UN PAESE
e una fotografia inedita di Paul Strand
Cesare Zavattini
Ho la fortuna di ristampare, nella mia collana di «Narratori», grazie all'amicizia dell'autore, il solo testo di Un paese, fotografie di Paul Strand, edito da Einaudi a Torino nel 1955.
Quando nel 1953 l'americano Paul Strand con la sua calma parlata da patriarca mi propose di fare insieme un libro su qualche luogo italiano, io, dopo aver pensato Sperlonga in quel di Fondi, Gaeta, Gorino nel delta padano, Bergamo, Alatri, Carrara, la Via Emilia e un viaggio sul Po dalla sorgente al mare, finii col dire Luzzara e lui disse: prima vado a vedere. L'idea di Strand arrivò che stavo studiando da un anno con l'editore Einaudi una collana intitolata « Italia mia », mista di fotografie e di didascalie come quanti soldi ha in tasca quest'uomo che passa per la piazza, dove sta andando, cosa vuole, cosa mangia; e oscillavamo tra il libro e il fascicolo, più verso il fascicolo economico, affinché fosse popolare la forma dell'impresa oltre che la sostanza. I temi andavano dalle domestiche delle nostre tre maggiori città, Milano Roma Napoli, che si dovevano intervistare pazientemente, agli impiegati ai contadini, dalle balie ai ferrovieri, le biciclette, il sabato, la domenica, la giornata di un disoccupato, uno sciopero a Sesto San Giovanni seguito dalla mattina alla sera pedinando la famiglia di un operaio, i preti di campagna, i soldati e via di seguito.
Autori dovevano esserne soprattutto quelli del cinema, famosi o no purché dentro allo spirito neorealistico, che significa una vera carità di tempo di occhi di orecchi data ai fatti, alla gente del proprio paese.
Volevo soprattutto mandare in giro per l'Italia dei giovani, uno si sarebbe fermato a parlare un po'con un muratore usando anche la sua Leica o Condor, un altro con un meccanico, un altro con chi incontrava, ma la convinzione era questa: dovunque si fermeranno va bene, con chiunque parleranno va bene, va bene, va bene.
Quell'ampio progetto si è per il momento concretato solo nel presente volume.
Avevo incontrato Strand al congresso dei cineasti a Perugia nel 1949, dove c'era anche Pudovkin con lo sguardo tanto vivo che pareva non dovesse morire mai. L'argomento del congresso riguardava i doveri dell'uomo moderno nei confronti del cinema, e Strand aveva già mostrato la sua posizione in proposito come autore di quel Native lanci che significa tra l'altro amare la propria terra e rischiare qualche cosa per questo.
Credo che allora non ci siamo stretti neppure la mano perché il suo silenzio mi intimidiva, poi lo rividi a Roma tre anni dopo e ora sono qui, davanti al suo lavoro, una novantina di fotografie di Luzzara che Strand può fare sempre vedere come prova della sua solidale attenzione per il prossimo.
Egli ha visitato, con la sua macchina fotografica di aspetto antico, il Messico, la Nuova Inghilterra, la Francia, e questo pezzo della padania ora sta in Scozia - dappertutto trovando il punto di luce e di linea di quando le cose hanno assorbito la nostra presenza e la nostra fatica, anche un albero non è mai solitario per Strand, lui è l'altro albero.
Circa quarant'anni fa a scuola il mio professore leggeva in una lettera latina del Petrarca che lui passò da Luzzara la infamava come un paludoso paese di rane e di zanzare. L'emozione fu tanto grande che balzai in piedi gridando: io sono di Luzzara. Non vorrei che il fatto che questo paese è il mio confondesse il lettore sui motivi per cui l'ho consigliato a Strand, in verità quando Strand mi fece la proposta che ho detto, volevo chiudere gli occhi e mettere il dito a caso sulla carta geografica dell'Italia e là dove fosse caduto, nord o sud, andare con Strand,per cercare di diventare italiano oltre che esserlo.
Poi mi sembrò, e anche a Strand, che sarebbe stato meglio preferire un posto del quale almeno io sapessi già qualche cosa. Ma confesserò subito che non sapevo niente di Luzzara e supponevo di sapere tutto e avevo infatti scritto nel testamento: seppellite mi dove sono nato, dando una indicazione che credevo concreta ed era soltanto favolosa; anche per questo sono grato a Strand, di avermi obbligato a convivere per la prima volta un po'sul serio coi miei compaesani; la cosa fu in principio faticosa e dopo meravigliosa.
Strand ha battuto Luzzara e dintorni per un lungo mese e infine mi ha messo sul tavolo prati facce case e dopo io sono andato sulle sue orme con l'aiuto di un contadino, Lusetti, Valentino Lusetti, che aveva fatto da guida anche a Strand e a sua moglie parlando con loro in inglese perché è stato prigioniero in America.
Lusetti sa molto, e nomina le cose della campagna con precisione e tenerezza, quando nomina la nascita di certe pianticelle, con le dita fa segni di delicatezza come fossero di seta: ha interrogato come un fratello gente che io non potevo e senza i suoi referti sarei ancora a metà strada, grazie; e grazie anche al mio caro Angilèn, che attraversa i suoi campi come il primario le corsie, a Mario Scardova, grazie a tutti quelli nati a Luzzara, grazie ai giovani amici Ido Cisorio Celsino e Cechino che vengono fuori solo dopo il tocco come i gatti, con loro camminando fino alle tre abbiamo rifatto tante volte il cadente teatrino luzzarese dove adesso sono ammassate una ventina di falciatrici di un bravo artigiano, abbiamo rifatto la tribuna nel campo sportivo che quando piove tutti stanno là nel fango coi calzoni tirati su, e gli ombrelli dopo il goal dei concittadini sono mongolfiere che cercano di rompere gli ormeggi.
Passeggiamo di notte per le strade che portano il nome dei ragazzi fucilati nel'44, con lunghi silenzi e quando c'è vento si sente sulla torre il cigolio del luccio di ferro, che è il nostro stemma, o ci si ferma a un tratto sotto un lampione a vedere se nevica o piove, nel passare davanti al lampione le gocce d'acqua o le falde di neve sembrano faville, abbiamo rifatto la scuola di musica che diede una brava banda, nei funerali venivano avanti i clarinisti ondeggiando con lo strumento da destra a sinistra e viceversa, e tra una pausa e l'altra del suono si udivano gli zoccoli del cavallo sull'acciottolato, adesso è asfalto; e poi la scuola d'arte, allora parecchi luzzaresi disegnavano e le case erano piene di carte con foglie lanceolate di fico e d'edera e vasi con una parte sempre in ombra. Qui abita il tale, no, l'ha venduta; continuiamo la nostra ronda, vogliamo sapere tutto, uccidiamo, santifichiamo, invidiamo: questo ogni anno va a Montecatini; la vecchia è morta ma gli eredi l'hanno sotterrata nell'orto per non pagare la tassa di successione; B. ieri cercava diecimila in prestito; ci vorrebbe una trattoria con le pareti di legno dove si mangia tanto bene da poter mettere all'ingresso del paese un cartello di quella materia che quando lo investono i fari delle automobili si accende la scritta la migliore cucina emiliana, poche cose, culatello, bolliti e i lambruschi della zona, il duro, nero, di oltrepò, il rosso di verso le colline reggiane la cui schiuma brucia via subito.
Se ci spingiamo fuori dall'abitato, vediamo degli immensi soffi di luce come stesse per sorgere dalla pianura una luna, ma dura un attimo, è un'auto che una curva dell'argine ha tolto davanti ai nostri occhi.
L'Enciclopedia Treccani, a p. 709 del XXI volume, dice che Luzzara è una piccola cittadina nota sin dal tempo dei Franchi, dove ci fu una cruenta battaglia tra il duca di Vendôme e il principe Eugenio di Savoia, dice che Luzzara fu già dei Gonzaga e conserva ancora qualche avanzo di questa dominazione ducale, e i suoi abitanti, comprese le frazioni, sono più di diecimila, e distano meno di un chilometro dal Po e la sua terra è fertilissima.
Tace che i vicini la chiamano il culo del cappone, cioè sarebbe la terra più buona della bassa, ma esagerano; facciamo una delle terre più buone della bassa, che produce cereali da premi, uva, foraggi, latte e alla sera nelle sue strade si sente l'odore delle viole con quello del formaggio detto reggiano o anche parmigiano.
Si può dire che Luzzara è tra due ponti, quello di Guastalla, a circa sei chilometri, e quello di Borgoforte, a una decina.
I ponti durante la guerra li hanno fatti saltare e quando arrivò il momento della ritirata i tedeschi sembravano matti perché non sapevano come passare di là; non c'erano barche, non c'era niente, molti correvano dai contadini a prendere tutto quello che galleggiava, le bigonce dove si pigia il vino, i mastelli del bucato.
Domandavano con gentilezza vestiti borghesi guardandosi continuamente intorno perché avevano paura dei partigiani. Quelli di là chiamavano con quei gridi che vanno da una sponda all'altra lenti come cornacchie, e sono sempre sinistri, cosicché l'ansia di chi era ancora di qua cresceva e molti si buttavano in acqua su assi fascine o vi entravano al galoppo coi cavalli e morivano. Per due o tre giorni si videro passare in Po corpi di tedeschi e di cavalli. Il Po è molto pericoloso per nuotarci, è facile trovare un buco con l'acqua che fa l'imbuto e non si esce più.
I primi bagni i luzzaresi li fanno in giugno, quando ci sono già delle isolette di sabbia, perché il Po comincia ad asciugare. Mettono la bicicletta nel bosco, accanto a quelle dei terrazzieri, che stanno li dalle otto del mattino perché in questa stagione ricominciano i lavori di arginamento del fiume. Passano con un rombo i motoscafi della corsa annuale Pavia-Venezia e tutti si siedono sulla sponda a vederli.
Viene l'estate e c'è il proverbio che ogni giorno il Po vuole un morto. Le coppie verso sera vanno a fare l'amore sotto i salici alternando i baci agli schiaffetti che si dànno sulla faccia per ammazzare le zanzare.
Quando il verde dei boschi comincia a diventare giallognolo si torna a pensare all'alluvione. La grande massa d'acqua dal colore del fango entra quasi ogni anno nelle terre di golena e i boscaioli svolgono il loro lavoro con fatica. I boscaioli, meno quando c'è la neve, stanno intorno al fuoco tutti insieme, sulla riva, e abbrustoliscono le fette di polenta infilate nei ramoscelli appuntiti. Arriva l'inverno, le anitre di legno messe giu per richiamare gli uccelli di passo, diventano bianche a causa del gelo; sui remi ci sono i ghiaccioli, per vogare tra la nebbia si usa la bussola o il fumo, se il fumo del sigaro in partenza va a destra, bisogna vogare in modo che vada sempre a destra.
Quando il Po è grosso c'è più uccellagione di quando è magro. La luna mette gli uccelli in movimento, con la luna piena ne passano molti. Le anitre selvatiche vengono dai fiumi che gelano e vanno in Egitto, in Turchia; ma in marzo aprile tornano ancora nel nord e in fretta, perché devono deporre le uova. Nel '53 due oche nere con il collo rosso venivano dalla Siberia.
Dei gruppi interi a volte si posano perché sono stanchi, dormono, si mettono dove l'acqua è più lenta, soffice, e una volta sei codoni andavano verso il basso dormendo, ma a turno uno stava sveglio e sorvegliava, come mi ha detto Romano che con il suo amico Magnòs sta a Po dalle dodici alle sedici ore al giorno e si esprime cosi.
Molti si esprimono bene dalle mie parti, un luzzarese spiegava in dialetto qual'è l'ora più bella di Luzzara: sarebbe quando lui d'inverno viene fuori dal caldo - è impiegato in municipio - e il freddo gli dà un piacere che non riesce a spiegare, e corro a passetti brevi per dieci o quindici metri, dice, mentre si accendono i lampioni sopra la sua testa e saluto la gente che incontro con dei ciao secchi, allegri, come quando si scappa sotto i portici per un improvviso acquazzone - quand d'ìnveran a vegn via dal cald e al fred l'am da un piasèr can tal so gnanca di, a cori par dés o quindas metar cum di pastén cürt e intant a s'impesa i lampiòn insèma a la mé testa e a deghi ciau a la gent ca incuntri, di ciau sec, alegar, cmè quand a sa scapa sota al portag parchè a ve zò 'n sguasaròt.
Per me invece l'ora più bella di Luzzara è mezzogiorno e prima del tramonto, la piazza dal quasi silenzio cambia a tutto un suono di campanelli di biciclette che dura un quarto d'ora, perché quelli che staccano dal lavoro passano a dare un, occhiata in piazza, le ragazze scappano di casa con la bicicletta e attraversano il paese suonando il campanello per farsi vedere e i ragazzi saltano sulla bicicletta e gli corrono dietro.
Vivevo solo di ricordi ante-Strand, quando correvo come un cavallo stupito che la gente non si scostasse spaventata al mio passaggio, avevo cinque anni e udivo risuonare immensamente il selciato del mio paese sotto le suole dei sandali; il portone del cortile di casa mia era ornato di trifoglio coi fiori del trifoglio che fanno una gocciolina luminosa che si succhia per la sua dolcezza e alla loro stagione mi rallegravo perché anche se mio padre era pieno di debiti non avremmo mai patito la fame con tutti quei trifogli; quando ero chierico e portavo in processione la candela più alta di me, guardavo la fiamma gialla con l'azzurro attorno allo stoppino, quasi tenevo il fiato per non far vacillare la fiamma della candela, ma l'aria l'allungava, la fiamma si assottigliava, non c'era più e di colpo riappariva tonda davanti ai miei occhi come una moneta d'oro.
Ricordo i fanali delle biciclette, i giovani tornavano in bicicletta dalle sagre con le ragazze sulla canna e i fanali venivano avanti tra il gracidare delle rane in mezzo al grande buio della pianura come sull'acqua, un fanale batteva contro la testa di una ragazza e io la vedevo contro luce, lei nera con tutta la sua capigliatura che aveva un'aureola; quando in chiesa tutti abbassavano la testa al suono del campanello e la rialzavano al suono più lungo del campanello, un'onda di respiri ricominciati arrivava all'altare sollevando il pizzo della mia cotta; e l'albero dei pomi lazzarini, si prende il tronco con le mani, lo si scuote, i frutti arrossano subito il terreno e l'albero lascia intravvedere pezzi di cielo che pare dentro al fogliame e io scossi il tronco e tutti quei fulgori si confusero come fossero d'acqua per riprendere un attimo dopo la loro forma di croci, poligoni, circoli e altre luci esatte.
Il Po lambiva gli argini, ancora due dita e avrebbe sommerso le case con quel colore di caffellatte, anzi era caffellatte e i mulinelli scale a chiocchiola per andare giù a vedere che cosa c'era nel letto del fiume; il trenino Parma-Suzzara rasentava cimiteri dai muri tanto bassi che ne sporgevano teste di donne col fazzoletto nero; e il bosco, fuggivo come un pazzo, perché sentivo sulla faccia i fili appiccicosi delle ragnatele, tra nuvole di moscerini con la bocca serrata per non respirarli; il sole che la prima domenica di luglio, giorno della fiera, batteva sulla schiena dei parenti a tavola in maniche di camicia, illuminava l'alpagas dei gilé; essi mangiavano in piedi i cappelletti nella scodella col vino prima di cominciare il vero pasto. Basta. No, ancora uno: mio nonno Augusto con il cane in cerca di tartufi, e io dietro, eravamo lungo un arginello, e mio nonno parlava col cane inginocchiato vicino a un salice e affondava la paletta nella terra tirandone via delle fette lucide con cautela per non tagliare il grano del tartufo se ci fosse stato, ma tagliava un lombrico, e il cane soffiando voleva ficcarsi nel buco, e mio nonno con la mano, come col figlioletto la madre mentre fa la polenta, lo scansava; le fiammate del camino sulla faccia di mia nonna che buttava i chicchi di granoturco nella cenere dove sparivano e poi saltavano fuori nuvolosi e grossi con un blando scoppio rallegrando il giorno dopo. Basta, basta davvero. Il mio amico Bruno mi richiama alla realtà con la sua lettera: « Un paese come il nostro, caro Cesare, pone in modo crudo il problema dei rapporti sociali...
Hai notato che la nostra gioventù è bella e vigorosa ma di breve durata? » . Ora voglio sforzarmi a stare un po' sulle cifre: l'amministrazione del mio comune ha un bilancio di 120 milioni di lire, spende sei milioni all'anno per il ricovero dei vecchi, che sono 45, un milione per l'invio dei bambini alle colonie marine e montane, sei milioni per l'assistenza ospedaliera. Lo spazzino del comune guadagna 36000 lire al mese e raccoglie le immondizie col carrettino trainato da un asino. Gli analfabeti sono quasi cento, circa 140 le automobili, 250 le motociclette, 60 camion e tanti ciclomotori. Emigrati nel '52 ce ne sono stati 205 e immigrati 209; vanno volentieri a Milano perché dista solo tre ore di treno e qualche domenica si può tornare. Tornano e fanno subito una visita al cimitero, perché il culto dei morti è forte. È a Luzzara che un luzzarese tornò dopo cinque anni con l'automobile per farla vedere a un tale che odiava, ma quello era morto da tempo per cui aveva odiato chi non c'era più.
Abbiamo un bel cimitero con le fotografie in porcellana di quasi tutti, a rivedere quelle fisionomie, l'una vicina all'altra, sembrano di una stessa famiglia; e molte date stupiscono perché da ragazzo quei tali erano tanto vecchi per me e invece le date dicono che morirono a 50 anni, a 45, come mio padre che morì sui 48 e lo giudicavo vecchio e io sono più vecchio di mio padre di quattro anni e non mi vedo vecchio. Intorno al cimitero c'è la campagna ci sono i fondi, da quelli di due biolche a quelli di cento, diecimila biolche in tutto, e magari l'aratura l'ha cominciata proprio questo che hanno messo oggi nel loculo. In sola terra Luzzara vale circa 11 miliardi di lire. La terra non la si cura mai abbastanza, e ogni mese ha le sue incombenze precise.
In gennaio si teme che la vite geli e si va a coprirla con la neve per proteggerla dal freddo; ma specialmente si riparano gli attrezzi, rastelli, badili, zappe, vanghe e si fanno scope dure, ce ne vogliono molte sia per la stalla che per l'aia.
In febbraio c'è qualche volta da vegliare per i parti delle vaccine, si imbottiglia il vino quando cambia la luna, si vuotano i pozzi neri ed è allora che in piena notte si può sentire il muggito di un bue nel cuore del paese con il dondolante frastuono del carro sull'asfalto. In marzo, siccome si tolgono i vitelli da sotto le madri per venderli, cresce la produzione del latte, quel latte schiumoso che a berlo lascia dei baffi bianchi e per il lungo sorso manca il fiato, poi ci si passa la mano sulle labbra e i polmoni riprendono il movimento mentre si sorride senza accorgersene.
In aprile si zappa pel granturco, disinfettando la terra perché gli insetti mangiano il seme: si dice la terra, una parola sola, ma essa si sbriciola ed è fatta anche di questi insetti e altre cose; all'alba si vedono i buchi delle bestie, come se di notte la terra non fosse quella che è allo spuntare del sole con le lunghe e ordinate file di grano nascente, una riga verde e una bruna. In maggio c'è il taglio del fieno, la raccolta delle ciliegie, contro i muri delle case vengono su alberelli con gemme gialle rosa e bianche e da ragazzo non capivo come poteva essere che chi abitava una di quelle case fiorite potesse trovarsi nei guai, gli sequestrano tutto, dicevano; malgrado la letizia dell'aria e quella bella luce meridiana infatti se a un mezzadro o a un fittavolo per due anni gli va male il raccolto, non può pagare le cambiali.
In giugno si miete il frumento, si fa il secondo taglio del fieno, i carri alti del fieno hanno sempre un bambino sopra; nei campi siccome esistono pochi canali di irrigazione ci sono gli impianti a pioggia coi loro ventagli d'acqua bianca sui quali in certi momenti si accende un breve arcobaleno. Le donne vanno a fare il bucato nei punti del Po dove c'è un po' d'acqua chiara lasciata dalla piena, partono presto dal paese con le carriole e tengono tante ore le gambe nude nell'acqua e per quanto tirino su le sottane ne bagnano sempre due o tre dita, qualcuna va poi a cambiarsi dietro i pioppi mentre i panni asciugano sulle coste degli arginelli; verso sera tornano insieme ai braccianti, ai terrazzieri, ai contadini sollevando polvere coi piedi nudi, lasciano alle loro spalle i bagliori rosa e arancione del tramonto sul fiume: di quel luogo incantato portano qualche segno in paese con le chiazze bianche dei lenzuoli ammucchiati sulle carriole che cigolano, nei lampi dei raggi delle biciclette.
In luglio si innesta «ad occhio dormiente» la vite e il contadino riposa un'ora verso le due, mentre la moglie mette in fila contro il muro davanti alla casa mestoli, padelle, l'alluminio ammaccato e il fuligginoso paiuolo tutto caldo di rame dentro. Le mondine tornano dal Piemonte magre e con la faccia macchiata di efelidi, arrivano quasi sempre in tempo per la fiera del paese dove spendono qualcuna delle lire appena guadagnate. In agosto si porta il letame nei campi, si irrorano i tralci nuovi che daranno l'uva solo l'anno venturo, poi c'è la raccolta delle barbabietole, chi le vende agli zuccherifici e chi le usa come mangime per le mucche. Mettono le cocomere a rinfrescarsi sotto l'acqua della pompa dell'abbeveratoio, vi fanno un tassello per vedere se è proprio rossa e qualcuno ne sente la maturità dal suono, battendole con le nocche delle dita; le mangiano più volentieri senza coltello un po' curvi sulla fetta e stanno col petto in dentro per non sporcarsi ma poi la faccia sparisce a metà nella fetta e grondano d'acqua e di semi. Il cocomeraio Pierino racconta che una vecchia danarosa è stata li al suo banco un'ora a palpare e ripalpare le cocomere, e nessuna le andava bene, e quando pare che una l'ha trovata dice ma è scomoda da portare a casa e Pierino risponde non importa, signora, venga domani, mi arrivano quelle coi manici. Chiacchierano fino alle tre di notte intorno al cocomeraio, si voltano solo quando passa come un lampo un'automobile, uno dice la targa, Parma, Reggio, Mantova; poi il discorso riprende mentre dalle finestre del ricovero viene fuori la tosse dei vecchi.
In settembre riempiono di foraggi i silos, sia quelli interrati che quelli moderni, tagliano le canne da zucchero, si raccoglie il granone, si ara, si preparano i vasi per le cantine e si incomincia la vendemmia delle uve dolci, specie quella bianca. Il pensiero corre al Natale perché ci sono le zucche, messe al sole sui tetti, o nell'aia, con le zucche si fanno i tortelli di zucca, uno dei cibi migliori del mondo, perfino i più miserabili non rinunciano ai tortelli la sera della vigilia di Natale, anche se loro ci mettono il formaggio che ha qualche difetto come il fieno greco e lo scapino perché non costa 1200 al chilo ma la metà.
Finiamo la storia dei mesi e dei sudori: in ottobre termina la vendemmia e si pigia l'uva, continuano a venire come in settembre degli uomini dalle città vicine con lo stecchino in bocca, sono i mediatori. Sempre in ottobre si puliscono i fossetti e le carraie, si prepara la terra per la semina del frumento, zappatura, erpicatura e ancora disinfezione del terreno con agrocide, si semina la segala, l'orzo e nella stazioncina del mio paese c'è sempre qualche grappolo d'uva pestato per terra.
Di solito arriva all'improvviso il primo nebbione, verso il 30, e i grossi camion di passaggio rallentano la corsa e accendono i fari. A Po non si vede più niente, spunta solo in un modo inaspettato la punta di una barca preceduta dallo sciacquio del remo e un cacciatore magari con l'ombrello. Alle otto di sera il forestiero direbbe che tutti sono già a letto, invece dentro i caffè, nelle osterie, ci sono almeno tre o quattrocento uomini che giocano a carte o a biliardo bestemmiando; adesso c'è anche la televisione, per vederla in una cameretta esce di casa gente che una volta andava a dormire all'ora delle galline.
In novembre si sfrascano le viti, si potano, si stendono al suolo fermandole con qualche zolla di terra, si aprono i fossi per cominciare la piantagione delle barbatelle cioè i rinnovi della vecchia vite rovinata dalla filossera, sono molto buoni quelli dei vivai di Rauscedo. Verso la metà del mese si finisce di falciare l'erba, non si mungono più le vacche, i nebbioni diventano neri, la gente si raccoglie tutta in se stessa passandovi in mezzo silenziosa e quando viene fuori con il fiato che fuma sembra arrivi da un altro regno; dove ci sono tratti snebbiati si raduna qualcuno a parlare e a guardare quelli che appaiono di colpo attraversando il tratto chiaro per risparire subito nel tratto plumbeo; si ode qualche campanello di bicicletta, un clacson, e facce si sporgono dai finestrini di un'automobile per domandare se per Carpi si va dritto.
È il mese della Santa Lucia, la santa con un piatto in mano e sul piatto i suoi occhi e sarebbe come la Befana per i bambini luzzaresi; infatti mettono i regali nella calza. Ma adesso ci sono molte più cose di quando ero piccolo io, però c'erano quei torroncini rotondi che si chiamavano Baldesio e costavano cinque centesimi l'uno, cosi buoni e duri non li hanno più fatti. Per Pasqua ai bambini si dànno le uova colorate, uova vere non di cioccolata, col guscio giallo rosso o celeste, e loro che gli altri giorni non gli si può mai fare mangiare un uovo duro, quel giorno ne mangiano sei o sette per provare tutti i colori. Si sta perdendo anche questo uso perché se ne sono persi tanti, come la ciucuna: quando fra due c'era un amore poco regolare o si sposavano troppo vecchi, il paese gli capitava sotto le finestre, prima aspettava che i due erano a letto poi saltavano tutti fuori con latte pentole coperchi campanelli campanoni da buoi e un anno si aprì la finestra e l'uomo in camicia sparò una fucilata.
In dicembre si travasa il vino, si puliscono e si aggiustano i rotabili e c'è chi non ha ancora finito la sistemazione della vite. Chi non l'ha fatto prima ammazza il maiale: la carne insaccata del mio paese è fra le migliori ma non ce n'è commercio, basta per l'uso locale e i contadini una volta quando s'andava a trovarli davano pane e salame, quel pane che per la forma sta tra un giglio e il sesso; anche da noi il pane è spesso causa di liti tra i bambini e le madri, perché queste trovano sempre nella madia i ciupen senza le parti estreme, i cornini, che sono più cotti e crocchiano sotto i denti; pochi ormai cuociono il pane in casa, vanno al forno pubblico e se lo riportano via su una cesta nel portapacchi della bicicletta e la sua fragranza fa voltare la gente. In dicembre nevica e i portici sono affollati e quando uno ripara sotto i portici batte i piedi per terra scrollandosi la neve di dosso come l'anitra appena uscita dall'acqua.
Poi il luzzarese torna a casa e la moglie gli tira via dal letto il prete cioè quello strumento di legno dentro il quale si mette una padellina con la brace, le lenzuola scottano e lui si stende dicendo sempre: ah.
Mentre correggo questa prefazione ormai vecchia di un anno, sta per arrivare il marzo del '55. L'Argelide quella a pagina 71, è morta, hanno impiantato una buona fabbrichetta di mobili, lo spazzino si è motorizzato e io ho imparato cosa sia il palo della buona sera, cioè il palo che il boscaiolo al termine della sua giornata di lavoro ha diritto di portarsi a casa oltre il salario, insieme a una fascina. Sui muri i manifesti annunciano i deputati che vengono a parlare dei patti agrari e della giusta causa. Questo febbraio è luminoso come in riviera e tutta la campagna comincia a muoversi, le gemme a inciderle appena con l'unghia fanno subito vedere il verde che già preme contro l'involucro, e il grano si stacca da terra, fa il gambo.
Ma i contadini hanno paura di tanto precoce primavera, porterà dolori se una notte gela poiché si cuocerebbero i germogli che l'aria ha invitato ad aprirsi troppo presto. Ma la luce è così confidente. Oggi andrò con mio figlio in giro per i paesi qui intorno, prima di tornare a Roma. Un anno e mezzo fa, aggrappato alle spalle del guidatore, attraversai di sera velocemente in motocicletta parecchi paesi della padania, San Benedetto, Moglia, Bondeno, Gonzaga, Brugneto, la cara Villarotta, fu come attraversare un solo paese, un gran buio con i lampi dei paesi, il biancore del neon ai distributori della benzina e la gente che faceva le stesse cose: un odore di fumo, nella campagna bruciano le erbe per le zanzare, poi ondate di odore dei maiali, e di colpo i fanali scoprono due contadini a piedi nudi, seduti su un ponticello; in un altro punto ce ne saranno tre invece di due, o quattro, o uno, ma vengono fuori dal buio alla stessa maniera, e stanno li silenziosi sino alle dieci, suppongo, e dopo si lavano i piedi sotto la pompa e vanno a letto; poi appaiono delle coppie, che torcono la testa per non essere riconosciuti, le biciclette sono per terra, in riva al fosso, e loro attaccati, l'uno all'altro, come i maggiolini; hanno appena finito di fare l'amore e altri lo stanno facendo. Essere dentro a questo vuoto di pianura che palpita all'unisono coi nostri polmoni in tutto, anche il nitido apparire e sparire delle lucciole ha del palpito, anche gli occhi dei gatti che balenano come le gemme rosse sul parafango dietro le biciclette, essere dentro a questo nero serale lunghissimo, un tunnel materno, è cosi bello quando si ama che tutte le cose diventano di un valore enorme, non c'è bisogno di possedere più di una bicicletta di una veste di un cappello, in questo momento avere di più sarebbe una pena, un fastidio. Anch'io sono felice, il fragore della motocicletta fa diventare vasti, pare che si vada forte solo noi e capisco i giovanotti che attraversano i paesi con lo scappamento della motocicletta aperto, li ho offesi tante volte, e loro andavano, e il fragore cresceva, ah ah le multe, ah ah le vittime, perché credevano che una ragazza li seguiva con lo sguardo e magari non era vero.
Ecco un chiarore là in fondo, dove la strada si abbassa, è un'automobile, non la si vede ancora, si vede il chiarore che cresce come un respiro, e finalmente i fari li abbiamo di fronte; allora, siccome si riflettono sull'asfalto, l'altare di luce viene avanti ma approssimandosi si spegne e restano solo due raggi dritti e sottili che dall'auto arrivano sino ai nostri occhi, si avvicinano, si avvicinano e ignoro per quale ragione fisica, ottica, proprio nel momento in cui la macchina ci passa di fianco, i raggi come guidati si voltano ancora verso di noi, facendo quasi un angolo retto rispetto all'automobile; mi volto e vedo una massa nera allontanarsi con un bagliore davanti da spazzaneve ma che non dà affatto il senso di andar forte, mentre invece nel rasentarti pareva il vento; qualche cosa del genere succede in treno: siamo al finestrino quando ci si incrocia con un altro treno e il frastuono e le luci dell'altro treno, più quel po' di paura che ti fa scattare indietro di una spanna dal finestrino, dànno l'idea di una velocità mai vista, ma appena il treno è passato se subito t'affacci vedi la coda del treno col suo fanalino che s'allontana sembra senza rumore e lentissimamente.
IL PO
Questo è il Po, viene da Cremona, va verso il Paese di Luzzara che dista circa quattordici chilometri e confina con la Lombardia. Il ponte di barche si chiama di Viadana, Viadana non si vede ma sta subito a destra; a sinistra ci sono invece Brescello e Boretto, distanti pochi chilometri l'uno dall'altro, sotto l'argine maestro che da qui porta a Parma con mezz'ora d'automobile. Sulla carta geografica, scala 1 : 1 500 000, dentro lo spazio di una moneta da dieci lire messa sopra Luzzara c'entra il Po col tratto Viadana-Borgoforte e parecchi paesi, di qua Gualtieri Correggio Poviglio Novellara Reggiolo Gonzaga Carpi Luzzara e Suzzara e di là Viadana Dosolo Sabbioneta Pomponesco Borgoforte San Benedetto Po. Molte lettere indirizzate a Luzzara finiscono nella vicina città di Suzzara più nota anche a causa del suo premio di pittura che ha per tema il lavoro. Quando arrivo da fuori, appena tocco questa mia zona natale, comincio senza accorgermene a parlare in dialetto.
Nessuno crederà che una volta ebbi la voglia repentina di mangiare del pane del mio paese, così partii sui due piedi da Milano, e quella notte mi addormentai col letto pieno di briciole.
UN PAESE
Guardiamo insieme le fotografie di Paul Strand sotto le quali si leggono le confidenze dei miei compaesani. Le parole sono in sostanza dei miei compaesani, mi pare di non averne quasi mai tradito lo spirito. E questi che vedrete, che parlano, non li abbiamo scelti perché proprio loro avevano qualche cosa da dire, ormai si sa che tutti hanno qualche cosa da dire, perciò mi sarebbe piaciuto interrogarne almeno un migliaio, fare un bel librone dando una pagina a ciascun luzzarese. Un'opera così la dovrei fare un giorno, è solo questione di buona volontà, o se non ci penserò io ci penserà qualche altro, e in un modo che mi auguro più profondo e completo, su uno qualsiasi dei luoghi abitati in Italia.
Anche questo è il Po, ma dopo che ha passato Luzzara di una decina di chilometri. In primo piano ci sono i barconi di cemento usati per reggere il ponte di Borgoforte che si trova pochi metri dietro le spalle del fotografo. I più bei tramonti si vedono da questo punto, prima il sole sta nel centro del cielo come un ostensorio poi scende diventando sempre più rosso, le creste dei galli sembrano di fuoco e le faraone si mettono a gridare. Chi passa in macchina sul ponte traballando per le assi piuttosto sconnesse è accompagnato dal sole fino alla testa del ponte dove si arresta di colpo mentre noi saliamo sulla strada. La ramaglia dei pioppi e dei salici comincia a nascondercelo e noi corriamo più forte per raggiungere presto uno spiazzo senza alberi che ce lo faccia rivedere tutto intero ma troppo presto si posa come un paracadute sulla pianura.
Ero affezionato alla campagna perché di razza sono sempre stato contadino, mezzadro o affittuario, ma adesso bisogna sempre dare dei soldi sottobanco al padrone quando si fa il contratto, allora ho detto basta e con un amico ho messo su dai sei mesi una fonderia piccola ma con tutto, la prima che c'è mai stata a Luzzara, e lavoriamo 12 ore al giorno se si vuole far fronte.
Era una delle ragazze più belle e più buone, mia zia mi ha detto che lei l'ha incontrata e ha detto: Ciao, Paolina, dove vai? ma la Paolina non ha risposto a nessuno, mia zia pensava che andava a un appuntamento anche se pioveva.
Stavamo sotto Natale, verso sera, e lei andava a buttarsi nel Po per amore, non l'hanno più trovata e pare che sia nell'anca della Paolina, che si chiama della Paolina da allora, ma con dei metri di sabbia sopra perché la sabbia anche in un giorno arriva e fa un isolotto.
Meno si lavora e meno si lavorerebbe. Dopo un po' di giorni di lavoro che uno si abitua, bisogna lasciare il posto a un altro, perché la torta è piccola e noi terrazzieri siamo in tanti. Può darsi che l'anno venturo vada a Roma per mezzo di un amico che sta là, se mi trova un posto come autista o uomo di fiducia in un magazzino.
Non sono di quelli che odiano Luzzara, a Luzzara ci starei volentieri ma coi soldi in tasca, anche se quelli che non li hanno ti odiano; io non mi farei odiare perché basta due o tremila lire all'anno di beneficenza per non farsi odiare, però certi non dànno neanche un soldo perché non gliene importa niente dell'odio dei compaesani.
A coltivare il frumento da seme ci vuole molta cura, ma dà soddisfazione. Col vento e con l'acqua il prodotto cala di un quarto. Di solito una biolca fa dai 13 ai 15 quintali di frumento, coi sistemi di oggi si può arrivare a 20, non perché io e i miei nipoti vogliamo troppo, vogliamo solo quello che la terra può dare. Non siamo come la famiglia che sta nell'altra corte, sono tre fratelli e mai contenti, hanno detto che prima del '60 devono mettere insieme tante biolche per vivere da signori tutte le famiglie. Hanno già 80 biolche e sono loro che si alzano di notte a vuotare i cessi di Luzzara; però si sono rovinati tutti la salute. Quando erano giovani hanno detto sposiamoci ma nessuno deve fare più di due figli a testa, ed è stato cosi.
I buoi oggi costano circa 450 000 al paio. Se un bue si mette a correre improvvisamente, è per liberarsi da un tafano; invece sopportano le mosche negli occhi, che sono come su un piattino di zucchero. Quando pigliano acqua per un temporale, la pelle gli si attacca, si raffreddano facilmente e dalle narici vengono giù per giorni e giorni candelotti di muco. Li castriamo intorno ai due anni e loro svengono su un asse che stendiamo sotto; ci vuole una quindicina di giorni dopo l'operazione perché i buoi siano pronti da attaccare al carro. Siccome hanno le unghie delicate li ferriamo come i cavalli, solo che non è un ferro a forma di cavallo, ma una mezza soletta che noi chiamiamo scarpetta e va messa sotto la pianta dello zoccolo nella metà verso l'esterno. I buoi capiscono molto; durante l'aratura tirano la macchina e vanno e vengono da una testa all'altra del campo dritti come su una riga; ogni volta che si arriva a una testa del campo abbiamo l'abitudine di staccare la macchina e i buoi fanno la voltata; loro, appena sentono che stacchiamo la macchina smettono di colpo lo sforzo, prima ancora che siano usciti dal terreno arato.
Sono rimasta vedova 35 anni fa con tre figlie e quattro maschi. Ho di proprietà undici biolche di terra di bosco e tre biolche le ho in affitto, casi ci viviamo con il mio figlio che non si è sposato e mio nipote. Non sono mai stata capace di andare in bicicletta. Del mangiare luzzarese la cosa che mi piace di più sono i cappelletti, però se li faccio io, perché so che cosa c'è dentro. Non ho mai avuto tempo di pensare alla politica ma al Ricovero c'è una vecchia di 98 anni che non si parla col figlio di 72 perché lei ha votato differente da lui.
Sono di Casoni di Luzzara. Ho appena finito un romanzo che si intitola Il fiume, cioè il Po che fa crollare un argine ed entra in paese, entra nelle case e ne esce con stracci, rottami, sedie, pezzi di credenza, tutto. Così finisce. È la storia di tre famiglie di contadini come me, il contadino che fischietta sempre quando va al lavoro e fino alla sera la sua schiena non si raddrizza, per questo i suoi colloqui sono brevi. Il contadino che quando entra nella stalla e accende la lucerna a petrolio che pende legata con un fil di ferro dal soffitto, fa voltare per l'improvvisa luce traballante le vacche che irrigidiscono le orecchie e continuando sempre a ruminare con la bava alla bocca guardano chi entra, poi si rimettono come prima. Quando il frumento, seminato bene, ai primi di giugno comincia a essere già color dell'oro, appena coperto ancora da un manto verdognolo, è bello per il contadino ammirare quelle spighe che ondeggiano al vento come le chiome reali della dea speranza.
A noi villarottesi i luzzaresi ci sfottono perché prima della guerra è venuto uno che diceva: io sono un marchese e bisogna ricostruire la chiesa, tutti ci hanno creduto e per un mese è stato il padrone, gli abbiamo dato soldi polli e gli hanno regalato anche una gabbia con un canarino ma si è saputo dopo che appena fuori del paese l'ha buttata via.
Il primo sospetto è venuto a uno che nel guardare la moglie del marchese ha visto mentre saliva una scala che aveva un buco sotto la suola. Il nostro arciprete ci aveva creduto e piangeva di gioia, ma è meglio lui che quei preti che non ci avevano creduto.
Faccio la terza, mi piace leggere la storia ma non voglio più studiare. D'estate mi piace nuotare nel canalino e fare i tuffi. Ho un amico che nuota nel Po che sta lontano otto chilometri.
Una volta ci sono andato e mi hanno fatto vedere un uccello che fa i buchi sulle rive, li fa nei punti più alti perché se l'acqua cresce non entra nei buchi dove lui ha il nido. Nel nido fa un buco di entrata e uno di uscita, casi scappa più presto se arriva l'acqua.
25 anni fa, sul «Resto del Carlino» c'era un articolo su Luzzara col titolo: «il paese dei milionari » e si potrebbe chiamare ancora così per via degli agrari, ma c'è tanta gente che non lavora più di 70-80 giorni all'anno e si diventa cattivi per forza. Se uno fa 52 settimane di lavoro in due anni, lasciando giù 25, 30 lire alla settimana, quando è disoccupato tira il sussidio. Lo tira per 180 giorni, dopo basta. Io non sono mai riuscito a tirare il sussidio perché in 20 anni più di 4 mesi di lavoro all'anno non li ho mai fatti. Questo anno non avevo i cappelletti il giorno di Natale. Il sussidio invernale della Prefettura è stato di mille lire e non a tutti. Chi ha dei soldi li impiega nel formaggio, perché costa poca mano d'opera, con un uomo si tiene dietro a un intero magazzino. Fra contadini e bracciante non c'è molta amicizia, perché il contadino meno può chiamare il bracciante meno lo chiama, ma quando c'è stata l'alluvione contadini e braccianti si sono uniti e tutti portavano i sacchetti di sabbia sull'argine.
La cosa più bella di Luzzara è le cooperative; muratori, braccianti, terrazzieri ci siamo messi insieme nel '38 perché eravamo stanchi di essere disoccupati. Per prendere in proprio i primi lavori, hanno messo insieme quelle poche migliaia di lire guadagnate con la emigrazione, ma i governi e le banche sono quasi sempre stati contro. Un giorno abbiamo detto: bisogna fare la Casa del Popolo, perché da quella vecchia erano riusciti a metterci fuori e tutti noi operai abbiamo preso un'azione da mille lire ciascuno e, fatto il rogito, subito si dette inizio alla costruzione delle fondamenta, c'erano in media 50 operai al giorno che lavoravano con tutte le loro forze gratis, camion che portavano gratis il pietrame raccolto vicino al Po, la sabbia del Po scavata gratis e tante altre cose, fino a quando l'anno scorso l'abbiamo aperta e ora vale 14 milioni e molta gente dice: ma come avete fatto?
Il mercato si è sempre fatto il lunedì, ma prima della guerra del '14 era molto più importante. Ora anche Guastalla ci batte in tante cose, hanno messo in questi anni una sala da ballo molto moderna, tutta la nostra gioventù prende la bicicletta la sera e va là. Però pare che da noi mettano l'illuminazione al neon l'anno venturo nelle strade, e siccome siamo tutti come le farfalle, si starà più volentieri in paese; oggi la gente va verso i posti illuminati, con una lambretta in un quarto d'ora si arriva in tanti paesi. Abbiamo voglia di fare delle cose, ma non c'è mai il primo che si muove. Questo inverno hanno messo su il circolo del cinema per vedere dei film che altrimenti non si vedono mai, film un po' difficili, e si diceva: è sicuro non ci starà nessuno, ma ce ne sono stati 350 e dopo camminavano sotto il portico sino alle due di notte a parlare del film. Bisogna confessare che noi siamo un po' tirati, perché il nostro è un paese di contadini e anche quelli che non sono contadini hanno le qualità e i difetti dei contadini, conosciamo il valore del denaro e ci sorvegliamo giudicando male chi spende troppo al caffè. Una bottiglia di lambrusco costa 120 lire. Ai miei tempi c'erano parecchi ubriachi e tanti modi di chiamare un bicchiere di vino: gotu, smecmar, lucòt, polach, scàlfar, checu, bicèr, marùch, cuch; adesso bevono anche acqua minerale.
Sono sindaco da due anni. Il bilancio non va male, ma ci vorrebbe un'industria, qualche cosa di fisso, perché ci sono troppi disoccupati. Una trentina di luzzaresi lavora a Suzzara alla O.M. - che adesso deve fare 200 filobus per il Cile, sono sicuri per un po' di tempo, - e in una fabbrica di frigoriferi e in un'altra di compensati. C'è un po' di emigrazione, un centinaio va in Francia a scavare barbabietole. Una delle cose più buone che abbiamo è l'Istituto Lorenzini, che mantiene 80 bambini, figli di N. N. e poveri. Lorenzini era giudicato male in vita perché guadagnava molto coi suoi boschi e col formaggio e non spendeva niente, ma lui aveva già in mente il testamento e ha lasciato tutti i suoi milioni a questi bambini. Ce n'era uno di questi bambini l'anno scorso che avendo patito molto la fame prima di entrare all'istituto nascondeva sempre il pane per il giorno dopo.
Nel '47 abbiamo fatto una grande gita sul Po sopra un barcone che si chiamava La Bice. Stavamo in piazza e uno disse: - Andiamo a Venezia via Po? - Ci siamo andati in 100, tutti vestiti bene dopo avere messo fuori il cartello che diceva: « Un bel viaggio con la motonave ». Sul barcone ci abbiamo messo 1000 bottiglie di vino, sacchi di pane, 90 cocomeri e cantavamo l'inno dei fratelli Cervi e altri canti. Siamo partiti alla mattina che non ci si vedeva e tutte le famiglie erano venute a salutarci e ridevano perché era un barcone non una motonave. Abbiamo visto tanti paesi e spiaggette con delle donne che facevano il bagno in camicia. Abbiamo incontrato vaporini che ci salutavano come in mare. Verso sera c'era pericolo del temporale e abbiamo detto: fermiamoci in questo posto, che era un paese di pescatori, e siamo scesi con le nostre bandiere per andare dentro al paese, ma sull'argine passava una processione e non sapeva chi eravamo e si è spaventata, tutti correvano giù dall'argine. Ma dopo abbiamo fatto amicizia, ci hanno dato tutto quello che avevano. Quando la mattina dal Po siamo entrati in mare, è stato un momento di commozione e a Venezia ci siamo arrivati alle due del pomeriggio, un ragazzo si è buttato subito per la gioia nell'acqua di Venezia, ma c'era la nafta delle corazzate americane e ci abbiamo messo un'ora a pulirlo sotto una fontana sulla Riva degli Schiavoni.
Io voglio morire lo stesso giorno che non sono più buono di vestirmi e di svestirmi da solo.
Anche il più miserabile una bicicletta ce l'ha, con 3-4-5000 lire una bicicletta d'occasione si trova. Nuove se ne venderanno una ottantina all'anno. Io le vendo molto a rate, i motorini però fanno molta concorrenza alle biciclette. C'è sempre qualcuno che si scorda la bicicletta appoggiata a un muro o a un pilastro del portico e resta lì tutto il giorno, ma non le ruba mai nessuno, anche perché si conoscono le biciclette come le facce delle persone.
Fino a una ventina d'anni fa, in bicicletta si andava anche a Mantova, a Reggio, ma ora c'è l'autobus, con 250 lire si va a Reggio e a Mantova, tre volte al giorno, in mezz'ora. Con Parma c'è il treno diretto, un'ora; a Parma ci adiamo, oltre che per il mercato, anche per farci visitare, perché ci sono bravi specialisti. Da noi la salute sarebbe buona, però c'è molta artrite per l'umido. Le case, siccome sono piuttosto basse, sembrano calde, anche per i colori delle facciate, specie in campagna dove lo zolfo, che dànno alla vite che cresce lungo i muri, ha un verde che con l'acqua e il sole diventa sempre più bello.
È da tre anni che teniamo questo caffè in affitto. Prima la mia famiglia faceva il formaggio, cinque forme al giorno. Dopo l'uccisione di mio marito, abbiamo cambiato mestiere. Le brigate nere cercavano un mio figlio che era scappato dopo l'8 settembre. Hanno portato me e mio marito a Reggio e alla sera hanno detto a me: puoi tornare a Correggio. Mio marito l'hanno tenuto là e l'hanno fucilato. Nel '46 ho incontrato uno della brigata che ci aveva portato a Reggio e gli ho detto: tu mi hai messo una rivoltella in bocca. Hanno fatto il processo a Perugia a lui e agli altri e li hanno liberati. Qui a Luzzara ci sto volentieri, si guadagnerebbe se si potesse tener aperto fino all'una di notte, perché ai luzzaresi piace stare alzati, ma i carabinieri hanno l'ordine per mezzanotte.
Sono di Bologna. Da 45 anni ho la farmacia a Luzzara. È il Po che amo di più, anche se non ci vado mai, perché il mio è un mestiere che comincia la mattina presto e finisce la sera tardi. Ho visto tante volte dei luzzaresi, che sembravano anime dure, arrivare al Po, sotto sera, in bicicletta, stare davanti all'acqua in silenzio cinque minuti e poi tornarsene indietro, pedalando adagio, come fossero stati in chiesa.
Vorrei continuare la scuola ma non posso perché il papà ha dei pensieri. Nelle ore libere vado a imparare a cucire e mi piace. Alla domenica arrivo in bicicletta nei paesi più vicini, il viaggio più lungo è stato fino a Gonzaga, km 9. In treno ci sono stata fino a Guastalla (km 9). Ho incominciato ad aiutare la mamma a otto anni. Il lavoro più brutto per me è di pulire la stufa. Questa mattina la sarta mi ha fatto fare dei sottopunti e sopragitti e altre cose, poi sono venuta a casa a mezzogiorno, ho apparecchiato la tavola e ho mangiato un piatto di tagliatelle in brodo, e patate condite con olio e aceto, ho lavato i piatti e poi sono andata a scuola alla 5a elementare a Codisotto. Alle ore 17 sono ritornata, ho giocato alla palla e alle ore 19 ho mangiato due polpette di carne di cavallo con pane.
Sono di una classe disgraziata: il '14. 51 mesi senza mai licenza, mi hanno mandato in Grecia, in Francia. Adesso faccio il facchino di piazza, che è un mestiere indipendente; si fa fatica, resistiamo perché l'alcol aiuta; non è solo perché si beve volentieri, ma perché senza l'alcol non ce la farei a portare tutti quei sacchi di grano durante l'ammasso. In quel periodo si guadagna tanto da pagare anche i debiti di quando va male. D'estate mi viene qualche volta un dolore che mi fa restare curvo per mezza giornata. Ci siamo messi in 5 e abbiamo comperato un camion G.M.C. Quando c'è uno sfratto siamo obbligati per legge a farlo mettendoci agli ordini dell'ufficiale giudiziario, ma con delle scuse evitiamo più che si può gli sfratti perché si pigliano solo maledizioni.
Sono abbastanza contento. Il mio incarico è all'ufficio Protocollo, ma sono stato otto anni allo Stato Civile e otto anni all'Anagrafe. Le nascite sono in diminuzione anche se da noi c'è sempre l'abitudine di mettere le ragazze incinte prima di sposarle. All'anagrafe tanti anni fa c'era Bonanomi, Luigi Bonanomi, che è morto, e quando la gente veniva a denunciare una nascita li mandava indietro gridando che avevano messo al mondo un disgraziato di più, dei peciapòrta, picchiaporta, diceva. Quando andrò in pensione dividerò il mio tempo tra la pesca e i tartufi. Il mio mestiere mi piace molto perché attraverso tutta la corrispondenza vedo la vita del paese, si sente il movimento. Siamo legati, per esempio, con le lettere di oggi, a Mantova, a Cremona, a Reggio, a Bolzano, a Roma, ce n'è una anche dall'estero.
Mi alzo sempre alle 5 e alla sera vado a letto subito dopo le 7. I bei finimenti alla pistoiese, che si chiamano anche alla Gondrànd, non li faccio più perché non li comprano. A Luzzara ci sarà una ventina di cavalli; in tutto, tra cavalli e asini, 50. In quattro anni ho perso 200 cavalli, perché li hanno sostituiti coi trattori, con le auto e coi camion. Qualche affare l'ho fatto a Verona in occasione della fiera, ci saranno stati 3000 cavalli quest'anno, ma anche là la fiera dei cavalli cala e cresce la fiera agricola. Oggi ci vuole troppo credito e c'è meno risparmio e si fatica a riscuotere.
L'arrotatura di una falce costa 150 lire, di una forbice 40 lire, di una piccaglia per tagliare il bosco 50. Un cliente che mi doveva 300 lire me le ha date dopo due anni. C'è la concorrenza degli arrotini ambulanti; ma io quando ho guadagnato 1000 lire al giorno, mi basta; lavoro con la luce normale, vedo col sole; ho studiato il violino e vado a Quistello a sentire le bande dei carabinieri, della Finanza e della Pubblica Sicurezza, che vengono ogni anno con la giacca bianca come cuochi. Di giorno non vado mai all'osteria, di sera sempre; gioco a carte, ma se le carte non vengono non si vince. La domenica per me è il più bel giorno perché anche se stai seduto non hai il pensiero che gli altri pensano che fai male a stare seduto.
Ogni anno vado a trovare padre Pio. Ero in collera con mia sorella, dal tempo della morte di mio padre; poi, quando ho parlato con padre Pio, ho sentito dentro una cosa e le ho scritto una cartolina: saluti.
Non si possono fare i cappelli di paglia senza lo zolfo, perché lo zolfo tiene bianca la paglia, se no ingiallisce, ma io dopo tanti anni ho l'asma. Lo zolfo passa anche i muri, questo è il fumo dello zolfo che viene fuori dallo stanzino dove teniamo le trecce di paglia.
Non si riesce a fare aumentare il prezzo della treccia. Quando una ha fatto andare le dita come una macchina per tante ore al giorno compra un chilo di pane. Dicono che noi intanto chiacchieriamo, ma non solo fa male il filone della schiena, si finisce anche col pensare di pili ai propri debiti. Abbiamo la concorrenza delle contadine, perché quando d'inverno non lavorano in campagna fanno la treccia e siccome non ci devono mangiare s'accontentano di meno. Una volta a Luzzara c'era la fabbrica Bacchi, i suoi cappelli di paglia andavano in tutto il mondo, anche in India. Era la sola fabbrica vera che c'è mai stata a Luzzara, potevano aiutarla per non farla fallire, ma non l'hanno aiutata. C'è rimasto solo un paio di ditte che fanno della bella roba, ma non possono impiegare molta gente. I cappelli è un mestiere che non ci guadagna molto nessuno.
Vorrei che i miei figli avessero un posto fisso, se mio figlio facesse l'impiegato in Comune Sarei contento, almeno ha le ore per riposare, perché in campagna non è mai finita. Anche col padrone ci sono sempre questioni, quest'anno mi sta sullo stomaco la questione delle piante di alto fusto, perché il codice dà diritto al proprietario del terreno che le piante d'alto fusto sono sue in quanto servono alle riparazioni della casa, ma lui ne pianta di più di quelle che servono alle riparazioni e dovrebbe dividere, ma non divide col mezzadro e dice che è la legge, e noi potremmo far causa ma non la facciamo, se no il padrone ha troppi modi di ricattarci, basterebbe che non rinnova il contratto. Speravamo che mettessero su una cartiera in paese; a Luzzara abbiamo il legname, l'acqua, e ci manderei mio figlio, si potrebbero sistemare almeno 200 persone. Quando i comitati di liberazione hanno messo in prigione una ventina di ricchi gli hanno fatto la proposta di mettere su la cartiera, il popolo diceva: vedrai che dicono di si perché hanno paura di restare dentro, invece dissero di no.
Da quando c'è tanto caucciù e gomma per me va male, perché con una suolata di caucciù un ragazzo resiste un anno e prima ce ne volevano tre almeno. Un uomo con un paio di stivaloni di gomma e un paio di polacchi, tira avanti 13 o 14 mesi e spende 3000 e 3000, e una volta se li faceva a mano e spendeva 6000 e 6000. Siamo 10 calzolai ma quasi tutti traffichiamo con qualche altra cosa, se no non basta. Ho cominciato questo mestiere che andavo a scuola, a scuola ero il più asino perché ero il più buono. Ma mio figlio gli piace studiare, lui non avrà i pensieri che ho sempre io.
lo non sono di Luzzara, perché Riva sta sotto Suzzara per pochi metri, a Luzzara ci andavo sempre da ragazza a recitare. Eravamo una filodrammatica che ci stimavano molto e avevo sognato di fare l'attrice, la mia unica passione. Ho dovuto troncare tutto e continuare a vendere il pane. Vendiamo dall'aprile al dicembre 30 chili di pane al giorno e dal gennaio al marzo circa 18 chilogrammi, perché in questo periodo la gente lavora meno e di conseguenza mangia più polenta, mentre la pasta di fabbrica va più d'inverno essendoci scarsità di uova per la pasta fatta in casa.
È raro che alle carte giuochiamo più di un caffè o di una bottiglia di vino. Giuochiamo a briscola, scopa, scopone, tresette, terziglio, gilè, e al mille, che è una specie di poker rustico, perché si può bluffare. Donne nei caffè non ci vanno, gli uomini escono poco volentieri con le loro donne, si può dire mai dopo che sono sposati, sarà perché hanno paura che la gente a vederli insieme li vedono come a letto. Al caffè ci andavano le vecchie prima della guerra mondiale, quando uscivano dalla prima messa, a prendere il caffelatte con dentro una pasta sfoglia e lasciavano il tavolo tutto pieno di briciole, poi appena spuntava la luce andavano a chiudersi in casa sino all'Avemaria della mattina dopo.
Le barche grandi d'inverno le affondiamo perché si conservano meglio, se no il gelo le spacca. Nel '44 ne abbiamo affondate molte, ma per sabotaggio, c'era il coprifuoco e siamo andati di notte al Po, non c'era la luna, coi picconi sfondammo 14 barche, in fretta perché avevamo paura che arrivassero i fascisti o i tedeschi. Sull'altra sponda qualcuno sparò una raffica di mitra, forse avevano sentito i nostri colpi e non sapendo cos'era volevano spaventare, mi pare che c'era anche il figlio di Battaglia, che poi lo hanno preso, e intanto che lo portavano in piazza a Guastalla per l'esecuzione si è messo a correre, gli hanno sparato dietro ma lui ha svoltato subito nel vicolo della chiesa e ha continuato a correre per 9 chilometri fino ai Casoni e si è salvato.
Le frazioni di Luzzara sono Villarotta detta anche Villa dei Cappelli, perché quasi tutte le donne fanno la treccia per i cappelli, Casoni e Codisotto. Le strade che uniscono le frazioni a Luzzara hanno ai lati filari di pioppi a ceppaio o filari di viti tenute su da alberi. I codisottesi preferirebbero unirsi a Suzzara, i villarottesi fare per proprio conto. I villarottesi hanno meno soldi di noi ma si sanno divertire di più, d'estate c'è perfino la stagione delle operette all'aperto. Noi avevamo un bel teatro con tre ordini di palchi, l'abbiamo lasciato andare in rovina. Sono almeno trent'anni che non viene una compagnia buona di teatro. Adesso vogliono i cantanti della radio, nelle feste da ballo un cantante della radio che viene da fuori prende 150 000 lire per sera.
Ho cominciato a fare la cuoca a 14 anni, sono stata a servizio dai più grandi signori di Luzzara, i più grandi. Era come se fossi a casa mia, volevo più bene a loro che ai miei, poi se dovessi dire come sono andate le cose, non lo so, uno muore, un altro va via da Luzzara e casi da quando ho compiuto gli 80 sono finita al ricovero, dove sono trattata bene, ma per soprannome mi chiamano la contessa.
L'ultima stagione lirica che ho fatto è a Livorno ma diventa sempre più difficile il nostro mestiere. Non auguro a nessuno che suo figlio faccia il violinista anche se a me le soddisfazioni che si chiamano morali non sono mai mancate. Me la cavo perché sono solo e mangio come un uccellino e non ho neanche un vizio. Appena finita la stagione lirica torno a Luzzara dai parenti, e tengo in esercizio le dita per la paura che diventino dure. Prima della guerra ero chiamato a suonare in tanti posti, anche in molte funzioni religiose, ma è tutto cambiato, la nostra parrocchia, che aveva un beneficio di 350 biolche, il vescovo gliel'ha ridotte a 50.
Se scoppia un temporale quando sto a raccogliere il fieno prendo una forcata di fieno e scappo a casa tenendola sulla testa come un ombrello.
Il latte da 65 al litro è passato a 80. Il consumo diminuisce molto, da 300 litri al giorno quando ero ragazza, si è arrivati a 50. Tutti i miei recipienti che sono serviti a mio padre e a mia madre, non mi servono più, perché da un anno ci dànno il latte da vendere pastorizzato nelle bottiglie, però ai luzzaresi gli piace di più per il sapore e anche perché è più grasso il latte non pastorizzato e qualcuno lo prende direttamente dai contadini. Mia madre ha sposato al patto che mio padre non vendesse più latte, è finita che hanno venduto il latte per tutta la loro vita e anch'io sono ormai quarant'anni, ma non mi sono messa da parte niente e andrò al ricovero se mi prenderanno.
Ho da curare un magazzino di 4000 forme di formaggio, che è un capitale, più di 100 milioni. Il lavoro del magazziniere mi piace anche se è pesante e spero di diventare capo-magazziniere in qualche grande magazzino, come quelli delle Latterie Riunite di Reggio Emilia. Il formaggio di produzione dell'anno precedente lo devo voltare tutti i giorni d'estate, mentre il vecchio basta una volta alla settimana. Appena arriva il formaggio in magazzino per la stagionatura e ha quel colore giallino, lo si tinge con terra d'ombra, poi ci si dà una mano d'olio e magari di sapone, viene fuori quel colore quasi nero e lucido che è la crosta del formaggio. Il formaggio a stare 1ì cala un 10 % ogni sei mesi, ma quando c'è la copertura di terra d'ombra cala meno e non succede più niente sino a quando arriva al consumatore. Guadagno circa 1500 lire al giorno.
Ho sempre fatto il mediatore di formaggi ma ai miei tempi il formaggio lo lavoravano col cervello, oggi lo lavorano cogli acidi e all'estero ci stimano meno. Il formaggio fa ridere e fa piangere, grandi guadagni, e capita anche che uno si tira un colpo di rivoltella. Luzzara era centro importante del grana, spedivamo molto in America, il nostro stravecchione di quattro anni aveva un profumo come un fiore.
Ogni cascinaio ha il suo libro come il prete, con i suoi segreti, è un mestiere che non è mai finito. Al Cristo, che è una società di 18 contadini, si lavora il latte prodotto da 130 vaccine, si fa il buon formaggio. In certi paesi i cascinai devono stare molto attenti ai contadini che anche quando sono in società col cascinaio lo fregano lo stesso, non vogliono perdere neanche un litro di latte, neanche le lavature del secchio; le prime due o tre manate, quando mungono dovrebbero considerarle perdute, perché il capezzolo non è pulito, ma non lo vogliono perdere e cosi il latte ha dei sapori e altre cose che non deve avere. Il fieno greco il contadino lo dovrebbe dare alla bestia quando è in erba, non quando ha già il seme, se si vuole il latte buono; ma certi lo dànno dopo, quando è seme, perché in erba fa meno latte e col seme fa più latte. Il latte di due bestie una non appena sgravata e una di cinque o sei mesi, non lega bene, ma loro mescolano lo stesso e allora vengono fuori le forme di formaggio con difetti. Il latte di una vaccina che ha appena partorito, è più povero di grassi, per questo il formaggio invernale è me. no buono; il più fino è quello fatto in autunno.
La terra rende dal 2 al 4 %. È il peggiore investimento ma è il più sicuro. Il formaggio è un'altra cosa, è un mistero, ci vuole del naso, come uno che sente il tempo. Ferruccio Bertoni aveva un gran naso, anche mio fratello Altero. Bisogna sapere quando è il momento di vendere e quando di non vendere. Mio padre era Domenico, un uomo da consigli, e ci ha tirato su, io e i miei fratelli, tutti da agricoltori, e siamo venuti qui da Villanova, nel Reggiolese, e abbiamo sotto nel complesso qualche centinaio di biolche. Dai figli di Domenico sono venuti 23 figli e 22 nipoti, e andiamo tutti d'accordo.
Anche quando sono vestito da domenica, se una vaccina ha bisogno devo andare nella stalla e il vestito prende l'odore dell'orina delle bestie molto facilmente, e ci sono delle ragazze che ci badano.
Chi ha un po' di bosco in riva al Po, si può svegliare una mattina che il Po gli ha aggiunto qualche biolca di terra, e allora vi pianta alberelli che vengono su in pochi anni perché quella alluvionale è sempre terra molto buona. Può darsi anche che il Po porti via della terra, ma, tirate le somme, chi ha il bosco sta bene, perché c'è pioppo, salice, rubino, e quando si taglia sono sempre soldi. Qualcuno può rubare un palo o due, e quando facevo la guardia notturna, che erano tempi brutti, incontravo della gente, che di giorno non sarebbe stata buona a portare venti chili e di notte andava svelta svelta nell'ombra con dei pali di un quintale sulle spalle.
Le fascine di salice vanno molto bene per rinforzare gli argini del Po. Si buttano nell'acqua con dentro grandi sassi raccolti nei fiumi di rapina o staccati con le mine dalle rocce degli Appennini. Questi grandi sassi sono trasportati con gli autotreni sulla riva e da qui i carriolanti li passano sui barconi che arrivano sul posto dei lavori. I sassi sono messi dentro queste fascine che vengono buttate nell'acqua a fare da fondo. Sono lavori che servono sinché non c'è una piena come nel '51, ci mancavano 20 centimetri e rompeva tutto. Alle 10 e mezzo del mattino segnava 9,78 dell'idrometro, è stato il massimo, se rompeva arrivava fino a Modena. Avevamo lavorato tutta la notte a mettere i sacchetti e a stare attenti anche alle talpe, quelle nere che di notte fanno i buchi nell'argine.
Vado volentieri nel bosco in cerca di funghi che da noi sono tutti buoni e arrivo fino al Po dove mi piace vedere la caccia con la spingarda. Ma la caccia ce n'è sempre meno, credo che la colpa sia delle bonifiche. lo vivrei nel bosco, cammino delle ore e, siccome per terra c'è una spanna di foglie umide, sembra di andare sulla gomma, non si sente nessun rumore meno qualche volta i terrazzieri che litigano per i turni di lavoro. Una volta una moretta, che è il più tuffatore degli uccelli e si tuffa qui e salta fuori lontano 200 metri, l'avevano presa nell'ala e siccome non poteva per questo andare sotto, si era stesa sull'acqua in modo da non farsi vedere o sembrare una schiumetta.
Quando c'era la pellagra, dicevano che la colpa era perché mangiavamo solo polenta. La polenta la mangio sempre volentieri, specialmente arrostita. La cosa più buona che ci sia è la polenta con dentro tutte le raschiature del formaggio, quello che si tira via dalla forma fresca per pareggiarla. Noi siamo in 9, la carne la mangiamo alla domenica o durante i lavori più pesanti, come il mietere. Mia moglie ha tanto da fare che preferisce il pane perché la polenta ci vuole del tempo, almeno una mezz'ora di lavoro continuo, se no si attacca subito al recipiente e le vampate del fuoco le dànno molto fastidio.
Faccio circa 40 chilometri al giorno e pago gli stracci dieci lire al chilo. Un gatto costa 150 lire. Non ho la licenza perché se no c'è la tassa dell'IGE che mangia tutto. Non mi lamento troppo perché non ho debiti nelle botteghe.
Non mi sposerei mai con un contadino perché diventerei schiava della terra fino alla mia morte. L'unico divertimento per me è il ballo. Mi alzo sempre un'ora prima del sole, perché ho sempre lavorato la terra con mio padre, abbiamo sette biolche, siamo lui e io soli, mentre se si fosse in tanti si lavorerebbe con pili piacere perché si canta. Per comprarmi le mie cose personali faccio la treccia alla sera. Tutto costa, per esempio, un rossetto comune costa 500 lire, una scatoletta di cipria 300.
Sono andata in Piemonte quest'anno con mia mamma che ci va come mondina perché mio papà non poteva starmi dietro perché era solo, e là in Piemonte custodivo le oche al pascolo del padrone.
A sposarmi non bastano 300000 lire, 10 lenzuola, 10 federe, 10 asciugamani, 10 parures e la camera da letto, meno non si può. Lui deve andare sotto le armi, se no ci sposavamo subito anche se c'è poco lavoro. Quest'anno lui ha fatto meno di mille ore di lavoro.
Sono vedova di Benatti Giovanni, ho anni 60, bracciante agricola ma quasi sempre disoccupata, lavoro in media all'anno circa 30 giorni e cioè una parte in primavera, una parte d'estate per il taglio del grano, una parte d'autunno per la vendemmia, ogni giornata di lavoro guadagno circa L. 900. Questa fotografia di mio figlio Girolamo gliel'ha fatta un signore americano prima che Girolamo andasse in Francia. Girolamo andò in Francia a lavorare nei campi per la raccolta delle barbabietole da zucchero l'anno scorso, poi ci ritornò questa primavera allo stesso lavoro e in maggio moriva sul posto di lavoro, casi mi è stato detto, io ancora non so la causa di questo. Stanno facendo una colletta in paese per portare da là a qua la sua salma. Gigi andò alle armi ai primi di maggio di quest'anno, io spero sempre che venga a casa, ma, non viene mai. Casi sono sola. Una volta andavo In chiesa, adesso non ci vado più. Se mi ammalo le cure sono pagate dal Comune. Vorrei che mi fosse aumentata l'indennità vecchiaia sufficientemente per vivere. Lire 15 000 al mese, se no devo morire sul lavoro, come fece la vecia Braghina morta due anni fa, aveva 84 anni e ha lavorato in campagna fino all'ultimo.
Ho fatto sempre il bifolco, vivo nel Ricovero da quando ho compiuto i 70. Non mi sono mai sposato e al Ricovero ci sto bene. Al Ricovero sono le vecchie che litigano sempre, allora la suora si mette a cantare e le vecchie fanno coro e non litigano più.
Siamo più avanti di tante altre regioni e siamo più indietro di quello che dovremmo. Basta guardare la media dei redditi e si capiscono tante cose. Il reddito di un proprietario non coltivatore è di 600 000 lire circa all'anno, quello di un proprietario coltivatore di circa 150 000, 90 000 l'affittuario, 70000 il mezzadro, 50 000 il bracciante.
Mi sono sposata a 18 anni e ho fatto 15 figli di cui 4 sono morti piccoli. Nel '21 mio marito Lusetti venne bastonato poi fu battuto ancora nel 1926, non ho mai saputo il perché di tutto questo, so solamente che è stata la causa della sua morte. Nel '33 per la vigilia di Natale è morto mio marito lasciandomi in miseria con 8 figli maschi e 3 femmine. Durante la guerra i miei cari figli sono stati militari in Italia, Francia, Grecia, Germania, Africa, Inghilterra. Meno il più giovane che aveva solo sedici anni. Nel '46 eravamo tutti insieme dopo 14 anni di dolore materno. Sogno di avere una casa mia vicino a una chiesa per andarci spesso. Mio figlio Bruno dice sempre voglio lavorare la nostra terra, con le macchine, come trattori e simili. Sono 55 biolche e dividiamo il 43 % a noi e il 47 % al padrone, compreso il lavoro delle donne prendiamo settanta lire all'ora. Si lamentano tutti che è un mestiere da umiliazione. Remo ha visto quando suo padre lo hanno picchiato in Via Catania a Campagnola, c'era una macchina ferma e cinque o sei persone, saranno state verso le 17. Nino dice che non ha mai capito perché hanno fatto la guerra, Nino è stato prigioniero in Africa dove si è trovato con suo fratello Valentino, prigioniero anche lui. Afro è stato in treno la prima volta quando è andato militare nel '43, poi è scappato a casa. Guerrino ha avuto un po' la salute toccata dalle botte che ha preso in Germania, Nando era là anche lui e per non morire ha mangiato anche una pelle di coniglio, abita 8 chilometri lontano da me perché nella casa del podere non c'è posto per tutti. È una casa anche che ci piove dentro. Nel '45 mi hanno domandato se avevo voglia di vendicarmi, ma non avevo voglia di vendicarmi.
Una falce costa circa mille lire e la si usa da aprile fino a novembre, è il lavoro più duro e se c'è molta erba quando si fa tornare indietro la falce per dare l'altra falciata, è facile tagliarsi un piede. Quando si falcia scappa via sempre qualche lepre. Finito il lavoro si torna con lo schioppo e si finisce col trovare la lepre, perché si affeziona ai posti. Non bisogna dirlo che c'è la lepre, se no qualche altro arriva prima. Ieri mattina appena alzato ho sentito una doppietta. Ho aperto la finestra, ci si vedeva appena, e c'era uno già con la lepre in mano, era un maschio grosso che avevo visto il giorno prima.
Quando il fieno non è troppo steso a terra dai temporali lo falciamo con la falciatrice tirata dai buoi. I proprietari non vogliono che il contadino usi le bestie per la falciatrice perché dicono che le bestie si sciupano a fare questo lavoro. Vogliono che sia falciato a mano, ma è il lavoro più pesante che ci sia.
Sono affittuario di un podere di 28 biolche e mi piace molto stare dietro ai frutteti. Pago per affitto annuo tre quintali di latte, uno di granturco, uno di frumento. Quest'anno abbiamo prodotto 220 quintali di latte, 65 di frumento, 30 di granone, 60 di uva, perché c'è la fìlossera, e prima se ne facevano 150 quintali. Un figlio mi è morto a Rodi verso la fine della guerra e un altro figlio mi aiuta molto, si alza d'estate alle 4,30 e lavora fino alle 20 con due ore di gabanella (pisolino) dopo aver mangiato.
lo ci tengo ad avere un bel pollaio, come vorrei avere una cucina con l'acqua in casa, ma purtroppo è una spesa grossa. Sono pochi i padroni che hanno messo l'acqua in casa e l'abbeveratoio per le mucche dentro la stalla, le mucche devono venire fuori per bere e prendono dei mali, perché sono come noi quando andiamo dal caldo al freddo. Nella stalla, d'inverno, ci faccio volentieri il bagno in un grande mastello, perché c'è un bel calore. Questa mattina ho castrato dei galletti, si fa in cinque minuti. Prima si pulisce bene con l'acqua la parte, poi si taglia con la lametta e si ficcano dentro le dita e si tira via quello che c'è da tirare via poi si ricuce subito con ago e filo, poi si taglia i bargigli e la cresta, se uno ce li lascia su si seccherebbero da soli. Ho fatto tutto in cinque minuti con mio nipotino che teneva ferme le gambe del galletto. Poi l'ho messo nel pollaio e lo lascio Ji quieto per un giorno, dopo è come se non fosse successo niente e diventa grosso e più buono da mangiare.
Il mio lavoro lo faccio nella stalla, sono circa dodici ore al giorno e guadagno 380 000 lire che mi pagano parte in natura, parte in denaro. Mi piacerebbe un pezzetto di terra di mia proprietà per mantenere la mia famiglia che siamo in quattro. Prendo l'assistenza mutua malattia. Ci vorrebbe più macchine e più rispetto.
Sono proprietario di 5 biolche di terra che ho sempre lavorato con mia moglie che ha 75 anni come me e quattro figli. La rendita è di circa 300 000 lire lorde. Il mio passatempo è « La diana », rivista di caccia. Mia moglie è molto economica, non ha quasi mai usato le scarpe, neanche d'inverno; avrà consumato nella sua vita quattro paia di scarpe, anche in paese va con le scarpe in mano. Non è mai stata al cinema, le piace il ballo e ballerebbe ancora.
Quest'anno sono stata in Piemonte a fare la mondina. Vorrei fidanzarmi perché ho 15 anni, ma mio padre non ha piacere perché ha fatto in pochi anni le doti a tre mie sorelle e farebbe fatica a farne un'altra. Mio padre ha 52 anni, otto figli e prende 100 lire all'ora, è un lavoro di cooperativa dove ci sono 150 persone a lavorare e spera di portare il 55 % almeno al 60 %, cosi prende come gli altri 130 all'ora.
Faccio il maniscalco da quando sono nato e mi piace molto il vino. Coi miei fratelli avevo una volta una bottega nel centro del paese, ma tutti si lamentavano per l'odore e il fumo delle unghie bruciate, perché allora venivano a ferrare da noi anche forestieri. Adesso la ferratura dei cavalli dà troppo poco, meno di 50 000 lire all'anno. Le mucche e i buoi vado a ferrarli sul posto, vengo pagato con uova, zucche, farina e altra roba, e mi fermo anche per la cena.
Guadagno 5000 lire ad andare a metà servizio. Il metà servizio è sempre un trucco, perché si fa in tempo a fare tutto. L'anno scorso sono stata a Guastalla e ne pigliavo 7000, ma c'erano troppi pavimenti da lucidare. A Milano 10 000. Sto più volentieri a casa, meno quando vado mondina, che prendo 1150 lire al giorno più un chilo di riso e vitto e viaggio. A fine maggio si parte, si monda il riso, che è alto una spanna, dalle erbe cattive, si fa il trapianto, cioè dalla piana che è il vivaio si trapiantano i mazzolini di riso nelle altre piane e mentre noi facciamo questo andando indietro un uomo butta giù dal carretto alle nostre spalle i mazzolini da trapiantare in modo che li troviamo pronti sotto le mani. Ci vogliono molte mondine per fare presto perché se il riso cresce troppo non è più mondabile. In una sola camera nel '50 eravamo in 17. Quando c'è il temporale, l'acqua entra dappertutto e molte svenivano. Ho visto gli alberi volare perché gli alberi della risaia non hanno quello che noi chiamiamo la soca, la parte bella grossa che si pianta dentro la terra.
Ho fatto per 50 anni la bidella dell'asilo, nel. le scuole e posso dire che ho pulito il sederino a tutti i luzzaresi. Sono andata avanti con le 1100 lire fisse al mese del Comune, più 200 lire settimanali delle Opere Pie e un po' d'elemosina. Ho sempre avuto paura di andare a finire al ricovero e ci sono finita proprio in questi giorni per la paralisi. Il mio desiderio è quello di tornare a casa mia.
Le persone che si trovano pitturate o in vecchie stampe dalle nostre parti sono Camillo Cavour, Vittorio Emanuele, Garibaldi, Andrea Costa, Alceste de Ambris, Giuseppe Mazzini. Ferrer e molto Camillo Prampolini di Reggio Emilia, con il suo barbone bianco, era il socialista più vero socialista. Ma i giovani, escluso Garibaldi, Mazzini, Cavour e Vittorio Emanuele, forse questi altri nomi non li conoscono. Sui muri c'è la faccia di De Gasperi, di Togliatti e i risultati delle elezioni del 7 giugno sono stati: iscritti 6647. Votanti 6408. Voti validi 6100. Schede bianche 145. Schede nulle 162. Contestate 1. Percentuale votanti 95,40 %. Schieramento democratico 3696. Schieramento governativo 2243. Altre liste 161. Uno stupido ha votato per la Lollobrigida e la Pampanini.
Faccio la portalettere. Mio marito si chiamava Compagnoni e lo hanno fucilato a Reggiolo perché era partigiano. Ci sono ancora i segni di tutte le pallottole nel muro vicino al cimitero. Verso le sette di mattina si sono presentati in cinque. Mio marito era già andato fuori. Sono tornati alle nove, e mio marito c'era e ha abbracciato uno dei cinque che era un suo amico da soldato e gli ha detto: controlliamo solo i documenti. Con queste parole siamo diventati calmi. Ma uno gli ha detto: hai la bicicletta? Mio marito ha risposto che era sgonfia. Il milite ha preso fuori la rivoltella e ha detto: ti ho detto di tirare fuori la bicicletta. Lo hanno portato in piazza dove c'erano 60 o 70 giovani rastrellati con tutte le famiglie da una parte e i rastrellati dall'altra. Li hanno portati a Reggiolo a piedi. gli hanno fatto fare 12 chilometri di corsa e gli sono andate dietro le donne, ma poi si sono dovute fermare. Il mio due giorni dopo lo hanno fucilato con gli altri 8 luzzaresi. Mia figlia compiva dieci mesi. Quando dopo la liberazione il paese ha fatto i funerali a mio marito e agli altri fucilati a Reggiolo, era tutto un pianto. Il funerale stava arrivando dove si svolta per il cimitero e le macchine che venivano da Guastalla si erano fermate per lasciar passare il funerale. C'era anche uno in motocicletta che guardava e aveva gli occhiali da motociclista, ma uno lo ha conosciuto lo stesso e gli ha gridato: « È uno di quelli che hanno ammazzato i nostri ». Lui s'è accorto che lo guardavano e ha messo la moto in marcia, ma gli sono corsi dietro e lo hanno preso e portato nel bosco.
È più il tempo che lavoro in campagna ad aiutare mio marito che in casa. Ero cosi anche da bambina, perché finita la terza andavo con mio padre nei campi. Prima io e mio marito abbiamo fatto i braccianti, poi ha preso in affitto 13 biolche di terra con un prestito di un anno. Dei tre figli, i due maschi andarono alle armi, ma nel '44 cominciò il terrore, il 15 dicembre siamo stati presi io e mio marito e messi in prigione a Guastalla, pensavo dove sono i miei figli e Franco era nella cella vicino alla nostra che mi incoraggiava, ma al mattino lo hanno fucilato. Il giorno di Natale ho saputo che Erminio lo avevano preso anche lui e sarebbe a Bolzano. Poi venne la liberazione e gli altri vennero a casa, ma Erminio non veniva mai, pensavo che avevo perduto anche lui, e finalmente arrivò 1'8 di maggio, volevo fare chissà che cosa, ma non avevo nemmeno la forza di fargli dei complimenti. Adesso è sposato, è il Sindaco.
Spendono per il Po, ma è niente rispetto a quello che dovrebbero spendere per evitare le piene, perché quella del '51 non sarà l'ultima e pare che il pericolo più si va avanti peggio è. Hanno pensato di fare dei grandi bacini di espansione con i terreni di golena, ma non li hanno ancora fatti; poi bisogna portare gli argini a 0,80, al di sopra del massimo livello di piena che è stato raggiunto, credo 0,76; e pensare che l'acqua del Po potrebbe essere adoperata per l'irrigazione, perché è un'acqua con il limo buono, ne abbiamo tanto bisogno mentre in tutta !'Emilia c'è si e no il 10 % di terreni irrigati; devo dire che quando c'è la piena nessuno scappa via, tutti stanno sull'argine a guardare fisso l'acqua come se la potessero fermare con gli occhi.
Ho un pezzo di bosco a mezzadria. Ci siamo uniti io e mio fratello e mettiamo su una famiglia di dieci persone e ci rende 2500 lire al giorno a stare attenti. Siamo a mucchio in tre camere sole. Mia moglie è lei che mi fa i vestiti, di media ne consumo uno ogni otto anni, ma quando arriva è una botta grossa, ho comprato un taglio adesso, stoffa e fodere ho speso 20 000 lire. Mi piacerebbe un giorno comperare un fucile nuovo, adesso adopero un Cocherill che mio padre pagò 30 lire e ora costa 30 000 lire. Con mia moglie aspettiamo da vent'anni di fare il viaggio di nozze se mettiamo da parte i soldi.
Sono maestro a Luzzara. Io e i miei colleghi un giorno di marzo del '54 abbiamo dato da fare il diario a tutti gli scolari delle cinque classi. Questi sono 23 diari.
- Ieri pomeriggio sono andata a fare una passeggiata in campagna. Si sentiva una bell'aria tiepida, si sentivano i canti degli uccelli che si sparpagliavano nell'aria. Gli uomini tiravano il filo di ferro lungo i filari attorno a i pali. Oggi mi sono seduta al sole e stavo a guardare alcune api che si posavano sui fiori dei giacinti. Ero cosi intenta a guardare le api che non vidi una rondine volare per il cielo. Fu la nonna a dirmi: guarda, Gina, una rondine, è la prima.
- Mio papà fa il muratore, fa le case agli altri uomini. In inverno cade la neve e c'è freddo e non può più lavorare. Adesso che siamo in primavera può andare a lavorare.
- Questa mattina nel venire a scuola un mio compagno ha trovato delle viole e le ha rotte e io gli ho detto del somaro.
- Noi ragazzi siamo come i vecchi, quando piove piangiamo e quando c'è il sole siamo allegri.
- Il 19 marzo Monsignore ha compiuto 79 anni e gli abbiamo portato tutti dei bei fiori e un canopeo. Ma lui ha detto che non gli dovevamo portare garofani, ma crisantemi, perché lui è tanto vecchio, e si è messo a piangere e ha detto che al pomeriggio ci dava le caramelle e noi eravamo tutti contenti.
- Se tutte le mattine piovesse il Po diventerebbe alto e annegherebbe noi e anche Luzzara.
- Poco fa la signora maestra ci ha letto un articolo del giornale. C'era scritto che un peschereccio con ventisette uomini d'equipaggio si trovava nel mare del Giappone a pescare. Una mattina videro un grande fumo alzarsi verso il cielo a forma di fungo. Improvvisamente una nuvola bianca di cenere cadde sul peschereccio e si appiccicò ai vestiti dei marinai, al pesce e alla barca. I pescatori prima di tornare al porto vendettero il pesce. Quando entrarono nel porto li portarono subito in un ospedale di Tokio dove furono curati immediatamente, perché la cenere atomica può ammalarli di cancro o di ulcera. La signora maestra ha detto che gli uomini sono stupidi perché con una bomba fanno morire centinaia di persone, e per salvare un bimbo di cancro fanno venire un aeroplano dall'America sino all'Italia. Anch'io sono d'accordo con lei.
- Mio papà fa il macellaio sotto un padrone di Villarotta. Mi piacerebbe fare la magliaia; i vestiti che mi piacciono di più sono quelli rosa e azzurro. Ho paura di andare in barca, l'acqua mi fa sempre paura e nel '51 per l'alluvione ho avuto una grande paura. Al cinema non ci vado volentieri perché mi dà il mal di testa.
- Mio papà fa l'operaio e adesso va a lavorare in campagna. La mia mamma non aiuta il mio papà perché ha un bambino piccolino. Mio papà delle volte quando viene a casa da lavorare mangia e va in caffè. Mio papà è andato in Francia a lavorare. Mio papà quest'anno non va in Francia perché c'è il bambino.
- È arrivato il motore verniciato di nuovo, sembra che lo abbiamo appena comperato. È un Velite. Lo guida mio zio, fra qualche giorno andremo ad arare in un campo.
- Mio zio voleva che pompassi l'acqua per le bestie, ma io sono andato a giuocare con Vincenzo, Carlo e Giuliano. Siamo andati a nasconderei su nel fienile e in altri posti. Giuliano si alzò per vederci, ma io lo vidi prima e dissi: pom, Giuliano è morto! Cesare mi vide e mi sparò, ma appena Cesare mi uccise Vincenzo lo uccise lui. Rino era astuto, in un minuto li uccise tutti e due. Dopo sono andato a sentire la radio che diceva che a Torino il Po era cresciuto di tre metri ed ha portato nella Val Padana grossi pezzi di marmo. Mia madre pensava fra sé: poveri noi se verrà l'al1uvione. lo raccontai il fatto a un mio amico di nome Vincenzo e suo padre rispose: lo sai perché il Po è cresciuto di tre metri? lo ripetei: no, non lo so. Al1ora me lo spiegò e disse: perché il Po a Torino è largo come il Po vecchio e siccome è piovuto per tre giorni l'acqua non è potuta scorrere via tutta in una volta.
- Mio babbo è senza lavoro, io sono malcontento.
- Ieri mattina mio babbo è andato da suo fratello perché era all'ospedale e appena lontano è venuto dentro un uomo, quello che compera le mucche
e mi ha chiesto: dov'è tuo padre. Io gli ho risposto: è andato via. Egli mi ha chiesto che gli vendessi una mucca e io gli ho detto che volevo 85000 lire e lui mi ha risposto: la compero. Però io non voglio la responsabilità, ho detto. Mi ha risposto che domani sarebbero venuti a prenderla. Quando mio padre è venuto a casa gliel'ho detto e lui ha detto che ero stato un bravo bambino.
- Alle quattro del pomeriggio andai alla S. Benedizione e nell'andare vidi una bella macchina marrone e fra me dissi: «Se fosse mia! Non sarei chiusa nel collegio, ma fuori a godere la mia libertà. »
- Ieri mattina sono venuti a prendere mio padre e me per fare il cambio con la mia macchina; sembra una macchina da corsa. Vogliono 60 000 lire; mio babbo dice forse questa estate la prendiamo. Mia mamma vuole che non facciamo debiti.
- La mia radio non parla perché è rotta, se le do un pugno forte allora viene la voce.
- Oggi pomeriggio abbiamo visto piantare un pozzo, poi io andai con mio babbo a Borgoforte. Che meraviglia! Mi divertii tanto, andai a casa di Baratti c'era un mucchio di sabbia e mi copersi.
- Questa mattina nel venire a scuola mi sono incantato a guardare il treno c'è mancato poco che non vada addosso a un paracarro.
- La casa dove abito è bella ma però non è mia.
- Ieri sono andato a Po con mio zio a pescare con le canne. lo ho preso un pesce molto piccolo, invece mio zio ne ha preso uno di un chilo, e l'ha venduto e ha preso lire centocinquanta. Quello rimasto lo abbiamo mangiato con due fette di polentina.
- Il 14 marzo alle due del pomeriggio nella stalla sono nati due vitelli gemelli, erano tutti e due di color cenere, però proprio il più bello era cieco e zoppo, non era sano, dopo due ore mori. Invece l'altro diventò grande e grosso, cosi mio padre l'ha venduto. La madre di quel vitellino mori. Però a quel vitello morto ho fatto una tomba e sempre lo ricorderò come un mio fratello.
- Io sono un bambino molto povero. Ho quattro fratellini. Oggi è una bella giornata. Il cielo è azzurro, il sole è caldo e si sta bene all'ombra.
- Mio babbo è un contadino e lavora la terra. In questi giorni mio babbo scava le piante e rompe i rami. Mio babbo è sotto a un padrone e fa quello che dice lui. Ieri abbiamo preso le fascine che erano sopra i pali e le abbiamo aggiustate sopra la fascinaia. Mio babbo ha fatto la punta ai pali e io glieli portavo; quei lunghi li abbiamo messi da una parte per balancini e quei piccoli per i pomidori. Dopo è venuto mio zio che era venuto a parlare per delle cose interessanti che a me però non interessavano.
BIBLIOGRAFIA
Z. (nato a Luzzara il 20-9-1902) ha pubblicato:
• Parliamo tanto di me. Bompiani, Milano 1931.
• I poveri sono matti. Bompiani, Milano 1937.
• Io sono il diavolo. Bompiani, Milano 1941.
• I tre libri. Bompiani, Milano 1942.
• Totò il Buono. Romanzo per ragazzi (che possono leggere anche gli adulti). Illustrazioni di Mino Maccari. Bompiani, Milano 1943.
• Pitture di Zavattini. Presentazione dell'autore. Scheiwiller, Milano 1946.
• Umberto D. Soggetto e sceneggiatura. Bocca, Milano 1953.
• Ipocrita 1950. Scheiwiller, Milano 1954.
• Un Paese (in collaborazione con Paul Strand). Einaudi, Torino 1955.
• Ipocrita 1943. Bompiani, Milano 1955.
• Il tetto. Soggetto e sceneggiatura. A cura di Michele Gandin. Cappelli, Bologna 1956.
• Come nasce un soggetto cinematografico (monologo in due tempi). Bompiani, Milano 1959.
• Fiume Po (in collaborazione con W. M. Zanca). Ferro, Milano 1966.
• I misteri di Roma. Progetto di un film. A cura di Francesco Bolzoni. Cappelli, Bologna 1963.
• Straparole. (Diario cinematografico - Riandando - Viaggetto sul Po Lettera da Cuba a una donna che lo ha tradito). Bompiani, Milano 1967.
• Ligabue. Ricci, Parma 1967.
• Saturno contro lo terra (fumetti in collaborazione con Pedrocchi e Scolari). Milano-Libri, Milano 1968.
• Non libro più disco. Bompiani, Milano 1970.
• Le grandi firme del fumetto italiano (in collaborazione con Molino, Pedrocchi, Canela e Paparella). Grandi Firme, Milano 1971.
• Zavattini 1928. Corsivi per la «Gazzetta di Parma ». Gruppo di Cooperazione Editoriale, Suzzara 1973.
• Stricarm' in d'na parola. 50 poesie in dialetto. Scheiwiller. Milano 1973.
• Opere. Romanzi, diari, poesie a cura di Renato Barilli. Bompiani 1974.