 1759), dettaglio.

Un ulteriore aspetto del Secondo Libro riguarda delle indicazioni particolari previste nelle ultime due suite, rispettivamente «discordable» e «à cinque cordes». Nella Suite in Do minore lo strumento deve essere accordato discordable in scordaturauna tecnica che si trova più frequentemente applicata al violino e che implica un’alterazione dell’accordatura convenzionale. In questo caso la scordatura richiesta indica un cambiamento rispetto all’usuale accordatura del violoncello da Do2-Sol2-Re3-La3 a Do2-Sol2-Re3-Sol3. Questa deliberata scordatura mirava a semplificare l’esecuzione di alcuni passaggi e contribuisce alla creazione di effetti sonori particolari.

La Suite in Re maggiore, in base all’indicazione «à cinque cordes», richiede l’uso di uno strumento a cinque corde con una corda in Mi4 sopra la regolare corda in La3. Il frequente ricorso alla chiave di contralto e persino di soprano indica che Bach aveva in mente uno strumento diverso da quello inteso per le altre cinque suite. Si trattava assai probabilmente di un violoncello di dimensioni minori, designato in tre modi diversi: violoncello piccolo, viola da basso52 e viola pomposa, la cui «invenzione» è stata specificamente attribuita a Bach.53 A differenza del violino, il violoncello poteva avere diverse misure e configurazioni e la sua standardizzazione sarebbe avvenuta solo più tardi nel xviii secolo. La variegata gamma di strumenti a corda dal registro grave di medie e ampie proporzioni richiedeva inoltre talvolta delle particolari posizioni esecutive, come nel caso della viola da braccio, che andava posta sul braccio, o della viola da spalla, legata alla spalla tramite un laccio. Gli strumenti orientati verticalmente venivano suonati con la presa dell’arco da sopra o da sotto. La collezione privata di strumenti di Bach comprendeva tre viole, un «Bassetgen» (violoncello piccolo o viola pomposa) e due violoncelli,54 il che non fornisce una risposta alla questione di quale strumento avesse in mente per le sue ultime due suite, ma che rispecchia la varietà, tipica per l’epoca, degli strumenti dal registro grave. La partitura delle suite per violoncello fa pensare che Bach intendesse adattarsi a una situazione fluida, senza essere prescrittivo. Di conseguenza, alla luce dell’osservazione di Carl Philipp Emanuel Bach secondo cui il padre «conosceva alla perfezione le possibilità di tutti gli strumenti ad arco», le due suite speciali alla fine del Secondo Libro ampliano la versatilità della raccolta, in modo tale che, considerati insieme, il Primo e il Secondo libro si rivolgono davvero ai suonatori di «tutti gli strumenti ad arco». Da molti punti di vista questo duttile progetto per archi richiedeva effettivamente lo stesso tipo di flessibilità nota a Bach dalla sua esperienza con gli strumenti a tastiera, ossia la necessità di dominare parimenti organi, clavicembali e clavicordi, per non parlare del «Lautenclavier» (una variante del clavicembalo con corde di budello invece che di metallo).

Bach scrisse solo un altro lavoro appartenente al genere per strumento non accompagnato, il «Solo pour la flûte traversière» in La minore, BWV 1013 (Allemande-Courante-Sarabande-Bourrée Anglaise). Curiosamente, la sua sola e unica fonte forma un’appendice al soprammenzionato manoscritto55 di Cöthen dei soli per violino. La tempistica suggerisce che componendo un brano per flauto traverso il compositore intendesse rendere edotto se stesso, e i musicisti che lavoravano al suo fianco, delle possibilità di un nuovo strumento appena apparso all’orizzonte. Nella produzione bachiana il flauto traverso fa la sua prima apparizione nel Quinto concerto brandeburghese e nelle cantate celebrative «Durchlauchtster Leopold», BWV 173.1, e «Erwünschtes Freudenlicht», BWV 184.1. Bach, tuttavia, non fece un uso costante del flauto traverso che a partire dalla primavera del 1724, ma a quel punto pare che non avesse né il tempo né l’interesse di arricchire i due libri di soli per violino e violoncello con ulteriori lavori per strumenti a fiato non accompagnati. Lasciò questo compito al suo amico e collega Georg Philipp Telemann, che finì col pubblicare tre raccolte di dodici «Fantasies… sans Basse» a più movimenti per flauto traverso (1733), violino (1735) e viola da gamba (1736).

In contrasto con Telemann, che nelle sue fantasie per strumento solo diede vita a creativi abbinamenti di movimenti nello stile delle sonate e delle suite, Bach non fece alcun tentativo di mescolare i generi. Aderì rigorosamente ai formati e alle convenzioni dei generi tradizionali, ma instillandovi, quando opportuno, la sua onnipresente cifra stilistica rappresentata dalla polifonia contrappuntistica. Il prodigioso empirismo bachiano nei confronti della tastiera aveva chiaramente forgiato un senso di Vollstimmigkeit («polifonia onnipresente»; si veda Prologo). Questo arricchimento pervasivo della trama costruttiva e del suono, che andò ben oltre quanto avveniva comunemente nelle fughe e nelle forme contrappuntistiche rigorose, ebbe un profondo influsso sul suo approccio di rimodellamento ed espansione delle possibilità di scrittura per archi. Consapevole delle limitazioni proprie a degli strumenti ad arco a quattro e cinque corde, Bach forgiò un’idiomatica e inedita maniera esecutiva polifonica. In questo contesto, alcuni arrangiamenti più tardi dei soli per archila Sonata per clavicembalo, BWV 964, basata su BWV 1003, la Suite per liuto, BWV 995, basata su BWV 1011, e la Sinfonia della Cantata BWV 29/1, basata su BWV 1006/1 rappresentano degli esempi illuminanti riguardo ai legami interni che uniscono le differenti realizzazioni dello stesso brano musicale. L’ex allievo di Bach Johann Friedrich Agricola affrontò esattamente questa questione, e il principio generale della Vollstimmigkeit, quando nel 1775, a proposito dei soli, osservò che

il loro autore li eseguiva spesso di persona al clavicordo, aggiungendovi tutta l’armonia che riteneva necessaria. Nel fare questo riconosceva la necessità di un’armonia risonante che non avrebbe potuto ottenere in altro modo in questo genere di composizione.56

Nella raccolta di soli per archi, la ricerca di una polifonia onnipresenteevocata per mezzo di omissioni e illusioni acustichenon solo implicava una trama accordale e polifonica, ma richiedeva anche l’uso di linee singole ampliate intese a suggerire delle armonie verticali, tanto consonanti quanto dissonanti. Nel 1771 l’allievo di Bach Johann Philipp Kirnberger rilevò alcune delle difficoltà tecniche inerenti a questa impresa particolare:

Scrivere una semplice melodia senza il benché minimo accompagnamento, in modo tale che per quanto concerne l’armonia sia impossibile aggiungere un’altra voce senza commettere errori, a prescindere dal fatto che la voce aggiunta risulterebbe goffa e priva di ogni cantabilità. Di J.S. Bach abbiamo, in questo stile, sei sonate per violino e sei [suite] per violoncello, tutte senza accompagnamento.57

I due libri di soli per violino e violoncello portano ad altezze impareggiabili tanto il livello della composizione che quello dell’esecuzione. In linea con la loro costruzione singolare, la potenzialità polivalente e la varietà di caratteri espressivi, sul piano concettuale le due raccolte traggono beneficio dall’esperienza collettiva acquisita con l’Orgel-BüchleinIl clavicembalo ben temperatoLa guida veridica e le due raccolte di suite per tastiera. Incentrandosi particolarmente sul violino e sul violoncello, queste raccolte definiscono una cornice straordinariamente completa per la polifonia strumentale, che prende in considerazione la gestione compositiva idiomatica sia dei registri superiori che gravi, la loro ampia gamma timbrica e l’estrema varietà delle loro modalità espressive.

sei concerti per diversi strumenti

Per notevole che fosse, l’opus divulgato sotto il nome di Concerti brandeburghesi rimase isolato e senza alcuna eco per lunghissimo tempo. La raccolta dei sei concerti esisteva esclusivamente nell’unica partitura che Bach aveva preparato per il margravio Christian Ludwig di Brandeburg-Schwedt (1677-1734), fratello del primo re di Prussia, cui l’opera era dedicata. In seguito alla morte del margravio nel 1734, le composizioni giacquero per generazioni sugli scaffali di diverse biblioteche fino alla loro prima pubblicazione in occasione del centenario di Bach nel 1850.58 Bach aveva naturalmente conservato a proprio uso i materiali per l’esecuzione di tutte e sei le opere. Ma è probabile che non li abbia custoditi come una raccolta a parte, ragione per cui nel catalogo del necrologio del 1750 finirono con l’essere inseriti insieme a numerosi altri lavori sotto la voce «Infine, moltissimi altri pezzi strumentali, di ogni specie e per ogni sorta di strumenti» (si veda la Tabella 1-1).

I sei brani che Bach selezionò per il margravio nel 1721 designandoli come «Six Concerts aver plusieurs instruments» (sei concerti per più strumenti), che non rientrano nelle tradizionali tipologie di concerti e concerti grossi, furono raggruppati come una serie di concerti con varie combinazioni di strumenti solistici (Tabella 3-6). A quanto pare, appartenevano a un gruppo più ampio di singoli concerti di diversi generi risalenti agli anni di Weimar e Cöthen, un repertorio che non esiste più in quanto tale, cosa che ne impedisce una descrizione più dettagliata.59 Inoltre, dal momento che non è rimasta alcuna partitura di lavoro dei Concerti brandeburghesi, la loro data di composizione non può essere stabilita con certezza. Disponiamo di qualche indizio cronologico per due di essi, il BWV 1046 e il BWV 1050. Il Primo concerto esiste in una versione leggermente più breve in tre movimenti (Allegro-Adagio-Minuetto con due Trii) che originariamente fungeva da suite di apertura (BWV 1046.1) per la cantata La caccia, BWV 208. Quest’ultima fu commissionata dalla corte di Sassonia-Weißenfels ed eseguita come una serenata nel febbraio del 1713 presso il casino di caccia del duca Christian, in occasione del suo compleanno (ed eseguita nuovamente a Weimar nel 1716). Per quanto concerne il Quinto concerto, sono rimaste delle parti autografe databili intorno al 1720, che vennero utilizzate nel corso degli anni quaranta. La data antecedente suggerisce che l’origine del brano fosse probabilmente legata alla visita di Bach a Berlino nella primavera del 1719, quando andò a ritirare un nuovo strumento fabbricato dal costruttore berlinese di clavicembali Michael Mietke. Il viaggio potrebbe anche aver creato l’occasione di un incontro con il margravio e la sua orchestra privata, un plausibile antefatto alla dedica del 1721.

Tabella 3-6 Six Concerts avec plusieurs instruments (Concerti brandeburghesi)

concerto 1
in fa magg.
bwv 1046

concerto 2
in fa magg.
bwv 1047

concerto 3
in sol magg.
bwv 1048

concerto 4
in sol magg.
bwv 1049

concerto 5
in re magg.
bwv 1050

concerto 6
in si magg.
bwv 1051

cor da caccia,* ob i-iii, fg, vl picc; vl i-ii, vla, bc

trb, fl, ob, vl princ; vl i-ii, vla, bc

vl i-iii, vla i-iii, vlc i-iii, bc

rec i-ii, vl princ; vl i-ii, vla, bc

fl, vl princ, cemb conc; vl i-ii, vla, bc

vl  i-ii, vlc, vla da gamba i-ii, vne/vlc, bc

[Allegro]

C

[Allegro]

C

[Allegro]

C

Allegro

3/8

Allegro

C

[Allegro]

C

Adagio
(Re min.V)†

3/4

Andante
(Re min.)

3/4

Adagio
(Mi min.V)

Andante
(Mi minV)

3/4

Affettuoso
(Si min.)

Adagio ma non tanto
(Mi magg.V)

3/2

Allegro

6/8

Allegro assai

2/4

Allegro

12/8

Presto

C

Allegro

2/4

Allegro

12/8

Menuet
-Trio
(Re min.)

3/4
3/4

Polonaise
(Fa magg.)
-Trio
(Fa magg.)

3/8

2/4

*Abbreviazioni strumenti

bc = basso continuo; fg = fagotto; cemb conc = cembalo concertante; cor da caccia = corno da caccia); fl = flauto; rec = flauto dolce; ob = oboe; trb = tromba; vla = viola; vlc = violoncello; vl = violino;
vl picc = violino piccolo (accordato una terza min. più in altro rispetto al violino); vl princ = violino principale; vne = violone.

† Il v in apice indica le cadenze che si risolvono alla dominante. Quattro movimenti centrali si concludono con delle cadenze frigie che risolvono sul v grado. Per quello del Concerto n. 2 viene indicata soltanto una cadenza. Nel Sesto concerto il movimento è in Mi bemolle magg., ma la cadenza frigia è in Re (v di Sol).

La perdita delle fonti di Weimar e Cöthen rende impossibile valutare la grandezza, per non parlare della natura, del repertorio concertistico il cui nucleo è costituito dai Concerti brandeburghesi. Ciascuno dei Concerti richiede un ensemble di strumenti solistici appositamente configurato, combinando in modi diversi e distinti gli archi, gli ottoni, i fiati e il clavicembalo. Non esisteva alcuna opera equivalente quanto a fantasia combinatoria, sebbene prima del 1721 l’amico e collega di Bach Georg Philipp Telemann avesse composto dei concerti per ensemble misti di archi e fiati solisti. Questi videro la luce durante i periodi trascorsi da Telemann a Eisenach e a Francoforte e i due compositori erano sicuramente a conoscenza delle linee generali assunte dalle reciproche produzioni.

Perfettamente al corrente della tipologia e della gamma complessiva dei concerti e delle raccolte pubblicate nella sua epoca, Bach perseguì una strategia nuova e oltremodo originale, selezionando dal repertorio a sua disposizione sei concerti diversi e sostanzialmente senza eguali e riunendoli in modo da formare una raccolta. In origine tali lavori non erano stati concepiti con questa intenzione, ma vennero riuniti di proposito a questo scopo solo in un momento successivo. Eppure, nella sua unicità, la raccolta presentata al margravio del Brandeburgo assomiglia alle raccolte affini, risalenti all’epoca di Cöthen, dei due libri di soli per violino e violoncello, del Clavicembalo ben temperato e delle Invenzioni e Sinfonie.

Un fattore che contribuì alle variegate combinazioni strumentali dei Concerti brandeburghesi fu sicuramente la formazione ed esperienza di Bach come organista, con una predilezione per attivare e mescolare i registri in modo da utilizzare a fini espressivi il ricco e vario potenziale dell’organo, soprattutto nei preludi corali. La tendenza in questa direzione divenne evidente nella maniera flessibile e insolita in cui furono strumentate alcune delle sue cantate di Weimar. Ne sono un esempio la Cantata BWV 18, con la sua sinfonia per quattro viole e basso continuo caratterizzata da un registro grave, un effetto che si ripresenta in modo simile nel Sesto concerto brandeburghese, e la Cantata BWV 152 con la sua sinfonia policroma in cui flauto dolce, oboe, viola d’amore, viola e continuo si combinano in modo analogo a quanto avviene con i quattro diversi strumenti solisti del Secondo concerto brandeburghese. Se la collezione per il margravio doveva dimostrarsi allaltezza della sua intitolazione «per più strumenti», Bach non avrebbe potuto creare una gamma più variegata di strumenti solistici, in aggiunta alla consueta integrazione essenziale di archi di ripieno: violino piccolo, violino, viola, violoncello e viola da gamba; corno da caccia e tromba; flauto dolce, flauto traverso e oboe; e clavicembalo. Come lensemble musicale a servizio del margravio avrebbe mai potuto realizzare le indicazioni di Bach, è poi tutta unaltra questione.

La pura e semplice quantità di strumenti differenti rappresenta solo una faccia delle medaglia. Le varie combinazioni strumentali all’interno di ogni concertotalvolta diverse a seconda dei singoli movimenticontribuiscono a definirne la struttura formale. Per esempio, due concerti il cui organico è formato da un ensemble di soli archi presentano gruppi solistici assai diversi: la partitura a dieci parti del Terzo concerto brandeburghese sovrappone a un basso continuo tre gruppi affiancati formati da tre violini, tre viole e tre violoncelli, dando vita alla relazione concertante di tre trii dai registri differenti. D’altra parte la partitura a sei parti del Sesto concerto brandeburghese giustappone due concertini caratterizzati da suoni contrastanti della famiglia degli archi, due viole e un violoncello (archi «moderni») e due viole da gamba e violoni (viole della vecchia scuola). Similmente, il Quarto concerto brandeburghese combina due principi solistici all’interno di una singola composizione giustapponendo a episodi alternati l’idea del concerto grosso a quella del concerto solistico: il concertino a tre parti costituito da due flauti dolci o «flauti d’echo» (strumenti 4’)60 e un violino (strumento 8’) come «bassetto» contrasta fortemente con l’ampio ruolo solistico attribuito al violino, cui viene affidata una parte virtuosistica dominante e complessa che non trova eguali in alcun altro concerto per violino di Bach.

Nel Quinto concerto brandeburghese l’uso innovativo del clavicembalo concertante, primo esempio di un utilizzo simile nella storia, risulta in un’analoga forma ibrida che combina un concertino costituito da flauto traverso, violino e clavicembalo con la parte solistica e dominante del clavicembalo. Il movimento centrale presenta gli strumenti del concertino (senza accompagnamento del ripieno) in perfetto equilibrio fra loro, mentre nell’ampia cadenza del movimento d’apertura il clavicembalo ha decisamente un ruolo preponderante. Eppure solo la versione del concerto nella partitura del margravio presenta degli sbilanciamenti nel senso delle proporzioni. Nella partitura con dedica del 1721 Bach sostituì la cadenza originale di diciassette battute della precedente versione del concerto61 con una nuova cadenza di 78 misure allo scopo di impressionare il dedicatario e sottolineare le capacità virtuosistiche del compositore; dal momento che la cadenza costituisce un terzo dell’intero movimento, questa aggiunta va ovviamente a scapito dell’equilibrio complessivo e fu forse apportata sottovalutandone l’impatto estetico sull’insieme.

Il Secondo concerto brandeburghese presenta l’insolita combinazione di quattro strumenti in chiave di Sol rappresentanti le quattro famiglie orchestrali degli ottoni, flauti, legni ad ancia e archi. Ma è il Primo concerto brandeburghese a presentare l’ensemble più vasto: mette in opposizione tra loro le tre contrastanti famiglie strumentali (un effetto presente anche nella cantata BWV 208) utilizzando due corni da caccia, tre oboi e un fagotto oltre all’intera gamma degli archi, su cui torreggia il violino piccolo. Il minuetto pluripartitico nell’ultima parte del concerto riassume efficacemente le opzioni differenziando le tre sezioni del trio, orchestrandole rispettivamente per due oboi e fagotto, tre archi, e due corni con una parte di «basso» affidata agli oboi all’unisono. Il concerto dimostra il raffinatissimo e innovativo gusto per la strumentazione di Bach, un elementoancora una volta legato alla sua esperienza come organistaparticolarmente efficace nelle ultime quattro misure conclusive del secondo movimento, che termina con una semicadenza in Re minore, la tonalità d’impianto del movimento. La linea cadenziale discendente del basso (Re3-Do3-Si bemolle2-La2) si sviluppa gradualmente in piano e con tre accordi per misura, presentati con sfumature contrastanti di colori strumentali alternati; gli strumenti si riuniscono con decisione in forte nell’accordo finale di La maggiore:

Esempio 3-1 Adagio, BWV 1046/2: suoni contrastanti e armonie complementari

L’orchestrazione fantasiosa della cadenza finale di questo Adagio non rappresenta che un esempio del magistrale dominio degli effetti orchestrali posseduto dal compositore, una prova di maestria che pone l’intera raccolta in una categoria a se stante nell’ambito del repertorio concertistico barocco. Il Primo concerto brandeburghese esibisce il proprio grado di innovazione fin dall’inizio, quando nelle battute 2-3 del primo movimento i due corni da caccia presentano dei ritmi contrastanti (tre terzine di ottavi) rispetto ai regolari quattro sedicesimi di tutti gli altri strumentiun brillante ed eclatante ricorso al richiamo disgiuntivo dei corni che cattura immediatamente l’attenzione. E Bach, forse uso a esibirsi di fronte a un pubblico in parte distratto e annoiato, aveva ben altro in serbo per galvanizzare l’attenzione degli ascoltatori. Per citare solo un esempio, nel rapido terzo movimento il virtuoso violino piccolo instaura dei dialoghi successivi con il primo corno, il primo oboe e il primo violino per poi arrestare improvvisamente, e a sorpresa, il movimento in tempo allegro tramite l’inattesa fermata su un accordo. Questo momento eccentrico e vertiginoso interrompe bruscamente lo scorrere della musica, che riprende in modo inaspettato con una breve e lirica cadenza in tempo adagio prima di tornare nuovamente all’allegro e completare l’ultimo terzo del movimento.

È vero che nella composizione di tutti i suoi concerti Bach aderì allo stile piuttosto standardizzato dei concerti della generazione di Vivaldi, e in particolare ai suoi principi basati sulla tonalità. Eppure i Concerti brandeburghesi, in quanto gruppo di brani eterogenei databili approssimativamente intorno agli anni 1713-20, rivelano una prospettiva unica su una delle fasi più formative del compositore. Questo periodo coincide con la scelta di Bach di immergersi più profondamente nel processo compositivo. Decise che non si sarebbe più concentrato innanzitutto sull’esecuzione e sui generi per tastiera, ma avrebbe iniziato a studiare e sperimentare nuovi tipi di concerti e a esplorare in modo sistematico le possibilità e potenzialità dell’orchestra. Fu un periodo in cui mise alla prova la propria immaginazione musicale e si sforzò di ottenere il controllo compositivo sul materiale musicale che aveva a disposizione, come anche sul suo sostrato teorico. I parametri essenziali del suo stile personale si formarono tramite un processo di apprendimento su «come pensare in modo musicale», per dirla con le parole utilizzate da Forkel nella sua biografia del 1802. L’idea del pensiero musicale62 si incentra innanzitutto su questioni di ordine (Ordnung) per quanto pertiene l’organizzazione del materiale musicale, coerenza (Zusammenhang), nel senso di interconnessione e continuità tra i pensieri musicali, e relazione (Verhältnis), ossia l’attenzione ai rapporti e alle correlazioni che uniscono gli elementi musicali. Di fatto, per Bach il pensiero musicale non era niente di meno che la consapevole applicazione di procedure generative e formative, la razionalizzazione meticolosa dell’atto creativo. La composizione di concerti incarnava questi principi apparentemente astratti più di qualsiasi altro genere musicale e per Bach si dimostrò il mezzo ideale per esaminare e sviluppare modalità convincenti di pensiero musicale. In breve tempo questo approccio informò anche altri generi e forme strumentali e vocali, incluse la fuga e l’aria.

Il ritornello nel primo movimento del Terzo concerto brandeburghese ne rappresenta un caso emblematico (si veda la Figura 3-9). Nel suo profilo ritmico-melodico rivela l’interazione di ordine, coerenza e relazione che definisce fondamentalmente il processo di sviluppo innescato da questo materiale iniziale: prima esponendolo, poi scomponendolo in unità più piccole e infine trasportandolo in altre tonalità. In tal modo il tema iniziale conferisce la propria identità musicale all’intero movimento, incluse le fondamenta di un piano tonale ben architettato (Sol maggiore-Mi minore-Si minore-Re maggiore-Sol maggiore) che include tuttavia numerosi ulteriori episodi di varietà armonica.

Figura 3-9 Allegro dal Concerto brandeburghese in Sol maggiore, BWV 1048/1: versione autografa in bella copia (1721).

I sei Concerti brandeburghesi rivelano in profondità la raffinata applicazione da parte di Bach delle modalità compositive del concerto, rese particolarmente attraenti e variate tramite la specifica orchestrazione di ogni opera. Oltre alla sua consueta integrazione di linee contrappuntistiche che arricchiscono la trama della partitura, inserì regolarmente ulteriori elementi di ancor più evidente matrice contrappuntistica, quali il trattamento imitativo dell’ornata melodia principale nell’Adagio del Primo concerto brandeburghese. Esempi ulteriori includono i densi passaggi imitativi nell’Andante alquanto polifonico del Secondo concerto brandeburghese, i moduli sequenziali di contrappunto doppio tra il basso continuo e il violino solista nell’Andante del Quarto e la costruzione fugale delle sezioni principali del suo movimento finale.

Curiosamente, dopo aver composto la serie dei Concerti brandeburghesi, con le sue numerose caratteristiche esemplari, Bach non tornò mai più a questo tipo di concerto per diversi strumenti, o almeno non in composizioni interamente originali. Dopo il 1730, e chiaramente in modalità di revisione, creò il Concerto in La minore, BWV 1044, orchestrato come il Quinto concerto brandeburghese con un triplice concertino costituito da flauto traverso, violino e clavicembalo, ma con un ripieno di archi a quattro invece che a tre parti. Da un certo punto di vista il BWV 1044 sopravanza il suo antecedente quanto a raffinatezza compositiva, specie nella parte solisticase possibile, ancor più potenteaffidata al clavicembalo. Ma tutti i suoi movimenti sono basati su musica precedente o ne fanno comunque ampio uso: il Preludio e Fuga BWV 894 per tastiera nel primo e terzo movimento e l’Adagio della Sonata BWV 527 per organo nel secondo movimento. Analogamente, verso la fine degli anni trenta Bach riarrangiò anche il Quarto concerto brandeburghesesostituendo la parte del violino solista con una parte per clavicembalo solo (si veda la Tabella 7-3).

Prime ripercussioni a Lipsia

Quando Bach assunse l’incarico di Cantor e direttore musicale a Lipsia, il numero di responsabilità e attività a lui affidate subì una drastica impennata. Non poteva più godere delle condizioni di lavoro relativamente flessibili che aveva conosciuto a Cöthen, dove la sua posizione gli aveva concesso ampia discrezionalità per perseguire progetti musicali non direttamente connessi ai doveri di Capellmeister. Tuttavia, nonostante gli estenuanti ritmi di lavoro riuscì in qualche modo a continuare a portare avanti dei progetti indipendenti. L’atmosfera imprenditoriale della città, affermatasi da tempo come centro per la stampa, l’editoria e il commercio dei libri, spinse inoltre Bach a prendere in considerazione l’idea di pubblicare una selezione delle sue opere. Non più tardi del 1726 saggiò la reazione del mercato dando alle stampe la prima parte della Clavier-Übung (si veda il capitolo 5),

Il trasferimento a Lipsia, in seguito al quale dovette focalizzarsi sulla musica vocale, non gli impedì tuttavia di comporre opere per ensemble strumentali. Al contrario, la maggior parte dei suoi lavori superstiti per ensemble e orchestra ebbero origine proprio durante gli anni di Lipsia e furono scritti in primo luogo per essere eseguiti in occasione dei concerti da lui diretti al Collegium Musicum tra il 1729 e il 1741. Questi includono, tra l’altro, le quattro suite orchestrali, BWV 1066-1069, il Concerto per violino in La minore, BWV 1041, il Doppio concerto per violino in Re minore, BWV 1043, il Triplo Concerto in La minore, BWV 1044 e diverse sonate con clavicembalo obbligato o basso continuo per violino, flauto traverso e viola da gamba. Ma pur rappresentando alcuni dei suoi lavori migliori nelle rispettive categorie, nessuno di questi dimostra di essere stato concepito come parte di una raccolta. La trasmissione dei manoscritti non mostra alcuna traccia di raggruppamento, con la sola eccezione della raccolta di sei Sonate per clavicembalo obbligato e violino, BWV 1014-1019, che precede il vero e proprio repertorio del Collegium Musicum.

È tuttavia degno di nota il fatto che la produzione lipsiense di brani per ensemble strumentale di Bach non si possa in alcun modo paragonare agli ampi progetti del suo collega di Amburgo Telemann, la cui varia e ricca produzione di lavori da camera e orchestrali in tutte le categorie immaginabili, culminante nella pubblicazione di imponenti collezioni come i tre volumi della Musique de Table del 1731 e i Nouveaux Quatuors (i cosiddetti Quartetti parigini) del 1738, resta ineguagliata. Bach, che a Lipsia eseguiva spesso le opere di Telemann, in genere restò un passo indietro rispetto all’amico in quasi tutte le categorie di sonate e concerti solistici e per ensemble, non solo per quanto concerne la quantità, ma soprattutto la varietà della costruzione formale e degli approcci stilistici alla moda. Dopo il 1723, solo in tre occasioni Bach si impegnò davvero nella creazione di raccolte eccezionali dal carattere di opus appartenenti ai generi tradizionali della sonata e del concerto. Queste raccolte innovative conferiscono tutte e tre un ruolo centrale alla tastiera, l’ambito nel quale Bach poteva facilmente sopravanzare Telemann e reclamare la propria supremazia. Le sonate per clavicembalo e violino e le sonate in trio per organo videro la luce nei primi anni di Lipsia, mentre i concerti per clavicembalo appartengono ai tardi anni trenta (si veda il Capitolo 7). Tutte queste composizioni rimandano direttamente al nucleo delle conoscenze strumentali di Bach e riflettono il suo zelo indomabile nella sperimentazione in ambito compositivo e nell’evoluzione degli standard esecutivi.

sei sonate per clavicembalo e violino

Come nel caso dei Concerti brandeburghesi, la raccolta di sei sonate per clavicembalo e violino non è menzionata nella lista delle opere citate nel necrologio del 1750 e appare solo in un’aggiunta successiva di Carl Philipp Emanuel Bach. Non è rimasto alcun manoscritto autografo né è stato tramandato un titolo autentico della raccolta, non si sa neppure se un esemplare manoscritto si trovasse nella biblioteca di Bach all’epoca della sua morte. La prima copia superstite, databile intorno al 1725 ed essenzialmente di mano del nipote e allievo di Bach Johann Heinrich Bach (con inserti autografi), porta il titolo «Sei Sounate â Cembalo certato è Violino Solo».63 Una copia risalente alla fine degli anni quaranta, di mano dell’allievo e poi genero di Bach Johann Christoph Altnickol, ha un ruolo importante nella ricostruzione della storia di queste sonate poiché contiene una serie di accurate revisioni che il compositore apportò alla partitura e che riguardano tutti i brani.64 Questa copia rivela anche che la raccolta, risalente a una ventina di anni addietro, continuò a essere eseguita, e che il compositore seguitò a perfezionarla perfino nell’ultima fase della sua vita, come conferma una curiosa annotazione inserita da Johann Christoph Friedrichpenultimo figlio di Bachnel frontespizio del manoscritto di Altnickol: «NB. Diese Trio hat er vor seinem Ende componiret» (Compose questo trio prima della sua morte; per l’uso del termine «trio» si veda la citazione più sotto). L’annotazione del figlio di Bach, che lasciò la casa paterna alla fine del 1749, fu apposta in concomitanza con la riorganizzazione dell’eredità paterna (si veda anche la Figura 2-1). Essa sottintende con chiarezza il fatto che Johann Christoph Friedrich si ricordasse di aver visto il padre al lavoro su uno di questi brani intorno al 1748-49, concludendone erroneamente che li stesse componendo ex novo. Lo stesso Johann Sebastian deve essersi reso conto che questi lavori, assolutamente innovativi alla metà degli anni venti, fossero ancora all’avanguardia negli anni quaranta, altrimenti non vi sarebbe tornato sopra con tanta cura. Ben tre decadi più tardi Carl Philipp Emanuel la pensava allo stesso modo, come testimonia in una lettera del 1774:

I sei trii per clavicembalo […] suonano ancora molto bene e li trovo molto belli nonostante abbiano più di cinquant’anni. Contengono alcuni Adagii dalla cantabilità tuttora insuperata.65

I movimenti lenti di queste sonate, con le loro caratteristiche melodiche così spiccate, ricche di sensibilità e di sonorità emotive, rappresentarono fin dall’inizio le creazioni più moderne dell’insieme, e poiché ogni sonata contiene due movimenti lenti, questi si stagliano con grande evidenza nell’ambito di ogni singola composizione (si veda la Tabella 3-7). Pur essendo stilisticamente meno all’avanguardia, i movimenti rapidi eccellono nel loro sviluppo deduttivo del discorso tematico-motivico. Sono tutti concepiti in un linguaggio contrappuntistico e fanno ampio ricorso a effetti virtuosistici tanto nel caso del clavicembalo che del violino. In cinque delle sei sonate Bach si attenne al tradizionale schema in quattro movimento (lento-veloce-lento-veloce), discostandosene solo nell’ultima sonata, BWV 1019. Altri manoscritti della cerchia di Bach indicano che la struttura dei movimenti di questo sesto brano subì delle modifiche importanti intorno al 1730 e poi ancora una volta alla fine degli anni trenta.66 Inizialmente Bach aveva in mente una forma ibrida che combinava movimenti di sonata e di suite, similmente al Primo concerto brandeburghese, con cui condivide anche la determinazione a evitare qualsiasi forma di uniformità e prevedibilità. Nella seconda versione del BWV 1019 Bach restaurò il puro carattere sonatistico e decise di ripetere il primo movimento alla fine, solo per reintrodurre, nella terza e ultima versione, l’elemento estremamente anticonvenzionale di un solo per clavicembalo in un movimento centrale composto ex novo.

Tabella 3-7 Sei sonate per clavicembalo e violino

sonata 1
in si min.
bwv 1014

sonata 2
in la magg.
bwv 1015

sonata 3
in mi magg.
bwv 1016

sonata 4
in do min.
bwv 1017

sonata 5
in fa min.
bwv 1018

sonata 6
in sol magg.
bwv 1019*

Adagio

6/4

Dolce

6/8

Adagio

Largo†

6/8

Lamento‡

3

Allegro

Allegro

C

Allegro assai

3/4

Allegro

2

Allegro

Allegro

Largo

Andante
(Re magg.)

Andante
un poco
(Fa min.)

Adagio ma non tanto
(Do min.)

3/4

Adagio
(Mi♭ magg.)

3/4

Adagio
(La♭ magg.)

Allegro (Cembalo solo)
(Mi min.)

Allegro

Presto

2

Allegro

3/4

Allegro

2/4

Vivace

3/8

Adagio

Allegro

6/8

* Tre versioni delle Sesta Sonata (movimenti 3-5):

Versione i (c. 1725): 3. Courante 3/8 (Mi min.) = BWV 830/3; 4. Adagio  (Si min.);
5. Gavotte (Violino solo) 2 (Sol min.) = BWV 830/6; 6. Movemento 1 ripetuto.

Versione ii (c. 1730): 3. Cantabile, ma un poco Adagio 6/8 = BWV 120/4;
4. Adagio (come nella versione iii); 5. Movimento 1 ripetuto.

Versione iii (prima del 1739/40): come nella Tabella 3-7.

† Intestato Siciliano (versione i, 1725).

‡ Intestato Adagio (versione i); Lamento (versione ii).

Di primaria importanza in questi lavori per clavicembalo e violino è il loro discostarsi dalla struttura abituale delle sonate per strumento solo e basso continuo, ossia con accompagnamento di un ensemble con funzione di continuo, generalmente costituito da una tastiera o da un liuto con un violoncello o uno strumento analogo a rafforzare la parte del basso. Bach non solo limitò l’accompagnamento del violino a un solo clavicembalo, ma attribuì al clavicembalo un ruolo di partner, affidandogli una parte che non si limitava alla linea del basso, ma si estendeva anche al registro del violino. Questo dotò di fatto le sonate di una basilare struttura da trio, in cui al clavicembalo viene addirittura attribuito un ruolo predominante, come ben riflesso nella formulazione del titolo. Il punto di partenza per questa nuova struttura consistette in un semplice arrangiamento esecutivo, nel quale la mano destra del clavicembalo assume di fatto la parte del secondo violino in un trio per due violini e continuo. Per tutta la prima metà del xviii secolo la struttura del trio (due parti al registro acuto e un basso fondamentale)«il massimo capolavoro dell’armonia» secondo Johann Mattheson67aveva rappresentato il modello prevalente e ideale per la composizione di musica da camera sia strumentale che vocale. Effettivamente tutti i movimenti rapidi e molti dei movimenti lenti delle sonate per clavicembalo e violino sono costruiti in questa maniera. La parte della mano destra del clavicembalo e il violino formano un duo di voci acute mentre la mano sinistra del clavicembalo funge da basso continuo, in alcuni primi movimenti addirittura da basso figurato, quando la mano destra non assolve una funzione di obbligato.

Figura 3-10 Lamento dalla Sonata in Fa minore per clavicembalo obbligato
e violino BWV 1018/1: copia di J.C. Altnickol (1747 o successivamente), dettaglio.

Figura 3-11 Adagio dalla Sonata in Mi maggiore per clavicembalo e violino
obbligato, BWV 1016/3: copia di J.C. Altnickol (1747 o successivamente), dettaglio.

Il titolo del primo manoscritto del 1725, citato in precedenza, include l’indicazione, di mano del nipote di Bach Johann Heinrich, «col Basso per Viola da Gamba accompagnato se piace», suggerendo che è consentito, come opzione ad libitum, l’uso di uno strumento ad arco di rinforzo connesso alla mano sinistra del clavicembalo. Allo stesso tempo questa indicazione implica la stretta associazione esistente tra questo nuovo genere di sonata “a due” e il tradizionale trio con basso continuo, riflessa anche nel termine «clavier trio». Intorno alla metà del secolo questa divenneparticolarmente nella scuola bachianala definizione di prammatica per le sonate per clavicembalo/fortepiano che prevedevano la partecipazione di un violino o un flauto, ma non necessariamente di un ulteriore strumento grave a raddoppiare la parte affidata alla mano sinistra della tastiera. Inoltre la formulazione del titolo «Sei Sonate a Cembalo concertato e Violino solo» che si trova in manoscritti più tardi delle BWV 1014-101968 rende evidente il fatto che l’uso di un ulteriore strumento ad arco dal registro grave non era più considerato come un’opzione. L’esecuzione di queste sonate solamente con il clavicembalo e il violino divenne effettivamente la nuova norma a partire dalla fine degli anni venti e questa formula cominciò a fungere da modello per composizioni affini a opera degli allievi di Bach, in particolare di suo figlio Carl Philipp Emanuel.69

Nel più pionieristico dei movimenti lenti, le trame in stile libero e misto delle parti del clavicembalo vanno ben oltre le tipiche convenzioni del trio, introducendovi elementi di polifonia allo scopo di conferire alla parte della tastiera una funzione relativamente indipendente. Questo trattamento libero permise a Bach di sfruttare al meglio le caratteristiche sonore contrastanti del clavicembalo e del violino e anche di contrapporre i suoni di breve durata del clavicembalo alle note tenute del violino, in modo da ottenere degli stili di scrittura idiomatici e ben differenziati per i due strumenti. Il contrasto è ampiamente esemplificato proprio all’inizio della Sonata n. 1 in Si minore e in modo ancora più evidente nel corso del primo movimento della Sonata n. 5 (si veda la Figura 3-10). D’altro canto, un movimento come l’Adagio in Do diesis minore della Sonata n. 2 dimostra la compatibilità e la capacità di sostenersi a vicenda proprie ai due strumenti quando si scambiano i ruoli nell’esecuzione di linee melodiche dalle spiccata propulsione ritmica e armonie di accompagnamento (si veda la Figura 3-11). Tale maniera di trattare in modo davvero autonomo i due strumenti accoppiati rappresenta il punto di partenza per un nuovo genere di sonata a due che affida alla tastiera una parte elaborataun trio per tastiera, nella terminologia della scuola bachiana. Avendo creato un terreno fertile per questo genere musicale con la sua consumata maestria artistica, Bach considerò di averne in un certo qual modo esaurito il potenziale e non aggiunse alcun altro brano del genere per violino. Negli anni trenta e quaranta alcuni contatti non meglio precisati con dei musicisti di valore lo portarono tuttavia a comporre tre sonate per flauto, BWV 1030-1032, e tre sonate per viola da gamba, BWV 1027-1029, brani che rappresentano tutti dei lavori a sé stanti e non costituiscono due gruppi di opere interconnesse.

sei sonate a tre per organo

Se le sonate per clavicembalo e violino appartengono generalmente alla categoria del trio strumentale, esse non lo esemplificano nella sua forma più pura. Le sonate per organo, invece – appropriatamente inserite nel primo catalogo delle opere del 1750 come «Sei trii per organo, con pedale obbligato» soddisfano tutte le aspettative riassunte da Mattheson: «Tutte e tre le voci, ciascuna per suo conto, devono proporre una bella melodia, eppure, per quanto possibile, formare delle armonie triadiche dando l’impressione che questo avvenga per caso».70 Circa due decenni prima della definizione di Mattheson, le sinfonie a tre di Bach avevano soddisfatto le esigenze della struttura del trio nella sua accezione più rigorosa, rispettandone le caratteristiche sia per quanto concerne il contrappunto lineare che l’armonia verticale. Eppure i parametri del trio convenzionale, con due parti acute appaiate sopra un basso continuo figurato, differivano fondamentalmente dagli ideali contrappuntistici assoluti realizzati nelle sinfonie a tre parti della Guida veridica. Oltre a proporre l’usuale struttura del trio articolata in più movimenti, le sonate per organo (si veda la Tabella 3-8) intendevano dimostrare la fattibilità di un trio eseguito da un solo musicista. Mentre i trii da camera convenzionali richiedevano almeno tre musicisti, uno per ciascuna parte, le due parti acute del trio per organo erano affidate alla mano destra e sinistra dell’organista, che le eseguiva su due manuali diversi, e la parte del basso a entrambi i piedi impegnati sulla pedaliera dell’organo, la stessa tecnica acrobatica, seppur meno arrischiata, che Bach aveva perfezionato a Weimar per l’esecuzione all’organo dei concerti per orchestra BWV 592-596.

Tabella 3-8 Sei sonate a tre per organo

sonata 1
in mi magg.
bwv 525

sonata 2
in do min.
bwv 526

sonata 3
in re min.

bwv 527

sonata 4
in mi min.
bwv 528

sonata 5
in do magg.
bwv 529

sonata 6
in sol magg.
bwv 530

[Allegro]

C

Vivace

C

Andante

2/4

Adagio-Vivace

-3/4

Allegro

3/4

Vivace

2/4

Adagio
(Do min.)

12/8

Largo
(Mi mag.)

3/4

Adagio
(Fa magg.)

6/8

Andante
(Si min.)

Largo
(La min.)

6/8

Lento

(Mi min.)

6/8

Allegro

2

Allegro

2

Vivace

3/8

Un poc’Allegro

3/8

Allegro

2/4

Allegro

C

Figura 3-12 Allegro dalla Sonata
per organo in Sol maggiore, BWV 530/1:
versione autografa in bella copia (c. 1730).

L’autografo in bella copia giunto fino a noi dei sei trii numerati in ordine consecutivo e intitolato «Sonata 1[-6]. à 2 Clav: et Pedal» permette di datare la raccolta intorno al 1730 (si veda Fig. 3-12);71 intorno al 1732 Wilhelm Friedemann e Anna Magdalena Bach ne trassero un secondo manoscritto che contiene ulteriori aggiunte autografe.72 Fossero o meno «composte da Bach per il figlio maggiore Wilhelm Friedemann, che studiandole si avviò a diventare l’eccellente organista che in seguito fu»,73 le sonate servirono chiaramente a Bach da raccolta di riferimento nel suo insegnamento dell’organo, come confermano le successive copie a opera dei suoi studenti. Resta tuttavia la possibilità che le sonate per organo siano state concepite come brani da esecuzione per i concerti del compositore. Le composizioni a tre di diverso tipo, incluse le trascrizioni di sonate per due strumenti acuti e basso continuo, le sonate di libera composizione e i preludi corali in forma di trio, costituivano il cavallo di battaglia di Bach in quanto organista. Agli inizi della sua carriera aveva perfezionato la sua specialità, ovvero la tecnica di avvalersi delle due mani e dei due piedi in modo da ottenere assoluta indipendenza e uguale facilità nelle tre voci eseguite sui due manuali e sulla pedaliera dell’organo. Solo un movimento di sonata, il Largo della Sonata n. 5, può essere attribuito agli anni di Weimar grazie a una prima copia inserita nel movimento centrale del Preludio e Fuga in Do maggiore BWV 545, tramandato sotto il titolo di «Preludio con Fuga e Trio».74 Oltre a questo, un buon numero di trii corali precedenti il 1714, contenuti nella raccolta rivista dei Diciotto Corali (si veda la Tabella 7-1), offre una significativa esemplificazione dei primi trii per organo.

Mentre i trii basati su corali ordinano di norma le tre parti obbligate in modo relativamente uniforme, come parte superiore (mano destra), mediana (mano sinistra) e grave (piedi), le sonate per organo presentano di solito due voci acute di estensione simile. Seguendo il modello dei trii da camera, combinano in genere due parti acute, che assolvono la funzione di un duo tematico, con una parte bassa di accompagnamento (pedale) che occasionalmente include materiali delle parti superiori. Le sonate per organo si attengono di regola a questo principio compositivo, come dimostrato con estrema chiarezza dal tema esposto all’unisono dalle due voci superiori nel primo movimento della Sesta Sonata. Eppure, al fine di ottenere una sonorità bilanciata e delle posizioni confortevoli per la mano, la parte della mano sinistra è generalmente trattata come quella inferiore. Questo esempio indica anche come Bach si sforzasse di trattare le tre parti in modo quanto più possibile specifico. Anche l’uso di diversi registri d’organo per le varie voci del trio serve a sottolinearne l’individualità. La difficoltà tecnica di queste sonate, tanto ai manuali quanto alla pedaliera, era senza precedenti e il compositore era certamente consapevole che esse segnavano una nuova soglia nell’arte dell’esecuzione organistica.

La derivazione concettuale delle sonate per organo dai trii per ensemble ebbe alcune implicazioni pratiche, in quanto almeno alcune sembrano consistere in trascrizioni di sonate per due strumenti e basso continuo, o averne perlomeno incorporato degli elementi. Dei diciotto movimenti complessivi, solo in un caso si può risalire a una versione precedente: la Sinfonia della Cantata BWV 76 (1723), un’introduzione strumentale in Mi minore per oboe, viola da gamba e basso continuo alla seconda parte della Cantata, fu rielaborata da Bach nel primo movimento Adagio-Vivace della Quarta Sonata di uguale tonalità. La Sinfonia della Cantata potrebbe derivare da una sonata da camera completa, e dunque tutta la Quarta sonata in Mi minore potrebbe essere basata su questo stesso brano. Non c’è però alcuna prova che tutti i movimenti derivino dalla medesima sonata: selezioni tratte da lavori disparati sono una possibilità del tutto verosimile, e questa ipotesi vale per tutta la raccolta dei trii per organo. Riassumendo, si può ragionevolmente supporre che alcuni dei movimenti delle prime cinque sonate rappresentino delle selezioni, scelte per la loro qualità, tratte da idonei lavori da camera preesistenti; selezioni sottoposte a un processo di rielaborazione inteso non solo ad adattare le caratteristiche delle due parti superiori in modo che risultassero idonee all’esecuzione alla tastiera, ma anche a fare in modo che le voci non somigliassero a delle tipiche parti per violino o strumento a fiato. È indiscutibile il fatto che l’intero manoscritto autografo delle sonate per organo sottintenda la stratificazione di tre elementi storici: 1) il fatto che Bach eseguisse dei concerti per organo; 2) la sua propensione a eseguire brani per ensemble strumentali come concerti e sonate su un solo strumento e 3) a editare e perfezionare partiture senza il basso figurato, che finivano col diventare delle opere nuove.

Non esistendo partiture di lavoro superstiti, la genesi delle sonate per organo resta incerta. Eppure la Sesta sonata sembra essere stata originariamente composta interamente per organo (così come il primo e il terzo movimento della Seconda e della Quinta sonata): lo suggerisce l’insolito tema principale all’unisono del primo movimento (si veda la Figura 3-12), come anche la figurazione estremamente idiomatica della tastiera utilizzata per tutto il corso del brano. La decisa modernità del metro in 2/4 e il carattere concertato implicano inoltre che l’origine del brano sia da ricercare intorno al 1730 piuttosto che negli anni precedenti. La prima pagina dell’opera esemplifica perfettamente il concetto di un trio ideale dimostrando, dopo le prime otto misure, proprio come due voci indipendenti ma motivicamente correlate possano nascere da un tema all’unisono e rispondersi a vicenda. Dopo la cadenza sulla tonica alla battuta 20, le due voci superiori dialogano utilizzando un motivo secondario sostenuto da una linea del basso caratterizzata da un proprio profilo motivico. A partire dalla battuta 37 tutte e tre le voci si muovono in ambiti ritmici diversi ma complementari, procedendo saldamente al ritmo di sedicesimi, ottavi e quarti.

Il primo e l’ultimo movimento delle sonate hanno in genere una concezione maggiormente polifonica dei più lenti movimenti centrali con le loro linee melodiche ornate e ricche di sensibilità. I movimenti esterni giustappongono costantemente i soggetti principali (spesso introdotti in modo fugato) con delle idee tematiche secondarie, sfociando spesso in sviluppi nelle sezioni mediane. Ne risulta una struttura formale circolare simile a quella dell’aria ABA, che nel caso del primo e dell’ultimo movimento della Terza sonata e del primo Allegro della Quinta sonata non è indicata per esteso nell’autografo bachiano, ma segnalata invece con una semplice indicazione di da capo. Strumenti contrappuntistici come l’inversione tematica (esemplificata nella seconda metà dell’ultimo movimento della Prima sonata) o il contrappunto invertibile (particolarmente evidente proprio alla fine della Quarta sonata) sono utilizzati in modo costante. Le parti delle sonate per organo destinate alla pedaliera mostrano delle chiare differenze strutturali rispetto alle corrispondenti parti destinate al manuale, poiché Bach attribuì generalmente alle parti gravi un ruolo più attivo e più coinvolto con le parti superiori di quanto non avvenisse con i bassi continui convenzionali. Inoltre, dato che le partiture delle sonate in trio per organo, in contrasto con quelle delle sonate per ensemble strumentale, non hanno un basso figurato, le tre voci devono correlarsi tra loro in un modo che renda superfluo ogni riempimento armonico. In tal modo le sonate a tre per organo rappresentano un’alternativa autonoma rispetto alle sonate convenzionali con il tradizionale basso figurato. In un certo senso l’esclusione del basso figurato nella scrittura delle sonate da organo di Bach anticipa di fatto lo sviluppo del basso non figurato (senza accordi) nella successiva storia della composizione musicale, come si vede, per esempio, nel quartetto d’archi dove Haydn e i suoi seguaci abbandonarono del tutto l’accompagnamento da parte di una tastiera.

Le sonate per organo differiscono dalle altre sonate composte da Bach per quanto concerne la maniera in cui vengono strutturati i movimenti: veloce-lento-veloce. La sequenza prediletta da Bach per i movimenti delle sonate è un ciclo di quattro movimenti, lento-veloce-lento-veloce, una struttura che si ritrova in tutto il suo repertorio di sonate per violino, flauto e viola da gamba (eccetto la BWV 1029)75 e anche nelle sonate a tre. Vi si attenne anche nello scrivere il suo ultimo lavoro del genere, la Sonata a tre dell’Offerta Musicale (1747), sebbene il genere di sonata allora più in voga, favorito alla corte di Prussia, consistesse in tre movimenti: veloce-lento-veloce. Essendo la struttura in tre movimenti strettamente correlata alla forma standardizzata del concerto, nel 1740 Johann Adolph Scheibe la definì come «Sonate auf Concertenart» (sonata in stile concertante).76 Questo nuovo genere di sonata, perlopiù caratterizzata da un primo movimento omofonico, divenne molto popolare in quel periodo. Telemann e altri composero dei lavori di questo tipo, ma l’approccio di Bach alle sonate per organosalvo per quanto concerne la loro struttura in tre movimentinon mostra somiglianze con questo genere. Nel concepire la sua raccolta di sei sonate a tre per organo tra la metà e la fine degli anni venti, il compositore non adottò alcuna formula precostituita e ricorse volutamente ai propri espedienti in ciascuno dei diciotto movimenti che costituiscono la serie. Il risultato complessivo emerse di conseguenza in tutta la sua originalità, pari a quella dell’idea stessa di una sonata a tre per organo. Bach si rese sicuramente conto che non esistevano precedenti di questo versatile stile di sonata, che per molti versi corrispondeva alla varietà di approcci adottata nella raccolta per clavicembalo e violino, e di conseguenza conferì, sia per quanto concerne la composizione che l’esecuzione, un carattere molto distinto alle due correlate seppur contrastanti raccolte di sonate. Inoltre, la sovrapposizione della cronologia delle sonate a tre per organo con la fase conclusiva della pubblicazione della Clavier-Übung i indica che a un certo punto Bach potrebbe aver considerato l’inclusione di questo nuovo paradigma compositivo di musica organistica nell’ambito del suo progetto in più parti della Clavier-Übung.

A posteriori, le due raccolte di sonate completate durante i primi anni di Lipsiache sono, di fatto, le uniche autentiche raccolte di sonate bachianesi associano nell’evocare il passato del compositore come musicista da camera a Weimar e direttore della musica da camera a Cöthen. È certamente possibile che mentre si trovava ancora a Cöthen il compositore abbia cominciato la raccolta per clavicembalo e violino completata a Lipsia intorno al 1725. Analogamente, alcuni movimenti delle sonate per organo potrebbero riferirsi a dei modelli di Weimar, sebbene la raccolta in quanto tale nacque sicuramente a Lipsia. In ogni caso, le cinque raccolte strumentali degli anni venti, a partire dai soli per violino e violoncello seguiti dai Concerti brandeburghesi, le sonate per clavicembalo e violino e le sonate per organo, formano una serie magistrale di gruppi di lavori strumentali correlati fra loro. Ma questi generi cameristici non conobbero ulteriori sviluppi, con l’eccezione del solo progetto, poi abbandonato, di creare una raccolta di concerti per clavicembalo (si veda il Capitolo 7). A partire dalla fine degli anni venti, e soprattutto durante il periodo del Collegium Musicum, Bach compose di tanto in tanto dei lavori per ensemble strumentali, ma la documentazione in nostro possesso fa chiaramente constatare una mancanza di impegno creativo nell’ambito della musica cameristica e orchestrale. Questo non impedì tuttavia al compositore di creare, all’occasione, singoli brani di eccezionale qualità e raffinatezza stilistica, dal Concerto per due violini BWV 1043, alle ouverture orchestrali BWV 1067-1068 fino alla sonata a tre dell’Offerta musicale BWV 1079/3. Nessuno di questi, tuttavia, presenta quel tipo di strategie altamente innovative che Bach continuò ad applicare nel campo della composizione vocale e nel suo costante terreno d’elezione costituito dalla musica per tastiera.

4. Il più ambizioso dei progetti

Cantate corali per tutto l’anno