giovedì 13 settembre 2018


RICORDACI, FILOSOFIA
da "La lanterna del filosofo"
Guido Ceronetti

    La filosofia è entrata nel suo stadio terminale. Ogni tentativo di pensiero filosofico, oggi, non può che sfociare in un gioco variato di risorgimenti epigonali.
MARTIN HEIDEGGER,
"La fine della filosofia e il compito del pensiero", 1964

    Non bisogna attendersi da pazzi, imbarcati su una sinistra nave in cui si confondono parole e cose, una risposta: dobbiamo interrogare coloro che hanno gustato il pane degli angeli e anche, forse, i loro umili discepoli.
ALEXIS PHILONENKO,
Che cos'è la filosofia?, 1991

  Allora, sì. Ricordaci, dopo spariti, ricordaci, filosofia.
  Ricordaci perché ti abbiamo amata.
  Come e più di una donna ti abbiamo amata, cercando di afferrarti nei giri di notte per disabitate vie, di abbracciarti, di convincerti, dopo un fuggitivo spasmo, a non lasciarci subito.

  Ti abbiamo amata come la voce umana, come la voce più umana.

  Ti abbiamo amata perché ci aiutavi, senza te ne toccasse la responsabilità, a sopportare la vita, perché, sapendoci mortali ben più di quanto noi stessi lo sappiamo - apoticaria fornita di farmachi non attossicati, fabbricati coi succhi vitali della morte -, ci davi albergo in un tuo Nirvana, superiore allo sfacelo della nostra e di tutta la materia, e alle peregrinazioni di tutti i Libri dei Morti, e anche alle visioni estatiche dei ricongiungimenti al termine della giostra col grembo senza braccia del Trascendente - e ai tuoi ospiti più disperati mostravi velata in una nicchia la Gemma dell’Imperibilità.

  Ti abbiamo amata nei terrori quotidiani e nelle migrazioni sulle rotte dei sogni: tu ne sei stata il rimedio e il risveglio. Siamo stati i tuoi animali cherubici, ti abbiamo guardata con venerazione nelle tue spalancate, sapienti, incalcolabili prostituzioni. Ti abbiamo gettato i nostri imbuti d’ombra e tu vi hai fatto scorrere rigagnoli di luce.

  Dalle vetrine di libri, dalle finestre all’interno dei cortili, dai fondi oscuri degli scaffali e dei sotterranei della Rue Saint-Jacques ci chiamavi.

  La voce dei tuoi uccelli notturni nei tronchi cavi ci salutava più del gallo al mattino, più del gallo cosmico che canta il Sia Lode a Dio.

  Più forte dell’alcool è stata, per qualcuno, questa tua rivelazione congiungitrice: che la tua maschera preferita, il tuo ombrellino di Sissi ha nel comune eloquio il nome di poesia.

  Ti abbiamo amata nei misteri appartati delle Menadi, timorosi di scrutarti là troppo da vicino e di essere fatti a pezzi.

  Nel tragico della storia e delle cronache, nei disastri umani, negli enigmi di Bosch e delle Meninas, nei tre punti-tre linee-tre punti del Morse che hanno attraversato le onde invisibili col loro grido, nel cielo notturno di Van Gogh, nelle ustioni dal purgatorio cosmico riportate dai radiotelescopi, nel fuoco sempre vivente di Eraclito e nelle rughe dell’autoritratto di Leonardo, nell’inno rigvedico X, 129, nelle lezioni inafferrate di Jules Lagneau e negli stambugi pietroburghesi di Dostoevskij ti abbiamo incontrata, riconosciuta e amata. Come luce d’Occidente, dove sempre sarà tramonto, ci hai dato istruzioni per bene, e anche superiormente, morire; come luce d’Oriente, dove il tempo non ha colore, hai dissolto la nascita e svuotato di denti la morte. Ricordaci, filosofia.

  Ora che il mondo dei non-viventi e dei maleviventi, in un delirio di conoscenze e di onniscienza inseparabili dalla sua condanna alla polvere e all’espiazione ti ha espulsa, buttata fuori dalla casa della coscienza e ti ha costretta a rifugiarti non si sa dove, in luoghi irrivelati, perché determinato ad adorare e a servire soltanto degli idoli che hanno radici tra oscuri dannati - ricordaci, filosofia. Ricordaci, perché nella tua memoria di scacciata una via di senso è tracciata - indecifrabile ma indistruttibile - delle nostre sciagurate, tuffate nell’infamia dell’insignificanza, vite.

  Il ricordo di noi in te, il tuo in noi, filosofia.