EGUAGLIANZA E LIBERTÀ
estratto da: "DESTRA SINISTRA " Norberto Bobbio
Ragioni e significati di una distinzione politica
VI. Eguaglianza e libertà
1. Dalla ricerca condotta sin qui, di cui pur conoscendo i limiti ritengo non si possa escludere se non altro l’attualità, e dallo spoglio che ho condotto in questi anni su giornali e riviste, mi risulta che il criterio più frequentemente adottato per distinguere la destra dalla sinistra è il diverso atteggiamento che gli uomini viventi in società assumono di fronte all’ideale dell’eguaglianza, che è, insieme a quello della libertà e a quello della pace, uno dei fini ultimi che si propongono di raggiungere e per i quali sono disposti a battersi. Nello spirito analitico con cui ho condotto l’indagine, prescindo completamente da ogni giudizio di valore, se l’eguaglianza sia preferibile alla diseguaglianza, anche perché questi concetti così astratti sono interpretabili, e sono stati interpretati, nei modi più diversi e la loro maggiore o minore preferibilità dipende anche dal modo con cui vengono interpretati. Il concetto di eguaglianza è relativo, non assoluto. E’ relativo almeno a tre variabili di cui bisogna sempre tener conto ogni qualvolta viene introdotto il discorso sulla maggiore o minore desiderabilità dell’eguaglianza: i soggetti tra i quali ci si propone di ripartire i beni; i beni da ripartire; il criterio in base ai quali ripartirli.
Combinando queste tre variabili si possono ottenere, com’è facile immaginare, un numero enorme di tipi diversi di partizioni egualitarie. I soggetti possono essere tutti, molti o pochi, o anche uno solo; i criteri possono essere il merito, il bisogno, il lavoro, il rango. Il suffragio universale maschile e femminile è più egualitario di quello solo maschile, il suffragio universale maschile è più egualitario del suffragio limitato ai soli maschi non analfabeti, in cui il bene, in questo caso uno dei diritti di cittadinanza, è ripartito in base ad un criterio discriminante come quello del saper leggere e scrivere. In altre parole, nessun progetto di distribuzione può evitare di rispondere a queste tre domande: eguaglianza sì, ma “tra chi”?, “in che cosa?”, “in base a quale criterio?”.
2. (...) Il dato di fatto è questo: gli uomini sono tra loro tanto uguali quanto diseguali. Sono uguali per certi aspetti, diseguali per altri. Volendo fare l’esempio più familiare: sono eguali di fronte alla morte perché sono tutti mortali, ma sono diseguali di fronte al modo di morire perché ognuno muore in modo diverso. Si può dire anche così: sono eguali se si considerano come genus e li confronta uti singuli, cioè prendendoli uno per uno. Tra gli uomini tanto l’eguaglianza quanto la diseguaglianza sono fattualmente vere perché corrispondono a osservazioni empiriche irrefutabili. Ma l’apparente contradditorietà delle due proposizioni - “Gli uomini sono eguali”, “Gli uomini sono diseguali” - dipende unicamente da ciò che si osserva. Ebbene: si possono chiamare correttamente egualitari coloro che, pur non ignorando che gli uomini sono tanto eguali quanto diseguali, danno maggiore importanza, per giudicarli e per attribuir loro diritti e doveri, a ciò che li rende uguali piuttosto che a ciò che li rende diseguali; inegualitari, coloro che, partendo dalla stessa constatazione, danno maggiore importanza, per lo stesso scopo, a ciò che li rende diseguali piuttosto che a ciò che li rende eguali. Si tratta di un contrasto tra scelte ultime, che affondano le loro radici in condizionamenti storici, sociali, culturali, anche familiari, e forse biologici, di cui si sa, o per lo meno io so, molto poco. Ma è proprio il contrasto tra queste scelte ultime che serve molto bene, a mio parere, a contrassegnare i due opposti schieramenti che siamo abituati ormai per lunga tradizione a chiamare sinistra e destra, da un lato il popolo di chi ritiene che gli uomini siano più eguali che diseguali, dall’altro il popolo di chi ritiene che siamo più diseguali che uguali.
A questo contrasto di scelte ultime si accompagna anche una diversa valutazione del rapporto tra eguaglianza-diseguaglianza naturale ed eguaglianza-diseguaglianza sociale. L’egualitario parte dalla convinzione che la maggior parte delle diseguaglianze che lo indignano, e vorrebbe far sparire, sono sociali e, in quanto tali, eliminabili; l’inegualitario, invece, parte dalla convinzione opposta, che siano naturali e, in quanto tali, ineliminabili (...).
3. Una delle conquiste più clamorose, anche se oggi comincia ad essere contestata, dei movimenti socialisti che si sono identificati almeno sino ad ora con la sinistra, da un secolo a questa parte, è il riconoscimento dei diritti sociali accanto a quelli di libertà. Si tratta di nuovi diritti che hanno fatto la loro apparizione nelle costituzioni dal primo dopoguerra in poi e sono stati consacrati anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e da altre carte internazionali successive. La ragion d’essere dei diritti sociali come il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro, il diritto alla saluta, è una ragione egualitaria. Tutti e tre mirano a rendere meno grande la diseguaglianza tra che ha e chi non ha, o a mettere in condizione un sempre maggior numero possibile di essere meno diseguali rispetto a individui più fortunati per nascita e condizione sociale.
Ripeto ancora una volta che non sto dicendo che una maggiore eguaglianza è un bene e una maggiore diseguaglianza è un male. Non voglio neppure dire che una maggiore eguaglianza sia da preferire sempre e in ogni caso ad altri beni come la libertà, il benessere, la pace. Attraverso questi riferimenti storici voglio semplicemente ribadire che se vi è un elemento caratterizzante delle dottrine e dei movimenti che si sono chiamati e sono stati riconosciuti universalmente come sinistra, questo è l’egualitarismo, inteso, ancora una volta, non come l’utopia di una società in cui tutti gli individui siano eguali in tutto, ma come tendenza a rendere più eguali i diseguali.
4. Non ignoro che, prendendo come punto di riferimento e come criterio di distinzione fra opposte parti dell’universo politico l’altro grande ideale che accompagna, come quello dell’eguaglianza, tutta la storia dell’umanità, l’ideale della libertà, considerato ora come alternativo ora come complementare a quello dell’eguaglianza, ci si trova di fronte a un’altra opposizione, quella tra dottrine e movimenti libertari e dottrine e movimenti autoritari. Ma, benché storicamente rilevante quanto quella tra egualitarismo e inegualitarismo, questa distinzione non coincide con la distinzione fra destra e sinistra. Vi sono dottrine e movimenti libertari e autoritari tanto a destra quanto a sinistra. E vi sono tanto a destra quanto a sinistra dottrine e movimenti libertari e autoritari, perché il criterio della libertà serve a distinguere l’universo politico non tanto rispetto ai fini quanto rispetto ai mezzi, o al metodo, da impiegare per raggiungere i fini: si riferisce, cioè, all’accettazione o al rifiuto del metodo democratico, inteso come l’insieme delle regole che consentono di prendere decisioni collettive attraverso liberi dibattiti e libere elezioni, e non facendo ricorso all’uso della violenza. Il contrasto rispetto al metodo permettere di distinguere nell’ambito della destra e della sinistra l’ala moderata e l’ala estremista, cui ho già fatto un primo riferimento nel secondo capitolo. Rivoluzione e controrivoluzione o, con altre espressioni equivalenti, rivoluzione innovatrice e rivoluzione conservatrice, stanno a indicare, più che un programma politico, un certo modo di concepire e di mettere in pratica la lotta per la conquista del potere, che non rifiuti, anzi esiga, la violenza come il mezzo più efficace per una trasformazione radicale della società.
Se mi si concede che il criterio rilevante per distinguere la destra e la sinistra è il diverso atteggiamento rispetto all’ideale dell’uguaglianza, e il criterio rilevante per distinguere l’ala moderata e quella estremista, tanto nella destra quanto nella sinistra, è il diverso atteggiamento rispetto alla libertà, si può ripartire schematicamente lo spettro in cui si collocano dottrine e movimenti politici, in queste quattro parti:
a) all’estrema sinistra stanno i movimenti insieme egualitari e autoritari, di cui l’esempio storico più importante, tanto da essere diventata un’astratta categoria applicabile, ed effettivamente applicata, a periodi e situazioni storiche diverse, è il giacobinismo;
b) al centro sinistra, dottrine e movimenti insieme egualitari e libertari, per i quali potremmo oggi usare l’espressione “socialismo liberale”, per comprendervi tutti i partiti socialdemocratici, pur nelle loro diverse prassi politiche;
c) al centro destra, dottrine e movimenti insieme libertari e inegualitari, entro cui rientrano i partiti conservatori, che si distinguono dalle destre reazionarie per la loro fedeltà al metodo democratico, ma, rispetto all’ideale dell’uguaglianza, si attestano e si arrestano sull’uguaglianza di fronte alla legge, che implica unicamente il dovere da parte del giudice di applicare imparzialmente le leggi;
d) all’estrema destra, dottrine e movimenti antiliberali e antiegualitari, di cui credo sia superfluo indicare esempi storici ben noti come il fascismo e il nazismo.
Va da sé che la realtà è più varia di questo schema, costruito soltanto su due criteri, ma si tratta di due criteri fondamentali, che, combinati, servono a designare una mappa che salva la contestata distinzione tra destra e sinistra, e nello stesso tempo risponde alla troppo facile obiezione che vengono considerati di destra o di sinistra dottrine e movimenti non omogenei come, a sinistra, comunismo e socialismo democratico, a destra, fascismo e conservatorismo; spiega anche perchè, sebbene non omogenei, possano essere in situazioni eccezionali di crisi, potenzialmente alleati.