martedì 2 novembre 2021


IL TUNNEL
Friedrich Dürrenmatt
In questo racconto uno studente viaggia con il solito treno verso Zurigo, per andare all'università. Poco dopo la partenza si accorge che il treno è entrato in una galleria senza uscita e ben presto si rende conto che si tratta di un  viaggio verso una voragine senza fondo. Il percorso del treno verso la catastrofe ci porta a fare un riferimento alle vicende che viviamo dove  il  futuro è sempre incerto, dove cresce  il senso di disorientamento, e dove le paure-nevrosi ci fanno di sentire come se mancasse il suolo sotto i piedi intrappolati in una corsa folle verso una fine che non possiamo neppure riconoscere… perché non sappiamo cosa sia la fine. 
Come mai allora alla domanda-logica (nata dalla paura) del capotreno: "Cosa possiamo fare?", lo studente risponde con un lapidario: Nulla!? E perché risponde con serenità? Da dove trae questa serenità?
IL TUNNEL
Un ventiquattrenne, grasso per non esser troppo vicino a quanto di orribile vedeva nascondersi dietro le quinte (e questa era una sua virtù, forse l'unica) e che preferiva tappare ogni buco della propria carne – attraverso questi buchi, appunto, le mostruosità avrebbero potuto penetrare in lui – sicché fumava sigari (Ormond Brasil 10), sopra gli occhiali ne portava un secondo paio – occhiali da sole – e nelle orecchie aveva dei batuffoli di cotone, questo giovane, ancora dipendente dai genitori e occupato in nebulosi studi presso una Università raggiungibile con un viaggio in treno di due ore, saliva una domenica pomeriggio sul suo solito treno – partenza alle 17.50 arrivo alle 19.27 – per assistere l'indomani a un seminario che già aveva deciso di bigiare.
Il sole splendeva in un cielo senza nuvole, quando egli lasciò il luogo dove abitava.
Era estate.
Il treno si sarebbe mosso fra le Alpi e il Giura, fra ricchi villaggi e città piccole e meno piccole, successivamente lungo un fiume, e dopo nemmeno venti minuti di viaggio, appella dopo Burgdorf avrebbe fatto ingresso m un breve tunnel.
Il treno era stracolmo.
Il ventiquattrenne era salito in testa e si era faticosamente spostato verso la coda, sudando e destando l'impressione di essere un po' rimbecillito.
I passeggeri sedevano stretti stretti, alcuni perfino su delle valigie; anche gli scompartimenti di seconda classe erano occupati, solo la prima classe era poco frequentata.
Finalmente il giovane, apertosi faticosamente un varco attraverso quel guazzabuglio di famiglie, coscritti, studenti e coppiette, sbatacchiato qua e là dal treno ora addosso a questo ora a quello, brancolando fra seni e pance trovò posto nell'ultimo vagone; trovò anzi tanto posto da avere per sé un intero sedile in questo scompartimento di terza classe – nella quale è altrimenti difficile trovarne.
Nel chiuso scompartimento, di fronte a lui, sedeva un uomo ancor più grasso che giocava a scacchi da solo, e nell'angolo della porta del corridoio, una ragazza dai capelli rossi che leggeva un romanzo.
Sicché se ne stava già al finestrino e aveva appena dato fuoco a un Ormond Brasil 10, quando giunse il tunnel che gli sembrò più lungo del solito.
Aveva già percorso diverse volte questo tragitto, quasi ogni sabato e domenica da un anno a questa parte e in realtà non aveva mai osservato attentamente il tunnel, ma lo aveva solamente intuito.
A dire il vero alcune volte avrebbe voluto dedicarvi tutta la sua attenzione, ma ogni volta che esso giungeva gli capitava di pensare ad altro, sicché non riusciva a osservare quel breve tuffo nell'oscurità, perché il tunnel era passato quando, deciso a osservarlo, sollevava lo sguardo, tanto il treno lo attraversava rapidamente e tanto esso era breve.
Sicché anche adesso non aveva tolto gli occhiali da sole, non avendo pensato al tunnel, quando vi entrarono.
Il sole aveva scintillato con grande forza e il paesaggio attraverso cui viaggiavano, le colline e i boschi, la più lontana catena del Giura e le case della cittadina erano come d'oro, tanto tutto riluceva nel crepuscolo, così tanto, che appunto la fulminea oscurità del tunnel fu evidente: ecco perché l'attraversamento gli appariva più lungo di quanto non si fosse aspettato.
Nello scompartimento era completamente buio; a causa della brevità del tunnel le luci non erano in funzione: da un momento all'altro i primi opachi barlumi della luce del giorno sarebbero filtrati dal vetro, si sarebbero diffusi fulmineamente e avrebbero fatto irruzione nella loro piena e dorata chiarezza; ma permanendo tuttavia il buio, si tolse gli occhiali da sole.
La ragazza si accese in quell'istante una sigaretta, visibilmente contrariata perché non poteva continuare il suo romanzo, come gli parve di notare alla rossa fiammata del fiammifero; il suo orologio da polso dal quadrante fosforescente segnava le sei e dieci.
Si appoggiò nell'angolo fra la parete e il vetro e si occupò dei propri confusi studi – nessuno lo prendeva sul serio – del seminario cui avrebbe dovuto partecipare il giorno dopo e al quale non si sarebbe recato (tutto quanto compiva era un pretesto per riuscire a far ordine dietro la facciata delle sue azioni; non un ordine vero e proprio, solo l'apparenza di un ordine, di fronte alle cose orripilanti da cui si distanzia imbottendosi di ciccia, cacciandosi sigari in bocca e batuffoli di cotone nelle orecchie) e quando riguardò il quadrante erano le sei e un quarto: il tunnel continuava.
Questo lo confuse.
Comunque le luci ora si accesero, nello scomparto si fece chiaro, la rossa poté continuare a leggere il suo romanzo e il signore grasso tornò a giocare a scacchi da solo, ma fuori, al di là del vetro – in esso ora si specchiava tutto lo scompartimento continuava ad esserci il tunnel.
Si portò in corridoio, dove un uomo alto dall'impermeabile chiaro continuava ad andare avanti e indietro, un foulard nero avvolto al collo.
Perché mai, con questo tempo, pensò, e guardò gli altri scompartimenti del vagone dove si leggeva il giornale e si chiacchierava.
Fece ritorno al proprio angolo e si sedette, il tunnel doveva finire da un istante all'altro, da un secondo all'altro; l'orologio da polso segnava quasi le sei e venti; si arrabbiò di aver badato così poco, in passato, al tunnel: questo continuava già da un quarto d'ora e, tenendo conto della elevatissima velocità, doveva essere un tunnel importante, uno dei tunnel più lunghi della Svizzera.
Era quindi probabile che avesse preso un treno sbagliato, anche se al momento non gli veniva in mente un tunnel così lungo e importante a venti minuti di treno dal paese dove abitava.
Chiese perciò al grasso giocatore di scacchi se il treno fosse diretto a Zurigo, e questi lo confermò.
Non sapeva affatto che a quel punto del tragitto vi fosse un tunnel così lungo, disse il giovane, ma lo scacchista rispose – leggermente infastidito, essendo stato interrotto per la seconda volta nel corso di una qualche complessa riflessione che in Svizzera vi erano numerosi tunnel, che essi erano straordinariamente numerosi: lui attraversava per la prima volta il paese, ma questo dato saltava subito all'occhio, ed egli aveva letto in un annuario statistico che nessun paese possedeva tanti tunnel quanti ne aveva la Svizzera.
Ora si doveva scusare, davvero spiacente, ma era occupato con un ponderoso problema di difesa Nimzovic e non poteva venir distratto.
Lo scacchista aveva risposto cortesemente, ma risoluto; che da lui non potesse attendersi una risposta, il giovane se ne rese conto.
Era convinto che il suo biglietto sarebbe stato respinto; neanche quando il controllore, un uomo pallido, magro, nervoso, come sembrava, ricordò alla ragazza di fronte, cui prese per prima il biglietto, che a Olten doveva cambiar treno, il ventiquattrenne rinunciò a ogni speranza, tanto era convinto di esser salito sul treno sbagliato.
Avrebbe senz'altro pagato la differenza, doveva recarsi a Zurigo, disse poi senza togliere l'Ormond Brasil 10 dalla bocca e tese il biglietto al controllore.
Il signore era sul treno giusto, rispose quello quand'ebbe controllato il biglietto.
Ma stiamo viaggiando in un tunnel esclamò il giovane stizzito, ormai energicamente determinato a chiarire l'angosciosa situazione.
Avevano appena oltrepassato Herzogenbuchsee e ci si stava avvicinando a Langenthal, disse il controllore.
E' vero, signor mio, sono le sei e venti.
Ma si viaggiava da venti minuti in un tunnel, si ostinò il giovane sulla propria affermazione.
Il controllore lo osservò senza comprendere.
E' il treno per Zurigo disse, e ora guardò anche verso la finestra.
Sei e venti, ripeté, e apparve leggermente inquieto fra poco viene Olten, arrivo alle diciotto e trentasette.
Sarà giunto del cattivo tempo, così, all'improvviso, poi la notte, forse una tempesta, certo, si tratterà di questo.
Assurdo, si intromise nel colloquio l'uomo che si occupava di un problema di difesa Nimzovic seccato perché continuava a tenere teso il proprio biglietto senza venir preso in considerazione dal controllore.
Assurdo, stiamo viaggiando in un tunnel.
Si può vedere chiaramente la roccia, granitica, a quanto pare.
In Svizzera ci son più tunnel che negli altri stati del mondo intero.
L'ho letto in un annuario statistico.
Il controllore, prendendo finalmente il biglietto dello scacchista, assicurò di nuovo, quasi supplichevole, che il treno andava a Zurigo: a questo punto il ventiquattrenne chiese del capotreno.
Era in testa al treno, disse il controllore, comunque questo convoglio era diretto a Zurigo, erano le sei e venticinque e in dodici minuti si sarebbe fermato, secondo l'orario estivo, a Olten… faceva servizio in questo treno tre volte la settimana.
Il giovane si mise in cammino.
Muoversi gli apparve ancora più difficile – nel treno stracolmo – di poco prima, quando aveva percorso lo stesso tratto in direzione opposta; il treno doveva procedere a una velocità incredibile, inoltre il frastuono che provocava era tremendo; sicché si mise nuovamente nelle orecchie i batuffoli di cotone; prima, salendo sul treno, se li era tolti.
La gente che oltrepassò si manteneva tranquilla, in nulla il treno differiva da altri treni su cui aveva viaggiato le domeniche pomeriggio, e nessuno gli apparve inquieto.
In una carrozza con scompartimenti di seconda classe c'era un inglese al finestrino del corridoio: questi picchiettava sul vetro, raggiante, la pipa che stava fumando: Sempione, disse.
Anche nel vagone ristorante tutto era come al solito, nonostante non vi fosse alcun posto libero, e il tunnel avrebbe potuto apparire con evidenza a un viaggiatore o ai camerieri che servivano cotolette alla viennese con il riso.
Il capotreno, riconoscibile dalla borsa rossa, il giovane lo trovò all'uscita del vagone ristorante.
Desidera? disse il capotreno, un uomo di alta statura, tranquillo, con dei baffi neri estremamente curati e un paio di occhiali senza telaio.
Ci troviamo in un tunnel da 25 minuti!, disse il giovane.
Il capotreno non guardò la finestra, come il ventiquattrenne si era atteso, e si rivolse invece al cameriere.
Mi dia un pacchetto di Ormond 10, disse, fumo lo stesso tipo di sigari che fuma il signore qui; ma il cameriere non poté servirlo perché non aveva quel tipo di sigari: sicché il giovane, lieto di avere un'occasione per continuare il discorso, offrì al capotreno un Brasil.
Grazie, disse difficilmente a Olten avrò tempo per procurarmene uno: lei mi fa un grande favore.
Fumare è importante.
Ora posso pregarla di seguirmi? Condusse il ventiquattrenne nel bagagliaio, che si trovava davanti al vagone ristorante.
Più avanti ancora c'è la locomotiva, disse il capotreno quando fecero ingresso nel locale, ci troviamo in testa al treno.
Nel bagagliaio ardeva una debole luce giallognola, la maggior parte del vagone giaceva nell'oscurità, le porte laterali erano chiuse, e solo attraverso una piccola finestra a sbarre penetrava l'oscurità del tunnel.
C'erano, sparse, delle valigie – molte di esse avevano attaccate etichette di alberghi – qualche bicicletta e una carrozzina.
Il capotreno appese la borsa rossa a un gancio.
Cosa desidera?, chiese nuovamente, tuttavia non guardò il giovane, ma iniziò a compilare alcune tabelle in un quaderno che aveva estratto dalla borsa.
Da Burgdorf ci troviamo in un tunnel, rispose deciso il ventiquattrenne un tunnel così lungo su questo percorso non c'è, ogni settimana lo ripeto avanti e indietro, conosco il percorso.
Il capotreno continuò a scrivere.
Egregio signore, disse finalmente e si portò vicino al giovane, tanto vicino che quasi i due corpi si toccavano.
Egregio signore, ho ben poco da dirle.
Come siamo capitati in questo tunnel, proprio non lo so, non saprei come giustificarlo.
Ma la invito a riflettere: ci muoviamo su delle rotaie, il tunnel deve dunque portare da qualche parte.
Nulla dimostra che nel tunnel vi sia qualcosa fuori posto, tranne naturalmente il fatto che non finisce mai.
Il capotreno, l'Ormond Brasil sempre fra le labbra – ma senza fumarlo – aveva parlato a bassissima voce, eppure con estrema dignità e con tanta chiarezza e precisione da render percettibili le sue parole, nonostante nel bagagliaio il rumore del treno fosse di parecchio superiore rispetto al vagone ristorante.
In tal caso la prego di fermare il treno disse impaziente il giovane.
Non capisco una parola di quanto sta dicendo.
Se c'è qualcosa che non va con questo tunnel di cui lei non riesce a giustificare l'esistenza, lei deve fermare il treno.
Fermare il treno? rispose l'altro lentamente… certo… ci aveva già pensato… con il che chiuse il quaderno e lo rificcò nella borsa rossa che oscillava avanti e indietro appesa al suo gancio; poi diede scrupolosamente fuoco all'Ormond.
Il giovane chiese se doveva tirare il freno di emergenza e voleva allungare la mano verso la maniglia del freno sopra la sua testa, ma nello stesso istante barcollò in avanti, urtando contro la parete.
Una carrozzina rotolò verso di lui, delle valigie scivolarono appresso; barcollando in maniera singolare giunse anche il capotreno, attraversando il bagagliaio, le mani tese in avanti.
Stiamo procedendo verso il basso disse il capotreno e si appoggiò, accanto al ventiquattrenne, alla parete anteriore del convoglio che sfrecciava contro la roccia: ma questo fracassarsi e accartocciarsi dei vagoni non si verificò, il tunnel sembrava aver ripreso a correre in piano.
All'altra estremità del vagone si aprì la porta.
Nella luce abbagliante del vagone ristorante si videro delle persone che brindavano, poi la porta si chiuse di nuovo.
Venga nella locomotiva
disse il capotreno e guardò in viso pensosamente il ventiquattrenne e, a quanto apparve improvvisamente, con fare stranamente minaccioso; poi aprì la porta alla parete accanto alla quale si trovavano appoggiati: tuttavia un getto d'aria calda, come di bufera, li investì con tanta forza da farli barcollare nuovamente contro la parete; contemporaneamente un frastuono tremendo riempì il bagagliaio.
Dobbiamo arrampicarci sul locomotore! gridò il capotreno all'orecchio del giovane, e anche così fu appena percettibile, e successivamente sparì nel rettangolo della porta aperta, attraverso cui si vedevano i vetri ben illuminati, traballanti in qua e in là, del locomotore.
Il ventiquattrenne seguì con decisione, anche se non capiva a che scopo ci si dovesse arrampicare.
La piattaforma su cui si trovò aveva da entrambi i lati un corrimano di ferro a cui si appigliò; tuttavia, non era tanto lo spiffero d'aria il fatto terrificante – esso infatti diminuiva di forza man mano che il giovane avanzava – quanto piuttosto l'immediata vicinanza delle pareti del tunnel che lui, a dire il vero, non poteva vedere, dovendosi concentrare totalmente sulla locomotiva, ma che tuttavia intuiva, scosso da capo a piedi dal ribattere delle ruote e dal sibilo dell'aria, sicché aveva la sensazione di procedere a velocità stellare in un mondo di pietra.
Lungo la locomotiva correva una passerella e, parallelamente, sopra di essa, una sbarra a mo' di ringhiera: quello doveva essere il percorso; stimò di circa un metro il balzo che si trattava di arrischiare.
Sicché riuscì anche ad afferrare la sbarra.
Si spinse, schiacciato contro la locomotiva, lungo la passerella; il suo tragitto si fece terribile solo quando giunse sul lato longitudinale del locomotore, totalmente esposto all'impeto della tempesta tonante e alle minacciose pareti di roccia che, ora ben illuminate dal locomotore, si avvicinavano vertiginosamente.
Il capotreno lo tirò all'interno del locomotore attraverso una porticina: solo questo lo salvò.
Sfinito, il giovane si appoggiò alla parete della cabina di guida, dove il rumore cessò di botto: le pareti di acciaio della gigantesca locomotiva lo attutivano tanto, quando il capotreno chiuse le porte, da renderlo appena percettibile.
Abbiamo anche perduto l'Ormond Brasil, disse il capotreno.
Non è stato saggio accenderne uno prima di arrampicarci: ma si rompono facilmente, con la loro forma allungata, se non ci si porta una scatola.
Dopo l'inquietante vicinanza delle rocce, il giovane era contento di esser richiamato a qualcosa che lo riportava alla quotidianità in cui si era trovato meno di mezz'ora prima: quei giorni e anni sempre uguali perché aveva vissuto solo in vista di quel momento, ed esso ora era giunto, quell'attimo di frattura, quel cedimento della superficie terrestre, quell'avventurosa caduta all'interno della terra.
Dalla tasca destra della giacca prese una delle scatole marroni e offrì nuovamente un sigaro al capotreno, ed egli stesso se ne mise uno in bocca: con cautela accesero il fuoco, offerto dal capotreno.
Io apprezzo moltissimo questo Ormond, disse il capotreno.
Uno, però, deve tirare bene, altrimenti si spegne, parole che insospettirono alquanto il ventiquattrenne, perché sentiva che anche il capotreno non pensava volentieri al tunnel, che fuori continuava sempre (vi era pur sempre la possibilità che potesse finire improvvisamente, così come un sogno ha facoltà di interrompersi tutto d'un tratto).
Diciotto e quarantotto disse, guardando il suo orologio dal quadrante fosforescente.
Adesso dovremmo già essere ad Olten, e pensò ai colli e ai boschi sommersi d'oro nel sole calante, che erano esistiti fino a poco prima.
Se ne stavano così e fumavano, appoggiati alla parete della cabina del locomotore.
Il mio nome è Keller, disse il capotreno e tirò il suo Brasil.
Il giovane non cedette.
Quest'arrampicata sul locomotore è stata piuttosto pericolosa osservò almeno per me, che non vi sono abituato: vorrei perciò sapere qual è il motivo per cui mi ha condotto qui.
Non lo sapeva, rispose Keller, aveva solamente voluto prender tempo per riflettere.
Tempo per riflettere ripeté il ventiquattrenne.
Sì, disse il capotreno, era così, poi continuò a fumare.
Il locomotore sembrò inclinarsi nuovamente in avanti.
Possiamo andare nella cabina del conducente propose Keller, tuttavia, indeciso, rimase ancora fermo alla parete del locomotore: a questo punto il giovane si incamminò per il corridoio.
Quand'ebbe aperto la porta alla cabina del conducente, si fermò.
Vuota, disse al capotreno, che si avvicinò a sua volta.
Il posto di guida è vuoto.
Fecero ingresso nel locale, barcollando per via della velocità terrificante a cui il locomotore continuava a precipitarsi nel tunnel, trascinando con sé il treno.
Prego, disse il capotreno e abbassò alcune leve, tirò anche il freno di emergenza.
Il locomotore non obbedì.
Avevano fatto tutto il possibile per fermarlo, non appena si erano accorti della variazione di tragitto, assicurò Keller, ma il locomotore aveva continuato a correre.
Continuerà a correre, rispose il ventiquattrenne e indicò il tachimetro.
Centocinquanta.
E' mai andato a centocinquanta, questo locomotore?.
Al massimo centocinque disse il capotreno.
Appunto, constatò il giovane appunto.
Ora la lancetta indica centocinquantotto.
Cadiamo.
Si avvicinò al vetro, ma non riuscì a tenersi dritto: fu schiacciato con il volto al finestrino, tanto pazzesca era ormai la velocità.
Il conducente? gridò e fissò la massa rocciosa che sembrava precipitarsi nella luce abbagliante dei fari parandoglisi contro, correndo verso di lui, scomparendo sopra di lui, sotto di lui e su entrambi i lati della cabina di guida.
Si è buttato, gridò di rimando Keller, che ora sedeva sul pavimento con la schiena appoggiata al quadro dei comandi.
Quando? chiese il ventiquattrenne con accanimento.
Il capotreno esitò un poco e dovette accendersi di nuovo il suo Ormond, con le gambe alla stessa altezza della testa, dato che il treno si inclinava sempre di più.
Già dopo cinque minuti, disse poi non aveva senso tentare un salvataggio.
Anche quello del bagagliaio si è gettato dal treno.
E lei? domandò il ventiquattrenne.
Io sono il capotreno, rispose l'altro, d'altronde, ho sempre vissuto senza speranza.
Senza speranza ripeté il giovane che ora si trovava riparato dal vento del finestrino della cabina di pilotaggio, il volto compresso sopra l'abisso.
Sedevamo nei nostri scompartimenti e non sapevamo che tutto era già perduto, pensò.
Ancora non era cambiato nulla, così ci sembrava, ma in realtà il pozzo verso l'abisso ci aveva già risucchiati, ci aveva precipitato nelle profondità.
Ora doveva far ritorno, gridò il capotreno nelle carrozze sarà scoppiato il panico.
Tutti si saranno accalcati verso la coda del treno.
Certamente, rispose il ventiquattrenne e pensò al grasso scacchista e alla ragazza con il suo romanzo e la capigliatura rossa.
Porse al capotreno i pacchetti di Ormond Brasil 10 che gli rimanevano Prenda, disse.
Arrampicandosi di sicuro perderà nuovamente il suo Brasil.
Rialzatosi in piedi e iniziando faticosamente a strascicare per risalire l'imbuto del corridoio, il capotreno chiese se non tornava anche lui.
Il giovane diede uno sguardo alle assurde strumentazioni, quelle ridicole leve da muovere, manovelle da azionare che lo circondavano, argentee nella luce accecante della cabina.
Duecentodieci, disse.
Non credo che ce la faccia, con questa velocità, a risalire i vagoni sopra di noi.
E' mio dovere, gridò il capotreno.
Certamente, rispose il ventiquattrenne, senza girare la testa verso l'assurda iniziativa del capotreno.
Devo perlomeno tentarci gridò ancora una volta il capotreno, ora ben in alto nel corridoio, puntando le cosce e i gomiti contro le pareti metalliche, ma quando il locomotore si inclinò ulteriormente per lanciarsi in una terrificante caduta verso il centro della terra – cosicché nel suo imbuto il capotreno si trovava sospeso direttamente sopra il ventiquattrenne che giaceva in fondo al locomotore, sulla finestra argentata della cabina di pilotaggio, il volto verso il basso, gli mancarono le forze.
Il capotreno cadde sul quadrante dei comandi e si ritrovò a giacere, ricoperto di sangue, accanto al giovane, aggrappandosi alle sue spalle.
Che cosa dobbiamo fare? esclamò il capotreno nel frastuono delle pareti di roccia che si avvicinavano sempre più fulminee all'orecchio dell'altro, con il suo corpo grasso – ora del tutto inutile, non lo proteggeva – incollato al vetro che lo separava dall'abisso che gli penetrava negli occhi, ora, per la prima volta, ben aperti.
Che cosa dobbiamo fare?, gridò ancora una volta il capotreno; senza distogliere gli occhi dallo spettacolo, mentre i due batuffoli di cotone schizzavano su nell'imbuto, risucchiati dalla mostruosa corrente d'aria che improvvisamente irruppe, il ventiquattrenne rispose con spettrale ilarità: Nulla.