martedì 15 novembre 2022

IL MASTINO DI BASKERVILLE Sir Arthur Conan Doyle

 


IL MASTINO DI BASKERVILLE 

Sir Arthur Conan Doyle 

Recensione 

Per un giorno di pioggia.....Senza dubbio questo è uno dei romanzi più avvincenti di Arthur Conan Doyle. Un misto tra mistery, giallo e soprannaturale che tiene incollati fino allo svelamento del finale. La descrizione della brughiera è così vivida da far sembrare di esserci immersi durante tutta la lettura.Se vi piace la narrativa “gialla” e trovate il filone contemporaneo troppo affollato e saturo al punto di sentirvi completamente disorientati, fate come me, risalite alla fonte, all’archetipo e non sbaglierete.Conan Doyle è il capostipite del genere e quindi imprescindibile per ogni appassionato.Questo romanzo si caratterizza per la prosa è asciutta, le descrizioni sono funzionali all’economia della storia, non ci sono passaggi noiosi o ridondanti. Una avventura avvicente  che tiene il lettore incollato alle pagine.


IL MASTINO DI BASKERVILLE 

Sherlock Holmes, che solitamente si alzava molto tardi alla mattina - tranne i molto frequenti casi in cui rimaneva in piedi tutta la notte - era seduto al tavolo della prima colazione. Io mi ero chinato sulla stuoia distesa accanto al caminetto e avevo raccolto il bastone da passeggio dimenticato dal nostro ospite della sera prima. Era un bellissimo esemplare di solido legno, dall'impugnatura a bulbo del tipo noto col nome di "Penang lawyer". Proprio al disotto del pomo c’era una grossa striscia d'argento, larga quasi un pollice. Vi era inciso sopra: "A James Mortimer, M.R.C.S., da parte dei suoi amici del C.C.H.", con data "1884". Era proprio il tipo di bastone da passeggio che sono soliti portare i medici di famiglia all'antica: era dignitoso, massiccio, ispirava fiducia. 

- Dunque, Watson, le che cosa dice? 

Holmes sedeva di spalle e non riuscivo perciò a capire come avesse fatto ad accorgersi dei miei movimenti. 

- Come diavolo ha potuto capire quello che stavo facendo? Scommetto che lei ha gli occhi anche sulla nuca! 

- Ho perlomeno una bella caffettiera d'argento lustro proprio di fronte a me - mi rispose. - Ma mi dica, Watson, cosa ne pensa della mazza da passeggio del nostro visitatore? Dal momento che siamo stati così poco fortunati da incontrarlo, e non abbiamo perciò la più pallida idea dello scopo della sua visita, questo ricordo fortuito viene ad assumere una certa importanza. Vediamo se lei riesce a ricostruirmi l'uomo dall'esame del suo bastone. 

- Io penso - dissi, seguendo per quanto mi era possibile i metodi del mio amico - che il dottor Mortimer deve essere un medico in età, con una buona clientela, e molto stimato, dal momento che coloro che lo conoscono gli hanno offerto questo pegno della loro ammirazione. 

- Bene ! - esclamò Holmes. - Bravo ! 

- Penso pure che con tutta probabilità deve essere un medico di campagna, il quale compie quasi sempre a piedi il suo giro di visite. 

- E perché questo? 

- Perché questo bastone, che pure in origine deve essere stato bellissimo, è ormai talmente conciato che stento a immaginarlo di proprietà di un professionista cittadino. I1 grosso puntale di ferro è tutto consumato; è perciò evidente che deve aver fatto del gran camminare, con questo bastone. 

- Giustissimo! - osservò Holmes. 

- E poi c'è quel "da parte degli amici del C.C.H.". Secondo me, deve trattarsi di qualche circolo di caccia; sarà qualche società venatoria locale i cui soci si saranno probabilmente avvalsi delle sue prestazioni mediche, e che avranno voluto ringraziarlo con questo piccolo presente. 

- Francamente, Watson, lei supera se stesso - disse Holmes scostando la sedia e accendendosi una sigaretta. - Devo riconoscere che in tutte le relazioni che lei ha avuto la bontà di stendere intorno alle mie modeste imprese, lei ha solitamente sottovalutato le sue capacità personali. Può essere che lei non sia luminoso in sè, ma indubbiamente è un conduttore di luce. Alcuni individui, pur senza possedere il genio, hanno il notevole potere di stimolarlo. Confesso, mio caro amico, di essere molto in debito verso di lei! 

Holmes non mi aveva mai lodato tanto in vita sua e devo ammettere che le sue parole in quel momento mi procurarono una viva soddisfazione, poiché spesso ero rimasto  ferito dalla sua indifferenza verso l'ammirazione che io avevo sempre manifestata nei suoi confronti e verso i miei tentativi di dare pubblicità ai suoi metodi. Mi sentivo inoltre orgoglioso nel constatare di essere riuscito a impadronirmi dei suoi sistemi al punto da poterli applicare in un modo che mi aveva guadagnato la sua approvazione. Mi tolse di mano il bastone e lo esaminò per alcuni istanti a occhio nudo; assumendo di colpo un'espressione interessata, posò la sigaretta e portando la mazza accanto alla finestra cominciò ad esaminarla ancora con una lente convessa. 

- Interessante, per quanto elementare - fece ritornando al suo angolo favorito all'estremità del piccolo divano. - Questo bastone presenta certamente un paio di indizi e ci offre la base per parecchie deduzioni. 

- Mi sono forse lasciato sfuggire qualcosa? - chiesi con una certa aria d'importanza. - Credo di non aver trascurato alcun particolare degno di nota! 

- Temo, mio caro Watson, che la maggior parte delle sue conclusioni siano sbagliate. Quando ho affermato che lei stimola la mia intelligenza intendevo dire, per essere franco, che nel notare le sue manchevolezze, io sono stato di quando in quando guidato verso la verità. Non che lei sia del tutto in errore nel caso attuale. Si tratta indubbiamente di un medico di campagna e che cammina parecchio. 

- Dunque avevo ragione. 

- Fino a un certo punto. 

- Ma poi basta. 

- No, no, mio caro Watson, non si offenda, per cortesia. Secondo me, per esempio, è più probabile che un medico riceva un dono da un ospedale che non da un circolo di caccia, e perciò quando vedo le iniziali "C.C." poste innanzi a questa H, ospedale esse mi suggeriscono naturalmente le parole "Charing Cross". 

- Può darsi che lei abbia ragione. 

- A mio avviso le probabilità sono dirette in questo senso, e se partiamo da tale presupposto avremo una nuova base su cui costruire la personalità del nostro ignoto visitatore. 

- E va bene: ammettiamo dunque che le iniziali "C.C.H." stiano per "Charing Cross Hospital": quali altre intuizioni possiamo dedurre da ciò? 

- Non lo vede da solo? Lei conosce i miei metodi. Li applichi! 

- Io non vedo che un'unica conclusione possibile: che cioè quest'uomo abbia esercitato la professione in città prima di trasferirsi in campagna. 

 

- Secondo me potremmo azzardare anche un po’ piú in là. Osservi questo oggetto sotto un punto di vista. Quale sarà stata l'occasione piú probabile per offrire un dono del genere? Quando si saranno riuniti, i suoi amici, per regalargli questo pegno della loro gratitudine? Evidentemente nel momento in cui il dottor Mortimer si sarà ritirato dal servizio ospedaliero per avviare la propria professione in privato. Sappiamo che il dono c'è stato, e supponiamo sia avvenuto un cambiamento da un ospedale cittadino a una clientela di campagna. Spingeremmo dunque troppo oltre le nostre fantasie se affermassimo che il dono è stato offerto per questo trasferimento? 

- Certo, la cosa mi sembra probabile. 

- Le farò adesso osservare che il nostro uomo non può aver fatto parte della direzione dell'ospedale, giacché una posizione simile può essere tenuta soltanto da un medico che abbia a Londra una solida e vasta clientela, che non si rassegnerebbe pertanto a ritirarsi in campagna. Che cosa era dunque il nostro uomo? Se lavorava nell'ospedale senza far parte del personale direttivo, non poteva che essere un chirurgo o un medico interno... poco più, quindi, di uno studente anziano. E se n'è andato cinque anni fa... la data è sul bastone. Perciò, mio caro Watson, il suo austero medico di famiglia di mezza età scompare nel vuoto e ne emerge invece un giovanotto al disotto della trentina, simpatico, privo di ambizioni, distratto, e possessore di un cane prediletto che io immaginerei su per giù un po' più grande di un cane bassotto e piú piccolo di un mastino. 

Scoppiai in una risata incredula, mentre Sherlock Holmes si sprofondava nel suo divanetto lanciando verso il soffitto anelli di fumo indefiniti. 

- Per quel che riguarda l'ultima parte non ho dati sufficienti per controllare le sue asserzioni - dissi - ma comunque non è difficile stabilire alcuni particolari inerenti all'età del nostro uomo e alla sua carriera professionale. 

Tolsi dalla mia libreria la Guida Medica e ne sfogliai le pagine sino alla lettera M. Vi erano parecchi Mortimer, ma uno solo di essi poteva essere il nostro visitatore. Lessi ad alta voce l‘informazione al suo riguardo. 

- "Mortimer James, M.R.C.S., 1882, Grimpen Dartmoor, Devon. Chirurgo interno all'Ospedale di Charing Cross dal 1882 al 1884. Vincitore del Premio Jackson per la patologia comparata, con un saggio intitolato “La malattia è una sopravvivenza?”. Socio corrispondente della Società di Patologia svedese. Autore di Capricci dell'atavismo (Lancet, 1882), Siamo in progresso? (Journal of Psychology, marzo 1883). Ispettore medico dei circondari di Grimpen, Thorsley, High Barrow." 

- Nessun accenno a un circolo di caccia locale, caro Watson - mi fece Holmes con sorrisetto malizioso - ma un medico di campagna, come lei ha molto astutamente osservato. Io ritengo di essere discretamente giustificato per quel che riguarda le mie illazioni. In quanto agli aggettivi da me usati, ho detto, se ben ricordo, che si trattava di un uomo simpatico, privo di ambizioni e distratto. So per esperienza che a questo mondo soltanto un uomo simpatico riceve attestati di amicizia, soltanto un uomo privo di ambizioni abbandona una professione a Londra per ritirarsi in campagna, infine soltanto un uomo distratto lascia il proprio bastone anziché il proprio biglietto da visita dopo averti aspettato per un'ora nella tua stanza. 

- E il cane? 

- Ha l'abitudine di portare questo bastone dietro le calcagna del suo proprietario. Trattandosi di un bastone pesante, il cane ha sempre dovuto stringerlo saldamente per il centro, e in questo punto infatti le impronte dei suoi denti sono visibilissime. La mascella del cane, come è dimostrato dallo spazio frammezzo a queste impronte, è troppo larga a parer mio, per appartenere a un bassotto, mentre non è larga abbastanza per poter essere quella di un mastino. Potrebbe trattarsi... ma sì, per Giove, si tratta proprio di un cane da caccia dal pelo riccio. 

Nel dire questo si era alzato e si era messo a passeggiare per la stanza, ma quasi subito si fermò nel vano della finestra. Vi era nella sua voce un tono tale di convinzione che alzai gli occhi sorpreso. 

- Mio caro amico, come può affermare con tanta sicurezza una simile ipotesi? 

- Per la semplicissima ragione che vedo il cane in carne e ossa proprio sulla soglia di casa nostra, ed ecco lo squillo di campanello del suo padrone. Non si muova, Watson, la prego. Si tratta di un suo confratello, e la sua presenza potrà forse essermi di grandissimo aiuto. Questo è il momento drammatico, incontro del destino, Watson, in cui udiamo un passo sulle scale che sta per entrare nella nostra vita, senza che noi ancora sappiamo se ci porterà gioia o sventura. Che cosa vuole questo dottor James Mortimer, uomo di scienza da Sherlock Holmes, lo specialista del delitto? Si accomodi! 

La figura del nostro visitatore fu per me una sorpresa, poiché mi ero aspettato di vedere in lui l'esemplare tipico del medico condotto. Era invece un uomo molto alto e magro, con un lungo naso a becco che sporgeva tra due vividi occhi grigi, posti l'uno vicino all'altro e gaiamente luccicanti da dietro un paio di occhiali cerchiati d'oro. Era vestito secondo la foggia tipica della sua professione, ma in modo alquanto sciatto, poiché la sua giacca a coda di rondine era unta e bisunta e aveva l'orlo dei pantaloni sfrangiati. Benché fosse ancora giovane, la sua lunga schiena era già incurvata, e camminava con una caratteristica mossa in avanti del capo e con un aspetto generale di benevolenza da impiccione. Nell'entrare, i suoi occhi caddero sul bastone che Holmes teneva in mano, ed egli corse a prenderlo con un'esclamazione di gioia. 

- Oh, come sono contento! - esclamò. - Non ricordavo piú se lo avevo lasciato qui oppure all'Agenzia di Navigazione. Non vorrei perdere questo bastone per tutto l'oro del mondo. - Si tratta di un omaggio, a quel che vedo - osservò Holmes. 

- Esatto. 

- Da parte dell'Ospedale di Charing Cross? 

- Mi è stato appunto donato laggiú da alcuni amici in occasione del mio matrimonio. 

- Ahi, ahi, le cose si mettono male! - disse Holmes scuotendo il capo. 

Il dottor Mortimer ammiccò da dietro le lenti con un'espressione di mite stupore. 

- Perché le cose si mettono male? 

- Oh, niente! Soltanto che lei ha scompigliato le nostre modeste deduzioni. Lei mi stava parlando del suo matrimonio, se non erro! 

- Sissignore. Mi sono sposato, e così ho lasciato l'ospedale e con esso ogni speranza di formarmi una clientela, ma avevo necessità di costruirmi una casa mia. 

- Dunque non eravamo poi caduti tanto in errore, dopo tutto - osservò Holmes. - E ora, egregio dottor Mortimer... 

- Signor Mortimer, signor Mortimer... un umilissimo M.R.C.S, Membro del Collegio Reale dei Chirughi. 

- Un uomo però dalla mente molto precisa, a quel che vedo. 

- Oh, un semplice dilettante della scienza, signor Holmes, un raccoglitore di conchiglie lungo le rive del grande oceano ignoto. Credo di rivolgermi appunto al signor Sherlock Holmes e non... 

- No, questo è il mio amico dottor Watson. 

- Lietissimo di conoscerla: ho inteso fare il suo nome unitamente a quello del suo amico. Lei m'interessa moltissimo, signor Holmes. Non mi sarei davvero aspettato un cranio così dolicocefalo né uno sviluppo sopra-orbitale tanto accentuato. Mi consente di far scorrere il mio dito lungo la sua sutura parietale? Un'impronta del suo cranio, egregio signore, sino a quando l'originale non sarà disponibile, formerà il vanto di ogni museo antropologico. Lungi da me ogni intento adulatorio, ma le confesso che invidio il suo cranio. 

Con un cenno cortese della mano Sherlock Holmes invitò il nostro eccentrico visitatore a sedere. 

- Mi accorgo che lei è un entusiasta della sua materia quanto lo sono io della mia - disse. - Noto dal suo indice che lei fa da sé le sue sigarette: non esiti ad accendersene una, la prego. 

Il signor Mortimer cavò di tasca cartine e tabacco e arrotolò quest'ultimo entro una cartina con sorprendente destrezza. Aveva dita vibratili e lunghe, agili e inquiete come le antenne di un insetto. 

Holmes taceva, ma avevo capito dalle sue brevi occhiate che il nostro strano ospite lo aveva acceso di un vivo interesse. 

- Immagino - disse infine - che non è stato soltanto lo scopo di esaminare il mio cranio che l'ha spinta a farmi l'onore di venire qui ieri sera e di nuovo quest'oggi: non è così? 

- Oh, no, caro signore, certo che no; per quanto sia felice che mi si sia offerta questa invidiabile occasione. Sono venuto da lei, signor Holmes, perché riconosco di essere un uomo completamente privo di senso pratico, e perché mi trovo improvvisamente di fronte a un problema gravissimo e del tutto insolito. Ora, poiché ammetto che lei in materia è il secondo esperto d'Europa... 

- Davvero? Posso chiederle chi ha l'onore di essere considerato da lei il primo? - scattò Holmes con una certa asprezza. 

- Per chiunque sia dotato di un cervello matematicamente scientifico, l'opera di Monsieur Bertillon non ha rivali. 

- Perché non consulta dunque Monsieur Bertillon? 

- Io ho parlato, caro signore, di cervelli "matematicamente scientifici", ma è risaputo che come uomo pratico lei sia insuperabile. Oh, spero, egregio signore, di non averla inavvertitamente... 

- Be', lasciamo perdere - tagliò corto Holmes. - Io penso, dottor Mortimer, che farebbe bene a esporrni senza altri indugi la natura esatta del problema intorno al quale ella chiede la mia assistenza. 

 

II 

- Ho in tasca un manoscritto - cominciò il dottor James Mortimer. 

- L'ho notato nel momento in cui lei è entrato nella stanza -fece Holmes. 

- Si tratta di un manoscritto antico. 

- Deve risalire ai primi del XVIII secolo, a meno che non sia falso. 

- Come può affermare una cosa simile, signor mio? 

- Durante tutto il tempo in cui ella ha conversato con me, ha offerto ai miei occhi circa un paio di pollici del manoscritto; ora sarebbe un perito davvero da quattro soldi colui che non sapesse precisare la data di un documento delimitandola entro un decennio al massimo. Forse lei ignora la modesta monografia da me scritta in proposito. Io stabilirei l'epoca di quel foglio intorno al 1730. 

- La data esatta risale al 1742. - Così dicendo il dottor Mortimer cavò dalla tasca della giacca l'oggetto in questione. - Questo documento di famiglia fu affidato in mie mani da Sir Charles Baskerville, la cui morte tragica e improvvisa di circa tre mesi fa ha suscitato profondissima emozione nel Devonshire. Dirò che oltre a essere il suo medico di casa ero anche un suo caro amico. Sir Charles era un uomo volitivo, astuto, pratico, come me del tutto privo di immaginazione. Eppure egli aveva preso molto sul serio questo documento e nel suo animo era preparato alla fine a cui poi effettivamente andò incontro . 

Holmes allungò la mano e prese il manoscritto che stese poi sulle ginocchia. 

- Noti, Watson, l'uso alternato delle s lunghe e di quelle brevi; è uno dei vari indizi che mi hanno consentito di fissare la data. 

Sporgendomi al di sopra della sua spalla esaminai la carta gialliccia e lo scritto sbiadito. In cima, il documento recava l'intestazione: "Castello di Baskerville" e sotto, in grandi cifre arabescate, la data “1742”. 

- Sembra un rendiconto, o qualcosa del genere. 

- Infatti; è la narrazione di un'antica leggenda che si tramanda dal tempo dei tempi nella famiglia dei Baskerville. 

- Ma se ho ben capito, lei intende consultarmi intorno a qualcosa di piú moderno e di piú pratico ! 

- E come no? Si tratta di un argomento modernissimo, praticissimo, estremamente pressante, e che deve essere risolto nelle ventiquattr'ore. Ma il manoscritto è breve e intimamente connesso con la questione che ci riguarda. Se mi consente glielo leggerò io stesso. 

Holmes si spinse all'indietro sulla sedia, unì insieme le punte delle dita e chiuse gli occhi con aria rassegnata. Il dottor Mortimer volse il manoscritto alla luce e prese a leggere con voce acuta, gracchiante, lo strano antiquato racconto che segue: 

 

Intorno alle origini del Mastino dei Baskerville molte leggende sono state narrate: discendendo io tuttavia in linea diretta da Hugo Baskerville, e poiché il fatto mi è stato raccontato da mio padre, il quale a sua volta lo apprese dal suo, io l'ho trascritto con la piena certezza che esso accadde esattamente come qui è detto, e vorrei che voi credeste, figli miei, che quella stessa Giustizia che punisce il male possa anche perdonarlo con gran benevolenza, e che non esista anatema per quanto terribile che la preghiera e il pentimento non possano cancellare. Apprendete dunque da questo racconto a non temere le conseguenze del passato, ma piuttosto a essere circospetti per il futuro, affinché le malvagie passioni per le quali la nostra famiglia ha così dolorosamente sofferto non debbano scatenarsi nuovamente per vostra colpa. 

Sappiate dunque che all'epoca della Grande Ribellione (di cui raccomando caldamente alla vostra attenzione la cronaca del dottor Lord Clarendon) questo Maniero dei Baskerville era in mano a Hugo dello stesso nome, e non si può negare che costui fosse un uomo violentissimo, empio, ateo. Ciò forse in verità gli sarebbe stato perdonato dai suoi vicini, dato che in queste contrade non fiorirono mai santi, ma vi era in lui un'indole così stranamente crudele e perversa, che essa faceva del suo nome sinonimo di orrore in tutta la regione occidentale. Accadde che questo Hugo si accendesse d'amore (se in verità una così cupa passione può essere chiamata con così luminoso appellativo) per la figlia di un proprietario terriero che possedeva alcuni appezzamenti di terreno in prossimità della tenuta dei Baskerville. Ma la giovane, di natura pudica e virtuosa, lo evitava sempre per timore della sua cattiva reputazione. Fu così che nel giorno di San Michele di un certo anno, questo Hugo, insieme a cinque o sei suoi bravacci, irruppe nella fattoria e rapì la fanciulla, mentre il padre e i fratelli erano fuori casa, come egli ben sapeva. Come l'ebbero condotta al Maniero, la ragazza fu rinchiusa in una stanza dei piani superiori, mentre Hugo e i suoi amici si abbandonavano a una lunghissima baldoria notturna. Ora la povera giovane, imprigionata in quella stanza eccelsa, si sentiva rabbrividire di raccapriccio ai canti e alle urla e alle spaventose bestemmie che giungevano sino a lei dal piano terreno: poiché si narra che le parole usate da Hugo Baskerville quando era ubriaco erano tali che avrebbero potuto incenerire l'uomo che le proferiva. Infine, in preda alla paura, la fanciulla fece cosa che avrebbe intimorito il piú coraggioso o il più agile degli uomini, poiché, con 1'aiuto di un ramo d'edera che copriva (e tuttora copre) il muro meridionale, si calò a terra da sotto alle gronde, correndo quindi verso casa lungo la brughiera, sebbene tra il Maniero e la fattoria di suo padre  vi fosse una distanza di tre leghe 

Ora accadde che qualche tempo dopo Hugo lasciò i suoi ospiti per portar da bere e da mangiare - e forse cose peggiori - alla sua prigioniera, e trovò così la gabbia vuota e l'uccellino fuggito. Parve allora che un demone s'impossessasse di lui, poiché si precipitò giú, nel salone da pranzo, balzò sulla grande tavola, facendo volare tutt'attorno a sé caraffe e taglieri, e proclamò ad alta voce dinanzi all'intera compagnia che avrebbe ceduto quella notte stessa il proprio corpo e l'anima insieme alle Potenze del Male purché fosse riuscito a ghermire la sgualdrinella. E mentre i gozzoviglianti arretravano inorriditi da tanto furore, uno piú malvagio, o forse piú ubriaco degli altri, gridò forte che le sguinzagliassero dietro i mastini. Al che Hugo uscì correndo dalla casa, urlando ai suoi scudieri di sellare la sua giumenta e di liberare la muta e, dando ai segugi una sciarpa della fanciulla affinché la annusassero, li aizzò a inseguire la fuggitiva, e via se ne andò urlando attraverso la brughiera, sotto la luce della luna. 

I bravacci stettero per qualche po' come attoniti e incapaci di comprendere ciò che si era svolto così velocemente, ma ben presto le loro menti ottenebrate si schiarirono e intuirono la natura del misfatto che stava per compiersi sopra la landa. Subito ogni cosa fu confusione e tumulto: chi reclamava a gran voce le proprie pistole, chi i cavalli, chi un'altra fiasca di vino. Ma alla fine in quei cervelli obnubilati si fece un briciolo di buon senso, e tutta la compagnia, tredici di numero, saltò sui cavalli, e si buttò all'inseguimento. La luna splendeva luminosa su di loro, e gli uomini cavalcavano rapidi a fianco a fianco, nella direzione che certamente doveva aver preso la fanciulla se aveva avuto l'intenzione di ritornare a casa. 

Percorsero così circa due miglia, quando videro un pastore notturno sopra la landa, e a costui chiesero a gran voce se aveva visto la caccia. E l'uomo, così narra la storia, era così morto di paura che a stento riusciva ad aprire bocca, ma alla fine disse che aveva sì, visto l'infelice fanciulla, con i mastini alle calcagna. "Ma io ho visto anche peggio" soggiunse "poiché Hugo Baskerville mi è passato dinanzi sulla sua giumenta nera ed ecco che dietro di lui correva muto un tal cane d'inferno, che Dio mi scampi e liberi di avere mai dietro le spalle." 

 

Allora i cavalieri ubriachi, lanciando imprecazioni all'indirizzo del pastore, proseguirono nella loro frenetica corsa. Ma ben presto si sentirono agghiacciare il sangue, poiché intesero rimbombare attraverso la landa uno scalpitio di zoccoli equini, e la nera giumenta, madida di schiuma bianca, passò loro daccanto a briglia sciolta e con la sella vuota. Allora i tredici ripresero a cavalcare vicini gli uni agli altri, poiché si era impadronita di loro una gran paura, ma continuarono ad avanzare lungo la brughiera, per quanto, se fossero stati soli,ognuno di loro si sarebbe affrettato a volgere il proprio cavallo e a fuggire in direzione opposta. Cavalcando così lentamente in questo modo, raggiunsero infine i segugi, i quali, pur notissimi per il loro coraggio e la loro fierezza, stavano uggiolando, addossati in mucchio gli uni contro gli altri, al sommo di una profonda dirupo nella landa o goyal, come lo chiamano qui: alcuni ora ritraendosi, mentre altri, con pelo ritto ed occhi smarriti, fissavano la stretta valle che si apriva loro dinanzi. 

Gli uomini intanto si erano fermati, meno ubriachi, come potrete immaginare, di quando erano partiti. La maggior parte non volle assolutamente avanzare, ma tre di loro, i piú audaci, o forse i piú ebbri, si spinsero a cavallo sin entro il goyal. Questo si apriva in un vasto spazio entro il quale sorgevano due di quelle immense pietre, ancora visibili ai nostri giorni, che ivi furono poste in tempi immemorabili da genti oggi dimenticate. La luna splendeva luminosa sopra la radura, ed ecco che proprio nel centro di essa giaceva, nel punto in cui era caduta, morta di terrore e di stanchezza, l'infelice ragazza. E non fu la vista del suo corpo, né la vista del corpo di Hugo Baskerville disteso accanto a quello della giovinetta, che fece rizzare i capelli in capo ai tre temerari, ma la visione paurosa di una creatura ributtante, di un'immane bestia nera, in forma di mastino, e tuttavia piú grande di qualsiasi cane su cui occhio mortale si sia mai posato, che stava sopra il cadavere di Hugo e gli sbranava la gola. E pur mentre quei tre guardavano, il mostro seguitò a dilaniare la gola di Hugo Baskerville, ma non appena esso ebbe rivolti su di loro gli occhi fiammeggianti e le sbavanti mandibole, i tre lanciarono un urlo di terrore e, sempre urlando, fuggirono attraverso la landa. Si narra che uno di essi morì di spavento per quel che aveva veduto, in quella notte stessa, mentre gli altri due non furono più che larve di uomo per il resto dei loro giorni. 

Questa è la storia, figli miei, della venuta del veltro che si dice abbia così dolorosamente angosciato la nostra famiglia da quel tempo in poi. Se l'ho trascritta, l'ho fatto perché ciò che è noto racchiude in sé meno terrore di ciò che è soltanto sussurrato e fantasticato. Né si può negare che molti della nostra famiglia abbiano incontrato morti improvvise, violente, misteriose. Conviene perciò affidarci alla bontà infinita della Provvidenza Divina, che non vorrà continuare a punire in eterno esseri innocenti oltre quella terza o quarta generazione di cui si minaccia nelle Sacre Scritture. A questa Provvidenza, figli miei, io perciò vi affido, e vi consiglio comunque per eccesso di prudenza di evitare di attraversare la landa in quelle ore buie in cui maggiormente si scatenano le Potenze del Male. 

Questo da parte di Hugo Baskerville ai propri figli Rodger e John, con richiesta che tengano segreta la cosa alla loro sorella Elizabeth. 

 

Quando ebbe terminato di leggere questo singolare racconto, il dottor Mortimer si cacciò gli occhiali sulla fronte e fissò col suo sguardo miope Sherlock Holmes. Questi sbadigliò e lanciò nel fuoco il mozzicone della propria sigaretta. - Ebbene? - chiese. 

- Non lo trova interessante? 

- Per un collezionista di fiabe. 

Il dottor Mortimer cavò di tasca un giornale piegato. 

- E adesso, signor Holmes, le offrirò una notizia un tantino piú recente, tratta dal Devon County Chronicle del 14 giugno di quest'anno. Consiste in un breve resoconto dei fatti, sopraggiunti al momento della morte di Sir Charles Baskerville, la quale avvenne alcuni giorni prima di tale giorno. 

Il mio amico si sporse leggermente in avanti, e la sua espressione divenne intensa. Il nostro ospite si rimise gli occhiali sul naso 

 

L’improvvisa recente morte di Sir Charles Baskerville, il cui nome era stato invocato come di un possibile candidato della lista liberale per il Mid-Devon alle prossime elezioni, ha suscitato nella contea impressione dolorosa. Per quanto Sir Charles risiedesse al Castello di Baskerville da tempo relativamente breve, la cordialità del suo carattere e la sua estrema generosità gli avevano portato l'affetto e il rispetto di tutti quelli con cui aveva avuto contatti. In questa epoca di arricchiti fa piacere imbattersi nel discendente di un'antica famiglia nobiliare che ha conosciuto momenti tristi, che si è rivelato in grado di ricostruirsi una propria fortuna che gli ha consentito di ripristinare la passata grandezza della sua famiglia. Come è noto, Sir Charles aveva guadagnato forti somme di danaro in speculazioni sud-africane. Più saggio però di tanti che si ostinano nel guadagno sino a che la fortuna si volge contro di loro, dopo essersi arricchito tornò subito in Inghilterra. Egli si era stabilito al Castello di Baskerville da due anni soltanto e tutti parlavano dei grandiosi progetti di ricostruzione e di migliorie, che la sua morte ha interrotti. Essendo senza figli, era suo desiderio dichiaratamente espresso che tutto il vicinato avesse a trar profitto dalla sua fortuna, mentre egli si trovava in vita, e molti avranno senza dubbio motivi personali per lamentare la sua prematura fine. Abbiamo frequentemente registrato in queste colonne le sue generose donazioni ai locali enti di beneficenza e alla contea. 

Non si può dire che l'inchiesta abbia del tutto chiarito le circostanze collegate con la morte di Sir Charles; tuttavia si è fatto quel che era necessario e doveroso per soffocare le voci cui aveva dato corpo la superstizione del popolino. Non si ha alcun motivo per sospettare qualche losco intrigo, né tanto meno di supporre che la morte sia dovuta a cause meno che naturali. Sir Charles era vedovo, e in un certo senso poteva essere definito un uomo dalle abitudini piuttosto eccentriche. Nonostante la sua rilevante ricchezza era di gusti semplici, e la sua servitú al Maniero di Baskerville era costituita di due coniugi di nome Barrymore, il marito con funzioni di maggiordomo, la moglie in qualità di governante di casa. La loro testimonianza, rinforzata da quella di alcuni amici, tende a dimostrare che la salute di Sir Charles era da qualche tempo indebolita e si è insistito soprattutto su una malattia cardiaca che si manifestava con cambiamenti di colore, mancanza di respiro e acuti attacchi di depressione nervosa. Il dottor Mortimer, amico e medico personale del defunto, ha testimoniato in questo senso. 

I fatti inerenti alla triste vicenda sono semplici. Sir Charles Baskerville aveva l'abitudine di passeggiare ogni sera, prima di coricarsi, lungo il famoso Viale dei Tassi appartenente al Castello. Questa sua consuetudine è suffragata dalla deposizione dei Barrymore. I1 4 giugno Sir Charles aveva fatto sapere che l’indomani intendeva recarsi a Londra, e aveva dato ordine a Barrymore di preparargli il bagaglio. Quella sera egli uscì come al solito per la sua passeggiata, durante la quale aveva l'abitudine di fumare un sigaro. Ma non avrebbe più fatto ritorno. A mezzanotte Barrvmore trovata la porta d'ingresso ancora aperta, si allarmò e dopo aver acceso una lanterna andò in cerca del proprio padrone. La giornata era stata piovosa e le impronte di Sir Charles vennero facilmente rintracciate giù per il Viale. A metà di questa passeggiata si apre un cancello che conduce fuori, sulla landa. Furono ritrovati indizi attestanti che Sir Charles aveva sostato per qualche attimo in quel punto. Aveva poi proseguito lungo il Viale, e precisamente all'estremità di questo fu scoperto il suo cadavere. 

Un particolare rimasto insoluto sta nella dichiarazione di Barrymore, che cioè le impronte di Sir Charles si siano modificate dal momento in cui egli superò il cancello che dà sulla brughiera, poiché sembra che da quel punto in poi egli abbia camminato in punta di piedi. Un certo Murphy, uno zingaro trafficante di cavalli, si trovava proprio in quel momento nella landa, a poca distanza da là, ma per sua stessa confessione pare avesse bevuto parecchi bicchieri più del solito. Costui sostiene di aver udito delle grida, ma non è in grado di stabilire da quale direzione provenissero. Sulla persona di Sir Charles non fu scoperto il pur minimo segno di violenza, e sebbene la dichiarazione medica insistesse su una distorsione facciale pressoché inverosimile - tanto che il dottor Mortimer si rifiutò a tutta prima di credere che colui che gli giaceva dinanzi fosse veramente il suo amico e paziente - questa anomalia fu spiegata come un sintomo non infrequente in casi di dispnea e di morte per insufficienza cardiaca. 

Questa ipotesi fu avvalorata dall'autopsia, la quale rivelò un disturbo organico di origine remota, e l'inchiesta del magistrato della Corona emise un verdetto concordante con le dichiarazioni dei periti settori; ed è bene che sia così, poiché è evidentemente della massima importanza che l'erede di Sir Charles si stabilisca al Castello per continuarvi l'opera fattiva lasciata così tristemente interrotta dal defunto baronetto. Se la prosaica dichiarazione del magistrato inquirente non avesse posto una brusca fine alle dicerie romanzesche che si sono sussurrate in relazione a questa vicenda, sarebbe stato probabilmente difficile vedere il Castello di Baskerville nuovamente abitato. É risaputo che il parente più prossimo è il signor Henry Baskerville, ammesso che sia ancora vivo, cioè il figlio del fratello minore di Sir Charles Baskerville. Le ultime notizie del giovane lo vogliono in America, e si stanno attualmente effettuando ricerche allo scopo di informarlo dell'eredità che gli spetta. 

 

I1 dottor Mortimer ripiegò il giornale e se lo rimise in tasca. 

- Questi, signor Holrnes, sono i fatti che furono resi di dominio pubblico al momento della morte di Sir Charles Baskerville. 

- La ringrazio - disse Sherlock Holmes - per aver richiamata la mia attenzione su un caso che offre indubbiamente alcuni aspetti interessanti. A1 momento del fatto ne avevo, sì, letto qualche commento nei giornali, ma mi trovavo allora molto preso nella questione dei cammei vaticani e, nella mia preoccupazione di far cosa grata al Sommo Pontefice, persi il contatto con parecchi casi degni di nota, accaduti qui in Inghilterra. Lei mi dice che questo articolo contiene tutti i fatti di dominio pubblico, non è così? - Infatti. 

- Mi parli allora di quelli di dominio privato. - Si buttò sullo schienale della sedia, riunì insieme le punte delle dita e assunse il suo aspetto più impassibilmente attento. 

- Facendo questo - cominciò il dottor Mortimer, che aveva incominciato a dare segni di viva emozione - mi accingo a dirle qualcosa che fino ad oggi non ho confidato a nessuno. Il motivo che mi ha indotto a tacere durante l'inchiesta del magistrato della Corona è che un uomo di scienza rifugge dal porsi pubblicamente nella situazione di avallare, sia pure apparentemente, la popolare superstizione. Ero stato spinto a tacere anche da un'altra considerazione, che cioè il Castello di Baskerville, come dice il giornale, sarebbe certamente rimasto sfitto se avessi fatto qualcosa che potesse accrescere la sua fama già sinistra. Per queste due ragioni ho ritenuto che mi sarei sentito giustificato se avessi detto meno di quanto veramente sapevo, giacché dalla mia deposizione non poteva risultare alcun utile pratico: ma non vi è alcun motivo per il quale io non debba essere pienamente sincero con lei. 

«La brughiera è assai scarsamente popolata, e quelli che vi abitano, vicini come sono gli uni agli altri, hanno occasione di incontrarsi frequentemente. Ecco perché vedevo abbastanza spesso Sir Charles Baskerville. Esclusi il signor Frankland, del Maniero di Lafter, e il signor Stapleton, il naturalista, non esistono altre persone di una certa cultura nel raggio di molte miglia. Sir Charles conduceva vita ritirata, ma l'occasione della sua malattia ci avvicinò, e un cumulo di interessi scientifici ci tenne legati. Egli aveva riportato dall'Africa del Sud molte interessanti conoscenze, e quante serate piacevoli abbiamo trascorse insieme discutendo intorno all'anatomia comparata dei boscimani e degli ottentotti. 

«In questi ultimi mesi era cresciuta in me la convinzione che il sistema nervoso di Sir Charles fosse giunto al punto di rottura. Si era talmente immedesimato nella leggenda che vi ho appena letto, che per quanto avesse l'abitudine di passeggiare all’interno della propria tenuta, nulla al mondo lo avrebbe indotto a uscir di notte nella landa. Per quanto questo possa sembrarle incredibile, signor Holmes, egli era fermamente convinto che un pauroso destino minacciasse la sua famiglia, e certamente i fatti ch'egli era in grado di fornire intorno ai suoi antenati erano tutt'altro che incoraggianti. Sir Charles era costantemente ossessionato dall'idea fissa di qualche presenza irreale, e piú di una volta mi aveva domandato se durante le mie uscite notturne avessi visto qualche strano animale o avessi sentito un cane latrare. Quest'ultima domanda mi fu posta diverse volte, e sempre con un tono di voce in cui vibrava paura. 

«Rammento benissimo di essermi recato a casa sua una sera, circa tre settimane prima della tragedia. Per caso Sir Charles si trovava all'ingresso. Ero sceso dal mio calessino e mi trovavo di fronte a lui, quando vidi i suoi occhi appuntarsi al di sopra della mia spalla, e fissare qualcosa, dietro a me, con un'espressione di terrore intenso. Mi voltai di colpo ed ebbi appena il tempo di vedere qualcosa in modo fulmineo, forse un grosso vitello nero, che passava in fondo al viale. Sir Charles era talmente emozionato e spaventato che io ritenni doveroso spingermi sino al punto in cui l'animale era passato e guardarmi intorno. Era già sparito, ma l'incidente parve avere un effetto terribile sulla mente del mio amico. Rimasi con lui tutta la sera, e fu in quell' occasione che, per spiegarmi l'emozione che lo aveva colpito, egli affidò alla mia custodia il racconto letto poco fa. Cito questo piccolo episodio poiché assume una certa importanza nel quadro della tragedia che seguì; ma io allora ero convinto si trattasse di un incidente senza importanza e che il timore del mio amico fosse del tutto ingiustificato. 

«Dietro mio consiglio Sir Charles si stava disponendo a partire per Londra. Io sapevo che il suo cuore era in cattive condizioni, e lo stato costante di allarme in cui viveva, per quanto assurda potesse esserne la causa, aveva evidentemente avuto un effetto dannoso sulla sua salute. Ritenevo che qualche mese di distrazione in città avrebbe fatto di lui un altro uomo. Il signor Stapleton, un nostro amico comune che molto si preoccupava del benessere di Sir Charles, era del mio stesso parere. All'ultimo momento avvenne la tragedia. 

«La notte della morte di Sir Charles, Barrymore, il maggiordomo (fu lui a fare la scoperta) mi mandò Perkins, il mozzo di stalla, a cavallo e siccome ero ancora alzato nonostante fosse tarda ora, fui in grado di raggiungere il Castello di Baskerville solo dopo un'ora dal fatto. Fui io a controllare e a confrontare tutti i dati che furono poi raccolti nell'inchiesta. Seguii le orme sino al Viale dei Tassi, vidi il punto presso il cancello che dà sulla landa, dove sembrava che Sir Charles si fosse fermato ad aspettare; riscontrai la diversa forma delle impronte dopo quel punto, notai che non vi erano altre impronte sulla ghiaia soffice all'infuori di quelle di Barrymore, e infine esaminai minuziosamente il corpo che nessuno aveva toccato sino al mio arrivo. Sir Charles giaceva a faccia in giù, le braccia allargate, le dita affondate nel terreno, i lineamenti alterati da un’emozione così forte che a stento avrei potuto giurare sulla sua identità. Non si vedevano ferite di nessun genere. Ma Barrymore all'inchiesta fece una deposizione non corrispondente al vero. Egli dichiarò che sul terreno, intorno al corpo, non vi erano tracce, perché lui non ne aveva notate: ma io sì... erano a qualche distanza dal cadavere, ma fresche e nitide.» - Tracce di piedi? 

- Sì. 

- Di uomo o di donna? 

Il dottor Mortimer ci fissò per un istante con uno strano sguardo, e la sua voce si affievolì sino a diventare quasi un soffio, mentre rispondeva: 

- Signor Holmes, erano le impronte di un gigantesco mastino! 

 

III 

Ammetto che sentendo ciò mi sentii percorrere da un brivido. Nella voce del dottore vibrava una nota di emozione cosi vivida che era facile comprendere come lui stesso fosse profondamente turbato da quanto ci aveva riferito. Holmes, interessatissimo, si sporse in avanti, e i suoi occhi avevano lo scintillio duro e tagliente che sempre emanava dal suo sguardo quando qualcosa lo avvinceva in modo particolare. - É sicuro di quello che dice? 

- Ne sono altrettanto sicuro quanto sono sicuro di vedere lei ora. 

- E non l’ha detto a nessuno? 

- A cosa serviva parlare? 

- Perché nessun altro le ha notate? 

- Le orme erano a circa venti metri di distanza dal cadavere, e nessuno vi prestò attenzione. Credo che neanche io vi avrei fatto caso se non fossi stato al corrente della leggenda. - Ci sono molti cani da pastore sulla landa? 

- Certamente, ma qui non si tratta di un cane da pastore. 

- E lei dice che doveva essere una bestia molto grossa? 

- Enorme. 

- Però non si era avvicinata al corpo? 

- No. 

- Com'era la notte? 

- Umida e frizzante. 

- Ma in quel momento non pioveva? 

- No. 

- Com'è sistemato il viale? 

- É fiancheggiato da due siepi di vecchi tassi, impenetrabili e alte circa sei metri. Al centro il passaggio è largo circa due metri e mezzo. 

- C’è qualcosa tra le siepi e la passeggiata? 

- Sì, c'è una striscia di verde su ciascun lato, larga circa due metri circa. 

- Mi pare di aver capito che la siepe di tasso è praticabile in un punto dove c'è un cancello: è esatto? - Sì, si tratta del cancelletto che dà sulla landa. 

- Esiste qualche altra apertura? 

- No, nessuna. 

- Cosicché per raggiungere il Viale dei Tassi ci si può arrivare o dalla casa oppure entrando dal cancello che porta sulla landa. 

- Vi è anche un'uscita attraverso un padiglione, all'estremità del viale. 

- Sir Charles era arrivato fino a là? 

- No, era disteso a circa cinquanta metri dal padiglione. 

- Adesso mi dica, dottor Mortimer, e questo è importante: le impronte da lei viste erano sul sentiero ma non sull'erba? 

- L'erba non rivelava alcuna traccia. 

- Erano sul lato del sentiero su cui si apre il cancelletto? 

- Sì; le ho riscontrate sul bordo del sentiero, precisamente sul lato in cui si apre il cancelletto che dà sulla landa. 

- Queste sue dichiarazioni m'interessano moltissimo. Ancora una cosa. Il cancelletto era chiuso? - Sì, era chiuso e la serratura era rinforzata da un lucchetto. 

- Quanto è alto questo cancello? 

- Un metro e mezzo circa. 

- Perciò chiunque avrebbe potuto scavalcarlo? 

- Sì. 

- E quali impronte ha riscontrato presso il cancello? 

- Nessuna degna di annotazione. 

- Santo cielo! E nessuno si è dato la briga di indagare? 

- Certo. Io stesso. 

- E non ha trovato niente? 

- Era tutto così confuso! Evidentemente Sir Charles rimase in quel punto da cinque a dieci minuti. - Come fa a dirlo? 

- Perché ho notato che la cenere dei sigaro era caduta due volte. 

- Benissimo! Questo, Watson, è un collega che ci va a genio. E le impronte? 

- Aveva lasciato le proprie orme tutt'attorno a quel piccolo pezzo di ghiaia. Non ho potuto vederne altre. 

Sherlock Holmes si batté il ginocchio con un gesto di disappunto. 

- Oh, se avessi potuto essere lì! - esclamò. - Si tratta evidentemente di un caso straordinariamente interessante, di quelli che offrono all'esperto scientifico possibilità enormi. Quel tratto di ghiaia sul quale io sarei stato capace di leggere con tanta chiarezza è stato da un pezzo alterato dalla pioggia e reso irriconoscibile dagli zoccoli di contadini curiosi. Oh, dottor Mortimer, dottor Mortimer, e pensare che non mi ha chiamato! Lei dovrà rispondere di questo. 

- Non potevo chiamarla, signor Holmes, senza rendere questi fatti di pubblica ragione, e già le ho esposto i motivi che mi hanno indotto a tacere. E poi... 

- Perché esita? 

- Esiste un campo in cui il più acuto e il più esperto dei poliziotti si rivela impotente. 

- Lei intende insinuare che abbiamo da fare con elementi soprannaturali? - Non intendevo proprio questo. 

- No, ma evidentemente lo ha pensato. 

- Da quando è accaduta la tragedia, signor Holmes, mi sono giunti all'orecchio alcuni particolari che difficilmente si conciliano con l'ordine stabilito dalla natura. 

- Ad esempio? 

- Ecco: sono venuto a sapere che prima che succedesse la tragedia alcune persone avevano visto nella landa un essere che corrisponderebbe nelle descrizioni alla bestia demoniaca dei Baskerville, e che non può essere in alcun modo paragonato ad alcun animale conosciuto dalla scienza. Tutti concordano nell'affermare che si tratta di una creatura mostruosa, fosforescente, fantastica, spettrale. Ho interrogato questa gente: un campagnolo testardo, un maniscalco, un agricoltore di brughiera, e tutti e tre mi hanno ripetuta la stessa storia, mi hanno descritto una apparizione spaventosa, esattamente corrispondente al mastino infernale della leggenda. Le assicuro che nella zona regna il terrore, e non vi è nessuno che si arrischierebbe ad attraversare la landa di notte. 

- E lei, un dotto uomo di scienza, ritiene di trovarsi di fronte a fatti soprannaturali? 

- Io non so che cosa credere. 

Holmes si strinse nelle spalle. - Sino a oggi ho limitato le mie ricerche a questo mondo - disse. - Con i miei umili mezzi ho combattuto il male, ma attaccare il Padre del Male in persona potrebbe essere forse da parte mia una pretesa troppo ambiziosa. Lei però deve ammettere che le impronte sono inequivocabilmente reali. 

- Il mastino è stato tanto reale da dilaniare la gola di un uomo, ma era anche diabolico. 

- Mi accorgo che lei si è schierato con quelli che propendono per il sovrannaturale: ma ora mi dica un po', dottor Mortimer: se lei nutre simili opinioni, perché è venuto a consultare proprio me? Mi dice che è inutile compiere ricerche sulla morte di Sir Charles, e contemporaneamente desidera che io me ne occupi. 

- Non ho detto che desidero che lei se ne occupi. - Come posso aiutarla allora? 

- Consigliandomi come mi dovrò comportare nei confronti di Sir Henry Baskerville, che arriverà alla stazione di Waterloo... - il dottor Mortimer consultò l'orologio - ... esattamente tra un'ora e un quarto. 

- Sarebbe l'erede? 

- Sì. Alla morte di Sir Charles noi abbiamo effettuato ricerche intorno a questo giovanotto, e siamo venuti a sapere che si occupava di agricoltura nel Canada. Dalle informazioni assunte sappiamo che è un ottimo giovane sotto tutti i punti di vista. Io parlo in questo momento non come medico, ma come curatore ed esecutore testamentario di Sir Charles. 

- Non vi è nessun altro pretendente, immagino? 

- No. L'unico altro parente che siamo stati in grado di rintracciare era Rodger Baskerville, il più giovane dei tre fratelli di cui Sir Charles era il maggiore. Il secondo, che morì giovane, è il padre di questo ragazzo Henry. Il terzo, Rodger, era la pecora nera della famiglia. Egli discendeva veramente dall'antica razza autoritaria dei Baskerville, e mi dicono fosse l'esatta riproduzione del ritratto di famiglia del vecchio Hugo. A un certo momento l'Inghilterra prese a scottargli troppo sotto i piedi, perché potesse rimanere: fuggì nell'America centrale dove morì nel 1876 di febbre gialla. Henry è l'ultimo dei Baskerville. Tra un'ora e cinque minuti lo incontrerò alla stazione di Waterloo. Ho avuto un telegramma in cui mi si informa che egli è giunto stamattina a Southampton. Dunque, signor Holmes, come mi consiglia di comportarmi con lui? 

- Non vedo perché non dovrebbe recarsi alla casa dei suoi padri! 

- Parrebbe naturale, vero? E tuttavia pensi che ogni Baskerville che si reca laggiù va incontro a un destino maligno. Io sono fermamente convinto che se Sir Charles avesse potuto parlare con me prima di morire mi avrebbe messo in guardia dal portare in quel luogo di morte quest'ultimo discendente dell'antica stirpe, ed erede di così grande ricchezza. E tuttavia non è possibile negare che il benessere di quella povera e squallida contrada dipende esclusivamente dalla sua presenza. Tutto il proficuo lavoro compiuto da Sir Charles andrebbe in fumo se il Maniero rimanesse senza proprietario. Io temo di essere stato a questo proposito eccessivamente fuorviato dai miei scrupoli personali, ed è per questo motivo che le ho sottoposto il caso per avere un suo consiglio. 

Holmes rifletté alquanto in silenzio. - In parole povere, la questione si pone così - rispose infine. - A parer suo esiste un fattore diabolico che fa di Dartmoor una dimora pericolosa per un Baskerville... Non è così? 

- Comunque, non oso negare che esiste qualche prova in questo senso. 

- Appunto. Se però la sua teoria soprannaturale è esatta, questo fattore diabolico potrebbe recar danno al giovane tanto a Londra quanto nel Devonshire. Un diavolo con poteri esclusivamente locali, proprio come un povero funzionario di provincia, mi sembra francamente una faccenda troppo ridicola e inconcepibile. 

- Signor Holmes, lei prenderebbe la cosa meno sottogamba se venisse a trovarsi in contatto diretto con queste cose. Dunque, secondo lei, il giovanotto si troverebbe altrettanto al sicuro nel Devonshire quanto a Londra. Egli arriverà tra cinquanta minuti. Che cosa mi suggerisce? 

- Le suggerisco di far venire una vettura, di chiamare il suo grazioso cane che in questo momento sta grattando alla porta di casa mia, e di recarsi senza ulteriori indugi a Waterloo per incontrarvi Sir Henry Baskerville. 

- E poi? 

- E poi non dirà nulla finché io non abbia deciso qualcosa. 

- Quanto ci metterà per decidersi? 

- Ventiquattro ore. Le sarò molto obbligato, dottor Mortimer, se alle dieci di domani lei verrà a trovarmi qui, e mi aiuterà certamente per le mie prossime decisioni se porterà anche Sir Henry Baskerville. 

- Va benissimo, signor Holmes. 

Si annotò frettolosamente l'appuntamento su un polsino della camicia e si allontanò velocemente con quel suo strano modo di guardare fra il miope e il distratto. Holmes lo fermò sulla cima delle scale. 

- Ancora una domanda, dottor Mortimer. Lei afferma che prima della morte di Sir Charles Baskerville furono in diversi a vedere quell'apparizione nella landa? 

- Tre persone la videro sicuramente. 

- E dopo? 

- Non ne ho piú sentito parlare. 

- Grazie, buongiorno. 

Holmes ritornò a sedersi nel suo angolo preferito, con quello sguardo colmo di soddisfazione interiore che faceva comprendere come egli già vedesse profilarsi dinanzi a sé un'impresa che sarebbe stata certamente di suo gusto. - Esce, Watson? 

- A meno che non possa esserle di aiuto !... 

- No, caro amico, è nell'ora dell'azione che io mi rivolgo a lei. Ma questo caso è magnifico, e addirittura unico sotto alcuni punti di vista. Quando passa da Bradley vuol dirgli di mandarmi una libbra di tabacco del tipo più forte? Grazie. Sarebbe inoltre molto opportuno se lei facesse in modo di non rientrare prima di sera. Per allora sarò lietissimo di confrontare con lei le impressioni relative al problema interessantissimo che ci è stato sottoposto stamattina. 

Compresi che il mio amico aveva bisogno di isolamento e di solitudine per quelle ore di intensa concentrazione mentale durante le quali egli avrebbe vagliato ogni particolare concreto, avrebbe costruito teorie antitetiche, ponendole le une di fronte alle altre, e finalmente avrebbe deciso nel proprio cervello quali dovevano essere i punti essenziali e quali quelli trascurabili. Pertanto trascorsi la giornata al circolo, e ritornai a Baker Street solo alla sera. Erano quasi le nove quando mi ritrovai di nuovo nel nostro salottino. 

La mia prima impressione nell'aprire la porta fu che fosse scoppiato un incendio, poiché la stanza era talmente impregnata di fumo che la luce della lampada posata sul tavolo ne era offuscata. Nell'entrare però le mie ansie si placarono, poiché era solo l'acre esalazione del tabacco fortissimo, ordinario, che mi aveva preso alla gola e mi aveva fatto tossire. Nella foschia ebbi una vaga visione di Holmes in veste da camera, raggomitolato in una poltrona, con la pipa di terra nera tra le labbra. Vari rotoli di carta lo circondavano. 

- Raffreddato, Watson? - mi chiese. 

- Macché. É quest'atmosfera puzzolente. 

- Già; adesso che me lo dice mi accorgo che è piuttosto densa. 

- Densa? Ma è irrespirabile! 

- E apra la finestra, allora! Vedo che è stato al circolo tutto il giorno. - Ma Holmes! 

- Sono nel giusto? 

- Certo, ma come mai?... 

Egli rise della mia espressione attonita. 

- C'è in lei, Watson, un'ingenuità così deliziosamente fresca, che esercitare a sue spese le mie modeste facoltà mi procura un vero piacere. Un gentiluomo se ne va a spasso in una giornata piovosa e fangosa. Se ne ritorna a sera lindo e pulito, col cappello e le scarpe assolutamente immacolate. Perciò non può che essersene rimasto fermo come una cariatide per tutta la giornata. Non è un uomo che abbia amici intimi. Dove può essere stato, dunque? La cosa non le sembra ovvia? 

- Effettivamente sì. 

- Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si dà mai pena di notare. Dove crede lei che io sia stato? - Fermo e immobile anche lei come un gatto di marmo. 

- Niente affatto: sono stato nel Devonshire. - In ispirito? 

- Esattamente. Il mio corpo è rimasto in questa poltrona e ha consumato in mia assenza, mi spiace di doverlo constatare, due enormi caffettiere e un'incredibile quantità di tabacco. Dopo che lei se ne fu andato, io mandai a chiedere da Stanford la carta militare di quel tratto di landa, e il mio spirito si è librato su di essa per tutta la giornata. Mi lusingo di poter dire che vi ho trovato il mio filo conduttore. 

- Si tratta di una carta su grande scala, immagino? 

- Grandissima. - Ne srotolò una sezione e la spiegò sul ginocchio. - Ecco qui la zona particolare che ci interessa. Questo al centro è il Castello di Baskerville. 

- Con questo bosco intorno? 

- Esatto. Immagino che il Viale dei Tassi, per quanto non contrassegnato sotto questo nome, debba stendersi lungo questa linea, avendo la landa, come lei può notare, alla sua destra. Questo gruppo di case è il villaggio di Grimpen, dove il nostro amico dottor Mortimer ha il suo quartier generale. Come lei vede, nel raggio di cinque miglia ci sono solo poche abitazioni sparse. Questo è il Maniero di Lafter, citato nel racconto; qui abbiamo una casa che potrebbe essere la residenza del naturalista... Stapleton, se ben ne ricordo il nome. Qui vi sono due case coloniche, High Tor e Foulmire. Poi, quattordici miglia più lontano, sorge il grande penitenziario di Princetown. Tra questi punti disseminati e tutt'attorno si stende la landa squallida, morta. Ci troviamo dunque qui sulla scena in cui si è svolta la tragedia, e dove forse noi potremo contribuire a recitarla una seconda volta. 

- Deve essere un luogo desolato. 

- Certo, l'ambiente e l'atmosfera non sono comuni. Se il diavolo ha veramente desiderato di ficcare la sua zampa nelle vicende degli uomini... 

- Così anche lei è propenso a pensare ad una spiegazione soprannaturale! 

- Gli emissari del demonio possono benissimo essere di carne e d'ossa, non le pare? Ma due problemi ci attendono subito sin dall'inizio. I1 primo consiste nel chiarire se un delitto è stato effettivamente commesso; il secondo sta in questo interrogativo: quale delitto e come fu commesso? Naturalmente, se il presupposto del dottor Mortimer fosse esatto, e noi ci trovassimo a lottare con forze estranee alle comuni leggi della natura, la nostra inchiesta avrebbe immediatamente termine. Ma noi dobbiamo esaurire tutte le altre ipotesi prima di ricadere in questa. Credo faremmo bene a chiudere quella finestra, se non le dispiace. È strano, ma io trovo che un'atmosfera concentrata aiuta alla concentrazione del pensiero. Non mi sono spinto sino al punto di rinchiudermi in una scatola a pensare, ma questa è la logica conclusione dei miei convincimenti. Lei ha riflettuto per suo conto a questo nostro nuovo caso? - Sì, ci ho pensato parecchio nel corso della giornata. - E a cosa è arrivato? 

- Secondo me è strano. 

- Certamente mostra un carattere tutto suo. Presenta alcuni tratti tipici. Quel mutamento di direzione nelle impronte, per esempio. Come giudica lei questo? 

- Mortimer dice che Sir Charles, in quel tratto di viale, ha camminato in punta di piedi. 

- Non ha fatto che ripetere quello che qualche imbecille ha detto durante lo svolgimento dell'inchiesta. Perché avrebbe dovuto camminare lungo il viale in punta di piedi? - Già: perché? 

- Perché correva, Watson... correva disperatamente, correva per mettersi in salvo, e corse finché il cuore gli scoppiò ed egli cadde morto con la faccia a terra. 

- Ma a che cosa tentava di sottrarsi? 

- Questo è il problema. Ma abbiamo indizi che il poveraccio dovesse essere folle di paura ancor prima di essersi messo a correre. 

- Come può affermare questo? 

- Secondo me l'origine dei suoi timori gli veniva dalla landa. Se ciò è vero, e la cosa mi sembra assai probabile, soltanto un uomo che abbia perduto le proprie facoltà intellettuali può fuggire lontano dalla propria casa anziché correre verso di essa. Se possiamo tener in considerazione la testimonianza dello zingaro, Sir Charles dovette correre lanciando invocazioni di aiuto proprio nella direzione in cui era meno probabile che egli potesse trovarne. E poi un altro interrogativo: chi stava aspettando Sir Charles, quella sera, e perché attendeva questa persona nel Viale dei Tassi invece che in casa propria? 

- Lei pensa che stesse aspettando qualcuno? 

- Sir Charles era un uomo anziano e malaticcio. E comprensibile da parte nostra che egli facesse una passeggiatina serale, ma quella sera il terreno era umido e il tempo inclemente. Le sembra naturale che egli abbia sostato in piedi per cinque o forse anche per dieci minuti, come il dottor Mortimer, con maggiore buonsenso di quanto io lo ritenessi capace, dedusse dalla cenere del sigaro? 

- Ma Sir Charles usciva ogni sera. 

- Mi sembra improbabile che sostasse ogni sera presso il cancelletto della landa; anzi, tutte le testimonianze tendono a dimostrare che egli evitasse la brughiera. Quella sera invece si fermò proprio in quel punto. Era la sera precedente la sua partenza per Londra. Il mistero prende forma, Watson, si fa coerente. Posso pregarla di porgermi il mio violino? E adesso rimanderemo ogni ulteriore discussione su questo argomento fino a quando, domani mattina, non avremo avuto il piacere di parlare col dottor Mortimer e con Sir Henry Baskerville. 

 

IV 

Da tempo i1 nostro tavolo della prima colazione era stato sparecchiato, e Holmes aspettava in veste da camera il colloquio promesso. I nostri clienti giunsero puntuali all'appuntamento, poiché la pendola aveva appena terminato di battere le dieci quando il dottor Mortimer comparve accompagnato dal giovane baronetto. 

Questi era un uomo di bassa statura, sui trent'anni, dall'aspetto agile, gli occhi neri, il fisico robusto, con sopracciglia nere e folte e una faccia maschia e combattiva. Indossava un abito sportivo di tinta rossiccia, e aveva l'aspetto cotto dal sole di chi ha passato all'aria aperta la maggior parte della propria vita; tuttavia vi era qualcosa nello sguardo fermo dei suoi occhi e nella calma sicurezza del suo portamento che indicava il signore nato. 

- Questo è Sir Henry Baskerville - disse il dottor Mortimer. 

- Già, infatti - aggiunse questi - e il bello è, signor Sherlock Holmes, che se il mio amico qui presente non mi avesse proposto di venire da lei stamattina, ci sarei venuto comunque. So che a lei piace risolvere piccoli enigmi, e a me se ne è presentato uno poco fa che richiede più concentrazione di quanta io sia in grado di averne. 

- Si segga, la prego, Sir Henry. Dunque, da quel che mi è parso di capire, lei appena arrivato a Londra ha già avuto qualche esperienza degna di nota? 

- Oh , niente di molto importante, signor Holmes. Forse si tratta soltanto di uno scherzo, probabilmente. E stata questa lettera, se così vuol chiamarla, che mi è stata recapitata questa mattina. 

 

Così dicendo posò sul tavolo una busta, e tutti ci chinammo a scrutarla. Era una busta di qualità ordinaria, di colore grigiastro. Sopra vi era scritto in stampatello, a caratteri insicuri: "Sir Henry Baskerville. Northumberland Hotel". Recava il timbro postale di Charing Cross e la data di impostazione della sera precedente. 

- Chi sapeva che lei sarebbe sceso al Northumberland Hotel? - domandò Holmes mentre fissava il nostro ospite con sguardo interrogativo. 

- Nessuno poteva saperlo. Fu deciso per quell'albergo soltanto dopo l’incontro col dottor Mortimer. - Ma certamente il dottor Mortimer vi era già sceso per conto suo! 

- No, io mi ero fermato presso un amico - interloquì il dottore. - Non vi era assolutamente nessuno che potesse sapere che noi saremmo scesi a quell'albergo. 

- Uhm! A quanto pare qualcuno si sta interessando moltissimo a ogni vostra mossa. - Tolse dalla busta un mezzo foglio di carta protocollo piegato in quattro. L'aprì e lo spiegò sul tavolo. Nel mezzo vi era tracciata un'unica frase che era stata formata con l'espediente di incollare sul foglio delle parole stampate. La frase suonava così: "Se ci tiene alla vita e alla ragione si tenga lontano dalla landa". La parola "landa" era la sola scritta con normale inchiostro. 

- E adesso - disse Sir Henry Baskerville - forse lei saprà dirmi, signor Holmes, che significa mai questa storia, e chi diamine si interessa tanto ai fatti miei! 

- Lei che ne pensa, dottor Mortimer? Mi concederà che almeno in questo non vi è nulla di soprannaturale! 

- Nossignore, ma potrebbe provenire da qualcuno convinto che si tratti di una faccenda soprannaturale. 

- Quale faccenda? - interruppe bruscamente Sir Henry. - Mi pare che voi signori sappiate molto più di me a proposito di quel che mi riguarda. 

- Lei sarà messo a parte di tutto ciò che sappiamo prima di lasciare questa stanza, Sir Henry: glielo prometto - rispose Sherlock Holmes. - Per il momento ci limiteremo, col suo permesso, allo studio di questo documento davvero interessante, che deve essere stato messo insieme e spedito non più tardi di ieri sera. Ha il Times di ieri? 

- É qui nell'angolo. 

- Posso chiederle di guardare... la pagina interna, per favore, dove ci sono gli articoli di fondo? - Vi lanciò una rapida occhiata, facendo scorrere lo sguardo lungo le varie colonne. - Meraviglioso questo articolo sul libero scambio. Permettetemi di farvene un riassunto. "Voi potrete forse avere ragione di supporre che il vostro commercio specifico o la vostra particolare industria siano incoraggiati da un’economia protezionistica, ma è evidente che un simile sistema di leggi nel tempo terrà lontana la ricchezza dal paese, diminuire il valore delle nostre importazioni e abbassare il tenore generale di vita di quest’isola." Che ne dice, Watson? - esclamò Holmes euforico, sfregandosi le mani tutto soddisfatto. - Non le pare che questo sia un modo di esprimersi davvero degno di nota? 

Il dottor Mortimer guardò Holmes con occhi pieni di interesse professionale, e Sir Henry Baskerville girò su me due pupille nere piene di sbalordito stupore. 

- Io non me ne intendo gran che di economia e di roba del genere - disse - ma mi pare che per quel che riguarda questo articolo ci siamo allontanati di parecchio dal caso nostro. 

- A1 contrario, io invece ho proprio l'impressione che siamo sulla pista giusta, Sir Henry. I1 mio amico Watson conosce meglio di lei i miei metodi, e tuttavia temo che neppure lui sia riuscito ad afferrare il significato di questo periodo. 

- No, confesso che non vedo alcun rapporto... 

- Eppure, mio caro Watson, è così evidente che questa frase è stata tolta da quest'articolo! "Vita, ragione, valore", eccetera... Non capisce da dove tutte queste parole sono state tolte? 

- Tuoni e fulmini, ma è vero! Perbacco! Questo sì che si chiama essere sagaci! - esclamò Sir Henry. 

- Se potesse rimanere ancora qualche dubbio possibile, esso è diradato dal fatto che l'ultima frase è ritagliata tutta in un pezzo solo. 

- Già... è proprio cosi. 

- Francamente, signor Holmes, questo supera quello che io potessi immaginare - disse il dottor Mortimer, fissando il mio amico con stupore. - Avrei ancora capito se qualcuno mi avesse detto che queste parole erano state ritagliate da un giornale; ma che lei mi dovesse nominare quale giornale, aggiungendo che si trattava dell'articolo di fondo, è veramente una delle esperienze più notevoli alle quali io abbia mai assistito. Come ha fatto? 

- Suppongo, caro dottore, che lei sarebbe in grado di distinguere il cranio di un nero da quello di un eschimese! - Si capisce. 

- Ma in che modo? 

- Perché questa è la mia specialità: le differenze sono evidenti: la curva sopra-orbitale, l'angolo facciale, la linea della mascella, la... 

- Ma anche nel caso mio questa è la mia specialità, e le differenze sono altrettanto evidenti. Vi è la stessa diversità, ai miei occhi, tra i caratteri elegantemente borghesi di un articolo del Times e la stampa sgangherata di un giornale della sera da mezzo pence, di quella che corre per lei tra il suo nero e il suo eschimese. L'individuazione dei caratteri di stampa deve costituire una delle più elementari branche del sapere, per lo specialista in criminologia, per quanto devo ammettere che una volta, quand'ero molto giovane, confusi il Leeds Mercury col Western Morning News. Ma un articolo di fondo del Times è inconfondibile, e queste parole non potevano che essere state tolte di li. Poiché la lettera fu architettata ieri, avevo novantanove probabilità su cento di trovarne le parole nella edizione di ieri. 

- Se ho ben capito il suo ragionamento, signor Holmes - disse Sir Henry Baskerville - qualcuno ha ritagliato questo messaggio con un paio di forbici... 

- Si, con forbici da unghie - precisò Holmes. - Vede. Sono state usate forbici dalla lama molto corta, perché chi ha ritagliato le parole ha fatto due intaccature nella frase "Si tenga lontano". 

- É proprio così. Qualcuno dunque ha ritagliato il messaggio con un paio di forbici di piccole dimensioni, e lo ha appiccicato con colla... 

- Gomma - corresse Holmes. 

- Con gomma sulla carta. Ma io vorrei sapere perché hanno dovuto scrivere a mano la parola "landa". 

- Perché chi ha ritagliato il messaggio nel Times non l'ha trovata! Le altre parole erano tutte semplici, ed era facile ritrovarle in qualsiasi giornale, mentre "landa" è un vocabolo assai meno comune. 

- Perbacco, è evidente, questo spiega tutto. Ha visto nient'altro in questo messaggio, signor Holmes? 

- Vi ho trovato un paio di indizi, per quanto il mittente si sia dato molto da fare per disperdere ogni possibile traccia. Osservi, per esempio, l'indirizzo: è scritto in stampatello e a caratteri rozzi. Tuttavia il Times è un giornale che raramente si vede in mano a gente incolta. Possiamo dedurne pertanto che la lettera fu compilata da una persona istruita la quale voleva dare ad intendere di non esserlo, e i suoi sforzi per dissimulare la propria scrittura fanno pensare che appunto la sua scrittura potesse esser nota, o comunque riconoscibile. Osserverete inoltre che le parole non sono ingommate e allineate accuratamente, ma che alcune sono poste più in alto di altre. "Vita", ad esempio, è completamente fuori di squadra. Ciò potrebbe far pensare a trascuratezza, o anche a fretta e agitazione da parte di chi ha ritagliato il messaggio. Nel complesso, propendo per questa seconda ipotesi, dal momento che la cosa era indubbiamente di grande importanza, ed è improbabile che il compilatore di un simile avvertimento possa essere un individuo trascurato. Se aveva premura, si pone l'interessante quesito del perché ne avesse, dal momento che una qualsiasi lettera imbucata di prima mattina sarebbe giunta a Sir Henry prima che egli lasciasse il suo albergo. Forse il compilatore aveva timore di essere interrotto... ma da chi? 

- Noi ci stiamo addentrando ora nel campo delle ipotesi -disse il dottor Mortimer. 

- Dica piuttosto nel campo in cui si valutano le probabilità e si scelgono le più attendibili. Noi ci serviamo dell'immaginazione come mezzo scientifico, ma possediamo pure alcune basi concrete su cui basare le nostre argomentazioni. Ora lei potrà forse chiamarla un'ipotesi, ma io sono quasi sicuro che questo indirizzo è stato scritto in un albergo. 

- Come diavolo fa ad affermare ciò? 

- Se lei avrà la compiacenza di esaminare attentamente lo scritto, si accorgerà che tanto la penna quanto l'inchiostro hanno procurato più di un guaio allo scrivente. La penna si è impuntata due volte nel corso di una sola parola, e il pennino si è asciugato tre volte nello spazio di un breve indirizzo, il che dimostra che nel calamaio ci doveva essere pochissimo inchiostro. Ora, è difficile che una penna o il calamaio di un privato si riducano in queste condizioni, e la combinazione delle due cose è in ogni caso molto rara. Ma tutti noi conosciamo i calamai e le penne degli alberghi, dove è raro trovare qualcosa di meglio di questo. Sì, io non esito ad affermare che se potessimo esaminare i cestini della carta straccia degli alberghi intorno a Charing Cross, fino a rinvenire i resti mutilati dell'articolo di fondo del Times, riusciremmo poi a porre direttamente le mani sulla persona che ha spedito questo singolare messaggio. Ehi! Ehi! Che cosa è questo? 

Studiò attentamente il foglio protocollo su cui le parole erano incollate, mantenendolo a soli pochi millimetri di distanza dagli occhi. 

- Ebbene? 

- Niente - fece Holmes buttando il foglio in un canto. - É un mezzo foglio di carta bianca, senza neppure la filigrana. Io credo che abbiamo dedotto tutto il deducibile da questa strana lettera; e ora, Sir Henry, mi dica: le è successo qualcosa di interessante da quando è a Londra? 

- Ma... no, signor Holmes: non credo. 

- Non ha notato di essere seguito? 

- Ho l'impressione di essere caduto a capofitto in un romanzo d'appendice - rispose il nostro ospite. - Perché diavolo dovevano seguirmi? 

- Glielo spiegherò tra poco. Non ha altro da riferirci prima che ci addentriamo nell'argomento? 

- Mah! Dipende da quello che lei intende per notizie interessanti! 

- Io ritengo che qualsiasi cosa fuori dell'andamento normale della vita quotidiana sia degna di interesse. 

Sir Henry sorrise. - Io non sono ancora gran che al corrente della vita inglese, poiché ho trascorso quasi tutta la mia vita negli Stati Uniti e nel Canada. Ma spero che perdere una delle proprie scarpe non faccia parte dell'andamento quotidiano della vita britannica. 

- Ha perso una delle sue scarpe? 

- Mio caro amico - esclamò a questo punto il dottor Mortimer - si tratta di un semplice smarrimento. Sono certo che la ritroverà non appena rientrerà all'albergo. A che serve disturbare il signor Holmes con piccolezze come questa? 

- Perbacco! Lui mi ha chiesto di dirgli tutto ciò che è fuori dell'andamento normale dell'esistenza quotidiana! 

- Esattamente - disse Holmes - per quanto comune e sciocco possa sembrare un incidente qualsiasi, trova il mio interesse. Dunque, lei dice di aver perduto una delle sue scarpe? 

- Be', perduta o smarrita, faccia come vuole. Io so che ieri sera le ho messe fuori della porta tutt'e due, e che stamattina ce n'era una sola. Non sono riuscito a cavare una parola dal tizio che le pulisce. E il peggio è che si tratta di un paio appena comprato ieri sera nello Strand, mai calzate. 

- Se non le aveva ancora portate, perché le ha messe fuori a pulire? 

- Perché sono scarpe di cuoio grasso, che non erano mai state lucidate. Ecco perché le avevo messe fuori della porta. 

- Allora, da quel che lei mi dice, ieri, appena giunto a Londra, si è recato per prima cosa ad acquistare un paio di scarpe? 

- Ho fatto molte compere. Il dottor Mortimer mi ha accompagnato. Vede, se devo fare il signorotto di campagna, laggiú bisogna che mi vesta in carattere con la mia parte, e temo di essermi lasciato un po' troppo andare in fatto di abbigliamento durante gli anni nel West. Tra le altre cose avevo comperato queste scarpe marrone, che ho pagato sei dollari, e me ne hanno rubata una ancor prima che potessi avere il piacere di infilarmele ai piedi. 

- Mi sembra una cosa inutile e insolita da rubare - osservò Sherlock Holmes. - Confesso di condividere l'opinione del dottor Mortimer: fra non molto tempo lei ritroverà la sua scarpa smarrita. 

- E adesso, signori - disse il baronetto in tono deciso - mi sembra di aver parlato abbastanza intorno al poco che so. E mi sembra invece giunto il momento che voi manteniate la promessa, e che m'informiate con precisione su quel che mi riguarda. 

- La sua richiesta è più che ragionevole - rispose Holmes. - Dottor Mortimer, credo che la cosa migliore sia che lei racconti a Sir Henry la sua storia esattamente come l'ha raccontata a noi. 

Così incitato, il nostro amico scienziato cavò fuor di tasca i suoi appunti, ed espose tutta la vicenda come aveva fatto con noi la mattina precedente. Sir Henry Baskerville stette ad ascoltare con la più profonda attenzione, lanciando di tanto in tanto un'esclamazione di sorpresa. 

- Perbacco! A quanto pare oltre che una tenuta mi sono ereditato una maledizione - osservò, quando il lungo racconto ebbe termine. - Naturalmente avevo inteso parlare del famoso mastino sin da quando ero a balia. É la storia preferita della nostra famiglia, sebbene io non l'abbia mai presa molto sul serio. In quanto alla morte di mio zio... diamine, sento che la mente mi vacilla, ma non riesco ancora a connettere bene. E a quanto pare nemmeno voi avete ancora le idee chiare se si tratti di un caso in cui conviene rivolgersi a un poliziotto oppure a un prete. 

- Proprio così. 

- E adesso c'è questa faccenda della lettera spedita all'albergo. Credo che si intoni nella faccenda a puntino. 

- Secondo me, indica che c’è qualcuno che ne sa molto più di noi su quel che succede nella landa - interloquì il dottor Mortimer. 

- E secondo me - aggiunse Holmes - indica però che c’è anche qualcuno non del tutto mal disposto nei suoi confronti, visto che la mette in guardia contro un pericolo. 

- Però può anche darsi che voglia tenermi lontano spaventandomi per chi sa quali suoi scopi. 

- Naturalmente, anche questo è possibile. Io le sono veramente molto grato, dottor Mortimer, per avermi sottoposto un problema che presenta interessanti angolature. Ma il punto importante su cui adesso dobbiamo prendere una decisione è questo: conviene o non conviene che lei, Sir Henry, si rechi al Maniero di Baskerville? 

- E perché non dovrei andarci? 

- A quanto pare laggiù incombe un grave pericolo. 

- Secondo lei il pericolo proverrebbe da questo dèmone di famiglia oppure da esseri umani? 

- È quello che dobbiamo scoprire. 

- Comunque sia, la mia risposta è questa: non c’è diavolo all'inferno, signor Holmes, né uomo sulla terra che potrà impedirmi di prender dimora nella casa dei miei padri, e lei può considerare questa come la mia risposta definitiva. - Le sue sopracciglia nere si corrugarono e il suo volto arrossì cupamente, mentre scandiva queste parole. Era evidente che il fiero temperamento dei Baskerville non si era estinto in quel loro ultimo discendente. - Intanto - soggiunse - non ho quasi avuto il tempo di pensare a tutto quello che mi avete detto. È molto difficile per un uomo dover capire e decidere in una sola volta. Mi piacerebbe avere un'ora di calma, solo con i miei pensieri, per riflettere. Senta un po', signor Holmes, adesso sono le undici e mezzo, e io ritorno dritto filato al mio albergo. Non sarebbe una bella cosa se lei e il suo amico dottor Watson veniste a pranzo con noi due? Per quell'ora sarei in grado di esprimervi, con  maggiore chiarezza di quanto non possa fare adesso, come vedo questa mia situazione. - La proposta le garba, Watson? 

- Certamente. 

- Allora ci aspetti pure. Devo mandare a chiamare un cab. 

- Preferirei andare a piedi, perché questa faccenda mi ha piuttosto scosso. 

- L'accompagnerò volentieri nella sua passeggiata - disse il suo compagno. 

- Allora alle due. Arrivederci e buongiorno! 

Udimmo i passi dei nostri ospiti discendere le scale e lo sbattere della porta d'ingresso. In un istante Holmes si tramutò da languido sognatore in energico uomo d'azione: 

- Si metta scarpe e cappello, Watson, presto! Non c'è un attimo da perdere! - Scomparve in vestaglia nella sua camera da letto per riemergerne dopo pochi istanti vestito da capo a piedi. Ci precipitammo insieme giú per le scale e uscimmo in strada. Il dottor Mortimer e Baskerville erano ancora visibili a circa duecento metri da noi, diretti verso Oxford Street. 

- Vuole che corra a fermarli? 

- Per niente al mondo, mio caro Watson. La sua compagnia è più che sufficiente, ammesso che lei si accontenti di accettare la mia. I nostri amici sono saggi, perché è davvero una mattina bellissima per passeggiare. 

Affrettò il passo finché non avemmo accorciata di metà circa la distanza che ci separava da loro. Poi, sempre mantenendoci a una distanza di in centinaio di metri, li seguimmo per Oxford Street e quindi in Regent Street. Una volta i nostri amici si fermarono ad ammirare una vetrina di negozio, e Holmes fece altrettanto. Ma un attimo dopo lanciava un piccolo grido di soddisfazione e, seguendo la direzione del suo acutissimo sguardo, scorsi un cab, con un passeggero all'interno, che si era fermato sull'altro lato della strada e poi aveva ripreso ad avanzare lentamente. 

- Ecco il nostro uomo, Watson! Andiamo! Gli daremo una buona occhiata, se non riusciremo a far di meglio. 

In quello stesso momento notai una folta barba nera e due occhi vividi che ci fissavano attraverso il finestrino laterale del cab. Istantaneamente il coperchio della botola alla sommità del veicolo si sollevò, qualcosa venne urlato al cocchiere, e il cab cominciò a correre in Regent Street. Holmes diede un’occhiata veloce intorno in cerca di un'altra carrozza, ma non ne trovò alcuna. Allora si lanciò in un inseguimento selvaggio attraverso l'ingorgo del traffico, ma il suo svantaggio era troppo grande, e già il cab si era dileguato. 

- Maledizione! - borbottò amareggiato Holmes, emergendo ansimante e bianco di rabbia trai i veicoli. - É mai possibile essere così poco fortunati e tanto maldestri? Watson, Watson, se lei è un uomo sincero e onesto dovrà contare tra i miei insuccessi anche questo episodio! 

- Chi era? 

- Non ne ho la minima idea. 

- Una spia? 

- Ecco, è chiaro da quanto abbiamo inteso che Baskerville, dal momento in cui è sceso in città, è stato continuamente seguito. Come avrebbero altrimenti potuto sapere, così in fretta, che egli aveva scelto il Northumberland Hotel? Se era stato seguito il primo giorno, ero sicuro che lo avrebbero seguito anche il secondo. Lei avrà forse osservato che io mi sono avvicinato due volte alla finestra, mentre Mortimer leggeva la sua favola. 

- Sì, mi ricordo. 

- Cercavo di individuare nella strada un qualche eventuale perditempo, ma non ne ho visti. Noi abbiamo di fronte un uomo molto intelligente, Watson. Questo è un caso preoccupante, e per quanto io non abbia ancora del tutto deciso se sia un'entità benevola o malevola quella che si trova a contatto con noi, ho tuttavia la netta sensazione, sempre, di una forza e di un piano ben congegnato. Non appena i nostri amici se ne sono andati io mi son messo subito a seguirli nella speranza d'incrociare il loro invisibile pedinatore. Ma costui è stato cosi astuto da non fidarsi di andare a piedi, si è avvalso invece di una carrozza di piazza, per poterli seguire passo passo o precederli di gran carriera sfuggendo così alla loro attenzione. Il suo stratagemma gli offriva il doppio vantaggio che se avessero preso anch'essi una carrozza egli sarebbe stato pronto a seguirli. Il trucco tuttavia offre uno svantaggio evidente. - Lo pone nelle mani del vetturino. 

- Già. 

- Che peccato che non ne abbiamo preso il numero! 

- Mio caro Watson, va bene che sono ingenuo, ma non al punto da aver trascurato di prenderne il numero! É il 2704. Questo però per il momento non ci serve. 

- Non vedo come lei avrebbe potuto fare di più. 

- Appena notato il cab avrei dovuto immediatamente far dietro front e camminare in direzione opposta. Poi con comodo avrei potuto noleggiare una seconda carrozza e seguire la prima a debita distanza, o meglio ancora avrei potuto farmi condurre sino a Northumberland Hotel e aspettare lì. Quando il nostro ignoto avesse scortato Baskerville sino a destinazione, avremmo avuto allora la possibilità di giocare contro di lui il suo stesso gioco, e di vedere dove si dirigeva. Invece, per uno stupido eccesso d'impazienza, di cui si è avvantaggiato con incredibile prontezza il nostro avversario, ci siamo traditi e abbiamo perso il nostro uomo. 

Durante questa conversazione avevamo proseguito camminando lentamente lungo la Regent Street, e ormai il dottor Mortimer e il suo compagno erano spariti davanti a noi. 

- É inutile che continuiamo a seguirli - constatò Holmes. -Il fantasma è scomparso e non ritornerà. Dobbiamo ora vedere quali altre carte ci restano in mano, e dobbiamo giocarle con decisione. Lei saprebbe riconoscere la faccia dell'uomo visto nel cab? 

- Saprei riconoscere soltanto la sua barba. 

- Di questo sarei capace anch'io... dal che bisogna arguire che con tutta probabilità deve trattarsi di una barba finta. Un uomo intelligente, in un'impresa così delicata, si serve di una barba unicamente per nascondere i suoi lineamenti. Entri qui con me, Watson ! 

S'infilò in un'agenzia di recapito corrispondenza, dove venne caldamente accolto dal direttore. 

- Ah, Wilson, vedo che lei non ha dimenticato la modesta occasione in cui io ebbi la fortuna di poterla aiutare! 

- Certo, signor Holmes, che non me la sono dimenticata! Lei mi ha salvato la reputazione e forse anche la vita. 

- Amico mio, non esageri. Mi par di ricordarmi, Wilson, che lei una volta aveva tra i suoi fattorini un ragazzo di nome Cartwright, che aveva dimostrata una certa abilità durante quell'indagine. 

- Certo, signor Holmes, è sempre con noi. 

- Potrebbe mandarlo a chiamare? Grazie. E le sarei anche grato se mi potesse far cambiare questa banconota da cinque sterline. 

Un ragazzo di circa quattordici anni, dalla faccia vispa e intelligente, era frattanto accorso allo squillo di campanello del direttore. Si fermò, fissando il celebre poliziotto con muto rispetto. 

- Vorrei avere la Guida degli Alberghi - disse Holmes. - Grazie! E adesso, Cartwright, stammi bene a sentire: qui nelle immediate vicinanze di Charing Cross ci sono i nomi di ventitré alberghi: vedi? 

- Sissignore. 

- Tu li visiterai tutti uno per uno. 

- Sissignore. 

- Incomincerai, ogni volta che entri, con il dare uno scellino al portinaio. Eccoti ventitré scellini. 

- Sissignore. 

- Chiederai ogni volta che ti facciano vedere la carta straccia del giorno innanzi, dirai che si è smarrito un telegramma importante e che ti hanno ordinato di rintracciarlo. È chiaro? 

- Sissignore. 

- Quello però che devi cercare in realtà è la pagina centrale del Times in cui sono state ritagliate alcune frasi con le forbici. Eccoti una copia del Times di ieri. Questa è la pagina. La sapresti riconoscere facilmente, vero? 

- Sissignore. 

- In ciascun caso il portinaio ti rimanderà al portiere e anche a questi tu darai uno scellino. Eccoti altri ventitré scellini. Certamente in venti casi su ventitré ti diranno che la carta straccia del giorno innanzi è stata o buttata o bruciata. Negli altri tre casi ti mostreranno un mucchio di carta e tu vi dovrai scovare in mezzo questa pagina del Times. Hai dunque il novantasette per cento di probabilità di non trovarla. Eccoti altri dieci scellini in caso di necessità. Mandami un resoconto telegrafico a Baker Street entro sera. E adesso, Watson, non ci rimane che stabilire, per mezzo del telegrafo, l'identità del vetturino numero 2704, dopo di che faremo una capatina in una delle tante pinacoteche di Bond Street, dove passeremo il tempo sino a quando sarà giunto il momento di recarsi all'albergo. 

 

 

Sherlock Holmes aveva una facoltà molto sviluppata di estraniarsi con la mente, a piacimento, dalle cose che lo circondavano. Per due ore la stramba vicenda in cui ci eravamo trovati coinvolti sernbrò per lui del tutto dimenticata ed egli si sprofondò completamente nella contemplazione delle opere dei pittori belgi contemporanei. Non volle discutere d'altro che di arte, intorno alla quale aveva le idee più audaci, dal momento in cui lasciammo la pinacoteca sino a quando ci trovammo a Northumberland Hotel. 

- Sir Henry Baskerville vi aspetta di sopra - ci disse la segretaria. - Mi ha detto di farvi salire subito non appena foste arrivati. 

- Le dispiace se do un'occhiata al suo registro? - domandò Holmes. 

- Niente affatto. 

Dal registro dell'albergo risultava che dopo il nome di Baskerville erano stati aggiunti altri due nomi. Uno di questi era Teofilo Johnson e famiglia, di Newcastle; l'altro signora Oldmore e cameriera, di High Lodge, Alton. 

- Certo, questo deve essere proprio il Johnson che io conoscevo una volta - disse Holmes al portiere. - Un avvocato, vero, grigio di capelli, che zoppica leggermente? 

- Nossignore; questo è il signor Johnson proprietario di miniere di carbone. È un signore molto in gamba, non certo più vecchio di lei. 

- É sicuro di non sbagliare circa la sua professione? 

- Sissignore: frequenta il nostro albergo da molti anni, e noi lo conosciamo benissimo. 

- Allora questo risolve i miei dubbi. Anche la signora Oldmore, però. Mi pare di ricordare il suo nome. La prego di scusare la mia curiosità, ma spesso ricordando un amico se ne trova un altro. 

- É una signora inferma, signore. Suo marito è stato per un certo tempo sindaco di Gloucester. Scende sempre da noi quando viene in città. 

- La ringrazio; non credo di poter vantare l'onore di conoscerla. Con queste domande abbiamo fissato un dato molto importante, Watson - continuò poi a voce bassa, mentre salivamo le scale. - Sappiamo così che le persone che si interessano al nostro amico non sono scese a questo albergo. Il che significa che mentre sono, come abbiamo visto, assai ansiose di sorvegliarlo, sono altrettanto ansiose di non essere conosciute. Questo è un dato di estrema importanza. 

- Perché? 

- Perché... Salve, caro amico; ma che diavolo succede? 

Mentre giungevamo al sommo delle scale ci eravamo imbattuti con Sir Henry Baskerville in persona. Aveva la faccia rossa di collera, e teneva in una mano una scarpa vecchia e polverosa. Era talmente furibondo che stentava ad articolar parola, e quando finalmente riuscì ad aprir bocca si espresse in un linguaggio molto piú fiorito e molto piú americanizzato di quel che avevamo sentito da lui poche ore prima. 

- Ho l'impressione che in questo albergo mi vogliano far fare la parte dell'imbecille! - gridò. - Ma se non stanno attenti si accorgeranno di aver trovato quello buono. Tuoni e fulmini! Se poi questo tizio non ritrova la mia scarpa saranno guai. Io so tollerare anche uno scherzo pesante, signor Holmes, ma questa volta hanno veramente passato il segno. 

- E sempre in cerca della sua scarpa? 

- Sicuro, e ho tutte le intenzioni di trovarla. 

- Ma non mi aveva detto trattarsi di una scarpa marrone nuova? - Per l'appunto! Ma adesso me ne manca una nera e vecchia. 

- Cosa! Non vorrà dire... 

- É proprio quel che voglio dire! Ne avevo soli tre paia... quello marrone nuovo, le nere vecchie, e queste di vernice che ho indosso. Ieri sera mi hanno rubato quella marrone, e oggi mi hanno fatto saltare una scarpa nera. 

Dunque, l'hai trovata? Parla, disgraziato, e non star lì a guardarmi come una mummia! 

Un domestico tedesco tutto agitato era intanto apparso sulla scena. 

- Nossignore: ho fatto ricerche in tutto l'albergo, ma nessuno ha saputo dirmi niente. 

- Bene; o questa scarpa spunta fuori prima di sera, o io vado dal direttore e gli dico che lascio immediatamente questo suo schifoso albergo. 

- La ritroveremo, signore... Le prometto che la ritroveremo, purché lei abbia un po' di pazienza. 

- Bada che sia così, poiché è l'ultima cosa mia che ho intenzione di perdere in questo covo di ladri. Bene, bene! 

Signor Holmes, mi scusi se l'ho disturbata con quest'inezia... 

- Mi sembra che ci siano tutte le ragioni per essere preoccupati in proposito. 

- Perbacco! Mi pare che lei la stia prendendo molto sul serio! 

- Come spiega questo mistero? 

- Non cerco affatto di spiegarlo. Per me è la cosa più scema e più strana che mi sia mai capitata. - La più strana forse - mormorò Holmes pensierosamente. - Lei che ne pensa? 

- Ecco: per il momento non posso giurare di aver ancora capito il movente di questo mistero. Il suo caso è molto complesso, Sir Henry. Se poi lo metto in rapporto con la morte di suo zio non sono sicuro che fra tutti i cinquecento casi di capitale importanza di cui mi sono occupato ve ne sia uno più misterioso del suo. Abbiamo però in mano diverse fila, e vi è molta probabilità che l'uno o l'altro di questi indizi ci guidi alla verità. Perderemo forse del tempo a seguire un indizio sbagliato, ma presto o tardi giungeremo alla via giusta. 

Ci fu servito un piacevole pranzo durante il quale ben poco fu detto del caso che ci aveva riuniti. Soltanto quando ci fummo ritirati nel salottino privato Holmes domandò a Baskervilie quali fossero le sue intenzioni. - Andare al Maniero di Baskerville. 

- E quando? 

- Alla fine della settimana. 

- Tutto sommato - disse Holmes - considero saggia la sua decisione. Ho prove sicure che lei qui a Londra è pedinato, e in mezzo ai milioni di persone che vivono in questa grande città è difficile scoprire chi sia questa gente o quale scopo abbia di mira. Se le intenzioni di questi signori sono cattive, potrebbero recarle danno senza che noi potessimo intervenire. Certamente lei non sapeva, dottor Mortimer, di essere stato seguito stamattina quando avete lasciato casa mia. 

Il dottor Mortimer ebbe un sobbalzo violento. 

- Seguiti? Da chi? 

- Questo disgraziatamente non glielo so dire. Lei ha tra i suoi vicini o i suoi conoscenti a Dartmoor un uomo con una gran barba nera? 

- No... o almeno... vediamo un po'... Perbacco! Sì, Barrymore, il maggiordomo del povero Sir Charles ha proprio una barba come dice lei. 

- Ah! E dov'è Barrymore? - A custodire il Maniero. 

- Sarebbe bene che ci accertassimo della sua presenza laggiù, o se invece per una ragione qualsiasi sia venuto a Londra. 

- E come può appurare questo? 

- Mi dia un modulo telegrafico. "É tutto pronto per Sir Henry?" Indirizzi al signor Barrymore, Maniero di Baskerville. Qual è l'ufficio telegrafico più vicino? Grimpen. Benissimo! E adesso spediremo un altro telegramma all'ufficiale postale di Grimpen: "Telegramma al signor Barrymore da consegnarsi personalmente in mano sua. In caso di assenza prego rimandare telegramma a Sir Henry Baskerville Northumberland Hotel". Questo dovrebbe farci sapere prima di sera se Barrymore si trova al suo posto nel Devonshire oppure no. 

- Benissimo - disse Baskerville. - A proposito, dottor Mortimer, chi è questo Barrymore? 

- È il figlio del vecchio sorvegliante, ora morto. I Barrymore sono addetti alla custodia del Maniero da ormai quattro generazioni. Per quanto io ne sappia, lui e sua moglie sono una delle coppie più rispettabili della contea. 

- É anche vero - osservò Baskerville - che fino a quando al Maniero non ci sarà nessuno della famiglia, questa gente avrà a disposizione una casa bellissima e niente da fare. - Questo è esatto. 

- Barrymore ha ricavato qualche vantaggio dal testamento di Sir Charles? - disse Holmes. 

- Lui e sua moglie hanno ereditato cinquecento sterline a testa. 

- Ah! Ed erano al corrente del fatto che avrebbero ricevuto questa somma? 

- Sì; a Sir Charles piaceva molto parlare dei lasciti che aveva predisposti nel suo testamento. 

- Questo è molto interessante. 

- Spero - osservò il dottor Mortimer - che lei non giudicherà con occhi sospettosi chiunque ha beneficiato di un lascito da parte di Sir Charles, perché anch'io ho ereditato mille sterline. - Perbacco! E chi ancora ha ereditato? 

- Nel testamento erano state destinate molte piccole somme a vari privati e una forte somma da devolversi in opere di pubblica carità. Il resto è stato tutto lasciato a Sir Henry. 

- E a quanto ammonterebbe questo resto? 

- A settecentoquarantamila sterline. 

Holmes inarcò le sopracciglia con un moto di sorpresa. - Non immaginavo si trattasse di una cifra così sostanziosa - mormorò. 

- Sir Charles aveva fama di essere uomo ricco, ma nessuno di noi sapeva a quanto ammontassero esattamente i suoi beni sino a che non potemmo esaminare i suoi titoli. Il valore totale del suo patrimonio si eleva a quasi un milione di sterline. 

- Perbacco! É una cifra per cui molti sarebbero pronti a giocare una partita disperata. Ancora una domanda, dottor Mortimer: ammesso che accadesse qualcosa al nostro giovane amico... mi voglia perdonare questa spiacevole ipotesi!... a chi andrebbe il patrimonio? 

- Dal momento che Rodger Baskerville, il fratello più giovane di Sir Charles, è morto scapolo, l'eredità toccherebbe ad alcuni lontani cugini, certi Desmond. James Desmond è un vecchio ecclesiastico che abita nel Westmorland. 

- La ringrazio: questi particolari mi sono utilissimi. Lei conosce il signor James Desmond? 

- Sì; è venuto una volta a far visita a Sir Charles. É un uomo dall'aspetto venerando, e di vita esemplare. Rammento che si rifiutò di accettare una qualsiasi proposta di vitalizio da parte di Sir Charles nonostante le pressanti insistenze dello stesso Sir Charles. 

- E quest'uomo di gusti così semplici sarebbe l'erede del milione di Sir Charles? 

- Certamente, poiché il patrimonio è inalienabile. E oltre ai beni immobili erediterebbe anche il denaro, a meno che il proprietario attuale non ne disponesse altrimenti, cosa che egli può benissimo fare se vuole. 

- E lei ha già fatto testamento, Sir Henry? 

- No, signor Holmes, non ancora. Non ne ho avuto il tempo, poiché soltanto ieri ho saputo come stavano le cose. In ogni caso però vorrei che al titolo e alla tenuta andasse unito anche il denaro. Così la pensava il mio povero zio. Come potrebbe il proprietario restaurare la grandezza dei Baskerville se non avesse danaro sufficiente per mantenere decorosamente la proprietà? Casa, terreno e denaro devono stare insieme. 

- Appunto. Ebbene, Sir Henry, sono anch'io del parere che lei si rechi nel Devonshire senza indugio. Metto però un'unica clausola: non deve andarci solo. 

- Ma il dottor Mortimer rientra con me. 

- Ma il dottor Mortimer ha le sue faccende da curare, la sua clientela, e la sua casa si trova a parecchi chilometri di distanza dal Maniero. Con tutta la migliore volontà del mondo potrebbe non essere in grado di aiutarla. No, Sir Henry, lei deve prendere con sé qualcuno, una persona fidata, che possa starle costantemente al fianco. - Sarebbe mai possibile che potesse venire lei, signor Holmes? 

- Se le cose si complicassero, farei in modo di essere presente di persona, ma lei capisce che con la mia vasta clientela di consulente e con i costanti appelli che mi giungono da tante parti mi è impossibile allontanarmi da Londra per un periodo di tempo indeterminato. In questo momento uno dei piú rispettabili nomi d'Inghilterra minaccia di essere infamato da un ricattatore, e soltanto io sono in grado di impedire uno scandalo che potrebbe essere disastroso. Lei vede dunque quanto mi sia impossibile accompagnarla a Dartmoor. 

- Chi mi consiglierebbe dunque? 

Holmes posò una mano sul mio braccio. 

- Se il mio amico si vuole assumere quest'incarico, non saprei consigliarle persona migliore da tenere al fianco in caso di pericolo. Nessuno meglio di me sa questo. 

La proposta di Holmes mi coglieva completamente alla sprovvista, ma prima che io potessi avere il tempo di rispondere, già Baskerville mi aveva afferrato la mano e me la scuoteva vigorosamente. 

- Perbacco, dottor Watson, questo sì è proprio gentile da parte sua! - esclamò. - Lei sa qual è la mia posizione, ed è al corrente di questa faccenda quanto lo sono io. Se mi vorrà accompagnare al Maniero di Baskerville e mi aiuterà, io non la dimenticherò mai. 

Il miraggio dell'avventura aveva sempre avuto per me un grande fascino, e mi sentivo lusingato dalle parole di Holmes e dalla cordialità con la quale il baronetto aveva accolto la possibilità della mia compagnia. 

- Verrò con piacere - dissi. - Non saprei come impiegare meglio il mio tempo. 

- E lei mi ragguaglierà con la massima cura - incalzò Holmes. - Quando si avvererà la crisi, il che accadrà certamente, la istruirò io sul come dovrà agire. Penso che per sabato tutto potrà essere pronto, vero? - Va bene, dottor Watson? 

- Perfettamente. 

- Allora sabato, salvo contrattempi, ci ritroveremo al treno delle dieci e trenta in partenza da Paddington. 

Ci eravamo già alzati per congedarci quando Baskerville lanciò un grido di trionfo, e gettandosi a capofitto in un angolo del salottino trasse da sotto uno stipo una scarpa marrone. 

- La mia scarpa! - urlò. 

- Possano tutte le nostre difficoltà risolversi altrettanto facilmente - sentenziò Sherlock Holmes. 

- È veramente un fatto molto strano, però! - osservò il dottor Mortimer. - Prima di pranzo avevo frugato tutta la stanza da cima a fondo. 

- Anch'io! - disse Baskerville. - Non c'era angolo in cui non avessi guardato. 

- Perciò non era possibile che la scarpa ci fosse, prima di pranzo. 

- In tal caso deve avercela messa il cameriere mentre noi eravamo a tavola. 

Fu fatto venire il tedesco, ma questi protestò di non saper nulla di nulla, né fu possibile con domande e interrogatori chiarire il mistero. Avevamo aggiunto un altro punto oscuro alla continua e apparentemente futile catena di piccoli enigmi che erano andati succedendosi l'un l'altro con tanta rapidità. Indipendentemente dal lugubre fatto della morte di Sir Charles, ci trovavamo di fronte a un susseguirsi di incidenti inspiegabili accaduti tutti nello spazio di due giorni, e che potevano riassumersi nell'arrivo del messaggio stampato, nella spia barbuta nascosta nel cab, nello smarrimento della scarpa marrone nuova, nello smarrimento della scarpa nera vecchia, e infine nel ritrovamento della scarpa marrone nuova. 

Holmes sedette in silenzio nella carrozza che ci riconduceva a Baker Streot, e mi fu facile capire, dal suo viso intento e dal modo come teneva corrugate le sopracciglia, che la sua mente al pari della mia era occupata nello sforzo di collegare questi episodi bizzarri e apparentemente sconnessi. Per tutto il pomeriggio e fino a sera tarda rimase sprofondato nel tabacco e nei propri pensieri. 

Poco prima di cena ci furono consegnati due telegrammi: Il primo diceva: 

 

APPRESO ADESSO CHE BARKYMORE É AL MANIERO. 

BASKERVILLE. 

 

Ed ecco il testo del secondo: 

 

VISITATO VENTITRÉ ALBERGHI COME DA ISTRUZIONI, MA SPIACENTE DOVER RIFERIRE IMPOSSIBILE RINTRACCIARE RITAGLIO "TIMES". 

CARTWRIGHT 

 

- E così due dei miei fili si spezzano, Watson. Non c'è niente che mi sproni di piú quanto un caso in cui tutto mi si mette contro. Dobbiamo andare in cerca di un'altra pista. 

- Ci rimane sempre il vetturino che ha trasportato la spia. 

- Appunto. Ho telegrafato per farmi dare il suo nome e indirizzo dall'Ufficio Municipale, e non mi sorprenderei se questa fosse la risposta alla mia domanda. 

Lo squillo di campanello che echeggiò in quell'istante si rivelò essere piú soddisfacente di una semplice risposta, poiché la porta si aperse lasciando entrare un individuo dall'aspetto rude che evidentemente era l'interessato in persona. 

- Sono stato avvertito dalla Direzione che un signore rispondente a questo indirizzo ha chiesto del 2704 - incominciò 1'uomo. - Sono sette anni che faccio il vetturino e finora nessuno si è lamentato di me. Sono venuto qui direttamente dalla rimessa per chiederle in faccia che cosa ha da dire sul mio conto. 

- Non ho assolutamente nulla contro di lei, amico mio - disse Holmes. - Al contrario, ho già qui pronta mezza sovrana se lei saprà rispondere con chiarezza ad alcune domande che vorrei farle. 

- Be', ho avuto una buona giornata e nessuna grana - disse il fiaccheraio rasserenandosi in volto. - Che cosa mi vuol domandare, signore? 

- Prima di tutto il suo nome e indirizzo, nel caso avessi bisogno nuovamente di lei. 

- Mi chiamo John Clayton, e abito al numero 3 di Turpey Street, al Borough. La mia vettura staziona a Shipley's Yard, vicino alla stazione di Waterloo. Sherlock Holmes prese appunti. 

- E adesso, Clayton, mi parli dell'individuo che è venuto qui e si è messo a sorvegliare questa casa alle dieci di stamane, e poi ha seguìto i due signori giú per Regent Street. 

L'uomo apparve sorpreso e alquanto imbarazzato. 

- Be', è inutile che io stia a portarla in lungo, perché mi pare che lei ne sappia anche piú di me - rispose. - La verità è che il signore mi ha detto che era un poliziotto e che io non dovevo dir nulla di lui a nessuno. 

- Caro il mio uomo, qui si tratta di una faccenda molto seria, e lei potrebbe trovarsi in guai grossi se tentasse di nascondermi qualcosa. ~ sicuro che il suo cliente le ha detto di essere un poliziotto? 

- E come no? 

- Quando gliel'ha detto? 

- A1 momento di scendere dalla vettura. 

- Ha aggiunto altro? 

- Mi ha rivelato il suo nome. 

Holmes mi lanciò una rapida occhiata di trionfo. 

- Oh, le ha rivelato il suo nome, veramente? Che imprudenza! Che nome le ha dato? 

- Mi ha detto - rispose il cocchiere - che era il signor Sherlock Holmes. 

Non avevo mai visto il mio amico sbalordito come in quel momento, a quella risposta inattesa del vetturino. Per un attimo rimase come ammutolito dallo stupore. Poi scoppiò in una fragorosa risata: 

- Bel colpo, Watson... un colpo veramente magnifico! - esclamò. - Eccomi davanti a una lama rapida e agile non meno della mia. Mi ha toccato proprio in pieno, questa volta. Dunque si chiamava Sherlock Holmes? 

- Sissignore, almeno lui mi ha detto di chiamarsi così. 

- Benissimo! Adesso mi dica dove è salito, e tutto quello che è successo. 

- Mi ha fermato alle nove e mezzo in Trafalgar Square. Mi ha detto che era un poliziotto e mi ha promesso due ghinee se per tutta la giornata avessi seguito alla lettera i suoi ordini senza fargli domande. Naturalmente sono stato ben contento di accettare. Per prima cosa ci siamo fermati davanti al Northumberland Hotel, dove abbiamo aspettato fino a quando sono usciti due signori che hanno noleggiato una carrozza al posteggio. Di Iì li abbiamo seguiti sino a che la carrozza si è fermata da queste parti. 

- Proprio qui davanti - precisò Holmes. 

- Be', non saprei dire con sicurezza, ma il mio cliente doveva essere bene informato. Ci siamo fermati a metà strada e abbiamo aspettato un'ora e mezzo. Poi i due signori ci hanno oltrepassato a piedi e noi li abbiamo seguiti giú per Baker Street e lungo... 

- Questo lo so - lo interruppe Holmes. 

- Arrivati quasi alla fine di Regent Street il mio cliente ha alzato il coperchio del cab e mi ha gridato di correre difilato alla stazione di Waterloo il piú in fretta possibile. Ho frustato la mia giumenta e ci siamo arrivati in dieci minuti. Allora egli mi ha pagato le sue due ghinee, da persona onesta, ed è entrato in stazione; proprio sul punto di andarsene si è voltato e mi ha detto: "Forse le interesserà sapere che ha portato nella sua carrozza Sherlock Holmes". Ecco come so il suo nome. 

- Capisco. E poi non lo ha piú veduto? 

- No. 

- Saprebbe descrivermelo, questo signor Sherlock Holmes? 

I1 cocchiere si grattò la fronte. - Ecco, per dir la verità non è un signore tanto facile da descrivere. Io direi che deve avere un quarant'anni, è di media statura, di qualche centimetro piú basso di lei. Era vestito da vero signore, ha la barba nera, squadrata, e una faccia pallida. Non credo di poter dire di piú. - Ha osservato il colore degli occhi? 

- No. 

- Nessun altro particolare di cui lei possa rammentarsi? 

- Nossignore, proprio nulla. 

- Va bene, tenga la sua mezza sovrana. Gliene toccherà un'altra se riuscirà a fornirmi altre informazioni utili. Arrivederci! 

- Arrivederla, signore, e grazie tante! 

John Clayton si allontanò ridacchiando soddisfatto, mentre Holmes si volgeva verso di me con un'alzata di spalle e un sorriso agrodolce. 

- Così, anche il nostro terzo filo si è spezzato, e finiamo da dove abbiamo incominciato - concluse. - Che razza di furbo mascalzone! Sapeva il nostro numero, sapeva che Sir Henry Baskerville mi aveva consultato, ha capito subito in Regent Street chi ero, ne ha dedotto che avrei segnato il numero della carrozza e sarei riuscito a rintracciare il vetturino, e così mi ha mandato a mezzo suo quell'insolente messaggio. Le assicuro, Watson, che questa volta ci troviamo di fronte a un avversario degno di noi. A Londra mi hanno dato scacco matto. Non posso che augurare a lei nel Devonshire una migliore fortuna, benché su questo punto sia tutt'altro che tranquillo. 

- Perché? 

- Non so, ma ho paura a mandarla laggiú. E un brutto affare, Watson, brutto e pericoloso, e piú lo approfondisco meno mi piace. Sì, amico mio, rida pure se crede, ma le dò la mia parola che sarò molto contento quando la rivedrò di nuovo sano e salvo in Baker Street 

 

VI 

 

Sir Henry Baskerville e il dottor Mortimer furono pronti per il giorno concordato, e insieme partimmo per il Devonshire. Sherlock Holmes mi accompagnò fino in stazione, dove mi diede le sue ultime istruzioni e i suoi consigli finali. 

- Non voglio riempirle la testa di suggerimenti e di sospetti, Watson - mi disse; - desidero soltanto che lei mi riferisca i fatti nel modo piú minuzioso possibile, lasciando a me il compito di specularvi. 

- Quali fatti? - domandai. 

- Qualunque cosa possa avere un riferimento al caso, anche indirettamente; e soprattutto dovrà tenermi informato dei rapporti tra il giovane Baskerville e i suoi vicini, o di qualsiasi nuovo dettaglio possa emergere relativamente alla morte di Sir Charles. In questi ultimi giorni ho già effettuato alcune ricerche per conto mio, ma con risultati purtroppo negativi, credo. Una cosa sola mi sembra certa, e cioè che James Desmond, l'erede piú prossimo, è un signore in età, di carattere molto mite, cosa che ci garantisce tranquillità sul fatto che questa trama non sia certamente opera sua. Credo anzi che possiamo eliminarlo del tutto dai nostri sospetti, perciò non ci resta che studiare le persone che circondano Sir Henry Baskerville nella landa. 

- Non sarebbe opportuno sbarazzarci prima di tutto di quei due Barrymore? 

- Neanche per sogno! Significherebbe commettere un errore madornale! Se sono innocenti ci macchieremmo di una crudele ingiustizia, e se sono colpevoli ci metteremmo nell'impossibilità di coglierli sul fatto. No, no, lasciamoli per il momento sulla nostra lista dei sospetti. Se ben rammento, al Maniero c'è anche uno staffiere, e i due fattori della landa. C'è il nostro amico dottor Mortimer, che ritengo onesto al cento per cento, e c'è sua moglie di cui non sappiamo nulla. Abbiamo poi il naturalista Stapleton e sua sorella, che dicono sia una giovane piena di fascino. C'è poi quel Frankland del Maniero di Lafter, che è pure un elemento inclassificabile, e un altro paio di vicini. Questa è la gente ch'io raccomando alla sua attenzione. 

- Farò del mio meglio. 

- È armato, spero! 

- Sì, ho pensato di premunirmi. 

- Ma certamente! Si tenga vicina la rivoltella notte e giorno, e non trascuri mai di usare la massima cautela. 

I nostri amici avevano già fatto riservare uno scompartimento di prima classe e ci aspettavano sul marciapiede della stazione. 

- No, nessuna notizia - rispose il dottor Mortimer in risposta a una domanda del mio amico. - Su una cosa sola sono pronto a giurare, e cioè che in questi ultimi due giorni nessuno ci ha seguiti. Non siamo mai usciti una sola volta senza tenere gli occhi bene aperti, e se qualcuno ci avesse pedinati non ci sarebbe certo sfuggito. 

- Siete stati sempre insieme, immagino. 

- Sempre, fuorché nel pomeriggio di ieri. Di solito quando vengo in città dedico una giornata a iniziative di intrattenimento, e per questo ho trascorso il pomeriggio di ieri al Museo dell'Ordine dei Medici. 

- Io invece sono andato a passeggiare nel parco tra la gente - disse invece Baskerville - ma nessuno ci ha dato fastidio. 

- Comunque, è stata un'imprudenza - osservò Holmes scuotendo la testa e assumendo un'espressione grave. - Le raccomando vivamente, Sir Henry, di non andare mai in giro solo. Se non mi ascolterà le capiterà qualche grave disgrazia. Ha ritrovato la sua scarpa? 

- Purtroppo no: ormai ho rinunciato a riaverla. 

- Davvero? Questo è molto interessante. Be', arrivederci - concluse, mentre il treno incominciava a muoversi lento lungo il marciapiede. - Si rammenti, Sir Henry, di una frase contenuta in quella strana leggenda antica letta dal dottor Mortimer: eviti la landa in quelle ore tenebrose in cui le potenze del male sono scatenate. 

Io mi volsi a guardare il marciapiede della stazione, già incerto nella lontananza e vidi l'alta, austera figura di Holmes immobile, lo sguardo fisso su di noi. 

I1 nostro fu un viaggio rapido e piacevole, e io lo impiegai a fare una piú stretta conoscenza dei miei due compagni, e a giocare col cagnolino del dottor Mortimer. 

In capo a pochissime ora la terra bruna era divenuta rossiccia, il mattone si era tramutato in granito, e mucche rossastre pascolavano in prati recintati dove l'erba lussureggiante e una vegetazione piú ricca parlavano di un clima piú generoso, anche se piú umido. I1 giovane Baskerville guardava con interesse fuori del finestrino, e gridava di gioia ogni volta che riconosceva le caratteristiche familiari dello scenario del Devon. 

- Sono stato parecchio in giro per il mondo da quando me ne sono andato da qua, dottor Watson - mi disse - ma non ho mai visto un posto che possa essere paragonato a questo. 

- E io non ho mai visto un abitante del Devonshire che non amasse le proprie terre - replicai. 

- Non dipende dalla terra soltanto, ma anche dalla razza di uomini che vi abitano - interloquì il dottor Mortimer; basta dare un'occhiata al nostro amico per notare subito in lui la testa rotonda dei celti, che racchiude dentro di sé tutto l'entusiasmo e l’amore per le propie cose celtici. Il cranio del povero Sir Charles era di un tipo rarissimo nelle sue caratteristiche, per metà gaelico e per metà iverniate. Lei però era molto giovane quando ha lasciato il Maniero di Baskerville, non è vero? 

- Ero un ragazzo di dieci anni al tempo della morte di mio padre, e non avevo mai visto il Maniero, poiché abitavamo in un villino sulla costa meridionale. Le posso assicurare che tutto è nuovo per me come lo è per il dottor Watson, e sono ansioso di vedere la landa. 

- Davvero? Allora il suo desiderio sarà facilmente esaudito, poiché eccola - affermò il dottor Mortimer indicando col dito fuori dal finestrino dello scompartimento. 

Sopra i riquadri verdi dei campi e la curva digradante di un bosco si elevava in lontananza una collina malinconica e grigia, dalla strana vetta dentellata, incerta e vaga come il paesaggio fantastico di un sogno. Baskerville stette a contemplarla a lungo, gli occhi fissi su di essa, e io lessi nel suo volto intento quanto essa significasse per lui, quanta importanza avesse al suo sguardo la prima visione di quell'insolita landa dove gli uomini della sua razza avevano per tanto tempo dominato sovrani, lasciando su quel suolo impronte profondissime. Egli era seduto lì, con il suo abito sportivo e il suo accento americano, nell'angolo di una prosaica vettura ferroviaria; e tuttavia, studiando il suo volto bruno, espressivo, comprendevo sempre meglio quanto egli fosse veramente il discendente di una lunga schiera di aristocratici dotati di polso e dominatori. Si leggevano orgoglio, e coraggioso vigore nelle sue folte sopracciglia, nelle sue narici sensibili, nei suoi occhi grandi color nocciola. Se su quella tenebrosa landa ci doveva attendere un'impresa difficile e rischiosa, egli sarebbe stato un compagno per il quale sarebbe valsa la pena di affrontare qualsiasi pericolo, con la certezza che egli l'avrebbe saputo affrontare in modo valido. 

Il treno si fermò a una stazioncina secondaria, e tutti e tre scendemmo. Fuori, al di là della bassa staccionata bianca, ci attendeva una carrozzina cui erano attaccati due cavalli da tiro. I1 nostro arrivo doveva essere evidentemente un avvenimento straordinario, poiché facchini e capostazione ci si affollarono intorno per trasportare il nostro bagaglio. Era un angolo campagnolo semplice e gradevole, ma fui sorpreso nel notare come presso il cancello sostassero due uomini dal piglio soldatesco, in uniforme scura, che se ne stavano appoggiati ai loro corti fucili e ci lanciarono, mentre passavamo, un'occhiata interrogativa. Il cocchiere, un ometto dal viso duro e dal corpo rattrappito, salutò cerimoniosamente Sir Henry Baskerville, e in capo a pochi minuti volavamo a tutta velocità lungo l'ampia strada bianca. Sui due lati di essa si stendevano in curve sempre piú alte ondulati terreni da pascolo, e vecchie case dal tetto appuntito occhieggiavano tra il fitto e verde fogliame; ma dietro quel paesaggio pacifico, irradiato dalla luce solare, sorgeva sempre cupa, contro il cielo dell’imbrunire, il minaccioso profilo della landa, interrotta da sinistre colline dentellate. 

La carrozzina svoltò in una strada laterale, e noi proseguimmo sempre salendo, attraverso profondi viottoli consumati da secoli di ruote e fiancheggiati da alte sponde, coperte di muschio umidiccio e di carnose lingue di cervo. Bronzee felci e rovi macchiettati risplendevano nella luce del sole calante. Seguitando a salire oltrepassammo un angusto ponte di granito, e prendemmo a costeggiare un rumoroso corso d'acqua che avanzava spumeggiante e tumultuoso tra i massi grigi. Sia la strada che il fiumiciattolo si snodavano serpeggiando per una valle fittamente ricoperta di quercioli e di abeti. A ogni svolta Baskerville prorompeva in un'esclamazione di gioia. Si guardava attorno meravigliato e rivolgeva a Mortimer continue domande. Ogni cosa appariva bella ai suoi occhi, ma per me una sfumatura di malinconia soffondeva tutto il paesaggio, che portava chiaramente impresso su di sé il marchio della stagione fuggente. Foglie ingiallite tappezzavano i viottoli volteggiando al nostro passaggio fino a terra. Il cigolio delle nostre ruote si attutiva fra cumuli di vegetazione putrescente; tristi doni, pensai, che la natura getta dinanzi alla carrozza dell'ultimo erede dei Baskerville. 

- Ehi! - esclamò il dottor Mortimer- cos'è questa novità? 

Di fronte a noi si stendeva una brusca curva di terreno tappezzata d'erica, contrafforte avanzato della landa. Sul suo sommo, rigido e - netto come una statua equestre sul proprio zoccolo, stava un soldato a cavallo, accigliato, austero, col fucile imbracciato. Sorvegliava la strada che noi stavamo appunto percorrendo. 

- Che significa questo, Perkins? - domandò il dottor Mortimer. 

I1 nostro cocchiere si girò a mezzo sul suo sedile. 

- Un galeotto è evaso da Princetown, signor dottore. È scappato già da tre giorni, e le guardie sorvegliano tutte le strade e le stazioni, ma finora non sono riusciti ad avvistarlo. Agli agricoltori dei dintorni la cosa non piace per niente, e non si può dargli torto. 

- Capisco: ma so che danno cinque sterline a chiunque grado di fornire informazioni intorno agli  evasi. 

- È vero, signor dottore, ma la probabilità di guadagnare cinque sterline è ben misera cosa in paragone alla probabilità di essere sbudellati. Vede, non si tratta di un criminale qualsiasi. Questo è un uomo che non ha paura di nessuno. 

- Ma chi è dunque? 

- È Selden, l'assassino di Notting Hill. 

Rammentavo perfettamente il caso, poiché a esso Holmes se ne era particolarmente interessato, causa la ferocia insolita del crimine e la stupida brutalità che avevano contrassegnato tutte le gesta dell'assassino. La commutazione della condanna a morte era stata concessa grazie ad alcuni dubbi sorti sulla totale sanità di mente dell'omicida, tanto atroce era stato il suo crimine. La nostra giardiniera intanto aveva raggiunto un'altura, e di fronte a noi si levava l'enorme distesa della landa, tutta picchiettata di cumuli di pietre e di poggi rocciosi scoscesi e irregolari. Soffiava un vento gelido che ci fece rabbrividire. Chi sa in quale punto di quella piana desolata si annidava quell'essere diabolico, appiattato in qualche anfratto come un animale feroce, il cuore gonfio di malvagità contro l'intera razza umana che lo aveva bandito. Ci voleva proprio questo per completare la sinistra suggestività di quell'arida desolazione, di quel vento agghiacciante, di quel cielo sempre piú cupo. Persino Sir Henry Baskerville divenne silenzioso e si strinse meglio il cappotto intorno al corpo. 

Avevamo lasciato la terra fertile dietro e sotto di noi. Ci volgemmo ora a guardarla; i raggi obliqui del sole calante tramutavano i ruscelli in nastri d'oro e rilucevano sulla rossa campagna rivoltata dall'aratro, e sul vasto groviglio dei boschi. La strada di fronte a noi diveniva sempre piú tetra e piú selvaggia, avanzando tra enormi pendii di un colore ora rossiccio, ora olivastro, cosparsi di massi giganteschi. Passavamo di tanto in tanto davanti a un'abitazione di brughiera, mura e tetto in pietra, senza che nessun rampicante ne interrompesse il profilo squallido. A un certo punto abbassammo lo sguardo in una depressione a conca, ricoperta di quercioli e abeti striminziti che la furia degli anni e delle tempeste avevano contorto e piegato. A1 disopra degli alberi si elevavano due alte e sottili torri. Il cocchiere accennò con la frusta. 

- I1 Castello di Baskerville- disse. 

I1 giovane proprietario si era levato in piedi e fissava la costruzione con le guance arrossate e gli occhi scintillanti: pochi minuti dopo avevamo raggiunto i cancelli della foresteria, intrico di disegni fantastici in ferro battuto, con pilastri consunti dal tempo su ciascun lato, ricoperti di licheni, e sormontati dallo stemma a teste di verro dei Baskerville. La foresteria era appena un rudere di granito nero e di travi scrostate e messe a nudo; ma di fronte a essa sorgeva un edificio nuovo, costruito solo a metà, primo frutto dell'oro sudafricano di Sir Charles. 

Attraverso la cancellata entrammo nel viale, dove le ruote ripresero a scivolare silenziose, attutite dalle foglie cadute, mentre gli alberi centenari formavano sulle nostre teste, con i loro rami, una scura galleria. Baskerville ebbe un brivido nel vedere il lungo e cupo viale al cui limite estremo la casa scintillava con la incerto e fosforescente come un fantasma. 

- È successo qui? - domandò a voce bassa. 

- No, no, il Viale dei Tassi è dall'altro lato. 

Il giovane erede si guardò attorno con espressione preoccupata. 

- Non c'è da stupire se mio zio aveva l'impressione che gli sarebbe capitata una disgrazia in un posto come questo - disse. - Spaventerebbe anche un eroe. In capo a sei mesi farò mettere qui tutta una fila di lampadine elettriche, e non riconoscerete piú questo ingresso quando proprio di fronte alla porta scintilleranno tante Swan ed Edison della forza di mille candele. 

Il viale si allargava in un vasto terreno erboso, ed ecco che la casa apparve davanti a noi. Nella scarsa luce mi fu possibile notare che il centro di essa era costituito di un fabbricato pesante, massiccio, dal quale si allungava un porticato. L'intera facciata era rivestita di edera ritagliata, qua e là a zone dove una finestra o un blasone ne rompeva il cupo e fitto fogliame. Da questo blocco centrale si alzavano le torri gemelle, antiche, merlate, trafitte da numerose feritoie. A destra e a sinistra dei torrioni si stendevano due ali piú moderne di granito nero. Una luce incerta brillava debolmente attraverso le adorne finestre a colonnine, e dagli alti comignoli svettanti su dal tetto appuntito, allungato, si sprigionava un'unica nera colonna di fumo. 

- Benvenuto, Sir Henry! Benvenuto al Castello di Baskerville! 

Un uomo di alta statura si era staccato dall'ombra del portico ed era venuto ad aprire la portiera della vettura. Contro la luce gialla del vestibolo si stagliava una figura di donna. Anche lei uscì e aiutò l'uomo a posare i bagagli a terra. 

- Le dispiace se proseguo diritto a casa mia, Sir Henry? - chiese il dottor Mortimer. - Mia moglie mi aspetta. 

- Come! Non si ferma a cenare con noi? 

- No, devo andare. Può darsi che trovi del lavoro che mi aspetta. Mi piacerebbe restare per mostrarvi la casa, ma Barrymore sarà certamente una guida migliore di me. Arrivederci dunque, e non esiti mai, sia di giorno che di notte, a mandarmi a chiamare nel caso ci fosse bisogno di me. 

I1 rumore delle ruote si spense giú per il viale mentre Sir Henry e io entravamo nell’ingresso, dopo di che la porta si chiuse alle nostre spalle con molto rumore. La sala in cui venimmo a trovarci era bellissima; grande, alta, interamente costruita con travi enormi di quercia annerite dal tempo. Nel grande camino antiquato, dietro gli alti alari di ferro, scoppiettava un fuoco di ceppi. Sir Henry e io tendemmo le mani per scaldarcele, poiché la lunga corsa ci aveva intirizziti. Volgemmo poi i nostri sguardi all'alta sottile finestra dagli antichi vetri istoriati, al rivestimento di quercia, alle teste di cervo e ai blasoni appesi alle pareti, il tutto incerto e cupo nella scarsa luce della lampada centrale. 

- È proprio come me l'ero immaginata - disse Sir Henry. - Non le pare veramente una tipica vecchia dimora familiare? Pensare che questa è la casa in cui la mia gente vive da cinquccento anni! Al solo pensiero mi sento invadere di solennità! 

Notai che, mentre egli si guardava attorno, il suo volto bruno si era illuminato di un entusiasmo infantile. La luce batteva in pieno su di lui, nel punto in cui si trovava, ma ombre allungate serpeggiavano lungo le pareti e gli pendevano tutt'attorno come un nero baldacchino. Barrymore intanto era ritornato dopo aver portato i nostri bagagli nelle rispettive camere. Si fermò di fronte a noi nell'atteggiamento rispettoso di un domestico addestrato da lunga esperienza. Era un uomo dall'aspetto notevole: alto, molto alto, portava una barba nera quadrata e i suoi lineamenti pallidi erano molto fini. - Desidera che il pranzo sia servito subito, Sir? - È già pronto? 

- Sarà pronto tra pochi minuti, Sir. I signori troveranno l'acqua calda nelle loro camere. Mia moglie e io, Sir Henry, saremo felici di restare al suo servizio finché Vossignoria non avrà prese nuove disposizioni, ma Vossignoria capirà certamente che, dato il mutare delle circostanze, questa casa avrà bisogno di un personale piú numeroso. 

- Come sarebbe a dire? 

- Intendevo semplicemente dire, Sir, che Sir Charles conduceva una vita molto ritirata, e per supplire alle sue necessità noi due eravamo sufficienti alle sue esigenze; Vossignoria invece vorrà avere naturalmente maggior compagnia, e le occorreranno pertanto dei cambiamenti nella servitú. 

- Dunque tu e tua moglie avreste intenzione di andarvene? 

- Naturalmente ce ne andremo solo quan do Vossignoria lo troverà opportuno. 

- Ma la tua famiglia è con noi da parecchie generazioni, non è così? Mi dispiacerebbe iniziare la mia vita qui interrompendo un'antica tradizione familiare. 

Mi parve scorgere sul volto esangue del maggiordomo una lieve traccia di emozione. 

- Dispiace anche a me, Sir, e così pure a mia moglie; ma per esser sinceri Sir eravamo entrambi molto affezionati a Sir Charles, e la sua morte è stata un grave colpo per noi, e vivere in questo ambiente è diventato per noi molto malinconico. Non credo che riusciremo piú a vivere sereni al Castello. 

- Ma che cosa avete intenzione di fare? 

- Sono certo, Sir, che riusciremo a sistemarci in un lavoro o in un altro. La generosità di Sir Charles ci ha concesso i mezzi per farlo. E adesso, Sir, sarà meglio che io guidi lor signori nelle loro rispettive camere. 

Una galleria rettangolare e cinta da una balaustrata correva intorno alla sommità del vetusto vestibolo, al quale si accedeva mediante una doppia scalinata. Da questo punto centrale si diramavano per tutta l'estensione dell'edificio due lunghi corridoi sui quali davano tutte le camere da letto. La mia era situata nella medesima ala dove si trovava quella di Baskerville ed era pressoché attigua. Le camere avevano l'aspetto assai piú moderno che non il corpo centrale della casa, e la tappezzeria lucida e le numerose candele, riuscirono a cancellare in parte l'impressione di sconforto ricavato  a primo acchito dal nostro arrivo. La sala da pranzo però, che si apriva sull’ingresso, era un luogo buio e malinconico. Era un ampio locale con un gradino che divideva il tratto di pavimento rialzato e protetto da baldacchino, dove la famiglia era solita sedere separata dalla porzione inferiore riservata al personale di servizio. Su una parte di questo salone sovrastava la galleria dei menestrelli. Nere travi si incrociavano sulle nostre teste, e al di là di esse si stendeva un soffitto annerito dal fumo. L'ambiente sarebbe forse stato addolcito da file di torce fiammeggianti, dall'animazione e dalla rude ilarità di un banchetto del buon tempo antico; ma ora che nel breve cerchio di luce gettato da un'unica lampada con paralume sedevano due gentiluomini vestiti di scuro, involontariamente veniva naturale abbassare la voce e sentirsi l'animo angosciato. Una incerta fila di antenati, vestiti in ogni foggia, dal cavaliere elisabettiano al damerino della Reggenza, ci fissavano muti sconcertandoci con la loro presenza. Parlammo appena, e, almeno io, fui felice quando il pasto ebbe termine e ci fu consentito di ritirarci nella moderna sala da biliardo a fumare una sigaretta. 

- Parola d'onore, non è una casa molto allegra - osservò Sir Henry. - Forse col tempo mi ci abituerò, ma per il momento mi sento piuttosto fuori posto col resto del quadro. Non mi meraviglio che mio zio si sia esaurito a furia di abitare tutto solo in una casa come questa. Comunque, se non le dispiace, questa sera ci ritireremo presto, e chi sa che domani le cose non ci appaiano un po’ piú allegre. 

Prima di coricarmi scostai le mie tendine e detti uno sguardo fuori della finestra. Questa si apriva sullo spiazzo erboso che si apriva davanti all'ingresso del Maniero. Piú lontano, due macchie d'alberi cedui gemevano e oscillavano sotto la sferza crescente del vento. La falce della luna apparve tra gli squarci delle nuvole mutevoli. Alla sua fredda luce scorsi al di là degli alberi una frastagliatura spezzata di rocce e la lunga bassa curva della tetra landa. Richiusi le tendine, con la netta sensazione che le mie ultime impressioni fossero purtroppo in perfetta armonia con le prime che avevo ricevuto all'arrivo. 

Eppure non dovevano essere veramente le ultime. Mi accorsi di essere stanco e al tempo stesso vigile, perché mi agitavo inquieto, in cerca del sonno che non voleva venire. In lontananza un orologio scandiva le ore e i quarti, ma per il resto su tutta l'antica casa regnava un silenzio di morte. E ad un tratto, fuori, nel cuore della notte, mi giunse alle orecchie, chiaro, alto, inconfondibile, un rumore. Era un singhiozzo di donna, l'affanno soffocato e represso di chi è straziato da incontenibile dolore. Mi levai a sedere sul letto ad ascoltare. I1 rumore non poteva giungere da molto lontano, forse solo dall'interno della casa. Attesi per mezz'ora, all’erta, ma non sentii piú nulla fuorché i rintocchi della pendola e il fruscio dell'edera sul muro. 

 

VII 

L'indomani, la fresca bellezza del mattino contribuì a cancellare in parte dai nostri animi la tetra impressione che i nostri primi contatti col Castello di Baskerville avevano prodotto su di noi. Mentre Sir Henry e io eravamo seduti a colazione, la luce solare entrò a fiotti attraverso le finestre polifore, gettando chiazze iridescenti di colore dai blasoni che le ricoprivano. Sotto i raggi dorati gli scuri pannelli lucevano come bronzo, e si stentava a pensare che quella era proprio la medesima sala che tanto opprimente tristezza aveva provocato nei nostri spiriti la sera innanzi. 

- Penso che dobbiamo biasimare noi stessi, non la casa! -esclamò il baronetto. - Eravamo talmente stanchi del viaggio e intirizziti dalla scarrozzata, che persino questa bellissima sala ci ha fatto un cattivo effetto: ma ora che siamo freschi e riposati tutto ha un aspetto molto piú allegro e accogliente. 

- Eppure non era tutta colpa della nostra immaginazione -obiettai io. - Non ha udito per caso una donna che singhiozzava, stanotte? 

- Effettivamente è una cosa curiosa: infatti mentre ero fra la veglia e il sonno ho avuto proprio l'impressione di sentire qualcosa del genere. Sono rimasto per un po' in ascolto, ma poi, non sentendo niente altro, ne ho dedotto che dovevo avere sognato. 

- Io invece ho sentito benissimo, e sono sicuro che era veramente il singhiozzo di una donna. 

- Dovremo approfondire. 

Suonò il campanello e domandò a Barrymore se ci poteva fornire qualche spiegazione intorno a quel che avevamo sentito. Mi parve che i pallidi tratti del maggiordomo diventassero ancora lievemente piú pallidi, quando sentì la domanda del padrone. 

- In casa ci sono solo due donne, Sir Henry - rispose. -Una è la sguattera che dorme nell'altra ala. L'altra è mia moglie, e posso giurare che non era sicuramente lei a piangere. 

E tuttavia mentre diceva questo l'uomo mentiva, poiché accadde che dopo colazione io incontrassi per caso la signora Barrymore nel corridoio lungo, mentre il sole le batteva in pieno viso. Era una donna massiccia, dall'aspetto impassibile, dai tratti pesanti, dalla bocca dura e chiusa. Ma i suoi occhi arrossati e le sue palpebre enfiate l'accusavano senza possibilità di dubbio. Era dunque veramente lei la donna che piangeva, la notte prima, e perciò suo marito doveva saperlo: nondimeno aveva corso il rischio di essere ripreso affermando che non si trattava di sua moglie. Perché aveva fatto questo? E perché la donna aveva pianto così disperatamente? Ecco che già intorno a quel bell'uomo dalla barba nera e dal viso pallido si stava addensando un'atmosfera di mistero e di tristezza. Era stato lui il primo a scoprire il cadavere di Sir Charles, e su tutte le circostanze che avevano condotto alla morte del vecchio aristocratico c’era solo la sua testimonianza. Era mai possibile che fosse proprio Barrymore, dopo tutto, l'uomo che avevamo veduto nella carrozza, in Regent Street? In fondo, la barba poteva benissimo essere la stessa. Il cocchiere ci aveva descritto sì un uomo di statura un pochino piú bassa, ma questa impressione poteva benissimo essere sbagliata. Come decidere con certezza intorno a questo interrogativo? Evidentemente bisognava che per prima cosa interpellassi l'ufficiale postale di Grimpen, per accertarmi che il telegramma di prova fosse stato consegnato effettivamente nelle mani di Barrymore. Qualunque fosse stata la risposta, sarei stato almeno in grado di riferire qualcosa di importante a Sherlock Holmes. 

Dopo colazione Sir Henry doveva esaminare numerose carte, perciò quello era il momento propizio alla mia gita. Fu una piacevole passeggiata di quattro miglia lungo il limitare della landa, che mi condusse infine a un piccolo villaggio grigio in cui, sopra la massa uniforme delle altre casupole, si elevavano due costruzioni maggiori, che seppi poi essere la locanda e la casa del dottor Mortimer. L'ufficiale postale, che era al tempo stesso il droghiere del villaggio, si rammentava perfettamente del telegramma. 

- Certamente - disse. - Ho fatto consegnare direttamente il telegramma al signor Barrymore come da istruzioni ricevute. 

- Chi lo ha consegnato? 

- Il mio ragazzo. James, sei stato tu a consegnare il telegramma al signor Barrymore del Maniero, la settimana scorsa, no? 

- Sì, papà, sono stato io. 

- Gliel'hai consegnato personalmente? - chiesi. 

- Il signor Barrymore in quel momento si trovava in soffitta, perciò non ho potuto consegnarglielo personalmente, ma l' ho dato alla signora Barrymore, e la signora mi ha promesso che lo avrebbe recapitato subito a suo marito. 

- Tu il signor Barrymore lo hai veduto? 

- Nossignore: era in soffitta! 

- Se non l’hai visto, come fai a sapere che era in soffitta? 

- Ma sua moglie doveva pur sapere dove si trovava! - intervenne brusco l'ufficiale postale. - Il telegramma è stato recapitato, sì o no? Se qualcuno ha qualcosa da dire o da sporgere lagnanza, deve essere il signor Barrymore in persona. 

Mi sembrò inopportuno insistere, ma certo, a dispetto dell'astuzia di Holmes, non c’era prova che Barrymore non fosse stato a Londra in quell'intervallo di tempo. Se così era, se Barrymore era effettivamente l'ultima persona che aveva veduto Sir Charles vivo e la prima a pedinare il nuovo erede appena questi aveva posto piede in Inghilterra, che cosa potevamo pensare? Agiva forse per conto d'altri, o aveva in mente qualche diabolico piano personale? Quale interesse poteva avere nel perseguitare in quel modo la famiglia dei Baskerville? Riflettei allo strano avvertimento ritagliato nell'articolo di fondo del Times. Era opera sua, o era dovuto invece a qualcuno che tentava di controbattere le sue mosse? Il solo motivo plausibile era quello suggerito a Sir Henry: che se cioè la famiglia avesse potuto essere allontanata definitivamente mediante la minaccia, i Barrymore si sarebbero assicurati una dimora comoda e duratura. Ma era una spiegazione insufficiente a giustificare la profonda, sottile macchinazione che sembrava destinata a intessere intorno al giovane baronetto una rete invisibile. Holmes stesso aveva dichiarato di non aver mai incontrato un caso piú complesso in tutta la lunga serie delle sue sensazionali investigazioni. In cuor mio pregai, mentre ritornavo lungo la grigia strada solitaria, che il mio amico potesse al piú presto liberarsi dei suoi impegni e venire a sollevare dalle mie spalle il gravame di una simile responsabilità. 

Improvvisamente il corso dei miei pensieri fu interrotto da un rumore di piedi in corsa che risuonò alle mie spalle e dal suono di una voce che mi chiamava per nome. Mi volsi, pensando di vedere il dottor Mortimer, ma con mia sorpresa constatai che chi mi rincorreva era uno sconosciuto. Si trattava di un uomo piccolo, esile, accuratamente sbarbato, dall'aspetto cerimonioso, i capelli color lino e la mascella scarna, che poteva avere dai trenta ai quarant'anni, vestito di grigio e con in capo un cappello di paglia. A tracolla portava una scatola di latta per raccogliervi esemplari botanici, e in mano teneva un acchiappafarfalle verde. 

- Vorrà certamente scusare il mio ardire, dottor Watson - disse mentre mi raggiungeva ansimando. - Qui sulla landa siamo tutti quanti gente alla buona, e non abbiamo bisogno di presentazioni ufficiali. Forse lei mi avrà già sentito nominare dal nostro comune amico Mortimer. Io sono Stapleton di Merripit House. 

- Il suo acchiappafarfalle e la sua scatola me lo hanno fatto immaginare - risposi - perché sapevo infatti che il signor Stapleton era un naturalista. Ma lei come ha fatto a riconoscermi? 

- Ero stato da Mortimer, ed egli mi ha indicato lei dalla finestra del suo ambulatorio, mentre passava. Poiché le nostre strade vanno nella stessa direzione, ho pensato di raggiungerla e di presentarmi da solo. Spero che Sir Henry non sarà troppo stanco del viaggio! - Sta benissimo, grazie. 

- Avevamo tutti paura che dopo la dolorosa fine di Sir Charles il nuovo baronetto si rifiutasse di venire ad abitare qui. Si chiede troppo a un uomo ricco di venire a seppellirsi in un buco come questo, ma non occorre che io le dica quanta importanza abbia questo per la nostra zona. Spero che Sir Henry non nutrirà in proposito paure superstiziose! 

- Non credo. 

- Naturalmente lei è al corrente della leggenda del cane infernale che perseguita la famiglia dei Baskerville? - Ho sentito qualcosa in proposito. 

- È straordinario quanto i nostri contadini siano creduloni su questo argomento! Credo che nove su dieci sarebbero pronti a giurare di aver visto questa bestia fantastica, sulla landa, coi loro stessi occhi. - Parlava sorridendo, ma ebbi l'impressione di leggere nel suo sguardo che anche per lui la leggenda era piú seria di quanto non volesse dare a intendere. - Questa fiaba aveva sortito un grande effetto sulla mente di Sir Charles e sono sicuro che fu essa la prima causa della sua tragica fine. 

- In che modo? 

- I suoi nervi erano talmente scossi che la vista di un cane qualsiasi può aver prodotto sul suo cuore ammalato un effetto mortale. Io credo che egli abbia visto effettivamente qualcosa del genere nel Viale dei Tassi, l'ultima sera della sua vita. Io ebbi il presentimento che una catastrofe stesse per accadere, poiché volevo molto bene al povero Sir Charles, e sapevo che il suo cuore era debole. 

- Come lo sapeva? 

- Me lo aveva detto Mortimer. 

- Lei dunque pensa che un cane abbia inseguito Sir Charles e che questi sia morto in seguito a uno spavento? 

- Lei può fornirmi spiegazione migliore? 

- Per il momento non sono giunto ad alcuna conclusione . 

- E il signor Sherlock Holmes? 

Quelle parole mi tolsero per un attimo il respiro, letteralmente; ma quando ebbi dato un'occhiata al volto placido e agli occhi sinceri del mio interlocutore compresi come egli non aveva voluto provocarmi. 

- É inutile fingere di non conoscerla, dottor Watson -mi spiegò. - Le gesta del suo poliziotto sono giunte sino a noi ed era impossibile che lei le celebrasse senza far conoscere anche se stesso. Quando Mortimer mi disse il suo nome non poté nascondermi la sua identità. Se lei è qui, è logico che il signor Sherlock Holmes si stia interessando della cosa, ed è piú che naturale essere curiosi di sapere la sua autorevole opinione in proposito. 

- Temo di non essere in grado di rispondere a questa domanda. 

- Posso chiederle se il signor Holmes ci onorerà di una sua visita ? 

- Per il momento non può lasciare Londra, poiché è occupatissimo in altri casi di grande importanza. 

- Che peccato! Saprebbe certamente gettare qualche luce su ciò che per noi è invece solo tenebra e buio. Ma in quanto alle sue ricerche personali, se potrò esserle utile in qualche modo la prego di non esitare. Se avessi un qualsiasi indizio sul carattere dei suoi sospetti, o su come lei intende studiare il caso, mi sarebbe forse possibile dare qualche consiglio o fornire qualche aiuto. 

- Le garantisco che mi trovo qui in veste di semplice ospite del mio amico Sir Henry, e che perciò non ho bisogno dell'aiuto di nessuno. 

- Benissimo! - disse Stapleton. - Lei ha mille e una ragione di mostrarsi diffidente e discreto. Ho meritato il suo cortese se pur velato rimprovero per quella che è stata da parte mia una curiosità eccessiva, e può essere certo che non farò piú parola della cosa. 

Eravamo giunti a un punto in cui un sentiero erboso e stretto si staccava dalla strada per addentrarsi sinuoso nella landa. Un colle ripido, cosparso di massi, si stendeva a destra, e in tempi passati era stato scavato per estrarre granito. La parte rivolta verso di noi formava come una roccia scura, e nelle sue anfrattuosità crescevano felci e rovi. Da una cima lontana si innalzava un grigio pennacchio di fumo. 

- Una passeggiatina leggera lungo questo sentiero conduce a Merripit House - mi spiegò Stapleton. - Se per caso ha un'ora di tempo sarò ben lieto di presentarle mia sorella. 

Il mio primo pensiero fu che avrei dovuto tornare al piú presto presso Sir Henry, ma poi mi venne in mente il mucchio di carte e di conti che gli ingombrava la scrivania. Era evidente che in questo campo non mi era possibile aiutarlo. D'altro canto, Holmes mi aveva espressamente raccomandato di studiare con attenzione tutti i vicini abitanti della landa. Accettai così l'invito di Stapleton, e insieme ci addentrammo lungo il sentiero. 

- È un luogo meraviglioso, la landa - disse il mio interlocutore volgendo lo sguardo verso i pendii ondulati simili a lunghi marosi verdi, spumeggianti in fantastici frangenti con dentellate creste di granito. - La landa non stanca mai. Lei non può neppur minimamente immaginare i meravigliosi segreti che essa racchiude. É così vasta, così desolata, così misteriosa! 

- Vedo che lei la conosce molto bene! 

- Veramente io sono qui da soli due anni: i residenti direbbero che sono un nuovo arrivato. Infatti ci stabilimmo qui poco dopo la venuta di Sir Charles, ma i miei gusti mi spinsero a esplorare ogni punto di questa zona, e credo siano pochi quelli che la conoscono meglio di me. 

- Ma è veramente tanto impervia? 

- Oh, sì! Vede per esempio quella grande piana laggiú a nord, con quelle curiose colline che si stagliano fuor di essa? Non vi nota nulla di speciale? 

- A me sembrerebbe un posto ideale per galopparvi. 

- La sua è un'osservazione apparentemente logica, eppure quest'idea è costata la vita a molta gente. Vede quelle macchie di verde lucido sparse fittamente su di essa? 

- Sì, mi sembrano tratti di terreno piú fertili degli altri. 

Stapleton rise. - Quella è la grande Palude di Grimpen - mi spiegò. - Un passo falso là dentro significa morte, si tratti di uomo o di animale. Solo ieri ho visto scomparire un puledrino di brughiera. Non è piú riemerso. Ho osservato a lungo la testa della bestiola allungarsi disperatamente fuori dalla palude, ma alla fine è stata risucchiata col resto del corpo. È pericoloso attraversarla anche nella stagione asciutta, ma dopo le piogge autunnali è un luogo spaventoso. Eppure io riesco a farmi strada sin nel cuore di essa e a ritornarne vivo. Per Giove! Ecco un altro di quei disgraziati cavallini! 

Qualcosa di bruno si moveva e sussultava tra le macchie di verde piú intenso. A un tratto un collo lungo, torcentesi in movimenti disperati, emerse, e un grido terribile echeggiò per tutta la landa. Esso mi agghiacciò di terrore, ma certo i nervi del mio compagno dovevano essere piú forti dei miei. 

- Se n'è andato! - fece. - La palude lo ha inghiottito. Due in due giorni, e chi sa quanti altri forse, perché prendono l'abitudine di andare laggiú nella stagione asciutta e poi non sanno capire la differenza finché la palude non li ha in suo potere. É un gran brutto posto, la vasta Palude di Grimpen! 

- E lei mi dice che riesce a muoversi dentro di essa? 

- Sì, c'è un paio di sentieri che è possibile battere a patto di essere molto coraggiosi, e io sono riuscito a scoprirli. 

- Ma che cosa la spinge a recarsi in un luogo tanto tremendo? 

- Vede quelle colline laggiú? Sono in realtà degli isolotti tagliati fuori da ogni parte dalla impraticabile palude che vi ha strisciato in giro, allargandosi nel corso di innumerevoli anni. É laggiú che si trovano le piante e le farfalle piú rare, purché si abbia il coraggio di arrivarvi. 

- Uno di questi giorni tenterò la fortuna. 

Egli mi guardò con sorpresa. - Per l'amor di Dio! Si tolga di testa una idea simile! - esclamò. - Il suo sangue ricadrebbe su di me. Le assicuro che non avrebbe la benché minima probabilità di ritornarne vivo. É solo tenendo a mente alcuni speciali e complicati segni sul terreno che io riesco a ritrovare la mia strada in quel labirinto. 

- Perbacco ! - esclamai. - E questo cos’è? 

Un urlo lungo, sommesso, indescrivibilmente malinconico, percorse la landa. Tutta l'aria ne echeggiava, e tuttavia era impossibile dire da dove provenisse. Da mormorio soffocato si gonfiò in un boato profondo per ricadere poi ancora una volta in un murmure vibrante, sconsolato. Stapleton mi guardò con una strana espressione nel volto. - Che posto, la landa! - osservò. - Ma che cos'è? 

- La gente del luogo dice che sia il Mastino dei Baskerville che chiama la sua vittima. Io l'ho già inteso un paio di volte, ma mai così forte. 

Mi volsi intorno con un brivido di paura nel cuore, e contemplai l'immensa piana ondosa, marezzata di verdi macchie di giunchi. Nulla si moveva su quell'ampia distesa se non una coppia di corvi che presero a gracchiare aspramente da una sporgenza rocciosa alle nostre spalle. 

- Ma lei è un uomo cólto! Non può credere a una simile assurdità! - protestai. - A che cosa attribuisce quel suono così strano? 

- I terreni melmosi a volte emettono rumori sinistri. É la fanghiglia che si stabilizza, o l'acqua che si alza, o qualche altro fenomeno analogo. 

- No, no, quella era una voce viva. 

- Chi lo sa? Forse! Ha mai inteso l'urlo del tarabuso? - No, mai. 

- È un uccello rarissimo, e oggi in Inghilterra praticamente estinto; ma sulla landa tutto è possibile. Sì, non mi sorprenderei se quel che abbiamo appena sentito fosse il grido di richiamo dell'ultimo tarabuso superstite nel nostro paese. 

- È il grido piú strano e misterioso mai sentito in vita mia. 

- Sì, questi luoghi nel complesso sono veramente sconcertanti. Guardi laggiú quel pendio collinoso. Che cosa crede che siano? 

Tutta la scoscesa china era coperta di anelli circolari di pietra grigia: erano una ventina almeno. 

- Mah... non saprei... ovili? 

- Nemmeno per sogno: sono le dimore dei nostri degni antenati. L'uomo preistorico visse intensamente sulla landa, e poiché nessuno vi ha piú abitato da allora, siamo in grado di ritrovare le sue modeste costruzioni esattamente come egli le ha lasciate. Queste sono le sue capanne, di cui il tetto soltanto è caduto. È ancora possibile vedere il suo focolare e il suo giaciglio, ammesso che lei abbia la curiosità di entrarvi. 

- Ma è una città vera e propria. In che epoca fu abitata? 

- Appartenne all'uomo neolitico... non si sa quando. 

- Qual’era la sua occupazione? 

- Pascolava il suo bestiame su questi pendii, e apprese a scavare la terra in cerca d’acqua quando la spada di bronzo cominciò a sostituire l'ascia di pietra. Osservi quella grande trincea sulla collina opposta. Quella è la sua impronta. Sì, dottor Watson, sulla landa lei troverà molte cose singolari! Oh, mi scusi un attimo, quella è certamente una ciclopide! 

Una farfallina o falena si era inoltrata svolazzando sul nostro sentiero, e in un batter d'occhio Stapleton si era messo a inseguirla con vivacità ed energia straordinarie. Con mio grande sgomento l'insetto prese a volare dritto verso la grande Palude, ma il mio nuovo conoscente non rallentò il passo neppure per un istante, balzando di poggio in poggio dietro ad esso, mentre la sua rete verde ondeggiava nell'aria. Il suo abito grigio e quel suo procedere irregolare, scattante, a zig-zag, non lo rendeva gran che dissimile a sua volta da una mostruosa falena. Mi ero soffermato a osservare la sua caccia con un misto di ammirazione per la sua incredibile agilità e di paura che non avesse a perdere la strada nella Palude traditrice, quando intesi un rumore di passi e volgendomi di scatto mi trovai di fronte una donna. Era giunta da dove il pennacchio di fumo indicava l'ubicazione di Merripit House, ma la depressione della landa me l'aveva nascosta alla vista finché non fu vicinissima. 

Non dubitai neppure per un attimo che fosse la signorina Stapleton, di cui avevo inteso parlare, poiché di donne come quella non ve ne dovevano essere molte nella landa, e mi rammentai anche che qualcuno me l'aveva descritta come una bellezza. Colei che mi si era avvicinata lo era certamente, e la sua era una bellezza veramente non comune. 

Non si sarebbe potuto immaginare un contrasto piú grande tra il fratello e la sorella: Stapleton infatti era di un colorito indefinibile, con quei capelli chiari e con gli occhi grigi, mentre la sorella era piú bruna di tutte le donne brune che mai avevo vedute in Inghilterra... ed era snella, alta e elegante. Aveva un viso orgoglioso, finemente modellato, e tanto regolare che sarebbe potuto sembrare impassibile se non fosse stato per la bocca sensuale e per gli occhi, splendenti e pieni di vita. Con la sua figura perfetta e il suo vestito elegante, era davvero una strana apparizione su quel desolato sentiero di brughiera. Aveva gli occhi rivolti verso il fratello, quando io mi girai, e subito affrettò il passo verso di me. Mi ero tolto il cappello, e stavo per proferire qualche parola di spiegazione, quando ciò che ella stessa mi disse mutò completamente il corso dei miei pensieri. 

- Se ne vada ! - sussurrò. - Torni immediatamente a Londra ! 

Non potei che fissarla, istupidito dalla sorpresa. I suoi occhi mi guardavano fiammeggianti, mentre ella battevail terreno col piede, impaziente. 

- E perché dovrei andarmene? - chiesi. 

- Non posso dirglielo. - Si esprimeva con voce bassa e ansiosa, e con una pronuncia lievemente balbuziente. - Ma per amor del cielo, faccia come le dico. Torni indietro e non metta piú piede sulla landa. 

- Ma se sono appena arrivato! 

- Santo Dio! - esclamò spazientita. - Non riesce a capire quando qualcuno l'avverte per il suo bene? Ritorni a Londra! Parta questa notte stessa ! Se ne vada di qui a ogni costo! Zitto, arriva mio fratello! Non una parola su quel che le ho detto. Le spiace cogliermi quell'orchidea che cresce laggiú tra quegli equiseti? Siamo ricchissimi di orchidee, qui sulla landa, per quanto naturalmente sia ormai un po' tardi per ammirare gli esemplari piú belli della brughiera. 

Stapleton aveva rinunciato all'inseguimento, e ritornò verso di noi ansante e rosso in viso per lo sforzo fisico compiuto. 

- Ciao, Beryl! - disse. Ma ebbi l'impressione che il suo tono di voce nel salutare la sorella fosse tutt'altro che cordiale. 

- Jack, sei molto accaldato! 

- Sì, ho tentato di acchiappare una ciclopide: è una farfalla molto rara e che si trova difficilmente in autunno inoltrato. Come mi dispiace non aver potuto prenderla! 

Parlava con indifferenza, ma i suoi piccoli occhi chiari erravano senza posa dalla donna a me. 

- Vedo che vi siete già presentati da soli. 

- Sì: stavo dicendo a Sir Henry che è ormai tardi perché egli possa ammirare le vere bellezze della landa. - Come hai detto? Sir Henry? 

- Ma non è Sir Henry Baskerville? 

- No, no mi affrettai a rettificare - soltanto un umile borghese, ma amico di Sir Henry. Mi chiamo dottor Watson. 

Un rossore di dispetto passò sul volto espressivo della giovane donna. 

- Ci siamo detti un sacco di parole inutili - mormorò infine.  

- Ma non credo che abbiate avuto molto tempo per parlare -osservò suo fratello sempre fissandola con i suoi occhi inquisitori. 

- Ho parlato come se il dottor Watson fosse un residente anziché un semplice visitatore di passaggio - rispose la signorina Stapleton. - Non credo possa importargli molto se la stagione delle orchidee sia finita o meno. Comunque vuol venire ugualmente a dare un'occhiata a Merripit House? 

Una breve passeggiata ci portò alla loro casa. Era una squallida dimora di brughiera, che doveva essere stata la fattoria di qualche allevatore di bestiame in tempi di prosperità, ma che ora era stata riaggiustata e trasformata in abitazione moderna. Era circondata da un frutteto, ma gli alberi, come accade di solito in brughiera, erano striminziti e rachitici, e nel complesso il luogo dava un'impressione di malinconica meschinità. Fummo introdotti da un domestico anziano, dall'aspetto curioso, tutto rattrappito e vestito di una giacca stinta, che pareva essere stato scelto apposta per formare un tutto unico con l'ambiente. L'interno tuttavia offriva vasti locali arredati con eleganza, in cui mi parve riconoscere il gusto della signora. Affacciandomi alle finestre per contemplare la landa sterminata, tutta cosparsa di massi granitici e che si snodava in curve ininterrotte sino ai limiti delI'orizzonte, non potei fare a meno di chiedermi stupito che cosa avesse potuto spingere un uomo tanto colto e una donna così bella a vivere in un luogo simile. 

- É uno strano posto da scegliere, non le pare? - mi chiese proprio in quel momento Stapleton, quasi rispondesse al mio pensiero. - Eppure riusciamo lo stesso a essere discretamente felici, non è vero, Beryl? 

- E come! - rispose la ragazza. Ma il tono delle sue parole mancava di convinzione. 

- Io avevo una scuola - disse Stapleton. - Si trovava nel Nord. Per un uomo del mio temperamento si trattava di un lavoro monotono e privo d'interesse, ma il privilegio di vivere in mezzo a un elemento giovane, di aiutare menti vergini a formarsi e di insinuare in esse il mio proprio carattere e i miei propri ideali era per me cosa preziosa. Ma purtroppo il destino ci fu avverso. Nella scuola scoppiò una grave epidemia, e tre ragazzi morirono. Il nostro istituto non si risollevò mai da questo colpo e il mio capitale fu in gran parte irrimediabilmente inghiottito nel disastro. E nondimeno, se non fosse stato per la perdita della carissima compagnia di quei ragazzi, oggi mi rallegrerei della mia cattiva sorte, poiché grazie al mio gusto spiccato per la zoologia e la botanica ho trovato qui un campo di lavoro illimitato, e del resto anche mia sorella è appassionata della Natura quanto lo sono io. Le ho detto tutto questo, dottor Watson, perché ho capito quello che le passava per la mente, dal modo in cui guardava la brughiera, poco fa. 

- Effettivamente stavo riflettendo che doveva essere un po' malinconico, qui... meno per lei, forse, che non per sua sorella. 

- No, no, io non sono mai malinconica - replicò questa prontamente. 

- Abbiamo i nostri libri, i nostri studi, e vicini interessanti. Nel suo campo, il dottor Mortimer è un uomo di rara cultura. Anche il povero Sir Charles era un compagno simpaticissimo. Noi lo conoscevamo bene e ne sentiamo la mancanza piú di quanto io possa esprimerle. Crede che disturberei se venissi questo pomeriggio a fare conoscenza di Sir Henry? 

- Sono certo che egli ne sarebbe felicissimo. 

- Allora potrebbe forse dirgli che vorrei farlo. Spero che nel nostro piccolo riusciremo a facilitargli le cose sino a quando non si sarà ambientato. Vuole salire, dottor Watson, a dare un'occhiata alla mia collezione di Lepidotteri? Credo che sia tra le piú complete che possano trovare nella regione sud-ovest dell'Inghilterra. Per quando avremo terminato, la colazione sarà quasi pronta. 

Ma io ero impaziente di riprendere il mio posto al Castello. La tristezza della landa, la morte dello sfortunato cavallino, il lugubre grido che involontariamente aveva evocato la tetra leggenda dei Baskerville... tutte queste cose avevano intriso i miei pensieri di una sfumatura di malinconia. Su tutte queste piú o meno vaghe impressioni mi era poi giunto l'avvertimento ben chiaro e preciso della signorina Stapleton, che mi era stato dato con tanta intensa angoscia da impedirmi di credere che non si nascondessero in esso ragioni gravi e profonde. Resistetti a ogni loro insistenza perché restassi a colazione e mi misi immediatamente sulla via del ritorno, prendendo il sentiero tappezzato d'erba per il quale eravamo venuti. 

Doveva tuttavia esservi una scorciatoia, per chi era pratico del luogo, poiché prima ch'io avessi potuto raggiungere la strada maestra, notai con sorpresa la signorina Stapleton seduta su una roccia, poco lontano dal sentiero. Il suo volto era gradevolmente arrossato dallo sforzo fisico, ed ella teneva una mano contro il fianco. 

- Ho fatto tutta la strada di corsa per raggiungerla, dottor Watson - mi disse. - Non ho neppure avuto il tempo di mettermi il cappello. Non mi è possibile fermarmi perché non voglio che mio fratello mi cerchi. Volevo semplicemente dirle quanto mi rincresce per l’errore stupido che ho commesso nello scambiarla con Sir Henry. Dimentichi le parole che ho detto e che non riguardano affatto lei. 

- Ma io non posso dimenticarle, signorina - dissi. - Io sono amico di Sir Henry e il suo benessere mi interessa molto. Mi dica per quale motivo lei è tanto ansiosa che Sir Henry ritorni a Londra. 

- Un presentimento di donna, dottor Watson. Quando lei mi conoscerà, capirà meglio ch'io non posso sempre dare spiegazioni di quel che faccio o dico. 

- No, no. Ricordo perfettamente l'emozione della sua voce, ricordo l'espressione dei suoi occhi. La prego, sia sincera con me, signorina Stapleton, poiché sin dal primo momento che sono giunto in questo posto ho avuto la netta sensazione di essere circondato di ombre. Mi sembra che la vita sia diventata per me come la grande Palude di Grimpen, tutta tappezzata di piccoli riquadri verdi in cui chiunque può correre rischio di sprofondare, senza un'indicazione alcuna che segni il cammino. Mi dica dunque che cosa intendeva dire, e le prometto che trasmetterò il messaggio a Sir Henry. 

Un'espressione di irresolutezza le sfiorò il volto, ma subito i suoi occhi s'indurirono quando ella mi rispose: 

- Lei ha dato troppo peso alle mie parole, dottor Watson! Mio fratello e io siamo stati molto colpiti dalla morte di Sir Charles. Noi lo conoscevamo benissimo, poiché la sua passeggiata preferita passava sempre a casa nostra, ogni volta che attraversava la landa. Era profondamente impressionato dalla maledizione che pendeva sulla sua famiglia, e quando accadde la tragedia fu logico che io pensassi che i timori da lui espressi dovessero avere un certo fondo di realtà. Ecco perché mi angosciai quando seppi che un altro membro della famiglia sarebbe venuto ad abitare qui, e mi sembrò mio dovere avvertirlo del pericolo che poteva correre. Non intendevo dire altro. 

- Ma qual è questo pericolo? 

- Lei conosce la leggenda del Mastino? - Non credo a simili sciocchezze! 

- Io sì, invece! Se lei ha qualche influenza su Sir Henry, lo conduca via da questo posto che è sempre stato fatale alla sua famiglia. Il mondo è grande! Perché vuole vivere in questo luogo pericoloso? 

- Appunto perché è un luogo pericoloso! Così è fatto Sir Henry! Io temo che, a meno che lei non sappia darmi qualche informazione piú precisa, sarà impossibile smuoverlo di qui. 

- Non posso dire nulla di preciso, dal momento che non so nulla di preciso. 

- Vorrei farle ancora una domanda, signorina. Se lei non intendeva altro che questo quando mi ha rivolto la parola per la prima volta, perché non voleva che suo fratello ascoltasse la nostra conversazione? Non vi era nulla che lui o altri non potesse sapere! 

- Mio fratello è molto ansioso di vedere il Maniero abitato, poiché ritiene che questo sia un bene per la povera gente della brughiera. Si arrabbierebbe se sapesse che io le ho detto qualcosa per indurre Sir Henry ad andarsene. Ma ora che ho compiuto il mio dovere non aggiungerò altro. Bisogna che torni indietro, altrimenti mi cercherà e sospetterà che ci siamo incontrati. Arrivederci! 

Si voltò e in pochi minuti scomparve in mezzo ai grandi massi sparsi, mentre io, l'animo pieno di vaghi timori, proseguivo in direzione del Castello di Baskerville. 

 

VIII 

Da questo momento in poi seguirò il corso degli eventi limitandomi a trascrivere le mie lettere a Sherlock 

Holmes, che ho qui dinanzi a me sul tavolo. Ne manca una sola pagina, ma per il resto le sottopongo al lettore esattamente come sono state scritte, poiché rivelano il mio stato d'animo e i miei sospetti del momento, piú accuratamente di quanto potrebbe farlo la mia memoria, per quanto viva essa sia a proposito di questi tragici avvenimenti. 

 

Maniero di BasFerville, 13 ottobre 

 

Mio caro Holmes, 

le mie lettere e i telegrammi precedenti l'hanno tenuta abbastanza al corrente su 

quanto accaduto fino ad oggi in quest’angolo di terra abbandonato da Dio. Piú si rimane qui e piú lo spirito della landa, la sua enormità, diciamo pure il suo fascino sinistro, cattura l'anima. Una volta chiusi nelle sue spire ci si lascia alle spalle ogni traccia della moderna Inghilterra, mentre si avverte sempre piú intensamente la presenza delle dimore e delle opere di genti preistoriche. Ci si trova circondati da ogni lato dalle abitazioni di questa gente dimenticata, dalle loro tombe e dagli enormi monoliti che si suppone siano le vestigia dei loro templi. Quando si guardano le grigie capanne di pietra che si ergono contro i tormentati versanti di queste colline, ci si dimentica del nostro tempo, e se ci dovessimo imbattere in un uomo peloso, ricoperto di pelli d'animale, e lo vedessimo strisciare fuori da una porta infima, in atto di aggiustare alla corda del proprio arco una freccia dalla punta di selce, avremmo la sensazione che la sua presenza sia piú naturale della nostra. É strano che ci sia stata una popolazione così fitta su un suolo che invece è sempre stato tanto ingeneroso. Io non sono uno studioso di cose antiche, ma non mi è difficile immaginare che certamente questo popolo dovette appartenere a una razza pacifica e sempre in allarme, che fu costretta ad accettare quel che nessun altro si curava di conquistare. 

Tutto ciò, peraltro, è estraneo alla missione di cui lei mi ha incaricato, e forse non offrirà alcun interesse al suo spirito rigidamente pratico. Non posso dimenticare la sua totale indifferenza riguardo al fatto che sia il Sole a girare intorno alla Terra invece della Terra attorno al Sole. Ritorniamo perciò ai fatti che riguardano  Sir Henry Baskerville. 

Se non le ho fatto sapere nulla in questi ultimi giorni, è perché sino a oggi non ho avuto alcunchè di importante da segnalarle. In seguito ho da informarla di una circostanza molto strana, che le spiegherò a tempo opportuno, ma prima di tutto devo metterla al corrente degli altri elementi della situazione. 

Uno di questi, intorno al quale sinora poco è stato detto, è rappresentato dall’evaso che si aggira per la landa: per quanto ora si abbiano molti motivi per ritenere che si è già allontanato dalla zona, con notevole sollievo degli abitanti isolati di questa regione. Sono trascorsi quindici giorni dalla sua fuga, durante i quali nessuno l'ha veduto e nulla si è saputo di lui. Ebbene, è inconcepibile che egli sia potuto rimanere nella landa per tutto questo tempo. Naturalmente non sorge alcuna perplessità sul fatto che fino ad ora non è stato trovato, poiché una qualsiasi di queste capanne di pietra potrebbe fornirgli ottimo riparo. Ma non avrebbe potuto trovare niente da mangiare, a meno che non fosse riuscito ad acchiappare e ad uccidere qualche pecora di brughiera. Qui, pertanto, è opinione generale che si sia allontanato da questi paraggi, e gli agricoltori che vivono in località remote dormono ora, è inutile dirlo, sonni più tranquilli. 

A1 Maniero siamo in quattro uomini robusti, perciò sapremmo nel caso difenderci; ma le confesso che ho passato momenti di vera inquietudine al pensiero degli Stapleton. Costoro vivono a miglia di distanza, isolati da ogni possibile aiuto. Ci sono una cameriera, un vecchio domestico, e poi la sorella e il fratello, quest'ultimo senza dubbio poco valido. Si sarebbero trovati letteralmente senza la minima difesa nelle mani di un individuo disperato come questo criminale di Notting Hill, nel caso che costui avesse tentato un'azione di forza contro di loro. Sir Henry e io eravamo molto preoccupati dalla loro situazione, e si pensò di mandare a dormire da loro Perkins, lo staffiere, ma Stapleton non ne ha voluto saperne. 

Il fatto è che il nostro amico baronetto incomincia a dimostrare parecchio interesse per la nostra bella vicina. La cosa non mi meraviglia, poiché il tempo sembra indugiare pigramente in questo posto isolato, soprattutto per un uomo energico come lui, mentre dal canto suo lo signorina Stapleton è una donna bellissima, affascinante. C’è in lei qualcosa di tropicale, di esotico, che forma un contrasto singolare con quel suo fratello così freddo e per niente sanguigno. Eppure ho l'impressione che anche in lui covino fuochi nascosti. Senza dubbio Stapleton esercita  notevole influenza sulla sorella, poiché io l'ho sorpresa a guardare continuamente verso di lui quando parla, quasi a cercare la sua approvazione a tutto ciò che dice. Credo però che le voglia bene, per quanto vi siano un lucido scintillio nei suoi occhi, e un atteggiamento fermo nelle sue labbra sottili, che suggeriscono una natura positiva e forse un tantino aspra. Io penso che lei troverebbe Stapleton un soggetto interessante. 

Egli è stato a trovare Baskerville il giorno successivo al nostro arrivo, e la mattina seguente ci ha condotti entrambi a vedere il luogo dove si ritiene abbia avuto origine la leggenda del malvagio Hugo. É stato un tour di alcune miglia attraverso la landa, sino a un punto talmente desolato che non mi stupisco che abbia generato questa storia. Ci facemmo strada per una breve valle, tra massi enormi, fino a che giungemmo in un aperto spiazzo erboso tutto trapunto di serica bianca erba. In mezzo a esso si levano due grandi monoliti, erosi e appuntiti nella loro estremità superiore tanto da assomigliare a zanne enormi, taglienti, di mostruso animale. Esso corrisponde in tutto e per tutto alla scena descritta nella leggenda antica. Sir Henry ne fu molto interessato, e chiese ripetutamente a Stapleton se riteneva possibile un'ingerenza del soprannaturale nelle vicende umane. Ne parlò con leggerezza, ma era chiaro che il suo tono nascondeva profonda preoccupazione. Stapleton si dimostrò cauto nelle risposte, ma era facile capire che diceva meno di quanto avrebbe potuto, e che non voleva esprimere interamente la propria opinione per riguardo ai sentimenti del baronetto. Ci narrò di casi analoghi, in cui famiglie intere avevano patito malefici influenze, e ci lasciò con l'impressione che anch'egli condividesse l'opinione popolare in proposito. 

Al ritorno ci fermammo a colazione a Merripit House, e fu qui che Sir Henry incontrò per la prima volta la signorina Stapleton. Ne fu colpito vivamente da subito, e se non vado errato credo si tratti di un sentimento ricambiato. Parlò spesso di lei durante il nostro ritorno a casa, e da allora non è quasi mai passato un giorno senza che ci fosse un incontro col fratello o con la sorella. Questa sera essi pranzeranno da noi, e già c’è il progetto che noi si vada da loro la settimana prossima. Chiunque penserebbe che una simile unione sia vista di buon occhio da Stapleton, e nondimeno ho colto piú di una volta sue occhiate di vivissima disapprovazione quando Sir Henry rivolge qualche complimento a Beryl - così si chiama la sorella. Certo egli le è molto affezionato, e senza di lei la sua vita sarebbe molto solitaria; ma mi sembrerebbe il colmo delI'egoismo se le impedisse di contrarre un matrimonio così brillante. Eppure sono convinto che Stapleton non desidera che la loro simpatia reciproca si trasformi in amore, e già diverse volte mi sono accorto che fa di tutto per impedire che i due si trovino a tu per tu. A proposito, i suoi ordini di non lasciar uscire solo sir Henry, Holmes, diverranno molto gravosi, se a tutte le nostre altre difficoltà si dovesse aggiungere anche questo innamoramento. Se fossi costretto a eseguire le sue indicazioni alla lettera, la mia popolarità ne soffrirebbe. 

L'altro giorno — giovedì, per essere piú esatti — il dottor Mortimer ha fatto colazione con noi. Era stato a scavare un tumulo a Long Down e aveva trovato un teschio preistorico che lo ha colmato di eccitazione. Non ho mai veduto un uomo tanto entusiasta e di animo così semplice! In seguito sono venuti anche gli Stapleton, e il buon dottore portò tutti quanti nel Viale dei Tassi, dietro richiesta di Sir Henry, per mostrarci come si svolsero esattamente le cose nella fatale. notte 

É una passeggiata lunga, di fosca malinconia, il Viale dei Tassi, che si snoda tra due alte pareti di siepi ben potate, con una stretta striscia erbosa su ciascun lato. Alla sua estremità sorge una vecchia serra in rovina. A metà strada c'è il cancelletto che dà sulla landa dove il vecchio gentiluomo lasciò cadere la cenere del sigaro; è un cancelletto di legno bianco provvisto di paletto. Al di là di esso si stende la vastità della landa. Mi sono ricordato la sua opinione in merito, Holmes, e ho cercato d'immaginare quello che era avvenuto. Mentre il vecchio era fermo in quel punto, egli vide qualcosa che attraversava la landa, qualcosa che lo atterrì talmente da fargli perdere la ragione e da spingerlo a correre, a correre sino a morire letteralmente di paura e di terrore. Mi trovavo appunto nella lunga tetra galleria attraverso la quale egli era fuggito. Ma da che cosa? Da un cane pastore della brughiera, oppure da un mastino fantasma, nero, silente, orribile? Vi era stato nella tragedia un elemento umano? Forse il pallido sospettoso Barrymore sa piú di quanto dica? Tutto intorno a me era confuso e vago, ma sentivo sempre vigile la cupa ombra del delitto dietro a tutto ciò che mi circonda. 

Da quando le ho scritto l'ultima volta ho conosciuto un altro vicino. É il signor Frankland, del Castello di Lafter, che abita a circa quattro miglia a sud di noi. É un uomo anziano, rosso in viso, i capelli bianchi, di temperamento irascibile. La sua passione è la giurisprudenza britannica, e ha perso un vero patrimonio in cause e processi. Litiga continuamente per il semplice gusto di litigare, ed è sempre pronto ad affrontare ambo i lati di una questione; perciò non c'è da stupirsi se questo bizzarro divertimento gli sia costato parecchio. A volte si diverte a sbarrare una strada transitabile e poi sfida il Comune a farla riaprire. Altre volte abbatte di propria mano il cancello di un altro e sostiene che da tempi immemorabili in quel punto è sempre esistito un permesso di transito, sfidando di conseguenza il proprietario a citarlo per trasgressione. E molto versato sia in diritto fondiario che in diritto consuetudinario e applica il suo sapere a volte in favore degli abitanti del villaggio di Fernworty, a volte contro di loro, di modo che è alternativamente trasportato in trionfo per il villaggio, o vi è bruciato in effigie, a seconda della sua ultima impresa. Si dice che in questo momento abbia per le mani ben sette processi che probabilmente inghiottiranno i resti delle sue sostanze, togliendogli così per sempre il pungiglione e lasciandolo inoffensivo per il futuro. 

Indipendentemente da queste manie giuridiche, mi sembra una persona simpatica e gentile, e io ne ho parlato unicamente perché lei mi ha tanto raccomandato di descriverle tutte le persone che ci circondano. In questo momento Frankland è curiosamente affacendato, poiché, essendo anche astronomo dilettante, possiede un ottimo telescopio, in compagnia del quale se ne sta tutto il giorno disteso sul tetto della propria casa a spiare la landa, nella speranza di scovare il galeotto evaso. Se limitasse la sua attività a questo, tutto andrebbe bene, ma corre voce che egli abbia intenzione di citare il dottor Mortimer per avere scoperchiato una tomba senza il consenso del parente piú prossimo del defunto, perché ha ripescato quel teschio neolitico nel tumulo di Long Down. Frankland comunque ci impedisce di condurre vita troppo monotona, dando a tutto quel tono comico di cui francamente sentiamo tutti bisogno. 

E adesso che l'ho messa al corrente dell’evaso, degli Stapleton, del dottor Mortimer, di Frankland, mi permetta di chiudere con l'argomento piú importante, e mi lasci dire qualcosa di piú intorno ai Barrymore, e soprattutto al particolare davvero sorprendente della notte scorsa. 

Comincio col parlarle prima di tutto del telegramma di controllo da lei inviato da Londra al fine di assicurarsi che Barrymore non avesse abbandonato il suo posto. Già le ho spiegato come la testimonianza dell'ufficiale postale mi abbia dimostrato che la prova fu senza valore e che noi ci troviamo così a non avere elementi decisivi in mano né in un senso né nell'altro. Riferii a Sir Henry come stavano le cose, e subito lui, con quel suo fare risoluto, chiamò a sé Barrymore e gli domandò se aveva ricevuto il telegramma personalmente. Barrymore rispose affermativamente. 

- Ma il ragazzo l'ha consegnato proprio in tua mano? - insistè Sir Henry. Barrymore parve sorpreso e rifletté a lungo. 

- No - rispose infine; - in quel momento mi trovavo in bagno, e mi è stato recapitato da mia moglie. 

- Hai risposto tu personalmente? 

- No; ho spiegato a mia moglie quel che doveva rispondere, ed è stata lei a scendere e a scriverlo. 

In serata lo stesso Barrymore è tornato sull'argomento di propria iniziativa. 

- Non riesco a comprendere lo scopo delle sue domande di stamattina, Sir Henry- disse. - Spero che questo non significhi ch'io abbia fatto qualcosa che mi abbia tolto la sua fiducia. 

Sir Henry dovette rassicurarlo che ciò non era affatto il caso e lo rappacificò regalandogli una parte ragguardevole dei suoi vecchi abiti, dato che il nuovo guardaroba londinese è ormai stato tutto consegnato. 

La signora Barrymore m'interessa. È una donna massiccia, solida, poco intelligente, molto rispettabile, e incline al puritanesimo. Sarebbe difficile immaginare un soggetto meno emotivo. Eppure le ho detto di averla sentita singhiozzare disperata la prima notte del mio arrivo qui e da allora ho osservato piú di una volta sul suo viso solchi di lacrime. Una grave afflizione deve angosciarle il cuore. A volte mi domando se la tormenta qualche ricordo colpevole; a volte invece ho il sospetto che Barrymore, in famiglia, sia alquanto tirannico. Sin dal principio ho avuto l'impressione che nel carattere di quest'individuo vi sia qualcosa di strano e oscuro; ma l'avventura di ieri notte ha coronato i miei sospetti. 

Presa di per sé, può sembrare una cosa di scarsa importanza. Lei sa che io ho il sonno molto lieve, e poiché da che sono in questa casa ho sempre i nervi tesi, i miei sonni sono diventati piú leggeri che mai. La scorsa notte, dunque, verso le due del mattino, fui svegliato dal rumore di un passo furtivo accanto alla mia camera. Mi alzai, socchiusi l'uscio e spiai all'esterno. Una lunga ombra nera si proiettava lungo il corridoio. Era gettata da un uomo che camminava a passi felpati nell'andito, reggendo in mano una 

candela. Era in maniche di camicia e a piedi scalzi. Ne vidi solo il profilo, ma dalla statura giudicai che poteva essere solo Barrymore. Avanzava piano piano e con la massima circospezione, e in tutto il suo contegno vi era qualcosa di indescrivibilmente colpevole e furtivo. 

Le ho spiegato che il corridoio è interrotto dalla balconata, che corre intorno alll’ingresso, per poi riprendere sull'altro lato. Aspettai finché non scomparve dalla vista, poi cominciai a seguirlo. Quando giunsi alla curva della balconata aveva già raggiunto il capo estremo del corridoio, e compresi dalla striscia di luce tremula che giungeva da una porta aperta che egli doveva essere entrato in una di quelle stanze. Si tratta di stanze tutte vuote e disabitate, e così quella sua spedizione notturna mi apparve piú che misteriosa. La luce brillava con uno scintillio fermo, come se Barrymore fosse immobile, in piedi. Avanzai strisciando per il corridoio nel modo più silenzioso possibile e scrutai oltre lo stipite della porta. 

Barrymore era accovacciato presso la finestra, e reggeva la candela contro il vetro. Teneva il profilo rivolto a metà verso di me, e il suo viso aveva una rigidità di attesa quasi che volesse penetrare con lo sguardo l'oscurità della landa. Rimase fermo per alcuni minuti, lo sguardo intento, quindi emise un gemito soffocato e spense la luce con un gesto d'impazienza. Subito io mi ritrassi verso la mia stanza, e poco dopo quei medesimi passi furtivi mi echeggiarono accanto ancora una volta. Molto piú tardi, quando mi ero ormai abbandonato a un sonno leggero, sentìì una chiave girare nella toppa in qualche punto della casa, ma non mi sarebbe stato possibile dire da dove provenisse quel rumore. 

Non so immaginare che significato abbia tutto questo, ma in questa lugubre dimora si sviluppano di certo segreti intrecci di cui presto o tardi dovremo giungere a fondo. Non voglio annoiarla con teorie di mia invenzione, poiché lei mi ha chiesto di fornirle solo i fatti. Stamane ho avuto una lunga conversazione con Sir Henry, e insieme abbiamo formulato un piano di battaglia fondato sulle mie osservazioni della notte scorsa. Per il momento non le parlerò di questo, ma nella mia prossima relazione spero di poterle dare un resoconto interessante. 

 

 

IX 

Maniero di Baskerville, 15 ottobre 

 

Mio caro Holmes, se sono stato costretto a lasciarla senza notizie durante i primi giorni della mia missione, dovrà ora riconoscere che sto riguadagnando il terreno perso, e che gli avvenimenti si vanno rapidamente accumulando su di noi. Nella mia ultima relazione ho concluso con il particolare di Barrymore alla finestra, e ora ho già qui pronto un resoconto che credo la sorprenderà molto. Le cose hanno preso una piega che io non avrei saputo prevedere. In un certo senso, tutto si è molto schiarito nelle ultime quarantotto ore, mentre in un certo altro senso si sono invece andate complicando sempre più. Ma le racconterò ogni cosa per filo e per segno, e lei giudicherà da sé. 

I1 mattino successivo alla mia avventura, prima dell'ora di colazione, mi avviai lungo il corridaio e ispezionai la stanza in cui Barrymore si era sofferm ato la no tte prima. La finestra occidentale, attraverso la quale lo avevo visto guardare con tanta attenzione, ha, come ho potuto constatare, una caratteristica che la distingue dalle altre finestre della casa: essa domina cioè tutto il panorama a ridosso della landa. Vi è un'apertura tra due alberi che consente da questo punto di guardare dritto davanti a sé, mentre dalle altre finestre non si può avere altro che una visione incerta e lontana. Ne consegue perciò che Barrymore doveva essere stato in quella stanza in cerca di qualcosa o di qualcuno che si trovava in quel momento sulla landa, poiché soltanto quella finestra poteva servire al suo scopo. La notte era molto buia, cosicché non so come egli potesse sperare di vedere qualcosa. Mi era passato per la testa che egli potesse aver per le mani qualche faccenda di cuore: ciò avrebbe spiegato i suoi movimenti clandestini e anche l'inquietudine di sua moglie. Barrymore è un uomo di una bellezza che colpisce, ampiamente dotato di tutte le qualità che possono turbare il cuore di una ragazza campagnola; perciò questa mia ipotesi poteva anche avere qualche fondamento. Quando lo avevo inteso aprire l'uscio, dopo che me n'ero tornato nella mia stanza, poteva benissimo darsi che egli se ne fosse uscito per un appuntamento segreto. Così ragionavo tra me il mattino seguente, e le riferisco l'indirizzo dei miei sospetti, anche se poi i risultati mi hanno dimostrato che erano sbagliati. 

Ma qualunque potesse essere la spiegazione vera dei movimenti di Barrymore, sentivo che non potevo tenere la responsabilità della mia scoperta tutta per me fino a quando non fossi stato in grado di spiegarli. Perciò ebbi un colloquio col baronetto nel suo studio, dopo colazione, e gli riferii ciò che avevo visto. Si dimostrò meno sorpreso di quanto mi aspettassi. 

- Sapevo che Barrymore ha l'abitudine di passeggiare di notte e anzi avevo l'intenzione di parlargli in proposito - mi disse. - Ho inteso piú di una volta i suoi passi nel corridoio, che andavano e venivano, pressappoco nell'ora da lei citata. 

- Può darsi che si rechi ogni sera a quella particolare finestra - suggerii. 

- Può darsi. In tal caso dovremmo seguirlo e scoprire quali sono le sue intenzioni. Mi domando che cosa farebbe il suo amico Holmes se fosse qui! 

- Credo seguirebbe alla lettera quanto i suoi suggerimenti - risposi. - Pedinerebbe Barrymore e lo sorprenderebbe. 

- E quello che noi allora faremo insieme. 

- Ma egli se ne accorgerà senz'altro. 

- È un po' sordo, e comunque noi dobbiamo correre questo rischio. Questa sera aspetteremo nella mia camera fino a quando lo sentiremo passare. - Sir Henry si fregò le mani soddisfatto, ed era evidente che gradiva quest'avventura come un diversivo all'esistenza alquanto monotona che si vedeva costretto a condurre sulla landa. 

Il baronetto si è messo in comunicazione con l'architetto che aveva preparato i progetti per Sir Charles, nonché con un imprenditore di Londra, perciò penso che fra poco qui si avranno grandi novità. Da Plymouth sono giunti decoratori e arredatori, e mi sembra che il nostro amico abbia idee grandiose e non intenda risparmiare fatiche né spese pur di ripristinare lo splendore della sua famiglia. Quando la sua casa sarà rinnovata e riarredata, gli mancherà solo una moglie per renderla completa. Rimanga tra noi: vi sono segni abbastanza evidenti che ciò non mancherà di avverarsi purché la dama lo voglia, poiché mi è capitato raramente di vedere un uomo piú infatuato di una donna di quanto egli lo è della nostra bella vicina, la graziosissima signorina Stapleton. E tuttavia il procedere dell'amore vero e proprio non si svolge così liscio come sarebbe stato facile prevedere, date le circostanze. Oggi per esempioil suo andamento è stato interrotto da una imprevisto, che ha causato al nostro amico notevoli perplessità e disappunto. 

Dopo la conversazione intorno a Barrymore, di cui già le ho detto, Sir Henry si mise il cappello e si preparò a uscire. Io naturalmente feci altrettanto. 

- Come! Esce anche lei, Watson? - mi domandò fissandomi con in modo penetrante. 

- Dipende: se lei si reca sulla landa o altrove - risposi io. 

- Vado appunto sulla landa. 

- Bene: lei sa quali sono le mie istruzioni. Mi spiace intromettermi, ma sa quanto Holmes abbia insistito perché io non la lasci mai, e perché soprattutto non le permetta di andare nella landa da solo. 

Sir Henry mi mise una mano sulla spalla sorridendo cordialmente 

- Amico mio - disse. - Holmes, nonostante tutta la sua saggezza, non ha previsto alcune cose che sono accadute qui da quando sono arrivato. Mi capisce, vero? Sono certo che lei è l'ultimo uomo al mondo cui farebbe piacere di passare per un guastafeste. Bisogna assolutamente che io esca da solo. 

Questo fatto mi mise in una situazione estremamente imbarazzante. Non sapevo piú che pesci prendere, ma prima che io mi fossi deciso, Sir Henry aveva afferrato il suo bastone e se n'era andato. 

Non appena però fui in grado di riflettere meglio, la mia coscienza incominciò a rimproverarmi duramente per avergli consentito di allontanarsi dalla mia vista con un qualsiasi pretesto. Immaginai quali potevano essere i miei sentimenti se avessi dovuto tornare da lei e confessarle che una disgrazia era accaduta per non essermi strettamente attenuto alle sue istruzioni. Le assicuro che a questo solo pensiero mi sentii il viso in fiamme. Non era ancora trascorso troppo tempo perché non potessi raggiungerlo: perciò mi avviai in fretta in direzione di Merripit House. 

Mi affrettai lungo la strada con tutta la velocità consentitami dalle gambe, senza tuttavia vedere neppur l'ombra di Sir Henry, sino a che giunsi al punto in cui il sentiero che dà sulla landa si divide. Temendo allora di avere forse scelto la direzione sbagliata, salii su una collina da cui potevo dominare il panorama... la collina che è stata tagliata e trasformata in cava di pietre. Da là lo vidi immediatamente. Percorreva il sentiero della landa, a circa un quarto di miglio di distanza, e al suo fianco camminava una donna che doveva essere la signorina Stapleton. Evidentemente si erano messi d’accordo e certo si erano dati appuntamento. Passeggiavano piano, assorti in una profonda conversazione, e vidi che la signorina faceva con le mani brevi movimenti rapidi, come a sottolineare con grande energia quello che diceva, mentre Sir Henry ascoltava intento, e scuoteva ogni tanto il capo in segno di vivo dissenso. Rimasi a osservarli, appostato tra le rocce, senza saper decidere quel che dovessi fare. Seguirli e intromettermi nella loro conversazione, visibilmente intima, mi sembrava inopportuno; e tuttavia il mio preciso dovere era di non abbandonare Sir Henry neppure per un attimo. D'altronde, era per me compito odioso spiare le mosse di un amico. Eppure capivo che la soluzione migliore era che io rimanessi a sorvegliarlo dalla cima della collina, alleggerendo in seguito la mia coscienza con una confessione completa di quel che avevo fatto. É vero che se un pericolo improvviso lo avesse minacciato io mi sarei trovato troppo lontano per essegli d'aiuto, eppure sono certo, lei ne converrà con me, che la mia situazione era molto delicata, e che veramente non mi restava niente di meglio da fare. 

Il nostro amico Sir Heury e la signorina si erano fermati sul sentiero, piú che mai intenti a conversare, quando mi avvidi a un tratto di non essere il solo testimone di quel loro colloquio. Qualcosa di verde che si muoveva nell'aria colpì il mio sguardo, e mi bastò un'occhiata piú attenta per capire che quel puntino verde era trasportato su un bastone da un uomo che si muoveva tra il terreno scosceso. Era Stapleton col suo acchiappafarfalle. Si trovava assai piú vicino di me ai due, e sembrava muoversi verso di loro. 

In quel momento Sir Henry trasse improvvisamente a sé la signorina Stapleton. L'aveva già cinta col braccio, ma mi sembrò che ella cercasse di scostarsi da lui distogliendo il viso. Egli chinò il capo verso di lei, ma ella alzò una mano come in gesto di protesta. Un attimo dopo li vidi separarsi bruscamente e volgersi di scatto. La causa di quel loro movimento era Stapleton. Costui correva verso di loro come un pazzo, mentre la sua ridicola rete gli penzolava sulla schiena. Per l'emozione gesticolava e quasi danzava di fronte ai due innamorati. Non mi era possibile immaginare che cosa significasse tutta quella scena, ma ebbi l'impressione che Stapleton insultasse Sir Henry, il quale tentava di scusarsi con spiegazioni sempre piú infuriate quanto piú l'altro si rifiutava di accettarle. La signorina si era messa in disparte, in altezzoso silenzio. Stapleton infine girò sui tacchi e fece alla sorella un gesto perentorio: questa, dopo aver lanciato a Sir Henry un'occhiata irresoluta, si allontanò al fianco del fratello. I gesti collerici del naturalista indicavano che anche la signorina era inclusa nella sua disapprovazione. Il baronetto stette a guardarli per un minuto, quindi ritornò lentamente lungo il cammino che aveva percorso, a testa bassa, ritratto della difatta. 

Non riuscivo a capire che cosa significasse tutto questo, ma provavo un profondo rimorso per essere stato testimone di una scena così intima, a insaputa del mio amico. Mi affrettai quindi a scendere dall'altura e incontrai il baronetto alla fine della discesa. Era rosso in viso di collera, le sopracciglia aggrottate: in una parola aveva l'aspetto di chi si trova ai limiti della pazienza. 

- Salve, Watson! Da dove sbuca? - mi disse. - Non vorrà mica farmi credere che mi ha seguito, nonostante il mio preciso avvertimento! 

Gli spiegai ogni cosa: come non mi ero sentito il coraggio di restarmene a casa, come lo avevo seguito, come in fine avessi assistito a quanto era successo. Per un attimo i suoi occhi mi fissarono furibondi, poi la sua collera fu disarmata dalla mia franchezza, infine egli proruppe in una risata non priva di una punta di malinconia. 

- Avevo immaginato questa prateria un posto abbastanza tranquillo e isolato perché un uomo ci potesse stare in pace a pensare ai fatti suoi - disse - ma, tuoni e fulmini, a quanto pare tutto il paese è uscito a vedermi fare la parte dell'innamorato... bell'amore, porca miseria! Lei dove si era prenotato la poltrona? 

- Mi ero messo su quella collina. 

- Ah! Nelle ultime file, dunque! Il fratellino invece era nelle prime. L'ha visto mentre ci veniva contro? 

- Sì. 

- Le è mai passato per la mente che deve essere un po' matto... quel suo fratello? 

- Veramente non me n'ero mai accorto. 

- Nemmeno io! Fino ad oggi lo avevo giudicato sempre abbastanza sano di mente, ma le dò la mia parola d'onore che o lui o io dobbiamo essere soggetti da camicia di forza! Ma io, che cosa ho di speciale, perdiana? Lei ormai vive con me da alcune settimane, Watson! Mi dica la verità! Trova che io abbia qualcosa che m'impedisca di essere un buon marito per la donna che amo? 

- Direi di no. 

- Non può certo aver nulla a ridire sulla mia situazione finanziaria, perciò non può che avercela con la mia persona. Che cos'ha dunque contro di me? Che io sappia, non ho mai torto un capello a nessuno: eppure mi ha detto che non mi permette nemmeno di toccarle la punta delle dita. - Ha detto così? 

- Eccome, e altro ancora. Le assicuro, Watson, che la conosco solo da poche settimane, ma ho avuto sin dal primo momento la certezza che quella donna era fatta per me, e anche lei... anche lei era felice quando stava con me: sarei pronto a giurarlo. In certi momenti gli occhi di una donna si riempiono di una luce assai piú eloquente di un fiume di parole. Ma lui non ci ha mai permesso di restare soli, e solo oggi per la prima volta avevo intravisto la speranza di poter scambiare con lei qualche parola in intimità. Sembrava contenta di vedermi, ma poi mi ha detto che non era per amore che era venuta a parlarmi, e certo non mi avrebbe permesso di rivelarle il mio animo se fosse riuscita a interrompermi. Continuava a ripetermi che questo era un luogo pericoloso, e che sarebbe stata tranquilla soltanto quando me ne fossi andato. Io le ho risposto che dal momento in cui l'avevo veduta non avevo alcuna fretta di partire, e che se veramente desiderava che io me ne andassi, l'unico modo per farmi partire era che lei mi accompagnasse. Con ciò le ho offerto in poche parole di sposarla, ma prima che ella fosse in grado di rispondermi, ecco precipitarsi in mezzo a noi il fratello con una faccia da pazzo. Era letteralmente bianco di collera, e quei suoi occhi smorti fiammeggiavano di rabbia. Che cosa c'entravo io con sua sorella? Come osavo farla oggetto delle mie disgustose attenzioni? Credevo forse che, perché nobile, mi fosse permesso fare quel che mi pareva e piaceva? Se non fosse stato il fratello di lei, gli avrei risposto come si meritava. Purtroppo ho dovuto limitarmi a dirgli che i miei sentimenti nei confronti di sua sorella erano tali da non aver niente di cui vergognarsi, e che mi auguravo che lei mi avrebbe fatto l’onore di diventare mia moglie. Ma queste mie proposte non lo hanno per nulla calmato, anzi, alla fine anch'io ho perso  la pazienza e gli ho risposto peggio di quanto non volessi, in considerazione anche del fatto che la signorina era presente. La scena dunque è finita come lei ha visto: lui se n'è andato con lei, e io sono qui perplesso e imbarazzato come un cretino. Mi spieghi un po' che cosa significa questa storia, Watson, e io le sarò ancora piú debitore di quanto già non sia nei suoi confronti. 

Tentai di fornirgli un paio di spiegazioni attendibili, ma francamente ero meravigliato e stupito quanto Sir Henry. Il titolo del nostro amico, la sua fortuna, la sua età, il suo carattere, la sua prestanza fisica, tutto era a suo favore, e contro di lui non avrei saputo trovare assolutamente nulla, a meno che non si trattasse dell'oscuro destino che incombe sulla sua famiglia. É veramente stupefacente che le sue proposte siano state respinte con tanta durezza senza interpellare la volontà della signorina, ed è ancora piú stupefacente che questa abbia accettato tale stato di cose senza protestare. 

Il nostro almanaccare fu interrotto da una visita fattaci da Stapleton in persona questo pomeriggio stesso. É venuto a scusarsi per il comportamento di qualche ora prima, e dopo una lunga conversazione privata svoltasi tra lui e Sir Henry nello studio di quest'ultimo, in conclusione il dissidio è completamente sanato e a sancire questa rappacificazione siamo invitati a pranzare a Merripit House venerdì prossimo. 

- Non che non sia matto - mi ha spiegato Sir Henry; - non potrò mai dimenticare l'espressione dei suoi occhi quando mi ha investito questa mattina, ma devo riconoscere che nessuno avrebbe potuto offrire scuse piú dignitose di quelle presentatemi da lui questo pomeriggio. 

- Ha spiegato le ragioni della sua condotta? 

- Sua sorella è tutto per lui, mi ha detto. Questo è abbastanza naturale, e sono lieto che egli ne apprezzi i meriti. Sono sempre vissuti insieme, e da quanto egli mi dice è sempre stato un uomo molto solo e ha sempre avuto la sorella come unica compagna, in modo che il pensiero di perderla gli è davvero insopportabile. Non si era accorto, mi ha detto, che io mi stavo affezionando a Beryl, ma quando ha compreso come stavano effettivamente le cose, e ha capito che forse la stava per perdere, il colpo è stato tale per lui che per un attimo non si è reso conto di quello che faceva e diceva. Si è dimostrato molto dispiaciuto per l’avvenimento, e ha ammesso che sarebbe stato sciocco ed egoistico da parte sua pensare di tenere per sé solo per tutto il resto della vita una donna bella come sua sorella. Dal momento che lei lo doveva lasciare, preferiva che fosse per un vicino come me piuttosto che per qualcun altro. Comunque, ciò è per lui un grande dolore, e avrà bisogno di tempo per abituarsi a questa nuova realtà. É pronto a ritirare ogni obiezione da parte sua se gli prometto di lasciar stare le cose come sono per un periodo di tre mesi, accontentandomi in questo lasso di tempo di coltivare l'amicizia di Beryl senza pretendere da lei amore. Naturalmente io ho promesso, e così ci siamo rimessi d’accordo. 

Ecco così chiarito uno dei nostri tanti piccoli problemi. È già qualcosa aver toccato il fondo, almeno in un punto, di questo pantano in cui ci stiamo dibattendo. Sappiamo finalmente perché Stapleton vedesse di mal occhio il pretendente della sorella... anche se questo pretendente è un partito invidiabile quale Sir Henry. E adesso vengo a un altro filo che sono riuscito a districare da questa imbrogliata matassa: al mistero cioè dei singhiozzi notturni, del viso rigato di lagrime della signora Barrymore, delle furtive scappate del maggiordomo alla finestra occidentale a graticci. Si congratuli con me, caro Holmes, e mi dica che non l'ho delusa in qualità di suo agente, e che non rimpiange la fiducia dimostratami inviandomi quaggiú. Tutti questi quesiti sono stati completamente risolti con una sola notte di lavoro. 

Ho detto "con una sola notte di lavoro” a onor del vero mi sono occorse due notti, perché nella prima non abbiamo concluso nulla. Rimasi alzato con Sir Henry, nella sua stanza, sino alle tre del mattino circa, ma non udimmo niente, nessun rumore, ad eccezione dei rintocchi della pendola in cima alle scale. Fu una veglia estremamente malinconica, che si concluse in una sonora dormita di entrambi sulle nostre rispettive seggiole. Per fortuna non ci perdemmo di coraggio, e decidemmo di tentare di nuovo. La sera successiva abbassammo la lampada e ci mettemmo a fumare sigarette, senza fare il benché minimo rumore. É incredibile quanto lentamente passassero le ore, e tuttavia fummo aiutati a superare la stanchezza da quello stesso paziente interesse che deve senza dubbio provare il cacciatore quando sorveglia la tagliola in cui spera che possa avventurarsi la sua selvaggina. Un colpo, poi un secondo, e già quasi disperavamo per la seconda volta, quando improvvisamente balzammo entrambi in ascolto sulle nostre seggiole, con tutti i nostri sensi affaticati ancora una volta acutamente all'erta. Avevamo inteso nel corridoio lo scricchiolio di un passo. 

Lo udimmo allontanarsi furtivo e spegnersi in lontananza. Allora il baronetto aprì piano piano l'uscio, e insieme ci ponemmo alI'inseguimento. Già il nostro uomo era svoltato nella galleria, e il corridoio era tutto immerso nelle tenebre. Avanzammo cauti e silenziosi finché giungemmo nell'altra ala. Avemmo giusto il tempo di scorgere la visione fugace dell'alta figura barbuta, dalle spalle curve, mentre avanzava in punta di piedi lungo il corridoio. Quindi la vedemmo entrare come la prima volta in quella stessa porta, e la luce della candela la definì nel buio, lasciando trapelare un'unica striscia gialla attraverso le tenebre del corridoio. Avanzammo con circospezione in direzione di essa, tastando ogni asse dell'impiantito prima di osare di abbandonarvi sopra tutto il nostro peso. Avevamo avuto cura di toglierci le scarpe, ma anche così scalzi i nostri passi facevano gemere e scricchiolare quelle vecchie tavole. A volte ci pareva impossibile che egli non potesse udire il nostro avvicinarsi, ma per fortuna l'uomo è sordastro, ed era troppo preoccupato di quel che stava facendo. Quando giungemmo finalmente alla porta e spiammo attraverso di essa, lo vedemmo accovacciato alla finestra con la candela in mano, la faccia sbiancata intenta a scrutare e schiacciata contro il vetro, nella identica posizione in cui lo avevo sorpreso due notti prima. 

Non avevamo predisposto alcun piano di attacco, ma Sir Henry è un uomo per il quale la via piú diretta è sempre quella piú naturale. Avanzò con fare deciso nella stanza, mentre Barrymore si spostava dalla finestra con un balzo lanciando come un sibilo acuto dalle labbra, e sostando livido e tremante davanti a noi. I suoi occhi cupi, che luccicavano fuor dell'esangue maschera del viso, erano carichi di orrore e di stupore, mentre il suo sguardo fissava esterrefatto ora Sir Henry ora me. 

- Che cosa stai facendo qua, Barrymore? 

- Nulla, Sir Henry. - Era talmente agitato che stentava ad aprir bocca, e la mano che impugnava la candela tremava talmente che lunghe ombre ne balzavano su e giú tutt'attorno a lui. - Ero alla finestra: faccio sempre un giro la notte per vedere se sono ben sprangate. 

- Al secondo piano? 

- Sì, Sir Henry, ispeziono sempre tutte le finestre. 

- Senti un po', Barrymore - insistette Sir Henry con tono severo - abbiamo deciso di sapere da te la verità, perciò ti risparmierai molta fatica se ce la dirai subito. Su, andiamo! 

Niente storie! Che cosa stavi facendo a quella finestra? 

Il disgraziato ci guardò con aria smarrita, e si torse le mani come chi si trova al colmo dell'incertezza e della disperazione. 

- Non facevo nulla di male, Sir Henry! Tenevo accostata una candela alla finestra. 

- E perché tenevi accostata una candela alla finestra? 

- Non me lo chieda, Sir Henry... non me lo chieda! Le do la mia parola d'onore che si tratta di un segreto non mio, e che perciò non posso rivelarglielo. Se si trattasse soltanto di me non glielo nasconderei. Davvero. 

Mi venne in mente un'idea improvvisa, e tolsi la candela dal davanzale dove era stata posata dal maggiordomo. 

- Doveva trattarsi certamente di un segnale - osservai. -.Vediamo se otteniamo una risposta. 

Tenni la candela come l'aveva tenuta Barrymore, e appuntai lo sguardo nelle tenebre della notte. Distinguevo vagamente la massa nera degli alberi e la piú chiara vastità della landa, poiché la luna si trovava dietro le nuvole. A un tratto lanciai un grido di esultanza, poiché una minuscola luce gialla, piccola come una capocchia di spillo, aveva improvvisamente squarciato quel nero velame e scintillava nitida al centro del riquadro buio della finestra. 

- Eccolo! - esclamai. 

- No, no, signore, non è nulla... assolutamente nulla - interruppe il maggiordomo - le assicuro, signore... 

- Muova la candela di traverso la finestra, Watson! - gridò il baronetto. - Vede, anche l'altra luce si muove. E adesso, mascalzone, vorrai ancora negare che non si tratti di un segnale? Su, parla! Chi è il tuo complice laggiú, e che cosa significa questa tresca? 

La faccia dell'uomo assunse un'espressione di aperta sfida. – È affar mio, non suo. 

Non le dirò nulla. 

- Allora te ne andrai di qua seduta stante. 

- Come vuole! Se è necessario, è necessario. 

- E te ne andrai malamente, tuoni e fulmini, dovresti aver vergogna di te! Da cinquecento anni e piú la tua famiglia vive con la mia sotto questo tetto, ed ecco che io ti scopro a complottare chi sa quale porcheria contro di me! 

- No, no, Sir Henry! Non è contro di lei! 

Era una voce di donna, e la signora Barrymore, piú pallida e ancora piú smarrita del marito, apparve sulla soglia. La sua figura massiccia in sottoveste, malamente avvolta in uno scialle, sarebbe stata comica, se non fosse stato per l'intensità dell'emozione che le si leggeva nel viso. 

- Dobbiamo andarcene, Elisa. È la fine. Puoi fare le nostre valigie - le disse il maggiordomo. 

- Oh, John, John, tutto per colpa mia! La colpa è tutta mia, Sir Henry... tutta mia. 

Lui non c'entra per nulla: lo ha fatto per amor mio, e solo perché gliel'ho chiesto io. 

- Su, parli dunque! Che cosa significa questa storia? 

- Il mio sciagurato fratello sta morendo di fame sulla landa. Non possiamo lasciarlo morire proprio qui davanti alla nostra porta. Quella luce è un segnale che gli facciamo per dirgli che il cibo è pronto per lui, e quella luce laggiú indica il punto in cui noi dobbiamo portarglielo. 

- Allora suo fratello è... 

- Il forzato evaso... sì, Sir Henry... è Selden, I'assassino. 

- Questa è la verità, Sir Henry - confermò Barrymore. - Le avevo detto che non si trattava di un segreto mio, e che io non avevo diritto di rivelarglielo. Ma adesso che sa comprenderà come non si tratti affatto di una congiura contro di lei. 

Questa era dunque la spiegazione delle furtive spedizioni notturne e della luce alla finestra! Sir Henry e io fissammo entrambi la donna, allibiti. Era mai possibile che quella creatura dalI'aspetto banalmente rispettabile fosse dello stesso sangue da cui era uscito uno dei piú temibili criminali d'Inghilterra? 

- Sissignore, da ragazza mi chiamavo Selden, e quello è il mio fratello piú giovane. Quand'era ragazzo lo abbiamo viziato troppo, accontentandolo in tutto e per tutto, finché finì col pensare che il mondo fosse fatto per suo uso e comsumo, e che a lui tutto fosse permesso. Poi, quando fu cresciuto, incontrò cattive compagnie, e il diavolo si è impossessato di lui, tanto che egli spezzò il cuore di mia madre e trascinò il nostro nome nel fango. Scese sempre piú in basso lungo la china del male, e soltanto la misericordia di Dio lo ha salvato dalla forca; ma per me, Sir Henry, è sempre rimasto il bambinetto ricciolino con cui giocavo e che sorvegliavo, da sorella maggiore! Ecco perché è evaso, Sir Henry. Sapeva che io mi trovavo qui e che non mi sarei rifiutata di aiutarlo. Quando una sera si trascinò fin qua, stanco, affamato, con i guardiani alle calcagna, che cosa potevamo fare? Lo raccogliemmo, gli demmo da mangiare, lo curammo. Poi lei è ritornato, Sir Henry, e mio fratello pensò che sarebbe stato piú al sicuro sulla landa che altrove, sino a quando le ricerche si fossero calmate, e così vi rimase nascosto. Ma ogni due notti ci assicuravamo che fosse sempre laggiú mettendo una luce alla finestra, e, se avevamo risposta, mio marito gli portava un po’ di carne e di pane da mangiare. Ogni giorno speravamo che se ne andasse, ma fino a quando restava qui non potevamo abbandonarlo. Questa è la sacrosanta verità; lo giuro da buona cristiana, e se qualcuno deve essere rimproverato non è mio marito, ma tutta la colpa di questa storia deve ricadere su di me, perché lui ha agito per amor mio. 

La donna aveva pronunciato queste parole con una così commossa intensità che non era possibile dubitare della sua buona fede. 

- È proprio vero quello che dice tua moglie, Barrymore? 

- Sì, Sir Henry: è la sacrosanta verità. 

- Va bene, non posso biasimarti per avere difeso tua moglie. Dimentica quanto ti ho detto. E adesso voi due andatevene in camera vostra, e domattina discuteremo meglio questa faccenda. 

Quando se ne furono andati tornammo a guardare fuori dalla finestra. Sir Henry l'aveva spalancata e adesso il freddo vento notturno ci investiva il viso. Lontano lontano, nelle tenebre dilaganti, il minuscolo puntino giallo luceva ancora. 

- Non so come osi! - fece Sir Henry. 

- Forse è messo in modo da apparire visibile soltanto da qui. 

- Può darsi. A che distanza crede che sia? 

- Penso nelle vicinanze di Cleft-Tor. 

- Dunque a non piú di un miglio o due. 

- Non di piú, direi. 

- D'altronde non può essere molto lontano se Barrymore doveva portargli da mangiare personalmente. E quel farabutto sta aspettando vicino a quella candela. Tuoni e fulmini, Watson, vado ad acchiapparlo io quell'uomo! 

Lo stesso pensiero aveva attraversato anche la mia mente. Non era come se i Barrymore ci avessero confessato di propria iniziativa un proprio segreto. Erano stati costretti a rivelarcelo! Inoltre quell'uomo costituiva un pericolo per la comunità; era uno spietato criminale per il quale non esistevano né compassione né attenuanti. Non facevamo altro che il nostro dovere tentando di riportarlo là dove non avrebbe avuto piú possibilità di nuocere. Del resto, nel caso noi non avessimo agito e avessimo lasciato libera la sua natura violenta e brutale, altri avrebbero finito perpagare, forse a caro prezzo, la nostra debolezza. Ogni notte, per esempio, i nostri vicini Stapleton avrebbero potuto correre il rischio di essere assaliti dall’evaso, e forse fu questo pensiero a spingere Sir Henry a tentare una simile impresa. 

- Vengo anch'io - dissi. 

- Allora prenda la rivoltella e si infili le scarpe. Sarà meglio che ci mettiamo in moto al piú presto, perché quel farabutto potrebbe spegnere la sua luce da un momento all'altro e andarsene. 

Cinque minuti dopo eravamo in cammino, decisi a compiere il nostro dovere. Attraversammo veloci il boschetto avvolto nell'oscurità, tra il gemito soffocato del vento autunnale e il fruscio delle foglie cadenti. L'aria notturna era impregnata di un odore di umidità e disfacimento. A tratti la luna appariva per brevi attimi, ma subito le nubi si addensavano sopra la volta del cielo, e proprio mentre sbucavamo nella landa incominciò a scendere una pioggia sottile. La luce continuava a scintillare davanti a noi. 

- É armato? - domandai a Sir Henry. 

- Ho un frustino da caccia. 

- Dobbiamo coglierlo di sorpresa, poiché dicono che sia un individuo pronto a tutto. Dobbiamo immobilizzarlo prima che possa opporre resistenza. 

- Ehi, Watson - esclamò a questo punto il baronetto - che cosa direbbe Holmes di questa storia? Non si ricorda le sue parole a proposito delle ore di tenebra in cui le potenze del male sono scatenate? 

Quasi in risposta a queste sue parole venne a un tratto fuor della lugubre vastità della landa lo strano grido che già avevo sentito ai margini della grande Palude di Grimpen. Giunse portato dal vento attraverso il silenzio della notte: fu dapprima un murmure profondo, prolungato, che si tramutò poi in un urlo sempre crescente, per spegnersi infine in un gemito malinconico. Piú volte echeggiò il grido, e tutta l'atmosfera ne pulsò; era un ululato stridente, forsennato, minaccioso. Il baronetto mi strinse per la manica della giacca e pur nell'oscurità vidi il suo volto sbiancarsi. 

- Dio santo, ma che cos'è, Watson? 

- Non lo so. Dicono che sia un grido proveniente dalla landa. Io l'ho già sentito una volta. 

Il suono si tacque, e un silenzio assoluto ci avvolse. Ci fermammo tendendo le orecchie, ma non sentimmo più niente. 

- Watson - disse il baronetto - era l'ululato d'un cane. 

Mi sentii gelare il sangue nelle vene, poiché avevo avvertito nella sua voce un tremore che mi rivelava come anche il mio compagno fosse stato preso da una paura incontrollata, sentendo il misterioso grido. 

- Come lo chiamano questo suono? - mi domandò. 

- Chi? 

- Gli abitanti della zona. 

- Oh, sono gente ignorante. Che cosa le può importare come lo chiamino? 

- Mi dica, Watson - insistette. - Come lo chiamano? 

Esitai, ma non potevo non rispondere. 

- Dicono che sia il latrato del Mastino dei Baskerville. 

Sir Henry emise un gemito soffocato, e tacque per alcuni istanti. 

- Era certamente un cane - disse infine - ma mi sembrava provenisse da una distanza di parecchie miglia. 

- É difficile stabilirne la provenienza. 

- Si è alzato ed è cessato col vento. Quella non è la direzione della grande Palude di Grimpen? 

- Sì, è esatto. 

- Ecco, veniva da quella parte. Andiamo dunque, Watson, non ha avuto anche lei la netta sensazione che si trattasse dell'ululato di un cane? Io non sono un bambino. Non occorre che lei tenti di nascondermi la verità. 

- Stapleton era con me quando l’ho sentito per la prima volta, e mi spiegò che poteva essere il richiamo di un uccello sconosciuto. 

- No, no, era un cane. Dio mio, è forse possibile che esista un fondo di verità in tutte queste fandonie? É forse possibile che io mi trovi veramente in pericolo per un motivo così misterioso? Lei non ci crede, vero, Watson? 

- No, no. 

- Eppure una cosa era riderne a Londra, e un'altra essere qui, avvolti nell'oscurità della landa, e udire un urlo come quello. E mio zio! Dopo tutto, accanto al suo corpo c'erano le impronte delle zampe di un mastino. Sembra che tutte le maglie di questa tetra rete si stiano unendo. Non credo di essere un vigliacco, Watson, ma quel grido mi ha fatto ggelare il sangue nelle vene. Mi tocchi la mano! 

Era fredda come marmo. 

- Vedrà che domattina si sentirà di nuovo benissimo. 

- Non credo che riuscirò a togliermi di mente quel latrato. Che cosa mi consiglia di fare, adesso? 

- Vuole che torniamo indietro? 

- Neanche per idea! Siamo usciti per prendere l’evaso, e ci riusciremo. Noi stiamo dando la caccia a un forzato, e a quanto pare siamo a nostra volta inseguiti da un cane del demonio. Andiamo. Vedremo un po' se tutti i diavoli dell'inferno si sono davvero scatenati in questa dannata landa. 

Riprendemmo ad avanzare inciampando nelle tenebre, circondati dal nero incombere dei poggi scoscesi, mentre la fievole luce giallastra seguitava a bruciare dritta davanti a noi. Nulla è piú ingannevole della distanza di un lume in una notte nera come la pece, e a volte il chiarore sembra lontanissimo all'orizzonte, a volte invece pare solo a pochi passi. Alla fine riuscimmo però a individuarne la provenienza, e a un tratto ci accorgemmo di esser vicinissimi. Una candela sgocciolante era stata conficcata in una fenditura delle rocce che l'affiancavano su ciascun lato, in modo da ripararla dal vento e per impedire che fosse visibile fuorché nella direzione del Maniero di Baskerville. Un masso di granito coprì il nostro avvicinarsi, e accovacciandoci dietro questo riparo naturale ci mettemmo a spiare al disopra di esso la luce. Quell'unica candela nel mezzo della landa aveva un aspetto irreale, così senza alcun segno di vita tutt'attorno... Solo quella fiamma gialla e il riverbero sulla roccia intorno. 

- Che cosa dobbiamo fare adesso? - bisbigliò Sir Henry. 

- Aspetti qui. Deve essere vicino alla luce. Vediamo se riusciamo a scorgerlo. 

Avevo appena proferito queste parole che lo vedemmo entrambi. Sopra le rocce, nella cui fenditura la candela ardeva, si sporgeva una spaventosa faccia gialla, una ripugnante faccia animalesca, tutta corrosa e segnata dalle piú malvagie passioni. Ricoperto di fango, con la barba ispida, i capelli appiccicati al cranio, avrebbe potuto benissimo appartenere a uno di quegli antichi selvaggi che avevano abitato nelle tane scavate lungo i fianchi di quelle colline. La luce della candela sotto di lui si rifletteva nei suoi occhi piccoli, astuti, che sembravano trafiggere a destra e a sinistra le tenebre, con un bagliore sinistro, proprio come gli occhi di un animale sospettoso e selvatico che abbia avvertito l'avvicinarsi dei cacciatori. 

Qualcosa doveva avere evidentemente risvegliato i suoi sospetti. Forse Barrymore usava con lui qualche segno convenzionale che noi ignoravamo, oppure altri motivi gli avevano fatto supporre che qualcosa non andasse; certo è che la paura gli si leggeva chiaramente sul volto malvagio. Egli poteva da un minuto all'altro spegnere la luce e svanire nelle tenebre. Feci un balzo improvviso in avanti, e Sir Henry fece altrettanto. Contemporaneamente, il forzato lanciò una imprecazione e scagliò verso di noi un masso che andò a scheggiarsi contro il riparo di roccia dietro il quale ci eravamo nascosti. Mi fu possibile cogliere una visione fuggevole della sua figura tozza, squadrata, massicciamente costruita, mentre l'uomo balzava in piedi e tentava di fuggire. In quel medesimo istante, per una fortunata combinazione, la luna squarciò il velo delle nubi. Ci precipitammo lungo il ciglio della collina, mentre il nostro uomo correva disperatamente giú per il lato opposto, saltando sulle pietre con l'agilità di una capra. Con un colpo fortunato della mia rivoltella avrei potuto ferirlo alle gambe, ma io avevo portato l'arma solo per difendermi se fossi stato attaccato, non per sparare contro un uomo inerme in fuga. 

Eravamo entrambi discreti corridori e in buona efficienza, ma ben presto ci rendemmo conto che non avevamo alcuna probabilità di raggiungerlo. Lo vedemmo a lungo sotto la luce della luna finché non fu piú che un minuscolo puntino in movimento con pazzesca rapidità tra i massi di un colle lontano. Continuammo a correre fino a che ci sentimmo quasi sul punto di scoppiare, ma la distanza tra noi e la nostra preda aumentava sempre piú. Infine ci fermammo e ci sedemmo ansimanti su due massi, mentre l'uomo scompariva lontano. 

In questo preciso momento accadde un fatto stranissimo e del tutto inaspettato. Ci eravamo alzati e stavamo per dirigerci verso casa, avendo ormai abbandonato l'inutile caccia. La luna era bassa sull'orizzonte, e il pinnacolo dentellato di una guglia di granito si innalzava contro la curva inferiore del suo disco d'argento. In quel punto, stagliato come una statua d'ebano su quello sfondo luminoso, vidi sul masso una figura d'uomo. Non creda che sia stata una allucinazione, Holmes. Le garantisco che non ho mai visto in vita mia nulla di piú chiaro. Per quanto mi fu dato giudicare si trattava di un uomo alto e magro. Era in piedi, le gambe lievemente divaricate, le braccia conserte, il capo chino, quasi stesse me ditando sulla sconfinata desolazione di torba e granito che si stendeva dinanzi a lui. Avrebbe potuto benissimo essere lo spirito stesso di quel luogo terribile. Non era il forzato. Quest'uomo era lontano dal punto in cui quest'ultimo era scomparso. D'altronde, era molto piú alto di statura. Con un'esclamazione di sorpresa additai l'apparizione al baronetto, ma nell'attimo in cui mi volsi per afferrargli il braccio, l'uomo era sparito. La guglia di granito era pur sempre lì a tagliare l'orlo inferiore della luna, ma in cima non c’era piú alcuna traccia della immobile, silenziosa visione. 

Avrei voluto muovere subito in quella direzione e frugare il colle, ma il punto era parecchio lontano. Sir Henry aveva ancora i nervi scossi dal grido che gli rammentava la tragica storia della sua famiglia, e non era certo disposto a nuove awenture. Non aveva visto l'uomo solitario sulla punta rocciosa, e non poteva perciò provare l'emozione di quell'arcana presenza e di quell'atteggiamento maestoso.  

- Sarà stato senza dubbio un guardiano- disse. - La landa ne è piena da quando quel maledetto è scappato.  

Può darsi che questa spiegazione sia giusta, ma vorrei averne una conferma piú sicura. Oggi abbiamo intenzione di riferire a quelli di Princetown dove debbono andare per riprendersi il loro evaso, ma certo è duro pensare che non abbiamo potuto avere noi la soddisfazione di portarlo là come prigioniero.  

Queste sono le nostre avventure della notte scorsa, e deve ammettere, mio caro Holmes, che come relazione non c'è male. Molto di quanto le ho detto è senza dubbio superfluo, ma ho tuttavia la sensazione che è meglio che io le renda noto ogni cosa dalla A alla Zeta, lasciando poi a lei distinguere i fatti piú importanti da quelli trascurabili, perché possa trarre conclusioni con facilità. Certo, qualche progresso l'abbiamo fatto. Per quel che riguarda i Barrymore, abbiamo scoperto il movente delle loro azioni, e questo ha indubbiamente chiarito la situazione. Purtroppo la landa con i suoi misteri e i suoi strani abitanti resta piú che mai imperscrutabile. Può darsi che nella mia prossima relazione io riesca a gettare un po' di luce anche su questo punto. Ma la miglior cosa sarebbe che lei ci raggiungesse. 

 

 

Fin ad ora sono stato in grado di esporre ai lettori i fatti attraverso le relazioni spedite a Sherlock Holmes nei primissimi giorni del mio soggiorno al Maniero. Ora però sono giunto a un punto in cui mi vedo costretto ad abbandonare questo sistema e ad affidarmi ancora una volta ai miei ricordi, aiutandomi col diario da me tenuto in quel tempo. Alcune annotazioni tratte da esso mi trasporteranno in quei luoghi che si sono fissati nella mia memoria in modo incancelabile, facendomene ricordare anche i minimi particolari. Inizio quindi dal mattino successivo a quello della nostra sfortunata caccia alll’evaso e alle altre misteriose impressioni da noi riportate sulla landa. 

 

16 ottobre. - Giornata piena di nebbia, uggiosa: piove fino fino. La casa è avvolta di nubi che si susseguono senza soluzione di continuità, ma di tanto in tanto rivelano le paurose ondulazioni della brughiera, i fianchi delle colline segnate da sottili striature grigiastre, i massi lontani che scintillano là dove la luce batte sui loro spigoli madidi di umidità. La malinconia incombe fuori e dentro. In Sir Henry, all'eccitazione della notte è succeduto uno stato di abbattimento nero. Ho anch'io una sensazione di peso al cuore e un presentimento di pericolo incombente... un pericolo onnipresente, tanto piú temibile quanto piú inafferrabile. 

E non ho forse motivo di temere? Si rifletta alla lunga serie di fatti, tutti indicanti che una qualche sinistra potenza è all'opera intorno a noi. Prima di tutto la morte dell'ultimo proprietario del Maniero, avvenuta proprio nelle condizioni previste dalla leggenda familiare, poi le numerose testimonianze dei contadini confermano la presenza sulla landa di un ignoto animale. Due volte io stesso ho sentito con le mie orecchie un suono somigliante al latrato lontano di un mastino. Ora è incredibile, impossibile, che ciò debba avvenire al di fuori delle leggi ordinarie della Natura. Non si può immaginare un cane fantasma che lascia impronte materiali e riempie l'aria con i suoi ululati. Stapleton può forse credere in una simile superstizione, e può crederci persino Mortimer. Ma se io ho una buona qualità, questa consiste nel mio buon senso, e nulla potrà persuadermi a prestar fede a una simile assurdità. Se questo mi accadesse, mi parrebbe di scendere al livello di quei poveri paesani che non solo credono fermamente in una bestia infernale, ma addirittura la descrivono, e asseriscono di averla vista sputare fuoco e fiamme dalla bocca e dagli occhi. Holmes non crederebbe certamente a simili fandonie, e io agisco per suo incarico. 

Ma i fatti sono fatti, e io stesso ho udito due volte il suo grido sulla landa. Ammettiamo che esista realmente, libero per la brughiera, un cane enorme: ciò spiegherebbe ogni cosa. Ma dove potrebbe nascondersi questo cane, dove prende il cibo, da dove proviene, e perché non lo si vede mai durante il giorno? Bisogna ammettere che anche una spiegazione naturale offre problemi a spiegarsi quanto l'altra. E poi, indipendentemente dal cane, sussiste sempre il fatto dell'individuo misterioso che ha operato a Londra, l'uomo del cab, la lettera che ha messo in guardia Sir Henry contro la landa. Questi almeno sono elementi reali, ma potrebbero essere tanto l'opera di un amico quanto quella di un nemico. Dove si trova attualmente questo amico o nemico? È rimasto a Londra, oppure ci ha seguiti fino a qua? Potrebbe essere... è mai possibile che sia lo sconosciuto scorto sul picco? 

É vero che ne ho colto soltanto un'immagine fuggevole, e tuttavia vi sono alcuni punti sui quali sono pronto a giurare. Non è una persona di quaggiú, eppure ormai ho conosciuto tutti i vicini. Era molto piú alto di statura di Stapleton, e molto piú magro di Frankland. Poteva essere Barrymore, ma noi lo avevamo lasciato a casa, ed era impossibile che ci avesse seguiti. Pure, ne son certo, uno sconosciuto continua a seguirci, così come uno sconosciuto ci seguiva a Londra. Non siamo mai riusciti a seminarlo. Se riuscissi a mettere le mani su questo individuo, forse riusciremmo alla fine a venire a capo di tutte le nostre difficoltà. Ed è a quest’unico scopo che io devo dedicare tutte le mie energie. 

Il mio primo impulso è stato di rivelare i miei progetti a Sir Henry. Ma poi, ripensandoci, ho deciso di agire da solo e di parlare il meno possibile con chiunque. Il baronetto è silenzioso e distratto. I suoi nervi sono rimasti stranamente scossi da quel grido echeggiato sulla landa. Non dirò nulla che possa accrescere le sue preoccupazioni, ma mi muoverò da solo per raggiungere il mio scopo. 

Stamane dopo colazione, un piccolo dramma. Barrymore aveva chiesto il permesso di poter parlare con Sir Henry e i due si sono rinchiusi per un certo tempo nello studio. Io me ne stavo nella sala del biliardo, e piú di una volta ho sentito un suono di voci concitate, il che mi ha fatto supporre con una certa approssimazione di che cosa stessero discutendo. Dopo qualche minuto il baronetto ha aperto la porta e mi ha chiamato. 

- Barrymore dice di sentirsi offeso - mi ha spiegato. - Egli ritiene che è stato sleale da parte nostra dare la caccia a suo cognato quando lui ci aveva rivelato il suo segreto di sua spontanea volontà. 

I1 maggiordomo era in piedi di fronte a noi, pallidissimo ma molto calmo. 

- Può darsi che io mi sia espresso troppo violentemente, Sir Henry - ha detto- e in tal caso le chiedo mille scuse. Però son rimasto molto sorpreso quando ho saputo che lor signori erano rientrati stamane dall'aver dato la caccia a Selden. Il disgraziato ne passa già abbastanza senza che io debba mettere altri sulle sue tracce. 

- Se tu ce l'avessi detto di tua spontanea volontà, la cosa sarebbe stata diversa - ha protestato il baronetto. - Tu ce l'hai detto, o meglio ce lo ha detto tua moglie, quando ti abbiamo costretto e non hai potuto sottrarti alle nostre precise domande. 

- Io non pensavo che lei avrebbe approfittato della mia rivelazione, Sir Henry, francamente non pensavo questo. 

- Ma quell'uomo è un pericolo pubblico. Sulla brughiera ci sono case isolate, e tuo cognato è un uomo che non ha paura di niente e di nessuno. Basta guardarlo in faccia una volta per capirlo. Pensa un po' alla casa del signor Stapleton, per esempio, dove non c'è nessun uomo a difenderla all'infuori di lui. Nessuno può vivere tranquillo qui finché Selden non sarà di nuovo sotto chiave. 

- Non entrerà in casa di nessuno, Sir Henry, di questo le do la mia solenne parola d'onore, e non darà piú fastidio a nessuno, in questo paese. Le garantisco che tra pochissimi giorni si farà in modo che egli si trovi in viaggio per l'America del Sud. Per l'amor di Dio, Sir Henry, la supplico! Non informi la polizia che si trova ancora qui sulla landa. Ormai hanno rinunciato a dargli la caccia, e potrà starsene tranquillo sino a quando la nave su cui deve imbarcarsi sarà pronto a salpare. Lei non può tradirlo senza mettere nei pasticci anche mia moglie e me. La supplico, Sir Henry, non dica nulla alla polizia. 

- Che cosa mi consiglia, Watson? 

Io mi sono stretto nelle spalle. - Se ha davvero intenzione di lasciare il paese, penso che i contribuenti saranno sollevati da uno dei loro tanti problemi. 

- E se poi mi uccide qualcuno prima di scappare? 

- Non commetterebbe mai una pazzia simile, Sir Henry. Ha da noi tutto ciò di cui può aver bisogno. Se perpetrasse un nuovo delitto rivelerebbe il suo nascondiglio. 

- Questo è vero - ha osservato Sir Henry. - Bene, Barrymore... 

- Che Iddio la benedica, Sir Henry, e grazie a lei dal piú profondo del mio cuore! Se dovessero riprenderlo la mia povera moglie ne morirebbe. 

- Ho una gran paura che noi ci stiamo rendendo complici di un'azione tutt'altro che onesta: che ne dice, Watson? Ma dopo quanto abbiamo udito, non mi sento di consegnare quel disgraziato alla giustizia: perciò facciamo punto e basta. Va bene, Barrymore, puoi andare. 

L'uomo se n'è andato mormorando alcune incomprensibili parole di gratitudine, ma a un tratto ha esitato ed è ritornato sui suoi passi: 

- Lei è stato così buono con noi, Sir Henry, che a mia volta desidero fare quello che posso per lei, in cambio. Io so qualcosa, Sir Henry, e forse avrei già parlato prima, ma l'ho scoperto solo molto tempo dopo l'inchiesta. Sinora non ne ho fatto parola con anima viva. Si tratta della morte del povero Sir Charles. Il baronetto e io siamo balzati in piedi insieme. 

- Sai com'è morto? 

- Nossignore, questo non lo so. 

- Che cosa sai, dunque? 

- So perché si trovava al cancello a quell'ora. Doveva incontrarvi una donna. - Incontrare una donna! Lui? 

- Sissignore. 

- E il nome di questa donna? 

- Non conosco il nome, ma solo le iniziali, che sono L. L. 

- Come fai a sapere questo, Barrymore? 

- Ecco, Sir Henry, suo zio quella mattina aveva ricevuto una lettera. Di solito ne riceveva moltissime perché era un uomo molto noto e conosciuto per il suo buon cuore, e così tutti quelli che si trovavano nei guai si rivolgevano a lui. Quella mattina però, per caso, giunse quell'unica lettera, e perciò io la notai. Proveniva da Coombe Tracey, e l'indirizzo era scritto con calligrafia femminile. 

- E poi? 

- E poi, Sir Henry, non pensai piú a questo particolare, e non ci avrei mai piú pensato se non fosse stato per mia moglie. Qualche settimana fa, mia moglie stava ripulendo lo studio di Sir Charles, che non era stato piú toccato dalla sua morte, quando trovò nella cenere del caminetto una lettera bruciata. La maggior parte del foglio era completamente annerita e in pezzi, ma una piccola striscia, proprio al termine della pagina, era ancora intera, e la scrittura leggibile, benché risultasse grigia su uno sfondo nero. Pareva un postscriptum, a chiusa della lettera, e diceva: "La prego, la prego, se è un gentiluomo, bruci questa lettera e si trovi al cancello alle dieci". Sotto era firmato con le due iniziali L. L. 

- Può mostrarmi questa striscia? 

- No, signore: si è disfatta in briciole non appena l'abbiamo rimossa. 

- Sir Charles aveva ricevuto altre lettere con quella scrittura? 

- Ecco, francamente non feci mai particolare attenzione alla sua corrispondenza e non avrei notato neppure quella, se non ci fosse stata la combinazione che fu recapitata isolatamente. 

- E tu non hai nessuna idea di chi sia questa L. L.? 

- No, signore. Ne so su questo punto quanto lei, ma sono certo che se riuscissimo a rintracciare questa signora sapremmo molte piú cose intorno alla morte di Sir Charles. 

- Io non riesco a capire, Barrymore, come tu abbia potuto tacere sino a oggi una notizia di tanta importanza! 

- Il fatto è, Sir Henry, che ciò è accaduto subito dopo che si erano iniziati i nostri guai personali. E poi, sia mia moglie che io eravamo molto affezionati a Sir Charles, com'è facile immaginare dopo quanto egli ha fatto per noi. Rivangare un fatto simile non sarebbe servito a nulla per il nostro povero padrone, e bisogna star sempre in guardia quando c'è di mezzo una donna. Anche il migliore di noi... 

- Hai pensato che questo fatto avrebbe potuto recar danno alla sua reputazione? 

- Ecco, temevo che da questo non potesse venire nulla di bene. Ma ora che lei si è mostrato cosi generoso con noi, sento che mi comporterei ingiustamente nei suoi confronti se non le dicessi tutto quello che so a questo proposito. 

- Va bene, Barrymore; puoi andare. 

Dopo che il maggiordomo si è congedato, Sir Henry si è rivolto a me. - Dunque, Watson, che cosa ne pensa di questa luce nuova? 

- Mi sembra che lasci le tenebre ancora piú fitte. 

- E quel che penso anch'io. Ma se riuscissimo a ripescare questa L. L., forse le cose si chiarirebbero. Almeno sappiamo questo, che c'è qualcuno al corrente dei fatti. Ora si tratta di rintracciare questa donna. Che cosa dovremmo fare, secondo lei? 

- Prima di tutto dobbiamo informare Holmes. Ciò gli darà l'indizio di cui sta andando in cerca. E mi stupirei che non vi riuscisse. 

Tornato nella mia camera, ho steso a Holmes la mia relazione sulla conversazione di poco prima. Certo, in quest'ultimo periodo di tempo doveva essere molto affaccendato, poiché le notizie che ricevevo da Baker Street erano sempre brevi e scarse, senza alcun commento alle informazioni che io gli andavo a mano a mano fornendo, e senza quasi alcun riferimento alla mia missione. Senza dubbio quella faccenda di ricatti lo sta assorbendo completamente, eppure questo fatto nuovo deve per forza fermare la sua attenzione e riaccendere il suo interesse. Come vorrei che fosse qui! 

 

17 ottobre. - La pioggia è caduta tutto il giorno frusciando sulI'edera e gocciolando dalle gronde. Ho pensato al forzato, solo, nella landa tetra, al freddo, senza un ricovero. Poveraccio! Qualsiasi siano stati i suoi delitti, ha già sofferto abbastanza e in parte li ha espiati. Ho ripensato poi ad altre cose... alla faccia che sbucava dal cab, alla figura stagliata contro la luna. Era anche lui là sotto quel diluvio, quell'osservatore non veduto, quell'uomo delle tenebre? A sera mi sono infilato l'impermeabile e ho passeggiato per la landa fradicia, pieno di pensieri cupi, mentre la pioggia mi frustava il viso e il vento mi fischiava nelle orecchie. Che Dio aiuti coloro che si avventurano in questo momento entro la grande Palude, poiché anche gli altipiani asciutti stanno trasformandosi in acquitrini. Ho ritrovato il Black Tor su cui avevo scorto l'insonne solitario, e dalla sua vetta scoscesa mi sono sporto a mia volta a contemplare i malinconici pendii. Improvvisi scrosci di pioggia si abbattevano sulla sua parete rossiccia, e le nubi pesanti, plumbee, pendevano basse su tutto il paesaggio, trascinandosi in grigie ghirlande lungo i fianchi di queste alture lunari. Nella lontana depressione a sinistra, semi-nascoste dalla foschia, le due sottili torri del Maniero di Baskerville si levavano alte sopra agli alberi. Erano gli unici segni visibili di vita umana, a eccezione delle capanne preistoriche che si ammucchiavano ammassate le une sulle altre sui pendii delle colline. Ma in nessun luogo vedevo traccia dell'uomo solitario che avevo scorto in quel punto preciso due notti prima. 

Sulla strada del ritorno sono stato raggiunto dal dottor Mortimer che se ne veniva nel suo calesse su per una tormentata pista di brughiera che partiva dalla lontana fattoria di Foulmire. Egli si è sempre mostrato pieno di attenzione nei nostri riguardi, e non è quasi passato giorno che non sia venuto al Maniero a informarsi della nostra salute. Ha insistito per farmi salire sul suo calesse e mi ha accompagnato verso casa. Era angosciato per la scomparsa del suo cane. Si era allontanato verso la brughiera e non è piú ritornato. Ho cercato di consolarlo come meglio ho potuto, ma pensavo al cavallino scomparso nella Palude di Grimpen, e ho una gran paura che non rivedrà mai piú la sua bestiola. 

- A proposito, Mortimer - dissi mentre avanzavamo sobbalzando lungo la strada ineguale - non credo vi sia molta gente che abita da queste parti che lei non conosce. 

- Che io sappia no. 

- Saprebbe dunque dirmi il nome di una donna le cui iniziali corrispondano a L. L.? 

Per qualche istante stette a pensare, poi rispose: - No. Ci sono alcune zingare e delle lavoranti a giornata di cui non saprei dire niente, ma tra i fattori e la gente del contado non vi è nessuno che risponda a queste iniziali. Però, aspetti un momento! - soggiunse dopo una pausa. - C'è Laura Lyons, le sue iniziali sono proprio L. L., ma abita a Coombe Tracey. 

- Chi è? - domandai. 

- La figlia di Frankland. 

- Cosa? Del vecchio Frankland il matto? 

- Precisamente. Ha sposato un artista di nome Lyons, che era venuto a dipingere sulla landa, un mascalzone che poi l'ha abbandonata. Da quanto però mi è stato detto, può darsi che la colpa non fosse stata tutta da una parte sola. Frankland si rifiutò di mantenere relazioni con lei, adducendo che si era sposata senza il suo consenso, e forse anche per qualche altro motivo. Così, tra il vecchio imbroglione e il giovane, la povera ragazza ne ha viste delle belle. 

- Come vive? 

- Credo che il vecchio Frankland le passi una miseria, ma devono essere proprio quattro soldi, perché anche lui è in cattive acque. Ma, anche se se lo è meritato, non si può permettere che quella disgraziata figliuola vada a finir male senza possibilità di rialzarsi. La sua storia è stata risaputa, e parecchi si sono messi d'accordo per permetterle di guadagnarsi da vivere onestamente. Stapleton è stato il primo a dare il buon esempio, imitato subito da Sir Charles. 

Anch'io ho contribuito con pochi spiccioli. Si trattava di metterle su un ufficio di dattilografia. 

Voleva sapere lo scopo del mio interessamento, ma sono riuscito a soddisfare la sua curiosità senza dirgli troppo, poiché non vi è motivo che io debba mettere chicchessia a parte del nostro segreto. 

Domattina mi recherò a Coombe Tracey, e se riesco a scovare questa signora Laura Lyons di dubbia reputazione, avrò fatto un gran passo in avanti verso la soluzione di uno almeno dei tanti fatti che formano questa lunga catena di misteri. Certo si sta sviluppando in me la saggezza del serpente, poiché quando Mortimer insistette nelle sue domande sino a diventare importuno, gli domandai in tono indifferente a che tipo di cranio appartenesse quello di Frankland, e così non intesi parlare che di craniologia per il resto della nostra scarrozzata. Non per niente vivo da tanti anni con Sherlock Holmes! 

Devo ancora registrare un altro incidente di questa tempestosa e malinconica giornata. Si tratta della conversazione avvenuta tra Barrymore e me, e che mi dà in mano un'altra carta importante da giocare al momento opportuno. 

Mortimer era rimasto per la cena, e dopo il pasto lui e il baronetto si erano messi a giocare a carte. Il maggiordomo servì il caffè in biblioteca, e io colsi quest'occasione per rivolgergli alcune domande. 

- Dunque - dissi - quel suo caro parente se n'è andato, o è ancora nella landa? 

- Non lo so, signor dottore. Prego Dio che se ne sia andato, poiché non ha fatto che procurarci dei guai! Non ne ho piú saputo nulla da quando gli ho lasciato da mangiare l'ultima volta, tre giorni fa. - Non lo ha piú visto da allora? 

- Nossignore; ma il cibo non c'era piú quando io mi sono recato là l'ultima volta. - Allora certamente ci è andato! 

- È probabile, a meno che non sia stato l'altro uomo a prenderlo. 

Rimasi con la tazza del caffè a mezz'aria, e fissai Barrymore a occhi sgranati. 

- Ma allora lei sa che c'è un altro uomo! 

- Sissignore; c'è un altro uomo sulla landa. 

- Lei l’ha visto? 

- No, signore. 

- E come fa a saperlo, allora? 

- Me lo ha detto Selden, signor dottore. Circa una settimana fa o anche piú. Anche lui si nasconde, ma non è un forzato, da quanto mi è parso di capire. La cosa non mi piace, dottor Watson... Le dico francamente che non mi piace affatto! - Disse queste parole con uno scoppio improvviso di apprensione sincera. 

- Ora mi ascolti bene, Barrymore! Io in tutta questa storia non ho nessun interesse: m'importa soltanto in rapporto al suo padrone. Io sono venuto qui al semplice fine di aiutarlo. Mi dica francamente che cos'è che non le piace. 

Barrymore esitò per un attimo, quasi rimpiangesse il suo impulso di poc'anzi, o come se trovasse difficile esprimere i propri sentimenti. 

- È tutto questo trambusto, signor dottore! - esclamò infine agitando una mano verso la finestra sferzata dalla pioggia che dava sulla landa. - Qui si sta consumando qualche schifezza, qualche mascalzonata, sarei pronto a giurarlo! Darei non so cosa per vedere Sir Henry sano e salvo a Londra! 

- Ma che cos'è che le da tanta angoscia? 

- Pensi alla morte di Sir Charles! É stata una ben triste faccenda, nonostante quello che ne ha detto il magistrato inquirente. Pensi ai rumori che si odono sulla landa di notte! Non c'è uomo al mondo che sarebbe disposto ad attraversarla dopo il calar del sole, nemmeno se lo pagassero a peso d'oro! Pensi a quello sconosciuto che si nasconde laggiú, a spiare e ad aspettare! Che cosa aspetta? Che cosa ha in animo? Certo nulla di buono per chi porta il nome di Baskerville, e io sarei felice di andarmene il giorno stesso in cui arriveranno a prender cura del Maniero i nuovi dornestici di Sir Henry. 

- Ma, tornando a questo sconosciuto - insistetti io - sa dirmene nulla? Che cosa le ha detto Selden? Ha scoperto dove si nasconde o che cosa fa? 

- Lo ha veduto un paio di volte, ma mio cognato è un uomo che non si sbottona. A tutta prima ha pensato che fosse della polizia, ma ben presto si è accorto che aveva faccende sue personali cui badare. Gli è parso che fosse un signore, ma non èriuscito a capire che cosa facesse. 

- E dove ha detto che viveva? 

- Tra le vecchie case sul ciglio della collina... in quelle capanne di pietra dove abitavano una volta i popoli antichi. 

- Ma come fa a procurarsi da mangiare? 

- Selden ha scoperto che c'è un ragazzo che lavora per lui e gli porta tutto ciò di cui ha bisogno. Credo si rechi per provviste a Coombe Tracey. 

- Benissimo, Barrymore. Parleremo piú a lungo di ciò in una prossima occasione. 

Non appena il maggiordomo se ne fu andato, mi diressi alla finestra buia, e guardai attraverso il vetro appannato le nubi in corsa e l'inquieto filare degli alberi squassati dal vento. La notte era già terribile in questa comoda casa; ma che cosa deve essere in una capanna di pietra abbandonata sulla landa? Quale sete d'odio può spingere un uomo ad appiattarsi in un luogo simile, in tale inferno? E quale scopo segreto e terribile lo sprona a una così dura attesa? Laggiú, in quella capanna sulla landa, mi sembra si nasconda il fulcro del problema che da tanto tempo mi assilla. E, lo giuro, non passerà altro giorno senza che io abbia tentato tutto ciò che è in mio potere per giungere a svelare questo mistero. 

 

 

XI 

Gli appunti del mio diario, parte considerevole del precedente capitolo, hanno portato il mio racconto al 18 ottobre, giorno in cui tutti questi misteriosi accadimenti incominciarono a volgere rapidamente verso la loro terribile conclusione. I fatti occorsi nei giorni immediatamente successivi sono impressi nella memoria in modo incancellabile, e sono in grado di raccontarli senza ricorrere ad annotazioni scritte in quel tempo. Comincio dunque dal giorno successivo a quello in cui riuscimmo a stabilire due fatti di grande importanza: primo, che la signora Laura Lyons di Coombe Tracey aveva scritto a Sir Charles Baskerville fissandogli un appuntamento nel luogo e nell'ora stessa in cui egli incontrò la propria fine; secondo, che l'uomo in agguato sulla landa aveva un nascondiglio in mezzo alle capanne di pietra sparse sul ciglio della collina. Con questi due elementi in mio possesso sentivo che sia la mia intelligenza sia il mio coraggio sarebbero stati davvero insufficienti se non fossi riuscito a gettare una luce maggiore su questi punti oscuri. 

Non mi fu possibile riferire al baronetto quanto avevo appreso intorno alla signora Lyons la sera innanzi, perché il dottor Mortimer restò a giocare a carte con lui fino tardi. I1 mattino seguente, a colazione, lo informai così della mia scoperta, e gli chiesi se lo interessava accompagnarmi a Coombe Tracey. All’inizio si mostrò molto propenso alla cosa, ma in un secondo momento decidemmo di comune accordo che i risultati sarebbero stati probabilmente migliori senza la sua presenza. Infatti, quanto piú formale fosse stata la visita, tante minori probabilità c’erano di raccogliere corrette informazioni. Lasciai quindi Sir Henry non senza qualche vago rimorso di coscienza, e mi avviai verso la mia nuova impresa. 

Giunto a Coombe Tracey, ordinai a Perkins di fermare i cavalli, e mi diedi a ricercare la signora che avevo intenzione di interrogare. Non ebbi difficoltà a trovare il suo appartamento, centrale e ben arredato. Una domestica mi fece entrare senza cerimonie, e nel salotto trovai una signora seduta davanti a una macchina da scrivere; balzò in piedi nel vedermi, con un grazioso sorriso di benvenuto. Ma non appena capì di non conoscermi si rifece seria, e tornò a sedere chiedendo lo scopo della mia visita. 

La mia prima impressione della signora Lyons fu che si trattava di una donna di rara bellezza. Aveva gli occhi e i capelli di un identico fulgente color castano, e le sue guance, pur essendo notevolmente punteggiate di efelidi, erano colorate del delicato rossore delle brune; avevano quella raffinata sfumatura rosea che si cela nel cuore della rosa sulfurea. La prima impressione, ripeto, suscitava un senso di ammirazione: ma subito lasciava posto ai dubbi. C’era in quel volto qualcosa di misterioso e ambiguo, un'espressione vagamente volgare, una qual durezza di sguardo, un afflosciamento del labbro che guastava quella perfetta bellezza. A questi particolari naturalmente veniva fatto di pensare solo in un secondo tempo. A tutta prima ebbi semplicemente la sensazione di trovarmi in presenza di una donna bellissima, la quale mi stava domandando il motivo della mia visita. Sino a quel preciso istante non avevo compreso esattamente quanto delicata fosse la mia missione. 

- Ho il piacere - iniziai - di conoscere suo padre. 

Era un modo di presentarsi assai inopportuno e la signora me lo fece comprendere immediatamente. 

- Non vi è nulla di comune tra mio padre e me - rispose. - Io non gli devo niente, e i suoi amici non sono i miei. Se non fosse stato per il defunto Sir Charles Baskerville e per qualche altra persona di buon cuore, da un pezzo sarei morta di fame senza che mio padre facesse nulla per aiutarmi. 

- É appunto a proposito del povero Sir Charles Baskerville ch'io sono venuto a parlarle. 

Le efelidi sul viso della signora si fecero piú marcate. 

- E che posso dirle di lui? - mi domandò, mentre le sue dita giocavano nervosamente sui tasti della macchina da scrivere. 

- Lei lo conosceva, no? 

- Le ho già detto che devo molto alla sua bontà d'animo. Se sono in grado di bastare a me stessa, ciò è dovuto in gran parte all'interessamento da lui dimostrato per la mia situazione sfortunata. 

- Lei aveva rapporti epistolari con Sir Charles? 

La signora ebbe un moto fulmineo degli occhi, e un lampo di collera le attraversò le pupille color nocciola. 

- Che scopo hanno queste domande? - esclamò bruscamente. 

- Hanno lo scopo di evitare un pubblico scandalo. É meglio che io gliele ponga qui prima che la cosa possa uscire dal nostro controllo. 

Era silenziosa, ora, e pallidissima. Infine mi guardò in faccia con un'espressione inquieta, in cui vi era tuttavia quasi una punta di sfida. 

- Va bene, risponderò - si decise. - Che cosa desidera sapere? 

- Prima di tutto se aveva corrispondenza con Sir Charles. 

- Certo, gli ho scritto un paio di volte per ringraziarlo della sua delicatezza e della sua generosità. - Ricorda le date di queste lettere? 

- No. 

- Non lo ha mai incontrato? 

- Un paio di volte, quando veniva a Coombe Tracey. Conduceva una vita molto ritirata, e preferiva fare beneficienza di nascosto. 

- Ma se lo vedeva così di rado e gli scriveva così di rado, come poteva Sir Charles essere in grado di conoscere la sua condizione e di aiutarla, come lei mi dice abbia fatto? 

La signora rispose a questa mia obiezione con la massima prontezza. 

- Parecchie persone erano al corrente della mia triste situazione e si coalizzarono per aiutarmi. Una di queste è il signor Stapleton, vicino di casa e intimo amico di Sir Charles. Fu estremamente gentile con me, e fu grazie a lui che Sir Charles seppe delle mie vicende. 

Già sapevo che Sir Charles Baskerville aveva in diverse occasioni nominato Stapleton suo elemosiniere, perciò la dichiarazione della signora rispondeva almeno in apparenza alla pura e semplice verità. 

- Ha mai scritto a Sir Charles fissandogli un appuntamento? - domandai ancora. La signora Lyons arrossì nuovamente di collera. 

- Francamente, egregio signore, questa sua domanda mi stupisce moltissimo! 

- Mi dispiace, gentile signora, ma sono costretto a insistere. 

- In questo caso la mia risposta è... certamente no. 

- Nemmeno il giorno in cui Sir Charles morì? 

La vampa di rossore svanì a un tratto dal suo viso lasciando dinanzi a me una maschera spettrale. Le sue labbra aride non furono in grado di proferire il "no", che piú che udire indovinai. 

- In questo caso la sua memoria deve certamente ingannarla - seguitai incalzante. - Potrei persino citarle un brano della sua lettera, che diceva precisamente così: "La prego, la prego, se è un gentiluomo, bruci questa lettera, e si trovi al cancello alle dieci". 

Ebbi l'impressione che stesse per svenire, ma con uno sforzo supremo si riebbe. 

- Non esiste dunque un vero gentiluomo? - balbettò. 

- Lei fa torto a Sir Charles. Egli bruciò efettivamente la lettera, ma a volte uno scritto può essere ancora leggibile anche dopo che il fuoco lo ha consumato. Ammette ora di avergli scritto? 

- Sì, gli scrissi - rispose, rivelando la propria anima in un torrente di parole - gli scrissi. Perché dovrei negarlo? Non ho motivo di vergognarmene, volevo che mi aiutasse. Ero convinta che se avessi avuto un colloquio con lui, vi sarei riuscita, ecco perché gli fissai un appuntamento. 

- Ma come mai a un'ora simile? 

- Perché avevo appena saputo che si accingeva a partire per Londra il giorno seguente e che avrebbe potuto restare lontano per mesi. Vari motivi m'impedirono di recarmi da lui prima di allora. 

- Ma come mai un appuntamento in giardino anziché in casa? 

- Trova decoroso che una donna si rechi sola a un'ora simile in casa di uno scapolo? 

- Va bene: che cosa accadde quando lei si recò laggiú? 

- Ma io non ci sono mai andata! 

- Signora! 

- Le giuro su quanto ho di piú sacro che io non sono mai andata a quell'appuntamento! Qualcosa mi impedì all'ultimo momento di uscire. 

- Che cosa? 

- É una questione privata e non posso dirgliela. 

- Lei ammette dunque di avere fissato un appuntamento a Sir Charles nel luogo e nell'ora in cui egli incontrò il proprio destino; ma nega di essersi poi recata a questo appuntamento? - É la verità. 

Seguitai a porle ripetute domande, sempre su questo tono, senza però venire a capo di niente. 

- Signora Lyons - dissi infine, alzandomi dopo quel lungo e inconcludente colloquio - lei si assume una tremenda responsabilità col non rivelare nel modo piú circostanziato e completo tutto ciò che sa, e si mette in una posizione molto difficile. Se mi vedrò costretto a chiedere l'intervento della polizia, si accorgerà sino a che punto lei si troverà compromessa. Se è innocente, perché mi ha negato in un primo momento di aver scritto a Sir Charles proprio in quel giorno fatale? 

- Perché temevo che se ne potesse trarre una conclusione errata e non volevo vedermi coinvolta in uno scandalo. - Ma perché era tanto ansiosa che Sir Charles distruggesse quella lettera? 

- Se l'ha letta lo saprà. 

- Non ho detto di aver letto tutta la lettera. 

- Ma se me ne ha citato un passo! 

- Le ho citato il post scriptum. Come le ho detto, la lettera era stata bruciata e non tutto il testo era leggibile. Io le chiedo ancora una volta perché era tanto ansiosa che Sir Charles avesse a distruggere la lettera che lei gli scrisse il giorno della sua morte. 

- É una questione privatissima. 

- A maggior ragione lei dovrebbe evitare a questo proposito un'inchiesta pubblica. 

- Allora le dirò. Se lei sa qualcosa della mia triste storia, saprà pure che ho fatto un matrimonio poco avveduto e che ho avuto grandi motivi per pentirmene. - Così infatti mi è stato detto. 

- La mia vita è divenuta una persecuzione incessante da parte di un marito che detesto. La legge è dalla sua parte, e ogni giorno sono minacciata dalla eventualità che egli possa costringermi a vivere con lui. Quando scrissi quella lettera a Sir Charles, avevo saputo che vi era per me una speranza di ottenere ancora la mia libertà purché affrontassi certe spese. Questo significava tutto per me: la pace dello spirito, la felicità, il rispetto di me stessa... tutto, in una parola. Conoscevo la generosità di Sir Charles e non dubitavo che se avesse udito il mio racconto direttamente dalle mie labbra mi avrebbe soccorsa. 

- Perché dunque non andò? 

- Perché nel frattempo ricevetti aiuto da un'altra parte. 

- Perché dunque non scrisse a Sir Charles spiegandogli questo? 

- Lo avrei certamente fatto se il mattino seguente non avessi letto sul giornale della sua morte. 

Il racconto della donna presentava una innegabile coerenza, e tutte le mie domande non erano in grado di contestarlo. Non mi restava che controllare se avesse effettivamente presentato istanza di divorzio contro il marito al tempo in cui era avvenuta la tragedia. 

Era improbabile che osasse affermare di non essere stata al Castello di Baskerville se effettivamente vi era stata, poiché avrebbe dovuto servirsi di un calesse per il tragitto, e non le sarebbe stato possibile rientrare a Coombe Tracey prima del mattino seguente. Non le sarebbe stato possibile tenere segreta una tale uscita. Era perciò probabile che dicesse la verità, o per lo meno una parte della verità. Mi congedai deluso e abbacchiato. Ancora una volta mi ero trovato di fronte a un muro che sembrava ergersi e chiudere tutti gli accessi ogniqualvolta tentavo di raggiungere uno sbocco del mio indagare E tuttavia piú pensavo al viso della signora e ai suoi modi, tanto piú mi sentivo intimamente sicuro che ella nascondesse qualcosa. Perché era così impallidita? Perché aveva tentato di lottare così disperatamente prima di ammettere qualcosa, e aveva ceduto solo quando l'avevo costretta? Perché si era mostrata tanto reticente sul momento della tragedia? Certamente la spiegazione di un simile atteggiamento non poteva essere tanto innocente quanto voleva farmi credere. Per il momento non mi era possibile procedere oltre in questa direzione, ma mi vedevo costretto a ritornare a quell'altro indizio che doveva essere rintracciato tra le capanne di pietra della landa. 

Ma anche qui brancolavo nel buio. Me ne resi conto durante il ritorno, notando come ogni collina recasse le vestigia di quelle antiche popolazioni. La sola indicazione datami da Barrymore era che lo sconosciuto abitava in una capanna abbandonata; ma ve n'erano centinaia sparse qua e là nella brughiera. Avevo però la guida della mia personale esperienza, poiché avevo visto con i miei occhi l'uomo in piedi sulla vetta del Black Tor. Colà dovevo indirizzare il centro delle mie ricerche. Da là avrei esplorato ogni capanna della landa, sino a che non avessi trovato quella giusta. Se avessi trovato il mio uomo, avrei appreso direttamente dalle sue labbra, magari puntandogli contro un’arma, se necessario, chi era e perché ci stava spiando da tanto tempo. Ci era sfuggito in mezzo al traffico di Regent Street, ma su quella landa solitaria gli sarebbe stato difficile scappare. Se, d'altro canto, avessi trovato la capanna senza il suo occupante, vi sarei rimasto a costo di vigilare chi sa per quanto tempo, sino a quando non vi fosse ritornato. Holmes lo aveva mancato a Londra. Che trionfo sarebbe stato per me, se avessi potuto prenderlo mentre il mio maestro aveva fallito! 

Durante questa inchiesta la sorte ci aveva costantemente delusi, ma ecco che ora finalmente giungeva in mio soccorso. E questo messaggero di buona fortuna altri non era che Frankland, che se ne stava con i suoi baffi grigi e la sua faccia rossa sulla soglia del proprio giardino, affacciato alla strada maestra lungo la quale io viaggiavo. 

- Buongiorno, dottor Watson - esclamò con insolito buonumore - lei deve assolutamente dare un po' di riposo ai suoi cavalli ed entrare a bere un bicchiere di vino e a congratularsi con me. 

I miei sentimenti nei suoi riguardi erano lontani dall’amichevole dopo quanto avevo sentito sui suoi rapporti con la figlia, ma ero impaziente di rimandare a casa Perkins e la giardiniera, e non avrei potuto trovare occasione migliore. 

Scesi perciò senza indugio e inviai a Sir Henry un messaggio dicendogli che sarei rientrato a piedi, in tempo per la cena. Seguii quindi Frankland nella sua sala da pranzo. 

- É un gran giorno per me, questo, caro dottore!... Un giorno da segnare a caratteri d'oro nell'albo della mia vita! - esclamò, visibilmente soddisfatto. - Ho portato a termine una doppia impresa. Ho intenzione di insegnare a questa gente che la legge è la legge, e che esiste un uomo che non ha paura di servirsene. Ho stabilito un diritto di transito al centro del parco del vecchio Middleton! Bel colpo! Proprio a cento metri dal suo portone d'ingresso! Che ne dice? Insegneremo a questi capoccioni che non hanno il diritto di calpestare con gli zoccoli ferrati dei loro cavalli i privilegi dei miseri borghesi, che Dio li maledica. E ho fatto chiudere il bosco dove quelli di Fernworthy andavano spesso per pic-nic. Quei mascalzoni credono forse che non esistano i diritti di proprietà, e di poter sciamare dove gli pare e piace, con i loro cestini e le loro bottiglie. Ed entrambi i casi sono stati discussi, dottor Watson, ed entrambi a mio favore. Non ho piú avuto un giorno simile da quando ho fatto punire per trasgressione Sir John Morland, perché cacciava nella propria conigliera. 

- Ma come diavolo ci è riuscito? 

- Vada un po' a leggersi le sentenze, caro dottore! Ne vale la pena... Frankland contro Morland, tribunale di Qucen's Bench. La causa mi costò duecento sterline, ma il verdetto fu favorevole a me. 

- Ciò le ha recato almeno qualche vantaggio? 

- Nessuno, nessunissimo. Sono orgoglioso di dire che non avevo il minimo interesse nella cosa. Io agisco unicamente per senso del dovere civico. Sono sicuro, per esempio, che stanotte quelli di Fernworthy mi bruceranno in effigie. Ho avvertito la polizia, l'ultima volta che l'hanno fatto, che si dovrebbero impedire queste manifestazioni disgustose. La questura provinciale è in uno stato scandaloso, e non mi ha concesso la protezione di cui avevo diritto. Il caso Frankland contro Regina porterà la cosa di fronte all'attenzione del pubblico. Li ho avvertiti che avrebbero finito col rimpiangere il trattamento che mi avevano inflitto, e già le mie parole si sono avverate. 

- In che modo? - domandai. 

Il vecchio assunse un'espressione ambigua e ammiccante. 

- Perché potevo avvertirli di quello per cui morirebbero, ma niente al mondo potrebbe indurmi ad aiutare in qualche modo quei mascalzoni. 

Avevo sino a quel momento cercato di inventare una scusa qualsiasi pur di sbarazzarmi di quel chiacchierone, ma ora incominciavo a essere curioso di sapere dell'altro. Avevo ormai capito a sufficienza il temperamento bisbetico di quel vecchio litigioso per intuire che anche il minimo segno di interessamento bastava ogni volta ad arrestare il corso delle sue confidenze. 

- Si tratterà senza dubbio di qualche cacciatore di frodo, non è vero? - buttai là in tono indifferente. 

- Ah, ah, amico mio, nemmeno per sogno. Si tratta invece di qualcosa di molto piú importante! Ci si è dimenticati del forzato che si aggira per la landa? 

Trasalii. - Come! Lei sa dove si nasconde? - arrischiai. 

- Non so forse dove si nasconda con esattezza, ma sono sicurissimo di poter aiutare la polizia a snidarlo. Non le è mai venuto in mente che per scoprire quell'uomo bastava sapere da che parte si procacciava il cibo? 

Purtroppo mi pareva che fosse assai prossimo alla verità. - Indubbiamente - osservai - ma come fa a sapere che si trova ancora sulla landa? 

- Lo so perché ho veduto con i miei occhi chi gli porta il cibo. 

Ebbi un sobbalzo al cuore per Barrymore. Era un gran brutto destino cadere nelle mani di quel vecchio ficcanaso dispettoso, ma un attimo dopo le sue parole successive mi tolsero un peso dalI'animo. 

- Lei sarà sorpreso di apprendere che viene rifornito da un ragazzo. Lo vedo ogni giorno attraverso il mio telescopio sistemato sul tetto. Stessa strada e stessa ora, e da chi può recarsi se non dall’evaso? 

Questo sì che era un colpo di fortuna! Tuttavia finsi massima indifferenza. Un ragazzo! Anche Barrymore mi aveva detto che lo sconosciuto era servito da un ragazzo. Dunque era nelle tracce di costui, non dell’evaso, che Frankland si era imbattuto. Se avessi potuto apprendere tutto da lui, mi sarei risparmiata una caccia lunga e faticosa: l'incredulità e l'indifferenza erano evidentemente le mie carte migliori. 

- Secondo me, mi sembra piú probabile che si tratti del figlio di qualche pastore di brughiera che porta da mangiare al proprio genitore. 

Questa mia apparente obiezione accese l’ira del vecchio bisbetico. I suoi occhi mi fissarono con uno sguardo maligno, e i suoi baffi grigi si drizzarono come quelli di un gatto arrabbiato. 

- Ah, sì? - esclamò indicando col dito l'ampia distesa della landa. - Vede il Black Tor, laggiú? Bene, osservi quella collinetta bassa piú lontana, sormontata da quel cespuglio di rovi! ~ la parte piú pietrosa di tutta la landa. Le sembra quello un posto adatto perché un pastore ci vada a pascolare il gregge? La sua osservazione, caro dottore, è semplicemente ridicola. 

Risposi umilmente che avevo parlato senza cognizione di causa. La mia remissività gli piacque e lo indusse a ulteriori rivelazioni. 

- Stia pur certo che prima di formarmi un'opinione io raccolgo sempre dati molto circostanziati. Ho visto molte volte quel ragazzo col suo fagotto. Ogni giorno, e qualche volta due volte al giorno, ho potuto... ma aspetti un momento, dottor Watson. Forse i miei occhi m'ingannano, ma mi sembra che in questo momento qualcosa si stia movendo sul ciglio di quella collina! 

Eravamo a parecchie miglia di distanza, ma anch'io potei distinguere chiaramente un minuscolo puntino scuro contro l'opaco sfondo verde-grigio. 

- Su, venga! - gridò Frankland dirigendosi di corsa verso le scale. - Si convincerà coi propri occhi e giudicherà da solo. 

Il telescopio, uno strumento formidabile montato su un trespolo, era posato sul tetto di lamiera piatta che copriva la casa. Frankland vi appiccicò contro un occhio e subito lanciò un grido di soddisfazione. 

- Presto, dottor Watson, presto, prima che passi al di là dell'altura! 

Era proprio un ragazzetto, con un piccolo fagotto sulle spalle, che avanzava lentamente lungo il ciglio della collina. Giunto sulla cresta, vidi stagliata per un istante contro il freddo cielo azzurro la sua sagoma malvestita e paesana. Il ragazzo si guardò attorno furtivo, come chi temesse di essere inseguito. Poi svanì al di là del pendio. 

- Ho ragione sì o no? 

- Certo, sembra un ragazzo che esegue un'incombenza clandestina. 

- E deve trattarsi di un'incombenza di cui bisognerà che si occupi la polizia della contea! Da me però non sapranno una parola sola, e anche lei deve promettermi di mantenere il segreto! Non una parola, ha capito? 

- Come lei desidera. 

- Mi hanno trattato in modo vergognoso, vergognoso! Quando si sapranno i fatti del processo Frankland contro Regina sono certo che il paese sarà percorso da un fremito di indignazione. Nulla mi persuaderà ad aiutare la polizia. Se fosse stato per quei maledetti, anziché la mia effigie, avrebbero bruciato me vivo al palo. Certamente lei non li aiuterà, ma aiuterà me a vuotare questa bottiglia in celebrazione di un'occasione così importante! 

Riuscii fortunatamente a declinare il suo invito e a dissuaderlo dall'intenzione di accompagnarmi a casa. Mi tenni sulla strada sino a quando temetti che potesse spiarmi, poi tagliai attraverso la landa avviandomi verso l'altura pietrosa, al di là della quale il ragazzo era scomparso. Avevo tutto in mio favore, e giurai a me stesso che non sarebbe stato né per mancanza di energia o di perseveranza da parte mia che mi sarei lasciato sfuggire l'occasione che la fortuna aveva gettato sul mio cammino. 

Quando giunsi al sommo della collina il sole era ormai al tramonto, e i lunghi pendii sotto di me erano inondati di verde splendente da un lato mentre dall'altro era sommersi di grigia ombra. Un alone circondava l'estrema linea dell'orizzonte, da cui sporgevano le sagome lunari del Belliver e del Vixen Tor. Sulla immensa distesa non si udiva suono, tutto era immobile. Un unico grande uccello grigio, forse una procellaria o un chiurlo, si librò alto nel cielo turchino. Sembrava che lui e io fossimo i soli esseri viventi tra l'immensa volta del firmamento e la sconfinata solitudine che si stendeva sotto di essa. Quello scenario desolato, un senso di isolamento, il mistero e l’incombenza dei miei compiti erano tutti elementi che mi gelavano il cuore. Il ragazzo era divenuto invisibile, ma sotto di me, in una fenditura tra le colline, vedevo un raggruppamento circolare di capanne di pietra, e tra queste ce n'era una con il tetto abbastanza intatto per poter servire da eventuale riparo contro le intemperie. I1 mio cuore diede un balzo, a tale constatazione. Quello doveva certamente essere il nascondiglio dello sconosciuto. Finalmente avrei posato il piede sulla soglia della sua tana... il suo segreto era ormai a portata di mano. 

Mentre mi avvicinavo alla capanna camminando a zig-zag, come faceva Stapleton quando con la rete si avvicinava alla farfalla presa di mira, mi accertai che quel luogo fosse effettivamente usato come abitazione. Un sentiero appena tracciato fra i massi portava a un'apertura sconnessa che serviva da porta. Nell'interno, tutto era in silenzio. Forse lo sconosciuto vi si nascondeva in agguato, forse si stava aggirando per la landa. I miei nervi si tesero con un fremito, nell'eccitazione dell'avventura. Buttai la sigaretta, strinsi la mano sul calcio della rivoltella e muovendo risolutamente verso l'ingresso guardai nell'interno. La capanna era vuota. 

Numerosi segni dimostravano però come non avessi percorso una pista del tutto sbagliata. Indubbiamente l'uomo abitava lì. Alcune coperte avvolte in un impermeabile erano posate sulla stessa lastra di pietra su cui aveva dormito un tempo l'uomo neolitico. La cenere di un fuoco era ammucchiata in un camino primitivo. Accanto ad essa erano sparpagliati alcuni utensili di cucina e un mastello pieno a metà di acqua. Tutta una pila di scatole di latta vuote indicava che il rifugio era abitato da parecchio tempo, e notai, man mano che i miei occhi si abituavano alla luce ridotta, un tegamino e una bottiglia di liquore mezzo piena posata in un angolo. Nel mezzo della capanna una pietra piatta fungeva da tavola, e su questa stava un fagottino avvolto in una pezza, lo stesso che penzolava dalla spalla del ragazzo visto col telescopio. Conteneva una pagnotta, una scatola di lingua in conserva e due lattine di pesche sciroppate. 

Mentre riponevo questi oggetti dopo averli esaminati, il mio cuore diede un balzo nel vedere che sotto c'era un foglio di carta con sopra scritto qualcosa. Lo presi tra le mani ed ecco quello che lessi scarabocchiato rozzamente a matita: 

Il dottor Watson è andato a Coombe Tracey. 

 

Rimasi per un attimo col foglietto tra le mani cercando di comprendere il significato di quel conciso messaggio. Ero io dunque, non Sir Henry, ad essere seguito dall'uomo misterioso. Non mi aveva pedinato di persona, ma mi aveva messo dietro un suo incaricato - forse il ragazzo - e quella era la sua relazione. Probabilmente da quando mi trovavo nella landa non avevo potuto muovere un passo senza che tutto venisse osservato e riferito. Ed ecco che di nuovo sentivo intorno a me una forza sconosciuta, una rete sottile che ci circondava con estrema perizia e delicatezza, stringendoci così impalpabilmente che solo in qualche attimo qualcuno di noi riusciva ad accorgersi di essere caduto in una delle sue maglie. 

Se c'era questo messaggio, potevano benissimo essercene altri; perciò mi misi a ispezionare la capanna in cerca di altri eventuali scritti. Ma non trovai niente, né mi riuscì di scoprire indicazioni che potessero suggerire il carattere o le intenzioni dell'uomo che abitava in quel luogo singolare, se non che doveva essere di abitudini spartane, e certo doveva nutrire un supremo disprezzo per i comodi dell'esistenza. Ripensando alle piogge violente dei giorni precedenti e guardando il tetto scoperchiato, compresi quanto forte e inesorabile doveva essere il proposito che lo aveva indotto a nascondersi in una dimora così inospitale. Era un nostro implacabile nemico, o non poteva darsi che fosse invece il nostro angelo custode? Giurai a me stesso che non avrei abbandonato la capanna senza aver chiarito il dilemma. 

Fuori, il sole stava calando lentamente e l'orizzonte era tutto un fiammeggiare di oro e porpora. I riflessi del tramonto rimbalzavano in macchie rossicce sulle pozze lontane, sparse qua e là nella grande Palude di Grimpen. Vedevo le due torri del Maniero di Baskerville, e una vaga macchia di fumo rivelava il villaggio di Grimpen. Tra questi due punti, dietro la collina, la casa degli Stapleton. Tutto appariva dolce, sereno, avvolto da una luce melata nell'aria dorata della sera, e tuttavia, mentre contemplavo tutto ciò, la mia anima non condivideva per nulla la pace della Natura, ma anzi fremeva di fronte all'incertezza e al terrore dell'incontro che sapevo potesse avvenire da un attimo all'altro. Coi nervi in subbuglio, ma sempre piú deciso nel mio proposito, mi acquattai negli oscuri recessi della capanna ed aspettai con tenace pazienza il ritorno del suo occupante. 

Ed ecco, finalmente intesi il suo passo. In lontananza mi giunse il rumore secco di uno stivale contro una pietra. Poi un altro e un altro ancora, sempre piú vicini. Mi ritrassi nell'angolo piú buio, tenendo pronta in tasca la pistola, deciso a non scoprirmi finché non avessi avuto la possibilità di individuare bene lo sconosciuto. Vi fu una lunga pausa: l'uomo evidentemente si era fermato. Poi ancora una volta i passi si avvicinarono e un'ombra si proiettò obliqua attraverso l'apertura della capanna. 

- Bella serata, mio caro Watson - disse una voce ben nota. - Credo proprio che lei si troverà piú comodo se viene fuori da lì. 

 

XII 

Rimasi per un po’ senza fiato, incapace di credere a ciò che sentivo. Riuscii però a riprendere il controllo dei  sensi e la voce mi tornò all’improvviso, mentre avevo la sensazione che in un istante mi fosse stato tolto di dosso un tremendo carico di responsabilità. Quella voce fredda, incisiva, ironica, doveva appartenere solo a un uomo. 

- Holmes! - esclamai. - Holmes!... 

- Venga fuori - mi disse - e la prego, faccia attenzione con quella pistola. 

Uscii curvandomi sotto il rozzo architrave, e me lo vidi seduto su una pietra, mentre i suoi occhi grigi luccicavano divertiti, quando si posarono sul mio volto stupito. Era magro e sciupato, ma lucido, pieno di energia, e il suo volto intelligente era abbronzato e irruvidito dal vento. Con il suo vestito sportivo e il suo berretto di panno poteva sembrare uno dei tanti turisti che venivano in gita sulla landa, ed era riuscito, con quella cura felina della propria persona che era una delle sue caratteristiche, a far sì che il suo mento fosse liscio e la sua biancheria immacolata come quando si trovava in Baker Streot. 

- Non sono mai stato contento di vedere qualcuno in vita mia, come lo sono in questo momento - dissi stringendogli la mano con forza. 

- Ma neanche un po’ stupito, eh? 

- Beh, devo confessare che lo sono. 

- Le assicuro però che la sorpresa non è stata tutta da una sola parte. Non immaginavo che lei avesse trovato questo nascondiglio, e ancora meno che ci si trovasse dentro, fino a che non fui a venti passi dalla porta. 

- Avrà riconosciuto le mie orme, immagino! 

- No, Watson; ammetto di non essere in grado di riconoscere le sue orme fra tutte le altre orme di questo mondo. Ma se lei ha proprio intenzione di ingannarmi deve almeno cambiare marca di sigarette; infatti quando ho visto il mozzicone di sigaretta contrassegnato Bradley, Oxford Street, ho capito che il mio amico Watson si trovava nei paraggi. Eccolo ancora lì presso il sentiero. Senza dubbio lei lo ha buttato un attimo prima di precipitarsi nella capanna vuota, dopo aver raccolto tutto il suo coraggio al momento cruciale. - Già. 

- È quello che avevo immaginato... e conoscendo la sua ammirevole tenacia, compresi che doveva essersi appiattato in un angolo con un'arma in mano, in attesa del ritorno dell'occupante della capanna. Dunque lei ha veramente pensato che il criminale fossi io? 

- Non sapevo chi fosse, ma ero deciso a scoprirlo. 

- Meraviglioso, Watson! E come ha fatto a rintracciarmi? Mi ha forse visto la notte in cui ha dato la caccia all’evaso, quando sono stato tanto imprudente da permettere alla luna di levarsi alle mie spalle? 

- Sì, proprio allora. 

- E senza dubbio ha frugato in tutte le grotte finché è arrivato a questa! 

- No, il suo ragazzo era stato spiato, e questa informazione mi servì di gruda. 

- Dev'essere stato quel vecchio signore col telescopio. All’inizio non capivo, quando vidi per la prima volta la luce rifrangersi sulla lente. - Si alzò e diede un'occhiata nella capanna. - Ah, vedo che Cartwright mi ha portato dei rifornimenti. Che cos'è quel foglio? Dunque lei è stato a Coombe Tracey, è esatto? 

- Sì. 

- A parlare con la signora Laura Lyons? 

- Proprio così. 

- Ha fatto bene! Evidentemente, le nostre ricerche si sono svolte lungo linee parallele e, quando avremo riunito i nostri risultati, prevedo che ci troveremo con una discreta padronanza del caso. 

- Bene, mi rallegro di cuore, che lei sia qui, perché, francamente, la responsabilità del mistero da cui mi sento circondato stava mettendo a dura prova i miei nervi. Ma come ha fatto, in nome del cielo, a venire qui? E che cosa ha combinato? Pensavo che lei si trovasse in Baker Street a studiare i dettagli di quel ricatto. - Desideravo che lei pensasse proprio questo. 

- Così, lei mi usa, ma non si fida di me! - esclamai non senza amarezza. - Credevo di aver meritato la sua stima, Holmes! 

- Mio caro amico, lei mi è stato di aiuto inestimabile in questo caso, come in tanti altri, e la prego di perdonarmi se le ho dato l'impressione di averla usata. In realtà, ho agito così, in parte, per il suo bene, e proprio la considerazione del pericolo che lei correva mi ha indotto a venire fin qua di persona a studiare il caso. Se fossi rimasto insieme con lei e con Sir Henry, è chiaro che il mio punto di vista sarebbe stato identico al vostro, e la mia presenza avrebbe messo in allerme i nostri temibili avversari. Così, invece, ho potuto agire con una libertà di cui, certo, non mi sarebbe stato possibile godere se fossi vissuto al Maniero, ed ora, in questa faccenda, rimango un fattore incognito, il che mi dà la possibilità d'intervenire, senza ostacoli, al momento critico. 

- Ma perché mi ha tenuto all'oscuro? 

- Perché se lei avesse saputo, non avrebbe potuto ugualmente aiutarci e, forse, involontariamente, mi avrebbe danneggiato. Avrebbe magari voluto avvertirmi di qualcosa, oppure, premuroso com'è, avrebbe cercato di darmi aiuto, correndo così un rischio inutile. Ho portato con me Cartwright: ricorda quel ragazzetto dell'Agenzia recapito? Ed è lui che si è occupato dei miei modesti bisogni. Una pagnotta e un colletto pulito. Cosa serve a un uomo? Mi ha dato poi un paio d'occhi in piú e un paio di piedi attivissimi, e queste quattro cose mi sono state di aiuto inestimabile. 

- Dunque tutte le mie relazioni sono state inutili! - La mia voce tremò mentre io ripensavo alla fatica e all'orgoglio con cui le avevo redatte. 

Holmes trasse di tasca un fascio di carte. 

- Ecco le sue relazioni, amico mio, e devo dirle che sono molto ben scritte. Avevo predisposto ogni cosa in modo eccellente, e mi sono giunte sempre con un solo giorno di ritardo. Anzi, vorrei complimentarmi con lei per la cura e l'intelligenza dimostrati in questo caso di particolare difficoltà. 

Mi sentivo ancora un po’ offeso per l'inganno che mi era stato fatto, ma il calore della lode di Holmes dissipò il mio dispetto. Sentivo inoltre in cuor mio che, in fondo, aveva ragione, e che dopo tutto.era stato un bene per i fini prefissi che io ignorassi la sua presenza nella landa. 

- Adesso sì che va meglio - fece Holmes, vedendo il mio viso schiarirsi. - E ora mi dica il risultato della sua visita alla signora Lyons; non mi è stato difficile immaginare che era andato da lei, poiché io già sono informato che la signora è la sola persona a Coombe Tracey che possa esserci d'aiuto in questa faccenda. E del resto, se non ci fosse andato lei oggi, è piú che probabile che ci sarei andato domani. 

Il sole era ormai tramontato e il crepuscolo si stava addensando sulla landa. L'aria si era fatta fredda, e ci ritirammo nella capanna in cerca di calore. Seduti insieme nella penombra riferii a Holmes la mia conversazione con la signora. La cosa lo interessò talmente ch'io dovetti ripetergli piú di una volta vari particolari, finché non fu completamente soddisfatto. 

- Questo è molto importante - disse quando ebbi concluso. - Riempie un vuoto che neppure io sapevo colmare. Lei sa probabilmente che tra la signora e Stapleton esiste una profonda amicizia. 

- Non sapevo che esistesse questa profonda amicizia. 

- Non c’è il minimo dubbio. Si vedono, si scrivono, tra loro c’è intesa assoluta. Bene, questo ci dà un’arma tagliente. Se solo ri uscissi a usarla per allontanare sua moglie... - Sua moglie? 

- Ora le restituisco qualche informazione in cambio di quelle fornitemi. La donna che passa qui per signorina Stapleton è in realtà sua moglie. 

- Santo cielo, Holmes! É sicuro di quel che dice? Come ha potuto permettere a Sir Henry d'innamorarsi di lei? 

- L'innamoramento di Sir Henry non può recar danno ad altri che a Sir Henry stesso. Stapleton ha fatto bene attenzione a che Sir Henry non le facesse la corte, come lei stesso ha notato. Le ripeto che la signora è sua moglie e non sua sorella. 

- E perché architettare tutto ciò? 

- Poiché aveva previsto che in come donna libera e indipendente la moglie gli sarebbe stata di maggior utilità. 

Tutti i miei istinti fatti tacere, i miei sospetti vaghi, presero a un tratto forma e si concentrarono sul naturalista. In quell'uomo impassibile, incolore, con quel cappello di paglia e la rete acchiappa-farfalle, credetti di vedere un essere spaventoso... una creatura dotata d'astuzia e di pazienza infinite, con il volto sorridente e il cuore omicida. - É dunque lui il nostro nemico... è lui che ci ha pedinati a Londra? 

- Io credo di sì. 

- Allora l'avvertimento... è stato mandato da lei! - Esatto. 

La percezione di un'infamia mostruosa, appena percepita, si profilò nelle tenebre che per tanto tempo mi avevano circondato. 

- Ma è sicuro di quel che dice, Holmes? Come sa che quella donna è sua moglie? 

- Perché Stapleton ha commesso l'imprudenza di lasciarsi andare a confidarle un dettaglio reale della sua vita, durante il suo primo incontro con lei, e sono certo che deve avere rimpianto quell'incontrollato impulso chi sa quante volte. Egli fu infatti professore, un tempo, nel Nord dell'Inghilterra. Bene, nessuna persona è piú facile da rintracciare di un insegnante. Esistono uffici d'informazione scolastici che sanno identificare subito chiunque sia stato nella professione. Mi bastò una breve inchiesta per venire a sapere che una scuola si era effettivamente sfasciata in circostanze spaventose, e che l'uomo che ne era il proprietario, naturalmente con un altro nome, era scomparso con la propria moglie. Le descrizioni corrispondevano con precisione. Quando seppi che l'uomo scomparso era un appassionato di entomologia capii che l'identificazione era perfetta. 

Le tenebre si andavano diradando, ma molte ombre restavano ancora. 

- Ma se questa donna è veramente sua moglie, che cosa c'entra la signora Lyons? - domandai. 

- Questo è uno dei punti su cui hanno contribuito a far luce le sue ricerche personali, perché il suo colloquio con la signora Lyons ha chiarito parecchio la situazione. Io non sapevo che tra la signora e suo marito si stesse prospettando un divorzio. Ora, dato che anche la Lyons deve ritenere Stapleton scapolo, contava senza dubbio di diventare sua moglie. 

- E quando si accorgerà dell’inganno? 

- Proprio in quel momento ci avvarremo del suo aiuto. Nostro primo compito sarà di vederla entrambi, domani. Non le sembra, Watson, di essersi allontanato anche troppo dal suo protetto? Il suo posto dovrebbe essere unicamente ed esclusivamente al Castello di Baskerville! 

Le ultime striature rosse del tramonto erano scomparse ad ovest, e la notte si era addensata sulla landa. Poche fievoli stelle luccicavano nel cielo turchese. 

- Ancora una domanda, Holmes- dissi alzandomi. - Naturalmente, ogni segreto tra me e lei è inutile: che cosa significa questa storia? Che cosa vuole quest'uomo? 

La voce di Holmes si smorzò in un soffio mentre egli mi rispondeva: - Vuole uccidere, Watson... si tratta di un delitto raffinato, premeditato, progettato con spaventoso sangue freddo. Non mi chieda particolari per il momento. Le mie maglie si stanno chiudendo su di lui, così come lui tenta di chiudere nelle sue Sir Henry; ma grazie al suo aiuto, Watson, lo tengo in mio potere. Ci può minacciare un solo pericolo, ormai: che possa colpire prima che noi siamo pronti. Ancora un giorno... due al massimo... e i miei dati saranno completi; ma nel frattempo badi al suo protetto come potrebbe fare una madre con un figlio sofferente. La sua missione di oggi è ampiamente giustificata, eppure avrei preferito che lei rimanesse vicino a Sir Henry... Ascolti! 

Un grido terribile... un urlo prolungato di orrore e di angoscia squarciò il silenzio della landa. A quel suono spaventoso mi sentii raggelare il sangue nelle vene. 

- Oh, Dio mio! - gemetti. - Che cos'è? Che significa? 

Holmes era scattato in piedi, e vidi la sua sagoma scura, atletica, profilarsi sull'ingresso della capanna: teneva le spalle curve, il capo in avanti: il suo volto scrutava le tenebre. - Zitto! sussurrò. - Zitto! 

Il grido mi era sembrato forte a causa della sua intensità, ma era stato lanciato certamente in un punto lontano della piana silenziosa. Ora invece risuonò quasi alle nostre orecchie, molto piú vicino, violento e incalzante che mai. 

- Dov'è? - mormorò Holmes; e compresi dal tono della sua voce che persino lui, l'uomo d’acciaio, era scosso nel profondo del cuore. - Dov'è, Watson? 

- Qui, credo - dissi puntando l'indice verso il buio. - No, là! 

Ancora una volta l'urlo disperato squarciò il silenzio della notte, sempre piú forte, sempre piú vicino, e ad esso si mescolava ora un rumore nuovo, come un murmure cupo, soffocato, musicale e minaccioso insieme, alto e basso come il brontolio sommesso e continuo del mare. 

- Il mastino! - esclamò Holmes. - Su, Watson, andiamo! Santo Dio, purché non sia troppo tardi! 

Si era messo a correre rapidamente attraverso la landa, e io ero dietro di lui: ma ecco che da un punto indistinto del terreno ineguale immediatamente di fronte a noi giunse un ultimo supremo urlo di agonia, poi un colpo sordo, pesante. Ci fermammo, in ascolto. Nessun altro suono interruppe il pesante silenzio della notte. 

Vidi Holmes portarsi una mano alla fronte, come un uomo in preda a una disperazione senza scampo; quindi egli battè furioso il piede a terra. 

- Ci ha battuti, Watson! Siamo arrivati troppo tardi! 

- No, no, non è possibile! 

- Che imbecille sono stato a non agire prima! E lei, Watson, vede il risultato dell’abbandono del proprio posto? Ma per Dio, se è accaduto il peggio noi lo vendicheremo! 

Riprendemmo a correre nell'oscurità, inciampando tra massi sparsi qua e là, aprendoci a viva forza un varco tra cespugli di ginestre, ansimando su per i cigli e precipitandoci giù per i pendii, sempre puntando nella direzione degli spaventosi ululati. A ogni altura Holmes si guardava intorno con ansia, ma nella landa le tenebre erano fittissime, e nulla si moveva sulla sua distesa buia. 

- Niente? 

- No. 

- Senta: cos'è questo? 

Le nostre orecchie avevano percepito un sommesso gemito. Ecco ora che risuonava alla nostra sinistra! Da quella parte una catena di rocce culminava in un picco aguzzo, che dava su un pendio cosparso di pietre. Sulla sua parete scoscesa, irregolare, era disteso a croce un oggetto scuro, indistinto. Man mano che ci avvicinavamo ad esso la sagoma imprecisata assunse contorno definito. Era un uomo prostrato, il volto rivolto al suolo, la testa piegata sotto a un angolo spaventoso, le spalle incurvate e il corpo rattrappito quasi nell'atto di chi sta per lanciarsi in un salto mortale. Così grottesca era quella posa, che sul momento non mi fu possibile rendermi conto che il gemito che io avevo udito era stato l'ultimo respiro esalato da quelI'uomo così stranamente contorto. Non il piú lieve bisbiglio, non il piú leggero fruscio si levava ora dalla figura informe sulla quale ci eravamo chinati. Holmes posò la propria mano su di essa e ve la tenne a lungo: a un tratto dal suo petto proruppe un grido d’orrore. Accese un fiammifero e la luce tremula illuminò delle dita coperte di sangue raggrumato e una chiazza spaventosa che si era andata lentamente allargando dal cranio sfasciato della vittima. E a poco a poco la fiammella ci rivelò qualche altra cosa che fece dare un tuffo ai nostri cuori e li riempì di uno sgomento indicibile... poiché quella massa inerte era il corpo di Sir Henry Baskerville! 

Né io né Holmes potevamo ingannarci su quel vestito di foggia sportiva e di un particolare colore rossiccio... era proprio quello che il povero baronetto indossava il mattino in cui lo avevamo visto per la prima volta in Baker Street. Lo riconoscemmo benissimo, poi subito il fiammifero traballò e si spense, e con esso la speranza si estinse nei nostri cuori. Holmes lanciò un gemito, e nell'oscurità il suo volto luccicò sbiancato dall'ira. 

- Maledetto! Maledetto! - gridai stringendo i pugni. - Oh, Holmes, non mi perdonerò mai di averlo lasciato solo al suo destino! 

- Io sono da biasimare molto piú di lei, Watson! Pur di avere il mio caso completo e definito ho sacrificato la vita del mio cliente. É la piú grave colpa della mia carriera. Ma come potevo immaginare che sarebbe uscito nella landa a dispetto di tutti i nostri ripetuti avvertimenti? 

- Pensare che abbiamo udito le sue grida... Dio mio! che grida spaventose!... e nonostante questo non siamo giunti in tempo a soccorrerlo, a salvarlo! Dove si sarà nascosto il maledetto cane che lo ha ucciso? Forse proprio in questo momento se ne sta appiattato tra quei massi. E Stapleton dov'è? Dovrà pur rispondere del suo delitto! 

- Si capisce! Penserò io a questo. Zio e nipote sono stati assassinati... il primo è morto di spavento alla sola vista dell'animale, che egli riteneva soprannaturale, fantastico; l'altro nel tentativo di salvarsi da lui, mentre fuggiva disperatamente. Dobbiamo però dimostrare il rapporto tra l'uomo e la bestia. Tranne che per ciò che abbiamo sentito personalmente, non possiamo neppure giurare sull'esistenza di quest'ultima, dal momento che Sir Henry, evidentemente, è morto in seguito alla caduta. Ma, per Dio, nonostante tutta la sua diabolica astuzia, metterò le mani su quel delinquente in meno di ventiquattr'ore! 

Restammo un po’, col cuore dolorante, presso il corpo maciullato, sopraffatti da quella improvvisa disgrazia e irrevocabile che aveva messo così bruscamente e spietatamente la parola fine a tutte le nostre lunghe e pazienti fatiche. Poi, quando la luna si alzò, ci arrampicammo sulla cima delle rocce dalle quali il nostro povero amico era precipitato, e da quell'altura scrutammo la landa misteriosa, per metà d'argento e per metà d'inchiostro. Lontano lontano, a molte miglia da noi, brillava una luce gialla: poteva provenire solo dalla dimora isolata degli Stapleton. Scossi il pugno lanciando un'amara imprecazione e fissai lo sguardo in quella direzione. 

- Perché non lo prendiamo subito? 

- Perché gli elementi che possediamo non sono ancora completi. Ci troviamo di fronte a un individuo dotato di massima astuzia e avvedutezza. Non serve quel che sappiamo, ma quello che possiamo essere in grado di dimostrare. Se facciamo anche una sola mossa falsa, quel farabutto potrebbe scappare.  

- Allora cosa facciamo? 

- Domani ci attendono molti compiti. Questa notte non ci resta che rendere gli ultimi ossequi al nostro sfortunato amico! 

Insieme tornammo verso il pendio scosceso e ci accostammo al cadavere, nitido ora, nella sua massa scura, contro le pietre inargentate dalla luna. La vista di quelle membra contorte mi attanagliò il cuore con uno spasimo di pena e mi offuscò gli occhi di lacrime. 

- Dobbiamo andare a cercare aiuto, Holmes! Non possiamo trasportarlo da soli fino al Castello! Dio santo, è impazzito? 

Holmes aveva lanciato un grido forsennato, infatti, e si era chinato sul cadavere. Ed ecco che adesso ballava e rideva e mi stringeva la mano fino a torcermela. Era mai possibile che quello fosse il mio severo, il mio amico eternamente controllato? Che cosa gli aveva preso? Un improvviso attacco di follia, senza dubbio! - Ha la barba! La barba! Quest'uomo ha la barba! 

- La barba? 

- Non è il baronetto... è... l’evaso! 

Con ansia febbrile girammo il cadavere: una barba incolta si puntò contro la luna fredda e nitida. Non era possibile ingannarsi su quella fronte sporgente, su quegli occhi animaleschi. Era proprio la stessa faccia che mi aveva fissato alla luce della candela incastrata entro la roccia... era la faccia di Selden, il forzato! 

In un attimo mi fu chiara tutta la situazione. Ricordai che il baronetto mi aveva raccontato di aver regalato a Barrymore il suo guardaroba usato. Barrymore doveva averne passata una parte a Selden perché potesse ripararsi e fuggire. Scarpe, camicia, capello... tutto apparteneva a Sir Henry. Il fatto rimaneva pur sempre gravissimo, ma quest'uomo per lo meno aveva meritato la morte secondo le leggi del suo paese. Spiegai a Holmes come stavano le cose, col cuore sollevato. 

- Dunque sono stati i vestiti a causare la morte di questo poveraccio - osservò. - Evidentemente, il cane è stato messo sulle sue orme mediante qualche oggetto di vestiario appartenente a Sir Henry, probabilmente la famosa scarpa rubata all'albergo, ed ecco perché avrà assalito quest'uomo. Vi è però un fatto molto singolare: come mai Selden, così al buio, ha capito che il cane era sulle sue tracce? 

- Deve averlo sentito. 

- Sentire un cane che latra sulla landa non può spingere un individuo incallito come questo forzato a un tale parossismo di terrore da correre il rischio di essere catturato mettendosi a urlare disperatamente in cerca di aiuto. Dalle grida sentite, deve aver certamente corso parecchio dopo essersi accorto che l'animale lo inseguiva. Come poteva saperlo? 

- Per me il mistero maggiore sta in questo: come mai questo cane, ammettendo che tutte le nostre ipotesi siano esatte... 

- Io non ammetto niente. 

- Va bene: perché il cane era libero proprio stanotte? Immagino che non scorrazzi continuamente per la landa! Stapleton non avrebbe avuto motivo di sguinzagliarlo se non avesse immaginato che Sir Henry doveva trovarsi qui. 

- Il mio problema è molto più serio, poiché io ritengo che ben presto noi saremo in grado di risolvere il suo, mentre temo che il mio resterà per sempre un mistero. Per il momento, la questione piú urgente è questa: cosa facciamo del cadavere di questo disgraziato? Non possiamo lasciarlo qui in pasto alle volpi e ai corvi! 

- Le proporrei di trasportarlo in una di queste capanne sino a quando non potremo metterci in comunicazione con la polizia. 

- Benissimo. Sono sicuro che tra me e lei ce la faremo a trascinarlo fin là. Perbacco, Watson, chi è che...? Ma è lui in persona, che razza di faccia tosta e di audacia! Non una parola che possa palesare i nostri sospetti... non una parola, o altrimenti i miei piani salteranno all’aria! 

Un uomo si stava avvicinando a noi sulla landa, e io scorsi l'opaco chiarore rossastro della punta di un sigaro acceso. La luna lo illuminava e mi fu facile distinguere la sagoma snella e l'andatura vivace e dinoccolata del naturalista. Non appena ci vide si fermò, ma riprese subito a camminare. 

- Perbacco, dottor Watson, ma è possibile che sia proprio lei? É l'ultima persona che mi sarei aspettato di trovare nella landa a quest'ora di notte. Ma, santo cielo, che cosa succede? Qualcuno si è fatto male? No... non mi dica che questo è il nostro amico Sir Henry! 

Mi sorpassò velocemente, e si chinò sul cadavere. Lo intesi trattenere bruscamente il fiato, mentre il sigaro gli cadeva dalle dita. 

- Chi.... chi è quest'uomo? - balbettò. 

- É Selden, il forzato evaso da Princetown. 

Stapleton ci rivolse un volto spettrale, ma con uno sforzo supremo riuscì a superare il suo sbalordimento e il suo disappunto. Il suo sguardo si posò bruscamente prima su Holmes, poi su me. 

- Dio santo! Che cosa spaventosa! Come è morto? 

- A quanto pare dev’essersi spezzato l'osso del collo cadendo su queste rocce. I1 mio amico e io stavamo passeggiando per la landa quando udimmo un grido. 

- Anch'io l’ho sentito. É per questo che sono uscito. Stavo in tensione per Sir Henry. 

- Come mai proprio per Sir Henry? - non seppi trattenermi dal chiedergli. 

- Perché gli avevo proposto di venire da me. Quando non lo vidi capitare rimasi sorpreso, e naturalmente mi preoccupai per lui non appena udii echeggiare quelle grida sulla landa. A proposisto... - e i suoi occhi si fissarono nuovamente prima sulla faccia di Holmes poi sulla mia - oltre quelle grida non avete sentito nient’altro? - No - disse Holmes - e lei? 

- Neanch'io - dissi. 

- Che intende dire, parli? 

- Oh, voi sapete le storie che narrano i contadini di un cane fantasma. Dicono che lo si intenda di notte sulla landa. Mi stavo domandando se questa notte si fosse udito qualcosa che potesse giustificare una tale credenza. 

- Noi non abbiamo sentito niente di simile - dissi. 

- E qual è secondo voi la causa della morte di questo povero diavolo? 

- È certo che l'ansia e le privazioni devono averlo fatto ammattire. Si sarà messo a correre per la landa come un pazzo, finché non avrà inciampato rompendosi la spina dorsale. 

- Mi sembra un'ipotesi molto ragionevole - ammise Stapleton emettendo un sospiro che io giudicai segno di evidente sollievo. - E lei cosa pensa, signor Sherlock Holmes? 

Il mio amico si inchinò cerimoniosamente. 

- Lei è molto rapido nell'identificare le persone - osservò. 

- Aspettiamo lei da queste parti fin da quando è arrivato il dottor Watson. È arrivato giusto in tempo per assistere a una tragedia. 

- Già, infatti. Non ho dubbi che la spiegazione del mio amico sia esatta. Ma riporterò con me a Londra domani un ricordo assai spiacevole. 

- Oh, riparte già domani? 

- Questa è la mia intenzione. 

- Spero che la sua visita sia riuscita a gettare un po' di luce sugli avvenimenti che ci hanno resi tanto perplessi! 

Holmes si strinse nelle spalle. - Non si può sempre avere successo. Un investigatore ha bisogno di fatti, non di leggende o di voci. No, non è stato un caso soddisfacente. 

Il mio amico si era espresso in un tono di estrema semplicità e franchezza, ma Stapleton non smetteva di guardarlo intensamente. D’un tratto si rivolse a me. 

- Vi proporrei di trasportare questo poveretto a casa mia, ma ciò procurerebbe a mia sorella uno spavento che, date le circostanze, è meglio risparmiarle. Copriamogli il volto con qualcosa fino a domani mattina, quando potremo trasportare del cadavere. 

E così fu fatto. Declinando cortesemente l'offerta di ospitalità dataci di Stapleton, Holmes e io ci avviammo verso il Maniero di Baskerville, lasciando solo il naturalista. Quando ci volgemmo a guardare indietro, vedemmo la sua figura allontanarsi lentamente per la vasta brughiera; e dietro di lui la nera macchia informe sul pendio inargentato indicava il punto in cui giaceva un uomo che la morte aveva punito in modo orribile. 

- Siamo ormai ai ferri corti - osservò Holmes, mentre camminavamo insieme lungo la landa. - Che faccia tosta! Come si è ricomposto immediatamente, pur avendo davanti a sé uno spettacolo che avrebbe dovuto paralizzarlo, quando si è accorto che quella caduta per i suoi intrighi non era la vittima predestinata! Gliel'ho detto a Londra, Watson, e lo ripeto ancora: non abbiamo mai avuto un avversario piú degno di noi. 

- Mi dispiace che lei sia stato visto da quell'uomo. 

- Anch'io ne ero dispiaciuto all’inizio, ma non c'era altra alternativa. 

- Che influenza crede potrà avere sui suoi progetti il fatto che ormai sappia della sua presenza qui? 

- Forse lo indurrà a essere piú cauto, ma potrebbe anche spingerlo a misure disperate. Come quasi tutti i criminali intelligenti, può darsi sia troppo fiducioso e sicuro delle proprie doti e creda di averci portati completamente fuori strada. 

- Perché non lo arrestiamo subito? 

- Mio caro Watson, lei sarebbe stato un uomo d'azione nato. Il suo istinto la porta a compiere sempre qualcosa di energico. Ma immagini, per ipotesi, che di farlo arrestare questa notte: a cosa servirebbe? Non saremmo in grado di provare niente contro di lui. In questo consiste la sua astuzia diabolica! Se agisse per mezzo di un emissario umano potremmo ottenere qualche prova sostanziale, ma anche se riuscissimo a portare questo cagnaccio alla luce del giorno, non basterebbe a mettere una corda al collo del suo padrone. 

- Che razza di situazione! 

- Non abbiamo uno straccio di prova... ma solo congetture e ipotesi. Belle risate si farebbero in tribunale a nostre spese se ci presentassimo con un racconto e una testimonianza del genere! 

- Ma c'è la morte di Sir Charles! 

- Trovato morto senza nemmeno una graffiatura! Lei e io sappiamo che è morto di paura, e sappiamo pure che cosa lo ha spaventato; ma come riusciremmo a persuadere di questo dodici giurati imbecilli? Che tracce ci sono di questo fantomatico mastino? Dove sono le sue impronte? E le zanne? Naturalmente noi sappiamo che un cane non morsica un corpo morto, e che Sir Charles era morto molto prima che la bestia lo raggiungesse. Ma noi dobbiamo provare tutto questo, e purtroppo non lo possiamo fare. 

- E questa notte? 

- Stanotte non abbiamo fatto grandi progressi. Anche in questo caso non possiamo stabilire alcun rapporto diretto tra il cane e la morte di Selden. Noi non abbiamo visto l'animale, lo abbiamo soltanto udito, ma non potremmo certamente dimostrare che corresse squinzagliato dietro a Selden. Ci troviamo poi di fronte a una completa mancanza di movente. No, amico mio, dobbiamo rassegnarci al fatto che per il momento non possediamo prova alcuna, e che perciò vale la pena di correre qualunque rischio pur di trovarla. 

- E come spera di ottenere una prova? 

- Nutro grandi speranze che la signora Laura Lyons ci aiuti quando saprà come stanno esattamente le cose nei confronti di lei e Stapleton. Ho anch'io un mio progetto. Per il momento siamo ancora in svantaggio, ma spero che prima che sia trascorso domani saremo finalmente riusciti a portarci in vantaggio. 

Non mi fu possibile fargli dire altro, e proseguì in silenzio, immerso nei suoi pensieri, fino ai cancelli di Baskerville. 

- Entra? 

- Sì; non vedo ragione di nascondermi ulteriormente. Ma ancora un'ultima parola, Watson! Non dica nulla del cane a Sir Henry. Gli lasci credere che Selden sia morto proprio come Stapleton vuole che si creda. Sarà così preparato per la prova che dovrà affrontare domani, quando pranzerà, se ricordo bene dalla sua relazione, con queste persone. 

- Ma sono invitato anch'io! 

- In questo caso dovrà inventare una scusa, e lasciarlo andare da solo. Sarà facile. E adesso, anche se siamo in ritardo, spero che ci avranno riservata almeno una piccola cena. 

 

XIII 

Piú che sorpreso, Sir Henry fu compiaciuto di vedere Sherlock Holmes, poiché da vari giorni sperava che gli ultimi accadimenti lo avessero spinto a partire da Londra. Inarcò però stupito le sopracciglia quando vide che il mio amico non aveva bagagli, e non sapeva trovare una spiegazione a questa stranezza. Sir Henry e io fummo però presto in grado di supplire ai suoi bisogni, dopo di che, davanti a una tarda cena, riferimmo al baronetto quel tanto delle nostre avventure che era necessario sapesse. Ma purtroppo toccò a me il compito ingrato di riferire a Barrymore e a sua moglie la dolorosa notizia della morte di Selden. L'uomo ne provò forse un piú che giustificabile sollievo, ma la povera donna pianse amaramente nel suo grembiule. Per il mondo intero il fratello era stato un individuo violento, mezza bestia e mezzo diavolo; ma per lei era sempre rimasto il ragazzino capriccioso con cui aveva condiviso i primi anni dell'infanzia, il bambino che si era aggrappato alla sua mano. Veramente sciagurato è l'uomo che non ha almeno una donna che lo pianga. 

- Mi sono annoiato in casa tutto il giorno, da quando Watson se n'è andato stamattina - disse il baronetto. Trovo che merito una certa lode, perché ho mantenuto la mia promessa. Se non avessi giurato di non uscir solo, avrei potuto trascorrere una serata piú divertente; infatti Stapleton mi aveva mandato a dire di andare da loro. 

- Sono sicuro che avrebbe avuto senz'altro una serata piú interessante - replicò Holmes tagliente. - A proposito, forse lei non sa che noi l'abbiamo pianto credendo fosse stato lei a rompersi l'osso del collo! 

Sir Henry spalancò tanto d'occhi: - Come mai? 

- Quel poveraccio era vestito con abiti suoi. Ho paura che il suo domestico passerà dei guai con la polizia, poiché indubbiamente è stato lui a fornirgli una parte del guardaroba. 

- Non credo! Per quanto io sappia, non avevano alcuna iniziale o altro segno di riconoscimento. 

- Questa è una fortuna per lui; anzi, per dire la verità, è una fortuna per tutti e due, dal momento che anche lei a questo riguardo si trova in debito nei confronti della giustizia. Io non sono proprio sicuro che, come poliziotto coscienzioso, il mio primo dovere non sia quello di arrestare tutti i componenti la famiglia. Le relazioni di Watson sono documenti che contengono accuse pesanti. 

- Ma mi parli piuttosto del caso! - interloquì il baronetto. - È riuscito a sbrogliare un po' questa dannata matassa? Non credo che, da quando siamo arrivati qui, io e Watson abbiamo fatto molta strada! 

- Ritengo di poter chiarire tra breve la situazione. È stata una faccenda difficilissima ed estremamente complessa. Vi sono però ancora vari punti su cui non sono riuscito a far luce... ma ci riuscirò, non abbia timore. 

- Noi abbiamo avuto un'avventura di cui Watson le avrà certamente riferito. Abbiamo udito con le nostre orecchie il cane sulla landa; posso quindi giurare che non si tratta soltanto di sciocca e vuota superstizione. Mi sono fatto una certa pratica di cani, quando mi trovavo nell'Ovest, e so riconoscerli al latrato. Se lei riesce a mettere una museruola e un guinzaglio a quella bestia, sarò pronto a giurare che lei è il piú grande poliziotto di tutti i tempi. - Credo che riuscirò benissimo ad accalappiarlo e a incatenarlo, se lei mi fornisce il suo aiuto. 

- Mi dica quello che devo fare e lo farò. 

- Benissimo: dovrò però chiederle di agire in fidiùucia, senza mai chiedermi il perché. - Come vuole. 

- Se farà come dico io, ritengo che il nostro piccolo problema sarà ben presto chiarito. Non ho dubbi... 

S'interruppe di botto e rimase con lo sguardo fisso a mezz'aria, al disopra della mia testa. La lampada gli batteva in pieno viso, e questo era così intento e così immobile che avrebbe potuto benissimo essere il volto di una statua classica, dal profilo impeccabile, la personificazione stessa dell'attenzione e dell'attesa. 

- Cosa c'è? - chiedemmo entrambi, Sir Henry e io. 

Compresi, mentre abbassava lo sguardo, che stava reprimendo un’emozione intensa. I suoi tratti erano pur sempre composti, ma nei suoi occhi brillava una divertita luce di giubilo. 

- Scusi l'ammirazione da intenditore - fece indicando con un cenno della mano la fila di ritratti che copriva la parete opposta. - Watson non vuole ammettere che io capisca qualcosa in fatto di arte, ma egli parla per pura gelosia, perché i nostri punti di vista su questo argomento differiscono in modo assoluto. Per me, ad esempio, quei ritratti sono veramente bellissimi. 

- Bene, sono lieto di udirla esprimersi così - disse Sir Henry fissando il mio amico con una certa sorpresa. - Non pretendo di intendermi molto di queste cose, e certo saprei giudicare meglio un cavallo o un manzo che non un quadro. Non sapevo che lei trovasse il tempo anche per queste cose. 

- Io capisco la roba buona quando la vedo, e adesso ne vedo una ottima. Quello è uno Kneller, sarei pronto a giurarlo, quella dama in seta azzurra laggiú; mentre quel signore grasso con la parrucca non può essere che un Reynolds. Sono tutti ritratti di famiglia, immagino. 

- Dal primo all'ultimo. - Conosce i nomi? 

- Barrymore mi ha indottrinato sull’argomento, credo sapere bene la lezione. 

- Chi è quel signore con il telescopio? 

- Quello è il vice-ammiraglio Baskerville, che ha servito sotto Rodney nelle Indie Occidentali. Quello col mantello turchino e un rotolo di carta in mano è Sir William Baskerville, che fu presidente di commissione alla Camera dei Comuni, al tempo di Pitt. 

- E quel cavaliere di fronte a me... quello in velluto nero e merletto? 

- Ah, lei ha ben ragione di voler essere informato su quel personaggio. Quello è la causa di tutti i nostri guai, il malvagio Hugo, che ha dato origine alla leggenda del Mastino di Baskerville. Non sarà facile che noi ce ne dimentichiamo. 

A mia volta guardai il ritratto con interesse e con una certa sorpresa. 

- Perbacco! - osservò Holmes; - pare un individuo tranquillo, di animo mite, ma direi che i suoi occhi celino una luce diabolica. Me l'ero immaginato piú robusto e di aspetto piú ribaldo. 

- Eppure non vi è dubbio circa l'autenticità dell'opera, poiché il nome e la data, 1647, sono trascritti sul retro della tela. 

Holmes aggiunse solo poche altre parole; ma sembrava che il vecchio perverso esercitasse su di lui un fascino speciale, poiché i suoi occhi rimasero continuamente fissi a guardare il ritratto durante tutta la cena. Solo più tardi, dopo che Sir Henry si era ritirato nella sua camera, che potei capire quel che gli passava in testa. Mi ricondusse nella sala da pranzo, con la candela accesa in mano, e ne avvicinò la luce al ritratto macchiato dal tempo che pendeva dalla parete. 

- Non ci trova niente di speciale? 

Osservai il largo cappello piumato, i lunghi ricci, il bianco colletto di pizzo, la faccia pallida che ne era incorniciata. Non era un tipo brutale, ma piuttosto azzimato, duro, severo, con una bocca fermamente disegnata, le labbra sottili, l'occhio freddo, fanatico. 

- Non le sembra che assomigli a qualcuno che conosce? 

- C'è qualcosa di Sir Henry nella mascella. 

- Forse un barlume: ma aspetti un istante! 

Salì su una seggiola, e tenendo la candela nella mano sinistra, coprì con il braccio destro l'ampio cappello e i lunghi riccioli. 

- Dio mio! - esclamai sobbalzando. 

Fuor della tela era sbucata la faccia di Stapleton. 

- Ah, se n'è accorto anche lei, finalmente! I miei occhi si sono addestrati a studiare i volti, non già le loro acconciature. La prima dote di un criminologo consiste nel vedere attraverso un travestimento. 

- Ma è fantastico! Si direbbe il suo ritratto! 

- Già, è un interessante esempio di ricorrenza atavica, che si è manifestata non solo fisicamente ma anche spiritualmente. Basterebbe lo studio dei ritratti di famiglia per convertire un uomo alla reincarnazione. Stapleton è un Baskerville... la cosa è evidente. 

- Che aspira alla successione. 

- Precisamente. Questa combinazione del ritratto ci ha fornito uno dei piú importanti anelli mancanti. Lo teniamo, Watson, lo teniamo, e sono pronto a giurare che prima di domani sera egli sarà nella nostra rete, impotente e senza ali come una delle sue farfalle. Uno spillo, un sughero, un’etichetta, e lo aggiungeremo alla collezione di Baker Strett! 

Mentre si allontanava dal quadro scoppiò in una delle sue rare risate. Di rado si era sentito ridere, e il suo riso aveva sempre presagito sciagura a qualcuno. 

La mattina dopo mi alzai presto, ma Holmes si era alzato ancor prima di me, poiché lo vidi venir su per il viale mentre mi vestivo. 

- Sì, oggi dovremmo avere una giornata piena - osservò, sfregandosi le mani nel pregustare il piacere dell'azione. - Le reti sono a posto, e la pesca sta per iniziare. Sapremo prima di sera se avremo catturato il nostro grosso luccio dalla mascella magra, o se ci sarà sfuggito dalla rete. 

- È già stato nella landa? 

- Ho mandato una relazione da Grimpen a quelli di Princetown, per informarli della morte di Selden. Credo di poter promettere con sicurezza che nessuno di voi avrà seccature in proposito. E ho anche comunicato con il mio fedele Cartwright, che certamente sarebbe rimasto a piangere davanti alla porta della mia capanna, come farebbe un cane accanto alla tomba del proprio padrone, se non lo avessi rassicurato sulla mia incolumità personale. - Qual è la sua prima mossa? 

- Parlare con Sir Henry. Ah, eccolo! 

- Buongiorno, Holmes - disse il baronetto. - Lei mi sembra un generale che stia decidendo un piano di operazioni con il proprio capo di stato maggiore. 

- É proprio così. Watson mi stava chiedendo ordini. 

- È quello che voglio fare anch'io. 

- Ottimamente. Se sono bene informato, lei questa sera è invitato a pranzo dai nostri amici Stapleton. 

- Spero che verrete anche voi. Sono gente molto ospitale, son certo che saranno felicissimi di vedervi. - Temo che io e Watson dovremo ritornare a Londra. 

- A Londra? 

- Sì, credo che, date le circostanze, la nostra presenza serva più là che qua. 

La faccia del baronetto si allungò visibilmente. - Speravo proprio che voi mi avreste dato assistenza fino in fondo. Il Castello e la landa non sono luoghi molto gradevoli quando si è soli! 

- Amico mio, lei deve avere in me la piú assoluta fiducia ed eseguire i miei ordini letteralmente. Dirà ai suoi amici che saremmo stati felicissimi di accompagnarla, ma che un affare urgente ci ha richiamati in città e che speriamo di ritornare nel Devonshire al piú presto. Si ricorda di dire proprio così? 

- Se insiste... 

- Non ci sono alternative, glielo assicuro. 

Compresi dal volto rabbuiato del baronetto che egli era profondamente offeso da quello che considerava un vero e proprio tradimento. 

- Quando intendete partire? - domandò con freddezza. 

- Subito dopo colazione. Ci recheremo prima a Coombe Tracey, ma Watson lascerà la sua roba come pegno di un suo prossimo ritorno. Watson, lei manderà un biglietto a Stapleton per esprimergli il proprio rincrescimento di non poter accettare il suo invito. 

- Ho una mezza intenzione di venire a Londra con voi - esclamò il baronetto. - Perché dovrei restarmene qua tutto solo? 

- Perché questo è il suo posto, e il suo dovere le impone di restare. Perché lei mi ha dato la sua parola d'onore che avrebbe fatto come io le avrei ordinato, e io le ordino di rimanere. - Va bene, se è così, resterò. 

- Ancora una cosa! Voglio che lei si rechi a Merripit House in carrozza. Rimandi però indietro la giardiniera, e faccia comprendere che ha intenzione di rientrare a piedi. 

- Dovrei attraversare la landa a piedi?! 

- Sì. 

- Ma se questo è proprio quanto lei mi ha sempre raccomandato di non fare! 

- Questa volta però lo può fare senza rischio. Non glielo consiglierei se non avessi la massima fiducia nei suoi nervi e nel suo coraggio, ma è essenziale che lei mi dia ascolto. 

- Allora eseguirò i suoi ordini. 

- E se ci tiene alla vita attraversi la landa nella sola direzione del sentiero che porta da Merripit House alla strada di Grimpen, e che del resto è il percorso logico per tornare a casa sua. 

- Farò esattamente come mi dice. 

- Benissimo. Sarei lieto di partire al piú presto, subito dopo la prima colazione, in modo da essere a Londra nel pomeriggio. 

Questo programma mi stupì moltissimo, anche se ricordavo che Holmes aveva detto la sera precedente a Stapleton che la sua visita sarebbe finita l’indomani. Non mi aveva neppure lontanamente attraversato il cervello l'eventualità che dovessi accompagnarlo, e nemmeno capivo come mai ci dovessimo assentare entrambi proprio nel momento che egli stesso aveva definito decisivo. Ma a me non restava che obbedire ciecamente; salutammo pertanto il nostro amico, assai immalinconito, e due ore dopo eravamo alla stazione di Coombe Tracey dopo aver rimandato indietro la giardiniera. Un ragazzino ci aspettava sul marciapiede. - Ha ordini, signore? 

- Prenderai questo treno per Londra, Cartwright. Nel momento in cui arriverai, spedirai a Sir Henry Baskerville un telegramma a nome mio che dice che se ha trovato il mio portafogli dovrà mandarlo in raccomandata a Baker Strett. - Sissignore. 

- E domanda all'ufficio della stazione se c'è niente per me. 

I1 ragazzo ritornò con un telegramma che Holmes mi porse. Diceva: "Ricevuto telegramma. Arriverò ore 5.40 con mandato d'arresto in bianco. - Lestrade". 

- Questa è la risposta a un mio telegramma di stamattina. È uno dei nostri migliori ispettori di polizia, e credo che avremo bisogno del suo aiuto. E adesso, Watson, penso che non potremmo impiegare meglio il nostro tempo se non andando a far visita alla nostra amica signora Laura Lyons. 

Il suo piano di campagna incominciava ad apparirmi chiaro. Holmes voleva servirsi del baronetto allo scopo di convincere gli Stapleton che noi eravamo effettivamente partiti, mentre invece saremmo stati di ritorno nel momento esatto in cui il nostro intervento era veramente necessario. Quel telegramma da Londra, se Sir Henry ne avesse parlato agli Stapleton, avrebbe fugato ogni ulteriore possibilità di sospetto. Già mi sembrava di vedere stringersi le nostre reti intorno a quel luccio dalla mascella magra. 

La signora Laura Lyons era nel suo ufficio, e Sherlock Holmes apriì la conversazione con una franchezza e una semplicità di modi che stupirono notevolmente la signora. 

- Sto indagando sulle circostanze relative alla morte di Sir Charles Baskerville - incominciò subito. - Il mio amico qui presente, dottor Watson, mi ha informato di quanto lei gli ha detto, come pure di quanto lei non ha detto in rapporto a questo avvenimento. 

- Che cosa "non ho detto"? - domandò la signora in tono di sfida. 

- Lei ha ammesso di aver pregato Sir Charles di trovarsi al cancello alle dieci. Noi sappiamo che quelli furono il luogo e l'ora della sua morte. Ma lei non ci ha voluto dire quale rapporto esiste tra questi fatti. - Ma non c’è nessun rapporto! 

- In tal caso si tratta di una coincidenza veramente straordinaria. Io però ritengo che nonostante tutto riusciremo à stabilire un rapporto tra questi fatti. Desidero essere perfettamente franco con lei, signora Lyons. Noi riteniamo che questo sia un caso di omicidio, e le prove potranno implicare non soltanto il suo amico signor Stapleton, ma anche sua moglie. 

La signora balzò sulla seggiola. - Sua moglie! - esclamò. 

- Non si tratta piú di un segreto. La persona che egli fa passare per sua sorella è in realtà sua moglie. 

La signora Lyons intanto era tornata a sedersi. Le sue mani stringevano convulsamente i braccioli della poltrona, e io notai che sotto la pressione di quella stretta le sue unghie rosate erano divenute bianche. 

- Sua moglie! - ripeté nuovamente. - Sua moglie! Ma non è sposato! 

Sherlock Holmes si strinse nelle spalle. 

- Lo dimostri! Lo dimostri! E, se ci riesce!... - La luce selvaggia che le balenò negli occhi fu piú eloquente di mille parole. 

- Sono venuto da lei appunto per questo- disse Holmes, traendo di tasca alcune carte. - Ecco una fotografia della coppia fatta a York quattro anni fa. É intestata ai "Coniugi Vandeleur", ma lei non avrà difficoltà a riconoscere lui e anche lei, se la conosce di vista. Ecco qui tre descrizioni firmate da testimoni degni di fede concernenti la signora e il signor Vandeleur, che a quel tempo dirigevano la scuola privata di St. Olivier. Le legga, e mi dica se può ancora dubitare dell'identità di questa gente. 

Dopo avervi data un'occhiata, la signora ci fissò con l'espressione dura e rigida di una creatura in preda alla disperazione. 

- Signor Holmes - disse - quest'uomo mi aveva offerto di sposarmi a patto che io ottenessi il divorzio da mio marito. Mi ha mentito, farabutto, nel modo piú ignobile. Non mi ha mai detto una sola parola di verità. E perché... perché? Io immaginavo che fosse tutto soltanto per amor mio; ma ora capisco di essere stata per lui nient'altro che uno strumento nelle sue mani. Perché dovrei essere fedele a chi non lo è con me? Perché dovrei cercare di proteggerlo dalle conseguenze dei suoi atti malvagi? Mi chieda quello che vuole, e io non le nasconderò niente. Una cosa sola però le giuro, ed è questa: che quando scrissi quella lettera non pensavo neppure lontanamente di recar danno al povero Sir Charles, che si era sempre mostrato con me un ottimo amico. 

- Io le credo in pieno, signora - rispose Sherlock Holmes. - Certo, parlare di questi avvenimenti le sarà assai doloroso, e forse le diverrà piú facile se sarò io a dirle quel che è successo, e lei mi correggerà se io farò qualche errore. L'invio di quella lettera le fu suggerito da Stapleton? - Fu lui a dettarmela. 

- Immagino che la ragione data fu che avrebbe ricevuto aiuti da parte di Sir Charles per le spese legali relative al suo divorzio! 

- Esatto. 

- E in seguito, dopo averle fatto inviare la lettera, l'ha convinta a non andare all'appuntamento. 

- Mi disse che si sarebbe sentito ferito nella sua dignità se un altro uomo avesse provveduto il danaro per uno scopo simile, e che, benché personalmente fosse povero, avrebbe speso sino al suo ultimo centesimo pur di rimuovere gli ostacoli che ci dividevano. 

- Mi sembra un uomo di carattere molto fiero! Poi, lei non seppe piú nulla finché non lesse nel giornale la notizia della morte di Sir Charles! 

- É così. 

- Quindi Stapleton le ha fatto giurare di non dir nulla a proposito del suo appuntamento con Sir Charles ! 

- Proprio cosi! Mi spiegò che si trattava di una morte molto misteriosa, e certamente i sospetti sarebbero ricaduti su me se si fosse venuti a sapere dell'appuntamento. Mi spaventò talmente che mi spinse a non parlare. 

- Già! Lei però aveva qualche sospetto? 

La donna esitò e abbassò lo sguardo. - Lo conoscevo bene -disse. - Ma se fosse stato sincero con me io non l’avrei mai tradito. 

- Credo che nel complesso lei l'abbia scampata bella - dichiarò Sherlock Holmes. - Lo ha avuto in suo potere e lui lo sapeva, eppure è ancora viva! Lei ha camminato per parecchi mesi sull'orlo del baratro. E ora dobbiamo salutarla, signora, ma è probabile che tra poco sentirà ancora parlare di noi. 

 

- Il nostro caso si sta chiarendo, e le difficoltà cadono l'una dopo l'altra - osservò Holmes mentre sostavamo alla stazione, in attesa del rapido da Londra. - Ben presto sarò in grado di esporre in un'unica narrazione coerente e concreta uno tra i piú singolari e sensazionali delitti dei nostri tempi. Gli studiosi di criminologia ricordano i casi analoghi accaduti a Grodno, nella Piccola Russia, nel 1866, e naturalmente ci sono gli omicidi Anderson avvenuti nella Carolina del Nord; ma questo caso presenta tratti assolutamente unici. Persino in questo momento non siamo ancora in possesso di una prova concreta contro questo uomo astutissimo. Ma sarei veramente sorpreso se egli non ce ne fornisse una prima di stanotte. 

Il rapido da Londra entrò sbuffando in stazione, e un uomo piccolo e peloso come un cane balzò a terra da uno scompartimento di prima classe. Ci scambiammo tutti e tre energiche strette di mano, e io mi avvidi subito dal modo deferente col quale Lestrade fissava il mio compagno che aveva imparato molto da quei tempi ormai lontani in cui avevamo incominciato a lavorare insieme. Ricordavo perfettamente il disprezzo che le teorie del ragionatore suscitavano nell'uomo pratico. 

- Novità interessanti? - domandò Lestrade. 

- È il caso piú importante che mi si sia presentato da anni - rispose Holmes. - Abbiamo due ore davanti a noi prima di metterci in campagna. Credo che potremo impiegarle pranzando, e poi, Lestrade, le toglieremo dalla gola la nebbia londinese offrendole un sorso di aria notturna e pura del Dartmoor. Non c'è mai stato? Ah, bene, non credo dimenticherà questa prima volta. 

 

 

XIV 

Uno dei difetti di Sherlock Holmes, se in realtà poteva dirsi un difetto, era che egli si mostrava sempre poco propenso a comunicare a chiunque i suoi progetti nella loro integrità, fino al momento della loro attuazione. In parte, ciò proveniva senza dubbio dalla sua natura autoritaria, che si compiaceva nel dominare e sorprendere coloro che lo circondavano, in parte anche dalla sua cautela professionale che lo tratteneva sempre dal correre inutili pericoli. Tuttavia questo modo di procedere metteva a dura prova coloro che agivano come suoi galoppini e collaboratori. Io avevo spesso sofferto di questo fatto, ma mai tanto intensamente come durante quella lunga scarrozzata nel buio. Davanti a noi si profilava una terribile prova: stavamo finalmente per compiere il salto definitivo, e ancora Holmes non aveva detto una parola, e io potevo solo supporre come e quando sarebbe entrato in azione. I miei nervi vibravano di emozione quando il freddo vento che prese a batterci in pieno viso e gli spazi bui e vuoti su ciascun lato dell'angusta strada mi dissero finalmente che eravamo tornati ancora una volta nella landa. Ogni passo dei cavalli, ogni cigolio delle ruote ci portava sempre piú vicini al rush finale. 

La nostra conversazione era impedita dalla presenza del conducente della carrozza affittata, cosicché eravamo costretti a discorrere di argomenti inutili mentre i nostri nervi erano tesi al massimo dall'emozione e dall'attesa. Fu un sollievo per me, dopo questa situazione, superare la casa di Frankland: compresi così che ci stavamo avvicinando al Maniero e al teatro dell'azione. Non ci facemmo portare fino all'ingresso, ma scendemmo in prossimità del cancello del viale. Pagammo la vettura e ordinammo al conducente di ritornare a Coombe Tracey, mentre noi ci avviammo in direzione di Merripit House. 

- È armato, Lestrade? 

Il piccolo poliziotto sorrise. - Fino a quando avrò un paio di pantaloni addosso, avrò una tasca posteriore, e fino a quando avrò una tasca posteriore ci terrò sempre dentro qualcosa! 

- Bene, anche il mio amico e io siamo pronti, in caso di bisogno. 

- Mi sembra che lei sia molto vicino alla conclusione di questa faccenda, signor Holmes. A che gioco giochiamo? - A un gioco di attesa. 

- Parola d'onore, non mi sembra un posto molto allegro - affermò il poliziotto rabbrividendo e volgendo attorno uno sguardo perplesso ai lugubri pendii della collina e all'immenso lago di nebbia che si stendeva sopra la Palude di Grimpen. - Vedo le luci di una casa, davanti a noi. 

- Quella è Merripit House ed è anche il termine del nostro viaggio. Debbo pregarla di camminare in punta di piedi e di parlare a voce bassissima. 

Ci avviammo cautamente lungo la pista, come se fossimo diretti verso la casa, ma quando fummo a circa duecento metri da essa Holmes ci ordinò di fermarci. 

- Basta così - disse. - Queste rocce a destra sono un magnifico nascondiglio. - Dobbiamo aspettare qui? 

- Sì. Prepareremo qui la nostra piccola imboscata. Lei si metta in quella buca, Lestrade. Lei è stato nella casa, vero, Watson? Saprebbe dirmi la posizione delle stanze? Che cosa sono quelle finestre con le grate, là da quella parte? 

- Credo  che siano le finestre della cucina. 

- E quell'altra laggiú, così abbondantemente illuminata? - Quella è di sicuro la sala da pranzo. 

- Le imposte sono aperte. Lei conosce meglio di noi due la posizione del terreno. Strisci in avanti senza far rumore e veda che cosa stanno facendo... ma, per amor del cielo, non tradisca la nostra presenza! 

Avanzai in punta di piedi lungo il sentiero e mi chinai dietro il muretto basso che circondava l'orto striminzito. Strisciando nell'ombra raggiunsi un punto da cui mi era facile guardare direttamente attraverso la finestra senza tende. 

Nella stanza c'erano soltanto i due uomini, Sir Henry e Stapleton. Li vedevo seduti di profilo, su ciascun lato della tavola, rotonda. Fumavano entrambi un sigaro, e davanti a loro c’erano vino e caffè. Stapleton discorreva con animazione, ma il baronetto aveva il viso pallido e un'espressione distratta. Forse il pensiero della passeggiata solitaria che lo attendeva su quella brughiera di malaugurio pesava tristemente sul suo spirlto. 

Mentre io li osservavo, Stapleton si alzò e lasciò la stanza, e Sir Henry riempì un altro bicchiere e si buttò all'indietro sulla seggiola, levando grosse boccate di fumo. Intesi lo scricchiolio di una porta e un calpestio sulla ghiaia. I passi si allontanavano lungo il sentiero, dalla parte opposta del muro sotto il quale io mi ero acquattato. Aguzzando lo sguardo, vidi il naturalista fermarsi presso l'uscio di un casotto per attrezzi che sorgeva in un angolo dell'orto. Udii girare una chiave nella toppa e, mentre egli entrava, dall'interno della piccola costruzione uscì uno strano rumore, come una collutazione. Rimase nell'interno soltanto un minuto o poco piú, quindi udii nuovamente girare la chiave, poi egli mi sorpassò e rientrò in casa. Lo vidi ritornare presso il suo ospite, e io me la svignai piano piano per tornare dai miei compagni a riferire quanto avevo visto. 

- É sicuro, Watson, che la signora non ci sia? - mi domandò Holmes, quando terminato il racconto. 

- Dove può essere dunque, dal momento che le altre stanze non sono illuminate a eccezione della cucina? 

- Non ne ho la piú pallida idea. 

Ho già accennato come sopra la grande Palude di Grimpen si era addensata una fitta nebbia bianca. La nebbia veniva lentamente verso di noi, e si andava ammucchiando come un muro proprio sul nostro lato, bassa, ma assai fitta e compatta. La luna brillava su questa massa, facendola somigliare a un grande campo di ghiaccio scintillante, da cui spuntavano le guglie dei picchi lontani come rocce nate dalla sua superficie. Holmes si era voltato verso quel mare di nebbia, e un'espressione di impazienza gli sfuggì dalle labbra mentre osservava il movimento lento. - Sta avanzando verso di noi, Watson. 

- È grave? 

- É gravissimo... è in realtà la sola cosa al mondo che avrebbe potuto scompigliare i miei piani. Non può tardare molto, ormai. Sono già le dieci. Il nostro successo e la vita stessa di Sir Henry possono dipendere dal fatto che egli esca prima che la nebbia si addensi sul sentiero. 

Sopra di noi la notte era chiara e serena. Le stelle lucevano fredde e vive, mentre una fetta di luna bagnava tutto il paesaggio di una luce morbida e incerta. Davanti a noi si stendevano la massa scura della casa, il suo tetto dentellato e gli aguzzi camini nitidamente sagomati contro il cielo striato d'argento. Raggi di luce dorata si allungavano dalle finestre del piano terreno, attraverso l'orto e fin sulla landa. Uno di questi fasci si spense improvvisamente. I domestici avevano lasciato la cucina. Ora rimaneva solo la lampada della sala da pranzo, dove i due uomini, l'anfitrione omicida e l'ospite ignaro, ancora chiacchieravano, tra una boccata di fumo e l'altra dei loro sigari. 

Di minuto in minuto la bianca coltre lanosa che copriva metà della landa si andava avvicinando sempre piú alla casa di Stapleton. Già le prime nuvolette sottili si avvolgevano intorno all'aureo riquadro della finestra illuminata. Già il muro piú lontano dell'orto era divenuto invisibile, e gli alberi erano avvolti in un turbinio di candido vapore. Mentre osservavamo il fenomeno, le aureole di nebbia avanzarono strisciando verso i due angoli della casa e si fusero lentamente in un unico banco fittissimo, sul quale il piano superiore e il tetto fluttuavano come una nave irreale su un mare d'ombra. Holmes batté la mano in un gesto di disperazione contro il masso che aveva di fronte, e picchiò per terra il piede con impazienza. 

- Se non esce tra un quarto d'ora, il sentiero sarà tutto coperto, e tra mezz'ora non saremo in grado di vedere nemmeno le nostre mani. 

- Dobbiamo spostarci piú indietro, in un punto più alto?  - Credo che sia meglio. 

Così, mentre il banco di nebbia procedeva, avanzando inesorabilmente, noi ci ritraemmo dinanzi ad esso fino a quando fummo a mezzo miglio dalla casa; ma, senza soste, quel denso muro bianco, con la luna che ne inargentava il margine superiore, avanzava lento e spietato, sempre piú vicino. 

- Ci stiamo allontanando troppo - osservò Holmes. - Non possiamo correre il rischio che sia raggiunto prima che possa raggiungere noi. Bisogna che restiamo a tutti i costi dove siamo. - Si lasciò cadere in ginocchio e accostò l'orecchio al suolo. - Sia ringraziato il cielo! Mi sembra di sentirlo arrivare. 

Un rumore di passi veloci ruppe il silenzio della landa. Appiattati fra le pietre, fissammo con un'intensità quasi dolorosa il banco di nebbia soffuso d'argento che si stendeva dinanzi a noi. I passi divennero piú forti, e attraverso la foschia, come attraverso una tenda, uscì l'uomo che stavamo aspettando. Si guardò attorno sorpreso di emergere nella notte chiara, stellata. Poi riprese a camminare rapidamente lungo il sentiero, passò vicino al punto in cui noi eravamo nascosti, e proseguì su per il lungo pendio alle nostre spalle. Mentre camminava si guardava continuamente indietro, come un uomo che si senta inquieto. 

- Attenzione! - esclamò Holmes, e udii il secco rumore di una pistola che veniva armata. - Attenzione ! Arriva ! 

Venne al nostro orecchio uno pestare sommesso, scricchiolante, continuo, che usciva dal fitto di quel banco strisciante di nebbia. La nube era a cinquanta metri circa dal nostro nascondiglio, e noi la fissavamo tutti e tre, senza sapere quale sarebbe stato l'orrore che stava per uscirne. Io ero al fianco di Holmes, e per un attimo lo vidi in volto. Era pallido, esultante, e i suoi occhi avevano una luce innaturale nel chiarore lunare. Ma a un tratto si irrigidirono in uno sguardo fisso, come impietrito, e le sue labbra si socchiusero in muto sbalordimento. Nel medesimo istante Lestrade lanciò un urlo di terrore e si buttò prono sul terreno. Io balzai in piedi mentre la mia mano inerte stringeva la pistola, la mente paralizzata dalla spaventosa apparizione che era balzata di fronte a noi attraverso le spirali della nebbia. Era un cane, un cane enorme, nero come la pece, ma non un cane che occhi mortali potessero aver mai veduto. Dalla bocca spalancata, quella creatura mostruosa eruttava fuoco, e i suoi occhi lucevano di una fiamma smorzata, e il muso, la giogaia, la gola erano delineati da un vacillante bagliore. Mai, neppure nei sogni allucinati di un cervello impazzito sarebbe stato possibile concepire qualcosa di piú spaventoso, di piú ossessionante, di piú infernale di quella forma scura, di quell'apparizione selvaggia che ci comparve improvviso davanti uscendo dal muro di nebbia. 

A lunghi balzi l'enorme mostro nero avanzava lungo la pista, seguendo dappresso le orme del nostro amico. Restammo talmente paralizzati da quella visione che lo lasciammo passare prima di aver ricuperato il nostro sangue freddo; ma subito Holmes e io sparammo insieme, e il mostro lanciò un ululato spaventoso che ci dimostrò come almeno uno di noi lo avesse colpito. Non si fermò tuttavia, ma continuò a correre a grandi balzi. Lontano sul sentiero vedemmo Sir Henry voltarsi, il volto pallidissimo nella luce lunare, le mani alzate in un gesto di orrore, gli occhi fissi disperatamente sull'essere pauroso che gli stava dando la caccia. 

Ma quel grido di dolore lanciato dall'animale aveva disperso ai venti tutti i nostri timori. Se era vulnerabile era dunque mortale, e se ci era stato possibile ferirlo ci sarebbe stato certamente possibile ucciderlo. Non vidi mai correre nessuno come vidi correre Holmes quella notte. É risaputo che io sono veloce, ma Holmes mi superò con la stessa facilità con cui io superavo il piccolo ispettore. Davanti a noi, mentre letteralmente volavamo lungo la pista, udimmo echeggiare le urla ripetute di Sir Henry e il pauroso ululato del mastino. Ebbi appena il tempo di vedere l'animale balzare sulla propria vittima, scaraventarla al suolo e attaccarglisi alla gola. Ma un attimo dopo Holmes aveva vuotato i cinque colpi del suo revolver nei fianchi dell'animale. Con un ultimo latrato d'agonia e un pauroso salto in aria la bestia rotolò sul dorso, con le quattro zampe annaspanti furiosamente, sinché giacque inerte su un lato. Mi fermai boccheggiando e puntai la mia pistola su quella spaventosa testa grondante luce, ma era inutile premere il grilletto. Il gigantesco cane era morto. 

Sir Henry giaceva privo di sensi nel punto in cui era caduto. Gli strappammo il colletto, e Holmes formulò una preghiera di ringraziamento quando comprese che non vi erano tracce di ferite e che eravamo arrivati in tempo. Già il nostro amico cominciava a muovere le palpebre e fece persino un debole tentativo di rialzarsi. Lestrade ficcò tra i denti del baronetto la sua fiaschetta di acquavite, e due occhi spaventati si fissarono su di noi. 

- Dio mio! - mormorò Sir Henry. - Che cos'era? che cos'era, in nome del cielo? 

- Qualunque cosa fosse, è morto - rispose Holmes. - Abbiamo sistemato una volta per sempre il suo spettro di famiglia. 

L'animale che giaceva disteso esanime davanti a noi, solo per forza e dimensioni era terribile a vedersi. Non era un cane poliziotto puro e nemmeno era un mastino puro; ma sembrava un incrocio dei due... era magro, selvaggio e grande quanto una piccola leonessa. Persino ora, nell'immobilità della morte, le enormi mascelle sembravano grondare fiamme bluastre, e gli occhi piccoli, infossati, crudeli, erano cerchiati di fuoco. Posai la mano sul suo muso luccicante, e quando la tolsi anche le mie dita presero a brillare e a scintillare nell'oscurità. - Ma questo è fosforo! - esclamai. 

- Preparato con molta arte - confermò Holmes annusando l'animale esanime. - Non ha nessun odore che potesse interferire con la sua capacità di fiuto. Le dobbiamo infinite scuse, Sir Henry, per averla esposta a un così grande spavento. Io ero preparato a vedermi davanti un cane, ma non un mostro come questo! La nebbia poi ci ha concesso ben poco tempo per riceverlo degnamente. 

- Voi mi avete salvato la vita. 

- Non senza però averla prima messa in pericolo. Se la sente di alzarsi in piedi? 

- Datemi un'altra sorsata di acquavite, e mi sentirò pronto a tutto. Ecco! E adesso, se volete aiutarmi ad alzarmi, che cosa proponete di fare? 

- Lasciarla qui. Lei non è piú in condizioni per questa notte di sopportare altre avventure. Se vorrà aspettarci, qualcuno di noi la riaccompagnerà al Castello. 

Sir Henry tentò di rizzarsi in piedi, ma era ancora pallido e tremava come una foglia. Lo adagiammo su un masso, dove si rannicchiò rabbrividendo e nascondendosi il viso tra le mani. 

- E adesso bisogna che la lasciamo - disse Holmes. - Dobbiamo sbrigare il resto del nostro lavoro, e ogni attimo può essere di importanza capitale. Abbiamo ormai in mano la chiave dell'enigma, e ora dobbiamo prendere il nostro uomo. 

- Abbiamo una probabilità su mille di trovarlo in casa - proseguì mentre ritornavamo rapidamente su per il sentiero. - La sparatoria deve averlo avvertito che il suo gioco è stato scoperto. 

- Eravamo parecchio lontani, e può darsi che la nebbia abbia smorzato i colpi! 

- Deve avere seguito il cane per richiamarlo indietro: di questo può essere sicuro. No, no, se n'è andato ormai! 

Ma perquisiremo la casa e ce ne accerteremo. 

La porta d'ingresso era aperta; ci precipitammo dunque in casa e corremmo di stanza in stanza, sbalordendo un vecchio domestico semirimbambito che ci venne incontro nel corridoio. C’era luce solo nella sala da pranzo, ma Holmes afferrò la lampada e non lasciò un solo angolo della casa inesplorato. Non ci fu però possibile trovar traccia dell'uomo che stavamo cercando. Tuttavia all'ultimo piano vedemmo che la porta di una delle camere da letto era chiusa a chiave. 

- Qui dentro c'è qualcuno! - gridò Lestrade. - Sento del rumore. Aprite la porta! 

Dall'interno giunse un gemito sommesso e come un fruscio. Holmes colpì la porta, proprio al disopra della serratura, con un violento calcio, e l'uscio si spalancò. Brandendo le pistole ci precipitammo - tutti e tre nella stanza. Ma non vi era alcun segno del criminale spietato e temerario che noi speravamo di scovare. 

Ci trovammo invece di fronte un oggetto così strano e così inatteso che per un attimo restammo come inebetiti. 

La stanza era stata trasformata in un piccolo musco, e le pareti erano tutte ricoperte di una grande quantità di bacheche dal coperchio di vetro, piene della collezione di farfalle e di falene che era stata la distrazione di quell'uomo così complesso e così pericoloso. Nel centro di questa stanza era conficcato un trave diritto, che vi era stato posto chi sa quando per reggere il vecchio fasciame corroso dai tarli che formava la soletta del tetto. A questa specie di palo era legata una figura talmente avvolta e celata nelle lenzuola che erano servite a imprigionarla, che per un attimo non ci fu possibile dire se si trattava di un uomo o di una donna. Aveva un tovagliolo attorno alla gola, il quale era stato annodato dietro il pilastro. Un altro tovagliolo copriva la parte inferiore del viso, e al disopra di questo bavaglio due occhi scuri, due occhi pieni di dolore e di vergogna e di una muta spaventosa interrogazione ci fissavano. In un attimo avevamo disfatto il bavaglio, recisi i legami, e la signora Stapleton si afflosciò al suolo dinanzi a noi. Mentre la sua bellissima testa le ricadeva sul petto, le vidi chiaramente attorno al collo il segno rosso di una frustata. 

- Farabutto! - gridò Holmes. - Su, presto, Lestrade, la sua fiaschetta d'acquavite. - Poi, accennando alla donna: - Mettiamola a sedere su una sedia! É svenuta per i maltrattamenti. 

La donna riaprì gli occhi. - É salvo? - domandò. - É riuscito a salvarsi? 

- Non ci può sfuggire, signora. 

- No, no, non intendevo mio marito, ma Sir Henry. É salvo? 

- Sì  

- E il cane?  

- É morto. La signora emise un profondo sospiro di gioia. - Grazie al cielo! Grazie al cielo! Oh! Guardate come mi ha trattata! - Si rimboccò le maniche sul gomito, e noi potemmo constatare con orrore che aveva le braccia tutte chiazzate di lividi. - Ma questo non è nulla... non è nulla! Sono il mio spirito e la mia mente che ha torturato e sporcato. Potevo sopportare tutto, i maltrattamenti, la solitudine, una vita di inganni, qualsiasi cosa, fino a quando mi era possibile aggrapparmi alla speranza che mi amasse, ma ora so che anche in questo sono stata il suo zimbello e il suo strumento. - E così dicendo ruppe in un singhiozzo disperato. 

- Lei non prova certo tenerezza per lui, signora - disse Holmes. - Ci dica dunque dove possiamo scovarlo. Se lei lo ha aiutato a compiere il male, aiuti adesso noi e questo le servirà da riscatto. 

- C’è solo un posto dove può essere fuggito - rispose la donna. - È una vecchia miniera di stagno, su un isolotto nel cuore della Palude. Là teneva il suo cane, e là pure aveva sistemato le cose in modo da potervisi eventualmente rifugiare. Deve essere là. 

Il banco di nebbia si addensava come un drappo di lana bianca contro la finestra. Holmes vi avvicinò la lampada. 

- Osservi - disse. - Nessuno riuscirebbe a trovare la propria strada stanotte attraverso la Palude di Grimpen. 

La donna rise e batté le mani. I suoi occhi e i suoi denti lucevano di un'allegria feroce. 

- Riuscirà a entrare, ma non certo a uscire! - esclamò. -Come farà a rintracciare i paletti indicatori, stanotte? Li abbiamo piantati insieme, lui e io, per segnare il percorso attraverso la Palude. Ah, se solo fossi riuscita a strapparli oggi! In questo caso sì che lo avreste avuto indubbiamente in mano vostra! 

Era evidente che ogni inseguimento era vano fino a quando la nebbia non si fosse diradata. Lasciammo pertanto Lestrade a guardia della casa, mentre Holmes e io ritornammo col baronetto al Maniero di Baskerville. Non era piú possibile nascondergli la verità sugli Stapleton, ma egli, quando apprese la vera identità della donna che aveva amato, ricevette la notizia con coraggio. Il contraccolpo delle avventure di quella notte aveva però scosso i suoi nervi, e il mattino seguente delirava in preda a febbre altissima, affidato alle cure del dottor Mortimer. I due erano destinati a viaggiare insieme per il mondo prima che Sir Henry potesse ridiventare ancora una volta l'uomo sano e vigoroso che era stato prima di divenire il proprietario di tanta ricchezza maledetta. 

 

Ed eccomi giungere ora rapidamente alla conclusione di questa singolare vicenda, in cui ho cercato di far capire al lettore le misteriose paure e le vaghe ipotesi che per tanto tempo ottenebrarono le nostre esistenze e che si conclusero in modo così tragico. Il mattino successivo all'uccisione del mastino la nebbia si diradò e noi fummo guidati dalla signora Stapleton nel punto in cui lei e il marito avevano trovato un sentiero attraverso il pantano. Potemmo comprendere in pieno l'orrore della sua vita di donna quando vedemmo con quanta impazienza e quanta gioia ci portava sulle tracce del criminale. La lasciammo in piedi sulla sottile penisola di terreno solido, torboso, che si allungava nel vasto acquitrino. Dall'estremità di essa alcuni paletti piantati qua e là indicavano dove il sentiero si inoltrava serpeggiando, da un cespuglio all'altro di giunchi, tra quelle pozze coperte di una schiuma verdastra e i ributtanti pantani che sbarravano la strada a chi non era pratico del luogo. Canne putrescenti e lucide, sdrucciolevoli piante acquatiche emanavano un odore di disfacimento, e pesanti vapori carichi di miasmi ci raggiungevano a zaffate in pieno viso, e piú di una volta un passo falso ci tuffò fino alle cosce in quel fango scuro, mobile, che si moveva in morbide onde sotto i nostri piedi, per metri e metri. La sua morsa tenace ci stringeva le calcagna man mano che procedevamo, e quando vi affondavamo era come se una mano perversa ci tirasse giú in quelle ributtanti profondità, tanto lugubre, tanto paurosamente viva sembrava la stretta che ci tratteneva. Solo una volta scorgemmo la traccia di qualcuno che certamente era passato prima di noi lungo quel pericoloso cammino. Da un ciuffo di erba serica che lo teneva sollevato dal fango, apparve un oggetto scuro. Holmes affondò sino alla vita mentre si staccava dal sentiero per impadronirsene, e se non fossimo stati lì noi a trascinarlo fuori, probabilmente non avrebbe mai piú rimesso piede sul terreno saldo. Agitò in aria una vecchia scarpa nera. Sull'interno del cuoio era stampato "Meyers, Toronto". 

- Valeva la pena di fare un bagno di fango - disse. - È la scarpa rubata al nostro amico Sir Henry. - Che certamente Stapleton ha buttato via durante la fuga. 

- Proprio così. Egli deve averla conservata in mano dopo essersene servito per aizzare il cane sulla traccia. Deve essere poi fuggito, quando si è accorto di essere stato scoperto, sempre stringendo la scarpa in mano. E deve averla gettata via giunto a questo punto della sua fuga. Sappiamo così che è arrivato almeno fino a qua. 

Ma piú di questo eravamo destinati a non sapere mai, per quanto ci fosse consentito fare congetture. Non vi era alcuna speranza di rilevare impronte nel fango, poiché venivano ricoperte rapidamente; ma non appena avemmo raggiunto un tratto di terreno piú solido, al di là della Palude, ci guardammo tutti intorno con ansia, senza però vedere la minima traccia di impronte. Se il terreno non ha ingannato, Stapleton non deve mai aver raggiunta l'isola di salvezza verso la quale si affrettava attraverso la nebbia in quell'ultima notte. In qualche punto imprecisato, nel cuore della grande Palude di Grimpen, nel fango ripugnante dello sterminato pantano che lo ha risucchiato nelle sue spire, è sepolto per sempre quell'uomo crudele e spietato. 

Trovammo però molte tracce di lui nell'isolotto cinto di melma dove egli aveva tenuto nascosto il suo feroce alleato. Una immensa ruota motrice e un pozzo pieno per metà di rifiuti indicavano la posizione di una miniera abbandonata. In prossimità vi erano i resti in rovina delle capanne dei minatori, messi in fuga senza dubbio dagli insopportabili miasmi del palude circostante. In una di quelle capanne diroccate una sbarra e una catena, oltre a un gran mucchio di ossa spolpate, rivelavano il luogo dove l'animale era stato rinchiuso. Tra gli avanzi giaceva uno scheletro con ancora appiccicato un ciuffo di peli neri. 

- Un cane - disse Holmes. - Per Giove, uno spaniel dal pelo ricciuto. Il povero Mortimer non rivedrà mai piú il suo amico. Beh, non credo che qui vi siano segreti irrisolti. Poteva nascondere il suo cane, ma non poteva soffocarne la voce, ed ecco il perché di quelle urla che anche in pieno giorno non erano affatto piacevoli a udirsi. In caso di necessità poteva rinchiudere il cane nel casotto per attrezzi di Merripit, ma era sempre un rischio, e osò farlo soltanto proprio l'ultimo giorno, quando riteneva che tutti i suoi sforzi volgessero ormai alla conclusione desiderata. La specie di pasta che c'è in quella latta è senza dubbio la miscela luminosa che gli servì per spalmare l'animale e renderlo fosforescente. Questo trucco gli fu certamente suggerito dalla leggenda di famiglia del cane infernale, e lo attuò con l'intenzione di spaventare il vecchio Sir Charles sino a farlo morire di paura. Non c’è da stupirsi se quel povero disgraziato di evaso si mise a correre e a urlare, come successe al nostro amico, e come fummo noi stessi sul punto di fare, quando vide un simile mostro lanciarsi a grandi balzi attraverso le tenebre della landa dietro di sè. Fu uno stratagemma molto astuto poiché, indipendentemente dalla possibilità di affrettare con la paura la morte della propria vittima, quale contadino si sarebbe avventurato ad avvicinarsi a un simile mostro quand'anche lo avesse avvistato sulla brughiera? Gliel'ho detto a Londra, Watson, e lo ripeto adesso ancora una volta, che mai ci siamo trovati di fronte e mai abbiamo avuto la possibilità di abbattere un criminale piú pericoloso di quello che adesso giace laggiú... - E con un moto circolare del lungo braccio indicò l'enorme distesa di melma, rotta da macchie verdastre, che si stendeva a perdita d'occhio fino a lambire i pendii della landa. 

 

XV 

Era la fine di novembre, e Holmes e io sedevamo, in una sera rigida e nebbiosa, nelle nostre poltrone davanti a un fuoco scoppiettante che ardeva nel camino del nostro salotto di Baker Street. Dopo la tragica conclusione del nostro soggiorno nel Devonshire, Holmes era stato occupato in due casi della massima importanza, nel primo dei quali egli aveva rivelato la spaventosa condotta del colonnello Upwood nel famoso scandalo di gioco del Nonpareil Club, mentre nel secondo aveva difeso la sfortunata signora Montpensier dall'accusa di assassinio che pendeva sul suo capo in seguito alla morte della propria figliastra, signorina Carère, la quale fu invece ritrovata sei mesi dopo, come si rammenterà, viva e sposata a New York. Il mio amico era di ottimo umore per il successo che aveva incontrato in un susseguirsi di casi cosi importanti e difficili, di modo che mi fu possibile persuaderlo a discutere dei particolari inerenti al mistero Baskerville. Avevo atteso con pazienza quest'occasione, poiché sapevo che non avrebbe mai consentito a far sì che i suoi casi si sovrapponessero gli uni agli altri; la sua mente logica e chiara non si sarebbe mai lasciata distogliere dalle opere del presente per rimuginare i ricordi del passato. Sir Henry e il dottor Mortimer si trovavano a Londra, in procinto di iniziare quel lungo viaggio che era stato raccomandato al baronetto affinché si rimettesse dal lieve esaurimento nervoso dovuto ai fatti. Erano venuti a trovarci quel pomeriggio stesso; era perciò naturale che intavolassimo la conversazione su questo argomento. 

- L'intero corso degli avvenimenti - incominciò Holmes - dal punto di vista di colui che si faceva chiamare 

Stapleton, fu semplice e diretto, per quanto a noi, che all'inizio non avevamo alcun mezzo per conoscere il movente delle sue azioni e potevamo solo aver percezione di una parte sola dei fatti, tutta la situazione fosse apparsa straordinariamente complicata. Io ho avuto il vantaggio di potermi intrattenere due volte con la signora Stapleton, e il problema è ormai cosi compiutamente chiarito che non credo ci rimangano ancora angoli bui su cui indagare. Lei troverà alcuni appunti in merito sotto la lettera B, nella mia lista di casi per ordine alfabetico. 

- Potrebbe forse farmi un riassunto dei fatti, così a memoria? 

- Certamente, anche se non le garantisco di ricordarmi tutto, punto per punto. Una intensa concentrazione mentale possiede la curiosa caratteristica di cancellare quel che è passato. 

 L'avvocato penalista che tiene il proprio processo sulla punta delle dita, ed è in grado di discutere minutamente con un collega dell'argomento, si accorge che dopo una settimana o due dalla discussione del caso ogni ricordo di esso gli è uscito dalla testa. Allo stesso modo ciascuno dei miei problemi sposta l'ultimo, e la signora Carère ha completamente cancellato in me ogni ricordo del Maniero di Baskerville. Domani il primo caso anche secondario che venga sottoposto al mio giudizio scaccerà dalla mia mente la graziosa fanciulla francese e l'infame Upwood. Per quanto riguarda la faccenda del cane, cercherò comunque di riferirle il corso degli accadimenti quanto piú esattamente mi sarà possibile, e lei mi verrà in soccorso là dove la mia memoria può essere fallace. 

"Le mie ricerche dimostrano senza possibilità di dubbio che il ritratto di famiglia non ha mentito, e che quell'uomo era in realtà un Baskerville. Era un figlio di quel Rodger Baskerville, il fratello piú giovane di Sir Charles, che fuggi nell'America del Sud con una reputazione tutt'altro che perfetta, e che si credeva fosse morto scapolo. In realtà si sposò, ed ebbe un figlio, questo individuo, il cui vero nome era lo stesso del padre. Costui sposò Beryl Garcia, una delle bellezze di Costarica, e dopo essersi appropriato una somma ragguardevole appartenente a un ente pubblico, mutò il proprio nome in quello di Vandeleur e riparò in Inghilterra, dove fondò una scuola nella regione orientale dello Yorkshire. Il motivo per il quale tentò questa particolare professione fu che egli aveva stretto conoscenza, nel viaggio di ritorno in patria, con un professore affetto da tubercolosi, e si era servito delle conoscenze di questi per fare di questa impresa un successo. Fraser, così si chiamava il professore, tuttavia morì, e la scuola, che si era iniziata sotto buoni auspici, cadde in discredito e finì nell'infamia. I Vandeleur ritennero opportuno cambiare ancora una volta il loro nome in Stapleton, ed egli portò i resti della sua sostanza, i suoi progetti per l'avvenire e la sua passione per l'entomologia nel Sud dell'Inghilterra. Ho saputo al Museo Britannico che era riconosciuto come un'autorità in materia, e che il nome di Vandelcur rimarrà perennemente ricordato per un particolare tipo di falena che egli fu il primo a descrivere durante il suo soggiorno nello Yorkshire. 

"Veniamo ora a quella parte della sua esistenza che si è dimostrata di tanto vivo interesse per noi. Evidentemente quest'uomo aveva fatto le sue ricerche, e aveva scoperto che due vite soltanto si frapponevano tra lui e un patrimonio considerevolissimo. Quando si stabilì nel Devonshire i suoi piani dovevano essere, ritengo, straordinariamente vaghi, ma che egli intendesse recar danno sin dal principio appare evidente dal particolare che egli fece credere che sua moglie fosse sua sorella. Il progetto di servirsi di lei come esca era già chiaro nella sua mente, anche se non era ancora perfezionato nei particolari. Sua intenzione era di ottenere in definitiva la ricchezza, e a questo scopo era pronto a usare qualsiasi mezzo e a correre qualsiasi rischio. La sua prima mossa fu di stabilirsi il piú vicino possibile alla dimora dei suoi avi, e la seconda fu di coltivare rapporti di amicizia con Sir Charles Baskerville e gli altri vicini. 

"Fu lo stesso baronetto a narrargli la leggenda familiare relativa al mastino, scavandosi così inconsapevolmente la fossa con le sue stesse mani. Stapleton, come continuerò a chiamarlo, sapeva che il vecchio soffriva di cuore e che sarebbe bastata un'emozione violenta per ucciderlo. Lo aveva saputo dal dottor Mortimer, e aveva inoltre saputo che Sir Charles era superstizioso e aveva preso molto sul serio la tetra leggenda. La sua mente ingegnosa gli suggerì istantaneamente il mezzo con cui far morire il baronetto, senza che per questo la colpa potesse ricadere sul vero assassino. 

"Una volta concepito questo piano, procedette a metterlo in esecuzione con astuzia non comune. Un malfattore volgare si sarebbe accontentato di operare con un cane feroce; ma l'uso di mezzi artificiali per rendere diabolico l'animale fu da parte sua un vero lampo di genio. Comprò un cane a Londra, da Ross & Mangles, i grandi negozianti della Fulham Road. Era il piú forte e il piú selvaggio che avessero. Lo portò con sé lungo la linea del North Devon, e attraversò a piedi la landa per un lungo tratto, per poterlo condurre a casa senza suscitar commenti. Durante le sue cacce entomologiche aveva già cominciato a penetrare i segreti della Palude di Grimpen, scovando così un nascondiglio sicuro per l'animale. Gli preparò laggiú un canile di fortuna e attese l'occasione propizia. 

"Trascorse parecchio tempo prima che questa si presentasse. I1 vecchio signore non si lasciava attirare di notte, fuori del proprio terreno. Piú di una volta, Stapleton si mise all'agguato col suo mastino, ma senza successo. Durante questi appostamenti infruttuosi, egli, o meglio il suo alleato, fu avvistato dai contadini, di modo che la leggenda del cane diabolico ricevette nuove conferme. Stapleton aveva sperato di indurre Sir Charles alla rovina facendosi aiutare dalla moglie, ma su questo punto la donna rivelò una disobbedienza inattesa. Ella non volle prestarsi ad abbindolare il vecchio gentiluomo, attirandolo in un'avventura sentimentale che lo avrebbe consegnato al proprio nemico. Non valsero a smuoverla né minacce, né, spiace dirlo, percosse. Si rifiutò nel modo piú assoluto di sottomettersi ai voleri del marito, e per un certo tempo Stapleton si trovò di fronte a un vicolo cieco. 

"Per fatalità, ad offrirgli una via d'uscita fu lo stesso Sir Charles, il quale aveva concepito per lui una viva simpatia, e fece di lui il messaggero della propria generosità verso quella sciagurata Laura Lyons. Presentandosi alla signora come scapolo, Stapleton acquistò su lei un ascendente assoluto, e le diede ad intendere che l'avrebbe sposata, nell'eventualità che ella avesse ottenuto il divorzio dal proprio marito. Improvvisamente, i suoi piani furono scombussolati dalla notizia che Sir Charles stava per lasciare il Maniero su consiglio del dottor Mortimer, con l'opinione del quale egli fingeva di essere perfettamente d'accordo Doveva, pertanto, agire subito, altrimenti la vittima gli sarebbe sfuggita di mano. Spinse la signora Lyons a scrivere quella lettera in cui implorava il vecchio di concederle un colloquio la sera precedente alla sua partenza per Londra, poi, con un argomento ingarbugliato, le impedì di andare all'appuntamento, e così ebbe l'occasione tanto attesa. 

"Ritornato la sera da Coombe Tracey, fece in tempo ad andare a prendere il suo mastino, a imbrattarlo con quella sua pittura infernale e a portare l'animale davanti al cancello presso il quale egli aveva motivo di ritenere che il vecchio signore si sarebbe trovato in attesa. Il cane, aizzato dal suo padrone, balzò al di là del cancelletto e inseguì il disgraziato Sir Charles, che si diede a fuggire urlando lungo il Viale dei Tassi. In quella cupa galleria d'alberi deve essere stato davvero uno spettacolo spaventoso la vista di quella belva nera dalle mandibole fiammeggianti e dagli occhi infocati che si lanciava a grandi balzi dietro la propria vittima. Il baronetto si accasciò esanime all'estremità del viale, vittima di un attacco cardiaco e al tempo stesso di un terrore senza nome. Il mastino si era tenuto sulla fascia erbosa, mentre Sir Charles era corso giú per il sentiero, di modo che erano rimaste visibili soltanto le impronte dell'uomo. Nel vederlo disteso immobile, l'animale dovette probabilmente avvicinarsi ad annusarlo, ma accorgendosi che era morto ritornò indietro. Fu in questo momento che lasciò l'orma osservata in seguito dal dottor Mortimer. Il cane venne richiamato e ricondotto in fretta nella sua tana nella Palude di Grimpen, e la tragedia rimase avvolta in un mistero che lasciò perplesse le autorità, allarmati i contadini, e portò infine il caso ala nostra attenzione. 

"Questo per quanto riguarda la morte di Sir Charles Baskerville. Lei si rende conto dell'astuzia diabolica con cui il delitto fu commesso, poiché sarebbe stato in realtà quasi impossibile emettere un atto d'accusa contro il vero assassino. Il suo unico complice era di natura tale che mai lo avrebbe tradito, e il carattere grottesco e inconcepibile dello stratagemma serviva a rendere la situazione ancor piú misteriosa. Le due donne coinvolte nella vicenda, la signora Stapleton e la signora Lyons, rimasero fortemente insospettite nei confronti di Stapleton. La signora Stapleton sapeva che il marito intendeva perpetrare qualche oscura macchinazione contro il vecchio, ed era inoltre al corrente dell'esistenza del cane. La signora Lyons, invece, ignorava questi due fatti, ma l'aveva impressionata la singolare coincidenza che la morte di Sir Charles fosse avvenuta proprio alla stessa ora in cui lei aveva rinunciato a un appuntamento noto soltanto all'ucciso e a Stapleton. Ma entrambe le donne erano sotto l'influenza del criminale, e da loro egli non aveva nulla da temere. La prima metà della sua impresa era stata portata a termine con successo, ma restava ancora la parte piú difficile. 

"Può darsi che Stapleton ignorasse l'esistenza al Canada di un erede. In ogni caso dovette apprenderla ben presto dal dottor Mortimer, e da questi apprese anche tutti i particolari relativi alla venuta di Sir Henry. La prima idea di Stapleton fu che questo giovane straniero potesse essere messo fuori causa a Londra, senza neppure lasciarlo arrivare nel Devonshire. Non si fidava piú della moglie da quando si era rifiutata di aiutarlo ad attirare in trappola il vecchio, e non si arrischiava perciò ad assentarsi a lungo per tema di perdere il suo influsso su di lei. Ecco perché la condusse a Londra con sé. Seppi poi che erano discesi al Mexborough Private Hotel, in Craven Street, precisamente uno degli alberghi in cui si recò il mio giovane aiutante in cerca di prove. Qui Stapleton tenne la moglie imprigionata nella propria stanza, mentre egli, camuffato da una barba finta, seguì il dottor Mortimer in Baker Street, e di qui alla stazione e poi al Northumberland Hotel. La moglie aveva intuito i suoi progetti; ma aveva un tale terrore del marito, un terrore fondato su maltrattamenti brutali, che non osò scrivere di proprio pugno per avvertire Sir Henry del pericolo che correva. Se la lettera fosse caduta nelle mani di Stapleton, la sua stessa esistenza sarebbe stata in pericolo. Allora, come sappiamo, adottò l'espediente di ritagliare le parole che formavano il messaggio, indirizzando la lettera con scrittura falsificata. Questo messaggio arrivò al baronetto e gli diede un primo avvertimento della minaccia che incombeva su di lui. 

"Occorreva in modo assoluto a Stapleton qualche articolo di vestiario di proprietà di Sir Henry, per avere a disposizione, nel caso si fosse trovato costretto a servirsi del cane, il mezzo per mettere quest'ultimo sulle piste della vittima. Con prontezza e audacia si mise subito all'opera, e non c’è dubbio che sia il facchino sia la cameriera dell'albergo ottennero una buona mancia per aiutarlo nel suo scopo. Per caso, però, la prima scarpa che egli riuscì a procurarsi era nuova, e perciò inservibile ai suoi fini. La restituì quindi e ne ottenne un'altra: particolare assai interessante e che mi dimostrò in modo conclusivo che avevamo a che fare con un cane vero, poiché nessun'altra ipotesi avrebbe potuto spiegare questo trafugamento di una scarpa vecchia e il disinteresse per quella nuova Quanto piú un particolare è esagerato e strano, tanto piú merita di essere osservato con attenzione, e proprio il punto che sembra complicare un caso, se debitamente studiato e scientificamente approfondito, è quello che di solito finisce per chiarirlo. 

"Ci fu poi, la mattina seguente, la visita dei nostri amici sempre pedinati da Stapleton in carrozza. Dalla sua conoscenza del nostro appartamento e del mio aspetto, come pure dalla sua condotta in genere, sono propenso a ritenere che la carriera delittuosa di Stapleton non si è affatto limitata al solo caso Baskerville. Giova rilevare che durante questi ultimi tre anni ci sono stati quattro grossi furti con scasso nella zona occidentale del nostro paese, in nessun dei quali fu mai possibile arrestare alcun indiziato. L'ultimo di questi casi, avvenuto in maggio a Folkestone Court, rese perplessi gli organi della polizia per il sangue freddo con cui venne ucciso a pistolettate il fattorino che aveva sorpreso sul fatto lo scassinatore mascherato e isolato. Io sono sicuro che Stapleton rimpolpava con questi sistemi le sue scarse risorse, e che si comportò per anni come un disperato pericoloso. 

"Ci diede un esempio della sua prontezza di spirito quella mattina in cui si sganciò da noi con tanto successo, nonché della sua audacia quando per mezzo del vetturino mi rimandò come suo il mio nome. Da quel momento comprese che io mi ero assunto il compito di occuparmi del caso a Londra, e che pertanto ogni probabilità di riuscita in città per lui era scomparsa. Ritornò quindi a Dartmoor ad attendere l'arrivo del baronetto. " 

- Un momento! - dissi. - Lei mi ha senza dubbio descritto con esattezza il susseguirsi dei fatti, ma c’è un punto irrisolto. Che cosa succedeva del mastino mentre il suo padrone era a Londra? 

- Ho studiato anche questo particolare, che ha indubbiamente la sua importanza. È fuor di dubbio che Stapleton doveva avere un confidente, per quanto sia improbabile che egli si sia mai messo tanto in mano sua da fargli conoscere tutti i suoi piani. A Merripit House c'era un vecchio domestico di nome Anthony. Si sa che viveva con gli Stapleton da parecchi anni, sin da quando avevano la scuola; perciò non poteva essere all'oscuro del fatto che i padroni erano in realtà marito e moglie. Quest'uomo è scomparso e ha lasciato il paese. Ora è interessante notare che Anthony non è un nome comune in Inghilterra, mentre Antonio è diffusissimo in tutti i paesi spagnoli o ispano-americani. Quest'uomo, al pari della signora Stapleton, parlava un inglese corretto, ma con una strana pronuncia. Ho visto io stesso coi miei occhi questo vecchio domestico attraversare la Palude di Grimpen lungo il sentiero contrassegnato da Stapleton. É perciò molto probabile che in assenza del padrone fosse lui ad avere cura del cane, pur ignorando gli scopi a cui la bestia era destinata. 

"Gli Stapleton ritornarono quindi nel Devonshire, dove furono ben presto seguiti da Sir Henry e da lei, Watson. E adesso una parola sulla mia posizione personale in quel preciso momento. Lei forse rammenterà che quando esaminai il foglio su cui erano incollate le parole stampate, ispezionai attentamente la filigrana. Nel far questo dovetti avvicinare alquanto il foglio agli occhi, e mi accorsi che da esso emanava un profumo debolissimo, noto col nome di Gelsomino Bianco. Esistono settantacinque profumi che un esperto di criminologia deve saper distinguere gli uni dagli altri, e piú di un caso caduto sotto la mia diretta esperienza è stato da me risolto grazie a questa rapida individuazione. I1 profumo suggeriva la presenza di una donna, e subito i miei pensieri incominciarono a rivolgersi verso gli Stapleton. Già mi ero assicurato dell'esistenza di un cane, e avevo sospettato il criminale ancor prima di recarmi sul posto. 

“Il mio compito era spiare Stapleton; era però evidente che non avrei potuto fare questo se fossi rimasto con lei, Watson, perché in questo caso egli si sarebbe tenuto attentarnente in guardia. Ingannai perciò tutti quanti, lei compreso, e venni sulla landa in segreto, facendo credere di essere rimasto a Londra. Le mie privazioni non furono poi così gravi come lei potrebbe immaginare, per quanto particolari tanto trascurabili non debbano mai intralciare l'investigazione di un caso importante. Me ne stetti quasi sempre a Coombe Tracey e mi servii della capanna sulla landa solo quando ritenevo necessario trovarmi sulla scena dei fatti. Cartwright mi aveva accompagnato, e, travestito da ragazzo di campagna, mi fu di grandissimo aiuto. Dipendevo da lui per quel che concerneva il cibo e il cambio di biancheria. Mentre io spiavo Stapleton, spesso Cartwright spiava lei, ed ero così in grado di tenere in mano tutte le fila. 

"Le ho detto che le sue relazioni mi venivano inoltrate con grande rapidità, poiché mi erano immediatamente ritrasmesse da Baker Streot a Coombe Tracey. Esse mi furono di validissimo aiuto, soprattutto quella parte biografica involontariamente veritiera che riguardava Stapleton. Essa mi consentì di stabilire l'identità dell'uomo e della donna, e seppi finalmente come dovevo comportarmi. Il caso era stato notevolmente complicato dall'incidente del forzato evaso e dai suoi rapporti con i Barrymore. Anche questo punto fu da lei chiarito in maniera piú che esauriente, per quanto io fossi già giunto alle stesse conclusioni tramite attenta osservazione. 

“Quando fui scoperto nella landa, mi ero ormai formato un quadro completo di tutta quanta la situazione, ma non avevo ancora tra le mani un caso da poter sottoporre a una giuria. Nemmeno l'attentato alla vita di Sir Henry che costò la pelle al povero forzato ci poteva servire gran che per incolpare di omicidio il nostro uomo. Pareva che non vi fosse altra alternativa che sorprenderlo in flagrante, e per far questo dovevamo servirci di Sir Henry, usandolo come esca, solo e apparentemente indifeso. 

“Così facemmo, e a costo di infliggere al nostro cliente una grave scossa, riuscimmo a venire a capo completamente del nostro caso e a spingere Stapleton verso la palude mortale. Che Sir Henry abbia dovuto essere esposto a un così grave pericolo è, lo confesso, un rimprovero che mi faccio nella condotta di questo caso. Ma non avevamo alcuna possibilità di prevedere lo spettacolo spaventoso e terrificante che la bestia avrebbe offerto, né potevamo immaginare la nebbia che gli permise di sbucarci addosso da così breve distanza. Riuscimmo nel nostro intento a un prezzo che sia lo specialista, sia il dottor Mortimer, mi assicurano sarà di danno solo temporaneo. Un lungo viaggio permetterà al nostro amico di riaversi non soltanto dalla scossa di nervi subita, ma anche dal dolore inflitto ai suoi sentimenti. I1 suo amore per la signora era profondo e sincero, e per lui la parte piú triste di tutta la sporca faccenda è che lei lo abbia ingannato. 

"Rimane ora solo da far luce sulla parte recitata da questa donna in tutta la vicenda. Non c’è dubbio che Stapleton esercitasse su di lei un influsso che forse poteva essere amore, forse era paura, assai probabilmente entrambi i sentimenti, dal momento che non sono affatto incompatibili tra loro. Era comunque un'influenza molto efficace. Per volontà di lui acconsentì a passare per sua sorella, ancorché Stapleton si sia poi trovato a un tratto limitato nei suoi poteri su di lei quando tentò di farla intervenire come strumento diretto nei delitti. Ella fu pronta ad avvertire Sir Henry facendo in modo di non implicare il proprio marito, e poi altre volte tentò questo ripetutamente. A quanto pare, persino un uomo come Stapleton poteva esser vittima di gelosia, e quando comprese che il baronetto corteggiava la signora, sebbene ciò facesse parte dei suoi piani, non riuscì a trattenere uno scoppio di collera passionale che rivelò in lui quello spirito violento che i suoi modi controllati e riservati nascondevano con tanta abilità. Incoraggiando questa intimità, si assicurò che Sir Henry sarebbe venuto di frequente a Merripit House e che presto o tardi si sarebbe presentata l'occasione tanto attesa. Ma nel giorno della crisi, la moglie gli si rivoltò improvvisamente contro. Aveva saputo qualcosa circa la morte del forzato, e la sera in cui Sir Henry doveva venire a pranzo aveva scoperto che il cane era stato messo nel casotto degli attrezzi. Accusò il marito di omicidio premeditato, e ne seguì una scena furibonda, in cui egli le rivelò per la prima volta che c’era una rivale. La fedeltà della donna si tramutò in un attimo in odio acerbo, ed egli si accorse che la donna lo avrebbe tradito. La legò pertanto, perché non avesse la possibilità di mettere in guardia Sir Henry, e dovette certo sperare che, se tutto il paese avesse imputato la morte del baronetto, morte di cui era certo, alla maledizione incombente su tutti i membri della sua famiglia, sarebbe riuscito a far accettare alla moglie il fatto compiuto, e a farle mantenere il silenzio su quanto sapeva. In questo ritengo che egli abbia commesso in ogni caso un errore di calcolo e che, anche se noi non fossimo stati presenti, il suo destino era comunque segnato. Una donna di sangue spagnolo non perdona così facilmente una simile offesa. E adesso, mio caro Watson, senza andare a riguardare i miei appunti, credo di averle dato un resoconto piú che particolareggiato di questo strano caso: non credo infatti di aver lasciato senza spiegazione nessuno dei punti essenziali. 

- Non poteva però sperare di spaventare Sir Henry a morte, così come era accaduto per il vecchio zio, con quel suo mastino fantasma! 

- L'animale era selvatico e mezzo affamato. Se il suo aspetto non fosse riuscito a far morire di spavento la vittima, ne avrebbe comunque paralizzato quella resistenza che certamente in condizioni normali egli avrebbe offerto. 

- Senza dubbio. Rimane però ancora una difficoltà. Se Stapleton fosse riuscito a entrare in possesso della successione, come avrebbe spiegato il fatto che lui, l'erede, era vissuto sconosciuto e sotto falso nome così vicino alla tenuta? Come avrebbe potuto farsi avanti e reclamarla senza suscitare sospetti e inchieste? 

- Effettivamente era una difficoltà gravissima, e temo che lei mi chieda troppo pretendendo ch'io possa risolverla. Il passato e il presente possono rientrare nel campo delle mie ricerche, ma per quanto riguarda quel che un uomo può fare in futuro la risposta è sempre difficile. La signora Stapleton aveva sentito discutere il marito in vari casi su quel problema. C’erano tre ipotesi possibili. Poteva reclamare l'eredità dall'America del Sud, stabilire la propria identità presso le autorità britanniche di laggiú e ottenere così la sostanza senza dover mai far ritorno in Inghilterra. Oppure poteva adottare qualche raffinato travestimento durante il breve periodo in cui sarebbe stata necessaria la sua presenza a Londra; o infine poteva produrre un complice con prove e documenti facendolo passare come erede, facendolo partecipe di una grossa fetta della sostanza. Certo è che, per quel che sappiamo di lui, avrebbe certamente trovato un modo per risolvere il problema. E adesso, mio caro Watson, che abbiamo avuto parecchie settimane di duro lavoro, credo che per una sera possiamo rivolgere i nostri pensieri ad argomenti piú piacevoli. Mi hanno offerto un palco per gli Ugonotti. Ha mai ascoltato i De Reszke? Posso perciò pregarla di essere pronto tra mezz'ora? Strada facendo ci fermeremo da Marcini per una buona cena!