domenica 16 settembre 2018


LA RAGAZZA CON LA LEICA
HELENA JANECZEK
UGO GUANDA EDITORE
Prologo
Coppie, fotografie, coincidenze

Da quando hai visto quella foto, ti incanti a guardarli. Sembrano felici, molto felici, e sono giovani, come si addice agli eroi. Belli non potresti dirlo ma neanche negarlo, e comunque non appaiono eroici per nulla. Colpa della risata che chiude i loro occhi e mette a nudo i denti, un riso non fotogenico ma cosı` schietto da renderli stupendi.
Lui ha una dentatura da cavallo e la esibisce sino alle gengive. Lei no, ma il suo canino spicca sul vuoto del dente successivo, seppure con la grazia delle piccole imperfezioni attraenti. La luce si spalma sul bianco della camicia a righe, spiove sul collo della donna. La sua pelle limpida, la diagonale dei tendini scolpita dal profilo ad-
dossato allo schienale, persino la linea curva dei braccioli,
amplificano l’energia gioiosa che si sprigiona da quella risata unisona.
Potrebbero trovarsi in una piazza ma, seduti in quelle poltroncine comode, danno piuttosto la sensazione di stare
in un parco, dove lo sfondo si amalgama in una fitta cortina
di foglie d’alberi. Ti chiedi, allora, se il riquadro che hanno
tutto per sé possa essere stato il giardino di una villa della
grande borghesia, fuggita oltre confine da quando Barcellona e` in fermento rivoluzionario. Ora appartiene al popolo
quel refrigerio sotto gli alberi: a loro due che si ridono addosso a occhi chiusi.
La rivoluzione e` un giorno qualsiasi in cui si esce a fer-
mare il golpe che vuole soffocarla, ma senza rinunciare a una tregua che fa festa. Portare il mono azul come un abitino estivo, infilare una cravatta sotto la salopette, per il de-msiderio di mostrarsi belli agli occhi dell’altro. Lì non serve il mastodontico fucile passato per le mani di chissà quanta in-
felice soldataglia, prima che lo ricevesse il miliziano anar-
chico che ora non puo` sfiorare il collo luminoso della sua donna.
A parte quell’intralcio, nell’attimo presente sono liberi
da tutto. Hanno già vinto. Se vanno avanti a ridere così,
se continuano a essere cosı` felici, non sembra troppo ur-
gente saper estrarre un colpo da quell’arma vetusta. Prevarra` chi e` nel giusto. Adesso possono godersi il sole temperato dalle latifoglie, la compagnia della persona amata.
Il mondo e` giusto che lo sappia. Deve vedere in un colpo
d’occhio che da una parte c’è la guerra vecchia di secoli, i
generali sbarcati dal Marocco con le feroci truppe merce-
narie, dall’altra parte gente che desidera difendere quel
che sta vivendo, e si desidera l’un l’altra.
A Barcellona, in quel principio d’agosto del 1936, stanno
arrivando in tanti per unirsi al primo popolo d’Europa che
non ha esitato ad armarsi contro il fascismo. Raccontano la
citta` in subbuglio nella lingua universale delle immagini, che
dalle pagine esposte nelle edicole di mezzo mondo, affisse
nelle sedi di partito e sindacali, sventolate dagli strilloni, riu-
tilizzate per avvolgere uova e prodotti della terra, saltano in
faccia persino a chi non compra o non legge i giornali.
I barcellonesi accolgono fraternamente gli stranieri ac-
corsi per combattere al loro fianco, e si stanno abituando
a quella Babele che si aggira ovunque, assaporando il gusto
di salutarli con compañero e compañera, per poi magari aiutarsi a gesti, suoni onomatopeici, dizionari in formato tasca.
I fotografi, che non sono in attesa di armi e addestramento, fanno parte di quel continuo afflusso alle milizie volontarie. Sono qui per noi, sono come noi, compagni, comprende chi li vede all’opera e li lascia lavorare.
Ma i due miliziani della fotografia sono cosı` rapiti dalla loro risata da non accorgersi di nulla. Chi li ritrae si sposta, scat-
ta di nuovo, rischia di tradirsi per riprendere piu` da vicino
quella coppia unita dal sorriso largo, molto intimo.
La foto appare quasi identica alla prima, salvo che qui di-
venta visibile che l’uomo e la donna sono talmente invaghiti
da non curarsi della vita che si svolge attorno. La forbice dei
passi di qualcuno che, tagliando il selciato alle loro spalle,
rivela che non si trovano in un parco, ma forse addirittura
sulle Ramblas, dove si raduna la citta` in mobilitazione. La
poltroncina accanto, dove e` seduta un’altra donna.
Della sua testa non vedi che un ciuffo di capelli crespi,
del corpo soltanto un braccio infagottato. Avresti invece
bisogno del suo sguardo, lo sguardo di chi ha visto da vici-
no cio` che puoi ricavare dalle immagini, ma che si sottrae ai
tuoi occhi.
Il fotografo che ha catturato i due compagni non e` da
solo. Sono un uomo e una donna, appostati sul lato destro
della strada, uno di fianco all’altra.
Poi scopri la foto di una donna seduta nelle stesse poltron-
cine e stenti a credere che possa esistere una fortuna così
sfacciata. Sinche´, in alto a destra, noti una fetta del profilo del giovane miliziano che nelle altre fotografie sorride estasiato alla sua ragazza bionda.

Questa operaia
che tiene una rivista di moda nelle mani dissonanti e un fucile tra le gambe, non pare davvero il tipo che si fa prendere da curiosita` pettegole per l’apparizione di una coppia di fotografi che immortala anche lei, dopo aver gareggiato a non farsi sfuggire la risata fragorosa dei compagni innamorati. No, ti dici, una cosı` vede e non vede le cose che non la riguardano. Rimane un po’ all’erta, perche´ le hanno dato un’arma, pero` vuole anzitutto gustarsi quell’attimo di pace.
Ma qualche giorno dopo – cosı` t’immagini – quella miliziana arriva alla spiaggia dove si fa l’addestramento e
ritrova i due fotografi. Lui con quell’aria da mezzo gitano o comunque alla buona, lei quasi una figurina uscita dalla rivista letta sulle Ramblas, ma con una ingombrante fotocamera appesa al collo che le arriva alle
anche. Adesso la donna e` curiosa: chi sono quei due? Da dove vengono? Hanno una tresca, come le tante che fioriscono in questo clima di mobilitazione e piena estate e liberta`, o sono marito e moglie?
Qualcosa di simile, visto che, affiatati e coordinati, si dicono qualche parola in una lingua dura. Lei e` sorridente e
svelta come un gatto, ma piu` composta quando impartisce
istruzioni su come le compagne devono posizionare le loro
armi. Tutti e due si danno molto da fare, sono euforici e allegri, spartiscono persino le Gauloises come gesto di fratellanza e ringraziamento.
« Li ho gia` visti » interviene la miliziana, quando i fotografi si allontanano e comincia uno scambio concitato di commenti, ma nessuno le da` retta. Le notizie interessanti le ha il compagno giornalista che li ha portati lı`. Sono appena arrivati da Parigi e hanno gia` rischiato il collo perche´ il bimotore ha fatto un atterraggio d’emergenza
sulla Sierra. Un pezzo grosso della stampa francese si e`
rotto il braccio, ma loro due neanche un graffio, grazie
al cielo. Lui, che si chiama Robert Capa, dice che Barcellona e` magnifica e gli ricorda la sua citta` natale, solo che a Budapest non puo` tornare finché  è in mano all’ammi-
raglio Horthy e al suo regime reazionario. Gerda Taro, la
sua compagna, deve essere un’alemana, una di quelle gio-
vani emancipate che non si sono sottomesse neanche a Hitler.
« Si puo` sapere quando escono le foto? » lo incalzano le
miliziane. Il giornalista promette di informarsi, non pero` dai fotografi che sono in procinto di partire per le zone in cui si
combatte: prima vanno al fronte d’Aragona e poi giù, in Andalusia.
A un anno da quelle fotografie, a Barcellona ci sono stati i primi diciotto morti sotto i palazzi sventrati dal fuoco dell’incrociatore Eugenio di Savoia. Le milizie sono state sciolte, la miliziana e` tornata in fabbrica. Magari cuce le uniformi dell’Ejército Popular, dove gli anarchici devono obbedire senza discutere e per le donne non c’e` piu` posto.
Ma negli stabilimenti si continua ad ascoltare la radio, a commentare le notizie, a farsi coraggio.
Allora ti figuri che qualcuno legga a voce alta un quotidiano che porta la data del 27 luglio 1937. C’e` scritto che Madrid resiste eroicamente, anche se con l’aiuto criminale dell’aviazione tedesca e italiana il nemico e` avanzato verso Brunete, dove e` successo un fatto tragico. E` caduta una fotografa venuta da lontano a immortalare la lotta del popolo spagnolo, un tale esempio di valore che il generale
Enrique Líster si e` inchinato alla sua bara e il poeta Rafael
Alberti ha dedicato le parole piu` solenni alla compagna
Gerda Taro.
« Non e` quella che ci ha fotografate sulla spiaggia? »
esclama un’operaia, richiamando l’attenzione delle ragazze che sull’uscio del capannone si sono messe a parlare dei fatti propri. Sı`, e` proprio lei: nell’articolo c’e` scritto pure dell’« ilustre fotografo hungaro Robert Capa que recibió en París la trágica noticia ».
Le operaie della fabbrica di uniformi sono attonite, toc-
cate dai ricordi.

Il sole sulle spalle, la sabbia nelle scarpe, le risate quando
una di loro caracollava sulla battigia sbilanciata dal rinculo
dell’arma e, appena un’altra centrava il bersaglio, il boato
di esultanza. E poi quella straniera che – lo capivi subito –
era stata una senyoreta dalle manine morbide, e avrebbe
potuto restarsene a Parigi a immortalare le attrici e manne-
quin elegantissime, e invece era venuta a fotografare loro
che imparavano a sparare sulla spiaggia. Le ammirava pure, sembrava quasi che un pochino le invidiasse. E adesso e`
morta come un soldato, mentre loro si rovinano la schiena
nella fabbrica, e poi corrono a cercare da mangiare, ma so-
no ancora vive. Non e` giusto. Che crepino all’inferno, i fascisti.
Tra le piu` colpite dalla notizia c’e` la donna che era seduta con quella rivista di moda sulle Ramblas. La commozione che l’afferra in quel momento, con il mozzicone riacceso
che le affumica le dita, le macchine per cucire che mitra-
gliano alle sue spalle, non e` solo quella di chi e` scossa di ricono-scenza per il sacrificio di uno scricciolo arrivato da un
paese freddo. In lei e` riaffiorata, nitida, un’immagine colta
svagatamente un anno prima, alzando gli occhi dalla sua
lettura: un uomo moro e una biondina con il caschetto fo-
tografano una biondina con il caschetto e un uomo moro
che ridono felici. La biondina scatta a testa inclinata con
una fotocamera che le cela la fronte. L’uomo moro lavora
con una macchina cosı` piccola da lasciar scoperte le soprac-
ciglia, folte come quelle del miliziano. Poi, appena finito di
scattare, ridono anche loro, esuberanti e complici. Persino
gli occhi di un’estranea come lei notano che quei due si sono riconosciuti negli altri due. E sono altrettanto innamorati.
Una piccola coincidenza ha voluto che i fotografi, appena
sbarcati a Barcellona, si fossero imbattuti in una coppia a
cui somigliavano. Magari era pure un frutto del caso che
Gerda Taro fosse riuscita a realizzare la foto di una risata
al suo apice, mentre Robert Capa perdeva qualche secondo
forse aggiustando il grandangolo. Se lei avesse lavorato con la macchina con cui le aveva insegnato a fotografare – la Leica – anche i suoi negativi avrebbero avuto il formato ret-
tangolare che consente di attribuire a Capa la seconda foto
della coppia e quella della donna con la rivista. Gerda non
avrebbe ottenuto la perfetta centratura dell’immagine qua-
drata, non si fosse comprata una reflex economica di medio
formato, una Reflex-Korelle. Ma dopo sei mesi le comuni
entrate erano sufficienti perche´ lui potesse procurarsi una 
Contax e affidare la compagna dei suoi anni affamati, la sua
Leica, alla ragazza che lo aveva incoraggiato a lasciarseli alle
spalle.
Soldi non ne avevano al momento di partire da Parigi – lei all’inizio della sua avventura come fotografa, lui senza un in-
gaggio pur cominciando a essere richiesto – ma possedevano una fiducia inesauribile che si sarebbero fatti un nome.
Vivere a Parigi, senza nient’altro che una Leica, era l’arte
di arrangiarsi giorno dopo giorno. Avrebbero trovato piu`
lavoro sotto pseudonimo, si erano convinti Andre´ Friedmann e Gerda Pohorylle. Si erano persino inventati la storia di Robert Capa che possedeva quello che mancava a loro: ricchezza, successo, un visto illimitato sul passaporto di
un paese riverito in virtu` di una potenza non funestata da
guerre e dittature. Uniti in una societa` segreta che come capitale di partenza aveva un alias, erano ancora piu` vicini
nella vita, piu` temerari nei sogni da inseguire nel futuro.
Poi era finito il tempo delle favole. Da quando la Repubblica spagnola era sotto attacco, la sola bravura era trovarsi
al momento giusto nel posto giusto per catturare una realta`
che doveva scuotere, tenere viva la protesta, forzare l’intervento del mondo libero.
Ma se una fotografia parla anche di chi l’ha fatta, non possono non riflettere i loro autori le due istantanee di una coppia in cui era talmente facile specchiarsi. Nella foto di Taro, l’uomo e la donna condividono lo spazio alla pari, uniti dalla risata che si libera nell’aria, in una composizione cosı` armonica da esaltare per contrasto quell’energia debordante. La foto di Capa pone la donna al centro, ne decanta la fisicita` attraente, ma mentre s’inclina verso il com-
pagno e dalla prospettiva del suo sguardo radioso.
Camminavano l’uno accanto all’altra, adocchiarono i
due miliziani cosı` simili, cosı` beati. Ma non era il gusto di
un gioco degli specchi che li ha spinti a fotografare l’identico soggetto, purche´ uno dei due azzeccasse un’immagine
da mandare ai giornali. E` la promessa che s’invera sui volti
e sui corpi trasfigurati da quel riso felicissimo, l’utopia vissuta nel volgere di pochi istanti che rendevano quell’uomo
e quella donna liberi di tutto. Liberi sı`, e affratellati negli
ideali e nei sentimenti, ma non uguali. Robert Capa infatti
ha colto il desiderio di abbandonarsi senza ritegno l’uno all’altra, Gerda Taro una gioia spudorata che si lancia fuori a conquistare il mondo.
Erano diversi, erano complementari, in quel giorno d’agosto sottratto per sempre a quanto sarebbe accaduto dopo. Lo raccontano loro stessi, involontariamente, schietti
come il riso immortalato, attraverso quegli autoritratti ru-
bati ai loro compagni in armi, e in amore, nella breve estate
dell’anarchia, a Barcellona.