martedì 23 novembre 2021

KLARA E IL SOLE Kazuo Ishiguro

 


KLARA E IL SOLE

Kazuo Ishiguro

Parte prima

Quando eravamo nuove, Rosa e io stavamo a metà-negozio, sul lato del tavolo delle riviste, e vedevamo piú di mezza vetrina. Perciò potevamo guardare fuori: i lavoratori di ufficio che andavano di fretta, i taxi, i runner, i turisti, Mendicante e il suo cane, la parte bassa del Palazzo RPO. Dopo un periodo di assestamento, Direttrice ci permise di spostarci direttamente dietro la vetrina e a quel punto vedemmo quanto era alto il Palazzo RPO. E se ci trovavamo lí all’ora giusta, vedevamo il Sole in cammino attraversare le cime degli edifici, dal nostro lato a quello del Palazzo RPO.

Quando avevo la fortuna di vederlo cosí, sporgevo avanti la faccia per assorbire il massimo del nutrimento e, se Rosa era con me, le dicevo di fare lo stesso. Dopo un minuto o due, dovevamo tornare alle nostre posizioni e, quando eravamo nuove, ci preoccupava il fatto che, non riuscendo spesso a vedere il Sole da metà-negozio, ci saremmo indebolite sempre di piú. AA M Rex che stava accanto a noi allora ci disse di non preoccuparci, che il Sole trovava sempre un modo per raggiungerci ovunque fossimo. Indicò le assi del pavimento e disse: – Il disegno per terra è quello del Sole. Anziché preoccuparvi, basta che lo tocchiate per recuperare le forze.

Non c’erano clienti quando lo disse e Direttrice era impegnata a sistemare qualcosa sugli Scaffali Rossi e non volevo disturbarla per chiederle il permesso. Perciò lanciai un’occhiata a Rosa, ma lei ricambiò con uno sguardo vuoto e allora feci due passi avanti, mi accovacciai e appoggiai tutte e due le mani per terra, sul disegno del Sole. Ma appena lo toccai con le dita, il disegno sbiadí e per quanto provassi come potevo – picchiettai sul punto in cui era prima, e siccome non funzionava, strofinai le mani sulle assi del pavimento – non ci fu verso di farlo tornare. Quando mi rialzai AA M Rex disse:

– Klara, che egoista. Voi AA femmina siete sempre cosí egoiste.

Anche se al tempo ero nuova, pensai subito che non poteva essere colpa mia; che forse il Sole aveva ritirato il suo disegno per caso proprio mentre io lo toccavo. Ma AA M Rex restava molto serio.

– Hai preso tutto il nutrimento per te, Klara. Guarda, adesso è quasi buio.

In effetti, la luce nel negozio si era fatta molto tetra. Perfino fuori sul marciapiede, il cartello di Rimozione Forzata attaccato al lampione sembrava grigio e scolorito.

– Scusa, – dissi a Rex, poi mi rivolsi a Rosa: – Scusami. Non volevo prenderlo tutto per me.

– Per colpa tua, – disse AA M Rex, – entro stasera sarò debolissimo.

– Vuoi fare una battuta, – dissi. – Lo so.

– Non è una battuta. Potrei stare male anche adesso. Per non parlare di tutti quegli AA nel retro-negozio. Già non stavano bene. Ma adesso peggioreranno per forza. Sei un’egoista, Klara.

– Io non ti credo, – dissi, ma non ero piú tanto sicura. Cercai lo sguardo di Rosa, ma restava vuoto, come prima.

– Mi sento già male, – disse AA M Rex. E si accasciò.

– Ma se l’hai appena detto tu stesso. Il Sole trova sempre un modo per raggiungerci. È una battuta, sono sicura.

Alla fine riuscii a convincermi che AA M Rex mi prendeva in giro. Ma ciò di cui mi resi conto quel giorno fu che, senza volerlo, avevo indotto Rex a far emergere una verità scomoda, qualcosa di cui quasi tutti gli AA del negozio preferivano non parlare. Poi, non molto tempo dopo, ad AA M Rex capitò la cosa che mi fece pensare che, se anche quel giorno aveva voluto scherzare, c’era una parte di lui che diceva sul serio.

Era una mattina luminosa, e Rex non stava piú accanto a noi perché Direttrice l’aveva trasferito nella nicchia frontale. Direttrice ripeteva sempre che ogni collocazione aveva un suo perché e che avevamo la stessa probabilità di essere scelti stando in una come nell’altra. Cionondimeno, sapevamo tutti che lo sguardo di un cliente che entrava nel negozio andava per prima cosa alla nicchia frontale, e non c’era da stupirsi se Rex era contento che fosse venuto il suo turno. Lo osservammo da metà-negozio, impettito a testa alta, con il disegno del Sole che lo copriva tutto, e Rosa si sporse verso di me per dirmi: – Beh, è proprio bellissimo! Troverà di sicuro presto una casa!

Il terzo giorno di Rex nella nicchia frontale, entrò una bambina con la madre. Al tempo non ero molto brava a indovinare l’età, ma ricordo che stimai tredici anni e mezzo per la bambina, e adesso penso di non essermi sbagliata. La madre aveva un lavoro di ufficio e dalle scarpe e i vestiti che portava potemmo dedurre che era di alto livello. La bambina andò dritta da Rex e gli si piazzò davanti, mentre la madre veniva verso di noi, ci dava un’occhiata e proseguiva verso il retro, dove i due AA seduti sul Tavolo di Vetro ciondolavano le gambe su e giú, secondo le istruzioni di Direttrice. A un certo punto, la madre chiamò, ma la bambina non ci fece caso e continuò a fissare Rex in faccia. Poi allungò una mano e la passò sul braccio di Rex. Rex naturalmente non disse nulla, le sorrise soltanto e restò immobile, esattamente come gli era stato ordinato di fare quando un cliente mostrava un interesse specifico.

– Guarda! – sussurrò Rosa. – Adesso sceglie lui! Si è innamorata. Che fortuna! – Rifilai a Rosa una bella gomitata per farla tacere, perché potevano sentirci.

Questa volta fu la bambina a chiamare la madre, e poco dopo erano tutte e due davanti ad AA M Rex, a squadrarlo dalla testa ai piedi, con la bambina che ogni tanto allungava un braccio per toccarlo. Le due confabularono sottovoce e a un certo punto sentii la bambina che diceva: – Ma è perfetto, mamma. È bellissimo –. E l’attimo dopo, ancora la bambina: – Oh, dài, mamma, ti prego.

Direttrice nel frattempo si era avvicinata in silenzio alle loro spalle. Infine la madre si rivolse a Direttrice e domandò:

– Questo che modello è?

– È un B2, – disse Direttrice. – Terza serie. Per il bambino giusto, Rex è il compagno ideale. In particolare, ho l’impressione che promuoverebbe un comportamento responsabile e studioso.

– Beh, la signorina qui potrebbe averne di certo un gran bisogno.

– Oh, mamma, è perfetto.

E la madre disse: – B2. Terza serie. Quelli con il difetto di assorbimento solare, giusto?

Lo spiattellò cosí, davanti a Rex, ancora con il sorriso sulle labbra. Anche Rex continuava a sorridere, ma la bambina sembrava sconcertata e andò con lo sguardo da Rex a sua madre.

– È vero, – disse Direttrice, – la terza serie ha avuto qualche problemino, in principio. Ma l’allarme è stato del tutto esagerato. In ambienti con livelli di luce normali, non esiste alcun problema.

– Ho sentito dire che il malassorbimento può generarne altri, di problemi, – disse la madre. – Perfino a livello di comportamento.

– Con tutto il rispetto, signora, i modelli di terza serie hanno procurato immensa gioia a numerosi bambini. A meno che uno non abiti in Alaska o in fondo a una miniera, non ha di che preoccuparsi.

La madre continuava a guardare Rex. Infine scosse il capo. – Mi rincresce, Caroline. Capisco perché ti piace tanto. Ma non fa per noi. Troveremo quello perfetto per te.

Rex sorrise finché le clienti non ebbero lasciato il negozio e, anche dopo, non mostrò segni di tristezza. Ma fu allora che mi tornò in mente la sua battuta e fui certa che quelle domande sul Sole e su quanto nutrimento potevamo avere occupavano da un pezzo i suoi pensieri.

Oggi, va da sé, mi rendo conto che la cosa non riguardava solo Rex. Ma formalmente il problema non esisteva affatto: ciascuno di noi aveva caratteristiche specifiche che gli garantivano di non dover subire conseguenze negative da fattori quali la collocazione all’interno di un locale. Ciononostante, dopo alcune ore lontano dal Sole, un AA cominciava a sentire una certa sonnolenza e a preoccuparsi di avere qualcosa che non andava – un difetto particolare – e di non riuscire piú a trovare una casa se il problema fosse diventato di pubblico dominio.

Era una delle ragioni per cui eravamo ossessionati dallo stare in vetrina. Ci era stato promesso che ciascuno avrebbe avuto il suo turno e non vedevamo l’ora che arrivasse. Aveva in parte a che fare con quello che Direttrice chiamava il «grande onore» di rappresentare il negozio per il fuori. Ma, checché ne dicesse Direttrice, sapevamo tutti che era piú probabile essere scelti mentre si stava in vetrina. Tuttavia la cosa davvero cruciale e silenziosamente nota a tutti quanti era il Sole con il suo nutrimento. Una volta Rosa affrontò il discorso con me, poco prima che arrivasse il nostro turno, sussurrandomi:

– Klara, secondo te, quando saremo in vetrina riceveremo davvero tanta abbondanza da non restare mai piú a corto?

Al tempo ero ancora piuttosto nuova, perciò non sapevo cosa risponderle, anche se mi ero fatta la stessa domanda.

E finalmente arrivò il nostro turno e un mattino Rosa e io avanzammo verso la vetrina, attente a non far cadere quanto era esposto come era successo alla coppia della settimana prima. Il negozio, naturalmente, era ancora chiuso, e pensavo che la grata fosse abbassata del tutto. Ma quando ci fummo sedute sul Divano a Righe, mi accorsi di una sottile striscia vuota lungo il fondo della grata – Direttrice doveva averla sollevata un poco mentre controllava che fosse tutto a posto per noi – e la luce del Sole tracciava un rettangolo luminoso che saliva fino alla pedana e si concludeva in una linea diritta proprio davanti a noi. Ci bastava allungare un tantino i piedi per metterli all’interno del tepore. Seppi in quel momento che, qualunque fosse la risposta giusta alla domanda di Rosa, stavamo per ricevere tutto il nutrimento di cui avremmo avuto bisogno per un bel po’. E non appena Direttrice toccò l’interruttore e la grata salí del tutto, ci ritrovammo investite di luce accecante.

Credo che a questo punto dovrei confessare che per me c’era da sempre un’altra ragione per voler stare in vetrina, una ragione che non aveva niente a che fare con il nutrimento del Sole o con l’essere scelti. A differenza di gran parte degli AA, a differenza di Rosa, avevo sempre desiderato vedere di piú del fuori, e vederlo come si deve. Di conseguenza, quando la grata si alzò, la consapevolezza che adesso tra me e il marciapiede restava soltanto un vetro, che ero libera di vedere, da vicino e per intero, tante cose che avevo visto soltanto come spigoli e scorci, mi emozionò al punto che per un attimo quasi mi scordai del Sole e della sua gentilezza verso di noi.

Vedevo per la prima volta che il Palazzo RPO di fatto era costruito con singoli mattoni, e che non era bianco come avevo sempre creduto, ma giallo pallido. Vedevo adesso che era perfino piú alto di come l’avevo immaginato (ventidue piani) e che ogni identica finestra era sottolineata da un davanzale tutto suo. Vedevo che sulla facciata del Palazzo RPO il Sole aveva tracciato una diagonale, cosí che da un lato si era formato un triangolo quasi bianco, mentre l’altro lato risultava molto scuro, anche se ormai sapevo che tutta la superficie era dello stesso giallo pallido. E non solo vedevo tutte le finestre su su fino in cima, ma a volte vedevo anche le persone che stavano dentro, in piedi, sedute, in movimento. In strada, poi, vedevo i passanti, i diversi tipi di scarpe che portavano, i bicchieri di carta, le borse a tracolla, i piccoli cani e, se volevo, potevo seguirne con gli occhi uno qualsiasi fino alle strisce pedonali e oltre il secondo cartello di Rimozione Forzata, dove due uomini di manutenzione fermi accanto a uno scarico si indicavano qualcosa a gesti. Vedevo direttamente dentro i taxi quando rallentavano per far attraversare i pedoni: la mano di un guidatore che tamburellava sul volante, il berretto in testa a un passeggero.

Il giorno trascorreva, il Sole ci teneva al caldo e capivo che Rosa era molto felice. Ma notai anche che non guardava quasi nulla e teneva gli occhi fissi sul primo cartello di Rimozione Forzata davanti a noi. Solo se le indicavo io qualcosa girava la testa, ma poi perdeva interesse e tornava a guardare il marciapiede di fuori e il cartello.

L’unica circostanza che spingeva Rosa a guardare altrove per qualche istante in piú era quando un passante si fermava davanti alla vetrina. In quei casi entrambe ci comportavamo come ci aveva insegnato Direttrice: sfoderavamo i nostri sorrisi «neutri» e fissavamo lo sguardo sul lato opposto della strada, in un punto a metà altezza del Palazzo RPO. La tentazione di guardare meglio il passante che si avvicinava era forte, ma Direttrice ci aveva spiegato che incrociarne lo sguardo in quel momento sarebbe stato di cattivo gusto. Solo quando un passante si rivolgeva a noi in modo esplicito, o ci parlava attraverso il vetro, eravamo autorizzate a reagire, mai prima.

Alcune delle persone che si fermavano di fatto non risultavano interessate a noi per niente. Magari volevano levarsi una scarpa da ginnastica, o sistemarla, oppure digitare sull’oblungo. Certi però si avvicinavano direttamente alla vetrina e guardavano dentro. In molti casi erano bambini, grossomodo dell’età per la quale eravamo piú adatti, e sembravano contenti di vederci. I bambini si accostavano entusiasti, da soli o con il loro adulto, poi ci segnavano a dito, ridevano, facevano facce strane, battevano sul vetro, salutavano con la mano.

Di tanto in tanto – ben presto diventai piú brava a fingere di osservare il Palazzo RPO, guardando invece chi si avvicinava – un bambino veniva a fissarci da vicino e nei suoi occhi c’era una specie di tristezza, o di rabbia, come se avessimo fatto qualcosa di sbagliato. Bambini di questo genere potevano trasformarsi l’attimo dopo e scoppiare a ridere o salutarci come facevano gli altri ma, dopo il secondo giorno in vetrina, avevo già imparato a distinguerli.

Cercai di parlarne con Rosa, la terza o la quarta volta, ma lei sorrise e mi disse: – Klara, tu ti preoccupi troppo. Secondo me quella bambina era contentissima. Come avrebbe potuto non esserlo in una giornata come questa? Oggi è felice tutta la città.

Ma alla fine del terzo giorno sollevai la questione con Direttrice. Ci stava facendo i complimenti, dicendo che eravamo state «stupende e composte» là in vetrina. Le luci del negozio erano già abbassate, e ci trovavamo nel retro-negozio, appoggiate alla parete, e alcuni di noi sfogliavano una delle riviste interessanti prima di dormire. Rosa mi stava accanto e dalle sue spalle intuivo che era già mezza addormentata. Perciò, quando Direttrice mi chiese se ero stata bene quel giorno, colsi l’occasione per dirle dei bambini tristi che si erano avvicinati alla vetrina.

– Klara, sei davvero eccezionale, – disse Direttrice, tenendo bassa la voce per non disturbare Rosa e gli altri. – Sai notare e cogliere tantissime cose –. Scosse il capo per esprimere meraviglia. Poi disse: – Devi capire che questo è un negozio molto speciale. Là fuori sono tanti i bambini che vorrebbero poter scegliere te, o Rosa, o un altro di voi. Ma non possono farlo. Non siete alla loro portata. Per questo vengono alla vetrina, per sognare di potervi avere. Ma cosí diventano tristi.

– Direttrice, un bambino cosí. Un bambino cosí ce l’ha un AA, in casa?

– Probabilmente no. Di certo non come voi. Quindi, se qualche volta i bambini vi guardano in modo strano, con astio o con tristezza, se vi dicono qualche brutta cosa dal vetro, non ci fate caso. E ricordatevi sempre. È molto probabile che quei bambini siano demoralizzati.

– Un bambino cosí, senza un AA deve sentirsi molto solo.

– Sí, anche, – mormorò Direttrice. – Molto solo. Sí.

Abbassò gli occhi e tacque, perciò aspettai. Poi si aprí in un sorriso e, allungando il braccio, mi prese dolcemente di mano la rivista interessante che stavo guardando.

– Buonanotte, Klara. Domani ti voglio splendida come sei stata oggi. E ricordati: tu e Rosa siete le nostre rappresentanti per tutta la strada.

Eravamo quasi a metà del nostro quarto giorno in vetrina quando vidi il taxi rallentare e il guidatore sporgersi per chiedere ai colleghi di lasciargli cambiare corsia e fermarsi al cordolo davanti al nostro negozio. Gli occhi di Josie si posarono su di me nell’istante preciso in cui scese sul marciapiede. Era pallida e sottile e, mentre si avvicinava, mi accorsi che non camminava come gli altri passanti. Non che fosse proprio lenta, ma dopo ogni passo valutava la propria sicurezza e badava a non cadere. Stimai che potesse avere sui quattordici anni e mezzo.

Quando fu abbastanza vicina da avere tutti i pedoni alle spalle, si fermò e mi sorrise.

– Ciao, – mi disse dal vetro. – Ehi, mi senti?

Rosa continuava a fissare il Palazzo RPO, come da istruzioni. Ma ora che la bambina mi si era rivolta personalmente, potei guardarla dritto negli occhi, ricambiare il sorriso e annuire in modo incoraggiante.

– Davvero? – disse Josie, anche se allora naturalmente non sapevo che si chiamasse cosí. – Quasi quasi non mi sento nemmeno io. Davvero tu mi senti?

Annuii ancora e lei scosse la testa in segno di stupore.

– Wow –. Si girò di tre quarti – perfino quel movimento lo eseguí con estrema cautela – verso il taxi dal quale era appena scesa. La portiera era come l’aveva lasciata, ancora aperta sul marciapiede, e sul sedile posteriore restavano due sagome che parlavano indicando un punto oltre le strisce pedonali. Josie pareva contenta che i suoi adulti non stessero per scendere dall’auto, e fece un altro passo avanti venendo quasi a sfiorare il vetro con la faccia.

– Ti ho vista ieri, – disse.

Richiamai alla mente il giorno prima, ma non rintracciando memoria di Josie, la guardai stupita.

– No, ti prego, non devi starci male, non avresti potuto vedermi. Sai, io ero in un taxi, di passaggio, e non andavo neanche pianissimo. Però ti ho vista in vetrina ed è per questo che oggi ho chiesto alla mamma di fermarsi –. Si girò, ancora con quei modi cauti. – Wow. È ancora lí che parla con Mrs Jeffries. Chiacchiere piuttosto care, no? Quel tassametro gira a mille.

In quel momento potei vedere come la faccia le si illuminava di gentilezza, quando rideva. Stranamente però, fu proprio allora che per la prima volta mi chiesi se Josie potesse essere uno di quei bambini soli di cui avevamo parlato con Direttrice.

Lanciò un’occhiata in direzione di Rosa – che fissava tuttora ubbidiente il Palazzo RPO – e disse: – È molto carina, la tua amica –. Ma mentre lo diceva, gli occhi di Josie erano già tornati su di me. Continuò a guardarmi in silenzio per svariati secondi, e cominciavo a preoccuparmi che i suoi adulti potessero scendere dall’auto prima che avesse il tempo di dirmi qualcos’altro. Invece lei disse:

– Sai una cosa? La tua amica sarà perfetta per qualcuno da qualche parte. Ma ieri, mentre passavamo di qui, io ho visto te e mi sono detta, è lei la AA che cercavo! – Rise di nuovo. – Scusami. Forse ti sembro offensiva –. Si voltò ancora verso il taxi, ma le sagome sul retro non davano segno di voler scendere. – Sei francese? – domandò. – Hai un po’ l’aria da francese.

Sorrisi e feci di no con la testa.

– C’erano due ragazze francesi, – disse Josie, – sono venute al nostro ultimo incontro. Avevano tutt’e due i capelli cosí, corti e lisci come i tuoi. Stavano bene –. Mi osservò muta ancora un attimo e mi parve di scorgere un altro accenno di tristezza, ma ero ancora molto nuova al tempo e perciò non potevo esserne sicura. Poi si rasserenò e disse:

– Scusa ma non vi viene caldo a starvene lí sedute? Non avete sete, niente?

Feci di no con la testa e alzai le mani, palmo in alto, per significare la bellezza di trovarsi sotto il nutrimento del Sole.

– Ah, già. Non ci pensavo. Stare al Sole a voi piace, giusto?

Si girò di nuovo, questa volta per guardare la cima degli edifici. In quel momento il Sole transitava nello spazio di cielo, e Josie strizzò subito gli occhi e tornò a guardare me.

– Non so come fate. Voglio dire a guardare senza essere accecate. Io non ci resisto neanche un secondo.

Si portò una mano alla fronte e si girò di nuovo, non per guardare il Sole questa volta, ma un punto quasi in cima al Palazzo RPO. Cinque secondi, e di nuovo guardava me.

– Immagino che per voi, da dove vi trovate, il Sole cali dietro questo palazzone, giusto? Il che vuol dire che non riuscite mai a vedere dove cala veramente. C’è sempre di mezzo quel palazzo –. Controllò rapidamente che gli adulti fossero ancora sul taxi, e proseguí: – Dove abitiamo noi, non c’è niente in mezzo. Da sopra in camera mia si vede esattamente dove cala il Sole. Il posto preciso dove va di sera.

Dovevo avere la faccia sorpresa. E con la coda dell’occhio vidi che adesso Rosa si era lasciata distrarre e fissava Josie con aria meravigliata.

– Però non vediamo da dove sale al mattino, – disse Josie. – Ci sono di mezzo alberi e colline. Un po’ come qui, direi. C’è sempre qualcosa di mezzo. La sera, in compenso, è un’altra cosa. Da quella parte, dove affaccia la mia camera, è grande e tutto vuoto. Se venissi a stare da noi, lo vedresti.

Un adulto e poi l’altro scesero dal taxi sul marciapiede. Josie non li aveva visti, ma doveva aver sentito qualcosa perché affrettò le parole.

– Giuro. Si vede il posto esatto dove cala.

Gli adulti erano donne, vestite tutte e due in abiti da ufficio di alto livello. Mi feci l’idea che la piú alta fosse la madre cui Josie aveva accennato, perché continuava a guardarla anche mentre salutava la compagna baciandola sulle guance. Poi l’altra si allontanò, mescolandosi ai passanti, e la Madre si concentrò su di noi. E per un secondo il suo sguardo penetrante non era piú puntato sulle spalle di Josie, ma su di me, e io distolsi subito il mio rivolgendomi al Palazzo RPO. Ma Josie aveva ripreso a parlare dal vetro, a voce piú bassa, ma ancora udibile.

– Adesso devo andare. Ma tornerò presto. E parleremo ancora –. Poi, in un quasi-sussurro disse: – Tu non te ne vai, vero?

Feci di no con la testa e sorrisi.

– Bene. Ok. Allora, ciao. Ma solo per adesso.

A quel punto la Madre era proprio dietro Josie. Era bruna e sottile, anche se non quanto Josie, o alcuni runner. Ora, da piú vicino, la vedevo meglio in faccia e le aumentai l’età stimata a quarantacinque anni. Come ho detto, al tempo non ero molto accurata nell’attribuzione delle età, ma quella sarebbe risultata piú o meno giusta. Da una certa distanza, l’avrei detta una donna piú giovane, ma da piú vicino le vidi i solchi profondi ai lati della bocca, e anche un certo rabbioso sfinimento negli occhi. Inoltre notai che quando la Madre aveva raggiunto Josie da dietro, il braccio disteso aveva esitato un istante, quasi si era ritratto, prima di appoggiarsi sulla spalla della figlia.

Si unirono al flusso dei passanti che si muovevano verso il secondo cartello di Rimozione Forzata; Josie con la sua andatura cauta e il braccio della Madre intorno al suo. Per un attimo, prima di sparire alla vista, Josie guardò indietro e, pur dovendo interrompere il ritmo del passo, mi rivolse un ultimo saluto con la mano.

Fu piú tardi quello stesso pomeriggio che Rosa disse: – Klara, non è strano? Ho sempre pensato che avremmo visto tantissimi AA là fuori, quando fossimo state in vetrina. Tutti quelli che avevano già trovato casa. Invece non ce ne sono tanti. Chissà dove sono.

Questa era una delle grandi doti di Rosa. Era capace di non accorgersi di tante cose, e anche quando gliele facevi notare, magari non capiva cosa avessero di interessante o di speciale. Eppure ogni tanto se ne usciva con un’osservazione come questa. Appena ebbe detto quel che disse, mi resi conto che anch’io mi ero aspettata di vederne molti di piú dalla vetrina, transitare felici con i rispettivi bambini, o addirittura per conto loro, e anche se non me l’ero voluto dire, anch’io ero rimasta sorpresa e un po’ delusa.

– Hai ragione, – dissi, andando con lo sguardo da destra a sinistra. – In questo momento, ad esempio, fra tutti questi passanti non ce n’è nemmeno uno.

– Non ce n’è uno laggiú? Quello vicino al Palazzo delle Scale Antincendio.

Guardammo bene tutt’e due e scuotemmo il capo contemporaneamente.

Sebbene fosse stata lei a sollevare la questione degli AA là fuori, era tipico di Rosa perdere presto ogni interesse. Quando alla fine individuai un adolescente che passava a piedi davanti al chiosco delle bibite sul lato del Palazzo RPO in compagnia del suo AA, Rosa a malapena li guardò.

Ma io continuavo a pensare a quello che aveva detto e ogni volta che un AA transitava, mi assicuravo di osservarlo bene. E di lí a poco, notai una cosa strana: erano sempre piú numerosi gli AA di passaggio sul lato del Palazzo RPO che sul nostro. E se per caso un AA si trovava dalla nostra parte insieme a un bambino, superato il secondo cartello di Rimozione Forzata, spesso attraversavano sulle strisce pedonali anziché passare davanti al negozio. Se poi capitava che un AA in effetti ci passasse, quasi sempre si comportava in modo strano, accelerando il passo e tenendo la faccia rivolta altrove. Mi chiesi allora se eravamo noi – l’intero negozio – a imbarazzarli. Mi chiesi se anche Rosa e io, una volta trovata casa, ci saremmo sentite a disagio al ricordo di non essere sempre vissute con i nostri bambini, ma in un negozio. Ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a credere che io e Rosa ci saremmo mai sentite cosí, riguardo al negozio, a Direttrice e agli altri AA.

Poi, mentre continuavo a osservare il fuori, mi balenò in mente un’altra possibilità, e cioè che gli AA non fossero in imbarazzo, ma che avessero paura. Paura perché noi eravamo modelli nuovi e temevano che presto i loro bambini avrebbero deciso che era tempo di buttarli via e di rimpiazzarli con AA come noi. Ecco perché filavano via con quell’aria impacciata, rifiutandosi di guardare dalla nostra parte. Ed ecco perché dalla vetrina ne vedevamo cosí pochi. Per quanto ne sapevamo, nella via successiva, quella alle spalle del Palazzo RPO, poteva esserci una folla di AA. Per quanto ne sapevamo, gli AA facevano del loro meglio per scegliere qualunque tragitto tranne quello che li avrebbe portati a passare davanti al nostro negozio, perché l’ultima cosa al mondo che volevano era che i loro bambini ci vedessero e si avvicinassero alla vetrina.

Non confidai questi pensieri a Rosa. Piuttosto, ogni volta che notavamo un AA là fuori, avevo cura di domandarmi ad alta voce se fosse o no felice del suo bambino e della sua casa, e questo a Rosa piaceva moltissimo. Lo prendeva come una specie di gioco, puntava il dito e diceva: «Guarda là! Lo vedi, Klara? Quel bambino lo adora, il suo AA! Ma guarda come se la ridono insieme!»

E in un certo senso, era pieno di coppie che sembravano davvero felici. Solo che Rosa si perdeva un mucchio di segnali. Spesso dava in esclamazioni estasiate al passaggio di una coppia, io guardavo e mi accorgevo che, sebbene la bambina sorridesse al suo AA, di fatto era arrabbiata con lui e forse in quel preciso momento stava anche pensando cattiverie sul suo conto. Notavo cose di questo genere in continuazione, ma non dicevo niente e lasciavo che Rosa la pensasse come voleva.

Una volta, la mattina del nostro quinto giorno in vetrina, vidi due taxi sul lato del Palazzo RPO procedere lentissimi e talmente vicini che una nuova avrebbe potuto scambiarli per un solo veicolo, una specie di doppio taxi. Poi quello davanti accelerò appena e si creò uno spazio vuoto, e attraverso il vuoto, sul marciapiede opposto, comparve una bambina di quattordici anni in una maglietta con scritte da fumetto, che avanzava in direzione delle strisce pedonali. Era sola, niente adulti, niente AA, ma sembrava sicura e un po’ nervosa e, dal momento che procedeva alla stessa velocità dei taxi, riuscii a osservarla attraverso lo spazio vuoto per un certo tempo. Poi lo spazio tra i due taxi aumentò e allora vidi che c’era con lei un AA invece – un AA maschio – che la seguiva a tre passi di distanza. E in quel breve istante mi resi anche conto che non era rimasto indietro per caso, che quello era il modo in cui la bambina aveva stabilito dovessero camminare sempre: lei davanti e lui di qualche passo indietro. L’AA M aveva accettato la situazione, anche se gli altri passanti, vedendoli, avrebbero concluso che non era amato dalla bambina. E io vidi benissimo la stanchezza nell’andatura dell’AA M, e mi chiesi come ci si dovesse sentire ad aver trovato una casa e a sapere tuttavia che il tuo bambino non ti voleva. Prima di vedere quella coppia non mi era mai passato per la mente che un AA potesse stare con un bambino che lo detestava e che non lo voleva piú, e che potessero comunque rimanere insieme. Poi il taxi davanti rallentò per via delle strisce pedonali e quello dietro gli si accostò, perciò non riuscii piú a vederli. E malgrado sia rimasta ad aspettare per vedere se attraversavano, non erano tra la folla sulle strisce pedonali e non fui piú in grado di vedere dalla parte opposta a causa di tutti gli altri taxi.

Non avrei voluto nessun altro che Rosa in vetrina accanto a me in quei giorni, ma il tempo che avemmo per noi mise in luce le differenze dei nostri rispettivi atteggiamenti. Non sarebbe esatto dire che io avevo piú voglia di scoprire il fuori rispetto a Rosa; a modo suo, anche lei era un’osservatrice emozionata, non meno ansiosa di me di prepararsi a essere un’AA il piú possibile gentile e disponibile. Io, però, piú guardavo e piú volevo sapere e, a differenza di Rosa, mi sentii prima confusa e poi sempre piú affascinata dalle misteriosissime emozioni che i passanti mostravano di fronte a noi. Mi rendevo conto che se non fossi riuscita a decifrare almeno alcuni di quei misteri, quando fosse arrivato il momento non avrei saputo rendermi utile al mio bambino come dovevo. Perciò, mi misi a caccia – sui marciapiedi, dentro i taxi, tra la folla in attesa sulle strisce pedonali – di quei comportamenti che avevo bisogno di imparare.

Da principio avrei voluto che Rosa facesse come me, ma presto mi resi conto che era inutile. Una volta, durante il nostro terzo giorno di vetrina, quando il Sole se n’era già andato dietro il Palazzo RPO, due taxi si fermarono davanti a noi, gli autisti scesero e cominciarono a litigare. Non era la prima volta che assistevamo a un litigio: quando eravamo ancora molto nuove ci era capitato di radunarci davanti alla vetrina per vedere al meglio tre poliziotti che litigavano con Mendicante e il suo cane sulla soglia vuota. Ma quella non era stata una lite arrabbiata, e Direttrice ci aveva poi spiegato che i poliziotti si preoccupavano per Mendicante che si era ubriacato, e volevano solo aiutarlo. Ma i due tassisti non erano come i poliziotti. Litigavano come se la cosa piú importante fosse danneggiarsi l’un l’altro il piú possibile. Le loro facce erano distorte in forme orribili, tanto che uno nuovo avrebbe addirittura potuto credere che non fossero affatto persone, e mentre si prendevano a pugni non facevano che urlarsi cattiverie. In un primo momento i passanti furono cosí sconvolti da farsi indietro, poi però alcuni lavoratori di ufficio e un runner li fermarono per impedire che litigassero oltre. E, malgrado uno dei due avesse del sangue sulla faccia, rimontarono ciascuno sul suo taxi, e tutto tornò come prima. Notai perfino, un attimo dopo, che i due taxi, proprio quelli degli autisti che avevano appena litigato, erano diligentemente fermi al semaforo, uno davanti all’altro sulla stessa corsia, in attesa che scattasse il verde.

Ma quando cercai di parlare con Rosa di quello che avevamo visto, mi guardò perplessa e disse: – Una lite? Io non ho visto nessuna lite, Klara.

– Non è possibile che tu non l’abbia notata, Rosa. È appena successo proprio qui, davanti a noi. I due autisti.

– Ah, vuoi dire gli uomini del taxi! Non avevo capito che intendevi loro, Klara. Sí, certo che li ho visti, è ovvio. Ma non credo che litigassero.

– Ma certo che litigavano, Rosa.

– Ma no, facevano finta. Scherzavano.

– Rosa, litigavano.

– Dài, Klara, non essere sciocca. Che strani pensieri fai. Stavano solo scherzando. E si divertivano anche, come pure i passanti.

Alla fine mi ridussi a dire: – Magari hai ragione tu, Rosa, – e non credo che lei abbia piú dedicato un solo pensiero all’episodio.

Io in compenso non riuscii a togliermi dalla testa i tassisti tanto facilmente. Seguivo con lo sguardo una persona a caso lungo la strada, e mi domandavo se anche quella persona avrebbe potuto arrabbiarsi allo stesso modo. Oppure provavo a immaginare che faccia avrebbe avuto un passante se fosse stata distorta dalla rabbia. Piú di tutto – e questo Rosa non sarebbe mai riuscita a capirlo – cercavo di sentire nella mente la rabbia che avevano provato quegli autisti. Cercavo di immaginare me stessa e Rosa tanto arrabbiate l’una con l’altra da cominciare a litigare cosí, con il preciso intento di danneggiarci reciprocamente il corpo. L’idea mi sembrava ridicola, ma avevo visto i due tassisti, perciò mi sforzavo di individuare mentalmente l’origine di quel sentimento. Ma era inutile e alla fine mi ritrovavo a ridere dei miei pensieri.

Comunque, c’erano anche altre cose che vedevamo dalla vetrina, altri tipi di emozioni che da principio non capivamo e di cui col tempo rintracciai certe versioni in me stessa, anche se forse erano come le ombre disegnate sul pavimento dalle luci del soffitto dopo che si era abbassata la grata. Per esempio, ci fu l’episodio con la Signora Tazza da Caffè.

Fu due giorni dopo il mio primo incontro con Josie. La mattina era stata piena di pioggia, e i passanti transitavano a occhi stretti, sotto ombrelli e cappelli grondanti. Il Palazzo RPO non era molto cambiato sotto il diluvio, anche se molte sue finestre si erano accese come se fosse già sera. Sulla parte sinistra della facciata del Palazzo delle Scale Antincendio lí accanto c’era una grossa pozza d’acqua, come se da un angolo del tetto fosse sgocciolato un liquido. Poi però, all’improvviso, il Sole si fece largo inondando le strade bagnate e i tettucci dei taxi, e allora, vedendo questo, i passanti uscirono in massa, e fu nella calca che ne seguí che vidi il piccolo uomo con l’impermeabile. Era sul lato del Palazzo RPO; stimai che avesse settantun anni. Si sbracciava e gridava avvicinandosi tanto al cordolo che ebbi paura potesse scendere in strada davanti ai taxi in corsa. Il caso volle che Direttrice fosse in vetrina con noi in quel momento – stava sistemando il cartello davanti al nostro divano – e notò l’uomo che si sbracciava nello stesso istante in cui lo vidi io. Indossava un impermeabile marrone con la cintura penzoloni di lato che gli arrivava quasi alle caviglie, ma sembrava non farci caso e continuava a far segni e a gridare verso il nostro lato della strada. Appena fuori dal negozio si era fermato un gruppo di passanti, non per guardare noi ma solo perché per un momento il marciapiede era cosí trafficato che non ci si riusciva piú a muovere. Poi accadde qualcosa, la folla si diradò e davanti a noi vidi una piccola donna, di spalle; guardava l’uomo che si sbracciava al di là delle quattro corsie di taxi in corsa. Non le vedevo la faccia, ma dalla forma e dalla postura la stimai di sessantasette anni. Nella mia testa la battezzai Signora Tazza da Caffè perché da dietro, dentro il suo cappotto di lana spessa, sembrava corta, larga e curviforme come le tazzine da caffè di ceramica capovolte sugli Scaffali Rossi. Malgrado l’uomo continuasse a sbracciarsi e a gridare e lei lo avesse senz’altro visto, non ricambiava il saluto né a gesti né a voce. Rimase immobile, anche quando due runner vennero verso di lei, si separarono ai suoi lati, e poi si ricongiunsero, facendo spruzzi sul marciapiede con le scarpette da corsa.

Poi finalmente si mosse. Si diresse verso le strisce pedonali, come le aveva indicato di fare l’uomo – prima a piccoli passi, poi piú in fretta. Dovette fermarsi di nuovo e aspettare con gli altri che scattasse il verde, e l’uomo smise di sbracciarsi, ma la osservava con un’ansia tale che di nuovo temetti potesse scendere in strada di fronte ai taxi. Invece si calmò e procedette verso il suo lato del semaforo per andare ad aspettarla. E quando i taxi si fermarono e la Signora Tazza da Caffè cominciò ad attraversare con gli altri, vidi l’uomo sollevare un pugno verso un occhio, come avevo visto fare in negozio a certi bambini quando erano turbati. Poi la Signora Tazza da Caffè raggiunse il lato del Palazzo RPO e lei e l’uomo si strinsero talmente forte da trasformarsi in un’unica grande persona, e il Sole, notandoli, li inondò del suo nutrimento. Ancora non riuscivo a vedere la Signora Tazza da Caffè in faccia, ma l’uomo teneva gli occhi chiusi stretti, e io non avrei saputo dire se era molto contento o molto turbato.

– Quei due sembrano cosí felici di vedersi, – disse Direttrice. E allora mi accorsi che li stava osservando non meno attentamente di me.

– Sí, sembrano felicissimi, – dissi. – Però è strano, perché sembrano anche turbati.

– Oh, Klara, – mormorò Direttrice. – A te non sfugge mai nulla.

Poi Direttrice tacque a lungo, reggendo in mano il cartello con lo sguardo fisso al di là della strada, anche dopo che la coppia era scomparsa alla vista. Infine disse:

– Forse non si vedevano da molto tempo. Forse l’ultima volta che si erano abbracciati cosí, erano ancora giovani.

– Vuol dire che si erano persi, Direttrice?

Restò zitta un altro momento. Poi disse: – Sí. Deve essere andata cosí. Si erano persi. E forse solo adesso, per puro caso, si sono ritrovati.

Direttrice aveva una voce diversa dal solito e, anche se i suoi occhi erano puntati sul fuori, pensai che non stava guardando niente in particolare. Cominciai addirittura a chiedermi che cosa avrebbero pensato i passanti vedendo Direttrice trattenersi in vetrina con noi tanto a lungo.

Si girò dando le spalle al vetro e mentre ci passava accanto mi sfiorò una spalla.

– Certe volte, – disse, – in momenti speciali come quello, la gente prova un dolore insieme alla felicità. Mi fa piacere che tu osservi tutto quanto cosí attentamente, Klara.

Poi Direttrice se ne andò, e Rosa disse: – Che strano. Chissà che cosa voleva dire.

– Non farci caso, Rosa, – le dissi. – Parlava solo del fuori.

Rosa cambiò argomento di conversazione allora, ma io continuai a pensare alla Signora Tazza da Caffè e al suo Uomo dell’Impermeabile e a quello che aveva detto Direttrice. E provai a immaginare come mi sarei sentita se io e Rosa, tra moltissimo tempo, molto dopo che avevamo trovato le nostre rispettive case, ci fossimo incontrate per caso in strada. Chissà se avrei sentito, come aveva detto Direttrice, dolore insieme alla mia felicità.

Una mattina all’inizio della nostra seconda settimana in vetrina, mentre parlavo a Rosa di qualcosa sul lato del Palazzo RPO, mi interruppi perché mi ero accorta che Josie era sul marciapiede davanti a noi. Accanto a lei c’era sua madre. Nessun taxi alle loro spalle, ma non era escluso che fossero scese da un mezzo ormai ripartito senza che io avessi notato nulla, perché c’era una folla di turisti tra la vetrina e il punto in cui si trovavano. Ora però i passanti avevano ripreso a muoversi tranquillamente, e Josie mi rivolgeva un sorriso bellissimo. Il suo viso – tornai a pensare – irradiava gentilezza, quando sorrideva. Ma ancora non poteva avvicinarsi alla vetrina perché la Madre era china verso di lei e le parlava, tenendole una mano sulla spalla. La Madre indossava un cappotto – sottile, scuro, di alto livello – che il vento le muoveva intorno al corpo, sicché per un momento mi ricordò gli uccelli scuri che stanno appollaiati in alto sul semaforo sospeso anche quando c’è molto vento. Sia Josie che la Madre continuarono a fissarmi mentre si parlavano, e io capivo che Josie era impaziente di venire da me, ma che la Madre non la lasciava andare e non smetteva di parlarle. Sapevo che avrei dovuto continuare a fissare il Palazzo RPO, esattamente come faceva Rosa, ma non riuscivo a non lanciare loro delle occhiate, perché temevo che potessero sparire tra la folla.

Poi finalmente la Madre si drizzò, e pur continuando a fissarmi, spostando l’inclinazione della testa ogni volta che un passante le ostruiva la vista, scostò la mano e Josie si fece avanti con il suo passo cauto. Mi parve un buon segno che la Madre permettesse a Josie di avvicinarsi da sola, ma il suo sguardo, uno sguardo che non si addolciva né vacillava mai, e il modo stesso in cui se ne stava lí a braccia incrociate sul petto, con le dita avvinghiate alla stoffa del cappotto, mi fecero capire che c’erano ancora moltissimi segnali che dovevo imparare a interpretare. Poi Josie mi fu davanti, dall’altra parte del vetro.

– Ehi! Come va?

Sorrisi, annuii e mostrai il pollice alzato – un gesto che avevo spesso notato sulle riviste interessanti.

– Scusa se non sono tornata prima, – disse. – Deve essere passato… quanto?

Sollevai tre dita, e aggiunsi un segno di metà con l’altra mano.

– Troppo, – disse lei. – Mi dispiace. Ti sono mancata?

Annuii, mettendo su una faccia triste ma badando di mostrare che non dicevo sul serio, e che non me l’ero presa.

– Anche tu mi sei mancata. Pensavo davvero che sarei tornata prima. Devi avermi data per scomparsa. Scusami tanto –. Poi, con un sorriso meno vivace, aggiunse: – Chissà quanti altri ragazzi sono passati di qui a guardarti.

Feci di no con la testa, ma Josie non pareva convinta. Lanciò un’occhiata indietro alla Madre non tanto in cerca di rassicurazione, quanto per controllare che non si fosse avvicinata. Poi, abbassando la voce, disse:

– Mamma sembra un po’ strana, lo so, per come ti guarda. È perché le ho detto che sei tu quella che voglio. Ho detto che dovevi essere tu a tutti i costi, perciò adesso ti sta valutando. Abbi pazienza –. E in quel momento mi parve di notare, come già l’altra volta, un lampo di tristezza. – Tu puoi venire, vero? Se mamma dice che va bene e tutto il resto.

Annuii vigorosamente. Ma l’incertezza non abbandonò la sua espressione.

– Perché io non vorrei che tu venissi se non ti va. Non sarebbe giusto. Io ti voglio davvero tanto, ma se tu mi dicessi, Josie, non voglio venire, allora direi a mamma, pazienza, non possiamo prenderla, assolutamente. Ma tu invece vuoi venire, no?

Tornai ad annuire e questa volta Josie sembrò pronta a convincersi.

– Meno male –. Le era tornato il sorriso. – Ti piacerà, farò in modo che ti piaccia –. Si guardò indietro, con aria trionfante adesso, gridando: – Mamma? Sentito? Dice che vuole venire!

La Madre fece un piccolo cenno, ma non disse nulla. Continuava a fissarmi, e a pizzicarsi tra le dita la stoffa del cappotto. Quando tornò a girarsi verso di me, la faccia di Josie si era rannuvolata di nuovo.

– Ascolta, – disse, ma poi non parlò per alcuni secondi. Poi disse: – È bellissimo che tu voglia venire. Ma voglio che tra noi sia tutto chiaro dal principio, perciò devo dirti una cosa. Non ti preoccupare, mamma non ci sente. Allora, secondo me casa nostra ti piacerà. Credo che ti piacerà la mia camera, ed è lí che starai, non dentro qualche armadio o roba simile. E faremo un mucchio di cose fantastiche insieme, intanto che cresco. C’è solo una cosa, certe volte, sí, insomma… – Si guardò di nuovo velocemente indietro e, abbassando ulteriormente la voce, disse: – Forse dipende dal fatto che certi giorni non sto tanto bene. Non lo so. Ma potrebbe succedere qualcosa. Non so bene cosa. Non so nemmeno se è brutta o no. Comunque, capita qualche volta che le cose diventino un po’, sí, strane. Non mi fraintendere, perlopiú non te ne accorgi neppure. Ma ci tenevo a essere sincera con te. Perché sai quanto è brutto quando la gente ripete che sarà tutto perfetto, ma in realtà non è sincera. Per questo ho voluto dirtelo subito. Ti prego, dimmi che vuoi venire. La mia camera ti piacerà, ne sono sicura. E vedrai il posto dove cala il Sole, come ti ho detto l’altra volta. Vuoi ancora venire, giusto?

Annuii attraverso il vetro, con tutta la convinzione di cui ero capace. Avrei anche voluto dirle che se in casa sua c’era qualcosa di spaventoso e difficile, l’avremmo affrontato insieme. Ma non sapevo come comunicare un messaggio tanto complicato attraverso il vetro, senza parole, perciò intrecciai forte le dita e alzai le mani, scuotendole un poco, in un gesto che avevo visto fare a un tassista dalla sua auto in corsa, rivolto a qualcuno che lo salutava con la mano dal marciapiede, anche se per farlo aveva dovuto staccare tutte e due le mani dal volante. Comunque lo interpretò, Josie sembrò esserne contenta.

– Grazie, – disse. – Ora non fraintendermi. Magari non è niente di brutto. Magari sono soltanto io che mi faccio delle idee…

In quel momento la Madre chiamò e cominciò a muoversi verso di noi, ma c’erano dei turisti di mezzo, e Josie fece ancora in tempo a dirmi: – Tornerò prestissimo. Te lo prometto. Domani, se riesco. Per ora, ciao.

Josie non tornò domani, né il giorno dopo. Poi, a metà della seconda settimana, si concluse il nostro turno in vetrina.

Per tutto il periodo, Direttrice era stata affettuosa e incoraggiante. Ogni mattina mentre ci preparavamo sul Divano a Righe e aspettavamo che salisse la grata, ci diceva cose come: «Siete state fantastiche ieri. Cercate di fare lo stesso anche oggi». E alla fine di ogni giornata, ci sorrideva dicendo: «Ottimo lavoro, tutt’e due. Sono proprio fiera». Perciò non mi passò mai per la testa che potessimo aver sbagliato qualcosa e, quando la grata calò sul nostro ultimo giorno, mi aspettavo che Direttrice ci facesse i soliti complimenti. Quindi rimasi stupita quando, dopo aver chiuso a chiave la grata, la vidi semplicemente andare via senza aspettarci. Rosa mi lanciò uno sguardo perplesso e, per un momento, restammo sul Divano a Righe. Ma con la grata ormai giú, ci ritrovammo praticamente al buio, e cosí poco dopo ci alzammo e scendemmo dalla pedana.

Avevamo l’intero negozio davanti a noi, e vedevo fino al Tavolo di Vetro in fondo, solo che lo spazio adesso era frazionato in dieci riquadri, perciò non godevo piú di un’immagine singola di ciò che avevo di fronte. La nicchia frontale si trovava nel riquadro alla mia estrema destra, come prevedibile; ma il tavolo delle riviste, che era vicinissimo alla nicchia, risultava diviso in vari riquadri, sicché una sezione del tavolo compariva addirittura nel riquadro alla mia estrema sinistra. Le luci ormai erano state abbassate e io scorgevo gli altri AA sullo sfondo di una serie di riquadri, allineati lungo le pareti di metà-negozio, pronti a dormire. Ma la mia attenzione fu attratta dai tre riquadri centrali, che in quel momento contenevano frammenti di Direttrice nell’atto di voltarsi verso di noi. In un riquadro era visibile solo dalla vita alla parte superiore del collo, mentre il riquadro accanto era quasi interamente occupato dai suoi occhi. L’occhio piú vicino a noi era molto piú grande dell’altro, ma tutti e due erano pieni di gentilezza e di tristezza. E ancora, il terzo riquadro incorniciava una parte della mandibola e quasi tutta la bocca sulla quale riconobbi segni di rabbia e di frustrazione. Infine, quando si fu voltata completamente per venire verso di noi, il negozio tornò a essere grossomodo un’unica immagine.

– Grazie, vi ringrazio tutt’e due, – disse allungando una mano, e accarezzò prima me e poi Rosa. – Grazie infinite.

Ciononostante, avevo la sensazione che fosse cambiato qualcosa – che in qualche modo l’avessimo delusa.

Cominciò allora il nostro secondo periodo a metà-negozio. Rosa e io eravamo ancora spesso insieme, ma adesso Direttrice ci spostava qua e là, quindi potevo finire accanto ad AA M Rex, o ad AA F Kiku. Perlopiú, tuttavia, riuscivo ancora a vedere una sezione della vetrina e potevo continuare a imparare cose sul fuori. Quando comparve la Macchina Cootings, per esempio, io ero sul lato del tavolo delle riviste, esattamente di fronte alla nicchia di metà-negozio, e fui in grado di vederla come se fossi stata ancora in vetrina.

Era ormai ovvio da giorni che la Macchina Cootings sarebbe stata un evento fuori del comune. Prima di tutto, arrivarono gli uomini di manutenzione per i preparativi, isolando una particolare sezione della strada con barriere di legno. Ai tassisti la cosa non piacque per niente, e fecero un gran baccano pestando sui clacson. Poi gli uomini di manutenzione cominciarono a trapanare e spaccare la pavimentazione, anche parti di marciapiede, e cosí spaventarono i due AA che erano in vetrina. Una volta il rumore diventò davvero tremendo, tanto che Rosa si portò le mani alle orecchie e le tenne cosí, nonostante ci fossero dei clienti in negozio. Direttrice si scusava con ogni cliente che entrava, anche se noi non avevamo niente a che fare con il rumore. Un cliente si mise a parlare di Inquinamento e, indicando gli uomini di manutenzione, disse che l’Inquinamento era un gran pericolo per tutti. Perciò in principio, quando arrivò la Macchina Cootings io pensai che potesse servire a combattere l’Inquinamento, ma AA M Rex mi disse di no, che era anzi progettata per produrne di piú. Gli dissi che non gli credevo, e lui disse: – D’accordo, Klara, aspetta e vedrai.

Alla fine naturalmente si scoprí che aveva ragione lui. La Macchina Cootings – le avevo dato io quel nome perché c’era scritto «Cootings» a grandi lettere sulla fiancata – era partita con un lamento acuto, decisamente meno assordante dei trapani, e non piú fastidioso dell’aspirapolvere di Direttrice. Ma c’erano tre tozzi fumaioli a imbuto che uscivano dal tettuccio, e da questi cominciò a salire del fumo. Da principio si trattò di piccoli sbuffi bianchi, che però si andarono scurendo fino a quando non furono piú nuvole separate ma un’unica massa compatta.

E quando tornai a guardare, la strada là fuori si era frazionata in svariati pannelli verticali – dalla mia postazione ne vedevo benissimo tre senza bisogno di sporgermi. La quantità di fumo scuro sembrava variare da pannello a pannello, perciò si aveva l’impressione di poter scegliere tra una serie di sfumature diverse di grigio. Ma anche là dove il fumo era piú denso, ero comunque in grado di individuare parecchi dettagli. In un pannello, ad esempio, c’era una sezione della barriera di legno degli uomini di manutenzione e, in quel momento, apparentemente contigua, la parte anteriore di un taxi. Il pannello accanto era tagliato in diagonale da una barra metallica che riconobbi come appartenente a uno dei semafori sospesi. Anzi, a osservare meglio, riuscii anche a scorgere il profilo scuro di un uccello appollaiato sopra. A un certo punto vidi un runner transitare da un pannello all’altro e, nel passaggio, la sua figura mutò sia proporzioni che traiettoria. Poi l’Inquinamento peggiorò tanto che, anche dal lato del tavolo delle riviste, non vedevo piú lo spazio di cielo, e la vetrina stessa che gli uomini dei vetri lavavano con tanto zelo per Direttrice si coprí di chiazze di sporco.

Mi facevano cosí pena i due AA M che da tanto tempo aspettavano il loro turno in vetrina. Rimasero comunque seduti composti, ma mi capitò di cogliere uno dei due nell’atto di portarsi un braccio sul viso come se l’Inquinamento potesse filtrare dal vetro. Direttrice salí subito sulla pedana a sussurrargli parole rassicuranti e quando ridiscese e si mise a risistemare i braccialetti nel Carrello Espositore, mi accorsi che era turbata anche lei. Pensai addirittura che potesse uscire a parlare con gli uomini di manutenzione ma, ricordando la nostra presenza, ci sorrise e disse:

– Per favore, ascoltatemi. È una seccatura, ma niente di cui dobbiamo preoccuparci. Cercheremo di sopportare per qualche giorno, e poi sarà tutto finito.

Ma l’indomani, e il giorno dopo ancora, la Macchina Cootings non si fermò un istante, e il giorno sembrava quasi una notte. A un certo punto cercai il disegno del Sole sul pavimento, le nicchie, le pareti, ma non era da nessuna parte. Il Sole, io lo sapevo, faceva del suo meglio, e verso la fine del secondo brutto pomeriggio, nonostante il fumo fosse piú denso che mai, i suoi disegni ricomparvero, per quanto sbiaditi. Preoccupata domandai a Direttrice se avremmo ricevuto lo stesso il nostro nutrimento e lei, ridendo, mi disse: – Quella brutta cosa è già stata qui molte altre volte e nessuno ne ha mai patito in negozio. Perciò, Klara, smetti di pensarci.

Ciononostante, dopo quattro giorni di Inquinamento continuo, sentii che mi stavo indebolendo. Mi sforzavo di non darlo a vedere, specie quando c’erano dei clienti in negozio. Ma, forse a causa della Macchina Cootings, capitava che non entrasse nessuno per parecchio tempo, cosí ogni tanto mi lasciavo un po’ andare e AA M Rex doveva toccarmi il braccio per farmi tornare a sedere ben dritta.

Poi un mattino la grata si alzò e non solo la Macchina Cootings ma anche tutta la sua particolare sezione non c’erano piú. Se ne era andato anche l’Inquinamento, era tornato lo spazio di cielo che era di un azzurro carico, e il Sole inondava il negozio del suo nutrimento. I taxi avevano ripreso a muoversi tranquillamente, gli autisti erano contenti. Perfino i runner correvano sorridenti. Per tutto il tempo in cui la Macchina Cootings era rimasta lí, avevo temuto che Josie potesse aver provato a venire al negozio senza riuscirci per via dell’Inquinamento. Ma adesso era finita e l’ondata di buonumore sia dentro che fuori dal negozio fu tale da convincermi che se c’era un giorno adatto al ritorno di Josie, non poteva che essere quello. Verso metà pomeriggio, tuttavia, mi resi conto di quanto fosse irragionevole l’idea. Smisi di cercare Josie in strada, e mi dedicai invece a imparare di piú sul fuori.

Due giorni dopo che la Macchina Cootings se n’era andata, entrò in negozio la bambina con i capelli sparati. Stimai che avesse dodici anni e mezzo. Quella mattina era vestita da runner, con una canottiera verde brillante che le sottolineava le braccia e le spalle troppo magre. Entrò insieme a suo padre, che indossava un completo informale, abbastanza di alto livello, e nessuno dei due disse granché all’inizio, mentre curiosavano. Mi accorsi immediatamente che la bambina era interessata a me, anche se mi aveva lanciato solo un rapido sguardo prima di riportarsi all’ingresso del negozio. Dopo un minuto, tuttavia, tornò indietro e finse di essere attratta dai braccialetti nel Carrello Espositore che stava proprio davanti a me. Poi, guardandosi intorno per controllare che né suo padre né Direttrice stessero osservando, provò ad appoggiarsi col peso al carrello, spostandolo sulle rotelle di qualche centimetro. Intanto, mi rivolgeva una specie di sorrisetto, come se il movimento del carrello fosse un segreto speciale tra noi due. Poi riportò il carrello nella posizione originale, mi sorrise ancora, e gridò: – Papà? – Il padre non rispose – era tutto preso dai due AA seduti sul Tavolo di Vetro in fondo al negozio – e la bambina lo raggiunse, dopo avermi dato un’ultima occhiata. Si parlarono sottovoce, guardando in continuazione verso di me, perciò era ovvio che di me stavano discutendo. Notando la scena, Direttrice lasciò il banco e mi si mise accanto a mani conserte.

Alla fine, dopo un’altra lunga conversazione a bassa voce, la bambina tornò indietro, superando a grandi passi Direttrice, e venne a piazzarsi proprio di fronte a me. Mi toccò prima un gomito e poi l’altro, mi prese la mano sinistra nella sua destra e mi tenne cosí, guardandomi dritta negli occhi. Aveva una faccia abbastanza severa, ma la sua mano stringeva la mia dolcemente e mi resi conto che quel gesto era da intendersi come un altro piccolo segreto tra noi. Io comunque non le sorrisi. Mantenni un’espressione vuota, puntando lo sguardo al di là dei capelli sparati della bambina, verso gli Scaffali Rossi della parete opposta e, in particolare, verso la fila di tazzine di ceramica capovolte sul terzo ripiano. La bambina mi strinse ancora un paio di volte la mano, un po’ meno dolcemente la seconda volta, ma io non abbassai gli occhi lo stesso e non le sorrisi.

Il padre, intanto, si era avvicinato senza far rumore per non turbare quello che poteva essere un momento speciale. Anche Direttrice si era fatta piú vicina e adesso era esattamente alle spalle del padre. Registrai tutto questo, ma tenni gli occhi incollati sugli Scaffali Rossi e sulle tazzine di ceramica, e la mano abbandonata in quella della bambina, sicché se l’avesse lasciata andare, sarebbe crollata al mio fianco.

Sentivo sempre piú intensamente lo sguardo di Direttrice su di me. Poi la sentii dire:

– Klara è eccellente. Una delle nostre migliori. Ma forse la signorina è curiosa di vedere anche i nuovi modelli B3 che sono appena arrivati.

– B3? – Il padre sembrava interessato. – Li avete già?

– Godiamo di un rapporto di esclusiva fiducia con i nostri fornitori. I B3 sono appena arrivati, non li abbiamo neppure ancora calibrati. Ma sarei lieta di farveli vedere.

La bambina dai capelli sparati mi strinse di nuovo la mano. – Ma papà, io voglio questa. È perfetta.

– Ma hanno appena ricevuto i nuovi B3, tesoro. Non vuoi almeno vederli? Nessuno che tu conosca ne ha uno.

Ci fu un lungo silenzio, poi la bambina mi lasciò la mano. Abbandonai il braccio, e continuai a guardare gli Scaffali Rossi.

– Allora, cos’hanno di tanto speciale questi nuovi B3, sentiamo, – disse la bambina, avvicinandosi al padre.

Non avevo pensato a Rosa mentre la bambina mi teneva per mano, ma ora mi accorsi che lei, alla mia sinistra, mi fissava sbalordita. Avrei voluto indurla a guardare altrove, ma decisi di tenere lo sguardo sugli Scaffali Rossi finché la bambina, suo padre e Direttrice non furono a distanza di sicurezza nel retro-negozio. Sentii il padre ridere di qualcosa che aveva detto Direttrice e, quando finalmente mi girai dalla loro parte, Direttrice stava aprendo la Porta Riservata al Personale proprio in fondo al negozio.

– Dovrete scusarmi, – diceva. – C’è un po’ di disordine qui.

Il padre, per tutta risposta, disse: – È un privilegio avere accesso al retro. Dico bene, tesoro?

Entrarono, la porta si chiuse alle loro spalle, e non riuscii piú a sentire quel che dicevano, anche se a un certo punto mi arrivò la risata della bambina dai capelli sparati.

Per il resto della mattinata ci fu parecchio da fare. Mentre Direttrice compilava insieme al padre i moduli per la consegna del nuovo B3, entrarono in negozio altri clienti. Perciò fu soltanto nel pomeriggio, durante il primo momento di calma, che Direttrice venne da me.

– Stamattina mi hai sorpresa, Klara, – disse. – Da te non me lo sarei mai aspettato.

– Mi dispiace, Direttrice.

– Che ti è preso? Non è da te.

– Mi dispiace tanto, Direttrice. Non volevo creare imbarazzo. Solo, ho pensato che forse, per quella bambina in particolare, potevo non essere la scelta giusta.

Direttrice continuava a fissarmi. – E forse avevi ragione, – disse alla fine. – Credo che sarà contenta del suo B3 maschio. Ciononostante, Klara, mi hai molto stupita.

– Mi dispiace tanto, Direttrice.

– Per questa volta ti ho sostenuta. Ma non lo farò piú. Sono i clienti a scegliere il loro AA, e non il contrario.

– Capisco, Direttrice –. E aggiunsi a bassa voce: – Grazie, Direttrice, per oggi.

– Prego, Klara. Ma ricordati che non lo farò piú.

Stava per allontanarsi, ma cambiò idea.

– Non è che per caso credi di avere già preso un impegno, vero, Klara?

Pensai che Direttrice stesse per rimproverarmi, come una volta aveva rimproverato i due AA M che avevano riso di Mendicante dalla vetrina. Invece mi appoggiò una mano sulla spalla e, parlando piú piano di prima, disse:

– Lascia che ti dica una cosa, Klara. I bambini fanno promesse in continuazione. Vengono alla vetrina, e promettono di tutto. Promettono che torneranno, e ti chiedono di non lasciarti portare via da nessun altro. Ma non succede quasi mai. Nove volte su dieci, non tornano. O peggio ancora, magari tornano e non degnano piú di uno sguardo il povero AA che li ha aspettati, e ne scelgono un altro. Sono fatti cosí i bambini, tutto qui. Tu Klara sei una che osserva e hai imparato tanto. Beh, considera anche questo un insegnamento. Hai capito?

– Sí, Direttrice.

– Bene. Non ne parliamo piú –. Mi sfiorò il braccio e si voltò.

I nuovi B3 – tre AA maschio – furono presto calibrati e collocati in negozio. Due finirono dritti in vetrina, con un grande cartello nuovo, e l’altro andò a occupare la nicchia frontale. Un quarto B3, ovviamente, era già stato comprato dalla bambina coi capelli sparati e spedito a destinazione senza che l’avessimo nemmeno conosciuto.

Rosa e io restammo a metà-negozio, ma fummo trasferite sul lato degli Scaffali Rossi, con l’arrivo dei nuovi B3. Alla fine del nostro turno in vetrina, Rosa aveva preso l’abitudine di ripetere una cosa che ci aveva sempre detto Direttrice: che ogni collocazione in negozio era altrettanto buona, e che avevamo le stesse opportunità di essere scelte a metà-negozio, come in vetrina o nella nicchia frontale. Ebbene, nel caso di Rosa, andò proprio cosí.

Per come era cominciato, niente lasciava supporre che quel giorno sarebbe successa una cosa tanto strabiliante. Niente di diverso nell’andirivieni di taxi e passanti, o nel modo in cui era salita la grata o Direttrice ci aveva salutate. Eppure prima di quella sera Rosa era stata comprata ed era sparita dietro la Porta Riservata al Personale per i preparativi di spedizione. Credo di aver sempre immaginato che quando una di noi avesse lasciato il negozio, ci sarebbe stato, prima, un mucchio di tempo per parlare di tutto. Invece accadde molto in fretta. A stento riuscii a farmi un’idea sul bambino e la madre che erano entrati e l’avevano scelta. E non appena se ne furono andati, e Direttrice ebbe confermato che l’avevano comprata, Rosa entrò in uno stato di tale eccitazione che non ci fu piú possibile fare un discorso serio. Avrei voluto passare in rassegna con lei tante cose da ricordare per essere un buon AA; rammentarle tutto ciò che Direttrice ci aveva insegnato, e spiegarle quanto avevo imparato sul fuori. Ma lei continuava a passare irrefrenabile da un argomento all’altro. Chissà se la camera del bambino aveva i soffitti alti. Chissà di che colore era la macchina di famiglia. Chissà se avrebbe visto il mare. Chissà se le avrebbero chiesto di preparare la cesta del picnic. Cercai di ricordarle quanto fosse importante il nutrimento del Sole, e mi domandai ad alta voce se il Sole sarebbe riuscito a guardare facilmente dentro la sua camera, ma Rosa non era interessata. Poi, tutt’a un tratto, arrivò il momento in cui Rosa dovette andarsene nel retro, e la vidi rivolgermi un ultimo sorriso di sfuggita prima di sparire dietro la porta.

Nei giorni che seguirono la partenza di Rosa, rimasi a metà-negozio. I due B3 in vetrina erano stati comprati, e anche AA M Rex trovò casa piú o meno in quel periodo. Di lí a poco arrivarono altri tre B3 – ancora tutti AA maschio – e Direttrice li collocò si può dire esattamente di fronte a me, sopra il tavolo delle riviste, accanto agli altri due AA M di serie precedenti. Tra me e questo gruppo c’era il Carrello Espositore, perciò non parlavamo molto. In compenso ebbi tutto il tempo per osservarli, e notai la calda accoglienza riservata ai nuovi B3 dagli AA M piú vecchi, pronti a elargire ogni genere di consigli utili. Quindi pensai che andassero d’amore e d’accordo. Poi però cominciai ad accorgermi di una cosa strana. Nel corso diciamo di una mattinata, i tre B3 presero poco per volta a spostarsi sempre piú lontano dai due AA piú vecchi. Magari con piccoli passi di lato. Oppure un B3 si incuriosiva per qualcosa fuori della vetrina, si avvicinava a guardare e poi tornava in un posto leggermente diverso da quello che Direttrice gli aveva assegnato. Quattro giorni dopo, non poteva piú esserci dubbio: i tre nuovi B3 si stavano deliberatamente allontanando dagli AA piú vecchi sicché quando entravano i clienti, i B3 davano l’impressione di essere un gruppo a sé. In principio non ci volevo credere: che degli AA, e in particolare degli AA selezionati da Direttrice, potessero comportarsi cosí. Gli AA M piú vecchi mi facevano pena, ma mi resi conto che non si erano accorti di nulla. E neppure si accorgevano, come presto accadde a me invece, che i B3 si scambiavano occhiate e segnali furtivi ogni volta che uno degli AA M piú vecchi si prendeva la briga di spiegare loro qualcosa. Si diceva che i nuovi B3 fossero dotati di migliorie di ogni genere. Ma come avrebbero mai potuto essere dei buoni AA per i loro bambini se riuscivano a concepire idee come quelle? Se Rosa fosse stata con me, le avrei parlato di quel che avevo visto, ma naturalmente lei a quel punto non c’era piú.

Un pomeriggio, nell’ora in cui il Sole guardava dentro fino in fondo al negozio, Direttrice venne dove ero io e disse:

– Klara, ho deciso di darti un secondo turno in vetrina. Sarai da sola questa volta, ma so che non ti dispiace. Sei sempre cosí curiosa del fuori.

Fui talmente stupita che la guardai senza dire nulla.

– Cara Klara, – disse Direttrice. – E dire che è di Rosa che mi sono sempre preoccupata. Non sei in ansia, vero? Non devi esserlo. Farò in modo che tu trovi casa.

– Non sono in ansia, Direttrice, – dissi. Stavo per aggiungere qualcosa riguardo a Josie, ma mi fermai in tempo, ricordando la nostra conversazione dopo che la bambina dai capelli sparati era stata nel negozio.

– Allora, da domani, – disse Direttrice. – Solo sei giorni. Avrai anche un prezzo speciale. Ricordati, Klara, sarai di nuovo tu a rappresentare il negozio. Quindi, fa’ del tuo meglio.

La mia seconda volta in vetrina mi sentivo diversa e non soltanto perché Rosa non era piú con me. La strada fuori era vivace come sempre, ma scoprii di dovermi sforzare per farmi emozionare da quel che vedevo. Ogni tanto un taxi rallentava, un passante si chinava a parlare con l’autista e io cercavo di indovinare se erano amici o nemici. Altre volte, osservavo le piccole figure che transitavano nelle finestre del Palazzo RPO e provavo a interpretare il senso dei loro movimenti e a immaginare che cosa ciascuna stava facendo l’attimo prima di entrare nel suo rettangolo, e che cosa avrebbe potuto fare l’attimo dopo.

La cosa piú importante che osservai durante il mio secondo periodo fu quel che accadde a Mendicante e al suo cane. Fu il quarto giorno: un pomeriggio talmente grigio che alcuni taxi avevano acceso le loro piccole luci, notai che Mendicante non era al suo solito posto a salutare i passanti dalla soglia vuota tra il Palazzo RPO e quello delle Scale Antincendio. Non ci feci molto caso da principio, perché Mendicante si allontanava spesso, anche per lunghi periodi a volte. Poi mi capitò di posare lo sguardo sul lato opposto e mi resi conto che lui era lí, invece, e con lui il suo cane, e che non li avevo visti prima perché stavano a terra sdraiati. Si erano addossati stretti alla soglia vuota per non intralciare i passanti, e quindi dal nostro lato li si poteva scambiare per quei sacchi che a volte gli operai di città lasciavano in strada. Ora però continuai a fissarli attraverso gli spazi vuoti fra un passante e l’altro, e mi accorsi che Mendicante non si muoveva mai, e che non si muoveva neppure il cane tra le sue braccia. Ogni tanto un passante li notava e si fermava un momento, ma poi riprendeva a camminare. Alla fine il Sole era quasi sparito dietro il Palazzo RPO, e Mendicante e il suo cane stavano ancora esattamente dove erano stati per tutto il giorno, ed era chiaro che erano morti, anche se i passanti non lo sapevano. Provai tristezza, anche se era una bella cosa che fossero morti insieme, abbracciati e cercando di aiutarsi l’un l’altro. Avrei voluto che qualcuno li notasse perché potessero essere spostati in un posto migliore, piú tranquillo, e pensai di dire qualcosa a Direttrice. Ma quando fu ora che scendessi dalla pedana della vetrina per la notte, lei mi sembrò cosí stanca e pensierosa che decisi di non dirle niente.

L’indomani la grata si alzò ed era una giornata magnifica. Il Sole rovesciava nutrimento sulla strada e dentro gli edifici, e quando guardai il punto dove Mendicante e il suo cane erano morti, mi accorsi che non erano affatto morti – che uno speciale tipo di nutrimento del Sole li aveva salvati. Mendicante non era ancora in piedi, ma sorrideva e stava seduto dritto, con la schiena contro la soglia vuota, una gamba distesa e l’altra piegata in modo da poter appoggiare il braccio sul ginocchio. Intanto con la mano libera accarezzava il collo del cane che era tornato vivo a sua volta e guardava di qua e di là il transito dei passanti. Entrambi assorbivano famelici il nutrimento speciale del Sole e si rafforzavano di minuto in minuto e mi resi conto che in breve tempo, forse addirittura entro quel pomeriggio, Mendicante si sarebbe rimesso in piedi, pronto come sempre a lanciare commenti allegri dalla soglia vuota.

Presto i miei sei giorni si conclusero, e Direttrice mi disse che ero stata un vanto per il negozio. La media dei clienti, disse, era aumentata mentre ero in vetrina, e io fui contenta di sentirglielo dire. La ringraziai di avermi concesso un secondo turno, lei sorrise e si disse certa che ormai non avrei dovuto aspettare a lungo.

Dieci giorni piú tardi, fui spostata nella nicchia del retro-negozio. Sapendo quanto mi piacesse vedere il fuori, Direttrice mi assicurò che sarebbe stata questione di pochi giorni e poi sarei potuta tornare a metà-negozio. In ogni caso, disse, la nicchia sul retro era un’ottima collocazione e in effetti scoprii che non mi dispiaceva affatto. Mi erano sempre piaciuti i due AA che ora sedevano sul Tavolo di Vetro contro la parete in fondo, e adesso ero abbastanza vicina da intrattenere lunghe conversazioni, parlando con loro a voce alta, a condizione che non ci fossero clienti. La nicchia del retro-negozio, tuttavia, stava al di là dell’arco, perciò non soltanto non si vedeva il fuori ma era perfino difficile vedere l’ingresso del negozio. Se volevo vedere i clienti appena entravano dovevo sporgermi al massimo per sbirciare oltre il lato dell’arco e anche cosí – anche se mi spostavo di qualche passo – la visuale era comunque ostacolata dai vasi d’argento sul tavolo delle riviste, e dai B3 in piedi a metà-negozio. D’altra parte, forse perché eravamo piú lontani dalla strada – o per la particolare inclinazione del soffitto nel retro del negozio –, distinguevo meglio i suoni. Ed è per questo che seppi, dal rumore dei passi e molto prima che cominciasse a parlare, che Josie era entrata nel negozio.

– Perché devono mettersi tutto quel profumo? Per poco non vomitavo.

– Sapone, Josie, – disse la voce della Madre. – Non profumo. Sapone artigianale e di ottima qualità, anche.

– Beh, non era quello il negozio. Era questo. Te l’avevo detto, mamma –. Udii i suoi passi cauti spostarsi sul pavimento. Poi disse: – Questo è decisamente il negozio giusto. Ma lei non c’è piú.

Feci tre piccoli passi avanti finché, tra i vasi d’argento e i B3, riuscii a vedere la Madre intenta a fissare qualcosa fuori dal mio campo visivo. Le vedevo soltanto un lato di faccia, ma mi sembrò ancora piú stanca di quando l’avevo vista sul marciapiede, assomigliava a uno degli uccelli appollaiati in alto nel vento. Immaginai che stesse osservando Josie – e che Josie stesse guardando la nuova B3 F nella nicchia frontale.

Per un bel po’ non accadde nulla. Poi la Madre disse: – Che ne pensi, Josie?

Josie non rispose, e udii i passi di Direttrice sul pavimento. Adesso percepivo quella speciale immobilità che calava nel negozio quando tutti gli AA erano in ascolto, e si domandavano se ci sarebbe presto stata una vendita.

– Sung Yi è una serie B3, ovviamente, – disse Direttrice. – Uno dei B3 piú eccezionali che mi sia capitato di vedere finora.

Adesso vedevo la spalla di Direttrice, ma ancora non riuscivo a vedere Josie. Poi sentii la sua voce:

– Sei davvero magnifica, Sung Yi. Perciò ti prego di non offenderti. È solo che… – Si allontanò, udii di nuovo i suoi passi cauti, e finalmente la vidi. Josie perlustrava con lo sguardo tutto il negozio.

La Madre disse: – Ho sentito che questi nuovi B3 sono eccellenti a livello di apprendimento e di memoria. Ma che a volte possono essere meno empatici.

Direttrice emise un suono che era a metà fra un sospiro e una risata. – Forse in un primissimo tempo è successo che un paio di B3 passassero per un po’ ostinati. Ma le posso assicurare che Sung Yi non presenta alcun difetto del genere.

– Le dispiace – disse la Madre a Direttrice – se mi rivolgo direttamente a Sung Yi? Avrei qualche domanda da farle.

– Ma mamma, – intervenne Josie, che adesso era di nuovo fuori dal mio campo visivo, – che bisogno c’è? Sung Yi è fantastica, lo so. Ma non è lei che voglio.

– Non possiamo continuare a cercare per sempre, Josie.

– Ma te l’ho detto, mamma, il negozio era questo. Era qui. Forse siamo soltanto arrivate tardi, ecco tutto.

Era una sfortuna che Josie fosse entrata proprio quando io ero nel retro-negozio. Comunque, ero certa che prima o poi sarebbe venuta dalla mia parte del negozio e mi avrebbe vista, ed è uno dei motivi per cui rimasi dov’ero, senza fare rumore. Ma forse c’era anche un’altra ragione. Infatti insieme alla gioia di quando avevo capito chi era entrato nel negozio, nella mia mente si era insinuata anche una paura che aveva a che fare con quello che Direttrice mi aveva detto quel giorno a proposito dei bambini che spesso fanno promesse e poi non ritornano, o se ritornano magari ignorano l’AA al quale hanno fatto promesse e ne scelgono un altro. Forse era per questo che continuavo ad aspettare in silenzio.

Poi ci fu un’altra volta la voce di Direttrice, e aveva qualcosa di nuovo, adesso.

– Scusami, signorina. Se ho capito bene stai cercando un’AA in particolare. Una che avevi già visto?

– Sí, signora. Un po’ di tempo fa l’avevate in vetrina. Era molto carina e intelligentissima. Sembrava quasi francese? Capelli corti, molto scuri, e anche vestiti scuri, e occhi gentilissimi, proprio molto intelligente.

– Credo di sapere chi hai in mente, – disse Direttrice. – Se vuoi seguirmi, signorina, lo scopriamo subito.

Solo allora mi spostai dove potevano vedermi. Ero stata fuori dai disegni del Sole tutta la mattina, ma adesso entrai in due rettangoli luminosi nell’attimo stesso in cui Direttrice varcava l’arco, seguita da Josie. Quando mi vide, la faccia di Josie si riempí di gioia. Accelerò il passo.

– Ci sei ancora!

Era diventata ancora piú magra. Avanzava con il suo passo incerto e pensai che volesse abbracciarmi, ma all’ultimo momento si fermò e mi guardò dritto in faccia.

– Caspita! Credevo proprio che non ci fossi piú.

– Perché avrei dovuto andarmene? – dissi sottovoce. – Ce lo eravamo promesse.

– Sí, – disse Josie. – Sí, credo di sí. Forse sono io quella che ha fatto casino. Cioè, a metterci cosí tanto.

Le sorrisi mentre lei si girava a gridare: – Mamma! È questa! Ho trovato quella che cercavo!

La Madre procedette lentamente in direzione dell’arco, poi si fermò. E per un momento tutte e tre guardarono me: Josie davanti, con un sorriso radioso; Direttrice subito dietro, e sorridente a sua volta ma con una cautela nello sguardo che interpretai come un segnale importante da parte sua; e infine la Madre, con gli occhi strizzati come la gente sul marciapiede quando cerca di vedere se un taxi è libero o occupato. E vedendo lei e il modo in cui mi guardava, la paura – la stessa che era praticamente sparita quando Josie aveva esclamato «Ci sei ancora!» – mi tornò nella mente.

– Non volevo metterci tanto, – stava dicendo Josie. – Ma sono stata un po’ male. Ora sto bene, invece –. Poi, alzando la voce: – Mamma? Possiamo comprarla subito? Prima che entri qualcuno e se la prenda?

Ci fu un momento di silenzio, poi la Madre disse sottovoce: – Questo non è un B3, se ho capito bene.

– Klara è un B2, – disse Direttrice. – Di quarta serie; c’è chi dice che rimane la serie insuperata.

– Ma non è un B3.

– Le innovazioni dei B3 sono davvero strepitose. Ma secondo alcuni clienti, per un certo tipo di bambino, un B2 di massima qualità può ancora essere la scelta migliore.

– Capisco.

– Mamma. È Klara che voglio. Non voglio nessun altro.

– Un attimo, Josie –. Poi chiese a Direttrice: – Ogni Amico Artificiale è unico, dico bene?

– Esatto, signora. Soprattutto a questo livello.

– Allora che cosa rende unica questa? Questa… Klara?

– Klara ha cosí tante qualità esclusive che potrebbe volerci la mattinata. Ma se dovessi sottolinearne una in particolare, beh, allora sarebbe la sua sete di sapere e osservare. La sua capacità di comprendere e mescolare tutto ciò che vede intorno a sé è strabiliante. Di conseguenza, al momento Klara ha il piú sofisticato livello di understanding di tutti gli AA del negozio, B3 compresi.

– Ma pensa.

La Madre mi stava guardando di nuovo a occhi stretti. Poi fece altri tre passi nella mia direzione.

– Le spiace se le faccio qualche domanda?

– Si figuri.

– Mamma, ti prego…

– Scusa, Josie. Mettiti un po’ piú in là per un momento, mentre faccio due chiacchiere con Klara.

E a quel punto restammo la Madre e io, e anche se cercavo di conservare il sorriso, non era per niente facile e non è escluso che abbia lasciato trasparire la paura.

– Klara, – disse la Madre. – Voglio che tu non guardi dalla parte di Josie. E adesso, senza guardare, dimmi: di che colore ha gli occhi?

– Grigi, signora.

– Bene. Josie, tu devi stare assolutamente zitta. Dunque, Klara. La voce di mia figlia. L’hai appena sentita parlare. Come definiresti il suo tono di voce?

– Quando parla la sua voce rientra in un registro fra il La bemolle sopra il Do centrale e il Do all’ottava superiore.

– Ma pensa –. Ci fu di nuovo silenzio, poi la Madre disse: – Ultima domanda, Klara. Che cosa hai notato del modo in cui mia figlia cammina?

– Ha il fianco sinistro un po’ debole. Inoltre la spalla destra può procurarle dolore, perciò Josie cammina in modo da proteggerla da movimenti improvvisi e urti inutili.

La Madre ci pensò su. Poi disse: – Bene, Klara. Visto che sembri saperne cosí tanto. Ti spiacerebbe farmi vedere come cammina Josie? Mi faresti questa cortesia? Adesso? L’andatura di mia figlia.

Alle spalle della Madre, vidi Direttrice socchiudere le labbra, come se stesse per parlare. Ma non disse nulla. Incrociò il mio sguardo e mi rivolse un impercettibile cenno del capo.

Cosí cominciai a camminare. Mi resi conto che oltre alla Madre – e Josie, naturalmente – il negozio intero mi stava guardando e ascoltando adesso. Passai sotto l’arco, entrai nei disegni del Sole sparsi sul pavimento. Poi mi diressi verso i B3 a metà-negozio e verso il Carrello Espositore. Feci del mio meglio per riprodurre l’andatura di Josie esattamente come l’avevo vista la prima volta, quando era scesa dal taxi e Rosa e io eravamo in vetrina, e poi di nuovo quattro giorni dopo, quando si era avvicinata alla vetrina dopo che la Madre le aveva levato la mano dalla spalla, e infine come l’avevo vista un minuto fa correre verso di me con gli occhi pieni di gioia e sollievo.

Arrivata al Carrello Espositore ci girai attorno, badando a non perdere il passo caratteristico di Josie anche mentre cercavo di non sfiorare il B3 M in piedi accanto al carrello.

Ma quando stavo per dare inizio al tratto di ritorno, alzai gli occhi e vidi la Madre, e qualcosa in quello che vidi mi fece fermare. Continuava a osservarmi con attenzione, ma era come se adesso il suo sguardo si concentrasse in un punto al di là di me, come se io fossi il vetro della vetrina e lei cercasse di scorgere qualcosa alle mie spalle, in lontananza. Restai lí, accanto al Carrello Espositore, con un piede in bilico, il tallone staccato da terra, e sul negozio calò un’immobilità strana. Poi Direttrice disse:

– Come vede, Klara ha una straordinaria capacità di osservazione. Non ho mai conosciuto nessuno come lei.

– Mamma –. Questa volta la voce di Josie era sommessa. – Mamma. Ti prego.

– D’accordo. La prendiamo.

Josie venne di corsa verso di me. Mi abbracciò e mi tenne stretta. Guardando oltre la testa della bambina, vidi Direttrice sorridere contenta, e la Madre cercare qualcosa a occhi bassi nella borsa a tracolla, con un’espressione seria sul viso tirato.

Parte seconda

In cucina era particolarmente difficile calcolare il percorso perché moltissimi elementi cambiavano rapporto gli uni con gli altri di minuto in minuto. Ora sí che apprezzavo il modo in cui nel negozio – certamente per riguardo a noi – Direttrice aveva sempre tenuto ogni articolo, compresi i piú piccoli, come i braccialetti e gli orecchini d’argento, al loro posto. In casa di Josie invece, e soprattutto in cucina, Domestica Melania spostava cose di qua e di là, obbligandomi ogni volta a ricominciare da capo a memorizzarle. Una mattina, per esempio, Domestica Melania cambiò posizione al frullatore quattro volte in altrettanti minuti. Ma quando mi divenne chiara l’importanza dell’Isola, la situazione si semplificò parecchio.

L’Isola stava al centro della cucina e, forse per sottolinearne l’inamovibilità, aveva piastrelle marrone pallido che imitavano i mattoni da costruzione. Infossato al suo centro si trovava un lavello splendente, e allineati sul lato lungo c’erano tre sgabelli alti sui quali potevano sedersi gli abitanti della casa. In quei primi tempi, quando era ancora abbastanza forte, Josie sedeva spesso all’Isola per fare le sue lezioni o anche solo per rilassarsi con matita e album da disegno. All’inizio facevo fatica a stare seduta sugli sgabelli alti perché non toccavo terra con i piedi e, se provavo a dondolarli, si imbattevano in una stanga trasversale fra una gamba e l’altra. Poi però imparai a copiare il modo in cui Josie piazzava saldamente i gomiti sul ripiano dell’Isola e da quel momento mi sentii piú sicura – anche se rimaneva la possibilità che Domestica Melania mi arrivasse d’improvviso alle spalle, afferrasse i rubinetti e facesse scorrere l’acqua molto forte. La prima volta che accadde, fui talmente sorpresa che rischiai di perdere l’equilibrio, mentre Josie accanto a me quasi non si mosse, perciò imparai presto che non c’era nulla da temere da qualche particella di umidità.

La cucina era l’ideale perché il Sole ci guardasse dentro. C’erano ampie finestre che affacciavano su un cielo grande e un fuori quasi costantemente sgombro di traffico e passanti. Da quelle ampie finestre, era possibile vedere la strada che saliva sul colle oltre certi alberi lontani. La cucina si riempiva spesso del migliore nutrimento del Sole e, oltre alle ampie finestre, sul soffitto alto c’era un lucernario che si poteva mostrare o nascondere utilizzando un telecomando. In principio mi preoccupavo perché Domestica Melania spesso azionava lo scuro sul lucernario proprio quando il Sole mandava nutrimento. Ma poi mi resi conto della facilità con cui Josie poteva riscaldarsi troppo e imparai io stessa ad azionare il telecomando se il disegno del Sole su di lei diventava troppo intenso.

Per un po’ non solo trovai strana la mancanza di traffico e di passanti ma anche l’assenza di altri AA. Non mi ero aspettata che ce ne fossero in casa, naturalmente, e per molti versi mi faceva piacere essere l’unica, perché mi permetteva di concentrare l’attenzione su Josie soltanto. Ma mi accorsi di quanto mi fossi abituata a fare commenti e stime confrontandoli con quelli degli altri AA intorno a me, perciò dovetti adattarmi anche in questo senso. Nei momenti liberi, spesso guardavo la statale sparire dietro la salita – oppure la vista dei prati dalla finestra sul retro in camera da letto – e ora so che cercavo di localizzare con lo sguardo la sagoma di un AA, prima di rendermi conto di quanto fosse improbabile riuscire a farlo, data la grande distanza dalla città e da altri edifici.

Durante i primissimi giorni nella casa, credetti stupidamente che Domestica Melania potesse assomigliare a una persona come Direttrice, il che fu causa di alcuni malintesi. Ad esempio, pensavo che potesse essere suo compito illustrarmi i vari aspetti della mia nuova vita e, comprensibilmente, Domestica Melania aveva invece ritenuto la mia assidua presenza attorno a lei tanto inspiegabile quanto irritante. Quando alla fine si girò arrabbiata verso di me strillando: «Basta di seguirmi AA sparisci!», rimasi sorpresa, ma presto arrivai a capire che il suo ruolo in casa era del tutto diverso da quello di Direttrice, e che a sbagliarmi ero stata io.

Ma anche ammettendo simili malintesi da parte mia, è comunque difficile credere che Domestica Melania non abbia osteggiato la mia presenza sin dal principio. Nonostante mi comportassi sempre molto educatamente con lei e, specie i primi giorni, cercassi di riservarle piccole cortesie, non ricambiava mai i miei sorrisi e mi rivolgeva la parola solo in tono di comando o di rimprovero. Oggi, raccogliendo questi ricordi, mi pare ovvio che la sua ostilità avesse a che fare con il piú diffuso timore di quanto poteva accadere intorno a Josie. Ma al tempo non era facile per me intuire il motivo della sua freddezza. Spesso dava l’impressione di voler ridurre la dose di tempo che trascorrevo con Josie – cosa che, ovviamente, contrastava con il mio incarico – e, all’inizio, cercava addirittura di impedirmi di entrare in cucina per il caffè veloce della Madre e la colazione di Josie. Fu solo in seguito alle insistenze di Josie – e quando alla fine anche la Madre si schierò dalla mia – che mi fu permesso di stare in cucina in quei momenti cruciali del mattino. E anche allora, Domestica Melania cercò di ribadire che dovevo fermarmi accanto al frigorifero mentre Josie e la Madre sedevano all’Isola, e potei unirmi a loro solo grazie alle ulteriori proteste di Josie.

Il caffè veloce della Madre era appunto un momento importante ogni mattina, e uno dei miei compiti era svegliare Josie in tempo utile per prendervi parte. Spesso, nonostante i miei ripetuti sforzi, Josie non si alzava fino all’ultimo secondo, e poi cominciava a strillare dal suo bagno privato: «Sbrigati, Klara! È tardi!», anche se io ero già sul pianerottolo ad aspettare con ansia.

Trovavamo la Madre seduta all’Isola, a fissare il suo oblungo bevendo il caffè, mentre Domestica Melania gironzolava nei pressi, pronta a rabboccare la tazza. Spesso non era molto il tempo che Josie e la Madre avevano per chiacchierare, ma presto imparai quanto fosse comunque importante per Josie poter stare accanto alla Madre durante il caffè veloce. Una volta che la malattia le aveva disturbato gran parte della notte, permisi a Josie di rimettersi a dormire dopo che l’avevo svegliata, pensando fosse meglio che riposasse ancora un po’. Al suo risveglio, mi urlò parole arrabbiate e malgrado fosse debolissima, si precipitò per cercare di arrivare in tempo. Purtroppo, mentre Josie emergeva dal bagno, udimmo l’auto della Madre sulle pietre sconnesse di sotto e corremmo alla finestra giusto in tempo per vederla avviarsi verso la salita. Josie non mi urlò altro, ma quando arrivammo in cucina fece colazione senza mai sorridere. Allora capii che se non riusciva a stare con la Madre per il caffè veloce, c’era il pericolo che quel giorno finisse per sentirsi sola, indipendentemente da quali altre cose succedevano.

Ogni tanto capitava che la Madre non avesse fretta; che, pur indossando i suoi vestiti di alto livello e avendo già la borsa appoggiata al frigorifero, bevesse il caffè a sorsi lenti, addirittura alzandosi dallo sgabello e vagando con tazza e piattino in mano. A volte si fermava davanti alle ampie finestre, inondata dal disegno del Sole, e diceva cose come:

– Sai, Josie, ho l’impressione che tu abbia abbandonato le matite colorate. Mi piacciono i bianchi e i neri che stai facendo. Ma devo dire che sento la mancanza dei tuoi disegni a colori.

– Mamma, ho deciso che i miei disegni a colori erano una grossa vergogna.

– Una vergogna? Ma che dici?

– Mamma, io disegno a colori come tu suoni il violoncello. Anzi, peggio.

Quando Josie disse queste parole, il volto della Madre si aprí in un sorriso. La Madre non sorrideva spesso, ma quando accadeva, aveva un sorriso sorprendentemente simile a quello di Josie: la faccia intera pareva traboccare di gentilezza e le stesse pieghe che di solito costruivano un’espressione tanto tesa si risistemavano al servizio di ironia e dolcezza.

– Lo devo ammettere. Anche nei momenti di gloria, suonavo il violoncello come la nonna di Dracula. Il tuo uso del colore, invece, somiglia a un piccolo lago in una sera d’estate. Qualcosa del genere. Tu fai meraviglie col colore, Josie. Cose a cui nessuno ha mai neanche pensato.

– Mamma. I disegni dei figli fanno sempre quest’effetto ai genitori. Ha a che fare con il processo evolutivo.

– Sai una cosa? Secondo me tutto questo ha a che fare con quel bellissimo foglietto che hai portato all’incontro quella volta. Il penultimo incontro. E quella ragazzina dei Richards ha fatto un commento un po’ ironico. Te l’ho già detto, lo so, ma te lo ripeto. La signorina era invidiosa del tuo talento. Ecco perché ha detto quelle cose.

– D’accordo, mamma. Se sei proprio sicura, potrei anche tornare al colore. E in cambio, forse, tu potresti tornare al violoncello.

– Oh no. Quella è acqua passata ormai. A meno che non spunti fuori qualcuno con il bisogno disperato di una colonna sonora per il suo video horror amatoriale.

Ma c’erano altre mattine in cui la Madre se ne restava tesa e non sorridente, anche se non aveva fretta per il caffè veloce. Se Josie le parlava delle lezioni sull’oblungo e faceva del suo meglio per essere spiritosa, la Madre l’ascoltava tutta seria, e la interrompeva per dire:

– Possiamo cambiare. Se quell’insegnante non ti piace, possiamo sempre cambiare.

– No, mamma, ti prego. Dicevo solo per dire. Anzi, questo è cento volte meglio dell’ultimo. È anche divertente.

– Che bella cosa, – annuiva la Madre, con aria comunque seria. – Il modo in cui sei sempre disposta a concedere a tutti la giusta opportunità. È bello da parte tua.

In quei giorni, quando la salute di Josie era ancora abbastanza buona, le piaceva cenare dopo che la Madre era tornata dal lavoro. Questo significava che spesso salivamo in camera di Josie ad aspettare la Madre, e a guardare il Sole che calava nel suo posto di riposo.

Proprio come Josie aveva promesso, la finestra sul retro in camera da letto aveva un’ampia vista sui prati fino all’orizzonte e permetteva di guardare il Sole sprofondare nella terra alla fine del giorno. Anche se Josie parlava sempre del «prato», in realtà ce n’erano tre, di prati, adiacenti l’uno all’altro e, a ben guardare, si vedevano i paletti che ne segnavano i confini. L’erba era alta in tutti e tre e il vento soffiando la spostava come se l’attraversassero in corsa dei passanti invisibili.

Il cielo dalla finestra sul retro in camera da letto era molto piú ampio del pezzo di cielo al negozio – e passibile di sorprendenti variazioni. A volte aveva il colore dei limoni nella fruttiera, ma poi diventava del grigio dell’ardesia dei taglieri. Quando Josie non stava bene, poteva assumere la tinta del suo vomito o delle sue pallide feci, e perfino mostrare tracce di sangue. Talvolta il cielo si divideva in una serie di riquadri, ciascuno di una sfumatura di viola diversa da quella del riquadro accanto.

C’era un morbido divano color panna vicino alla finestra sul retro in camera da letto: l’avevo battezzato mentalmente «il Divano dei Bottoni». Sebbene fosse rivolto verso il centro della stanza, a me e Josie piaceva inginocchiarci con le braccia sopra i cuscini dello schienale, a guardare il cielo e i prati. Josie era contenta di quanto sapessi godermi l’ultima parte del cammino del Sole, perciò cercavamo di guardare dal Divano dei Bottoni tutte le volte che ci era possibile. Ci fu un giorno in cui la Madre era tornata prima del solito, e lei e Josie chiacchieravano sedute sugli sgabelli alti dell’Isola, e io, per dare loro privacy, mi ero spostata accanto al frigorifero. Quella sera la Madre era di umore energico, parlava a precipizio, raccontando cose divertenti sulle persone del suo studio legale e fermandosi per ridere, a volte cosí a lungo da restare quasi senza fiato. A metà di quel discorso, proprio quando la Madre sembrava sul punto di scoppiare in un’altra risata, Josie la interruppe per dire:

– Fantastico, mamma. Ora però ti dispiace se io e Klara saliamo in camera mia per un minuto? Klara adora guardare il tramonto e se non andiamo adesso, ce lo perdiamo.

Quando lo disse, girai lo sguardo e mi accorsi che la cucina si era riempita di luce serale del Sole. La Madre fissava Josie e io pensai che stesse per arrabbiarsi. Invece il suo volto si addolcí in un sorriso gentile, e disse: – Ma certo, tesoro. Andate pure. Godetevi il vostro tramonto. Poi si cena.

A parte i prati e il cielo, c’era qualcos’altro che mi interessava vedere dalla finestra sul retro in camera da letto: una forma scura fatta a cubo al fondo del prato piú lontano. Non si muoveva quando l’erba le ondeggiava intorno, e quando il Sole calava tanto da toccare quasi l’erba, la forma scura spiccava davanti al suo splendore. Fu la sera in cui Josie rischiò di provocare la rabbia della Madre a causa mia, che gliela feci notare. Lei si rizzò piú in alto sul Divano dei Bottoni e si portò le mani agli occhi per schermarli.

– Oh, vuoi dire il fienile di Mr McBain.

– Un fienile?

– Forse non è proprio un fienile, perché è aperto su tutti e due i lati. Forse piú una tettoia, credo. Mr McBain ci tiene della roba. Una volta ci sono stata insieme a Rick.

– Mi chiedo perché il Sole dovrebbe andare in un posto come quello, a riposare.

– Già, – disse Josie. – Uno pensa che per il Sole ci voglia come minimo un palazzo. Magari Mr McBain ha fatto grandi ristrutturazioni da quando ci sono stata l’ultima volta.

– Mi chiedo quando è successo che Josie è stata là.

– Oh, tanto tempo fa. Io e Rick eravamo ancora abbastanza piccoli. Prima che mi ammalassi.

– Avete notato niente di strano da quelle parti? Un cancello? O magari dei gradini che scendevano sottoterra?

– No. Niente del genere. Solo il fienile. E ci andò bene cosí perché eravamo piccoli e ci eravamo stancati molto a camminare cosí lontano. Intendiamoci, non era affatto vicina l’ora del tramonto. Se c’è un ingresso a un palazzo, potrebbe essere nascosto. Può darsi che le porte si aprano soltanto poco prima che ci arrivi il Sole, no? L’ho visto in un film una volta, c’erano i cattivi che avevano il quartier generale in un vulcano e quello che sembrava un lago di lava in realtà si apriva scorrendo di lato mentre loro scendevano con gli elicotteri. Può darsi che il palazzo del Sole funzioni allo stesso modo. E comunque, io e Rick, non stavamo cercando quello. Eravamo arrivati fin lí tanto per fare qualcosa, poi ci era venuto caldo e volevamo un po’ d’ombra. Cosí ci sedemmo nel fienile di Mr McBain per un po’, prima di tornare –. Mi sfiorò appena un braccio. – Peccato non aver visto di piú. Purtroppo…

Il Sole si era ridotto a una breve striscia di luce tra l’erba.

– Eccolo che se ne va, – disse Josie. – Speriamo che dorma bene.

– Mi chiedo chi era questo bambino. Questo Rick.

– Rick? Era solo il mio miglior amico.

– Oh, capisco.

– Ehi, Klara, ho detto qualcosa che non va?

– No. Ma… adesso è compito mio essere la migliore amica di Josie.

– Tu sei la mia AA. È diverso. Rick invece, sí insomma, noi due vogliamo passare tutta la vita insieme.

Adesso il Sole era giusto un segno rosa nell’erba.

– Non c’è niente che Rick non farebbe per me, – disse. – Ma si preoccupa troppo. Ha sempre paura che qualcosa vada storto.

– Che genere di cosa?

– Oh, sai, tutte le questioni amorose e sentimentali da sistemare. E poi credo ci sia anche quell’altra cosa.

– Quell’altra cosa?

– Ma se la prende per niente. Perché tra me e Rick la faccenda è decisa da molto tempo. E non cambierà.

– E Rick dov’è adesso? Abita nei pressi?

– È il nostro vicino di casa. Te lo presenterò. Non vedo l’ora che vi conosciate!

Conobbi Rick la settimana seguente, il giorno in cui vidi la casa di Josie da fuori per la prima volta.

Josie e io avevamo discusso spesso amichevolmente su dove le varie parti della casa si trovassero l’una rispetto all’altra. Lei per esempio non accettava che lo sgabuzzino dell’aspirapolvere fosse direttamente sotto il bagno grande. E una mattina, dopo l’ennesima discussione amichevole, Josie disse:

– Klara, mi stai facendo impazzire con questa storia. Appena finisco con il professor Helm, voglio portarti fuori. E controlliamo tutte queste cose da lí.

La prospettiva mi esaltava. Ma prima Josie aveva la lezione, e la osservai sistemare i fogli sul ripiano dell’Isola e accendere l’oblungo.

Per dare privacy, mi sedetti a uno sgabello di distanza. Presto mi resi conto che la lezione non procedeva benissimo: la voce dell’insegnante che filtrava dalle cuffie sembrava avere spesso un tono di rimprovero e Josie continuava a scarabocchiare a caso sui fogli, spingendoli a volte pericolosamente vicini al lavello. A un certo punto mi accorsi che era stata molto distratta da qualcosa all’esterno delle ampie finestre e che non ascoltava piú il professore. Poco dopo disse con rabbia allo schermo: – D’accordo, l’ho fatto. Davvero. Perché non mi crede? Sí, proprio come ha detto lei!

La lezione si protrasse piú a lungo del solito, ma si concluse con Josie che diceva sottovoce: – Va bene, professor Helm. Grazie. Sí. Senz’altro. Arrivederci. Grazie per la lezione di oggi.

Spense l’oblungo con un sospiro e si tolse le cuffie. Poi, vedendomi, subito si illuminò.

– Non me lo sono dimenticato, Klara. Adesso usciamo, giusto? Lasciami solo recuperare la ragione. Quel professore, Helm, meno male che non devo piú vedere la sua faccia! Abita in un posto caldo, è evidente. Lo vedevo sudare –. Scese dallo sgabello alto e stirò le braccia. – La mamma vuole che lo diciamo a Melania, se andiamo fuori. Ti spiace dirglielo tu, mentre mi metto una giacca?

Sentivo che era emozionata anche Josie ma, nel suo caso, credevo avesse a che fare con quello che aveva visto dalle ampie finestre durante la lezione. In ogni caso andai a cercare Domestica Melania nell’Open Space.

L’Open Space era la stanza piú ampia della casa. C’erano due divani e svariati parallelepipedi morbidi su cui gli ospiti potevano sedersi; e cuscini, lampade, piante e una scrivania d’angolo. Quel giorno, quando aprii le porte scorrevoli, i mobili si presentavano in una serie di griglie interconnesse, con la figura di Domestica Melania pressoché indistinguibile in quel disegno intricato. Io comunque riuscii a individuarla, seduta dritta sul bordo di un parallelepipedo morbido, tutta impegnata a fare qualcosa sull’oblungo. Alzò gli occhi e mi rivolse uno sguardo ostile, ma quando le dissi che Josie voleva andare fuori, ritirò l’oblungo e mi superò a passo di marcia.

Trovai Josie nell’ingresso; si stava mettendo la giacca marrone imbottita, quella che le piaceva tanto e che a volte indossava anche in casa quando stava meno bene.

– Ehi, Klara. Non posso crederci: sei in questa casa da tanto tempo e non sei mai stata fuori.

– No, non sono mai stata fuori.

Josie mi fissò un istante, poi disse: – Vuoi dire che non sei mai stata fuori? Nel senso, non fuori di qui, ma fuori e basta?

– Esatto. Stavo dentro al negozio. Poi sono venuta qui.

– Wow. Allora sarà fantastico per te. Non devi avere paura, sai? Niente bestie feroci o roba simile. Perciò, andiamo, coraggio.

Mentre Domestica Melania ci apriva la porta, sentii aria nuova e il nutrimento del Sole irrompere nell’ingresso. Josie mi sorrise, con la faccia piena di bontà, ma poi Domestica Melania si insinuò tra noi e, prima ancora che me ne rendessi conto, aveva preso il braccio di Josie sotto il suo. Anche Josie fu sorpresa dal gesto, ma non protestò, e io mi dissi che Domestica Melania doveva aver pensato che non sarei stata in grado di proteggere Josie al meglio una volta fuori, a causa della mia inesperienza. Insomma uscirono insieme, e io le seguii.

Percorremmo la zona delle pietre sconnesse che immaginai fossero mantenute apposta in quello stato per la macchina. Il vento era lieve e gradevole e mi parve strano che gli alberi alti in cima alla salita potessero comunque piegarsi e ondeggiare sotto la sua spinta. Ma subito dopo dovetti concentrarmi su dove mettevo i piedi, perché la zona delle pietre sconnesse aveva diversi solchi, forse creati dalle ruote dell’auto.

La vista mi era nota dalla finestra anteriore in camera da letto. Continuai a seguire Josie e Domestica Melania fino alla strada che era liscia e dura come un pavimento, e proseguimmo un altro po’ anche quando di lato comparve l’erba tagliata. Avrei voluto girarmi e guardare la casa – per vederla come sarebbe apparsa a un passante e per trovare conferma alle mie stime – ma Josie e Domestica Melania procedevano ancora sottobraccio e non osai fermarmi.

Dopo un po’ non ebbi piú bisogno di controllare cosí attentamente i miei passi, e alzai lo sguardo su un colle d’erba tagliata alla nostra sinistra – e sulla sagoma di un giovane che si muoveva in prossimità della cima. Stimai che potesse avere quindici anni, ma non potevo esserne sicura perché la sua sagoma era solo un profilo contro il cielo pallido. Josie si avviò verso il colle e Domestica Melania disse qualcosa che avrei potuto sentire se fossimo state dentro, ma fuori il suono si comportava diversamente. In ogni caso era chiaro che adesso era nato un disaccordo. Sentii Josie dire:

– Ma io voglio che Klara lo conosca.

Qualche altra parola che non riuscii a sentire, poi Domestica Melania disse: – Va bene, ma solo poco, di tempo, – e liberò il braccio di Josie.

– Vieni, Klara, – disse Josie, rivolgendosi a me. – Saliamo a trovare Rick.

Mentre salivamo sul fianco verde del colle, il fiato di Josie si fece corto e lei fu costretta ad aggrapparsi forte a me. Perciò potei solo lanciare indietro una breve occhiata, ma mi accorsi che alle nostre spalle non c’era soltanto la casa di Josie, ma anche un’altra piú lontana nei prati – una casa di vicini che non era visibile da nessuna delle finestre di Josie. Avrei tanto voluto osservare a fondo entrambe le case, ma dovevo assicurarmi che Josie non si facesse male. In cima al colle si fermò per riprendere fiato, ma il giovane non ci salutò e non guardò neppure dalla nostra parte. Aveva in mano un aggeggio circolare e scrutava il cielo tra le due case osservando un gruppo di uccelli che volavano in formazione, e presto mi accorsi che erano uccelli meccanici. Teneva lo sguardo fisso su di loro e, appena sfiorava il telecomando, gli uccelli reagivano cambiando schema di formazione.

– Wow, sono stupendi, – disse Josie, ancora un po’ senza fiato. – Nuovi?

Rick non scollò lo sguardo dagli uccelli e disse:

– I due in coda sono nuovi. Si vede che non sono come gli altri.

Gli uccelli calarono in picchiata fino a trovarsi direttamente sopra di noi.

– Sí, ma neanche gli uccelli veri sono tutti uguali, – disse Josie.

– Forse. Se non altro sono riuscito a far rispondere l’intero stormo allo stesso comando. Ehi, Josie, guarda qua.

Gli uccelli meccanici cominciarono a scendere, atterrando uno dopo l’altro sull’erba davanti a noi. Due però rimanevano in aria e Rick, contrariato, tornò ad azionare il telecomando.

– Dio. Ancora non ci siamo.

– Ma sono fantastici, Ricky.

Josie era vicinissima a Rick adesso, anche se non lo toccava, ma teneva le mani alzate appena dietro la schiena e la spalla sinistra di lui.

– È che quei due devono essere ricalibrati da capo.

– Non prendertela, ci riuscirai. Ehi, Ricky, ti ricordi di martedí, vero?

– Me lo ricordo. Comunque, Josie, non ho mai detto che venivo di sicuro.

– Eddai! Eri d’accordo.

– D’accordo un corno. E poi, comunque, non credo che i tuoi ospiti sarebbero tanto contenti.

– Sono a casa mia, perciò posso invitare chi voglio. E mamma sarà felice. Dài, Rick, l’abbiamo già fatto tante volte, questo discorso. Se decidiamo di prendere sul serio il nostro progetto, dobbiamo fare cose come questa insieme. Devi imparare a gestirle come faccio io. Mi spieghi perché dovrei affrontare la gente da sola?

– Non sei piú sola. Hai la tua AA, adesso.

Erano atterrati anche gli ultimi due uccelli. Rick sfiorò il telecomando e andarono tutti in modalità riposo sull’erba.

– Oh, Dio, non vi ho nemmeno presentati! Rick, lei è Klara.

Rick rimase assorto sul telecomando e non mi guardò. – Avevi detto che non avresti mai preso un AA, – disse.

– È stato un bel po’ di tempo fa.

– Avevi detto mai.

– Beh, ho cambiato idea, va bene? E poi Klara non è un AA qualunque. Avanti, Klara, di’ qualcosa a Rick.

– Avevi detto mai.

– Dài, Rick! Non facciamo tutto quello che dicevamo di voler fare da piccoli. Perché non dovrei avere un AA?

A quel punto aveva appoggiato entrambe le mani sulla spalla sinistra di Rick, e ci scaricava sopra il peso come se volesse farlo diventare piú basso e pareggiare le loro stature. Ma Rick non sembrava sorpreso dalla sua vicinanza – al contrario, pareva considerarla come una cosa normale – e mi attraversò il pensiero che forse, in un certo senso, quel giovane potesse essere per Josie importante come la Madre, e che i suoi obiettivi e i miei potessero correre in qualche modo paralleli, e che avrei dovuto osservarlo con attenzione per capire come si collocava nel disegno della vita di Josie.

– Molto piacere di conoscere Rick, – dissi. – Mi chiedo se abita in quella casa vicina. È strano, ma non l’avevo notata prima.

– Sí, – disse, continuando a non guardarmi in faccia. – Abito lí. Con la mamma.

Ci girammo tutti verso le case allora e, per la prima volta, fui davvero in grado di vedere l’esterno della casa di Josie. Era leggermente piú piccola, e con i contorni del tetto un tantino piú spigolosi, ma per il resto molto simile a come avevo stimato da dentro. I muri erano fatti di assi sovrapposte con cura e dipinte di quasi-bianco. La casa in sé era composta di tre cubi separati che si collegavano realizzando un’unica forma particolare. Quella di Rick era piú piccola, e non solo perché piú lontana. Era fatta a sua volta di assi di legno, ma la struttura era piú semplice – un unico cubo, piú alto che largo, in mezzo all’erba.

– Credo che Rick e Josie siano cresciuti uno accanto all’altra, – dissi a Rick. – Come le vostre case.

Si strinse nelle spalle. – Sí. Uno accanto all’altra.

– Credo che Rick abbia un accento inglese.

– Forse, un pochino.

– Sono contenta che Josie abbia un amico cosí caro. Spero che la mia presenza non sarà mai di ostacolo a una cosí bella amicizia.

– Spero proprio di no. Ma sono tante le cose che possono ostacolare un’amicizia.

– Va bene, basta cosí! – urlò la voce di Domestica Melania dal fondo del colle.

– Veniamo! – le gridò Josie di rimando. Poi disse a Rick: – Dài, Ricky, l’idea dell’incontro mi piace quanto piace a te. Ho bisogno che tu ci sia. Devi venire.

Rick era di nuovo assorto sul telecomando, e gli uccelli decollarono. Josie li osservava, ancora con le mani sulla spalla di lui, sicché insieme disegnavano una sola forma contro il cielo.

– Allora, presto! – gridò Domestica Melania. – Troppo vento! Vuoi morire qui su, o cosa?

– Va bene, arrivo! – Poi Josie disse a Rick sottovoce: – Martedí a pranzo, va bene?

– Va bene.

– Bravo Ricky. Ora hai promesso. E Klara è testimone.

Levandogli le mani dalla spalla, si allontanò. E afferrandomi il braccio mi condusse giú per il colle.

Prendemmo per un versante diverso da prima, e mi accorsi che ci avrebbe portate dritte davanti alla casa di Josie. Aveva una pendenza maggiore e da sotto Domestica Melania si mise a protestare, poi si rassegnò a venirci incontro girando intorno al colle. Mentre scendevo tra l’erba tagliata, lanciai un’occhiata indietro alla sagoma di Rick che era di nuovo un profilo contro il cielo. Lui non guardava verso di noi, ma in su, verso i suoi uccelli in volo nell’aria grigia.

Dopo che fummo tornate a casa, e Josie ebbe ritirato la giacca imbottita, Domestica Melania le preparò la sua bibita allo yogurt, e ci sedemmo insieme all’Isola mentre Josie la sorseggiava con la cannuccia.

– Non posso credere che non eri mai stata fuori, – disse. – E allora, cosa ne dici?

– Mi è piaciuto moltissimo. Il vento, l’acustica, era tutto cosí interessante –. Poi aggiunsi: – E naturalmente è stato meraviglioso conoscere Rick.

Josie pizzicava la cannuccia nel punto in cui fuoriusciva dalla bibita.

– Mi sa che non ha fatto una gran bella impressione. Certe volte sembra imbranato. Ma è una persona speciale. Quando sto male e cerco di pensare alle cose belle, penso sempre a tutto quello che faremo insieme. Verrà di sicuro all’incontro, vedrai.

Quella sera, come facevano spesso durante la cena, spensero tutte le luci tranne quelle che illuminavano direttamente il ripiano dell’Isola. Ero presente, perché a Josie faceva piacere che ci fossi, ma volendo dare privacy, me ne restavo nell’ombra, con la faccia rivolta verso il frigorifero. Per molti minuti ascoltai Josie e la Madre scambiarsi commenti scherzosi mentre mangiavano. Poi, ancora in tono leggero, Josie domandò:

– Mamma, se prendo dei bei voti, devo organizzarlo lo stesso l’incontro di interazione?

– Certo, tesoro. Non basta essere in gamba. Bisogna anche saper andare d’accordo con gli altri.

– Io so come andare d’accordo con gli altri, mamma. Non con questa gente, però.

– Si dà il caso che questi siano i tuoi simili. E quando sarai al college, dovrai vedertela con gente di tutti i tipi. Quando ci arrivai io, al college, avevo passato anni con altri ragazzi tutti i santi giorni. Ma per te e per quelli della tua generazione, sarà dura se non vi allenate un po’. I ragazzi che si trovano male al college sono sempre quelli che hanno frequentato troppo poco gli incontri.

– Manca un mucchio di tempo al college, mamma.

– Non quanto credi –. Poi, con piú dolcezza, la Madre disse: – Avanti, tesoro. Puoi presentare Klara ai tuoi amici. Saranno felici di conoscerla.

– Non sono miei amici, mamma. E se proprio devo recitare la parte dell’ospite, voglio che ci sia Rick.

Per un attimo ci fu silenzio alle mie spalle. Poi la Madre disse: – D’accordo. Si può fare.

– Ma secondo te non è una buona idea, vero?

– No. No, figurati. Rick è una bravissima persona. Oltre che il nostro vicino di casa.

– Allora verrà, va bene?

– Sempre che voglia. Deve essere una sua scelta.

– Perché, credi che gli altri lo tratteranno male?

Ci fu un’altra pausa prima che la Madre dicesse: – Non vedo perché dovrebbero. Se qualcuno non dovesse comportarsi come si deve, dimostrerebbe solo di non essere all’altezza.

– Quindi non c’è ragione per cui Rick non possa venire.

– L’unica ragione, Josie, è se lui non vuole.

Piú tardi in camera, quando eravamo soltanto noi due, Josie, che era già a letto pronta a dormire, disse sottovoce:

– Spero proprio che Rick ci venga a questo orrendo incontro.

Malgrado fosse tardi, ero contenta che avesse fatto cenno all’incontro di interazione perché restavano parecchi aspetti di cui non ero sicura.

– Sí, lo spero anch’io, – dissi. – Anche gli altri giovani porteranno i loro AA?

– Uh uh. Non si fa. Ma l’AA che abita in casa in genere partecipa. Specie se è nuovo, come te. Vorranno tutti esaminarti.

– Quindi Josie vorrebbe che fossi presente.

– Certo che sí. Anche se per te potrebbe non essere entusiasmante. La verità è che questi incontri sono uno schifo.

La mattina dell’incontro di interazione, Josie diventò molto nervosa. Tornò in camera dopo colazione a provarsi svariati vestiti e anche quando sentimmo arrivare i suoi ospiti, e Domestica Melania aveva già chiamato per la terza volta, lei continuava a spazzolarsi i capelli. Alla fine, mentre da sotto arrivavano voci diverse, le dissi: – Forse è ora che raggiungiamo gli ospiti di Josie.

Solo a quel punto depose la spazzola sul ripiano della specchiera e si alzò. – Hai ragione. È ora di andare in scena.

Scendemmo le scale, vidi l’ingresso pieno di estranei che parlavano in tono scherzoso. Erano gli adulti accompagnatori – tutte donne. Dall’Open Space arrivavano voci piú giovani, ma le porte scorrevoli erano accostate, perciò gli ospiti di Josie non ci erano ancora visibili.

Josie mi precedeva sulle scale e si fermò a quattro gradini dal fondo. Forse sarebbe anche tornata indietro se una delle adulte non avesse esclamato: – Ciao, Josie! Come va?

Josie alzò una mano e la Madre, facendosi largo tra le adulte all’ingresso, indicò con un gesto l’Open Space. – Entra, – disse. – I tuoi amici ti aspettano.

Pensai che la Madre stesse per insistere ancora, ma altre adulte si erano radunate attorno a lei, tra chiacchiere e sorrisi, e fu costretta ad allontanarsi da noi. Josie in effetti sembrò prendere coraggio e scese i gradini restanti prima di mescolarsi alla folla. La seguivo, immaginando che sarebbe andata verso l’Open Space, invece attraversò il gruppo di adulte e si diresse alla porta aperta dalla quale entrava aria fresca. Josie continuava a muoversi come se avesse un intento preciso, e un passante avrebbe potuto crederla impegnata in una commissione importante per i suoi ospiti. In ogni caso, nessuno la ostacolò e, mentre la seguivo, udii molte voci intorno a me. Qualcuno diceva: – Quel professor Kwan sarà pure magnifico come insegnante di fisica matematica per i nostri figli. Ma questo non gli dà il diritto di essere scortese con noi, – e un’altra voce diceva: – Europee. Le migliori domestiche continuano a essere quelle di origini europee –. Altre voci ancora salutarono Josie al suo passaggio, poi ci trovammo alla porta, accarezzate dall’aria esterna.

Josie si sporse, con un piede sulla soglia e urlò nel fuori: – Dài! Cosa aspetti? – Poi, tenendosi al telaio della porta, si piegò in avanti. – Sbrigati! Sono già tutti qui!

Rick apparve sulla soglia, Josie lo prese per un braccio e lo trascinò nell’ingresso.

Era vestito come quella volta sul colle d’erba, in semplici jeans e maglione, ma le adulte sembrarono notarlo immediatamente. Le loro voci non tacquero del tutto, ma il volume si abbassò. Poi arrivò la Madre attraverso la folla.

– Ciao, Rick. Benvenuto! Accomodati –. Gli appoggiò una mano sul dorso, sospingendolo verso le ospiti adulte. – Vi presento Rick. Nostro buon amico e vicino di casa. Qualcuna di voi già lo conosce.

– Rick, come va? – disse una donna poco lontana. – Meno male che ce l’hai fatta.

Poi le adulte presero a salutare Rick tutte insieme, e a dirgli cose gentili, ma notai una strana cautela nelle loro voci. La Madre, alzando la sua, domandò:

– Allora Rick? Tua madre sta bene? È un pezzo che non passa di qui.

– Bene, grazie, Mrs Arthur.

Appena Rick parlò, nella stanza calò il silenzio. Una donna alta dietro di me chiese: – Quindi se ho ben capito abiti qui vicino, Rick?

Lo sguardo di Rick passò in rassegna le facce per localizzare quella di chi gli aveva parlato.

– Sí, signora. Anzi, la nostra è l’unica casa che si vede uscendo qui fuori –. Poi diede in una breve risata e aggiunse: – A parte questa, s’intende.

Risero tutte di quella battuta e Josie, dietro di lui, sorrise nervosa come se a farla fosse stata lei. Un’altra voce disse:

– C’è un mucchio di aria buona da queste parti. Un bel posto per crescere, di sicuro.

– Non è male, grazie, – disse Rick. – Almeno finché non si ha bisogno di farsi portare una pizza a domicilio.

Di nuovo risero tutte, e piú forte di prima, e questa volta si uní radiosa anche Josie.

– Su, Josie, – disse la Madre, – accompagna Rick dentro. Dovresti dare il benvenuto anche a tutti gli altri. Su, entra adesso.

Le adulte si fecero da parte e Josie, senza lasciare il braccio di Rick, lo condusse verso l’Open Space. Nessuno dei due mi guardò, e non ero sicura se dovessi seguirli oppure no. Poi sparirono, le adulte tornarono ad affollare l’ingresso, e io mi ritrovai ferma accanto alla porta. Una voce nuova poco lontana disse:

– Simpatico. Ha detto che abita qui vicino? Non sono riuscita a sentire.

– Rick è il nostro vicino, sí, – disse la Madre. – È amico di Josie da sempre.

– Che gran bella cosa.

Poi una donna grossa che di forma somigliava al frullatore disse: – Sembra anche molto intelligente. Che peccato che un ragazzo cosí non ce l’abbia fatta.

– Non l’avrei nemmeno notato, – disse un’altra voce. – Si presenta cosí bene. È britannico l’accento che ha?

– Quel che conta – disse la donna frullatore – è che questa generazione impari a star bene con persone di ogni tipo. Come dice sempre Peter –. E mentre altre voci mormoravano il proprio assenso, domandò alla Madre: – Cos’è stato, i suoi hanno deciso di… non procedere? Si sono persi d’animo?

Il sorriso gentile della Madre si spense e tutte le persone che avevano sentito parvero tacere all’unisono. Perfino la donna frullatore restò paralizzata dallo spavento. Poi allungò una mano verso la Madre.

– Oh, Chrissie. Ma cosa dico? Non intendevo…

– Non importa, – disse la Madre. – Lascia perdere, ti prego.

– Oh, Chrissie, quanto mi dispiace. Sono talmente stupida, a volte. Volevo solo dire che…

– È la nostra peggior paura, – disse una voce piú forte poco lontana. – Di tutte noi, qui presenti.

– Tutto a posto, – disse la Madre. – Lasciamo stare.

– Chrissie, – disse la donna frullatore, – intendevo solo che un bravo ragazzo come quello…

– Qualcuna di noi ha avuto fortuna, qualcun’altra no –. Una donna dalla pelle nera, dicendo questo, si fece avanti e sfiorò gentilmente la spalla della Madre.

– Josie comunque sta meglio, no? – domandò un’altra voce. – Basta guardarla.

– Ha giornate buone e giornate meno buone, – disse la Madre.

– Sembra migliorata tanto.

La donna frullatore disse: – Starà benissimo, lo so. E tu sei stata cosí coraggiosa, con quel che hai passato. Un giorno, Josie ti sarà molto riconoscente.

– Eddai, Pam –. La donna dalla pelle nera allungò un braccio per condurre altrove la donna frullatore. Ma la Madre, guardando in faccia la donna frullatore, disse:

– Secondo te, Sal mi vorrebbe ringraziare?

A quelle parole, la donna frullatore scoppiò in lacrime. – Guarda, mi dispiace, scusami. Sono cosí stupida, a volte apro bocca e… – Singhiozzava, e aggiunse ad alta voce: – Cosí adesso lo sapete tutte, sapete per certo che sono la piú grande cretina del mondo! È solo che quel bravo ragazzo, sembra cosí ingiusto… Chrissie, scusami.

– Senti, sul serio, lascia stare –. Ora la Madre, cercando di apparire piú convinta, si fece avanti e tenne la donna frullatore stretta in un breve abbraccio. La donna frullatore ricambiò subito, e continuò a piangere, con il mento sulla spalla della Madre.

Ci fu un silenzio impacciato, poi la donna dalla pelle nera disse con una voce allegra: – Beh, sembra che se la cavino là dentro. Per il momento non si direbbe che si stiano azzuffando.

Risero tutte forte, e poi la Madre disse con una voce nuova:

– Ehi, ma che ci facciamo ancora qui? Entriamo in cucina, vi prego. Melania ci ha preparato di nuovo quei dolci fantastici delle sue parti.

Una voce commentò in un presunto sussurro: – Secondo me siamo ancora qui per poter origliare!

La battuta scatenò un’altra bella risata e la Madre era tornata a sorridere.

– Avanti! – disse. – Se avranno bisogno di noi, lo verremo a sapere. Vi prego, accomodatevi.

Mentre le adulte si avviavano in cucina, udii meglio le voci che provenivano dall’Open Space, ma non riuscivo a distinguere le parole. Un’adulta mi passò accanto dicendo: – La nostra Jenny è uscita piuttosto sconvolta dall’ultimo incontro. Abbiamo impiegato l’intero weekend a spiegarle che aveva frainteso tutto.

– Klara. Sei ancora qui.

La Madre mi stava davanti.

– Sí.

– Come mai non sei là dentro? Con Josie.

– Ma… non mi ha portata.

– Su, va’. Ha bisogno di te. E poi gli altri ragazzi vorranno conoscerti.

– Sí, certo. Allora, con permesso.

Il Sole, notando la presenza di cosí tanti bambini in un solo posto, versava il suo nutrimento attraverso le grandi finestre dell’Open Space. Il suo intrico di divani, parallelepipedi morbidi, tavolini, piante in vaso, libri di fotografie, mi aveva richiesto molto tempo prima che riuscissi a conoscerlo, ma adesso era talmente trasformato da poter sembrare una stanza del tutto nuova. C’erano giovani persone ovunque e le loro borse, le giacche, gli oblunghi stavano sparpagliati a terra e su tutte le superfici. Per giunta, lo spazio del locale si era frazionato in ventiquattro riquadri – su due livelli – che si allineavano fino alla parete sul fondo. A causa di quel frazionamento mi era difficile avere una visione completa di quello che avevo dinanzi, ma a poco a poco cominciai a raccapezzarmi. Josie era vicina al centro della stanza e parlava con tre ospiti. Le loro teste quasi si sfioravano, e per il modo in cui stavano in piedi, la parte alta delle facce, occhi compresi, era finita in un riquadro del livello superiore, mentre le bocche e i menti stavano tutti pigiati in un riquadro piú basso. La maggior parte dei ragazzi era in piedi, e alcuni si muovevano tra riquadri diversi. In fondo, contro la parete, tre ragazzi sedevano su un divano componibile e malgrado fossero distanziati l’uno dall’altro, le loro teste erano finite in un unico riquadro, mentre la gamba distesa del ragazzo piú vicino alla finestra si estendeva non solo nel riquadro accanto, ma addirittura in quello successivo. Sui tre riquadri che contenevano i ragazzi seduti sul divano c’era un colore sgradevole – un giallo malsano – e la mia mente fu percorsa da un fremito d’ansia. Poi altre persone attraversarono il mio campo visivo e presi a interessarmi delle voci che mi circondavano, invece.

Malgrado al mio ingresso qualcuno avesse esclamato: «Oh, ecco la nuova AA, carina!», quasi tutte le voci che sentivo adesso stavano discutendo di Rick. Josie doveva essergli stata accanto fino a poco prima, ma poi la conversazione con le sue ospiti l’aveva fatta voltare dandogli le spalle, perciò adesso Rick era solo e non chiacchierava con nessuno.

– È un amico di Josie. Abita qui vicino, – diceva una ragazza dietro di me.

– Dovremmo essere carine, – disse un’altra. – Chissà come si sente a disagio, in mezzo a noi.

– Perché l’avrà invitato? Deve sentirsi cosí in imbarazzo.

– Che ne dite di offrirgli qualcosa? Per farlo star meglio.

La ragazza – che era magra e aveva braccia lunghissime – prese un piatto metallico pieno di cioccolatini e si avviò verso Rick. Anch’io avanzai nella stanza, e la sentii dirgli:

– Scusa. Ti va un bonbon?

Rick stava osservando Josie parlare con le tre ospiti, ma si voltò verso la ragazza dalle braccia lunghe.

– Avanti, – disse lei, sollevando il piatto. – Sono buoni.

– Grazie infinite –. Lui guardò dentro il piatto e scelse un cioccolatino avvolto in carta lucida verde.

Anche se nella stanza le voci non si erano interrotte, mi accorsi che all’improvviso tutti – compresa Josie e le sue ospiti – adesso osservavano Rick.

– Siamo cosí contente che tu sia venuto, – disse la ragazza dalle braccia lunghe. – Sei il vicino di Josie, giusto?

– Esatto. Abito nella casa accanto.

– La casa accanto. Questa è buona! Come ce ne fossero altre, oltre alla tua e a questa, per miglia e miglia!

Le tre ragazze con cui Josie stava parlando prima si unirono a quella dalle braccia lunghe, senza mai smettere di sorridere a Rick. Josie invece rimase dov’era, e osservava con aria preoccupata.

– Anche questo è vero –. Rick diede in una breve risata. – Ma la mia resta comunque la casa accanto.

– Indubbiamente! Scommetto che ti piace stare quassú. Deve essere un posto tranquillo.

– Tranquillo rende l’idea. È perfetto, finché a uno non viene voglia di andare al cinema.

Rick sperava che le sue ascoltatrici si sarebbero messe a ridere come avevano fatto le adulte per la storia della pizza a domicilio, era chiaro. Ma le quattro ragazze continuarono a fissarlo con espressioni gentili.

– Nel senso che tu i film non li guardi sul tuo SD? – domandò alla fine una di loro.

– Qualche volta sí. Ma mi piace anche andare in un cinema vero. Grande schermo, gelato. A me e a mia madre piace parecchio. Il problema è che è un viaggio eterno.

– Da noi c’è un cinema al fondo dell’isolato, – disse la ragazza dalle braccia lunghe. – Ma non ci andiamo quasi mai.

– Ehi! Gli piacciono i film!

– Missy, ti prego. Scusa, non devi far caso a mia sorella. E cosí, ti piacciono i film. Ti aiutano a rilassarti, eh?

– Scommetto che ti piacciono i film d’azione, – disse la ragazza che si chiamava Missy.

Rick la guardò. Poi sorrise e disse: – A volte non sono male. Ma io e la mamma preferiamo i vecchi film. Era tutto cosí diverso, allora. Se guardi quei film, vedi com’erano i ristoranti ai tempi. Come si vestiva la gente.

– Però l’azione ti piace, no? – disse la ragazza dalle braccia lunghe. – Inseguimenti d’auto, roba simile.

– Ehi, – disse un’altra ragazza dietro di me. – Dice che va al cinema con la mamma. Non è carino?

– La tua mamma non vuole che tu ci vada con i tuoi amici?

– Non è proprio cosí. È solo che… quella è una cosa che ci piace fare, a me e a mia madre.

– Sei andato a vedere Gold Standard?

– Figurati se a sua mamma piace una cosa del genere!

Adesso Josie venne a piazzarsi davanti a Rick.

– Dài, Rick –. C’era rabbia nella sua voce. – Avanti, racconta cosa ti piace vedere. È tutto lí quel che ti hanno chiesto. Che cosa ti piace guardare?

Ormai parecchi altri ospiti si erano radunati intorno a Rick, impedendomene in parte la vista. Ma in quel momento mi accorsi che in lui era cambiato qualcosa.

– Volete saperlo? – Parlava non tanto rivolto a Josie, ma a tutti gli altri. – Mi piacciono i film dove succedono cose orrende. Tipo insetti che escono dalla bocca delle persone, roba di questo genere.

– Davvero?

– Potrei solo sapere – domandò Rick – come mai tanta curiosità sul genere di film che mi piace di piú?

– Si chiama conversazione, – disse la ragazza dalle braccia lunghe.

– Perché non mangia il cioccolatino? – disse Missy. – Se lo tiene in mano e basta.

Rick si girò verso di lei, poi le porse il cioccolatino ancora incartato. – Ecco, tieni. Forse ne hai voglia tu.

Missy scoppiò a ridere, ma si fece indietro.

– Ascolta, – disse la ragazza dalle braccia lunghe. – Questa è una riunione tra amici, ok?

Rick lanciò una rapida occhiata a Josie che intanto lo fissava con gli occhi pieni di rabbia. L’attimo dopo, Rick era tornato a rivolgersi alle ospiti.

– Tra amici. Ma certo. Mi chiedo solo quanto vi farebbe piacere se vi dicessi che mi piacciono i film con gli scarafaggi.

– I film con gli scarafaggi? – disse qualcuno. – Cos’è, un genere speciale?

– Non prendetelo in giro, – disse la ragazza dalle braccia lunghe. – Su, cercate di essere carini. Non se la sta cavando male.

Una voce disse: – No, non male, – e alcuni ridacchiarono. Mentre Rick si girava rapido verso di loro, Josie allungò una mano e gli prese il cioccolatino.

– Ehi, ragazzi, – esclamò. – Voglio che tutti voi conosciate Klara. Ecco, lei è Klara!

Mi fece segno di avvicinarmi e gli occhi dei presenti si volsero tutti dalla mia parte. Anche Rick mi guardò, ma solo per un secondo, prima di allontanarsi verso un piccolo spazio libero accanto alla scrivania d’angolo. Nessuno pareva piú fare caso a lui, perché adesso guardavano tutti me. Perfino la ragazza dalle braccia lunghe aveva perso interesse in Rick e mi stava fissando.

– Beh, quella sí che è un’AA coi fiocchi, – disse. Fece un altro passo in direzione di Josie, chinandosi verso di lei in modo confidenziale, e pensai che stesse per fare qualche altro commento su di me, ma quello che disse fu:

– Lo vedi Danny laggiú? Era appena entrato qua dentro e si è messo a raccontare che la polizia lo aveva trattenuto. Non un saluto, niente. Quando gli abbiamo fatto notare che prima doveva salutare come si deve, ha continuato a non capire. E ha continuato a vantarsi della storia con la polizia.

– Wow –. Josie guardò i ragazzi seduti sul divano componibile. – Perché secondo lui c’è da vantarsi a essere un criminale?

La ragazza dalle braccia lunghe scoppiò a ridere, e Josie diventò parte di una sagoma che le cinque ragazze formavano insieme.

– Poi però suo fratello se l’è lasciato scappare. Troppa birra, tutto qui.

– Shhh. Ha capito che stiamo parlando di lui, – disse qualcuno.

– Tanto meglio. I poliziotti l’hanno trovato svenuto su una panchina e l’hanno portato a casa. E ora ci viene a raccontare che l’hanno arrestato o roba del genere.

– Neanche un saluto, niente.

– Ehi, Missy, non ho sentito neanche te salutare Josie poco fa. Perciò non sei meglio di Danny.

– Non è vero. Io Josie l’ho salutata.

– Josie? Hai sentito mia sorella salutarti?

Missy era visibilmente turbata. – Le ho detto ciao. Solo che Josie non mi ha sentita.

– Ehi, Josie! – Il ragazzo di nome Danny, quello sul divano con la gamba allungata sopra i cuscini, la stava chiamando dal fondo della stanza. – Ehi, Josie, quella è la tua nuova AA? Dille di venire qui.

– Va’, Klara, – disse Josie. – Va’ a salutare quei ragazzi.

Non mi mossi subito, in parte perché la voce di Josie mi aveva colto alla sprovvista. Somigliava a quella che le veniva qualche volta quando si rivolgeva a Domestica Melania, ed era diversa da qualsiasi voce che avesse mai usato con me.

– Che ha che non va? – Danny si era alzato dal divano. – Non risponde ai comandi?

Josie mi guardava con aria severa, perciò mi incamminai verso i ragazzi sul divano. Ma Danny, che era piú alto di tutti i presenti nella stanza, si fece strada veloce tra gli altri ospiti e, quando ancora ero a metà strada dal divano, mi afferrò per i gomiti impedendomi di muovermi liberamente. Mi squadrò dalla testa ai piedi, poi disse:

– Allora? Ti stai ambientando?

– Sí. Grazie.

Uno degli altri ragazzi gridò dal divano: – Ehi! Parla! Alleluia!

– Chiudi il becco, Scrub, – gli rispose Danny. Poi, rivolgendosi a me: – Allora, com’è che fai di nome?

– Si chiama Klara, – disse Josie alle mie spalle. – Danny, lasciala andare. Non le piace essere trattenuta in quel modo.

– Ehi, Danny, – tornò a gridare Scrub. – Buttacela qua.

– Se la vuoi vedere, – disse Danny, – alzati da quel divano e vieni tu.

– Buttacela qua. Vediamo come se la cava con la coordinazione.

– Non è la tua AA, Scrub –. Le mani di Danny mi stringevano ancora i gomiti. – Devi chiedere a Josie se si può fare una cosa del genere.

– Ehi, Josie, – strillò Scrub. – A te sta bene, no? La mia B3 puoi farla volare per aria quanto vuoi, tanto cade sempre in piedi. Dài, Danny. Lanciala qui sul divano. Mica si fa male.

– Che zotici, – disse sottovoce la ragazza dalle braccia lunghe facendo ridacchiare parecchie persone, compresa Josie.

– La mia B3 – proseguí Scrub – fa il salto mortale e atterra in piedi. Schiena perfettamente diritta. Vediamo che cosa sa fare questa, no?

– Tu non sei una B3, giusto? – domandò Danny.

Non risposi, ma Josie alle mie spalle disse: – No, ma è la migliore.

– Ah sí? Perciò sa fare quello che le dice Scrub.

– Io adesso ho un B3, – disse la voce di una ragazza. – Lo vedrete al prossimo incontro.

Poi un’altra voce domandò: – Come mai non hai preso un B3, Josie?

– Perché… mi piaceva questa –. Lo disse in tono esitante, ma subito la sua voce recuperò fermezza. – Tutto quello che sa fare un B3, lo sa fare anche Klara.

Qualcosa si mosse dietro di me, e poi la ragazza dalle braccia lunghe apparve accanto a Danny. La vicinanza con lei sembrava eccitarlo e mettergli paura, e Danny mi lasciò andare i gomiti. Ora però la ragazza dalle braccia lunghe mi afferrò per il polso sinistro, anche se molto piú dolcemente di Danny.

– Ciao, Klara, – disse osservandomi ancora una volta con attenzione. – Allora. Vediamo. Klara, per cortesia, puoi cantarmi la scala minore armonica?

Non sapevo che cosa Josie volesse da me, perciò aspettai di sentirla parlare. Ma Josie non disse nulla.

– Oh! Non sai cantare?

– Avanti, – esclamò il ragazzo chiamato Scrub. – Buttala qua. Se non riesce a coordinarsi, la prendo al volo.

– Non dice un granché –. La ragazza dalle braccia lunghe si avvicinò per guardarmi negli occhi. – Magari è a corto di solare.

– Non ha nessun problema –. Josie lo disse talmente piano che forse l’unica a sentirla fui io.

– Klara, – disse la ragazza dalle braccia lunghe. – Fammi un saluto.

Rimasi in silenzio, sempre aspettando che Josie parlasse.

– No? Niente?

– Ehi, Josie, – disse una voce dietro di me. – Ma un B3 potevi prendertelo se volevi, no? Come mai non l’hai preso?

Josie disse, ridendo: – Comincio a pensare che avrei dovuto.

Questo scatenò altre risate, poi una voce nuova disse: – I B3 sono strepitosi.

– Eddai, Klara, – disse la ragazza dalle braccia lunghe. – Almeno un salutino.

A quel punto mi ero stampata in faccia un’espressione gradevole e puntavo lo sguardo al di là di lei, proprio come Direttrice ci aveva addestrati a fare in negozio in situazioni analoghe.

– Un’AA che si rifiuta di salutare. Josie, puoi dire tu a Klara di dirci qualcosa?

– Lanciala quaggiú. La riporterà in vita.

– Klara ha una grande memoria, – disse Josie alle mie spalle. – Non ha niente da invidiare a nessun altro AA.

– Ma pensa, – disse la ragazza dalle braccia lunghe.

– E non è solo memoria. Lei nota cose che nessun altro nota e le custodisce.

– Ok –. La ragazza dalle braccia lunghe continuava a tenermi per il polso. – Ok. Klara, senti che cosa facciamo. Senza girarti a guardare. Dimmi che cosa ha addosso mia sorella.

Io fissavo ancora i mattoni sulla parete al di là della ragazza dalle braccia lunghe.

– Sembra bloccata. Ma carina è carina, lo ammetto.

– Ripetile la domanda, – disse Josie. – Dài, Marsha. Ripeti.

– Ok. Coraggio, Klara, puoi farcela. Dimmi che cosa ha addosso Missy.

– Mi dispiace, – risposi, senza spostare lo sguardo.

– Ti dispiace? – E la ragazza dalle braccia lunghe disse a tutta la stanza: – In che senso? – e la gente rise. Poi, fulminandomi con gli occhi, mi domandò: – In che senso, Klara? In che senso, ti dispiace?

– Mi dispiace di non poterti essere utile.

– Non può essermi utile –. Lo sguardo della ragazza dalle braccia lunghe si addolcí e finalmente mi lasciò il polso. – Ok, Klara. Puoi girarti a dare un’occhiata. Guarda che cosa ha addosso Missy.

Malgrado potesse apparire scortese non mi voltai. Perché se l’avessi fatto, avrei visto non solo Missy – della quale naturalmente sapevo che cosa aveva addosso fino al cinturino viola da polso e al piccolo ciondolo a forma di orsetto – ma anche Josie, e a quel punto saremmo state costrette a guardarci negli occhi.

– Ci rinuncio, – disse la ragazza dalle braccia lunghe.

– Ok, – disse Danny. – Allora passiamo alla prova proposta da Scrub. Cosí, per fargli piacere. Phil, vieni qui e aiutami a dondolarla. Scrub, tu resta dove sei, e preparati a prenderla al volo. Niente in contrario, Josie?

Alle mie spalle, Josie rimase in silenzio, ma la voce di una ragazza disse: – Lanciarsi un AA da un lato all’altro della stanza. Che cosa orribile.

– Che c’è di tanto orribile? Sono progettati per cavarsela.

– Non è questo il punto, – disse la voce della ragazza. – È una cosa cattiva.

– Sei troppo tenera, – disse Danny. – Phil, prendila per le braccia. Io prendo le gambe.

– Che cos’hai lí, nel taschino? – Era stato Rick a parlare e nella stanza calò il silenzio.

– Come hai detto, amico?

Rick si spostò in mezzo agli ospiti, fermandosi poco lontano da me, sulla destra. Non mostrava alcuna paura mentre indicava il taschino sul petto della camicia di Danny. Avevo già notato quell’oggetto: un cane di peluche abbastanza piccolo da stare dentro al taschino. Avevo visto bambini di sette o otto anni con quel tipo di giocattolo in tasca, quando venivano al negozio.

Mentre ciascuno cambiava posizione per vedere che cosa stesse indicando Rick, Danny alzò le mani e le portò sul taschino.

– Un animaletto, direi, – disse Rick.

– Non è un animaletto, – disse Danny.

– Secondo me è il tuo animaletto. Ti fa sentire piú tranquillo agli incontri come questo.

– Che stronzate sono queste? Chi ti ha chiesto niente?

– Se davvero non è niente di speciale, non ti dispiacerà farmelo vedere –. Rick gli tese la mano. – Non aver paura. Te lo tratto benissimo.

– Speciale o no, non sono comunque affari tuoi.

– Eddai, prestamelo un attimo. Soltanto un minuto.

– Non è niente, ma di certo non lo consegno a uno come te.

– No? Nemmeno una sbirciatina?

– Non ti presterei mai niente. Perché poi? Tu non dovresti neppure essere qui.

Rick aveva ancora la mano tesa, e la stanza rimase in silenzio.

– Non sarà per caso che sei un po’ troppo tenero pure tu, Danny? – disse Rick. – Almeno quando ci sono di mezzo certe cosucce carine da tenere in tasca.

– Adesso basta! Lascia in pace Danny!

La voce era di un’adulta, e i giovani intorno a me si fecero indietro, mentre la donna entrava a grandi passi nella stanza. – E comunque, Danny ha ragione, – disse. – Tu non dovresti proprio essere qui.

Poi arrivò di corsa la Madre e vidi altre adulte guardare nell’Open Space dalla porta aperta.

– Per favore, Sara, – disse la Madre. – Noi non ci immischiamo, ricordi?

La Madre cinse con un braccio la donna Sara che intanto continuava a fulminare Rick con lo sguardo.

– Per favore, Sara, rispetta le regole. I ragazzi devono vedersela da soli.

Sara sembrava ancora arrabbiata, ma si lasciò condurre via dalla stanza nell’ingresso mormorante di voci adulte. Una di queste disse: – È l’unico modo perché imparino –. Dopodiché le voci adulte si allontanarono e nell’Open Space ci fu di nuovo silenzio.

Danny era forse piú imbarazzato per l’intervento della sua adulta che per l’animaletto. Continuò a tenere le mani sul taschino mentre tornava al divano dando le spalle adesso un po’ curve a tutta la stanza.

– Ok, – esclamò giuliva la ragazza dalle braccia lunghe. – Che ne dite se usciamo un po’? Si è messo a fare bello. Guardate!

Un coro di voci approvò e, fra le altre, udii quella di Josie che diceva: – Ottima idea! Andiamo!

I ragazzi uscirono in fila indiana, capeggiati da Josie e dalla ragazza dalle braccia lunghe. Danny e Scrub se ne andarono insieme agli altri, e nell’Open Space restammo soltanto Rick e io.

Rick si girò a guardare le giacche buttate a terra, i cuscini del divano fuori posto, i piatti, le lattine di bibite, i sacchetti di patatine, le riviste, ma verso di me non si voltò. Mi chiesi se ora qualcuna delle adulte sarebbe venuta a riordinare il caos lasciato dai ragazzi, ma non si presentò nessuno e il brusio delle voci continuò ad arrivare dalla cucina.

– Hai sfidato quel ragazzo, per fare un piacere a me, credo, – dissi alla fine. – Grazie.

Rick si strinse nelle spalle. – Stava diventando molto seccante. Non solo lui, in realtà –. E aggiunse, sempre senza guardare dalla mia parte: – Credo che non sia stato uno spasso nemmeno per te.

– Era diventato spiacevole per me e ho provato gratitudine per il soccorso di Rick. Ma è stato anche molto interessante.

– Interessante?

– Per me è essenziale osservare Josie in tante situazioni. Ed è stato molto interessante, ad esempio, osservare le diverse sagome formate dai ragazzi mentre passavano da un gruppo all’altro –. Dal momento che lui non ribatteva e continuava a guardare dall’altra parte, dissi: – Forse ora Rick desidera uscire con gli altri. E fare la pace.

Scosse la testa. Poi si spostò nel disegno del Sole – notai che l’Open Space non era piú frammentato, adesso – e sedette sul divano componibile allungando le gambe sulle assi del pavimento.

– Su una cosa, però, credo abbiano ragione, – disse. – Non dovrei essere qui. Questo è un incontro per ragazzi potenziati.

– Rick è venuto perché Josie lo voleva tanto.

– Ha insistito che dovevo venire. Ma adesso deve essere troppo occupata per tornare a vedere quanto mi sto divertendo alla sua festa –. Si appoggiò indietro fino ad avere il disegno del Sole in faccia, cosa che lo costrinse a chiudere gli occhi. – Il guaio – proseguí – è che lei non rimane la stessa. Avevo pensato – stupidamente, in realtà – che se fossi venuto oggi forse avrebbe potuto non… cambiare. Restare la Josie di sempre.

Quando Rick disse questo, io rividi le mani di Josie in vari momenti dell’incontro di interazione – mani che accoglievano, mani che offrivano, mani che si irrigidivano – e poi la sua faccia, e la voce quando qualcuno le aveva chiesto come mai non avesse scelto un B3 e lei, ridendo, aveva risposto: «Comincio a pensare che avrei dovuto». E mi tornarono in mente le parole di Direttrice, il suo avvertimento a proposito dei bambini che facevano promesse davanti alla vetrina, ma poi non tornavano mai o, peggio ancora, tornavano e sceglievano un altro AA. Ripensai all’AA maschio che avevo visto, attraverso lo spazio in mezzo ai due taxi lenti, camminare scoraggiato lungo il Palazzo RPO tre passi dietro la sua adolescente, e mi chiesi se Josie e io avremmo mai camminato in quel modo.

– Forse adesso capisci, – disse Rick, aprendo gli occhi nonostante il disegno del Sole. – Capisci quanto sia necessario che io salvi Josie da quella masnada.

– Capisco che Rick ha paura che Josie possa diventare come gli altri. Ma anche se poco fa si è comportata in modo strano, io credo che Josie sia buona in fondo. Come gli altri bambini. Hanno modi un po’ rudi, ma magari non sono cosí cattivi. Hanno paura della solitudine, per questo si comportano in quel modo. Forse anche Josie.

– Se Josie li frequenterà ancora a lungo, presto non sarà piú Josie per niente. Una parte di lei lo sa bene, ecco perché continua a parlare del nostro progetto. Se l’era scordato da secoli, e adesso non fa che parlarne.

– Ho sentito Josie accennare al progetto l’altro giorno. Si tratta di un progetto in cui Rick e Josie trascorreranno il futuro insieme?

Rick guardò al di là di me verso la finestra dell’Open Space e mi parve che la sua ostilità nei miei riguardi fosse tornata. Poi però disse:

– È una cosa che risale a quando eravamo piccoli. Prima di capire come stavano le cose. Di sapere che avremmo incontrato un mucchio di ostacoli. Ma Josie continua a crederci, nonostante tutto.

– E Rick, crede ancora nel progetto anche Rick?

Mi guardò dritto in faccia ora. – Come ho già detto. Senza il progetto, finirà per diventare una di loro. Sarà meglio che vada –. Si alzò all’improvviso. – Prima che tornino quei ragazzi. O quella madre fuori di testa.

– Spero che potremo presto parlare ancora di queste cose. Sono convinta che per tanti versi Rick e io abbiamo obiettivi simili.

– Ascolta, sai l’altro giorno? Quando ho detto che non volevo che Josie avesse un AA. Niente di personale. Solo che… insomma, mi pareva l’ennesimo impedimento tra noi due.

– Spero di no. Anzi, adesso che capisco di piú, vorrei fare del mio meglio per agevolare il progetto di Rick e Josie. Potrei forse aiutare a rimuovere quegli ostacoli di cui parli.

– Sarà meglio che vada. A vedere se mia madre sta bene.

– Ma certo.

Mi superò e lasciò l’Open Space. Feci qualche passo avanti per poterlo guardare mentre usciva nella luce chiara del Sole.

Come dissi quel giorno a Rick, l’incontro di interazione aveva offerto nuove preziose occasioni di osservare. Prima di tutto, avevo scoperto la capacità di Josie di «cambiare» – per dirla con le parole di Rick – e da quel momento la tenni d’occhio per cogliere possibili segnali che lo stesse facendo. Mi chiesi anche quanto avrebbe davvero preferito aver scelto un B3. Quel commento era da intendersi probabilmente come una battuta di spirito, pronunciata per scongiurare la minaccia di contrasti durante l’incontro. In ogni caso, era vero che i B3 avevano abilità superiori alle mie, e non potevo escludere che prima o poi Josie potesse considerare sul serio l’ipotesi di preferirne uno.

Nei giorni successivi all’incontro, mi assillava anche il pensiero di come Josie potesse giudicare la mia mancata risposta alle domande della ragazza dalle braccia lunghe. Nella situazione che si era venuta a creare – e in assenza di segnali chiari da parte di Josie – avevo scelto l’atteggiamento che mi era parso migliore. Ma ora temevo che Josie potesse essere arrabbiata con me, dopo averci pensato su.

Per tutte queste ragioni mi preoccupavo che l’incontro di interazione gettasse qualche ombra sulla nostra amicizia. Col passare dei giorni, però, Josie restava allegra e gentile con me come sempre. Aspettavo che da un momento all’altro tornasse sugli avvenimenti dell’incontro, ma non lo fece mai.

Come ho detto, furono tutte lezioni importanti per me. Non solo avevo imparato che i «cambiamenti» facevano parte di Josie e che dovevo essere preparata ad accettarli, ma avevo anche cominciato a capire che quel tratto non riguardava Josie soltanto; che la gente sentiva il bisogno di predisporre un aspetto di sé da mostrare ai passanti – come avrebbe fatto nella vetrina di un negozio – e che non era il caso di prendere troppo sul serio quel lato esibito, una volta passato il momento.

Fui contenta allora che tra noi non fosse cambiato nulla in seguito all’incontro. Tuttavia, non molto tempo dopo, accadde qualcosa che per un certo periodo intiepidí in effetti la nostra amicizia. Parlo della gita alle Morgan’s Falls, il cui pensiero mi turbò a lungo perché per molto tempo non riuscii a capire come avesse potuto scatenare tutta quella freddezza tra noi, o come avrei potuto evitare che succedesse.

Un mattino presto, tre settimane dopo l’incontro di interazione, lanciai un’occhiata a Josie e mi accorsi subito, dalla sua posizione e dal modo in cui respirava, che non stava dormendo come sempre. Azionai il pulsante dell’allarme e la Madre arrivò immediatamente. Telefonò al dottor Ryan e poi sentii Domestica Melania richiamarlo poco dopo per dirgli di fare in fretta. Quando arrivò, sottopose Josie a una visita accurata e disse che non c’era motivo di preoccuparsi. La Madre era sollevata e appena il dottore fu uscito, tornò attiva. Sedette sul bordo del letto di Josie e le disse: – Non devi piú prendere quella bevanda energetica. L’ho sempre detto che ti fa male.

Senza sollevare la testa dal cuscino, Josie disse: – Lo sapevo che non avevo niente. Mi sono stancata troppo, tutto qui. Non era il caso che ti preoccupassi per me. E adesso farai anche tardi al lavoro.

– Preoccuparmi per te, Josie, è il mio lavoro –. Poi aggiunse: – E anche quello di Klara. Ha fatto bene a lanciare l’allarme.

– Ho solo bisogno di dormire un po’ di piú. Poi prometto che starò bene, mamma.

– Ascolta, tesoro –. La Madre si chinò su Josie fino a parlarle direttamente all’orecchio. – Ascolta. Devi riprenderti, devi farlo per me. Mi hai sentita?

– Sí, mamma, ho sentito.

– Bene. Non ero sicura che mi ascoltassi.

– Ascoltavo, mamma. Tengo solo gli occhi chiusi, tutto qui.

– Ok. Allora, facciamo un patto. Se guarisci entro sabato andiamo alle Morgan’s Falls. Ti piace sempre quel posto, giusto?

– Sí, mamma. Tantissimo.

– Bene. Il patto è questo. Domenica, Morgan’s Falls. A condizione che tu stia bene.

Ci fu un lungo silenzio, poi sentii Josie che diceva, come se parlasse dentro il cuscino:

– Mamma, se guarisco, possiamo portare Klara con noi? E farle vedere le Morgan’s Falls. È stata fuori una volta in tutto. E solo qua intorno.

– Certo che può venire anche Klara. Ma devi star bene, o non se ne fa niente. Intesi, Josie?

– Intesi, mamma. Adesso devo dormire ancora un po’.

Si svegliò poco prima di pranzo, e stavo per andare a dirlo a Domestica Melania come mi era stato ordinato di fare, ma Josie mi disse con voce stanca:

– Klara? Sei stata qui tutto il tempo, mentre dormivo?

– Certo.

– Hai sentito che cosa ha detto la mamma a proposito della gita alle Morgan’s Falls?

– Sí. E spero tanto che potremo andare. Ma tua madre ha detto, solo se tu starai abbastanza bene.

– Starò benone. Volendo, potrei andarci anche oggi pomeriggio. Sono solo stanca, tutto qui.

– Che posto è questo Morgan’s Falls, Josie?

– È bellissimo, ecco cos’è. Lo troverai strabiliante. Dopo ti faccio vedere delle foto.

Josie rimase stanca per quasi tutto il giorno. Ma nel tardo pomeriggio, quando tirai su gli avvolgibili della camera da letto per lasciare che il disegno del Sole le cadesse addosso, la vidi farsi decisamente piú forte. Domestica Melania venne a vedere come stava e disse che Josie poteva alzarsi a patto che promettesse di starsene tranquilla per il resto della giornata. Ecco perché ci trovavamo ancora in camera sua quando venne sera e Josie estrasse una scatola di cartone da sotto il letto.

– Ti faccio vedere, – disse, rovesciando la scatola. Un mucchio di foto di varie dimensioni si sparpagliò sul tappeto, certe a faccia in su, altre capovolte. Capii che si trattava di immagini care del suo passato che Josie teneva vicino al letto per potersi rallegrare guardandole ogni volta che ne aveva voglia. Molte immagini erano sovrapposte, ma vidi comunque che perlopiú erano foto di Josie da piccola. Certe la mostravano con la Madre, altre con Domestica Melania, altre ancora con persone che non conoscevo. Josie continuava a sparpagliarle sul tappeto, poi ne tirò su una e sorrise.

– Morgan’s Falls, – disse. – È qui che andremo domenica. Che te ne pare?

Mi passò la foto – ero in ginocchio accanto al letto – e vidi una Josie piú piccola seduta fuori, a un tavolo fatto di assi di legno grezzo. Anche la panca era di legno grezzo, e accanto a lei era seduta la Madre, meno magra e con i capelli tagliati piú corti di adesso. Fui colpita dalla terza figura accanto al tavolo, una bambina che stimai sugli undici anni, con addosso un giacchino corto di cotone leggero. Dato che la bambina sconosciuta sedeva di spalle al fotografo, non le vedevo la faccia. I disegni del Sole si vedevano bene su tutte e tre, perché coprivano la superficie del tavolo. Dietro Josie e la Madre c’era un disegno sfocato di bianco e di nero. Lo osservai attentamente, poi dissi:

– Questa è una cascata.

– Esatto. Hai mai visto una cascata, Klara?

– Sí. Su una rivista al negozio. E guarda un po’! Stai mangiando proprio davanti alla cascata.

– Si può fare alle Morgan’s Falls. Puoi pranzare con tutti gli spruzzi che ti piovono addosso. Tu continui a mangiare e a un certo punto ti accorgi che hai la camicia bagnata fradicia sulla schiena.

– Non può farti bene, Josie.

– No, quando fa caldo, va bene. Però hai ragione. Se la giornata è freddina, bisogna sedersi piú lontano. Ma c’è un mucchio di posto, comunque, perché non tanta gente conosce le Morgan’s Falls –. Allungò una mano e le restituii la sua foto. La guardò un’altra volta e disse: – Può darsi che siamo soltanto la mamma e io a trovarlo un posto speciale. Magari è per questo che non è mai affollato. Ma passiamo sempre delle giornate bellissime lí.

– Spero proprio che tu sia tornata in forze per questo weekend.

– La domenica è sempre il giorno migliore per le Morgan’s Falls. C’è una bella atmosfera, di domenica. È come se le cascate sapessero che è il Giorno di Riposo.

– Josie. Chi è la tua compagna in quella foto? La bambina insieme a te e tua madre?

– Oh… – Josie si fece seria, poi disse: – Quella è Sal. Mia sorella.

Lasciò cadere la foto in cima alle altre e si mise a passarci le mani sopra, spostandole sul tappeto. Vidi immagini di bambini – nei prati, nei parchi giochi, all’esterno di vari edifici.

– Sí, mia sorella, – disse di nuovo, dopo una lunga pausa.

– E dov’è Sal adesso?

– Sal è morta.

– Che cosa triste.

Josie si strinse nelle spalle. – Non me la ricordo bene. Ero piccola quando è successo. Non è che mi manchi o niente.

– Che tristezza. Sai com’è successo?

– Si è ammalata. Non della stessa malattia che ho io. Una cosa molto piú grave, e perciò è morta.

Mi sembrava che Josie stesse cercando un’altra foto di sua sorella, ma all’improvviso le radunò tutte quante e le rimise dentro la scatola di cartone.

– Ti piacerà da morire lassú, Klara. Sei stata fuori una volta sola, tu, e pensa un po’, ora ti ritroverai lassú.

Josie diventava ogni giorno piú forte, sicché con l’avvicinarsi del weekend non pareva ci fossero ragioni per supporre che non saremmo riuscite ad andare alle cascate. Il venerdí sera la Madre arrivò a casa tardi – ben dopo la cena di Josie – e mi chiamò in cucina. A quell’ora Josie era già salita in camera e la cucina era al quasi-buio, illuminata soltanto dalla luce nell’ingresso. Ma la Madre sembrava contenta di stare davanti alle ampie finestre, a fissare la notte bevendo il suo vino. Mi fermai accanto al frigorifero, dove potevo sentirne il ronzio.

– Klara, – disse dopo un momento. – Josie dice che ti piacerebbe venire con noi domenica. Alle Morgan’s Falls.

– Se non disturbo, mi piacerebbe molto venire. Credo che anche a Josie farebbe piacere.

– Certamente. Josie si è molto affezionata a te. E anch’io, se posso dire.

– Grazie.

– A essere sincera, in principio non ero tanto sicura che mi sarebbe piaciuto. Averti in giro per casa tutto il giorno. Ma Josie è tanto piú tranquilla, e cosí tanto piú allegra, da quando sei arrivata.

– Sono proprio contenta.

– Stai andando benissimo, Klara. Voglio che tu lo sappia.

– Grazie infinite.

– Ti piacerà su alle Morgan’s Falls. Parecchi bambini si portano i loro AA. Comunque, va da sé che dovrai stare attenta, per te e per Josie. Il terreno è del tutto imprevedibile. E a volte Josie si agita troppo, in posti come quello.

– Capisco. Sarò prudente.

– Klara, sei felice qui?

– Sí, certo.

– Strana domanda da fare a un AA. Non so nemmeno se ha senso. Ti manca il negozio?

Bevve un altro sorso di vino e si avvicinò cosí che potevo vederle un lato del viso illuminato dalla luce dell’ingresso, anche se l’altro lato, compreso quasi tutto il naso, rimaneva nell’ombra. L’unico occhio visibile sembrava stanco.

– Mi capita a volte di pensare al negozio, – dissi. – Alla vista dalla vetrina. Agli altri AA. Ma non succede spesso. Sono molto contenta di essere qui.

La Madre mi guardò un momento. Poi disse: – Deve essere bellissimo. Non sentire la mancanza di niente. Non avere nostalgia delle cose. Non guardarsi mai indietro. Deve essere tutto piú… – Si interruppe, poi disse: – D’accordo, Klara. Allora, vieni con noi domenica. Ma ricordati quello che ho detto. Non vogliamo incidenti lassú.

Dovevano esserci stati segnali sin dall’inizio perché, anche se quello che accadde la domenica mi fece sentire tristezza dopo e mi ricordò quanto dovessi ancora imparare, non posso dire che mi sorprese.

Già il venerdí, Josie era certa che sarebbe stata abbastanza bene per la nostra escursione e passò molto tempo a provarsi vestiti e a studiarsi allo specchio lungo del guardaroba. Di quando in quando mi chiedeva cosa ne pensavo, e io le sorridevo cercando di essere il piú incoraggiante possibile. Ma anche allora devo essere stata consapevole dei segnali, perché quando le facevo dei complimenti, cercavo sempre di trattenere qualcosa.

Già sapevo che, di domenica, l’atmosfera a colazione poteva diventare tesa. Le altre mattine, anche quando la Madre si fermava dopo il suo caffè veloce, c’era comunque la sensazione che qualsiasi discorso poteva essere l’ultimo fino alla sera e, se questo talvolta rendeva Josie e la Madre inclini a parlarsi con durezza, la colazione non si caricava comunque mai di segnali. La domenica invece la Madre non doveva andare da nessuna parte, e si aveva l’impressione che ogni sua domanda potesse sfociare in una conversazione scomoda. Quando ancora ero nuova nella casa, credevo che ci fossero argomenti particolarmente pericolosi per Josie e che se solo si fosse potuto impedire alla Madre di inforcare la strada verso quegli argomenti, le colazioni della domenica si sarebbero mantenute serene. Ma in seguito a ulteriori osservazioni, mi accorsi che se anche gli argomenti pericolosi venivano evitati – i compiti assegnati a Josie, o il suo punteggio in materia di interazione sociale – la sensazione di disagio poteva verificarsi lo stesso, perché aveva a che fare con qualcosa che accadeva a prescindere; che insomma gli argomenti pericolosi erano di per sé strategie adottate dalla Madre per suscitare determinate emozioni nella mente di Josie.

Ecco perché fui colta dalla preoccupazione la domenica della gita alle Morgan’s Falls, quando la Madre domandò a Josie come mai le piacesse tanto fare un gioco particolare sull’oblungo, quello nel quale i personaggi morivano di continuo in incidenti stradali. Da principio Josie aveva risposto tutta allegra: – È solo che il gioco è impostato cosí, mamma. Fai salire sempre piú gente sul super autobus, ma se non calcoli bene il percorso, puoi perderti tutti i migliori in un solo incidente.

– Ma perché devi fare un gioco del genere, Josie? Un gioco nel quale succedono cose tanto orribili?

Per un po’ Josie rispose pazientemente alla Madre, ma ben presto il sorriso si spense nella sua voce. Alla fine non faceva che ripetere che era solo un gioco che trovava divertente, mentre la Madre non smetteva di farle altre domande e pareva sempre piú arrabbiata.

Poi, all’improvviso, la rabbia della Madre svaní. Non era tornata allegra, ma guardò Josie con dolcezza e il sorriso gentile le trasformò completamente la faccia.

– Scusa, tesoro. Non dovevo affrontare l’argomento proprio oggi. Sono davvero ingiusta.

Scese dallo sgabello, si avvicinò a quello su cui sedeva Josie e la strinse in un abbraccio che sembrava non finire mai, al punto che fu costretta a fingere di cullarla per mascherarne la durata. Da quel che vedevo, Josie non era affatto disturbata dalla lunghezza dell’abbraccio, e quando si separarono – io non distolsi lo sguardo dal frigorifero finché non fui certa che avessero finito – lo strappo tra loro era stato ricucito.

Dunque, la colazione che avevo temuto potesse presentare un ultimo ostacolo alla nostra gita alle Morgan’s Falls si concluse in armonia e la mia mente si riempí di entusiasmo. Solo negli ultimi istanti, dopo che la Madre e Domestica Melania erano già andate alla macchina, vidi Josie che, infilando le braccia nelle maniche della giacca imbottita, si fermava per concedersi un moto di stanchezza. Poi finí di mettersi la giacca e, notando la mia presenza in fondo all’ingresso, fece un bel sorriso. Udimmo l’auto di fuori e le ruote spostarsi sulle pietre sconnesse. Domestica Melania rientrò in casa con le chiavi in mano e ci fece segno di uscire. Adesso che me n’ero accorta, però, fui in grado di notare un altro minuscolo segnale, qualcosa nel passo precipitoso di Josie, quando uscí precedendomi sulle pietre sconnesse.

La Madre stava al volante a osservarci dal parabrezza e mi invase un timore improvviso. Ma Josie non dava altri segni – riuscí addirittura a esibirsi in un piccolo salto di gioia mentre avanzava sulle pietre sconnesse – e si aprí da sola la porta del passeggero.

Non ero mai stata dentro un’automobile, ma Rosa e io avevamo osservato cosí tanta gente salire e scendere da veicoli vari, manovre e posture, il modo in cui si accomodavano quando l’auto partiva, che niente mi colse di sorpresa mentre calcolavo il percorso verso il sedile posteriore. L’imbottitura era piú morbida di quanto mi aspettassi e il sedile anteriore, quello su cui adesso sedeva Josie, era talmente vicino che faticavo a vedere davanti, ma non volli far perdere tempo. Non ebbi occasione di fare commenti precisi sugli interni dell’auto, perché mi accorsi subito che l’atmosfera sgradevole si era ripresentata. Davanti, Josie era silenziosa e guardava dalla parte opposta alla Madre, verso la casa e verso Domestica Melania che intanto arrivava sulle pietre sconnesse con la sacca informe contenente, tra il resto, anche le medicine per Josie in caso di emergenza. La Madre teneva le mani sul volante come se fosse pronta a partire, e girava la testa dalla stessa parte di Josie, ma ero certa che non stava guardando Domestica Melania, e nemmeno la casa, bensí Josie stessa. Gli occhi della Madre si erano dilatati e sul suo viso magrissimo e ossuto sembravano ancora piú grandi. Domestica Melania mise la sacca informe nel bagagliaio e lo chiuse con un gran colpo. Poi aprí la portiera posteriore dal suo lato e venne a sedersi accanto a me. Mi disse:

– AA. Allaccia cintura. O ti fai male.

Stavo cercando di capire il funzionamento della cintura, avendo visto tantissimi passeggeri indossarla, quando la Madre disse:

– Tu credi di potermi prendere in giro, vero, bambina?

Ci fu un momento di silenzio, poi Josie domandò: – Che stai dicendo, mamma?

– Non puoi fare finta. Stai male di nuovo.

– Non sto male, mamma. Sono a posto.

– Josie, perché mi fai questo? Ogni volta. Perché deve essere sempre la stessa storia?

– Non so di che cosa parli, mamma.

– Credi che io non abbia voglia di questa gita? Il mio unico giorno libero insieme a mia figlia. Una figlia che si dà il caso io adori, e che mi racconta che sta bene quando in realtà non è vero?

– Non è cosí, mamma, sto bene davvero.

Ma sentivo che era cambiato qualcosa nella voce di Josie. Come se lo sforzo che aveva sostenuto fino a quel momento l’avesse sfinita e all’improvviso non ce la facesse piú.

– Perché fingi, Josie? Credi che non mi faccia soffrire?

– Mamma, te lo giuro, sto bene. Ti prego, portaci. Klara non ha mai visto una cascata e ci tiene tanto.

– Klara ci tiene tanto?

– Ti prego, mamma.

– Melania, – disse la Madre, – Josie ha bisogno di aiuto. Scendi dall’auto. Per favore, fai il giro e aiutala. Potrebbe cadere se prova a scendere da sola.

Ci fu un attimo di silenzio.

– Melania? Che succede là dietro? Stai male anche tu?

– Può darsi Miss Josie ce la fa.

– Come, come?

– Io l’aiuta. Anche AA. Miss Josie ce la fa. Può darsi.

– Voglio essere chiara. Lo stabilisci tu adesso? Se mia figlia si sente abbastanza bene da poter stare fuori per la giornata? Alle cascate? Mi preoccupi, Melania.

Domestica Melania tacque, ma continuava a non muoversi.

– Melania? Devo intendere che ti rifiuti di venire ad aiutare Josie a scendere dalla macchina?

Domestica Melania guardava la strada attraverso i sedili anteriori. Aveva un’espressione sconcertata, come se ci fosse qualcosa di non facile da identificare in cima alla salita. Poi, di scatto, aprí la portiera e uscí.

– Mamma, – disse Josie. – Ti prego, possiamo andare? Ti prego, non fare cosí.

– Credi che mi faccia piacere? Tutto questo? D’accordo, non stai bene. Non è colpa tua. Ma non dirlo a nessuno. Tenertelo per te, cosí tutte quante montiamo in macchina, e abbiamo la giornata intera davanti a noi. Questo non è bello, Josie.

– Non è bello che tu dica a me che sto male, quando posso benissimo…

Domestica Melania aprí la portiera di Josie dall’esterno. Josie tacque, e la sua faccia piena di tristezza si sporse oltre il bordo del sedile verso di me.

– Mi dispiace, Klara. Ci andremo un’altra volta. Te lo prometto. Mi dispiace tanto.

– Non fa niente, – dissi. – Dobbiamo fare come è meglio per Josie.

Stavo per scendere anch’io, ma la Madre disse:

– Aspetta un attimo, Klara. Come dice Josie. Tu ci tenevi tanto. Beh, allora perché non rimani dove sei?

– Mi dispiace. Non capisco.

– Beh, è semplice. Josie sta troppo male per andare. Avrebbe potuto dircelo prima, ma ha deciso di non farlo. D’accordo, quindi se ne starà a casa. Insieme a Melania. Ma non c’è motivo, Klara, per cui tu e io non possiamo andare.

Non riuscivo a vedere la faccia della Madre perché gli schienali dei sedili erano alti. Ma quella di Josie stava ancora sbirciando verso di me dal suo posto. Aveva negli occhi uno sguardo spento adesso, come se non le importasse piú quel che vedeva.

– D’accordo, Melania, – disse la Madre alzando la voce. – Aiuta Josie a scendere. Sta’ attenta. Ricordati che non sta bene.

– Klara? – disse Josie. – Davvero pensi di andare alle cascate con lei?

– L’idea della Madre è molto gentile, – dissi. – Ma forse è meglio se per questa volta…

– Aspetta un momento, Klara, – si intromise la Madre. Poi disse: – Che storia è questa, Josie? Prima ti preoccupi per lei, che non ha mai visto una cascata. E l’attimo dopo cerchi di farla rimanere a casa?

Josie continuava a guardarmi, e Domestica Melania era ancora ferma accanto alla macchina con una mano tesa per offrire aiuto a Josie. Alla fine Josie disse:

– Ok. Forse dovresti andare, Klara. Tu e la mamma. Che senso ha rovinare la giornata a tutti soltanto perché… Scusami. Scusa se sono sempre malata. Non so come mai… – Pensai che a quel punto sarebbero arrivate le lacrime, ma le trattenne, e aggiunse sottovoce: – Scusa, mamma. Mi spiace davvero. Sono proprio una guastafeste, eh? Klara, tu vai. Ti piaceranno tantissimo le cascate –. E la sua faccia scomparve dal bordo del sedile.

Per un istante non seppi che cosa fare. Sia la Madre che Josie concordavano ormai sul fatto che io dovessi restare in macchina e fare la gita. E capivo bene che, se lo avessi fatto, ci avrei molto probabilmente guadagnato conoscenze fondamentali sulla situazione di Josie che mi avrebbero permesso di aiutarla al meglio. Eppure la sua tristezza, mentre tornava indietro sulle pietre sconnesse, era piú che evidente. L’andatura, ora che non doveva piú nascondere nulla, era incerta e non oppose resistenza al sostegno offerto da Domestica Melania.

Osservammo Domestica Melania infilare la chiave nella porta ed entrare in casa con Josie. Poi la Madre avviò il motore e partimmo.

Essendo la mia prima volta a bordo di un’auto, non ero in grado di stimarne con precisione la velocità. Mi pareva che la Madre guidasse insolitamente veloce e per un attimo registrai un senso di paura, ma poi ricordai che percorreva la stessa salita ogni giorno, perciò non era probabile che potesse creare pericoli. Mi concentrai sugli alberi che scorrevano via, e le ampie aperture che all’improvviso apparivano di lato, attraverso le quali potevo vedere dall’alto le cime degli alberi. Poi la strada cessò di salire, e l’auto attraversò un grande prato vuoto, a parte un fienile lontanissimo molto simile a quello che si vedeva dalla finestra di Josie.

La Madre parlò per la prima volta. Dal momento che guidava non si girò indietro e, se non fossi stata l’unica presente dentro al veicolo, avrei potuto non capire che si rivolgeva a me.

– Fanno sempre cosí. Giocano coi tuoi sentimenti –. E un attimo dopo disse: – Magari posso sembrare dura. Ma come si fa a farglielo capire? Devono imparare che abbiamo dei sentimenti anche noi –. E dopo un altro po’: – Crede forse che mi faccia piacere stare lontana da lei, giorno dopo giorno, cazzo?

Adesso c’erano anche altre macchine e, a differenza di quelle fuori dal negozio, viaggiavano in entrambe le direzioni. Una appariva in lontananza e ci veniva incontro veloce, ma i guidatori non commettevano nessun errore e riuscivano sempre a schivarci. Presto gli scenari intorno a me presero a cambiare tanto rapidamente che facevo fatica a metterli in ordine. A un certo momento un riquadro si riempí di altre macchine, mentre i riquadri adiacenti si affollavano di segmenti di strada e del prato intorno. Feci del mio meglio per mantenere fluida la linea della strada che si spostava da un riquadro al successivo, ma con il continuo modificarsi della vista decisi che era impossibile, e lasciai che la strada si spezzasse e ricominciasse da capo attraversando ogni nuovo confine. Nonostante tutti questi problemi, l’ampiezza della visuale e l’immensità del cielo erano molto emozionanti. Il Sole era spesso dietro le nuvole, ma in qualche caso vedevo il suo disegno calare direttamente sopra una valle o su una porzione di terra.

Quando la Madre parlò di nuovo, risultò piú ovvio che stesse dicendo a me.

– A volte deve essere bello non avere sentimenti. Ti invidio.

Ci pensai, e dissi: – Io credo di avere tanti sentimenti. Piú cose osservo, e piú acquisisco accesso a nuovi sentimenti.

Scoppiò a ridere, facendomi trasalire. – In tal caso, – disse, – forse dovresti perdere un po’ la voglia di osservare –. Poi aggiunse: – Scusami. Non volevo essere scortese. Sono certa che devi avere sentimenti di tutti i tipi.

– Quando Josie non è potuta venire, ho provato tristezza.

– Hai provato tristezza. D’accordo –. E tacque, forse per concentrarsi sulla guida e sulle macchine che venivano in direzione opposta. Poi disse: – C’è stato un periodo, non molto tempo fa, in cui ho pensato di diventare sempre meno sensibile. Un po’ meno ogni giorno. E non sapevo se la cosa mi facesse piacere oppure no. Ma ultimamente mi sembra di essere ipersensibile a tutto. Klara, guarda alla tua sinistra. Stai comoda là dietro? Guarda lontano alla tua sinistra e dimmi che cosa vedi.

Percorrevamo un tratto di terra né in salita né in discesa, e il cielo era ancora ampissimo. Vedevo prati piani, senza fienili né veicoli agricoli, dispiegarsi a perdita d’occhio. Ma quasi all’orizzonte c’era qualcosa che sembrava un paese interamente fatto di cubi metallici.

– Lo vedi? – domandò la Madre, senza distogliere lo sguardo dalla strada.

– È molto lontano, – dissi. – Ma vedo una specie di villaggio. Forse del tipo in cui si costruiscono le macchine o altre cose del genere.

– Quasi indovinato. In realtà è uno stabilimento chimico, e anche piuttosto all’avanguardia. La Kimball Refrigeration. Anche se non fanno piú un frigorifero da decenni, ormai. È il motivo per cui ci trasferimmo qui tempo fa. Il padre di Josie ci lavorava.

Malgrado il villaggio di cubi metallici rimanesse distante, ora distinguevo dei tubi che collegavano un edificio all’altro, e altri tubi che puntavano dritti al cielo. C’era qualcosa che mi faceva tornare in mente l’orribile Macchina Cootings, ed ebbi un moto di preoccupazione pensando all’Inquinamento. Ma subito dopo la Madre disse:

– È un posto come si deve. Energia pulita che entra, energia pulita che esce. Il padre di Josie era un astro nascente da quelle parti.

Poi il villaggio di cubi metallici sparí dalla vista, e mi raddrizzai sul sedile.

– Adesso andiamo abbastanza d’accordo, – disse la Madre. – Si potrebbe quasi dire che siamo amici. E per Josie è una bella cosa, naturalmente.

– Mi domando se il Padre lavora ancora al villaggio dell’impianto di refrigerazione.

– Come? Oh no. È stato… sostituito. Come tutti gli altri. Era un vero talento. Lo è ancora, ovviamente. Andiamo piú d’accordo, adesso. È questo che conta per Josie.

Dopo queste parole viaggiammo per un po’ in silenzio, e la strada riprese a salire parecchio. Poi la Madre rallentò, e svoltammo in una strada stretta. Quando tornai a guardare in mezzo ai sedili, la strada nuova mi apparve di poco piú larga dell’auto. Davanti a noi sulla superficie della strada c’erano linee parallele di fango scavate da ruote precedenti, e alberi che ci stringevano da entrambi i lati, come edifici in una via di città. La Madre fece proseguire l’auto lungo la strada stretta, e malgrado guidasse piú lentamente, mi chiesi che cosa sarebbe successo se un’altra auto fosse arrivata in direzione opposta. Poi svoltammo ancora una volta e ci fermammo.

– Eccoci, Klara. Da qui si va a piedi. Ce la fai?

Quando scendemmo, sentii vento freddo e udii un baccano di uccelli. C’erano altri alberi selvatici intorno a noi mentre percorrevamo un sentiero in salita tra cluster di sassi e fango. Dovevo fare molta attenzione ma tenni dietro alla Madre e dopo un po’ superammo un varco in mezzo a due pali di legno e ci ritrovammo su un altro sentiero. Quest’ultimo saliva ancora e la Madre era spesso costretta a fermarsi per aspettare che la raggiungessi. In quei momenti pensai che forse aveva avuto ragione a reputare quella gita troppo faticosa per Josie.

Esattamente a quel punto, guardai per caso a sinistra oltre lo steccato che correva al nostro fianco e vidi nel prato il toro che ci osservava attentamente. Avevo visto foto di tori sulle riviste, ma mai l’animale dal vivo, naturalmente, e malgrado questo fosse abbastanza lontano da noi e sapessi che non poteva saltare lo steccato, fui talmente allarmata dalla sua apparizione che esclamai di spavento e mi bloccai. Non avevo mai visto niente che comunicasse, a un solo sguardo, tanti segnali di rabbia e di smania di distruggere. Il muso, le corna, gli occhi impassibili che mi fissavano, tutto scatenava in me il terrore, ma c’era qualcos’altro, qualcosa di ancora piú strano e profondo. In quel momento mi parve che fosse stato commesso un grosso errore permettendo alla creatura di starsene nel disegno del Sole, che il toro dovesse abitare un luogo profondo dentro la terra, tra il fango e l’oscurità, e che la sua presenza sull’erba potesse avere soltanto conseguenze orribili.

– Va tutto bene, – disse la Madre. – Non ci può toccare. Su, vieni. Ho bisogno di un caffè.

Mi costrinsi a distogliere lo sguardo dal toro e seguii la Madre. Poco dopo non procedevamo piú in salita e intorno a noi comparvero i tavoli di legno grezzo che avevo visto nella foto di Josie. Ne contai quattordici sparsi per tutto il prato, ciascuno con panche laterali fatte di assi di legno. C’erano adulti, bambini, AA, cani, seduti ai tavoli o che ci scorrazzavano, camminavano o sostavano intorno. Poco oltre i tavoli c’era la cascata. Era piú grande e piú impetuosa di quella che avevo visto sulla rivista, e riempiva otto riquadri da sola. Cercai con lo sguardo il Sole, ma non riuscii a vederlo nel cielo grigio.

– Sediamoci, – disse la Madre. – Dài, siediti. Aspettami qui. Ho bisogno di un caffè.

La osservai avviarsi verso un capanno dello stesso legno grezzo, a una ventina di passi di distanza. Aveva un bancone aperto sul davanti, perciò poteva funzionare come un negozio e in quel momento si era formata una coda di passanti.

Ero contenta di avere occasione di sedere e guardarmi attorno, e mentre aspettavo al tavolo grezzo che la Madre tornasse, notai che l’ambiente si andava ricomponendo. La cascata non occupava piú cosí tanti riquadri, e osservai i bambini e i loro AA passare con disinvoltura da un riquadro all’altro quasi senza soluzione di continuità.

Sebbene nessuno di loro guardasse dalla mia parte con interesse e ciascuno sembrasse concentrato sul proprio bambino, mi fece piacere trovarmi di nuovo in presenza di altri AA, e per un momento li osservai felice, seguendo con lo sguardo ora uno ora l’altro. Poi la Madre tornò e sedette di fronte a me e io mi voltai dritta verso di lei, con la cascata che si muoveva impetuosamente alle sue spalle. Il caffè era in un bicchiere di carta che lei sollevò e si portò alla bocca. Ricordai quel che Josie mi aveva detto riguardo al sedersi vicino alla cascata, e come ci si poteva bagnare la schiena senza nemmeno accorgersene, e mi chiesi se avrei dovuto farlo presente alla Madre. Ma qualcosa nel suo atteggiamento mi disse che non mi voleva sentir parlare, per ora.

Mi fissava dritto negli occhi, come aveva fatto dal marciapiede quando Rosa e io stavamo in vetrina. Beveva il caffè, senza smettere di guardarmi, finché mi accorsi che la faccia della Madre riempiva da sola sei riquadri, in tre dei quali comparivano i suoi occhi socchiusi, sempre a un’angolazione diversa. Finalmente disse:

– Allora, ti piace qui?

– È meraviglioso.

– Cosí adesso hai visto una vera cascata.

– Grazie di avermici portata.

– Strano. Stavo giusto pensando che non sembravi molto contenta. Non vedo il tuo solito sorriso.

– Chiedo scusa. Non volevo sembrare ingrata. Sono molto contenta di vedere la cascata. Ma forse anche dispiaciuta che Josie non sia potuta venire con noi.

– Dispiace anche a me. Mi fa stare male –. Poi disse: – Ma non male quanto potrei, perché ci sei tu.

– Grazie.

– Forse Melania aveva ragione. Forse Josie se la sarebbe cavata.

Non dissi nulla. La Madre sorseggiava il caffè, continuando a guardarmi.

– Che cosa ti ha detto Josie su questo posto?

– Che era bellissimo e che le era sempre piaciuto tanto venire qui in gita con lei.

– Cosí ha detto? E ti ha detto che ci venivamo sempre con Sal? E quanto Sal adorasse il posto?

– Josie mi ha detto di sua sorella –. Poi aggiunsi: – Ho visto la sorella di Josie nella fotografia.

La Madre mi fissò cosí intensamente che pensai di aver fatto un errore. Poi invece disse: – Credo di sapere quale intendi. Quella con noi tre sedute laggiú. Mi ricordo quando Melania ce l’ha scattata. Eravamo su quella panca laggiú. Io, Sal, Josie. Qualcosa non va, Klara?

– Mi ha messo tanta tristezza sentire che Sal se ne è andata.

– Tanta tristezza rende l’idea.

– Mi dispiace. Forse non dovevo…

– Tutto a posto. È da un po’ ormai che ci ha lasciati. Peccato che tu non abbia conosciuto Sal. Diversa da Josie. Josie dice sempre quello che pensa. Non le importa se è la cosa sbagliata. Può diventare irritante qualche volta ma le voglio bene per questo. Sal non era cosí. Sal doveva riflettere bene su tutto prima di dire qualsiasi cosa, capisci? Era piú sensibile. Forse meno in gamba di Josie a gestire la malattia.

– Mi domando… perché se ne è andata Sal?

Gli occhi della Madre cambiarono e sulla sua bocca comparve un’espressione cattiva.

– Che razza di domanda è questa?

– Chiedo scusa. Ero solo curiosa di sapere…

– Non sei autorizzata a essere curiosa.

– Mi spiace molto.

– A te cosa importa? È successo e basta.

Poi dopo un bel po’ la faccia della Madre si addolcí.

– Credo sia stato giusto non portare Josie oggi, – disse. – Non stava bene. Ma ora che siamo qui sedute, mi manca –. Si guardò attorno, voltandosi per vedere la cascata. Poi tornò a girarsi e puntò lo sguardo al di là di me, sui passanti, i cani, gli AA. – D’accordo, Klara. Visto che Josie non è qui, voglio che tu sia Josie. Solo per un po’. Visto che siamo qui.

– Mi dispiace. Non capisco.

– L’hai già fatto una volta per me. Il giorno che ti abbiamo portata via dal negozio. Non l’avrai dimenticato, no?

– Me ne ricordo, certo.

– Intendo non avrai dimenticato come si fa. A camminare come Josie.

– Sono capace di camminare come lei. Anzi, ora che la conosco meglio, e l’ho vista in molte piú situazioni, sono in grado di eseguire un’imitazione piú sofisticata. Però…

– Però cosa?

– Chiedo scusa. Non volevo dire però.

La Madre mi guardò e disse: – Bene. Comunque non volevo chiederti di farmi la camminata. Siamo qui sedute, solo noi due. Bel posto, bella giornata. Speravo tanto che ci sarebbe stata anche Josie. Perciò lo chiedo a te, Klara. Sei in gamba. Se ci fosse lei qui, al posto tuo, come starebbe seduta? Non credo che starebbe seduta come te.

– No. Josie sarebbe piú… cosí.

La Madre si sporse un po’ di piú sul tavolo sempre strizzando gli occhi e ora la sua faccia riempiva otto riquadri, lasciando solo i periferici alla cascata, e per un momento mi parve che la sua espressione variasse da un riquadro all’altro. In uno, per esempio, i suoi occhi ridevano in modo cattivo, ma in quello accanto erano pieni di tristezza. I suoni della cascata, dei bambini e dei cani si smorzarono tutti in un silenzio ovattato per fare spazio a ciò che la Madre stava per dire.

– Brava. Davvero eccellente. Adesso però voglio vederti muovere. Fa’ qualcosa. Sempre come Josie. Fatti vedere mentre ti muovi un po’.

Sorrisi come avrebbe sorriso Josie, assumendo una posizione disinvolta e scomposta.

– Bene. Ora prova a dire qualcosa. Fammi sentire come parli.

– Chiedo scusa. Non credo…

– No. Questa è Klara. Io voglio Josie.

– Ciao, mamma. Sono Josie.

– Perfetto. Ancora. Avanti.

– Ciao, mamma. Nessun problema, giusto? Sono venuta qui e sto bene.

La Madre si sporse ancora di piú sopra il tavolo, e nei riquadri vidi la sua gioia, la paura, la tristezza, il divertimento. Poiché tutto il resto era in silenzio, la sentii ripetere con un filo di voce: – Brava. Brava. Brava.

– Te l’avevo detto che stavo bene, – dissi. – Aveva ragione Melania. Non ho niente che non va. Sono solo un po’ stanca, tutto qui.

– Mi dispiace, Josie, – disse la Madre. – Mi spiace di non averti portata oggi.

– No, va bene. Lo so che eri preoccupata per me. Sto bene.

– Vorrei che fossi qui. Invece non ci sei. Vorrei farti smettere di stare male.

– Non ti preoccupare, mamma. Guarirò.

– Come fai a dire cosí? Che cosa ne sai? Sei solo una bambina. Una bambina che ama la vita e crede che tutto si aggiusti. Che ne sai di queste cose?

– Va tutto bene, mamma, non ti preoccupare. Guarirò presto. E so anche come succederà.

– Come? Che stai dicendo? Credi di saperne piú tu dei dottori? Piú di me? Anche tua sorella faceva promesse. Ma non poté mantenerle. Non t’azzardare a fare la stessa cosa.

– Ma mamma. Sal aveva un male diverso. Io guarirò.

– D’accordo, Josie. Allora dimmi come farai a guarire.

– Sta per arrivare un aiuto speciale. Qualcosa a cui nessuno aveva ancora pensato. E cosí, guarirò.

– Che cosa? Chi sta parlando?

Adesso, riquadro dopo riquadro, vedevo gli zigomi della Madre spuntare da sotto la pelle tesa.

– Davvero, mamma. Guarirò.

– Basta cosí. Basta!

La Madre si alzò e prese ad allontanarsi. Potevo di nuovo vedere la cascata, il cui rumore – insieme a quello delle persone dietro di me – tornò piú forte che mai.

La Madre si fermò accanto al parapetto di legno che separava il terreno dall’inizio della cascata. Vedevo la bruma sospesa davanti a lei e pensai che in un attimo si sarebbe bagnata tutta, ma lei rimase ferma di spalle a me. Poi finalmente si girò e mi fece un cenno.

– Klara. Vieni qui. Vieni a dare un’occhiata.

Mi alzai dalla panca e le andai incontro. Mi aveva chiamata «Klara», perciò sapevo di non essere piú costretta a imitare Josie. Mi fece segno di avvicinarmi ancora di piú.

– Guarda, la vedi? Non avevi mai visto una cascata. Quindi ora guardala. Che ne pensi?

– È meravigliosa. Molto piú spettacolare che sulla rivista.

– Una cosa straordinaria, no? Sono contenta che tu la veda. Adesso torniamo. Sono in pensiero per Josie.

La Madre non parlò per l’intero tragitto di ritorno alla macchina. Camminava spedita, sempre almeno quattro passi avanti, e dovevo badare a non commettere errori su quel sentiero scosceso. Quando passammo nel punto dove avevamo visto il toro, guardai lontano nel prato, ma adesso la creatura tremenda non si vedeva da nessuna parte, e mi chiesi se l’avessero ritirata sottoterra.

Quando arrivammo alla macchina, feci per salire al solito posto, ma la Madre disse:

– Viaggia davanti. Cosí vedi meglio.

Quindi sedetti al suo fianco, e fu qualcosa di simile alla differenza tra la vetrina e metà-negozio. Scendemmo fra i prati, con il Sole a tratti visibile in mezzo alle nuvole, e notai come gli alberi alti all’orizzonte si riunivano in gruppi fitti di sette o otto, anche se tutto intorno c’era vuoto. L’auto seguiva una lunga linea sottile che attraversava la terra, e mi accorsi che quello che a prima vista era sembrato parte del disegno di un prato lontano, era di fatto un insieme di pecore. Superammo un prato che conteneva piú di quaranta di queste creature, e malgrado ci muovessimo molto velocemente, riuscii ad accorgermi che ciascuna di esse era piena di gentilezza – l’esatto opposto del toro tremendo di prima. In particolare mi riempí di gioia un gruppo di quattro pecore perfino piú miti di tutte le altre. Si erano sistemate sull’erba in modo ordinato, in fila indiana, come se fossero in viaggio. Ma mi resi conto, pur superandole in corsa, che in realtà erano ferme, immobili, a parte i piccoli movimenti che facevano con la bocca masticando l’erba.

– Ti ringrazio, Klara. Averti con me ha reso tutto meno triste.

– Sono davvero contenta.

– Magari lo rifacciamo qualche volta. Se Josie sarà troppo malata per uscire.

Visto che non ribattevo, disse: – Non ti dispiacerebbe, no, Klara? Se rifacessimo qualcosa di simile, qualche volta.

– No, per niente. Se Josie non potrà venire.

– Sai cosa? Credo sia meglio non dire niente di tutto questo a Josie. Di quello che abbiamo fatto quassú. La sua imitazione. Potrebbe fraintendere –. E, dopo un altro momento, domandò: – Allora siamo d’accordo? Non diciamo niente a Josie.

– Come preferisce.

Vedevo di nuovo il villaggio di cubi metallici in lontananza, questa volta sulla destra. Pensai che avrebbe detto qualcos’altro sull’argomento, o sul Padre, ma continuò a guidare in silenzio finché il villaggio di cubi metallici non scomparve. Soltanto allora disse improvvisamente:

– I bambini possono ferire a volte. Credono che per il solo fatto che sei un adulto, niente ti possa far male. Comunque, un po’ è cresciuta da quando ci sei tu. Si è fatta piú rispettosa.

– Sono contenta.

– Si vede benissimo. Di certo ha piú riguardo per gli altri ultimamente.

Vedevo un albero il cui tronco era di fatto composto di tre tronchi sottili che si intrecciavano fino a sembrare uno solo. Lo osservai attentamente passando, e mi voltai sul sedile per continuare a guardarlo.

– Quel che hai detto prima, – disse la Madre. – Sulla sua guarigione. Sull’arrivo di un aiuto speciale. Era tanto per dire, giusto?

– Mi deve scusare. Lo so che lei, il dottore e Domestica Melania avete riflettuto a lungo sulle condizioni di Josie. Sono molto preoccupanti. Eppure, io spero che presto guarirà.

– Lo speri e basta? O c’è qualcosa di piú concreto che ti aspetti? Qualcosa che il resto di noi non ha visto?

– Credo… è solo una speranza. Ma una speranza reale. Credo che Josie migliorerà presto.

La Madre non disse niente per molti minuti dopo queste parole, e teneva lo sguardo fisso sul parabrezza con un’espressione cosí distante che mi domandai se riusciva ancora a vedere la strada davanti a noi. Poi disse sottovoce:

– Sei un’AA intelligente. Può darsi che tu riesca a vedere cose che noi non vediamo. Magari hai ragione tu a sperare. Magari hai ragione.

Quando arrivammo a casa, Josie non era in cucina e nemmeno nell’Open Space. La Madre e Domestica Melania si trattennero sulla porta della cucina e parlarono a bassa voce, e capii che Domestica Melania le stava riferendo che Josie era stata bene in nostra assenza. La Madre continuava ad annuire, poi attraversò l’ingresso fino alla scala e chiamò Josie. Quando Josie le rispose con un semplice «Ok», la Madre rimase ferma ai piedi della scala per un po’. Poi si strinse nelle spalle e si avviò verso l’Open Space. Adesso ero sola nell’ingresso, perciò decisi di salire da Josie.

Stava seduta sul tappeto con la schiena appoggiata al letto, le ginocchia piegate a sorreggere un album. Era concentrata sul suo disegno a matita quindi non alzò gli occhi quando la salutai. Sparsi tutto attorno c’erano molti altri fogli strappati dall’album, certi scartati dopo poche righe tracciate alla svelta, altri neri di schizzi.

– Sono cosí contenta che Josie sia stata bene, – dissi.

– Mh-hm, tutto a posto –. Non alzò lo sguardo dal foglio. – Allora, com’è stata la gita?

– È stata fantastica. Peccato che Josie non sia potuta venire, però.

– Già. Peccato. La cascata l’hai vista?

– Sí. Meravigliosa.

– La mamma si è divertita?

– Credo di sí. Naturalmente le dispiaceva tanto che non ci fosse Josie.

Finalmente mi rivolse uno sguardo, sbirciando rapidamente al di sopra dell’album, e nei suoi occhi vidi un’espressione che non avevo mai visto prima. E mi tornò in mente la voce che all’incontro di interazione aveva chiesto a Josie come mai non avesse scelto un B3, e alla quale lei aveva risposto con una risata: «Comincio a pensare che avrei dovuto». Subito dopo il suo sguardo si scostò da me e Josie riprese a disegnare. Rimasi a lungo nel punto dove mi ero fermata entrando nella stanza. Alla fine dissi:

– Mi dispiace moltissimo se ho fatto qualcosa che ha turbato Josie.

– Non mi hai turbata. Che cosa te lo fa pensare?

– Allora siamo ancora amiche?

– Sei la mia AA. Dobbiamo essere amiche per forza, no?

Ma non c’era un sorriso nella sua voce. Era chiaro che desiderava restare sola e disegnare ancora, perciò uscii dalla stanza, e rimasi fuori sul pianerottolo.

Parte terza

Speravo che le ombre della gita alle Morgan’s Falls potessero dileguarsi entro l’indomani mattina, ma rimasi delusa e i modi freddi di Josie durarono invece per molto tempo.

Ancora piú sconcertante fu il cambiamento che le Morgan’s Falls produssero sui modi della Madre. Avevo creduto che la gita fosse andata bene e che ci sarebbe stata d’ora in avanti un’atmosfera piú cordiale tra noi. Ma la Madre, come Josie, si fece piú distaccata e se le capitava di incontrarmi nell’ingresso o sul pianerottolo, non mi salutava come prima.

Come è dunque naturale, nei giorni che seguirono, spesso mi chiesi come mai l’incontro di interazione non avesse causato ombre di alcun tipo, mentre le Morgan’s Falls avessero comportato simili conseguenze, malgrado io avessi solo assecondato i desideri di Josie e della Madre. Ancora una volta, mi attraversò la mente l’ipotesi che i miei limiti, paragonati a quelli di un B3, si fossero in qualche modo manifestati quel giorno portando sia Josie che la Madre a rimpiangere la loro scelta. Se le cose stavano cosí, sapevo che la strategia migliore sarebbe stata impegnarmi piú che mai a essere una buona AA per Josie fino al dissolvimento delle ombre. Al tempo stesso, ciò che mi diventava ogni giorno piú chiaro era fino a che punto gli umani, pur di evitare di sentirsi soli, potessero compiere manovre molto complesse e pressoché incomprensibili, e mi resi conto che le conseguenze delle Morgan’s Falls potevano non essere mai dipese da me.

Per come i fatti evolsero, tuttavia, ebbi poco tempo di soffermarmi sulle Morgan’s Falls, perché qualche giorno dopo l’escursione, la salute di Josie ebbe un tracollo.

Diventò troppo debole per scendere al caffè veloce della Madre la mattina. Quindi era la Madre che saliva in camera sua e se ne stava ferma accanto alla sagoma di Josie addormentata, con la schiena irrigidita anche mentre sorseggiava il caffè e guardava verso il letto.

Quando la Madre se ne andava per la giornata, subentrava Domestica Melania, che spostava la poltrona vicino al letto e sedeva con l’oblungo in grembo facendo scorrere gli occhi ora sullo schermo ora su Josie che dormiva. E fu una di quelle mattine, mentre stavo a pochi passi dalla porta pronta a dare aiuto, che Domestica Melania si girò e disse:

– AA. Sempre mi stai dietro tu. Mi fai i brividi. Vattene di fuori.

Aveva detto «di fuori». Mi volsi verso la porta domandando a bassa voce: – Scusa, domestica. Volevi dire fuori della casa?

– Fuori della stanza, fuori della casa, io non m’importa. Torna subito se mando segnale.

Non ero mai andata nel fuori da sola. Ma era chiaro che per quanto importava a Domestica Melania non c’era motivo perché non lo facessi. Scesi con attenzione le scale e sentivo entrarmi l’emozione nella mente, nonostante fossi in pensiero per Josie.

Quando poggiai il piede sulle pietre sconnesse, il Sole era alto ma sembrava stanco. Non sapevo se chiudere la porta della casa alle mie spalle, ma alla fine, non essendoci passanti e neanche volendo disturbare Josie suonando il campanello al ritorno, tirai la porta fin quasi a chiuderla ma senza far scattare il meccanismo della serratura. Poi mi inoltrai un po’ di piú nel fuori.

Alla mia sinistra vedevo il colle d’erba dove avevo incontrato Rick che faceva volare i suoi uccelli. Oltre il colle c’era la strada sulla quale la Madre si allontanava ogni mattina, la stessa su cui avevo viaggiato diretta alle Morgan’s Falls. Ma distolsi lo sguardo da questi panorami e mi avviai in direzione opposta, percorrendo le pietre sconnesse fino al punto in cui dominavo la vista completa dei prati.

Il cielo era pallido e ampio. Dal momento che i prati salivano progressivamente in lontananza, il fienile di Mr McBain rimaneva visibile malgrado non potessi piú contare sul vantaggio dell’altezza della finestra sul retro. I fili d’erba si distinguevano meglio che dalla camera da letto, ma il cambiamento piú significativo consisteva nel fatto che ora vedevo la casa di Rick ergersi in mezzo all’erba. Mi resi conto che, se la finestra sul retro si fosse trovata appena un po’ piú a sinistra, la casa di Rick si sarebbe vista anche dalla camera da letto.

Ma non mi fermai a considerare la casa di Rick, perché la mia mente era di nuovo in pensiero per Josie e, in particolare, mi domandavo perché il Sole non avesse ancora mandato il suo aiuto speciale come aveva fatto per Mendicante e il suo cane. Era dai giorni in cui Josie si era indebolita prima delle Morgan’s Falls che aspettavo l’intervento del Sole. Poi avevo riconosciuto che forse aveva avuto ragione ad aspettare in quell’occasione, ma adesso che Josie era tanto piú debole e che cosí tante cose del suo futuro risultavano incerte, non capivo perché continuasse a rimandare.

Ci avevo già riflettuto parecchio, ma adesso che mi trovavo fuori da sola, con i prati tanto vicini e il Sole alto sopra di me, fui in grado di raccogliere svariate ipotesi. Capivo ad esempio che, nonostante tutta la sua gentilezza, il Sole era molto occupato; che c’erano tante persone oltre a Josie bisognose di attenzione; che perfino al Sole poteva capitare di perdersi un singolo caso come quello di Josie, specie considerando che lei risultava bene accudita da una madre, una domestica e una AA. Mi venne quindi l’idea che, per ricevere l’aiuto speciale del Sole, potesse essere necessario attirare la sua attenzione su Josie in modo straordinario e notevole.

Avanzai sulla terra morbida fino allo steccato del primo prato e a un cancello di legno che ricordava la cornice di un quadro. Il cancello si apriva sollevando semplicemente l’anello di corda avvolto intorno al palo, e capii che da lí potevo introdurmi nel prato senza impedimenti. L’erba sembrava altissima – eppure Josie e Rick, anche da bambini piccoli, erano riusciti a camminarci dentro fino al fienile di Mr McBain. Vidi l’avvio di un sentiero informale nell’erba, creato dai piedi dei passanti, e mi chiesi che possibilità avessi io di intraprendere lo stesso percorso. Ripensai a quella volta che il Sole aveva donato il suo nutrimento speciale a Mendicante e al suo cane, e registrai le sostanziali differenze tra le sue condizioni e quelle di Josie. Prima di tutto molti passanti conoscevano Mendicante, e poi lui si era indebolito in una via trafficata, sotto il possibile sguardo di tassisti e runner. Una qualunque di quelle persone poteva aver attirato l’attenzione del Sole sul suo stato e su quello del suo cane. E, cosa ancor piú significativa, ricordavo quanto era successo poco prima che il Sole donasse il suo nutrimento speciale a Mendicante. La Macchina Cootings aveva prodotto il suo orribile Inquinamento obbligando anche il Sole a ritirarsi per un poco ed era stato proprio all’alba della nuova epoca nata dopo la scomparsa della macchina spaventosa che il Sole, felice e contento, aveva donato il suo aiuto speciale.

Restai per un poco davanti al cancello a cornice di quadro a osservare l’erba piegarsi da un lato e dall’altro, chiedendomi quali sentieri potesse nascondere, e come io potessi aiutare Josie a guarire dalla sua malattia. Ma non ero abituata a stare fuori da sola e cominciai a sentirmi disorientata. Perciò mi lasciai i prati alle spalle e tornai alla casa.

In quel periodo il dottor Ryan venne parecchie volte e Josie trascorreva lunghe ore della giornata a dormire. Il Sole dispensava ogni giorno il suo consueto nutrimento, riversando spesso il proprio disegno sulla sagoma addormentata di Josie, ma continuava a non esserci traccia del suo aiuto speciale. Del resto, forse anche in questo caso il Sole ebbe ragione ad aspettare, perché Josie si fece a poco a poco piú forte, finché riuscí perfino a mettersi seduta nel letto.

Il dottor Ryan le aveva proibito di riprendere le lezioni sull’oblungo, perciò ci furono giornate in cui, sostenuta dai cuscini, realizzò tanti disegni con le sue matite a punta e il suo album. Ogni volta che ne completava uno, o che decideva di non finirlo, strappava il foglio e lo gettava in aria, lasciandolo atterrare dolcemente sul tappeto, e diventò compito mio raccoglierli tutti e sistemarli in pile ordinate.

Se da una parte il dottor Ryan veniva di meno, Rick veniva di piú. Domestica Melania si era sempre mostrata diffidente nei riguardi di Rick, ma perfino lei doveva rendersi conto di quanto la sua presenza sollevasse l’umore di Josie. Perciò acconsentiva alle sue visite, pur insistendo che non durassero piú di mezz’ora. Il primo pomeriggio in cui Rick fu ammesso in camera da letto, io feci per andarmene cosí da dare privacy, ma Domestica Melania mi fermò sul pianerottolo, sussurrandomi: – No, AA! Tu sta’ lí. Controlla niente porcherie.

Diventò quindi normale che io restassi durante le visite di Rick, sebbene qualche volta lui mi lanciasse sguardi che dicevano vattene, e quasi mai mi rivolgesse la parola anche solo per dirmi ciao quando arrivava e quando andava via. Se da Josie mi fossero arrivati segnali simili, non sarei rimasta, nonostante le indicazioni di Domestica Melania. Ma Josie sembrava contenta della mia presenza – mi parve addirittura che ne traesse un sollievo – sebbene non mi coinvolgesse mai nelle loro conversazioni.

Facevo del mio meglio per dare privacy standomene sul Divano dei Bottoni con lo sguardo fisso sui prati. Non potevo evitare di sentire quel che si diceva dietro di me e, malgrado mi capitasse di pensare che non avrei dovuto ascoltare, ricordavo a me stessa che faceva parte del mio dovere imparare quanto potevo sul conto di Josie e che, attraverso l’ascolto, avrei potuto raccogliere osservazioni altrimenti non disponibili.

Le visite di Rick in quel periodo si articolarono in tre fasi. Nella prima fase, si guardava intorno nervoso appena arrivava per poi comportarsi per tutti i trenta minuti come se qualsiasi movimento maldestro da parte sua potesse danneggiare l’arredamento. Fu in questa fase che prese l’abitudine di sedersi in terra di fronte all’armadio moderno, appoggiando la schiena alle porte. Dal Divano dei Bottoni li vedevo riflessi nella finestra e, con Rick in quella posizione e Josie seduta sul letto, parevano quasi uno accanto all’altra, solo con Josie un po’ piú in alto.

Per tutta la durata della prima fase, l’atmosfera si mantenne buona e i trenta minuti trascorrevano senza che si dicesse nulla di sostanziale. I ragazzi si raccontavano spesso ricordi di quando erano piccoli, e ci scherzavano su. Bastava una parola o un solo accenno per scatenare tali ricordi, e subito dopo ci si addentravano. In momenti come quelli conversavano in una lingua simile a un codice, e mi chiesi se questo potesse dipendere dalla mia presenza nella stanza, ma presto mi resi conto che aveva semplicemente a che fare con l’intimità delle loro vite, e che non c’era alcuna intenzione di impedirmi di capire.

In principio Josie non disegnava quando c’era Rick. Ma col tempo si rilassarono, e spesso faceva schizzi per l’intera mezz’ora, strappando fogli uno dopo l’altro e lasciandoli depositare a terra dove era seduto lui. E fu cosí che – in modo dapprima del tutto innocente – ebbe inizio il gioco dei fumetti.

L’arrivo del gioco dei fumetti segnò l’avvio della fase successiva nelle visite di Rick. È possibile che l’avessero inventato molto tempo prima, da piccoli. Di certo, quando presero a giocarci, non ebbero bisogno di scambiarsi istruzioni. Josie aveva semplicemente cominciato a lanciare i disegni a Rick, pur continuando a chiacchierare con lui, finché a un certo punto Rick ne aveva analizzato uno e aveva detto:

– Ok. Allora facciamo il gioco dei fumetti?

– Se ti va. Solo se ti va, Ricky.

– Non ho la matita. Buttamene una nera.

– Mi servono tutte, quelle nere. Chi è l’artista qui, dopotutto?

– Mi spieghi come faccio il fumetto se non mi presti neanche una matita?

Pur dando loro le spalle, non fu difficile indovinare i contorni del gioco. E quando Rick se ne andava alla fine delle sue mezz’ore, io potevo osservare le pagine che raccoglievo da terra. E fu in questo modo che cominciai a comprendere l’importanza crescente di quel gioco per tutti e due.

Gli schizzi di Josie erano fatti bene; di solito mostravano una, due e talvolta tre persone insieme, con le teste deliberatamente troppo grandi rispetto al corpo. Durante quelle prime visite, le facce tendevano a essere gentili, e tratteggiate solo a matita nera a punta, mentre le spalle e il tronco, come pure lo sfondo, erano realizzati con matite colorate a punta. In ciascun disegno, Josie tracciava un fumetto vuoto su una o piú teste – a volte due fumetti su altrettante teste – e Rick doveva completarlo con parole scritte. Mi resi conto in fretta che anche quando le facce non somigliavano per niente a quelle di Rick e Josie, dentro la realtà del gioco era ammesso che ogni ragazza disegnata rappresentasse Josie, e ogni ragazzo disegnato, Rick. Allo stesso modo, altre figure potevano rappresentare persone della vita di Josie – la Madre, per esempio, o ragazzi dell’incontro di interazione, o altri ancora che per il momento non avevo conosciuto. Sebbene per me fosse difficile in molti casi abbinare le facce alle persone rappresentate, Rick dava l’impressione di non avere quel problema. Non chiedeva mai chiarimenti in merito ai disegni che gli svolazzavano addosso, e scriveva le parole nei fumetti senza la minima esitazione.

Capii presto che le parole di Rick nei fumetti erano i pensieri, o a volte i discorsi, delle persone disegnate, e che di conseguenza, il suo compito comportava un certo pericolo. Sin dal principio mi preoccupava l’idea che qualcosa che Josie aveva disegnato o che Rick aveva scritto potesse generare tensione. Ma in questa fase il gioco dei fumetti sembrava produrre soltanto svago e reminiscenze, e li vedevo riflessi nel vetro, a ridere e indicarsi l’un l’altra. Se si fossero concentrati unicamente sul gioco come facevano in principio – se avessero mantenuto i discorsi focalizzati sulle figure – forse non sarebbe intervenuta nessuna tensione. Ma mentre Josie continuava a disegnare, e Rick a riempire i fumetti, cominciarono a conversare di argomenti che con le figure non avevano niente a che fare.

Un bel pomeriggio, con il disegno del Sole che sfiorava i piedi di Rick seduto contro l’armadio moderno, Josie disse:

– Sai, Ricky, mi chiedo se per caso non stai diventando geloso. Con tutte le domande che continui a farmi su questo ritratto.

– Non capisco. Vuoi dire che mi stai facendo un ritratto lassú?

– No, Ricky. Voglio dire che continui a tornare sul mio di ritratto. Quello che mi sta facendo quel tale in città.

– Ah, quello. Beh, sí, devo avertelo nominato una volta, se non sbaglio. Il che non coincide esattamente col tornarci su in continuazione.

– Ci torni su in continuazione. Due volte soltanto ieri.

La mano di Rick che stava scrivendo si fermò, ma gli occhi non si alzarono. – Sarò curioso, forse. Ma come si fa a ingelosirsi perché qualcuno ti fa un ritratto?

– Sembra una scemata, in effetti. Ma tu dai proprio quell’impressione.

Tacquero per qualche istante, ciascuno assorto nel proprio compito. Poi Rick disse:

– Non mi definirei geloso. Preoccupato, piuttosto. Quel tizio, il cosiddetto artista. Tutto quello che dici di lui è un po’, sí, insomma, da brividi.

– Mi sta solo facendo il ritratto. È sempre rispettosissimo, ha paura che mi possa stancare troppo.

– Non mi convince. Dici che continuo a tornarci su. Beh, è solo perché ogni volta che ne parliamo, tu dici qualcosa che mi fa pensare, oh mio Dio, la cosa si sta facendo da brividi.

– In che senso da brividi?

– Per cominciare sei stata nel suo studio, quante, quattro volte ormai? Ma non ti ha mai fatto vedere niente. Nemmeno un bozzetto, niente. A quanto pare ti scatta soltanto primi piani uno dopo l’altro. Di questo o quel pezzo di te. È cosí che fanno gli artisti? Sei sicura?

– Preferisce le foto perché cosí non mi sfinisco a furia di stare seduta ore e ore alla vecchia maniera. In questo modo rimango solo una ventina di minuti al massimo. Mi scatta le foto che gli servono di volta in volta. E comunque, c’è sempre la mamma. Scusa, credi che la mamma potrebbe ingaggiare un pervertito per farmi fare il ritratto?

Rick non rispose. E Josie proseguí:

– Credo proprio che sia una forma di gelosia, Ricky. Ma sai una cosa? Non mi dispiace. Dimostra che hai l’atteggiamento giusto. Sei protettivo. Pensi al nostro progetto. Quindi, non te la prendere.

– Non me la prendo. È un’accusa talmente ridicola.

– Non è un’accusa. Non dico che c’entri il sesso o roba del genere. Dico solo che questo ritratto fa parte del vasto mondo là fuori, e tu hai paura che potrebbe esserci d’intralcio. Quando dico che potresti essere geloso, intendo solo in quel senso.

– Non hai tutti i torti.

Il loro «progetto», per quanto spesso nominato, era di rado discusso in dettaglio. Ciononostante, fu in questa fase delle visite – ancora buona per il momento – che cominciai a farmene un quadro piú coerente raccogliendo i vari commenti al riguardo. Arrivai in questo modo a capire che il progetto non era qualcosa che avessero architettato con cura, ma piuttosto un desiderio vago legato al futuro. E compresi anche l’impatto di tale progetto sui miei obiettivi: perché qualora in futuro non si fosse realizzato, se anche la Madre, Domestica Melania e io fossimo rimaste accanto a Josie, non saremmo riuscite a proteggerla dal sentirsi sola.

Poi venne il giorno in cui il gioco dei fumetti cessò di produrre risate e produsse invece paura e incertezza. Nella mia mente questo indica oggi l’inizio della terza e ultima fase delle visite di Rick in quel periodo.

Adesso è difficile stabilire chi dei due abbia cambiato umore per primo. Nelle fasi iniziali, gli schizzi di Josie erano spesso creati al preciso scopo di riportare alla memoria episodi felici o divertenti del loro passato comune. Ecco una delle ragioni per cui Rick era in grado di riempire i fumetti rapidamente e senza esitazione. Poi però si verificò un cambiamento nelle reazioni di Rick ai fogli che gli volavano addosso. Sempre di piú capitava che li fissasse a lungo per poi sospirare o turbarsi. E quando scriveva le parole, lo faceva lentamente e con piú attenzione, spesso senza rispondere a quello che intanto gli diceva Josie, finché non aveva finito. E le reazioni di Josie quando Rick le restituiva i fogli divennero difficili da prevedere. Poteva studiare un foglio con occhi vuoti prima di infilarlo tra le lenzuola senza un commento. Oppure limitarsi a rilanciare a terra il foglio completato, ma lontano da Rick questa volta.

Di quando in quando l’umore poteva tornare quello di un tempo, e allora ridevano o litigavano cordialmente. Ma sempre piú spesso il disegno di Josie o le parole di Rick scatenavano uno scambio poco gentile. Ciononostante, l’atmosfera tornava di solito serena prima che Domestica Melania annunciasse la fine dei trenta minuti.

Una volta, Rick si sporse a prendere un foglio, lo osservò attentamente, e mise giú la matita a punta. Continuò a guardare il disegno per un po’, finché Josie, notando la scena dal letto, si interruppe.

– Qualcosa non va, Ricky?

– Hmm. Mi chiedevo che cosa potessero mai essere questi.

– A te cosa sembrano?

– Questa gente che le sta intorno. Devo dedurre che sono alieni? Sembra quasi che, al posto della testa, abbiano, sí, insomma, un gigantesco bulbo oculare. Scusa, magari mi sbaglio.

– No, non ti sbagli –. C’era una certa freddezza nella sua voce, e anche un po’ di paura. – Cioè, non del tutto, almeno. Non sono alieni. Sono semplicemente… quello che sono.

– D’accordo. Una tribú di bulbi oculari. Ma la cosa preoccupante è il modo in cui la stanno fissando.

– Che c’è di preoccupante?

Il silenzio dietro di me proseguiva e, nel riflesso della finestra, vidi che Rick continuava a fissare il foglio.

– Allora? Che c’è di preoccupante? – chiese di nuovo Josie.

– Non saprei. Hai disegnato un fumetto enorme anche per lei. Non saprei cosa scriverci.

– Scrivi quello che pensi stia pensando. Come per tutti gli altri.

Ci fu di nuovo silenzio. Il Sole sul vetro rendeva difficile vedere il riflesso perciò fui tentata di girarmi, anche se cosí facendo avrei ridotto la loro privacy. Ma prima che riuscissi a decidermi, Rick disse:

– Hanno occhi davvero da brividi. Ma c’è di peggio. Sembra che lei voglia che non smettano di fissarla.

– Questa è una paranoia, Rick. Perché mai dovrebbe volere una cosa del genere?

– Che ne so? Dimmelo tu.

– Come faccio a dirtelo? – A quel punto la voce di Josie era seccata. – A chi tocca scrivere i fumetti?

– Ha quel mezzo sorriso. Come se le facesse piacere, sotto sotto.

– No, Ricky, sbagliato. È da paranoici.

– Scusami. Devo aver frainteso.

– Frainteso, esatto. Perciò, spicciati e scrivi il fumetto. Il prossimo è già qui, quasi finito. Rick? Ci sei?

– Forse per questa volta passo.

– Oh, avanti!

Il Sole si era ritirato nel frattempo, quindi, sul vetro, vidi Rick lanciare delicatamente il foglio a terra mandandolo ad aggiungersi alla pila degli altri, piú vicini al letto di Josie.

– Cosí mi deludi, Rick.

– E tu allora non fare disegni come quello.

Ci fu di nuovo silenzio. Vedevo Josie sul letto fingere di essere assorta nello schizzo successivo. Non distinguevo piú Rick molto bene nel riflesso, ma sapevo che era rimasto praticamente immobile contro l’armadio moderno e che puntava lo sguardo al di là di me, fuori dalla finestra.

Al termine delle visite di Rick, Josie di solito era stanca, perciò lanciava le matite a punta, l’album e i fogli sciolti sul pavimento, si sdraiava a faccia in giú e riposava. In quei momenti, mi alzavo dal Divano dei Bottoni per raccogliere da terra i vari oggetti sparpagliati e a quel punto avevo modo di vedere di che cosa avevano discusso durante la visita.

Anche con la guancia sprofondata nel cuscino, Josie in realtà non dormiva e spesso continuava a fare commenti a occhi chiusi. Era quindi ben consapevole che osservavo i disegni raccogliendoli e chiaramente non le dispiaceva. Anzi, è probabile fosse suo desiderio che io li guardassi uno per uno.

Una volta, mentre riordinavo in questo modo, raccolsi per caso un foglio e anche se l’avevo guardato solo di sfuggita, stabilii immediatamente che le due facce principali del disegno dovevano rappresentare Missy e la ragazza dalle braccia lunghe dell’incontro di interazione. C’erano naturalmente varie imprecisioni, ma l’intento di Josie era ovvio. Le sorelle in primo piano mostravano un’espressione poco gentile mentre altre facce meno nitide si affollavano intorno a loro. E malgrado non ci fossero dettagli sugli arredi sapevo che la scena era collocata nell’Open Space. Non fosse stato per il grande fumetto che la sovrastava, avrei fatto fatica a notare la piccola creatura senza lineamenti schiacciata nello spazio vuoto tra le due sorelle. A differenza di Missy Disegnata e della Ragazza dalle Braccia Lunghe Disegnata, a questa creatura mancavano i consueti lineamenti umani, come la faccia, le spalle e le braccia, e ricordava piú una di quelle bolle d’acqua che si formavano sulla superficie dell’Isola vicino al lavello. Anzi, non fosse stato per il fumetto, un passante non avrebbe forse nemmeno intuito che quella forma rappresentava una persona. Le sorelle ignoravano del tutto la Persona Bolla d’Acqua nonostante la sua vicinanza strettissima. Dentro il fumetto, Rick aveva scritto:

«Gli intelligenti pensano che io sia senza forma. Ma io ce l’ho. Solo che la nascondo. Non mi va che quelli la vedano, chiaro?»

Anche se avevo appena guardato il disegno per un istante, Josie sapeva che l’avevo visto, e mi disse dal letto con voce assonnata:

– Non ti sembra che abbia scritto una cosa strana?

Diedi in una breve risata e continuai a riordinare, perciò lei aggiunse:

– Secondo te crede che volessi disegnare lui? Il piccoletto in mezzo alle due malvagie? Secondo te è per questo che ha riempito il fumetto in quel modo?

– È possibile.

– Ma non sei convinta. Dico bene, Klara? – Poi disse: – Klara, mi ascolti? Allora? Posso avere un commento o no?

– Forse è piú probabile che abbia creduto che la persona piccola fosse Josie.

Non disse altro mentre impilavo i fogli e li riponevo insieme ai precedenti in uno spazio sotto la specchiera. Pensavo si fosse addormentata, quando all’improvviso disse:

– Che cosa te lo fa dire?

– È solo una stima. Penso che Rick abbia pensato che la persona piccola era Josie. E credo che Rick cercasse di essere gentile.

– Gentile? In che senso?

– Credo che Rick sia in pensiero per Josie. Per come certe volte sembra cambiare a seconda della situazione. Ma in questo disegno, Rick è gentile. Perché suggerisce che Josie faccia bene a proteggersi e che non stia veramente cambiando.

– Che c’è di male se certe volte mi va di comportarmi diversamente? A chi piace essere sempre uguale? Il problema di Rick è che appena faccio qualcosa che non gli piace comincia ad accusarmi. Solo perché vorrebbe che rimanessi com’ero quando eravamo piccoli.

– Io non penso che sia proprio questo il desiderio di Rick.

– Allora cos’è tutta questa storia della cosa senza forma, del nascondersi? Non vedo proprio che cosa ci sia di gentile. Il problema è di Rick. È lui che non vuole crescere. O comunque, sua madre non vuole che cresca e lui la asseconda. L’idea è quella di continuare a vivere con la mamma per tutti i secoli dei secoli. Come pensa che questo possa aiutare il nostro progetto? Ogni volta che io do segno di provare a crescere, lui mette su il muso.

Non feci commenti e Josie rimase sdraiata a occhi chiusi. Poi in effetti si addormentò, ma l’attimo prima, disse sottovoce:

– Può darsi. Può darsi che volesse essere gentile.

Mi chiesi se Josie sarebbe tornata su quel particolare disegno – e sulle parole dentro il fumetto – durante la successiva visita di Rick. Ma non lo fece e mi resi conto che tra loro vigeva una sorta di regola che imponeva di non parlare in modo esplicito di questo o quel disegno o fumetto una volta completato. Forse tale accordo era necessario per permettere a ciascuno di disegnare e di scrivere liberamente. Ciononostante, come ho già detto, fin dal principio considerai molto pericoloso il loro gioco dei fumetti, che infatti determinò l’improvviso interrompersi delle visite di trenta minuti da parte di Rick.

Era un pomeriggio piovoso, ma i fiochi disegni del Sole entravano comunque nella stanza. C’era stato a quel punto un giro di visite piuttosto serene e anche quel giorno l’umore si era mantenuto abbastanza tranquillo. Ma dodici minuti dopo l’inizio della visita – si erano messi di nuovo a fare il gioco dei fumetti – Josie disse dal letto:

– Che succede laggiú? Non hai ancora finito?

– Ci sto pensando.

– Ricky, l’idea è che non devi pensare. Devi scrivere la prima cosa che ti viene in mente.

– Hai ragione. Ma questo richiede un pensiero in piú.

– Perché? Che cos’ha di diverso? Spicciati. Ho quasi finito il prossimo.

Nel riflesso della finestra vedevo Rick al solito posto per terra, con le ginocchia raccolte in modo da poterci appoggiare il disegno, tenendo tutte e due le mani lungo i fianchi. Fissava con aria perplessa il foglio che aveva davanti. Dopo un po’, senza smettere di disegnare, Josie disse:

– Sai, ho sempre voluto chiedertelo. Come mai tua madre non guida piú? Ce l’avete ancora quella macchina, giusto?

– Sono anni ormai che nessuno la mette in moto. Comunque sí, è ancora in garage. Magari quando prendo la patente la faccio controllare.

– Per caso ha paura degli incidenti?

– Josie, ne abbiamo già parlato.

– Sí, ma non mi ricordo. È perché si è spaventata troppo?

– Piú o meno.

– La mia di mamma è l’esatto opposto. Guida decisamente troppo veloce –. Rick non rispondeva, e lei chiese: – Ricky, non mi dirai che non hai ancora scritto niente?

– Ci sto arrivando. Dammi ancora un momento.

– Non guidare è un conto. Ma a tua madre non dispiace non avere amici?

– Ne ha, di amici. Mrs Rivers viene sempre da noi. E poi è amica di tua madre, no?

– Non era questo che intendevo. Chiunque può avere due amici, due singoli amici. Ma tua madre non ha un entourage. Nemmeno mia madre ha tanti amici. Ma ha un entourage in compenso.

– Entourage? Che parola retrograda. Cosa vuol dire?

– Vuol dire che entri in un negozio o sali su un taxi e la gente ti considera. Ti tratta bene. Avere relazioni. Importante, no?

– Senti, Josie, lo sai che non sempre mia madre sta bene. Non è una cosa che ha scelto, una sua decisione.

– Ma decisioni ne prende, no? Per esempio, una decisione su di te l’ha presa. All’epoca, quando è stato.

– Non capisco perché ne stiamo parlando.

– Sai cosa penso, Ricky? Dimmi se sbaglio. Penso che tua madre non abbia proceduto con te perché ti voleva tenere tutto per sé. E adesso è troppo tardi.

– Non capisco perché ne parliamo. E che importanza ha? Chi le vuole queste relazioni, comunque? Non c’entra proprio niente col resto.

– C’entra qualsiasi cosa, Ricky. Ostacola il nostro progetto, ad esempio.

– Senti, io faccio del mio meglio…

– Ma non è vero che fai del tuo meglio, Ricky. Continui a parlare del nostro progetto, ma che cosa fai veramente? Ogni giorno che passa diventiamo piú grandi e si presentano nuovi problemi. Io faccio tutto quello che posso, Rick, non tu.

– Che cosa non faccio che dovrei fare? Partecipare ad altri tuoi incontri di interazione?

– Potresti almeno sforzarti. Potresti fare come ci siamo detti. Studiare di piú. Prova con l’Atlas Brookings.

– A che serve parlare dell’Atlas Brookings? Non ho la minima possibilità.

– Sicuro che ce l’hai, Ricky. Sei un ragazzo sveglio. Perfino mia madre dice che la possibilità ce l’hai.

– Teorica. L’Atlas Brookings può anche spararla grossa, ma la percentuale è meno del due per cento. Tutto qui. La percentuale di ammissioni tra i non potenziati è inferiore al due per cento.

– Ma tu sei piú intelligente di qualsiasi non potenziato che cerchi di entrare. Quindi, perché non ci provi? Te lo dico io perché. È perché tua madre vuole che tu rimanga con lei per sempre. Non le va che tu possa uscire di casa e diventare un adulto a tutti gli effetti. Ehi, ancora non hai finito? Il prossimo è pronto.

Rick taceva, osservando il disegno. Nonostante l’annuncio, Josie continuava ad aggiungere dettagli sul foglio.

– In ogni caso, – proseguí, – come potrà funzionare se io ho relazioni e tu no? Mia madre guida troppo veloce. Ma se non altro ha coraggio. Va storta con Sal, e lei trova lo stesso il coraggio di procedere un’altra volta con me. Ci vuole coraggio, giusto?

Rick d’improvviso si sporse in avanti e cominciò a scrivere sul disegno. Usava spesso una rivista per appoggiare il foglio, ma questa volta vidi che lo teneva direttamente sulla coscia e che perciò si stava spiegazzando. Lui però continuava a scrivere rapidamente, poi si tirò su lasciando cadere a terra la matita a punta. Anziché passare il disegno a Josie, lo lanciò verso il letto, facendolo atterrare sul piumino davanti a lei. Poi si ritrasse fino alla porta senza mai smettere di guardarla a occhi sgranati pieni di rabbia e di paura.

Josie si volse sorpresa. Poi depose anche lei la matita a punta e allungò una mano verso il foglio. Per un bel po’, rimase a fissarlo con gli occhi vuoti mentre Rick la osservava dalla porta.

– Non posso credere che tu abbia scritto questo, – disse alla fine. – Perché l’hai fatto?

Mi girai sul Divano dei Bottoni, stimando che la tensione avesse raggiunto un livello tale da non giustificare piú l’assoluta privacy. Rick forse si era dimenticato della mia presenza, perché quando mi voltai sembrò trasalire. Mi intercettò per un istante, con un’espressione tuttora carica di paura e di rabbia, dopodiché lasciò la stanza senza proferire parola. Ascoltammo i suoi passi mentre scendeva le scale.

Quando arrivò il rumore della porta di casa, Josie sbadigliò, scostò tutto dal letto e si coricò a faccia in giú, come se la visita si fosse conclusa nel solito modo.

– Rick può essere cosí faticoso a volte, – disse dentro al cuscino.

Lasciai il Divano dei Bottoni e cominciai a riordinare la stanza. Gli occhi di Josie restavano chiusi e non disse altro, ma sapevo che non si era addormentata. Continuando a riordinare, lanciai uno sguardo automatico al foglio che aveva causato la tensione.

Come prevedevo, il disegno raffigurava Josie e Rick. C’erano parecchie imprecisioni, ma anche somiglianze sufficienti a non lasciare dubbi riguardo alle identità volute. Josie Disegnata e Rick Disegnato sembravano fluttuare in cielo, mentre alberi, strade e case sottostanti si riducevano a miniature in remota lontananza. Dietro di loro, in una sezione di cielo, sette uccelli volavano in formazione. Josie Disegnata teneva con entrambe le mani un uccello molto piú grande che porgeva a Rick Disegnato come fosse un dono speciale. Josie Disegnata mostrava un ampio sorriso e Rick Disegnato un’espressione di emozionato stupore.

Non c’era fumetto per Rick Disegnato. L’unico presente era per i pensieri di Josie Disegnata, e Rick aveva scritto:

«Vorrei poter uscire a passeggiare e correre e andare in skateboard e nuotare nei laghi. Ma non posso perché mia madre ha Coraggio. Perciò quello che invece posso fare è stare a letto ed essere malata. Sono contenta. Davvero contenta».

Aggiunsi il disegno a quelli che andavo raccogliendo, assicurandomi che non si trovasse in cima. Josie restava immobile e quieta, a occhi chiusi, ma sapevo che non dormiva. Nei giorni che avevano preceduto le Morgan’s Falls forse le avrei parlato a quel punto, e Josie avrebbe risposto sinceramente. Ma l’umore tra noi era diverso adesso, perciò decisi di non dire nulla. Mi avvicinai alla specchiera e, abbassando la mano, sistemai l’ultimo fascio di fogli accanto agli altri nello spazio sottostante.

L’indomani Rick non si presentò, e nemmeno il giorno dopo. Ma quando Domestica Melania chiese: «Dove andato ragazzo? Caduto malato?», Josie si limitò a stringersi nelle spalle senza dire nulla.

Con il passare dei giorni senza nessuna visita da parte di Rick, Josie si fece piú silenziosa e i segnali divennero del tipo state alla larga. Continuava a disegnare dal letto ma, senza Rick e il gioco dei fumetti, il suo entusiasmo si spegneva presto e spesso gettava disegni incompleti sul pavimento, per poi distendersi a fissare il soffitto.

Un pomeriggio, proprio mentre fissava in quel modo, le dissi: – Se volessi, Josie, potremmo fare il gioco dei fumetti. Se Josie disegna, io posso fare del mio meglio per inventare parole adatte.

Continuò a fissare l’aria. Poi si girò e disse: – Senti. È proprio una cosa che non può funzionare. Non mi dà fastidio sapere che ascolti. Ma non c’è modo che tu possa prendere il posto di Rick. È escluso.

– Capisco. Mi dispiace. Non avrei dovuto proporre…

– No. Non avresti dovuto.

Trascorsero altri giorni senza visite di Rick. Josie si fece letargica e io temevo che potesse di nuovo indebolirsi. Pensavo che sarebbe stato il momento perfetto per l’aiuto speciale del Sole, perciò ogni volta che il suo disegno nella stanza si modificava all’improvviso, o quando tornava a brillare dopo una fase di cielo coperto, osservavo con particolare attenzione. Ma sebbene continuasse inarrestabile a inviare il suo consueto nutrimento, l’aiuto speciale non arrivò.

Una mattina tornavo in camera da letto dopo aver riportato il vassoio della colazione di Josie, e la trovai seduta dritta appoggiata ai cuscini a disegnare alacremente con uno slancio che somigliava a quello di un tempo. Aveva un’espressione serissima che non le avevo mai visto in faccia mentre lavorava a un disegno, e quando cercai di conversare con lei, non rispose. A un certo punto, quando, riordinando la stanza, mi avvicinai al suo letto, si sistemò in modo che non potessi vedere nessuna parte del foglio.

Dopo un poco strappò la pagina, l’accartocciò in una palla e la lasciò cadere in un solco del piumino tra se stessa e la parete. Poi cominciò un disegno nuovo, spalancando gli occhi con aria nervosa. Sedetti sul Divano dei Bottoni, rivolta verso di lei di modo che sapesse che ero pronta a conversare in qualunque momento gliene venisse voglia.

Dopo quasi un’ora depose la matita a punta e fissò a lungo il disegno.

– Klara? Lo vedi laggiú, il cassetto in basso a sinistra? Mi prenderesti una busta? Una di quelle grandi imbottite.

Mentre stavo accucciata davanti al cassetto, vidi Josie riprendere la matita a punta e dai suoi movimenti capii che non stava piú disegnando, bensí scrivendo parole. Poi ripiegò il disegno sistemando un foglio bianco tra le due metà per evitare che si macchiasse, prese la busta imbottita e ci infilò dentro con cura il disegno. Dopo aver scollato il sottile nastro adesivo, sigillò la busta, schiacciando bene il bordo per sicurezza.

– Ecco fatto, molto bene, – disse rigirandosi la busta tra le mani come se il gesto le desse conforto. Ma mentre mi allontanavo dal letto, lei d’improvviso me la sporse. – Ti spiacerebbe mettere questa nello stesso cassetto in cui hai trovato la busta? In basso a sinistra?

– Certo –. La presi ma non mi diressi subito al cassetto. Mi fermai invece in mezzo alla stanza con la busta in mano e la guardai. – Mi chiedo se questo disegno non sia un dono speciale per Rick da parte di Josie.

– Che cosa te lo fa dire?

– Era solo una stima.

– Beh, la tua stima è giusta. Volevo farlo per Rick. Per la prossima volta che viene.

Ci fu silenzio mentre lei mi osservava e non sapevo se Josie era solo impaziente che mettessi la busta nel cassetto come mi aveva chiesto di fare, o se aspettava che dicessi qualcosa a proposito di Rick e delle sue visite. Alla fine dissi:

– Forse verrà di nuovo presto.

– Può darsi. Al momento niente ce lo fa supporre, però.

– Secondo me, Rick sarà contento del disegno. Vedrà che Josie l’ha fatto con cura speciale.

– Non l’ho fatto con cura speciale –. Mi lanciò un’occhiata arrabbiata. – Mi annoiavo e ho fatto un altro disegno. Tutto lí. Però hai ragione. È per Rick. Il problema è che per averlo dovrebbe venire qui. E lui qui non viene piú.

Continuava a fissarmi. Io restavo ferma in mezzo alla stanza.

– Josie, – dissi dopo un po’. – Se ti fa piacere, potrei portarglielo io.

Il suo sguardo si riempí di sorpresa e di agitazione. – Vuoi dire portarlo da lui? A casa sua?

– Sí. È soltanto la casa vicina, dopotutto.

– Non mi sembra che sarebbe tanto strano se glielo portassi. Gli altri AA sbrigano commissioni tutto il tempo, no?

– Sarei felice di andare. Credo che saprei trovare il corretto percorso per casa sua.

– E lo faresti anche oggi? Prima di pranzo?

– Quando Josie desidera. Se ti fa piacere, posso portarglielo anche adesso. Subito.

– Secondo te è una buona idea?

Sollevai un poco la busta imbottita. – Mi farebbe molto piacere portare il disegno di Josie a Rick. Sarebbe bello per me esplorare il fuori. E se Rick riceverà questo disegno speciale, può darsi che perdonerà Josie e sarà di nuovo il suo migliore amico.

– In che senso «perdonerà»? Sono io che devo perdonare lui. Che cosa stupida hai detto, Klara. Non mi va che tu glielo porti adesso, credo.

– Chiedo scusa. È un errore mio. Non ho ancora capito bene le regole del perdono. Ma credo comunque che sarebbe meglio portargli il disegno. Credo che gli piacerebbe.

La rabbia svaní dal suo viso. – Ok. Avanti allora. Portaglielo –. E mentre mi giravo aggiunse: – Probabilmente hai ragione. Forse è lui che mi deve perdonare.

– Ora glielo porto e vediamo che cosa fa.

– Ok –. Poi sorrise. – Se fa commenti sgarbati, lo strappi subito, d’accordo? – Il suo sorriso era quasi come quelli di prima delle Morgan’s Falls. Allora sorrisi anch’io, e dissi: – Spero che non sarà necessario.

Si abbandonò sul cuscino con fare scherzoso. – Ok. Vattene, ho bisogno di riposare adesso.

Ma mentre uscivo dalla stanza, tenendo stretta la busta imbottita, all’improvviso mi disse: – Ehi, Klara?

– Sí?

– Chissà che noia, eh? Vivere qui con una ragazza malata.

Sorrideva ancora, ma colsi della paura sotto il suo sorriso.

– Non è mai una noia stare con Josie.

– Mi hai aspettata per tutto quel tempo nel negozio. Scommetto che adesso preferiresti essere andata via con qualche altro bambino.

– Non ho mai voluto niente del genere. Era mio desiderio essere l’AA di Josie. E si è avverato.

– Sí, ma… – Emise il suono di una breve risata piena di tristezza. – Ma era prima di arrivare qui. Ti avevo promesso che sarebbe stato fantastico.

– Sono molto felice qui. Non ho altro desiderio che essere l’AA di Josie.

– Se starò meglio potremo andare fuori tutto il tempo. Potremmo andare in città, incontrare mio padre. Lui forse potrebbe portarci in altre città.

– Quelle sono possibilità per il futuro. Ma Josie deve sapere una cosa. Non avrei potuto trovare una casa migliore di questa. O un bambino migliore di Josie. Sono cosí contenta di avere aspettato. Che Direttrice mi abbia permesso di aspettare.

Josie ci pensò su. Poi quando sorrise di nuovo, lo fece con tanta gentilezza e senza paura. – Insomma, siamo amiche, giusto? Migliori amiche.

– Sí, certo.

– Ok. Bene. Perciò ricordati. Non farti trattare male da Rick.

Sorrisi anch’io allora, e sollevai la busta imbottita per assicurarle che ne avrei avuto buona cura.

Domestica Melania non sollevò obiezioni all’idea che andassi da sola a casa di Rick per la mia commissione. Ciononostante, mentre percorrevo le pietre sconnesse diretta al cancello a cornice di quadro, rimase sulla porta a guardarmi, e rientrò solo quando ormai ero nel primo prato.

Imboccai il sentiero informale e il terreno si fece presto imprevedibile al passo, ora morbido ora duro. L’erba mi arrivava alle spalle e mi attraversò la mente il timore di poter perdere l’orientamento. Ma quella parte del prato era suddivisa in riquadri ordinati perciò, passando dall’uno all’altro, ero in grado di vedere chiaramente i riquadri successivi allineati davanti a me. Meno d’aiuto era il modo in cui l’erba di frequente mi saltava addosso, ora da un lato ora dall’altro, ma imparai subito a controllare anche questo, scostandola con un braccio. Se avessi avuto entrambe le braccia libere avrei camminato anche piú in fretta, ma ovviamente in una mano tenevo la busta di Josie e non potevo rischiare di danneggiarla. Poi l’erba alta finí e mi trovai di fronte alla casa di Rick.

Anche osservandola da lontano, avevo già stimato che la casa di Rick non fosse di alto livello come quella di Josie. Adesso vedevo bene che molte delle assi dipinte di bianco erano diventate grigie – se non addirittura marroni, in certi punti – e che tre delle finestre erano rettangoli scuri senza tende né avvolgibili. Salii una scala di tavole di legno che si piegavano sotto i miei passi e giunsi su una pedana fatta a sua volta di tavole di legno, con fessure tra l’una e l’altra attraverso le quali vedevo il terreno fangoso. Vicino alla porta d’ingresso c’era un frigorifero coricato di lato, con il retro esposto alla vista dei passanti, e notai che i ragni si erano fatti il nido dentro al tortuoso sistema di tubi metallici. Mi ero fermata a osservare le loro delicate ragnatele, quando la porta si aprí – benché non avessi premuto nessun bottone – e Rick uscí sulla pedana.

– Chiedo scusa, – mi affrettai a dire. – Non volevo toglierti privacy. Sono venuta per una commissione importante.

Non sembrava arrabbiato, ma non disse nulla e continuò a fissarmi.

– Gli AA svolgono spesso commissioni importanti, – dissi. – Josie mi ha incaricata di darti questa –. Sollevai la busta.

D’improvviso Rick sembrò emozionato, ma solo per un istante. – Hai fatto bene a venire, allora, – disse.

Forse si aspettava che mi limitassi a consegnargli la busta e ad andare via. Ma io avevo previsto questa possibilità perciò non feci il gesto di offrirgliela. Restammo cosí uno di fronte all’altra sulle tavole di legno, col vento che si infilava tra le fessure.

– In tal caso, – disse alla fine, – sarà meglio che entri. Ti avviso. Non è una reggia.

L’ingresso aveva il pavimento di legno scuro, e passammo accanto a un baule aperto pieno di oggetti vari tipo lampade rotte e scarpe individuali. Rick mi fece strada in uno stanzone con una grande finestra affacciata sui prati. Gli arredi non erano moderni né interconnessi come quelli dell’Open Space: c’era un pesante armadio scuro, tappeti a disegni sbiaditi, sedie morbide e sedie dure di forme e dimensioni diverse. Delle tante piccole immagini appese alle pareti, certe erano fotografie, altre disegni, e anche qui i ragni avevano fatto il nido negli angoli delle cornici. C’erano libri, orologi con il quadrante rotondo, tavolini bassi. Capii che calcolare il percorso non sarebbe stato facile, perciò scelsi un punto in cui il pavimento era abbastanza sgombro, mi ci diressi e mi fermai con la schiena rivolta alla grande finestra.

– Ecco, è qui che viviamo, – disse Rick. – Mia madre e io.

– Sei gentile a farmi entrare.

– Ti ho guardata arrivare dal piano di sopra. Tra poco devo tornare su –. Fece solo il gesto alzando gli occhi al soffitto. Poi disse con voce triste: – Immagino avrai notato l’odore.

– Non sento gli odori.

– Oh, scusami, non sapevo. Credevo che l’olfatto fosse una facoltà importante. Per la sicurezza, intendo. Odore di bruciato, roba cosí.

– Forse è per questo che ai B3 è stato aggiunto un olfatto, anche se limitato. Io non ce l’ho, invece.

– Beh, buon per te, in questo preciso momento. Perché questa casa continua a puzzare. Anche se stamattina ho pulito l’ingresso. L’ho passato e ripassato –. Gli si erano riempiti gli occhi di lacrime, ma continuava a guardarmi.

– La madre di Rick non sta bene?

– Potremmo dire cosí. Anche se non è malata nel modo in cui lo è Josie. Preferirei non parlare della mamma se non ti dispiace. Come sta Josie ultimamente?

– Temo che non stia meglio.

– Peggio?

– Peggio forse no. Ma credo che la sua condizione sia molto seria.

– Come pensavo –. Sospirò e sedette sul divano di fronte a me. – E ti ha mandato qui per una commissione.

– Sí. Voleva che ti dessi questo. Ci ha lavorato con impegno speciale.

Gli sporsi la busta in modo che potesse prenderla rimanendo seduto sul divano. Ma lui si alzò lo stesso, malgrado si fosse appena seduto, prese la busta e l’aprí con cautela.

Osservò a lungo il disegno e la sua faccia stava per sorridere. – Rick e Josie per sempre, – disse alla fine.

– È quello che c’è scritto? Dentro il fumetto?

– Oh, pensavo l’avessi visto.

– Josie l’ha infilato nella busta senza mostrarmelo.

Continuò a guardarlo ancora un momento, poi lo girò in modo che lo potessi vedere.

Era diverso da tutti quelli che avevo visto durante il gioco dei fumetti. Gran parte del foglio era piena di oggetti acuminati, molti con punte arrabbiate che si intrecciavano in un groviglio inestricabile. Josie aveva utilizzato matite di vari colori per creare il groviglio, ma l’effetto complessivo era scuro e minaccioso. Tuttavia, aveva mantenuto uno spazio sgombro e tranquillo nell’angolo in basso a sinistra dove si vedevano le figure di due piccole persone che, dando le spalle ai passanti, camminavano mano nella mano. Erano troppo simili a stecchi per risultare identificabili se non come un maschio e una femmina, ma sembravano felici e spensierati. C’era un fumetto sopra le loro teste, ma dal momento che non aveva la solita codina e nemmeno i puntini di sospensione, le parole che conteneva sembravano piú l’insegna su un poster o sulla portiera di un taxi che i pensieri di una delle due persone.

– Allora? Che ne pensi? – domandò.

– È bellissimo. Mi sembra un disegno gentile.

– Sí. Credo di sí. E contiene un messaggio gentile.

All’improvviso dal piano di sopra arrivarono musica forte e voci elettroniche e il viso di Rick si rabbuiò. Si precipitò fuori dalla stanza, tenendo il disegno di Josie in mano.

– Mamma! – gridò nell’ingresso. – Mamma! Per l’amor di Dio abbassa quella roba!

Una voce dal piano di sopra disse qualcosa, e Rick aggiunse piú dolcemente: – Salgo tra un attimo. Ma adesso ti prego. Abbassa.

I suoni elettronici si smorzarono e quando Rick tornò nella stanza grande, stava di nuovo guardando il disegno di Josie.

– Sí, è un disegno gentile. Ringrazia Josie da parte mia.

– Secondo me Josie sperava che Rick venisse a ringraziarla di persona.

Il suo sorriso si spense. – Ma non è cosí semplice, come sai, – disse. – Tu sei là tutto il tempo e registri quello che succede. Perciò lo sai meglio di me. Il modo in cui mi provoca in continuazione. Non c’è motivo per cui uno dovrebbe accettarlo. Prima esagera, poi crede di poter aggiustare tutto con un bel disegno. Che mi fa consegnare da un’AA. Beh, sarà meglio che lo capisca. Non sempre le cose si aggiustano facilmente.

– Se Rick le facesse visita ancora una volta, credo che Josie potrebbe volergli chiedere scusa.

– Sul serio? Senti, conosco Josie e secondo me è abbastanza convinta che sia io quello che deve chiederle scusa.

– Josie e io abbiamo già fatto esattamente questa discussione. Io credo che sia suo desiderio scusarsi con Rick.

– Immagino di essere stato un po’ sopra le righe anch’io. Ma non può continuare a parlare cosí della mamma. Non è giusto. Mia madre fa quel che può e comunque sta migliorando.

Anche se il Rick che mi aveva aperto la porta e mi si era parato davanti sulla pedana somigliava molto a quello che mi aveva ignorata nel corso di tutte le visite, adesso era interessante notare quanto fosse diventato molto piú simile alla persona con cui avevo parlato all’incontro di interazione dopo che erano usciti i ragazzi. Anzi, era quasi come se l’attuale versione di Rick mi incontrasse per la prima volta da quel pomeriggio e riprendesse la conversazione che avevamo iniziato.

– Sono d’accordo: le parole di Josie certe volte non sono state gentili, – dissi. – Ma può darsi sia perché Josie è convinta che la madre di Rick voglia tenersi Rick troppo stretto. Troppo stretto per rendere possibile nel futuro il progetto di Rick e Josie.

– Ma perché Josie se la prende sempre con la mamma? Non è giusto.

– Josie è in pensiero per il progetto. Secondo me crede che la madre di Rick non voglia lasciarlo andare perché ha paura della solitudine che patirebbe.

– Senti, sarai pure un’AA molto sveglia. Ma ci sono un mucchio di cose che non sai. Se ascolti sempre e soltanto la campana di Josie, non avrai mai un quadro completo. E non si tratta solo di mia madre. Josie ormai cerca continuamente di incastrarmi.

– Incastrarti?

– Devi averla sentita. Non fa altro, ultimamente. I casi sono due. O mi accusa di pensare troppo a quella cosa. Oppure si offende perché non penso a lei abbastanza in quel modo. Cerca di incastrarmi, qualsiasi cosa io dica. Sostiene che smanio per le ragazze che vedo sul mio SD, e la volta dopo che me le nomina e io non reagisco, dice che ho qualcosa che non va, che non sono normale. Continua a ripetere che ci conosciamo troppo bene da quando eravamo piccoli e perciò la questione sessuale potrebbe non funzionare affatto tra noi. E qualsiasi cosa io cerchi di dire o di fare comunque sbaglio e rimango incastrato. E poi quanto insiste su mia madre. Sta esagerando. Progetto o non progetto, non è giusto, comunque.

Sedette di nuovo, con il disegno del Sole addosso. Depose il disegno di Josie con cura sul divano accanto a sé, e continuò a fissarlo, anche se era capovolto.

– In ogni caso, – disse sottovoce, – adesso Josie è malata. Niente di tutto questo, il nostro progetto intendo, niente avrà alcun valore se lei non guarisce. E per come vanno le cose… non so come pensarla di questi tempi –. Alzò gli occhi a guardarmi. – Senti, Klara. Tu dovresti essere super intelligente. Allora, qual è la tua… stima? Quanto è malata Josie?

– Io credo, come ho detto, che la malattia di Josie sia seria. Potrebbe indebolirsi al punto da doversi spegnere, come sua sorella. Ma credo ci sia per lei un modo di guarire che gli adulti non hanno ancora considerato. Credo inoltre che la situazione sia diventata urgente e che non possiamo aspettare oltre. E anche se può sembrare che sia sgarbato e tolga privacy, forse è arrivato il momento di agire. Oggi naturalmente sono venuta qui per la mia importante commissione. Ma speravo anche di poter ricevere da Rick qualche consiglio utile.

– Sei tu la super intelligente e io l’idiota che non è nemmeno stato potenziato. Comunque, ok. Se vuoi, proverò a consigliarti. Spara.

– Vorrei attraversare i prati fino al fienile di Mr McBain. Credo che Rick ci sia stato almeno una volta. Me l’ha raccontato Josie.

– Vuoi dire il fienile laggiú? In effetti ci siamo stati una volta, quando eravamo piccoli. Ma poi lei si è ammalata. Io ci sono tornato da allora, per conto mio. Non è niente di speciale. Un posto per riposarsi un po’ all’ombra se capita di fare una passeggiata in zona. Che c’entra, comunque, con l’aiutare Josie?

– Preferirei non dirlo per ora, in caso fosse un segreto assoluto. È addirittura possibile che mi spinga troppo in là già solo andando al fienile di Mr McBain. Ma sento di doverci provare adesso.

– Vuoi parlare con Mr McBain? Della salute di Josie? Dovresti essere davvero fortunata per incontrarlo. Abita a cinque miglia da lí sul suo terreno padronale. Non viene quasi mai da queste parti ultimamente.

– Non era con Mr McBain che volevo parlare. Ma ti prego, non farmelo dire perché potremmo rischiare di perdere l’aiuto speciale per Josie. A Rick chiedo solo qualche consiglio utile –. Mi girai finché entrambi ci trovammo a guardare fuori della grande finestra. – Per favore, esiste nell’erba un sentiero informale che porta al fienile, come quello che mi ha portato alla casa di Rick?

Si alzò e raggiunse la finestra. – C’è una specie di sentiero. Certi giorni è piú facile da percorrere e altri giorni meno. Come hai detto tu, è informale. Nessuno lo tiene pulito né sgombro. Certe volte lo trovi invaso dall’erba. Ma se è ingombro o fradicio, di solito si riesce a trovarne un altro. C’è sempre un modo di attraversare il prato, anche d’inverno –. All’improvviso mi squadrava dalla testa ai piedi, come se mi osservasse seriamente per la prima volta. – Ci capisco poco di AA. Quindi non so quanto sarà difficile per te. Se ti va posso accompagnarti. Se questo può davvero aiutare Josie mi fa piacere rendermi utile, anche se al momento non ci rivolgiamo la parola.

– È molto gentile da parte di Rick. Ma credo di doverci andare da sola. Come ho detto, è possibile che…

– Oh Dio… – D’improvviso Rick si voltò e si diresse alla porta.

Mi ero già accorta dei passi all’interno dell’edificio, ma adesso erano proprio nell’ingresso. Poi entrò nella stanza Miss Helen – non sapevo ancora che si chiamasse cosí. Il suo sguardo spaziò tutto intorno, ma parve non notarmi. Aveva una giacca leggera sulle spalle (tipo quelle che indossano le lavoratrici di ufficio fuori dall’ufficio) e non ci aveva ancora infilato le braccia, perciò la teneva stretta per impedire che scivolasse a terra mentre lei raggiungeva un baule di legno sotto il davanzale della finestra.

– Dove sarà? Che stupida che sono –. Sollevò il coperchio del baule e prese a frugarvi dentro.

– Mamma, che cosa stai cercando?

Rick sembrava seccato, come se la madre avesse infranto una regola. Venne vicino a me ed entrambi osservammo Miss Helen china sul baule.

– Lo so, lo so, – disse. – Abbiamo visite. Sarò da voi tra un minuto.

Quando si raddrizzò trovandosi di fronte a noi, aveva in mano una scarpa, con l’altra che penzolava appesa a un laccio ingarbugliato.

– Chiedo scusa, – disse, guardandomi dritto negli occhi. – Sono una gran maleducata. Benvenuta.

– Grazie.

– Non si sa mai come comportarsi con un ospite come te. In fondo, non è nemmeno sicuro che di ospite si possa parlare, no? Che faccio, ti tratto come un aspirapolvere? È quello che ho appena fatto, suppongo. Mi dispiace.

– Mamma, – disse Rick sottovoce.

– Non ti agitare, tesoro. Lasciami fare la conoscenza della nostra visitatrice a modo mio.

La scarpa penzoloni precipitò nel baule. Miss Helen la fissò, tenendo l’altra in mano. Mi resi conto che Rick era sempre piú a disagio e avrei voluto andarmene per dargli privacy, ma Miss Helen riprese a parlarmi.

– Lo so chi sei. L’amichetta di Josie. Un successone, sei stata! L’ho saputo da Chrissie. Viene qui spesso, sai. Dico bene, Rick? Ma perché non ti siedi?

– Lei è molto gentile. Ma credo che dovrei tornare.

– Non per colpa mia, spero. Sono scesa sperando di potermi fare una bella chiacchierata.

– Mamma, Klara ha degli obblighi. E tu probabilmente sei ancora stanca.

– Sto bene, tesoro, grazie –. Poi, rivolgendosi a me aggiunse: – A quanto pare non ero in gran forma, ieri sera. Allora, Klara, devi essere curiosa sul mio conto. Chrissie dice che sei curiosa di tutto. In tal caso, devi aver notato che sono inglese. Sei programmata per riconoscere gli accenti? O magari riesci a vedermi dentro in profondità, dritto fino al dna.

– Mamma, ti prego.

– Nel negozio venivano spesso persone inglesi, – dissi sorridendo. – Perciò tutti noi AA abbiamo imparato a conoscere il suo modo di parlare. Lo trovavamo molto gradevole e Direttrice, la signora che si occupava di noi, ci incoraggiava a imitarlo.

– L’idea di un mucchio di robot a un corso di dizione! Fantastico!

– Mamma…

– E a proposito di corsi, Klara. Ti chiami Klara, giusto? A proposito di corsi, c’è un’idea che gira da un po’ in questa casa.

– Mamma. Assolutamente no. A Klara non interessa…

– Fammi parlare, tesoro. Abbiamo qui lei in persona, approfittiamo dell’occasione, no? Devo dire, tesoro, che ultimamente hai la tendenza a spadroneggiare. È molto irritante. Klara, ti va di sentire la nostra idea?

– Certo.

Rick fece il gesto di incamminarsi come se volesse lasciare la stanza disgustato. Ma si fermò sulla soglia, sicché da dove mi trovavo riuscivo a vedere solo una parte della sua schiena e il dietro dei gomiti.

– Io non c’entro con tutto questo, – esclamò, come rivolgendosi a qualcuno nell’ingresso.

Miss Helen mi sorrise e sedette sul divano che Rick aveva occupato prima. Si sistemò la giacca con una mano, mentre nell’altra teneva ancora la scarpa.

– Una volta Rick andava a scuola, sai. Una scuola vera, intendo, di quelle all’antica. Un po’ disorganizzata, in effetti, ma ci si era fatto dei buoni amici. Non è vero, caro?

– Non intendo partecipare.

– E allora perché continui a ronzare qua attorno? Sei proprio strambo, tesoro. Sul serio, deciditi, o resti o te ne vai.

Rick non si mosse, continuò a darci le spalle, appoggiato allo stipite della porta.

– Insomma, per farla breve Rick ha lasciato la scuola per l’istruzione domestica, come tutti i bambini dotati. Poi però, come forse già sai, beh, le cose si sono complicate.

Miss Helen tacque di colpo fissando un punto oltre la mia spalla. Credevo che avesse visto qualcosa nella grande finestra dietro di me, e stavo per girarmi, ma lei disse:

– Non c’è niente laggiú, Klara. Mi ero solo persa nei miei pensieri. Ricordavo un episodio. Mi capita qualche volta. Rick te lo spiegherà. Mi serve che qualcuno mi scuota con una scrollatina, quando succede.

– Mamma, per l’amor del cielo…

– Dove eravamo? Ah, sí, al progetto di affidare l’istruzione di Rick a lezioni su schermo come succede a tutti i ragazzi dotati. Ma ovviamente devi sapere che la faccenda si è complicata. Ecco. Tesoro, vuoi raccontarla tu la storia, da qui? Non ti va? Beh, per fartela breve, anche se Rick non è mai stato potenziato, per lui c’è ancora una discreta opportunità. L’Atlas Brookings accetta un piccolo numero di allievi non potenziati. È l’unico college vero e proprio che ancora lo faccia. Credono nella bontà del principio, grazie al cielo. Naturalmente ogni anno ci sono pochissimi posti disponibili e la competizione quindi è spietata. Ma Rick è intelligente e se si applicasse, e magari con un minimo di guida competente, del genere che io non so dargli, avrebbe una buona chance. E invece sí, tesoro! È inutile che scuoti la testa! Però, per fartela breve, non riusciamo a trovare insegnanti su schermo per lui. I casi sono due: o sono membri del TWE, che vieta agli iscritti di accettare allievi non potenziati, oppure sono pirati con onorari ridicoli che ovviamente noi non siamo in condizione di pagare. Poi però abbiamo saputo del tuo arrivo qui accanto, e mi è venuta un’idea stupenda.

– Mamma! Sul serio. Non voglio che andiamo oltre sull’argomento! – Rick era rientrato nella stanza e si dirigeva a lunghi passi verso sua madre come se volesse prenderla di peso e trascinarla via.

– D’accordo, tesoro, se ci tieni tanto ci fermiamo qui.

Rick nel frattempo era accanto al divano e scrutava torvo Miss Helen. Lei si spostò quanto bastava per poter continuare a ignorare lui e guardare me.

– Poco fa, Klara, quando sembrava che sognassi. Beh, non sognavo, invece. Guardavo laggiú, – indicò con la scarpa dietro di me, – e ricordavo. Girati pure e guarda quanto ti pare. Ti garantisco che non c’è un bel niente adesso. Ma una volta, un po’ di tempo fa, io ho guardato là fuori e ho visto qualcosa, invece.

– Mamma, – ripeté Rick, ma ora che Miss Helen aveva cambiato argomento, la sua voce era meno assillante. Si volse in parte verso di me, ritraendosi in modo da sgomberare la visuale a sua madre.

– Era una bella giornata, – disse Miss Helen. – Verso le quattro del pomeriggio. Ho chiamato Rick a vedere e ha visto anche lui, vero, caro? Anche se sosteneva di essere arrivato troppo tardi.

– Poteva essere qualunque cosa, – disse Rick. – Proprio qualunque.

– Quello che ho visto era Chrissie, la madre di Josie cioè. L’ho vista sbucare dall’erba, laggiú, tenendo una persona per un braccio. Non mi sto spiegando bene. Voglio dire che l’altra persona pareva avesse cercato di scappare e che Chrissie l’avesse inseguita. E l’avesse acchiappata senza però riuscire a fermarla del tutto. E finirono per ruzzolare in terra tutt’e due, per cosí dire. Proprio laggiú, al confine tra l’erba e il nostro terreno.

– La mamma quel giorno non era forse nelle condizioni piú adatte a vederci chiaro.

– Ci vedevo perfettamente, invece. A Rick questa storia non piace, perciò prova sempre a insinuare ipotesi di ogni tipo.

– Vuol dire – domandai – che ha visto la madre di Josie sbucare dall’erba con una bambina? Che non era Josie?

– Chrissie cercava di trattenere questa persona e alla fine ci riuscí. Proprio laggiú. Chrissie aveva le braccia intorno alla bambina. Rick arrivò in tempo per vedere questa scena. Poi sparirono di nuovo insieme nell’erba.

– Poteva essere chiunque –. Ormai piú tranquillo, Rick sedette accanto alla madre e anche lui si mise a fissare un punto al di là di me fuori della finestra. – Ok, una delle due era la mamma di Josie. Te lo concedo. Ma l’altra…

– L’altra assomigliava a Sal, – disse Miss Helen. – La sorella di Josie. Per questo ho chiamato Rick. Perché erano passati due anni buoni da quando Sal teoricamente era morta.

Rick scoppiò a ridere e, cingendole una spalla, gliela strinse affettuosamente, scompigliando la giacca leggera. – La mamma ha certe teorie bizzarre. Tipo quella che Sal non sarebbe morta e vivrebbe in quella casa dentro un armadio.

– Non ho mai detto questo, Rick. Mai avanzato seriamente questa ipotesi. Sal è scomparsa, è stata una tragedia enorme e sul ricordo di lei non si deve scherzare. Dico solo che la persona che ho visto, quella che cercava di scappare da Chrissie, somigliava a Sal. Tutto qui.

– Ma che storia strana, – dissi.

– Sai, Klara, pensavo, – disse Rick, – Josie potrebbe chiedersi dove sei finita.

– Ah, ma la nostra amichetta non può ancora andarsene, – disse Miss Helen. – Mi sono appena ricordata di che cosa stavamo parlando. Parlavamo dell’istruzione di Rick.

– No, mamma, basta cosí!

– Ma tesoro, visto che Klara è qui gliene voglio parlare. E questo, cos’è? – Miss Helen aveva notato il disegno di Josie che Rick aveva lasciato sul divano, capovolto sopra la busta.

– Basta cosí! – Prima che Miss Helen potesse raggiungerlo, Rick afferrò il disegno e si alzò di scatto.

– Ci risiamo, tesoro. Di nuovo pronto a spadroneggiare. La devi smettere.

Dando la schiena a Miss Helen per nascondere quel che faceva, Rick infilò con cura il disegno di Josie dentro la busta. Poi uscí dalla stanza senza fermarsi sulla soglia. Udimmo i suoi passi decisi in ingresso, poi la porta che si apriva e si richiudeva sbattendo.

– Un po’ d’aria gli farà bene, – disse Miss Helen. – Tende a rinchiudersi. Adesso ha perfino smesso di andare a trovare Josie qui accanto.

Di nuovo guardava al di là di me fuori della grande finestra e questa volta quando mi girai vidi la figura di Rick sulle tavole di legno, china sulla ringhiera dove la scala scendeva dalla pedana. Puntava lo sguardo sui prati, con il disegno del Sole addosso. Il vento gli scompigliava i capelli, ma lui si manteneva immobile.

Miss Helen si alzò dal divano e avanzò di alcuni passi verso di me finché ci trovammo l’una a fianco dell’altra davanti alla finestra. Era piú alta della Madre di quattro o cinque centimetri. Tuttavia quando era in piedi non stava dritta come la Madre bensí curva in avanti in modo mite quasi che anche lei, come l’erba alta del fuori, fosse piegata dal vento. In quel momento non era affatto frazionata e, alla luce della finestra, riuscivo a vederle anche i minuscoli peli bianchi sul mento.

– Non mi sono presentata come dovevo, – disse. – Chiamami pure Helen. Sono stata molto scortese.

– Tutt’altro. È stata molto gentile. Ma temo che la mia visita abbia causato qualche attrito.

– Oh, ma gli attriti ci sono sempre. A proposito, prima che lo domandi. La risposta è sí. L’Inghilterra mi manca. In particolare ho nostalgia delle siepi. In Inghilterra, almeno nella zona da cui provengo, intorno si ha solo verde e sempre diviso da siepi. Siepi, ci sono siepi dappertutto. Cosí ordinate. E guarda qui, invece. Non c’è mai fine. Suppongo ci siano recinzioni là in mezzo da qualche parte, ma come si fa a saperlo?

Tacque, perciò io dissi: – Credo che in effetti ci siano. Sono tre prati diversi, separati da recinzioni.

– Una recinzione si può abbattere in un momento, – disse. – E poi metterne un’altra un po’ piú in là. Si può modificare l’intera configurazione del territorio in un paio di giorni. Una terra divisa da recinzioni è cosí provvisoria. Si possono cambiare le cose con la facilità con cui si cambia un fondale di scena. In passato recitavo, sai. Teatri di un certo livello, qualche volta. Ma anche squallidi. Che cos’è in fondo una recinzione? Una scenografia. È questo il bello dell’Inghilterra. Le siepi conferiscono al territorio un radicato senso storico. Quando recitavo, non scordavo mai le battute. Ai miei colleghi capitava in continuazione. Non valevano molto perlopiú. Io invece non dimenticavo mai niente. Nemmeno una battuta. Nel corso degli anni ho spesso pensato di chiedere a Chrissie una spiegazione di quello che avevo visto. Viene a trovarmi ogni tanto e ci facciamo delle belle chiacchierate. Spesso ho pensato di chiederle, ma poi lascio perdere. Mi dico, ma no, è meglio di no. Non sono affari miei, comunque, no?

– Credevo che la madre di Rick volesse parlare dell’istruzione di Rick.

– Per favore chiamami Helen. Sí, esatto. Come vedi, Rick non vuole nemmeno che si sfiori l’argomento. Quello di chiedere il tuo aiuto, intendo. Immagino che dovrei prima chiedere a Chrissie che cosa ne pensa. O a Josie forse. Non ho idea. Non c’è un galateo preciso al riguardo. Se chiedi in prestito un aspirapolvere… Ma non funziona cosí, lo so. Mi devi scusare. Che maleducata. A Rick serve soltanto un po’ di assistenza. Gli ho comprato i manuali migliori. Risalgono all’epoca in cui i bambini non erano potenziati e sono perfetti per lui. Ma tutti prevedono la presenza di un tutor in una forma o nell’altra. Rick è davvero dotato, specie in fisica, ingegneria, quel genere di materie, ma quando si imbatte in qualcosa che non capisce, non c’è nessuno che glielo spieghi, e a quel punto si scoraggia. Una volta gli dicevo di chiedere a Josie, ma lui va su tutte le furie, ovviamente.

– Quindi Miss Helen vorrebbe che aiutassi Rick a capire i manuali?

– È solo un’idea. Quei manuali per te devono essere un gioco da ragazzi. Si tratterebbe solo di fargli superare gli esami di ammissione. Ha proprio bisogno di entrare alla Atlas Brookings. È la sua unica chance. Non intendevo niente di piú lunga durata. Ma credo proprio che dovrei chiedere a Chrissie prima.

– Se Rick potesse frequentare il college adatto sarebbe una bella cosa. E perciò, sí, sarei molto lieta di assistere Rick, a condizione che non comprometta in alcun modo i miei doveri con Josie. Magari, se Rick riprendesse le sue visite, potrebbe portarsi i libri qualche volta.

Mi resi conto che la mia risposta non aveva soddisfatto Miss Helen. Continuava a osservare Rick fuori sulla pedana di tavole di legno – ancora non si era mosso per niente – e infine disse:

– Se devo essere onesta, credo di dover ammettere che non è questo il vero problema. Certo, un po’ di assistenza gli sarebbe d’aiuto. Ma l’ostacolo vero è che per il momento, per come stanno le cose, Rick non ha voglia di provarci. Se solo ce la mettesse tutta, so per certo che avrebbe quell’opportunità. Soprattutto perché devi sapere che ho in serbo un’arma segreta per aiutarlo. Per garantirgli una piccola spinta in piú, con l’Atlas Brookings. Solo che lui non ci prova, non come dovrebbe. E non ci prova per colpa mia.

– Per colpa sua?

– È convinto di non potersene andare lasciandomi qui. Ovviamente, io me la cavo benissimo. Ma a lui piace credere che io sia senza speranza, che mi caccerei in ogni tipo di guaio in sua assenza.

– È molto lontana la Atlas Brookings?

– Un giorno di viaggio in macchina. Ma la distanza non c’entra. Secondo lui un’ora è il tempo massimo in cui può lasciarmi da sola. Ma come farà a crescere e a trovare la sua strada se non può lasciarmi per piú di un’ora di seguito?

Fuori, Rick aveva cominciato a scendere i gradini che conducevano all’erba. Lo faceva pianissimo, come in un sogno a occhi aperti, e dal modo in cui teneva rigido il braccio sul petto capii che ancora stringeva il disegno di Josie. Mentre testa e spalle sparivano dal nostro campo visivo, Miss Helen disse:

– Quel che davvero volevo chiederti, Klara. La vera richiesta, la piú importante. Chiederesti a Josie di provare a convincere Rick? Lei è l’unica persona che potrebbe fargli cambiare posizione. È molto testardo, sai, oltre che parecchio spaventato, sospetto. E come dargli torto? Sa bene che il mondo non sarà facile. Ma Josie è la sola in grado di fargli cambiare prospettiva. Le vuoi parlare? So che hai molto ascendente su di lei. Lo faresti per me? Glielo ricorderesti non solo una volta, ma di continuo, di modo che lei eserciti una vera pressione su Rick?

– Ma certo, sarei ben lieta di farlo. Però credo che Josie abbia già parlato con Rick proprio in questi termini. L’attuale screzio tra loro potrebbe anzi avere a che fare con la veemenza di Josie nell’affrontare questo argomento.

– Interessante saperlo. Se quanto dici è vero, allora ciò che ti chiedo è piú cruciale che mai. Josie potrebbe convincersi di dover desistere per potersi riconciliare. Potrebbe arrivare a credere di aver sbagliato ad assumere quell’atteggiamento. Ebbene, tu devi parlarle. Dirle che deve insistere, ignorando eventuali capricci di lui. Qualcosa non va, mia cara?

– Chiedo scusa. È che sono un po’ sorpresa.

– Oh. E come mai, cara?

– Beh… Francamente, sono sorpresa perché la richiesta di Miss Helen riguardo a Rick sembra molto sincera. Mi sorprende che qualcuno possa desiderare cosí tanto un percorso che lo lascerà solo.

– Ed è questo che ti sorprende?

– Sí. Fino a poco fa non pensavo che gli umani potessero scegliere la solitudine. Che potessero esistere a volte forze piú potenti del desiderio di evitare la solitudine.

Miss Helen sorrise. – Sei proprio cara. Non lo dici apertamente, ma ho capito che cosa pensi. L’amore di una madre per il proprio figlio. Un sentimento talmente nobile da superare il terrore della solitudine. E può darsi che tu abbia ragione. Ma lascia che te lo dica: ci sono tanti altri buoni motivi, in una vita come la mia, per cui uno potrebbe scegliere la solitudine. L’ho già fatta spesso questa scelta, in passato. Per esempio l’ho fatta anziché rimanere con il padre di Rick. Il defunto padre, purtroppo, anche se Rick non si ricorda di lui. Comunque siamo stati sposati per qualche tempo ed è stato tutt’altro che inutile. È grazie a lui che ce la caviamo discretamente, pur non vivendo nel lusso. Ecco Rick che ritorna. Anzi, no. Vuole starsene ancora un po’ fuori a tenere il muso.

In effetti, Rick si era avviato verso la pedana di legno, con lo sguardo rivolto alla casa, ma poi si era seduto sull’ultimo gradino, dandoci le spalle un’altra volta.

– Devo tornare da Josie, – dissi a quel punto. – È stato molto gentile da parte di Miss Helen affidarmi le sue confidenze. Farò quanto mi ha chiesto: parlerò con Josie.

– Parlale piú di una volta. Questa per Rick è l’unica chance. E come ho detto, ho in serbo un’arma segreta. Un contatto. Forse la prossima volta che Chrissie porta Josie in città, magari alla prossima seduta di posa per il suo ritratto, Rick e io potremmo scroccare un passaggio. Cosí Rick potrebbe conoscere la mia arma segreta, fare buona impressione su di lui, si spera. Chrissie e io ne abbiamo già parlato. Ma tutto questo non serve se Rick non cambia atteggiamento.

– Capisco. Arrivederci. Ora devo andare.

Quando uscii sulla pedana, sentii il vento soffiare tra le fessure delle assi piú impetuosamente di prima. I prati non erano piú divisi in riquadri perciò vedevo un’unica immagine a perdita d’occhio fino all’orizzonte. Malgrado le angolazioni diverse, il fienile di Mr McBain era dove mi aspettavo che fosse, sebbene in una forma lievemente modificata rispetto a quella visibile dalla finestra di Josie.

Superai il frigorifero delle ragnatele e raggiunsi il gradino dove sedeva Rick. Pensai che potesse essere ancora arrabbiato con me e ignorarmi, invece mi rivolse uno sguardo dolce.

– Mi dispiace se la mia visita ha causato attriti, – dissi.

– Non è colpa tua. Va spesso cosí.

Fissavamo entrambi i prati davanti a noi e dopo un istante mi accorsi che anche il suo sguardo, come il mio, si concentrava sul fienile di Mr McBain.

– Mi stavi dicendo qualcosa, – disse. – Prima che scendesse la mamma. Dicevi di voler andare al fienile, per qualche ragione.

– Sí. E dovrà capitare di sera. È essenziale scegliere i tempi con cura.

– E sei sicura di non volere che ti accompagni?

– Molto gentile da parte di Rick. Ma se ci sono sentieri informali che portano al fienile di Mr McBain, è meglio che vada da sola. È importante che non trascuri nessun dettaglio.

– Ok. Se lo dici tu –. Strizzava gli occhi verso di me, in parte perché aveva il disegno del Sole in faccia, ma anche, capii, perché mi stava di nuovo studiando con attenzione, forse per valutare la mia capacità di intraprendere un viaggio simile. – Senti, – disse alla fine, – non capisco fino in fondo di che cosa si tratta. Ma se può aiutare Josie a guarire, allora, beh, buona fortuna.

– Grazie. Adesso devo tornare alla casa.

– Sai, pensavo, – disse. – Magari potresti dire a Josie che il suo disegno mi è piaciuto tanto. Che la ringrazio. E che se per lei va bene, mi piacerebbe venire presto a dirglielo di persona.

– Josie sarà contentissima quando lo saprà.

– Magari domani, allora.

– Sí, certo. Beh, ciao. È stata una gita molto interessante per me. Grazie per tutti i consigli utili.

– Ci vediamo, Klara. Sii prudente.

I tempi per il mio viaggio al fienile di Mr McBain erano cruciali, come avevo detto a Rick, e quando per la seconda volta quel giorno superai le pietre sconnesse diretta al cancello a cornice di quadro, mi invase il timore di avere sbagliato i calcoli. Il Sole era già basso davanti a me, e non potevo presumere che calcolare il percorso attraverso il secondo e il terzo prato fosse facile come per il primo.

Il viaggio iniziò in modo tranquillizzante perché il sentiero informale che mi aveva portato a casa di Rick era come l’avevo trovato la mattina. Questa volta potevo usare entrambe le mani per scostare l’erba e, cosí facendo, sollevavo nugoli di insetti della sera. Vedevo altri insetti ronzarmi davanti a mezz’aria, vibrare nervosamente di qua e di là senza però essere disposti ad allontanarsi dal loro cluster di simili.

Per il timore di non raggiungere il fienile di Mr McBain in tempo, mi ridussi a lanciare giusto una rapida occhiata alla casa di Rick, superandola, e subito proseguire sul sentiero informale, e presto mi trovai piú in là di quanto non fossi mai andata. Varcai un altro cancello a cornice di quadro, poi l’erba diventò troppo alta per riuscire a vedere il fienile. Il prato si frazionò in riquadri, certi piú grandi di altri, e io tirai dritto, consapevole dell’atmosfera contrastante fra un riquadro e l’altro. Ora l’erba era morbida e cedevole e il terreno facile da calcare, e l’attimo dopo varcavo una linea di confine e tutto si faceva piú cupo, l’erba opponeva resistenza alle mie spinte e intorno a me si levavano rumori strani che mi incutevano il timore di aver calcolato davvero male e che non ci fosse alcun motivo accettabile per turbare la sua privacy come speravo di fare, e che tutti i miei sforzi avrebbero avuto conseguenze nefaste per Josie. Attraversando un riquadro particolarmente poco gentile, udii attorno a me le grida di un animale ferito e mi si formò nella mente un’immagine di Rosa seduta sulla terra dura da qualche parte nel fuori, circondata di frammenti metallici, che allungava entrambe le mani per afferrarsi una gamba distesa rigida davanti al corpo. L’immagine mi restò in mente un secondo soltanto, ma l’animale non smetteva di fare rumore e io mi sentii mancare la terra da sotto i piedi. Ricordai il toro tremendo sull’altura delle Morgan’s Falls che con ogni probabilità era emerso dal sottosuolo e, per un breve istante, pensai addirittura che il Sole non fosse gentile per niente, e che fosse quello il vero motivo del peggioramento di Josie. Ma nonostante la confusione, ero convinta che se solo fossi riuscita a portarmi in un riquadro piú gentile, sarei stata in salvo. Ero consapevole intanto di una voce che mi chiamava per nome e individuai un oggetto – la cui forma era simile a quella dei coni spartitraffico degli uomini di manutenzione – sprofondato nell’erba poco avanti a me. La voce proveniva da dietro il cono ma quando cercai di raggiungerlo mi resi conto che si trattava in realtà di due coni, infilati uno sull’altro in modo che quello piú in alto potesse muoversi dondolando, forse allo scopo di attirare l’attenzione dei passanti.

– Klara! Vieni! Vieni qui!

Mi avvicinai e a quel punto capii che non erano affatto dei coni, bensí Rick che con una mano scostava l’erba e tendeva l’altra verso di me. Ora che l’avevo riconosciuto, avevo ancor piú motivo di avvicinarmi, ma i piedi mi affondavano nel terreno e sapevo che se avessi provato a muovere un altro passo avrei perso l’equilibrio e sarei sprofondata nella terra. Sapevo inoltre che, malgrado Rick sembrasse trovarsi a portata di mano, in realtà non era cosí vicino, e lo sapevo grazie al netto confine che separava i nostri riquadri. Ciononostante, mi tendeva la mano e, quando entrò nel mio riquadro col braccio, quest’ultimo apparve curvo e allungato.

– Klara, avanti!

Ma io ormai mi ero rassegnata all’idea che presto sarei sprofondata nella terra, che il Sole fosse arrabbiato, e forse tutt’altro che gentile, e che Josie si sentisse delusa da me. Cominciai a perdere l’orientamento, mentre il braccio di Rick diventava sempre piú curvo e piú lungo fino a toccarmi. Mi impedí di cadere, e i miei piedi recuperarono fermezza.

– Ok, Klara. Da questa parte.

Mi guidava, per non dire trascinava, finché mi trovai in un riquadro gentile, con addosso il generoso disegno del Sole, e i miei pensieri riacquistarono ordine.

– Grazie. Grazie di essere venuto ad aiutarmi.

– Ti ho vista dalla finestra. Stai bene?

– Sí, adesso va tutto bene. Il prato mi ha procurato piú difficoltà del previsto.

– Immagino che questi piccoli fossi possano essere insidiosi. Devo dire che, da lassú, sembravi una di quelle mosche che ronzano a vuoto sui vetri di una finestra. Ma non è carino, scusami.

Sorrisi e dissi: – Mi sento cosí stupida –. Poi, tornando a far mente locale, alzai lo sguardo per controllare la posizione del Sole. – Questo viaggio è talmente importante, – dissi, rivolgendomi ancora a lui. – Ma ho fatto una stima sbagliata e adesso non arriverò in tempo.

L’erba era ancora troppo alta per vedere il fienile di Mr McBain in lontananza, ma Rick fissava dritto in quella direzione, schermandosi gli occhi con la mano, e pensai che forse lui era alto abbastanza da vederlo.

– Sarei dovuta uscire dalla casa prima, – dissi, – e non preoccuparmi del ritorno. Ma ho aspettato finché Josie si è addormentata e volevo far credere a Domestica Melania che andavo a casa di Rick per un’altra commissione. Credevo che avrei avuto il tempo necessario, ma i prati sono stati piú difficili del previsto.

Rick stava ancora guardando il fienile di Mr McBain. – Continui a ripetere che non farai in tempo, – disse. – Ma di preciso quando volevi arrivare?

– Esattamente quando il Sole arriva al fienile di Mr McBain. Ma prima che scompaia per riposare.

– Senti, io non ci capisco niente. E mi rendo conto che per qualche ragione tu non mi puoi spiegare. Ma se vuoi, ti ci posso portare.

– È un pensiero gentile. Ma anche se Rick fa strada, credo che ormai sia tardi.

– Non dicevo fare strada. Dicevo portarti. A cavalcioni. È lunghetta fin là, ma se ci muoviamo, secondo me potremmo farcela.

– Lo faresti davvero?

– Non fai che dire che è importante. Importante per Josie. Quindi sí, mi piacerebbe rendermi utile. Il senso mi sfugge, ma a questo sono abituato. Se decidiamo di andare, dobbiamo sbrigarci.

Si abbassò accovacciandosi. Capii che dovevo montargli sulla schiena, lo feci subito – cingendolo forte con gambe e braccia – e lui si avviò.

Adesso che ero piú in alto vedevo meglio il cielo della sera, e anche il tetto del fienile di Mr McBain davanti a noi. Rick si muoveva con disinvoltura opponendosi all’erba e, dato che aveva le braccia impegnate a reggere me, il grosso dell’impatto lo ricevevano testa e spalle. A me dispiaceva anche perché da parte mia potevo fare pochissimo per scostargli l’erba.

Poi alzai lo sguardo al di là della testa di Rick e vidi che il cielo si era diviso in segmenti di forma irregolare. Certi erano di un rosa o arancione sfolgorante, mentre altri mostravano pezzi di cielo notturno, con sezioni di luna visibili in un angolo accanto a un bordo. Mentre Rick avanzava, i segmenti continuavano a sovrapporsi e spostarsi a vicenda, finché ci trovammo a varcare ancora un cancello a cornice di quadro. Dopodiché l’erba cessò di essere delicata e ondeggiante per venirci addosso in conformazioni piatte, forse realizzate in cartone pesante del tipo utilizzato per le pubblicità sulle strade, ed ebbi paura che potessero fare male a Rick quando ci si gettava contro. Poi il cielo e il prato non furono piú suddivisi in segmenti, e divennero un’unica immagine grande, con il fienile di Mr McBain che si ergeva davanti a noi.

Il pensiero scomodo che mi era andato crescendo in testa non poté piú essere ignorato. Già prima che Rick venisse in mio aiuto, avevo cominciato a chiedermi se il posto di riposo del Sole fosse davvero dentro al fienile di Mr McBain. Certo ero stata io, non Josie, la prima a suggerire un’idea del genere quella volta che guardavamo insieme dalla finestra sul retro, perciò, nel caso, lo sbaglio sarebbe stato soltanto mio. Di sicuro Josie non mi aveva mai indotta in errore. Ciononostante mi angosciava il pensiero che anziché scendere dentro il luogo che stavo facendo tanta fatica a raggiungere, il Sole calasse ancora piú in là.

E quel che vidi a quel punto mi costrinse ad accettare la fondatezza del mio timore. Il fienile di Mr McBain era diverso da qualunque edificio avessi mai visto. Ricordava il guscio esterno di una casa che gli uomini non avevano ancora finito. C’era un tetto grigio con il consueto triangolo sulla facciata, sostenuto a destra e a sinistra da pareti di un grigio piú scuro. Ma a parte le due sezioni che tenevano il tetto, la struttura era senza pareti sia davanti che dietro. E infatti, mentre osservavo, il vento ci soffiò dentro da parte a parte senza incontrare alcun ostacolo. Poi mi accorsi che il Sole era già calato dietro il fienile e dall’apertura sul retro ci rimandava i suoi raggi mentre ci avvicinavamo.

Frattanto eravamo arrivati su una radura che assomigliava a quella su cui era costruita la casa di Rick. C’era erba anche qui, ma era stata tagliata non piú alta delle nostre caviglie, forse da Mr McBain in persona. Il taglio era stato realizzato con abilità, perciò si distingueva un disegno tessuto nell’erba in direzione dell’ingresso e, dal momento che il Sole adesso splendeva dritto dentro il fienile, la sua ombra si allungava sull’erba verso di noi.

Malgrado sembrasse scortese, comunicai a Rick la mia volontà serrando di colpo gambe e braccia. – Fermati per favore, – gli sussurrai all’orecchio. – Fermati! Fammi scendere, per favore!

Mi depose con cura, ed entrambi osservammo lo spettacolo davanti a noi. Pur dovendo accettare che il fienile non poteva essere il posto di riposo del Sole, mi concessi un’incoraggiante considerazione: che dovunque il Sole si sistemasse per la notte, il fienile di Mr McBain restava il posto che si premurava di visitare ogni sera per ultimo, proprio come Josie faceva una visita in bagno prima di andare a letto.

– Grazie infinite, – dissi, tenendo la voce bassa nonostante l’acustica esterna. – Ma da qui in poi è meglio se Rick mi lascia e io procedo da sola.

– Come vuoi. Se ti fa piacere, ti aspetto qui. Quanto pensi di metterci?

– È meglio che Rick torni a casa sua. Se no Miss Helen si preoccupa.

– La mamma è a posto. Secondo me è meglio se aspetto. Ti ricordi come stava andando prima che arrivassi? E il viaggio di ritorno probabilmente sarà al buio.

– Dovrò cavarmela. Rick è stato anche troppo gentile. Ed è meglio che entri da sola. Già starcene qui in questo modo, potrebbe sottrarre troppa privacy.

Rick tornò a guardare il fienile di Mr McBain, poi si strinse nelle spalle. – Ok. Allora ti lascio. Qualsiasi cosa tu abbia da fare.

– Grazie.

– Buona fortuna, Klara. Davvero.

Si girò per avviarsi di nuovo nell’erba alta e di lí a poco lo persi di vista.

Quando fui sola, presi a concentrarmi appieno sul compito che mi attendeva. Mi venne in mente che se un passante si fosse trovato davanti al fienile fino a cinque minuti prima, sarebbe riuscito a vedere non solo il cielo della sera e il dispiegarsi del prato oltre il retro, ma anche molto di piú dell’interno ombroso del fienile. Ora invece, con i raggi del Sole dritti verso di me, potevo distinguere appena delle sagome a forma di cubo impilate una sull’altra. E mi tornò in mente con piú certezza che mai il pensiero che, pur confidando nella grande bontà del Sole, quel che stavo per fare comportava dei rischi e avrebbe richiesto tutto il mio impegno. Dietro di me udivo la brezza nell’erba, e le grida di uccelli lontani e, riordinando i pensieri, procedetti sull’erba tagliata verso il fienile di Mr McBain.

L’interno era pieno di luce arancione. C’erano particelle di fieno alla deriva nell’aria, come insetti della sera, e i disegni del Sole coprivano tutto il pavimento di legno del fienile. Quando mi guardai indietro la mia ombra mi apparve come un albero alto e magrissimo pronto a schiantarsi abbattuto dal vento.

C’erano alcuni elementi curiosi nello spazio circostante. Appena entrata nel fienile, mi ero imbattuta in divisioni talmente nette di luminosità e di ombra che la vista aveva impiegato alcuni istanti ad adattarsi. Cionondimeno, ero ben presto arrivata a concludere che i blocchi di fieno di cui avevo intravisto da fuori le sagome si trovavano adesso alla mia sinistra, ammucchiati uno sull’altro a formare una sorta di pedana – ad altezza delle mie spalle – sulla quale i passanti avrebbero potuto salire e perfino coricarsi per riposare. Ma i blocchi di fieno erano stati ammucchiati in modo da lasciare un vuoto tra loro e la parete, forse per consentire a Mr McBain un accesso da quel lato. Sbirciando sopra la pedana del fieno, notai che fissati lungo l’intera parete c’erano gli Scaffali Rossi del nostro negozio, con tanto di tazzine da caffè capovolte e disposte in fila.

Sul lato opposto – alla mia destra –, dove le ombre erano piú scure, vedevo una sezione di parete pressoché identica alla nicchia frontale. Ero addirittura certa che, se mi fossi avvicinata, avrei scoperto fra le ombre un AA dritto e impettito proprio lí dove i clienti – checché se ne dicesse – avrebbero probabilmente guardato prima.

Sempre alla mia destra, anche se non alla stessa distanza della nicchia, c’era il solo elemento del fienile che poteva essere definito un arredo: una piccola sedia pieghevole di metallo, in quel momento tagliata in due dalla bisettrice diagonale che separava la zona intensamente illuminata da quella in ombra. Anche la sedia mi ricordava quelle che Direttrice teneva nel retrobottega e che ogni tanto apriva in negozio, solo che la vernice di questa aveva cominciato a sfogliarsi mettendo a nudo chiazze del metallo sottostante.

Dopo un attimo di riflessione, decisi che non sarebbe stato villano sedersi in attesa del Sole. Mi aspettavo, facendolo, che a causa dell’angolazione diversa avrei avuto una prospettiva alterata di quanto mi circondava, ma mi sorprese scoprire che invece ogni cosa si era frazionata, e non solo nei consueti riquadri, bensí in segmenti di forma irregolare. In alcuni di questi vedevo parti degli attrezzi agricoli di Mr McBain: il manico di un badile, la metà inferiore di una scala metallica. In un altro, riconobbi le bocche di due secchi in plastica l’uno accanto all’altro che, forse per colpa dell’illuminazione imperfetta, si presentavano semplicemente come due ovali intersecanti.

Sapevo che adesso il Sole mi era molto vicino e anche se a tratti pensavo che avrei dovuto alzarmi, come quando entrava in negozio un cliente, qualcosa mi disse che avrei sottratto meno privacy – e causato perciò meno fastidio – rimanendo seduta. Di conseguenza allineai al massimo la mia forma a quella della sedia e aspettai. Le barre del Sole si fecero piú pronunciate e arancioni e arrivai perfino a pensare che fossero loro a staccare frammenti dai blocchi di fieno e farli fluttuare a mezz’aria, perché erano al momento molte di piú le particelle alla deriva davanti a me.

Poi ebbi l’idea che, se avevo stimato correttamente, e a quel punto il Sole stava attraversando il fienile di Mr McBain diretto al suo vero posto di riposo, non mi potevo permettere di essere troppo beneducata. Dovevo cogliere al volo e con slancio l’occasione, altrimenti tutti i miei sforzi – e l’aiuto di Rick – non sarebbero serviti a nulla. Raccolsi perciò i pensieri e cominciai a parlare. Non pronunciai di fatto le parole ad alta voce, perché sapevo che al Sole non occorrevano. Ma desideravo essere il piú chiara possibile, perciò articolai nella mente qualcosa di simile a quelle parole, in modo rapido e silenzioso.

– Per favore, guarisci Josie. Come hai fatto con Mendicante.

Alzai un poco la testa e, accanto ai frammenti di attrezzi agricoli e ai blocchi di fieno, vidi una sezione di semaforo e parte dell’ala di uno dei droni uccello di Rick, e mi ricordai la voce di Direttrice che diceva: «Non succede quasi mai», e AA M Rex che diceva: «Sei un’egoista, Klara». Dissi:

– Ma Josie è ancora una bambina e non ha fatto niente di poco gentile.

E mi ricordai gli occhi della Madre che mi scrutavano dal lato opposto del tavolo da picnic alle Morgan’s Falls, e del toro, che mi fissava arrabbiato come se non avessi alcun diritto di transitare davanti al suo prato, e mi resi conto che con la mia intrusione potevo aver fatto arrabbiare il Sole proprio quando aveva bisogno di riposare. Articolai delle scuse nella mente, ma ora le ombre erano ancora piú lunghe e se avessi divaricato le dita davanti a me, sapevo che le loro ombre avrebbero raggiunto il fondo del fienile dove c’era l’ingresso. Ed era chiaro che il Sole non aveva intenzione di fare alcuna promessa rispetto a Josie perché, malgrado tutta la sua gentilezza, ancora non era in grado di vedere Josie separata dagli altri esseri umani, alcuni dei quali lo avevano fatto arrabbiare moltissimo a causa del loro Inquinamento e della loro sconsideratezza e all’improvviso mi sentii una stupida per essere venuta fin lí con quella richiesta. Il fienile si riempí ancora piú intensamente di luce arancione, e tornai a vedere Rosa che sulla terra dura cercava di sporgersi a toccarsi la gamba distesa con un’espressione di dolore. Chinai la testa e mi rannicchiai nella forma piú piccola che riuscivo ad assumere nella forma della sedia pieghevole, ma poi tornai a pensare a quanto poco sarebbe durata qualsiasi possibilità di esprimere la mia richiesta perciò, facendo appello al coraggio, dissi in quasi-parole che mi costrinsi a pensare in un attimo:

– Mi rendo conto che venire qui è stato da parte mia molto sfrontato e incivile. Il Sole ha tutti i diritti di essere arrabbiato e comprendo perfettamente il rifiuto anche solo di prendere in considerazione la mia domanda. Ciononostante, in virtú della tua immensa gentilezza, ho pensato di poterti chiedere di rimandare il tuo viaggio di un altro poco. Di ascoltare ancora una proposta. Supponiamo che io possa fare una cosa speciale per te. Qualcosa che può renderti molto felice. Se ci dovessi riuscire, in cambio, prenderesti in considerazione la possibilità di mostrarti particolarmente gentile con Josie? Come facesti con Mendicante e il suo cane?

Mentre queste parole si muovevano nella mia mente, qualcosa intorno a me cambiò in modo inequivocabile. Il bagliore rosso all’interno del fienile era ancora intenso ma aveva assunto una specie di dolcezza – al punto che i vari segmenti in cui era frazionato ciò che mi circondava parevano vagare tra i raggi dell’ultimo Sole. Individuai la metà inferiore del Carrello Espositore – ne riconobbi le rotelle – sollevarsi piano fino a sparire dietro il segmento vicino, e malgrado alzassi la testa e guardassi tutto intorno, non scorsi piú traccia del toro tremendo. Sapevo di essermi guadagnata un vantaggio vitale, ma di non poter perdere neanche un istante, perciò lo incalzai, senza articolare altre quasi-parole, perché sapevo di non averne il tempo.

– So bene quanto al Sole dispiaccia l’Inquinamento. Quanto ti rattristi e ti faccia arrabbiare. Ebbene, io ho visto e identificato la macchina che lo produce. Supponiamo che io sia in grado di trovare questa macchina e di distruggerla. Di mettere fine all’Inquinamento. Tu in cambio prenderesti in considerazione la possibilità di offrire il tuo aiuto speciale a Josie?

L’interno del fienile si stava facendo piú buio, ma era un buio buono e presto i segmenti sparirono lasciando lo spazio non piú frazionato. Sapevo che il Sole era avanzato e, alzandomi dalla sedia pieghevole, procedetti per la prima volta fino all’apertura posteriore del fienile di Mr McBain. E vidi che il prato proseguiva a mezza distanza fino a incontrare un filare di alberi – una specie di recinzione morbida – e alle sue spalle il Sole, ormai stanco e non piú vigoroso, affondava nel terreno. Il cielo si trasformava in notte, con tanto di stelle visibili, e fui certa che il Sole mi sorridesse bonariamente mentre calava per riposare.

In segno di gratitudine e rispetto, rimasi ferma davanti all’apertura posteriore finché l’ultimo bagliore non si dileguò nel terreno. Dopodiché traversai l’interno buio del fienile di Mr McBain, uscendo da dove ero entrata.

L’erba alta si mosse delicatamente intorno a me quando ci rientrai. Attraversare i prati al buio era una prospettiva preoccupante, ma ero talmente corroborata da quel che era appena successo da non provare quasi alcun timore. Ciononostante, quando l’irregolarità del terreno mi ricordò i pericoli che avevo di fronte, fui lieta di sentire all’improvviso la voce di Rick poco lontana.

– Sei tu, Klara?

– Dove sei?

– Da questa parte. Alla tua destra. Non ho seguito il tuo consiglio di andare subito a casa.

Mi mossi in direzione della voce, l’erba venne meno e mi ritrovai in una radura. Sembrava che ci fosse passato un aspirapolvere: era una piccola zona circolare dove l’erba tornava a non superare l’altezza della scarpa e il cielo notturno sovrastante mostrava una fetta ricurva di luna. Rick stava seduto lí, apparentemente a terra, ma avvicinandomi vidi che occupava una grossa pietra in gran parte conficcata nel terreno. Era tranquillo e mi sorrideva.

– Grazie che hai aspettato, – dissi.

– L’ho fatto per me. Pensa se ti fossi persa per tutta la notte e avessi riportato dei danni. Mi sarei ritrovato nei guai fino al collo per averti portata quassú.

– Secondo me Rick ha aspettato perché è gentile. Gli sono molto grata.

– Hai trovato quel che cercavi là dentro?

– Oh sí. O almeno, credo. E credo che ci sia un nuovo motivo di speranza. Per Josie. Speranza che possa guarire. Ma prima ho un compito da svolgere.

– Che genere di compito? Forse ti posso aiutare.

– Mi dispiace, non posso parlare con Rick di questa cosa. Credo di aver raggiunto un accordo stasera. Una specie di trattativa, se preferisci. Ma potrei comprometterla, parlandone liberamente.

– Ok. Non voglio mettere nulla a repentaglio. Comunque, se credi ci sia qualcosa che io posso fare…

– Posso essere sincera? La cosa piú importante che Rick possa fare è cercare in tutti i modi di entrare all’Atlas Brookings. Cosí Josie e Rick possono stare insieme e i desideri espressi nel disegno gentile rimarranno realizzabili.

– Dio mio, Klara, è evidente che la mamma ti ha lavorata ai fianchi. A sentire lei è tutto cosí facile. Ma non hai idea della fatica che deve fare uno come me per entrare in un posto come quello. E se anche ci riuscissi, che ne sarebbe della mamma? La lascio qui a vedersela da sola?

– Forse Miss Helen è piú forte di quanto Rick immagina. E anche se non è potenziato, Rick ha dei talenti speciali. Se ce la mettesse tutta, io credo che potrebbe essere ammesso all’Atlas Brookings. E poi, Miss Helen ha detto di avere un’arma segreta che lo può aiutare.

– La sua arma segreta sai qual è? Un verme schifoso di sua conoscenza che collabora con l’amministrazione del college. Una sua vecchia fiamma. Non voglio averci a che fare. Ascolta, Klara, sarà meglio che torniamo.

– Hai ragione. Siamo stati fuori a lungo. Miss Helen potrebbe essere in pensiero. E se riuscissi a rientrare prima della madre di Josie, eviterei certe domande scomode.

L’indomani, quando verso metà mattina qualcuno suonò alla porta, Josie sembrava sapere chi era e, lasciando il letto, si precipitò sul pianerottolo. Io la seguii e mentre Rick superava Domestica Melania nell’ingresso, Josie si volse verso di me con un sorriso emozionato. Poi però si ricompose in un’espressione del tutto vuota, andando verso la cima della scala.

– Ehi, Melania, – disse nella tromba delle scale. – Sai per caso chi è questo tipo strambo?

– Ciao, Josie –. A naso in su, Rick mostrò un sorriso prudente. – Corre voce che potremmo essere di nuovo amici.

Josie sedette sull’ultimo gradino e pur essendo dietro di lei, sapevo che aveva sulle labbra il suo sorriso piú gentile.

– Ma pensa. Che strano. Chissà chi l’ha messa in giro.

Anche il sorriso di Rick si fece piú fiducioso. – Sono solo chiacchiere, immagino. A proposito, mi è piaciuto tanto quel disegno. L’ho incorniciato ieri sera.

– Ah sí? Una di quelle cornici che fai tu?

– A essere sincero, ne ho usata una vecchia della mamma. Ce ne sono cosí tante in giro. Ho tolto una zebra e, al posto, ci ho messo il tuo disegno.

– Ottimo scambio.

Domestica Melania si era ritirata in cucina, e Rick e Josie continuarono a sorridersi da un estremo all’altro della scala. Poi Josie diede probabilmente un segnale, perché si mossero di scatto nello stesso momento, lei alzandosi in piedi, lui afferrando il corrimano.

Quando si avviarono insieme in camera, ricordai le indicazioni che mi aveva dato Domestica Melania e li seguii. E per un po’ fu come ai vecchi tempi: io sul Divano dei Bottoni di fronte alla finestra, con Rick e Josie alle mie spalle a ridere di sciocchezze. A un certo punto sentii Josie che diceva:

– Ehi Rick. Secondo te è cosí che si tengono questi cosi? – Nel riflesso vidi che aveva in mano un coltello da cucina rimasto lí dalla colazione. – O piú in quest’altro modo?

– E io come faccio a saperlo?

– Pensavo lo sapessi, visto che sei inglese. A sentire la mia prof di chimica, si tengono cosí. Ma lei che ne sa?

– E perché dovrei saperlo io? E poi perché continui a ripetere che sono inglese? Non ci ho mai neanche vissuto, e lo sai bene.

– Hai cominciato tu, Rick. Due o tre anni fa. Insistevi sempre su quanto eri inglese.

– Ah sí? Deve essere stata una fase.

– Certo, è andata avanti mesi. Eri tutto un prego di qui, scusi di là… Per questo ho pensato che potessi sapere questa cosa del coltello.

– Ma mi spieghi perché un inglese dovrebbe intendersene piú di chiunque altro?

Qualche secondo dopo sentii Rick muoversi nella stanza e dire:

– Sai, Josie, come mai mi piace tanto questa stanza? Perché ha il tuo odore.

– Scusa? Non ci posso credere, ma cosa dici?

– L’ho detto in senso buono, per fare un complimento.

– Rick, non sono cose da dire a una ragazza!

– Infatti a una ragazza non lo direi. Lo sto dicendo a te, punto.

– Come, scusa? Non sono piú una ragazza, dunque?

– Beh, non una qualsiasi. Sto cercando di dire, volevo solo dire che non venivo qui da un po’ e quindi mi ero dimenticato di certe cose di questa stanza. Com’è da vedere, che odore ha.

– Gesú, sei un bell’impertinente, Rick.

Ma c’era allegria nella sua voce e, dopo un attimo di silenzio, Rick disse:

– Se non altro non siamo piú arrabbiati. Mi fa piacere.

Altro silenzio, poi Josie disse: – Anche a me. Fa piacere anche a me –. Poi aggiunse: – Scusami per tutta quella roba che ti ho detto su tua madre eccetera. È una brava persona, non volevo. E mi dispiace di essere sempre malata. Di farti preoccupare.

Vidi Rick, nel vetro, fare un passo avanti verso Josie e cingerla con un braccio. Dopo un secondo la cinse anche con l’altro. Josie si lasciò abbracciare pur non facendo il gesto di ricambiare, come faceva con la Madre quando la salutava.

– Cosí puoi annusarmi meglio? – domandò dopo un attimo.

Rick non rispose alla battuta, e disse invece: – Klara? Sei lí?

Quando mi girai, si erano già staccati e mi guardavano entrambi.

– Sí?

– Sai, forse dovresti… Darci un po’ di privacy, come dici sempre tu.

– Oh, certo.

Mi osservarono lasciare il Divano dei Bottoni e superarli. Alla porta, mi girai e dissi:

– Io avrei sempre voluto dare privacy. Era solo perché c’era paura delle porcherie –. Parvero entrambi stupefatti, perciò proseguii: – Mi hanno dato ordine di non permettere il verificarsi di porcherie. Per questo sono sempre rimasta nella stanza, anche durante il gioco dei fumetti.

– Klara, – disse Josie, – Rick e io non abbiamo intenzione di fare sesso, ok? Abbiamo solo delle cose da dirci, tutto qui.

– Sí, naturale. Vi lascio subito, allora.

E con quelle parole andai sul pianerottolo, chiudendomi la porta alle spalle.

Nei giorni successivi pensai spesso alla Macchina Cootings e a come avrei potuto trovarla e distruggerla. Sperimentai nella mia mente vari pretesti per poter accompagnare la Madre in centro e, una volta lí, farmi lasciare sola per il tempo necessario, ma nessuna scusa sembrava convincente. Notando la mia frequente disattenzione, Josie commentava con frasi tipo: «Klara, sei di nuovo distratta. Non è che sei a corto di solare?» Considerai perfino l’ipotesi di confidarmi con la Madre, ma respinsi l’idea non solo per il pericolo di fare arrabbiare il Sole, ma anche perché sentivo che la Madre non avrebbe capito né creduto all’accordo che avevo negoziato. Poi tuttavia si presentò un’occasione senza bisogno che io prendessi alcuna iniziativa.

Una sera, un’ora dopo che il Sole era andato a riposare, ero in cucina accanto al frigorifero in ascolto dei suoi ronzii rassicuranti. Le luci del soffitto non erano state accese, perciò mi trovavo nella mezza luce proveniente dall’ingresso. La Madre era tornata tardi dall’ufficio e io ero scesa in cucina per dare a lei e a Josie un po’ di privacy in camera da letto. Poco dopo, i suoi passi scesero le scale, poi vennero verso la cucina. Il suo profilo apparve sulla soglia rendendo la cucina ancora piú buia, e disse:

– Klara, volevo avvertirti di una cosa. Dopotutto, questa faccenda riguarda te.

– Sí?

– Giovedí prossimo mi sono presa qualche ora libera dal lavoro. Porto Josie in città e ci fermeremo per la notte. Ne stavamo giusto parlando. Josie ha un appuntamento.

– Un appuntamento?

– Come sai, Josie si sta facendo fare un ritratto. Sai, quando passava davanti al tuo negozio? Era per questo che eravamo in città. C’è stata una lunga interruzione per colpa della sua salute, ma adesso è piú forte e voglio che vada a fare un’altra seduta di posa. Mr Capaldi è stato molto paziente e ha tenuto tutto in sospeso.

– Capisco. E quindi Josie dovrà restare seduta immobile a lungo?

– Mr Capaldi sa come fare per non stancarla. Le scatta delle foto e lavora a partire da quelle. Ciononostante, ha bisogno di vederla ogni tanto. Ti dico tutto questo perché voglio che tu accompagni Josie in questa uscita. Secondo me le fa piacere che tu ci sia.

– Oh sí. Molto volentieri.

La Madre fece un passo avanti dentro la cucina; ora vedevo solo un contorno del suo viso illuminato dalla luce dell’ingresso.

– Voglio che tu sia con lei, Klara, quando entrerà da Mr Capaldi. Del resto, Mr Capaldi non vede l’ora di conoscerti. Gli interessano parecchio gli AA. La si potrebbe definire una passione, la sua. A te sta bene?

– Ma certo. Sono ansiosa di conoscere Mr Capaldi.

– Potrebbe avere qualche domanda da farti. Per le sue ricerche. Come ti ho detto, gli AA lo affascinano. Niente in contrario?

– No, certo che no. E sono convinta che un’uscita in città farà bene a Josie, adesso che si è un po’ irrobustita.

– Bene. Oh, e potrebbero esserci altri passeggeri. In macchina, intendo. I nostri vicini hanno bisogno di un passaggio.

– Rick e Miss Helen?

– Hanno delle faccende da sbrigare in centro e lei non guida piú. Non ti preoccupare, c’è posto per tutti. Non ti toccherà viaggiare nel baule.

Sentii di nuovo parlare dell’uscita la domenica successiva, quando non solo Rick ma anche sua madre vennero in visita nella prima metà del pomeriggio. Ancora una volta mi ero allontanata sul pianerottolo per dare a Rick e Josie un po’ di privacy in camera da letto. In piedi accanto alla ringhiera guardavo giú verso l’ingresso e sentivo le risa della Madre e di Miss Helen provenire dalla cucina. Non distinguevo bene le parole, tranne quando l’una o l’altra esclamava qualcosa ad alta voce. Una volta Miss Helen strillò: – Oh Chrissie, ma è assurdo! – e scoppiò a ridere. Poco dopo, udii la Madre dire, ridendo a sua volta: – È vero, è vero, è assolutamente vero!

Non potendo sentire granché, né vedere le espressioni della Madre, non ero in grado di formulare una stima affidabile, ma la mia impressione fu che in quel preciso momento la Madre fosse piú libera dalla tensione di quanto non l’avessi mai vista fin dal mio arrivo. Stavo cercando di ascoltare meglio, quando si aprí la porta della camera da letto e Rick uscí.

– Josie è in bagno, – disse, venendomi incontro. – Ho pensato che le buone maniere mi imponessero di aspettare fuori nel frattempo.

– Sí, è molto cortese da parte tua.

Seguí il mio sguardo oltre il corrimano e fece un cenno in direzione delle voci adulte.

– Sono sempre andate d’accordo, – disse. – Peccato che Mrs Arthur non si faccia piú vedere. Fa cosí bene alla mamma avere qualcuno con cui parlare. È sempre piú allegra quando c’è Mrs Arthur. Io ce la metto tutta. Ma non riesco a farla ridere in quel modo. Probabilmente, dato che sono suo figlio, non riesce a rilassarsi.

– Rick deve essere un compagno meraviglioso per Miss Helen. Ma come puoi vedere, se tu non ci fossi, lei sarebbe in grado di trovarsi altri compagni con cui ridere e chiacchierare.

– Non lo so. Può darsi –. Poi disse: – Senti, ci ho pensato e ripensato. A quello che hai detto l’altra sera. Mi sono convinto adesso. Ho promesso alla mamma di provarci. Farò del mio meglio, ce la metterò tutta per entrare all’Atlas Brookings.

– È fantastico!

Si sporgeva in avanti sempre di piú, forse nel tentativo di afferrare le parole, e temetti che potesse cadere per via della sua grande altezza. Ma lui si raddrizzò, appoggiando tutte e due le mani sulla ringhiera.

– Ho perfino accettato di conoscere quel… tizio, – disse, abbassando la voce. – La vecchia fiamma.

– La persona arma segreta?

– Esatto, l’arma segreta della mamma. Secondo lei può usare la sua influenza a mio vantaggio. Ho accettato perfino questo.

– Ma potrebbe essere la soluzione migliore. I desideri del disegno gentile di Josie potrebbero avere piú possibilità di realizzarsi.

– Magari ne stanno parlando proprio adesso, di sotto. Di come ho cambiato idea sulle opinioni della mamma dopo tanto tempo. Magari è questo che le diverte tanto.

– Non credo che ridano con cattiveria. Penso che Miss Helen sia contenta per la promessa che le ha fatto Rick. E che abbia speranza.

Tacque per un momento, in ascolto delle voci. Poi disse: – Credo che prenderemo un passaggio da Mrs Arthur e Josie per andare in città.

– Sí, lo so. È stato chiesto anche a me di venire.

– Bene, perfetto. Allora potete darmi sostegno morale sia tu che Josie. Perché non è che muoia dalla voglia di elemosinare aiuto da questo individuo.

All’improvviso la voce di Josie strillò dalla camera da letto. – Stupendo! Vedo che tutti mi hanno abbandonata! – E mentre Rick si girava verso la porta aggiunse. – Ehi, Klara, puoi tornare anche tu. È tutto a posto. Non ci stiamo dando al sesso sfrenato.

Due giorni dopo, avrei sentito parlare ancora di quell’uscita, e in un modo sorprendente questa volta.

Era un giorno di pioggia, senza visite. Dopo pranzo Josie era andata nell’Open Space per una lezione sull’oblungo mentre io ero salita in camera. Ero seduta sul pavimento circondata da riviste, quando comparve sulla soglia Domestica Melania. Mi fissava con un’espressione né gentile né arrabbiata e pensai che fosse venuta a rimproverarmi per le volte in cui avevo lasciato Rick e Josie da soli in camera da letto nonostante le sue raccomandazioni riguardo alle porcherie. Invece entrò nella stanza e disse in un brusco sussurro:

– AA. Tu vuoi che Miss Josie sta bene?

– Sí, certo.

– Tu ascolta, allora. La Signora porta Josie in città giovedí. Io dico voglio andare anch’io, la Signora dice no. Io dico sí, la Signora dice no di nuovo. Dice no perché ha capito benissimo che io ha in mente qualcosa. Dice che vuole portare AA, al posto. Perciò, ascolta. Tu tiene d’occhio sempre Miss Josie in città. Capito?

– Sí, domestica –. Anch’io parlavo sottovoce, anche se era impossibile che Josie ci sentisse. – Ma dimmi meglio, per favore. Che cosa ti preoccupa?

– Ascolta, AA. La Signora porta Miss Josie da Mr Capaldi. Quello del ritratto. Mr Capaldi è schifoso figlio di puttana. La Signora dice tu brava a osservare. Allora tu osserva bene Mr Figlio di Puttana, chiaro? Tu vuole aiutare Miss Josie. Noi due vuole stessa cosa –. Diede un’occhiata alla porta alle sue spalle anche se nessun rumore suggeriva che Josie avesse concluso la lezione al piano di sotto.

– Scusa domestica, ma Mr Capaldi non vuole solo dipingere il ritratto di Josie?

– Ritratto? Col cazzo. AA, tu guarda bene Mr Figlio di Puttana o a Miss Josie capita brutta cosa.

– Ma di sicuro… – Abbassai ancora di piú la voce. – Di sicuro la Madre non…

– La Signora vuole bene a Miss Josie. Ma Sal muore e incasina la Signora male. Capito, AA?

– Sí. Allora osserverò attentamente, come dici, specialmente quando c’è Mr Capaldi. Però…

– Però, però, però cosa, AA?

– Se Mr Capaldi è come dici tu. Basterà che io osservi soltanto?

Dal modo in cui Domestica Melania mi fissava, un passante poteva credere che mi stesse minacciando, ma a quel punto avevo capito che era piena di paura.

– Come cazzo so se basta? Io dico voglio andare con Miss Josie, la Signora dice no, no. Porta AA, al posto. Non capisco. Perciò tu non molla Miss Josie, specie quando con Mr Figlio di Puttana. Tu fa bene, AA. Noi due vuole stessa cosa.

– Domestica, – dissi. – Ho un piano, un piano speciale per aiutare Josie. Non posso parlarne apertamente per ora. Ma se andrò in città con Josie e sua madre, forse avrò modo di realizzarlo.

– Piano? Ascolta, AA. Tu fa le cose peggio, e io ti rovino, capito?

– Ma se il mio piano funziona, Josie tornerà forte e sana. Potrà andare al college, diventare adulta. Purtroppo non posso dirti di piú. Ma se riesco ad arrivare in città, avrò una chance.

– Ok. Prima cosa, AA, tu guarda bene Miss Josie in città giovedí. Sentito bene?

– Sí, domestica.

– Ah, AA. Del tuo grande piano. Se poi Miss Josie sta peggio io viene lí e ti smonto. Ti butto in spazzatura.

– Domestica, – dissi sorridendole con fiducia per la prima volta da quando ero arrivata nella casa, – grazie per questo discorso e per le raccomandazioni. E grazie per la fiducia. Farò del mio meglio per proteggere Josie.

– Ok, AA. Noi due vuole stessa cosa.

Ci fu un altro incidente degno di nota in questo periodo, prima dell’uscita in città, un episodio che mi impartí una lezione importante. Accadde nel cuore di una notte in cui fui svegliata da un rumore che faceva Josie. La camera era al buio, ma dato che a Josie il buio completo non piaceva, l’avvolgibile della finestra davanti era abbassato solo per due terzi e luna e stelle creavano disegni sulla parete e sul pavimento. Quando guardai verso il letto, mi accorsi che Josie formava una sagoma a mucchio sotto il piumino dal quale proveniva un canticchiare fioco, come se Josie cercasse di ricordarsi una melodia e non volesse disturbare il resto della casa.

Mi avvicinai alla sagoma a mucchio e, quando ci fui sopra, la sfiorai con delicatezza. Ci fu un’eruzione improvvisa, con il piumino che esplodeva nel buio circostante, e la stanza fu piena dei singhiozzi di Josie.

– Josie, che succede? – dissi a voce bassa, ma ansiosa. – È tornato il dolore?

– No! Niente dolore! Ma voglio la mamma! Chiama la mamma. Ne ho bisogno qui, subito!

Non solo la sua voce era forte, ma pareva si fosse ripiegata su se stessa e se ne producessero due versioni insieme, in tonalità appena percettibilmente diverse. Non le avevo mai sentito emettere quella voce e per un istante esitai. Josie si mise in ginocchio e a quel punto vidi che il piumino non era esploso, ma semplicemente ammucchiato in una grossa palla dietro di lei.

– Chiama la mamma!

– Ma tua madre deve riposare, – dissi mantenendo la voce un sussurro. – Sono la tua AA. È proprio per questo che sono qui. Sono sempre qui.

– Non ho detto te. Ho bisogno della mamma!

– Ma Josie…

Ci fu un trambusto alle mie spalle e qualcuno mi spinse via facendomi quasi perdere l’equilibrio. Quando mi ripresi, davanti a me accanto al bordo del letto vidi una grossa forma in movimento, resa ancora piú complessa da chiazze di nero e di luce lunare che le si spostavano addosso. Mi resi conto che la forma erano Josie e la Madre strette in un abbraccio – la Madre vestita con una specie di pallido completo da runner e Josie con il suo solito pigiama blu scuro. Oltre alle braccia, anche i capelli si erano aggrovigliati e la forma prese a dondolare dolcemente, in modo non tanto diverso da quando si salutavano a lungo.

– Non voglio morire, mamma. Non voglio.

– Va tutto bene. Ok –. La Madre parlava piano, piú o meno come avevo fatto io poco prima.

– Non voglio, mamma.

– Lo so. Lo so. Va bene.

Mi allontanai senza fare rumore dirigendomi alla porta e uscii sul pianerottolo buio. Mi fermai alla ringhiera a osservare gli strani disegni notturni sul soffitto e l’ingresso sottostante e a riflettere sul significato di quel che era appena accaduto.

Dopo un poco, la Madre uscí piano dalla stanza e, senza guardare dalla mia parte, imboccò il buio del breve corridoio che conduceva alla sua. C’era silenzio adesso dietro la porta di Josie e, quando rientrai, il piumino e il letto erano tornati in ordine, e Josie dormiva con il respiro di nuovo tranquillo.

Parte quarta

L’Appartamento dell’Amica stava dentro una casa a schiera. Dalla finestra della sua Sala Grande vidi sul lato opposto della strada altre case a schiera tutte simili. Ce n’erano sei in fila, e la facciata di ognuna era dipinta di un colore leggermente diverso per evitare che un inquilino potesse salire i gradini sbagliati ed entrare per errore nella casa di un vicino.

Quel giorno comunicai a Josie questa osservazione, quaranta minuti prima di avviarci per andare a trovare l’uomo del ritratto, Mr Capaldi. Sdraiata sul divano di pelle dietro di me, Josie leggeva un tascabile che aveva preso dagli scaffali neri. Il disegno del Sole le cadeva sulle ginocchia sollevate e la lettura la stava impegnando al punto che per tutta risposta mi rivolse un suono vago. Mi fece piacere, perché poco prima l’attesa la stava rendendo molto nervosa. Si era rilassata parecchio dopo che mi ero spostata alla tripla finestra, perché sapeva che l’avrei avvisata appena il taxi del Padre avesse accostato di fuori.

Anche la Madre era diventata nervosa, ma non sapevo con certezza se dipendesse dal prossimo incontro con Mr Capaldi o dall’arrivo imminente del Padre. Si era allontanata qualche minuto prima dalla Sala Grande, e sentivo la sua voce parlare al telefono nella stanza accanto. Avrei potuto ascoltare le sue parole appoggiando la testa sulla parete, e presi in considerazione l’idea di farlo, data la possibilità che stesse parlando con Mr Capaldi. Ma mi dissi che questo avrebbe potuto rendere Josie perfino piú ansiosa e conclusi che con ogni probabilità la Madre stava parlando al Padre per indicargli la strada.

Quando mi resi conto che Josie dipendeva dai miei occhi per intercettare il taxi del Padre, accantonai l’intenzione di imparare meglio l’Appartamento dell’Amica e mi concentrai sulla vista dalla tripla finestra. Non mi dispiaceva, soprattutto perché non era escluso che la Macchina Cootings passasse di lí e, anche se non avrei potuto inseguirla con disinvoltura, un avvistamento del genere sarebbe stato un importante passo avanti.

A quel punto comunque mi ero rassegnata all’idea che le probabilità di veder passare la Macchina Cootings davanti all’Appartamento dell’Amica erano scarse. Poco prima, mentre entravamo con l’auto in città, avevo nutrito grandi speranze perché, durante il tragitto in periferia, avevamo superato un buon numero di uomini di manutenzione e, anche quando gli uomini non erano direttamente visibili, c’erano le loro barriere a impedire l’accesso a questa o quella via. Era stato allora che avevo cominciato a pensare che da un momento all’altro sarebbe comparsa la Macchina Cootings. Ma sebbene avessi continuato a guardare dal finestrino laterale e sebbene per ben due volte avessimo superato altri tipi di macchine, quella non si vide. Poi il traffico si era fatto piú lento e gli uomini di manutenzione erano diminuiti di numero. La Madre e Miss Helen, davanti, conversavano nel loro solito modo disteso, mentre accanto a me sul sedile posteriore Josie e Rick si indicavano cose di fuori parlando sottovoce. Ogni tanto uno dei due dava di gomito all’altro mentre superavamo qualcosa, e poi scoppiavano a ridere insieme, pur senza essersi detti una sola parola. Superammo un parco in fiore tutto rosa, e un edificio con un cartello che diceva «Vietata la Sosta Eccetto ai Furgoni», e sul sedile anteriore anche la Madre e Miss Helen ridevano, sebbene con una certa cautela nella voce. – Devi semplicemente mostrarti ferma con lui, Chrissie, – disse Miss Helen. Poi arrivarono i cartelli cinesi, e le biciclette incatenate ai pali, e poi prese a piovere – malgrado il Sole continuasse a fare del proprio meglio – e comparvero coppie sotto l’ombrello e turisti con i giornali sopra la testa, e io vidi un AA correre sotto un riparo insieme al suo adolescente. – Dài, Rick, è ridicolo, – disse Josie rispetto a qualcosa, e ridacchiò. La pioggia cessò mentre imboccavamo una via di edifici talmente alti che i marciapiedi su entrambi i lati erano in ombra e c’erano uomini in canottiera seduti sui gradini di casa a discutere e guardarci passare. – Davvero, Chrissie, lasciaci in un punto qualsiasi, ti prego, – stava dicendo Miss Helen. – Vi abbiamo già fatto allungare anche troppo –. Vidi due edifici grigi uno accanto all’altro ma non della stessa altezza, e qualcuno aveva dipinto un disegno da fumetto sulla sezione di muro dell’edificio piú alto che svettava al di sopra di quello vicino, forse per rendere meno sgraziata la difformità. La mia mente si riempiva di gioia ogni volta che notavo un cartello di Rimozione Forzata anche quando era leggermente diverso da quelli fuori del nostro negozio. Josie si sporse in avanti e fece un commento spiritoso e le due adulte risero. – Allora ci vediamo al sushi bar, – disse la Madre a Miss Helen. – È proprio accanto al teatro. Non potete sbagliare –. E Miss Helen rispose: – Grazie, Chrissie, so che mi farà un gran bene. E che farà un gran bene anche a Rick –. Attraversammo una piazza con fontana, poi un parco pieno di foglie nel quale intravidi altri due AA, e infine una via trafficata con edifici altissimi.

– È in ritardo, – disse Josie dal divano, e sentii il tonfo sordo del tascabile che cadeva sul tappeto. – Il che non mi sorprende, direi.

Mi resi conto che cercava di prenderla con spirito, perciò ridendo dissi: – Ma sono sicura che ha una gran voglia di rivedere Josie. Non dimenticare che il traffico era molto lento mentre venivamo. È probabile che stia succedendo la stessa cosa anche a lui.

– Papà non arriva mai puntuale da nessuna parte. E dopo che la mamma gli ha offerto di pagargli il taxi. Ok. Ho deciso di non pensare a lui per un po’. Non ne vale decisamente la pena.

Mentre allungava il braccio per prendere il tascabile caduto, mi girai di nuovo verso la tripla finestra. La vista della via dall’Appartamento dell’Amica era molto diversa rispetto a quella dal negozio. I taxi erano sporadici ma altri tipi di auto – di ogni dimensione, forma e colore – transitavano veloci per fermarsi all’estrema sinistra della mia visuale, dove un semaforo dal lungo braccio sovrastava la via. C’erano meno runner e turisti qui, ma piú camminatori con auricolare, e piú ciclisti pedalatori, alcuni con una mano impegnata a reggere qualcosa e l’altra sul manubrio. A un certo punto, poco dopo il commento di Josie sul ritardo del Padre, passò un ciclista che aveva sotto il braccio una grande tavola a forma di uccello appiattito e io ebbi paura che il vento sulla tavola potesse sbilanciarlo. Ma il ciclista era abile e sfrecciò tra le auto fino a trovarsi in prima fila proprio sotto il semaforo sospeso.

La voce della Madre nella stanza accanto era diventata nervosa e io sapevo che Josie la sentiva, ma quando mi voltai a guardarla la vidi ancora tutta assorta nella lettura del tascabile. Passò una donna con cane al guinzaglio, poi una station wagon con la scritta «Ristorante Caffetteria da Gio» sul lato. Poi un taxi rallentò proprio lí fuori. La Sala Grande era piú in alto rispetto al marciapiede, perciò non riuscivo a vedere l’interno del taxi, ma la voce della Madre si interruppe e fui certa che si trattasse del Padre in arrivo.

– Josie, eccolo qui.

Da principio continuò a leggere. Poi fece un lungo respiro, si rizzò a sedere e lasciò cadere il libro di nuovo sul tappeto. – Scommetto che credi sia un coglione, – disse. – Certi credono che sia un coglione. In realtà è un genio. Devi dargli una chance.

Vidi una figura alta ma curva in impermeabile grigio emergere dal taxi con un sacchetto di carta in mano. Guardò esitante la nostra casa a schiera e pensai che non sapesse quale fosse quella giusta, visto che da un lato e dall’altro erano tutte cosí simili. Teneva con attenzione il sacchetto di carta, come certi portano in braccio un piccolo cane troppo stanco per camminare. Scelse i gradini giusti, e forse mi vide addirittura, malgrado mi fossi fatta indietro nella stanza dopo aver avvertito Josie. Credevo che adesso la Madre sarebbe tornata nella Sala Grande e in effetti i suoi passi risuonarono, ma lei rimase fuori nell’ingresso. Per un tempo che sembrò piuttosto lungo, Josie e io – e la Madre nell’ingresso – aspettammo in silenzio. Poi il campanello suonò e sentimmo di nuovo i passi della Madre, poi le loro voci.

Si parlarono piano. La porta tra l’ingresso e la Sala Grande era socchiusa e Josie e io – entrambe ferme al centro della stanza – aspettavamo di cogliere un segnale. Poi entrò il Padre, non piú in impermeabile ma ancora con il sacchetto di carta in tutte e due le mani. Indossava una giacca da ufficio abbastanza di alto livello, ma sotto portava una maglia marrone stanca che gli saliva fino al mento.

– Ehi, Josie! La mia bestiola preferita.

Era chiaro che avrebbe voluto salutare Josie con un abbraccio, e si guardava attorno cercando un posto dove poter appoggiare il sacchetto di carta, ma Josie si fece avanti e gli mise le braccia al collo, con sacchetto e tutto. Mentre riceveva l’abbraccio, il suo sguardo vagò per la stanza e cadde su di me. Allora lo distolse e chiuse gli occhi, appoggiando una guancia sulla testa di lei. Rimasero cosí per un po’, fermissimi, senza neanche dondolare come facevano a volte la Madre e Josie quando si salutavano la mattina.

La Madre era altrettanto ferma, un po’ indietro, con uno scaffale nero al lato di ciascuna spalla, e osservava la scena senza sorridere. L’abbraccio proseguiva e quando tornai con lo sguardo sulla Madre, tutta quella sezione della stanza si era frazionata e gli occhi strizzati di lei si ripetevano riquadro dopo riquadro e in alcuni osservavano Josie e il Padre, mentre in altri guardavano me.

Infine i due si sciolsero dall’abbraccio e il Padre sorrise e sollevò il sacchetto di carta, come per fargli arrivare piú ossigeno.

– Ecco qua, bestiola, – disse a Josie. – Ti ho portato la mia ultima piccola produzione.

Passò a Josie il sacchetto sostenendone il fondo finché lei non fece lo stesso e sedettero l’uno accanto all’altra sul divano per sbirciare dentro. Anziché estrarre l’articolo dal sacchetto, Josie strappò la carta lateralmente rivelando un piccolo specchio rotondo e increspato montato su un minuscolo supporto. Se lo appoggiò sul ginocchio e disse: – E questo cos’è, papà? Per il trucco?

– Volendo. Ma non lo stai guardando. Osserva bene.

– Caspita! Formidabile! Che sta succedendo?

– Non è strano il modo in cui tutti noi li sopportiamo? Tutti questi specchi che ci riflettono alla rovescia? Questo invece ti mostra come sei veramente. E non pesa piú di un normale portacipria.

– Ma è fantastico! L’hai inventato tu?

– Mi piacerebbe poterlo dire, ma il merito in realtà va al mio amico Benjamin, un altro membro della comunità. A lui è venuta l’idea, ma non sapeva bene come realizzarla nel mondo reale. Cosí, di quella parte mi sono occupato io. Appena sfornato, giusto la settimana scorsa. Che ne pensi, Josie?

– Caspita, è un capolavoro. Non farò altro che controllare come appaio in pubblico d’ora in poi. Grazie! Sei proprio un genio. Funziona a pile?

Per qualche minuto il Padre e Josie continuarono a parlare dello specchio, interrompendosi per scambiarsi saluti scherzosi come se si fossero appena rivisti. Si trovavano spalla contro spalla e spesso, mentre chiacchieravano, si stringevano ancora piú vicini. Io restavo ferma al centro della stanza, con il Padre che ogni tanto mi guardava, e pensavo che da un momento all’altro Josie ci avrebbe presentati. Ma l’arrivo del Padre l’aveva scombussolata, continuava a parlargli precipitosamente, e di lí a poco il Padre smise di guardare dalla mia parte.

– Il mio nuovo professore di fisica, papà, scommetto che non sa la metà di quello che sai tu. E poi è strambo. Se non fosse mega-accreditato, direi alla mamma che dobbiamo farlo arrestare. No, no, non ti spaventare, non è scorretto. È solo talmente ovvio che sta fabbricando qualcosa nel suo capanno per farci saltare tutti in aria, mi spiego? A proposito, come va il ginocchio?

– Oh, molto meglio, grazie. Anzi, sta decisamente bene.

– Ti ricordi il biscotto che ti sei mangiato l’ultima volta che siamo usciti? Quello che somigliava al presidente cinese?

Malgrado il discorso di Josie fosse rapido e ininterrotto, mi rendevo conto che controllava le parole mentalmente prima di pronunciarle. Poi la Madre – che intanto si era spostata nell’ingresso – tornò con la giacca addosso e il giaccone pesante di Josie alto in aria. Troncando di brutto la conversazione tra Josie e il Padre, disse:

– Paul, andiamo. Non hai ancora salutato Klara. Ecco, lei è Klara.

Il Padre e Josie tacquero, ed entrambi guardarono me. Poi il Padre disse: – Klara. Salve –. Il sorriso che aveva avuto da quando era entrato nell’appartamento non c’era piú.

– Mi dispiace farvi fretta, ragazzi, – disse la Madre. – Ma tu, Paul, sei arrivato in ritardo. Abbiamo un appuntamento.

Il Padre tornò a sorridere ma adesso c’era della rabbia nei suoi occhi. – Non vedo mia figlia da quasi tre mesi e non mi è concesso di parlarle per cinque minuti?

– Paul, sei stato tu a insistere per venire con noi oggi.

– Credo sia mio diritto venire, Chrissie.

– E chi lo nega. Ma non puoi farci arrivare in ritardo.

– Questo tizio è cosí impegnato che…

– Non farci arrivare in ritardo, Paul. E comportati come si deve quando sei là.

Il Padre guardò Josie e si strinse nelle spalle. – Lo vedi, mi sono già messo nei guai, – disse scoppiando a ridere. – Coraggio, bestiola, sarà meglio andare.

– Paul, – disse la Madre, – non hai parlato con Klara.

– L’ho appena salutata.

– Avanti. Dille qualcosa di piú.

– Fa parte della famiglia. È questo che intendi?

La Madre lo fissò, poi parve cambiare idea riguardo a qualcosa e scosse per aria il giaccone di Josie.

– Coraggio, tesoro. Dobbiamo proprio andare.

Mentre aspettavamo fuori l’auto della Madre, il Padre – di nuovo in impermeabile – cingeva Josie con un braccio. Stavano sul bordo del marciapiede e io invece mi tenevo piú indietro, quasi al cancello della casa a schiera, con i pedoni che transitavano in mezzo a noi. A causa delle nostre rispettive collocazioni e della strana acustica esterna, facevo fatica a sentire le loro parole. A un certo punto il Padre si girò dalla mia parte, ma continuò a parlare con Josie anche mentre i suoi occhi scrutavano me. Poi una signora dalla pelle nera con grandi orecchini passò tra noi e quando ci ebbe superati, il Padre mi dava di nuovo le spalle.

Quando arrivò l’auto della Madre, io salii dietro con Josie e, una volta partiti, cercai di intercettare il suo sguardo per rassicurarla, se mai fosse stata in ansia per la seduta di posa del ritratto. Ma lei guardava fuori dal finestrino dalla sua parte e non si girò.

L’auto della Madre poteva procedere solo a rilento, sempre bloccata da una coda di traffico all’altra. Passammo davanti a porte chiuse e finestre sbarrate. Ricominciò a piovere, comparvero le coppie sotto l’ombrello e le persone col cane al guinzaglio si muovevano in fretta. A un certo punto al mio fianco – talmente vicino che abbassando il finestrino avrei potuto toccarlo – comparve un muro fradicio coperto di rabbiose scritte da fumetto.

– Non va poi cosí male, – stava dicendo la Madre al Padre. – Non abbiamo i numeri. Il budget è diminuito di quasi il quaranta per cento su ogni campagna. Siamo in conflitto cronico con le PR. Ma a parte questo, sí. Tutto bene.

– Steven fa ancora sentire la sua presenza?

– Altro che. Stesso cordialone di sempre.

– Sai, Chrissie. Mi chiedo proprio se ne valga la pena. Di non mollare la presa in questo modo.

– Non sono sicura di capire. Che cosa sarebbe che non mollo?

– Goodwins. La facoltà di Legge. Tutto questo… mondo fatto di lavoro. Ogni tuo istante di veglia condizionato da un contratto che hai sottoscritto chissà quando.

– Ti prego, non ci torniamo su. Mi dispiace per quel che ti è successo, Paul. Mi dispiace e mi fa ancora arrabbiare. Ma continuo a non mollare, come dici tu, perché il giorno in cui lo facessi il mondo di Josie, il mio mondo, crollerebbe.

– Come fai a esserne tanto sicura, Chrissie? Senti, lo so, è un passo importante. Ti propongo solo di pensarci ancora. Prova a guardare le cose da una prospettiva nuova.

– Una prospettiva nuova? Avanti, Paul, non vorrai sostenere che sei contento di come è finita. Tutto quel talento. Quell’esperienza.

– Sinceramente? Credo che le sostituzioni siano la cosa migliore che mi è capitata. Ne sono fuori ormai.

– Come puoi dire una cosa del genere? Eri un’eccellenza. Conoscenze insuperabili, doti di altissimo livello. Come può essere giusto che nessuno possa utilizzarti?

– Chrissie, devo proprio dirtelo, questa faccenda ha amareggiato molto piú te di me. Le sostituzioni mi hanno assicurato una prospettiva completamente nuova sul mondo, e sono davvero convinto che mi abbiano aiutato a distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è. E dove sto adesso c’è tanta brava gente che la vede allo stesso modo. Persone a cui è toccato fare la mia stessa strada, certe con carriere alle spalle molto piú prestigiose della mia. E ci troviamo tutti d’accordo, e sinceramente non credo che ci stiamo prendendo in giro. Stiamo meglio di come stavamo allora.

– Davvero? Lo pensano proprio tutti? Anche quel tuo amico, quello che faceva il giudice a Milwaukee?

– Non dico che sia sempre facile. A tutti capitano le giornate storte. Ma in confronto a prima, ci sembra… di vivere veramente per la prima volta.

– Fa piacere sentirselo dire da un ex marito.

– Scusami. Senti, lasciamo perdere. Devo farti qualche domanda. A proposito del ritratto.

– Non adesso, Paul. E non qui.

– Hmm. D’accordo.

– Ehi, papà, – esclamò Josie accanto a me. – Chiedi pure quel che ti pare. Tanto non ascolto.

– Col cavolo che non ascolti, – disse il Padre ridendo.

– Non voglio altre discussioni sul ritratto, Paul, – disse la Madre. – Almeno questo me lo devi.

– Te lo devo? Non vedo perché ti dovrei qualcosa, Chrissie.

– Non ora, Paul.

In quel preciso momento mi accorsi che il cartello di Rimozione Forzata che stavamo superando era quello che conoscevo benissimo e, nello stesso istante, al fianco di Josie comparve il Palazzo RPO, e i ben noti taxi ci si affollarono tutto intorno. Quando però mi girai emozionata verso il nostro negozio, mi resi conto che qualcosa non andava.

Certo non avevo mai visto il negozio dalla via, ma non c’era comunque nessun AA, e non c’era il Divano a Righe in vetrina. C’era invece un espositore di bottiglie colorate, e un cartello che diceva: «Illuminazione da Incasso». Mi voltai indietro per continuare a guardare, mentre Josie diceva:

– Ehi, Klara, sai dove siamo?

– Sí, certo –. Ma avevamo già superato le strisce pedonali e non avevo neppure fatto in tempo a vedere se gli uccelli stavano appollaiati sul semaforo sospeso. In effetti la comparsa improvvisa del negozio mi aveva cosí sorpresa che non ero affatto riuscita a osservare i dintorni come avrei voluto. E quando ormai eravamo in una sezione completamente diversa della via e tornai a voltarmi a guardare, vidi il Palazzo RPO rimpicciolire nel lunotto posteriore.

– Sai che cosa penso? – La voce di Josie sembrava premurosa. – Penso che magari il tuo vecchio negozio si è spostato.

– Sí. Forse.

Ma non ebbi piú tempo di pensare al negozio, perché quel che vidi subito dopo – in mezzo ai due sedili anteriori – fu la Macchina Cootings. La riconobbi prima ancora di arrivare abbastanza vicino da riuscire a leggere la scritta sulla carrozzeria. Eccola lí, a sputare Inquinamento da tre fumaioli, come faceva da sempre. Sapevo che avrei dovuto sentirmi arrabbiata, e invece l’averla raggiunta dopo la sorpresa del negozio mi fece provare una specie di tenerezza per quella macchina tremenda. Poi la superammo, mentre il Padre e la Madre continuavano a parlarsi carichi di tensione, e Josie disse accanto a me: – Questi negozi, sempre lí a cambiare… Era quello che temevo il giorno che sono venuta a cercarti. Che non ci fosse piú il negozio, con te e tutti i tuoi amici insieme.

Le sorrisi, ma non dissi nulla. Davanti, le voci degli adulti aumentarono di volume.

– Senti, Paul, ne abbiamo già discusso un mucchio di volte. Josie, Klara e io adesso entriamo là dentro come da programma. Eri d’accordo anche tu, ti ricordi?

– Ero d’accordo, ma posso comunque esprimere un pensiero, no?

– No, non qui! Non adesso e non in questa cazzo di macchina!

Frattanto Josie mi diceva qualcosa, ma si era distratta. E quando gli adulti tacquero disse: – Se vuoi, Klara, possiamo tornare a vedere domani, a condizione che ci sia tempo.

Per un attimo pensai che si riferisse alla Macchina Cootings, ma poi mi resi conto che parlava dei nuovi possibili locali in cui dovevano essersi trasferiti Direttrice e tutti gli altri AA. Mi sembrò un po’ troppo precipitosa nello stabilire che si fossero senz’altro spostati per il solo motivo che la vetrina ci era sembrata diversa, e stavo per dirglielo ma lei si sporse in avanti, verso gli adulti.

– Mamma? Solo se c’è tempo domani? Klara vuole venire a vedere che cosa è successo al suo vecchio negozio. Possiamo?

– Se vuoi, tesoro. Era il nostro patto. Oggi andiamo a trovare Mr Capaldi e tu fai quello che lui ti chiede. Domani facciamo quel che vuoi tu.

Il Padre scosse la testa e si voltò verso il suo finestrino, ma poiché stava seduta proprio dietro di lui, Josie non vide la sua espressione.

– Non ti preoccupare, Klara –. Allungò una mano per sfiorarmi il braccio. – Domani lo troviamo.

La Madre lasciò la strada ed entrò con l’auto in un piccolo cortile cintato da una rete metallica. C’era un cartello anti-parcheggio appeso alla recinzione ma lei ci si fermò proprio di fronte, accanto all’unica altra auto. Scendemmo su un terreno duro e pieno di fenditure. Josie partí col suo passo cauto a fianco del Padre, in direzione di un edificio di mattoni che affacciava sul cortile e, forse a causa del terreno irregolare, il Padre la prese sottobraccio. La Madre stava vicina all’auto a osservare la scena e per un momento non si mosse. Poi, con mia sorpresa, venne verso di me, mi prese sottobraccio, e ci avviammo insieme, come se imitassimo il Padre e Josie.

Non c’erano altri edifici su nessuno dei due lati, e io decisi che non poteva essere una vera casa perché i muri non erano tinteggiati e nere scale antincendio li percorrevano a zigzag. C’erano cinque piani in tutto che terminavano su un tetto piatto ed ebbi la sensazione che il motivo per cui non c’erano edifici vicini fosse che lí era successa una disgrazia e avessero dovuto far sgomberare tutto dagli uomini di manutenzione. Mentre scavalcavo le fenditure, la Madre si chinò verso di me.

– Klara, – mi disse sottovoce. – Ricordati. Mr Capaldi ti vorrà fare qualche domanda. Magari anche parecchie. Tu devi rispondere. Ok, tesoro?

Era la prima volta che mi chiamava «tesoro». Risposi: – Sí, certo, – e subito dopo davanti a me si ergeva l’edificio di mattoni, e mi accorsi che dentro ogni finestra c’era un disegno su carta millimetrata.

Al pianoterra, accanto a due bidoni della spazzatura c’era una porta; Josie e il Padre la raggiunsero e si girarono ad aspettare, come se fosse compito della Madre condurci dentro. Quando se ne accorse, mi lasciò il braccio e andò alla porta da sola. Rimase immobile per un attimo prima di premere il pulsante della porta.

– Henry, – disse nel citofono a muro. – Siamo qui.

L’interno della casa di Mr Capaldi non somigliava per niente al fuori. Nella sua Sala Grande i pavimenti erano quasi della stessa sfumatura di bianco delle immense pareti. Faretti potenti fissati al soffitto ci splendevano addosso, rendendo difficile alzare lo sguardo senza essere abbagliati. C’erano pochissimi arredi per uno spazio tanto grande: un grosso divano nero con un tavolo basso sul quale Mr Capaldi aveva predisposto due macchine fotografiche con i loro obiettivi. Il tavolo basso, come il Carrello Espositore del nostro negozio, aveva le rotelle per potersi spostare facilmente.

– Henry, non vogliamo che Josie si stanchi, – stava dicendo la Madre. – Possiamo incominciare, magari?

– Ma certo –. Con un cenno della mano Mr Capaldi indicò l’angolo remoto dove due grafici stavano appesi alla parete uno a fianco all’altro. Su ciascuno vidi una serie di righe che si intersecavano a varie angolazioni. Davanti ai grafici era stata sistemata una sedia metallica leggera, e anche una lampada a treppiede. In quel momento la lampada a treppiede non era accesa, e l’angolo remoto appariva desolato e buio. Josie e la Madre rivolsero sguardi apprensivi in quella direzione e Mr Capaldi, che forse l’aveva notato, toccò qualcosa sul tavolo basso e la lampada a treppiede riprese vita, illuminando intensamente tutto l’angolo, ma creando anche ombre nuove.

– Sarà una cosa di assoluto relax, – disse Mr Capaldi. Aveva un principio di calvizie, e una barba che quasi gli nascondeva la bocca. Stimai un’età di cinquantadue anni. La sua faccia appariva sempre sul punto di sorridere. – Niente di impegnativo. Allora, se Josie è pronta, magari possiamo cominciare. Josie, ti va di venire da questa parte?

– Aspetta, Henry, – disse la Madre, con una voce che riecheggiò nello spazio. – Speravo di vedere il ritratto prima. Quel che hai fatto fin qui.

– Ma certo, – disse Mr Capaldi. – Anche se devi tener conto che si tratta di un lavoro in corso. E non sempre è facile per chi non è del mestiere capire la lentezza con cui queste cose prendono forma.

– Vorrei dare comunque un’occhiata.

– Ti porto su subito. Anzi, Chrissie, sai bene che non hai bisogno del mio permesso. Il capo sei tu.

– Mi spaventa un po’, – disse Josie, – ma una sbirciatina la darei anch’io.

– Uh, tesoro. Ho promesso a Mr Capaldi che non avresti ancora visto niente.

– Propendo anch’io per questa posizione, – disse Mr Capaldi. – Se non ti dispiace, Josie. In base alla mia esperienza, se il soggetto vede il ritratto troppo presto, le cose si ingarbugliano. Ho bisogno della tua assoluta inconsapevolezza.

– Inconsapevolezza a proposito di cosa, precisamente? – domandò il Padre con voce alta e tonante. Si era tenuto addosso l’impermeabile malgrado Mr Capaldi l’avesse per due volte invitato ad appenderlo a un gancio nell’ingresso. Si era portato davanti ai due grafici e li studiava con espressione assorta.

– Intendo dire, Paul, che se il soggetto, in questo caso Josie, è troppo consapevole, può diventare innaturale nelle sedute di posa. Non intendevo dire altro.

Il Padre continuò a fissare i grafici alle pareti. Poi scosse la testa come aveva fatto in auto.

– Henry? – disse la Madre. – Posso andare nel tuo studio ora? A vedere che stai combinando?

– Ma certo. Seguimi.

Mr Capaldi condusse la Madre a una scala metallica che saliva a una balconata. Osservai i loro piedi attraverso i vuoti fra un piolo e l’altro. Quando fu sulla balconata, Mr Capaldi premette un tastierino accanto a una porta viola, ci fu un breve ronzio, ed entrarono insieme.

La Porta Viola si chiuse dietro di loro e io raggiunsi il divano nero su cui sedeva Josie. Avrei voluto fare un commento spiritoso per tranquillizzarla, ma parlò prima il Padre dall’angolo illuminato.

– Suppongo, bestiola, che l’idea sia di scattarti foto su foto davanti a questi grafici –. Si avvicinò di piú. – Guarda qua. Ci sono misure segnate lungo tutte le linee.

– Sai una cosa, papà, – disse Josie. – La mamma ci ha detto che eri d’accordo a venire qui oggi. Ma forse non è stata una buona idea. Potevamo incontrarci da qualche altra parte. Fare un’altra cosa.

– Non preoccuparti, faremo qualcos’altro dopo. Qualcosa che sia un po’ meglio di questo –. Si girò e le sorrise dolcemente. – A proposito del ritratto. Mettiamo che a un certo punto sia finito. Quello che mi secca è che non potrò tenerlo io. Perché lo vorrà tenere tua madre.

– Ma tu puoi venire a vederlo quando ti pare, – disse Josie. – Potrebbe essere una specie di scusa. Per venire piú spesso.

– Sai, Josie, mi dispiace. Come sono andate le cose. Vorrei poter stare di piú con te. Tanto di piú.

– Va bene cosí, papà. Sta andando a posto, ora. Ehi, Klara. Che te ne pare del mio papà? Non è poi cosí matto, no?

– È stato un grande piacere conoscere Mr Paul.

Il Padre continuò a guardare i grafici come se non avessi detto niente, puntando il dito su un particolare. Quando finalmente si girò verso di me, i suoi occhi avevano perso le pieghe del sorriso.

– Piacere di conoscerti anche per me, Klara, – disse. Poi si rivolse a Josie: – Senti qua, bestiola. Cerchiamo di sbrigarcela in fretta, qui. Dopodiché ce ne possiamo andare noi due soli da qualche parte, a mangiare qualcosa. Ho in mente un posto che credo ti piacerebbe.

– Sí, certo. Se la mamma e Klara sono d’accordo.

Si girò indietro e, proprio in quel momento, su in balconata, la Porta Viola si aprí e comparve Mr Capaldi. Parlò rivolto all’interno del suo studio e dalla soglia disse:

– Tu sta’ pure lí tutto il tempo che vuoi. Ma sarà meglio che io scenda a occuparmi di Josie.

Sentii la voce della Madre dire qualcosa, poi uscí anche lei sulla balconata. Aveva perso il consueto portamento a schiena dritta e Mr Capaldi le tese una mano, come se fosse pronto ad afferrarla per impedirle di cadere.

– Ehi, Chrissie, ti senti bene?

La Madre superò Mr Capaldi e si avviò per la scala tenendosi al corrimano. A metà discesa si fermò per scostarsi i capelli prima di procedere fino in fondo.

– Allora, che ne pensi? – domandò Josie con ansia.

– Va bene, – disse la Madre. – Andrà bene. Paul, dovresti vederlo, vai.

– Magari tra un minuto, – disse il Padre. – Capaldi, ti sarei grato se facessi in fretta con noi oggi. Voglio andare con Josie a prendere un caffè e una fetta di torta.

– Senz’altro, Paul. Abbiamo tutto sotto controllo. Tu, Chrissie, sei sicura di star bene?

– Sto bene, – disse la Madre, ma intanto si affrettava a raggiungere il divano nero.

– Josie, – disse Mr Capaldi. – Prima di cominciare c’è un piccolo favore che vorrei tanto chiedere a Klara. Una cosetta che dovrebbe fare per me. Pensavo che potrebbe occuparsene mentre noi facciamo le foto. Ti va?

– Per me va bene, – disse Josie. – Ma bisogna chiederlo a Klara.

Mr Capaldi si rivolse invece al Padre: – Paul, forse come collega e scienziato mi darai ragione. Io sono convinto che gli AA abbiano cosí tanto di piú da offrirci di quanto al momento siamo in grado di valutare. Non dovremmo aver paura delle loro facoltà intellettuali. Dovremmo imparare da loro. Hanno cosí tanto da insegnarci, gli AA.

– Ero un ingegnere, mai stato uno scienziato. Credo che tu lo sappia. In ogni caso gli AA non sono mai stati il mio campo.

Mr Capaldi si strinse nelle spalle e, portandosi una mano alla barba, parve volerne controllare la consistenza. Poi si girò verso di me dicendo: – Klara, ho elaborato un sondaggio da sottoporti. Una specie di questionario. È già aperto sullo schermo, pronto a partire. Se per te non è un problema completarlo, te ne sarei molto grato.

Senza lasciarmi il tempo di rispondere, la Madre disse: – Che buona idea, Klara. Cosí avrai qualcosa da fare mentre Josie è impegnata a posare.

– Ma certo. Sarò lieta di rendermi utile.

– Grazie! Non è niente di complicato, te lo assicuro. Anzi, Klara, quello che vorrei è che tu non ti sforzassi. La cosa funziona molto meglio se rispondi in modo spontaneo.

– Capisco.

– Non sono neanche domande vere e proprie. Ma perché non saliamo a vedere? Ragazzi, Josie, ci vorrà meno di un minuto. Vado a sistemare Klara e torno. Josie, che bell’aspetto hai oggi. Da questa parte, Klara.

Pensavo che avrebbe portato anche me alla Porta Viola, invece prendemmo per la direzione opposta, dove un’altra scala metallica conduceva a una sezione diversa della balconata. Partí per primo Mr Capaldi, io lo seguii salendo con estrema cautela. Guardando giú vidi che Josie, la Madre e il Padre guardavano in su verso di noi. La Madre era ancora seduta sul divano nero. Salutai Josie con la mano, ma sotto non si mosse nulla. Poi Josie mi gridò: – Fai la brava, Klara!

– Da questa parte, Klara, per favore –. La balconata era stretta e dello stesso metallo scuro di cui era fatta la scala. Mr Capaldi teneva aperta una porta a vetri che conduceva in una stanzetta ancora piú piccola del bagno privato di Josie e occupata in larga misura da una sedia imbottita da ufficio di fronte a uno schermo. – Siediti qui, per favore. È già tutto pronto.

Mi sedetti con una parete bianca di fianco. Sotto lo schermo, su una apposita mensolina c’erano tre dispositivi di comando.

La stanza non era grande abbastanza per ospitare anche Mr Capaldi perciò la porta a vetri rimase aperta mentre lui mi dava istruzioni, sporgendosi di quando in quando per trafficare con i comandi. Lo ascoltai attentamente, anche se mi ero accorta che il Padre e la Madre, da sotto, erano tornati a parlarsi con voci tese e nervose. Al di là delle parole di Mr Capaldi, sentii la Madre dire: – Nessuno ti sta pregando di restare, Paul.

– Non è coerente, – diceva il Padre. – Dico semplicemente che non c’è coerenza.

– Non mi importa di essere coerente. Cerco solo di trovare un modo in cui possiamo andare avanti. Perché rendere le cose piú difficili, Paul?

Accanto a me, Mr Capaldi rise, si interruppe mentre mi forniva istruzioni e disse: – Oddio. A quanto pare è meglio che scenda ad arbitrare! Tu te la cavi qui, Klara?

– Grazie. È tutto chiarissimo.

– Mi fa piacere. Se hai dei dubbi, dammi una voce.

Quando chiuse, la porta mi sfiorò la spalla, ma dal vetro vedevo abbastanza da seguire Mr Capaldi scendere sotto il livello della balconata. Poi lasciai vagare lo sguardo nell’aria vuota dall’altra parte, fino alla Porta Viola dalla quale poco prima era uscita la Madre.

Iniziai il questionario di Mr Capaldi. A volte la domanda compariva sullo schermo in forma scritta. Altre volte si trattava di diagrammi in movimento, oppure lo schermo si faceva scuro e dagli altoparlanti fuoriuscivano suoni a molti strati. Poteva apparire un volto – quello di Josie, della Madre, di un estraneo – e poi sparire. In principio bastavano risposte di una dozzina di simboli e caratteri in tutto; ma con il complicarsi delle domande mi ritrovai a dare risposte piú lunghe, in certi casi fino a un centinaio tra simboli e caratteri. Per tutto il tempo, le voci provenienti da sotto si mantennero tese, ma con la porta a vetri chiusa non riuscivo piú a distinguere le parole.

A metà del mio compito, intravidi del movimento attraverso il vetro e sulla balconata opposta avvistai Mr Capaldi che portava su il Padre. Continuai a svolgere il compito ma ormai ne avevo afferrato l’obiettivo essenziale, perciò non ero piú costretta a dedicargli molta attenzione e potei osservare il Padre che si avvicinava alla Porta Viola, stringendosi addosso nervosamente l’impermeabile. Mi dava le spalle e lo vedevo attraverso un vetro smerigliato perciò non potevo esserne certa, ma dava l’impressione di essersi improvvisamente ammalato.

Mr Capaldi tuttavia, accanto a lui sulla balconata, sembrava tranquillo, gli sorrideva e gli parlava allegramente. Poi raggiunse il tastierino accanto alla Porta Viola. Dall’interno del mio cubicolo non sentii il ronzio dello sblocco, ma quando tornai a guardare da quella parte, il Padre era entrato e Mr Capaldi si sporgeva verso l’interno dalla soglia dicendo qualcosa. Poi vidi Mr Capaldi arretrare improvvisamente e il Padre uscire e, pur non potendo esserne certa per via del vetro smerigliato, adesso non mi sembrava piú malato, ma al contrario pieno di una nuova energia. Pareva non gli importasse di aver quasi gettato Mr Capaldi a terra e si precipitò giú dalla scala a velocità spericolata. Osservandolo, Mr Capaldi scosse il capo come un genitore di fronte al capriccio di un bambino in un negozio; poi richiuse la Porta Viola.

Le immagini sullo schermo cambiavano sempre piú rapidamente, ma il mio compito restava banale e, dopo qualche minuto, senza perdere concentrazione, socchiusi appena la porta a vetri al mio fianco. Cosí sentivo meglio le voci che provenivano da sotto.

– Quello che ci tieni a sottolineare, Paul, – diceva Mr Capaldi, – è che qualsiasi lavoro facciamo ci marchia. È questa la tua tesi, dico bene? Che siamo marchiati, e non sempre giustamente.

– Un modo davvero geniale di fraintendermi, Capaldi.

– Dài, Paul, – disse la Madre.

– Mi dispiace, Capaldi, se ti sembro scortese. Ma sinceramente? Credo che tu stia equivocando di proposito quello che dico.

– No, Paul. Sei tu che proprio non cogli il punto. Ogni lavoro comporta delle scelte etiche. È cosí, che ci venga pagato oppure no.

– Davvero delicato da parte tua, Capaldi.

– Dài, Paul, – ripeté la Madre. – Henry si limita a fare quel che gli abbiamo chiesto. Né piú né meno.

– Non mi stupisce, Capaldi… Henry, chiedo scusa… che uno come te fatichi a capire quello che dico.

Spinsi la sedia indietro sulle rotelle, mi alzai e varcai la porta a vetri per ritrovarmi sulla balconata. Avevo già accertato che si trattava di un circuito rettangolare che correva lungo tutte e quattro le pareti. Adesso, optando per la sua metà posteriore, avanzai radente alla parete bianca, badando di non far risuonare la rete metallica sotto i piedi, e di non attraversare fasci di luce per evitare che creassero ombre in movimento al piano di sotto. Raggiunsi inosservata la Porta Viola e digitai il codice che avevo osservato due volte. Seguí il solito ronzio di sblocco, ma anche questo passò inosservato da quelli al piano di sotto. A quel punto mi ritrovai nello studio di Mr Capaldi e mi richiusi la porta alle spalle.

La stanza era a forma di L, e la sezione di fronte a me svoltava ad angolo per poi proseguire in un’estensione oltre il confine normale dell’edificio. A condurre verso l’angolo, due banchi correvano lungo ciascuna parete, ingombri di forme, stoffe, piccoli coltelli e attrezzi. Ma non avevo tempo di concentrarmi su queste cose, e procedetti, ricordando di mantenere il passo leggero, perché il pavimento era anche qui della stessa rete metallica.

Svoltai l’angolo della L e vidi Josie sospesa a mezz’aria. Non era molto in alto – aveva i piedi all’altezza delle mie spalle – ma dal momento che si sporgeva in avanti a braccia tese e mani spalancate, sembrava congelata nell’atto di cadere. Piccoli fasci di luce la illuminavano da varie angolazioni, negandole qualsiasi riparo. La faccia era molto simile a quella della vera Josie, ma poiché nei suoi occhi non c’era il sorriso gentile, la curva all’insú delle labbra le dava un’espressione che non avevo mai visto. Sembrava delusa e spaventata. I vestiti non erano veri, ma fatti di carta velina finissima e cercavano di imitare una maglietta nella parte superiore del corpo, e pantaloncini larghi in quella inferiore. La carta velina era di quel giallo pallido e trasparente che sotto la luce cruda faceva apparire le gambe e le braccia di questa Josie ancora piú fragili. I capelli erano legati dietro nel modo in cui la vera Josie li portava nei giorni malati, e quello era l’unico dettaglio che non convinceva; i capelli erano stati fatti di una sostanza che non avevo mai visto su nessun AA, e sapevo che a questa Josie non sarebbero piaciuti.

Avendo concluso le mie osservazioni, intendevo rientrare al cubicolo prima che la mia assenza potesse essere notata. Tornai con cautela sui miei passi superando i due banchi da lavoro, e socchiusi di poco la Porta Viola. Emise il solito ronzio, ma dalle voci di sotto capii che nessuno l’aveva sentito, e mi resi anche conto che la tensione era aumentata.

– Paul, – la voce della Madre stava quasi urlando, – tu hai deciso di rendere questa cosa difficile sin dall’inizio.

– Avanti, Josie, – disse il Padre. – Ce ne andiamo. Subito.

– Ma papà…

– Josie, noi usciamo di qui, adesso. Fidati, so quel che faccio.

– Secondo me invece non lo sai, – disse la Madre, e Mr Capaldi si intromise dicendo: – Eh su, Paul, rilassati. Se c’è stato un malinteso, me ne assumo la piena responsabilità e chiedo scusa.

– Di quali altre informazioni hai bisogno, comunque? – domandò il Padre, e adesso urlava anche lui, ma forse era solo perché si spostava nella stanza, parlando. – Mi stupisce che tu non pretenda un campione di sangue.

– Paul, sii ragionevole, – disse la Madre. Il Padre e Josie intanto dicevano qualcosa contemporaneamente, ma Mr Capaldi intervenne ignorandoli:

– Va bene cosí, Chrissie, lascia che vadano. Lascia che vadano, non cambia niente.

– Mamma? Non è meglio che vada via subito con papà? Almeno potrete smetterla di strillare tutti quanti. Se rimango, sarà solo peggio.

– Non sono arrabbiata con te, tesoro. Sono arrabbiata con tuo padre. È lui il bambino piccolo.

– Avanti, bestiola. Andiamo.

– Ci vediamo dopo, mamma, ok? Arrivederci, Mr Capaldi…

– Lasciali andare, Chrissie. Lasciali andare.

Quando la porta d’ingresso si chiuse alle loro spalle, il rumore echeggiò in tutto l’edificio. Ricordai allora che l’auto era della Madre e mi chiesi se il Padre avesse i soldi per prendere un taxi e farsi portare dove adesso intendeva andare con Josie. Mi parve un po’ strano che Josie non avesse pensato di portarmi con sé, ma la Madre era ancora lí, e mi tornò in mente il giorno in cui eravamo andate alle Morgan’s Falls.

Uscii sulla balconata senza cercare piú di nascondermi né di attutire i miei passi. Sporgendomi dalla ringhiera, vidi che la Madre si era seduta dove prima c’era Josie – sulla sedia di metallo di fronte ai grafici. Mr Capaldi attraversò la stanza fino a trovarsi proprio sotto di me, e dall’alto gli vedevo la cima calva della testa, ma non l’espressione del volto. Poi proseguí molto lentamente verso la Madre, come se la lentezza fosse un indice di gentilezza, e si fermò accanto alla lampada a treppiede.

– Ti vedo spaventata, – disse con una voce diversa, addolcita. – Lascia che ti dica una cosa. Ho già visto succedere questo genere di cose molte volte. Ed è chi tiene duro, chi ha fede, che vince.

– Puoi dirlo forte che sono spaventata, accidenti.

– Non farti influenzare da Paul. Ricordati. Tu hai riflettuto sulla cosa, lui no. Paul è confuso.

– Paul non c’entra. Al diavolo Paul. È quel… quel ritratto lassú.

Mentre lo diceva, alzò gli occhi verso di me e mi vide. Fissò un punto al di là del bagliore accecante delle luci al soffitto, poi anche Mr Capaldi guardò verso di me. Si rivolse alla Madre con un’espressione interrogativa. La Madre continuava a guardare me, con una mano levata alla fronte, adesso.

– D’accordo, Klara, – disse alla fine. – Vieni giú ora.

Mentre scendevo i gradini di metallo, constatai con interesse che anziché rabbia, la Madre adesso mostrava apprensione. Mi avviai nella stanza, ma mi fermai a parecchi passi da lei. Fu Mr Capaldi a parlare per primo.

– Tu che ne pensi, Klara? Sto facendo un buon lavoro?

– La somiglianza con Josie è accurata.

– Suppongo che questo sia un sí. A proposito, Klara, come è andata con il questionario?

– L’ho completato, Mr Capaldi.

– Allora grazie per la collaborazione. E hai salvato i dati in modo sicuro?

– Sí, Mr Capaldi. Le mie risposte sono al sicuro.

Calò il silenzio, mentre la Madre continuava a fissarmi dalla sedia e Mr Capaldi dal suo posto accanto alla lampada a treppiede. Mi resi conto che si aspettavano che dicessi qualcos’altro, perciò aggiunsi:

– È un peccato che Josie e il Padre siano andati via. Il lavoro di Mr Capaldi sul ritratto potrebbe subire una momentanea interruzione.

– Tutto a posto, – disse lui. – Solo un piccolo contrattempo.

– Ho bisogno di sentire, – disse la Madre. – Klara, ho bisogno di sentire che cosa ne pensi. Di quello che hai visto.

– Chiedo scusa per aver osservato il ritratto senza permesso. Ma date le circostanze, mi è sembrato che fosse meglio cosí.

– D’accordo, – disse la Madre, e di nuovo la vidi spaventata piú che arrabbiata. – Ora dicci che cosa ne hai pensato. O meglio, dicci che cosa credi di aver visto lassú.

– Da qualche tempo sospettavo che il ritratto di Mr Capaldi non fosse un dipinto o una scultura, ma un’AA. Sono entrata per avere conferma alla mia congettura. Mr Capaldi ha fatto un lavoro accurato nel cogliere l’aspetto fisico di Josie. Anche se forse i fianchi andrebbero un po’ ridotti.

– Grazie, – disse Mr Capaldi. – Lo terrò a mente. È ancora un lavoro in corso.

All’improvviso la Madre abbassò la faccia tra le mani, lasciandoci piovere sopra i capelli. Mr Capaldi si girò a guardarla preoccupato, ma non si mosse. La Madre però non piangeva e disse attraverso le mani, con voce ovattata:

– Forse Paul ha ragione. Forse è stato tutto un errore.

– Chrissie, devi aver fede.

Raddrizzò la testa e adesso aveva gli occhi arrabbiati. – Non è questione di fede, Henry. Come cazzo fai a essere tanto sicuro che accetterò quell’AA lassú, per quanto bene tu possa farla? Non ha funzionato con Sal, perché dovrebbe con Josie?

– Non c’è confronto con quel che facemmo con Sal. Ce lo siamo già detti, Chrissie. Quella di Sal era una bambola. Un fantoccio da lutto, nient’altro. Abbiamo fatto tantissima strada, da allora. Devi capire una cosa. La nuova Josie non sarà un’imitazione. Sarà Josie davvero. Una prosecuzione di Josie.

– E tu vuoi che ci creda? Tu ci credi?

– Sí, io ci credo. Sul mio onore, ci credo. Sono contento che Klara sia entrata là dentro a guardare. Abbiamo bisogno di lei nella squadra ora, ne abbiamo bisogno da un pezzo. Perché sarà Klara a fare la differenza. La sostanziale differenza, questa volta. Tu devi solo avere fede, Chrissie. Non puoi mollare adesso.

– Ma ci potrò credere? Quando verrà il momento? Ci crederò davvero?

– Chiedo scusa, – dissi. – Vorrei suggerire la possibilità che non ci sia mai bisogno della nuova Josie. La Josie attuale potrebbe tornare sana. Secondo me ci sono buone speranze. Naturalmente dovrò avere il modo, l’opportunità, per farlo succedere, s’intende. Ma dal momento che è cosí angosciata, vorrei dirlo adesso. Se mai venisse il giorno tristissimo in cui Josie fosse costretta a scomparire, farò tutto quello che è in mio potere, Mr Capaldi ha ragione. Non sarà come l’altra volta con Sal, perché questa volta avrete il mio aiuto. Adesso capisco perché mi chiedeva continuamente di osservare Josie e di impararla a memoria. Spero che il giorno tristissimo non venga mai, ma se dovesse venire, userò tutto ciò che ho imparato per addestrare la nuova Josie lassú a essere il piú possibile come l’altra.

– Klara, – disse la Madre con voce piú ferma, e all’improvviso si era frazionata in molti riquadri, molti di piú che all’Appartamento dell’Amica all’arrivo del Padre. In svariati riquadri i suoi occhi erano stretti mentre in altri erano grandi e spalancati. In un riquadro c’era posto per un solo occhio fisso. Ai margini di certi altri riquadri vedevo parti di Mr Capaldi, perciò sapevo che aveva levato in aria la mano in un gesto vago.

– Klara, – diceva intanto la Madre. – Hai dedotto correttamente. Ti sono grata per quel che hai appena detto. Ma c’è una cosa che devi sentire.

– No, Chrissie, non ancora.

– Perché no? Per quale diavolo di motivo? L’hai detto anche tu che abbiamo bisogno di Klara nella squadra. Che sarà lei a fare la differenza.

Ci fu un attimo di silenzio prima che Mr Capaldi dicesse: – Ok. Se è cosí che vuoi fare. Diglielo.

– Klara, – disse la Madre. – Siamo venute qui oggi, la ragione essenziale. Non era per un’altra seduta di posa con Josie. Siamo qui per te.

– Capisco, – dissi. – Ho capito il perché del questionario. Serviva a verificare quanto ho imparato a conoscere Josie. Se capisco bene come arriva a prendere le sue decisioni e a provare i sentimenti che prova. Credo che i risultati dimostreranno che sono perfettamente in grado di addestrare la Josie che sta lassú. Ma lo ripeto, non è giusto perdere la speranza.

– Continui a non capire, – disse Mr Capaldi. Malgrado mi stesse di fronte, la sua voce sembrava provenire dai margini del mio campo visivo, perché al momento continuavo a vedere solo gli occhi della Madre. – Lascia che le spieghi, Chrissie. Detto da me sarà piú facile. Klara, noi non vogliamo chiederti di addestrare la nuova Josie. Vogliamo chiederti di diventarlo. La Josie che hai visto là sopra, come avrai notato, è vuota. Se verrà il giorno – io spero di no, ma nel caso – vogliamo che tu occupi la Josie che è di sopra con tutto quello che hai imparato.

– Volete che la occupi?

– Chrissie ti ha scelta attentamente a quello scopo. È convinta che tu sia meglio equipaggiata di chiunque altro per imparare Josie. Non solo a livello superficiale, ma in modo profondo, scrupoloso. Impararla finché non ci sarà piú differenza tra una Josie e l’altra.

– Ora Henry ti dice queste cose, – disse la Madre che all’improvviso non era piú frazionata, – come se le avessimo accuratamente progettate. Ma non è affatto cosí. Non sapevo neppure se credere che qualcosa di simile potesse funzionare. Forse ci ho creduto a un certo punto. Ma vedendo il ritratto lassú, non ne sono piú sicura.

– Insomma, Klara, hai capito che cosa ti si chiede? – disse Mr Capaldi. – Non si vuole che tu imiti soltanto gli atteggiamenti di Josie. Ti si chiede di essere la prosecuzione di lei per Chrissie. E per tutti coloro che amano Josie.

– Ma sarà possibile? – disse la Madre. – Potrebbe essere davvero la prosecuzione di Josie per me?

– Sí, certo che sí, – disse Mr Capaldi. – E ora che Klara ha completato il questionario potrò offrirtene la conferma scientifica. La conferma che è già ben avviata al raggiungimento di un accesso completo a tutti gli impulsi e i desideri di Josie. Il guaio, Chrissie, è che tu sei fatta come me. Siamo due sentimentali. È piú forte di noi. La nostra generazione si trascina appresso sentimenti del passato. Una parte di noi si rifiuta di lasciarli andare. La parte che si ostina a voler credere che ci sia qualcosa di inaccessibile dentro ognuno di noi. Qualcosa di unico e non trasferibile. Ma non esiste niente di simile, e ora lo sappiamo. Tu stessa lo sai. Per la gente della nostra età è dura da accettare. Ma dobbiamo, Chrissie. Non c’è niente là dentro. Niente dentro Josie che le Klare di questo mondo non possano proseguire. La seconda Josie non sarà una copia. Sarà esattamente identica e tu avrai tutto il diritto di amarla come ami Josie, né piú né meno. Non è di fede che hai bisogno. Solo di razionalità. Ho dovuto farlo anch’io, è stata dura, ma adesso sto bene. E sarà cosí anche per te.

La Madre si alzò e prese a camminare per la stanza. – Forse hai ragione, Henry, ma sono troppo stanca per continuare a pensarci. E poi devo parlare con Klara, noi due sole. Mi dispiace che le cose si siano ingarbugliate –. Andò dove aveva lasciato la borsa appesa a un gancio nell’ingresso.

– Sono molto contento che Klara sappia, – disse Mr Capaldi. – Sollevato, anzi –. Seguiva gli spostamenti della Madre, come se non volesse essere lasciato solo. – Klara, i dati potrebbero mettere in luce certe aree alle quali occorre che tu dedichi ancora un po’ di studio. Ma mi fa piacere che si possa parlare piú apertamente.

– Avanti, Klara. Andiamo.

– Allora Chrissie. Siamo sempre d’accordo su tutto?

– Mi sta bene. Ma adesso ho bisogno di prendermi una pausa.

Sfiorò la spalla di Mr Capaldi, poi uscimmo dalla porta principale che lui si era precipitato ad aprire per noi. Ci seguí fino all’ascensore dove ci salutò con un gesto cordiale prima che si chiudessero le porte.

Durante la discesa, la Madre estrasse il suo oblungo dalla borsa per guardarlo. Lo ritirò mentre si aprivano le porte dell’ascensore e uscimmo sul cemento screpolato dove il Sole creava i suoi disegni serali tra recinzioni metalliche. Mi ero detta che forse avremmo trovato il Padre e Josie fuori ad aspettarci, invece non c’era nessuno, solo l’ombra di un albero sull’auto della Madre, e i suoni della città poco lontana.

– Klara, tesoro. Sali davanti.

Ma quando fummo sedute accanto, a guardare il cartello anti-parcheggio dal parabrezza, la Madre non avviò il motore dell’auto. Guardai l’edificio di Mr Capaldi, con il disegno del Sole sui muri e sulle scale antincendio, e mi sembrò strano che fosse cosí sporco da fuori. La Madre intanto controllava di nuovo l’oblungo.

– Sono andati in un fast food. Josie dice che è contenta. E che è contento anche lui.

– Spero che si divertano.

– Ho delle cose da dirti. Andiamocene da qui, però.

Quando uscimmo dal cortile per inoltrarci nel quartiere, ci dovemmo fermare per far passare una signora che attraversava la strada su una bicicletta con cestino. Ci fermammo di nuovo pochi minuti dopo sotto un semaforo dal lungo braccio, malgrado non ci fossero altre auto in vista. Appena il semaforo scattò, superammo un grosso edificio marrone arretrato rispetto al marciapiede e senza finestre, ma con un grande comignolo centrale, poi procedemmo in una zona sotto-ponte piena di ombre, pozzanghere e saltatori su rotelle. Riemergemmo nel disegno del Sole accanto a un edificio con un cartello che diceva «Si Assume Personale», e poco dopo circolavamo tra i pedoni, e sul marciapiede crescevano piccoli alberi. Infine la Madre rallentò per fermarsi accanto a un cartello che diceva «Qui Macinato Fresco». Le altre auto dovevano transitarci rumorosamente intorno, ma non c’era alcun cartello anti-parcheggio. Dal parabrezza vedevamo un’altra zona sotto-ponte davanti a noi, e le auto che ci superavano si mettevano in coda per entrarci.

– Il posto è questo. Sono là dentro –. Poi disse: – Paul non ha tutti i torti. Devono starsene un po’ tra di loro, qualche volta. Da soli. Ne hanno bisogno. Non dovremmo essere sempre presenti. Lo capisci, Klara?

– Oh, certo.

– Suo padre le manca. È naturale. Quindi sediamoci un momento qui fuori.

Piú avanti il semaforo cambiò colore e vedemmo le auto infilarsi nel buio sotto il ponte.

– Chissà che colpo per te tutto questo, – disse. – Avrai delle domande.

– Credo di capire.

– Sí? Capisci? Tu capisci quello che ti sto chiedendo? E che sono io a chiedertelo. Non Capaldi e nemmeno Paul. Sono io. A conti fatti. Ti sto chiedendo di farlo funzionare. Perché se succede, se capita di nuovo, per me non ci sarà un altro modo di sopravvivere. Ne sono venuta fuori con Sal, ma non posso farcela di nuovo. Quindi lo chiedo a te, Klara. Fa’ del tuo meglio per me. Al negozio mi hanno detto che sei straordinaria. Ti ho osservata abbastanza per sapere che potrebbe essere vero. Se ti ci metti d’impegno, chissà? Potrebbe funzionare. E sarò in grado di volerti bene.

Non ci stavamo guardando; guardavamo ancora fuori dal parabrezza. Accanto a me, dalla mia parte, un uomo in grembiule era uscito dall’edificio Qui Macinato Fresco a spazzare il marciapiede.

– Non ce l’ho con Paul. Io lo capisco. Dopo Sal, ha detto che non dovevamo piú esporci al rischio. Che importa se Josie non sarà potenziata? Un mucchio di bambini non lo è. Solo che io non sono mai riuscita ad accettarlo, per Josie. Volevo il meglio per lei. Volevo che avesse una vita bella. Mi capisci, Klara? L’ho voluto, e ora Josie è malata. A causa di quel che ho deciso. Puoi immaginare come mi sento?

– Sí, mi dispiace.

– Che ti dispiaccia non è quello che voglio da te. Ti chiedo di fare tutto quello che è in tuo potere. E di pensare a che cosa comporterà per te. Sarai amata come nient’altro al mondo. Un giorno forse mi rifarò una vita con un uomo. Chi lo sa? Ma ti giuro che non lo amerò mai allo stesso modo. Tu sarai Josie e io ti amerò sempre sopra ogni cosa. Perciò, fallo per me. Ti chiedo di farlo per me. Sii la prosecuzione di Josie per me. Avanti. Di’ qualcosa.

– Ho un dubbio in effetti. Se io dovessi proseguire Josie, se dovessi occupare la Josie nuova, che ne sarebbe allora di… tutto questo? – Alzai in aria le braccia e la Madre finalmente mi guardò. Un’occhiata al viso, poi giú, verso le gambe. Poi distolse lo sguardo e disse:

– Ma che importanza ha? È solo materia. Ascolta, c’è un’altra cosa di cui potresti tener conto. Forse il fatto che io ti ami per te non significa molto. Perciò sta’ a sentire. Sai, quel ragazzo. Rick. Ho capito che ci tieni, a lui. Non dire niente, lascia parlare me. Intendo che Rick adora Josie, da sempre. Se tu sarai la prosecuzione di Josie, non avrai solo me, ma anche lui. Che importa se non è potenziato? Troveremo un modo di convivere. Lontano da… tutto. Ce ne staremo là, noi soli, lontano da tutto questo. Tu, io, Rick, e sua madre, se vorrà. Potrebbe funzionare. Ma tu dovrai portare a termine il compito. Imparare Josie come si deve. Mi ascolti, tesoro?

– Fino a oggi, – dissi. – Fino a poco fa. Credevo che fosse mio dovere salvare Josie, farla stare bene. Ma forse questo è un sistema migliore.

La Madre si girò piano sul sedile, si protese avanti e provò ad abbracciarmi. C’erano aggeggi dell’auto che ci separavano, e le rendevano difficile stringermi del tutto. Ma io tenevo gli occhi chiusi proprio come quando lei e Josie si dondolavano insieme dolcemente durante un lungo abbraccio, e sentii la sua gentilezza scorrermi dentro.

Gli automobilisti in attesa di accedere alla zona sotto-ponte erano seccati di dover girare intorno all’auto della Madre. Molti di loro mi rivolgevano occhiate ostili passando, malgrado vedessero che ero un passeggero e non la responsabile.

Ma il mio pensiero non erano le auto in corsa e nemmeno i loro guidatori ostili, bensí quello che intanto succedeva nell’edificio Qui Macinato Fresco. Se in quel momento non fossi stata presa dalle parole e dall’abbraccio della Madre, avrei forse potuto convincerla a non entrare. Ma l’abbraccio si era a stento concluso che lei – ignorando quel che aveva detto sul bisogno di Josie e del Padre di avere un po’ di tempo per stare da soli – già non era piú accanto a me perché era scesa sbattendosi la portiera alle spalle.

Col passare dei minuti, ricordando la tensione nell’edificio di Mr Capaldi mi chiesi se, a dispetto della scortesia, il mio ingresso nel posto del Qui Macinato Fresco poteva rendersi necessario per scongiurare il verificarsi di scene di analogo turbamento per Josie. Ma prima ancora che potessi decidere, sul marciapiede dal lato del mio finestrino apparve il Padre. Puntò il dispositivo chiave verso l’auto e, poiché non succedeva niente, lo studiò meglio e lo premette di nuovo. Questa volta intorno a me ci furono ronzii di sblocco – la Madre doveva avermi chiusa dentro – e, dopo aver fatto il giro verso il lato del traffico, il Padre salí velocemente in auto. Si accomodò al posto di guida senza guardare dalla mia parte, fissando la zona sotto-ponte. Poi piazzò una mano sul volante e prese a tamburellarci sopra con le dita.

– È incredibile che abbia ancora questa vettura, – disse. – L’ho aiutata io a sceglierla. Per un po’ si era fissata con le auto tedesche, ma io le ho detto che questa sarebbe stata piú affidabile. Beh, non mi sbagliavo. Se non altro, a me è sopravvissuta.

– Dal momento che Mr Paul è un ingegnere esperto, – dissi, – deve essere bravissimo a dare consigli quando si tratta di scegliere un’auto.

– Non proprio. L’ingegneria meccanica non è mai stata il mio campo –. Continuava a toccare il volante, ma con un po’ di tristezza ormai.

– Anche Josie e la Madre stanno per uscire? – domandai.

– Come? Oh no. No, no. Non credo proprio che usciranno presto –. Poi disse: – Anzi, Chrissie ha suggerito che mi facessi un giro. Non mi vuole nei paraggi mentre parla con Josie –. Sembrava meno arrabbiato di quando era nell’edificio di Mr Capaldi; aveva un’aria quasi sognante adesso. – A essere sincero, non mi è affatto spiaciuto quando Chrissie è entrata. Avrei detto che essere interrotto in quel modo mi avrebbe irritato. La verità è che io e Josie non ci stavamo dicendo cose tanto allegre. Anzi, mi trovavo in una brutta situazione. Senti, – e qui finalmente mi guardò, – mi spiace se non mi sono comportato bene con te. Ho la sensazione di essere stato scortese.

– Prego, nessun problema. Ora capisco molto bene perché Mr Paul può aver mostrato riluttanza a darmi un benvenuto caloroso.

– Non sono mai stato bravo a… come dire, entrare in relazione con quelli come te. Mi dovrai scusare. No, non mi è spiaciuto essere interrotto da Chrissie. Perché in quel momento Josie si era messa a farmi certe domande difficili e io non sapevo, non avevo la minima idea di come rispondere. Tutt’altro che stupida, la nostra Josie –. Guardava di nuovo la zona sotto-ponte continuando a tamburellare con le dita sul volante. – Dopo quella cosiddetta visita, sentivo il bisogno di un po’ di relax. Un caffè, qualcosa da mangiare. Ma lei invece mi chiede. Se è vero che Capaldi cerca solo di aiutarci, come ho dovuto sostenere, perché lo detesto tanto?

– E Mr Paul come ha risposto?

– Non sono mai riuscito a mentirle. Perciò, credo di averla maltrattata. Ma sapevo che lei era in grado di leggermi dentro. Ed è a quel punto che è entrata Chrissie.

– Josie sospetta qualcosa riguardo a… questo piano? Quello da attuare nel caso dovesse andarsene.

– Non lo so. Forse sí, ma non ha il coraggio di prenderlo in considerazione. Comunque, non è stupida. Tutte quelle domande difficili. Come mai ero cosí contrario all’idea che qualcuno le facesse un ritratto? Beh, che ci provi Chrissie, a risponderle –. All’improvviso inserí il dispositivo chiave nella fessura dell’accensione. – Ci è stato ordinato di sparire per un po’. Per essere precisi, – disse guardando l’ora, – fino alle sei meno un quarto. Poi abbiamo appuntamento in un sushi bar. Tutti, a quanto pare. Josie, Chrissie e anche i vicini. Perciò, a meno che tu preferisca rimanere seduta dentro un’auto parcheggiata per un’ora, propongo che ci facciamo un giro.

Avviò il motore, ma la coda di traffico ormai era talmente lunga che non ci potemmo muovere. Infilai la cintura di sicurezza, in attesa. Infine scattò il semaforo e l’auto partí a singhiozzo.

Disegni di luce e d’ombra si spostavano tutto intorno, poi uscimmo dalla zona sotto-ponte per imboccare un viale di alti edifici marroni. Superammo una grossa creatura con tanti arti e tanti occhi ma, mentre la osservavo, le si aprí al centro una spaccatura. Via via che si divideva mi resi conto che era sempre stata l’unione di due persone: un runner e una donna con cane che si muovevano l’uno verso l’altra e per un attimo si erano incrociati di passaggio. Subito dopo c’era un negozio con un cartello che diceva «Mangi qui o Porti via» e, davanti, un berretto da baseball abbandonato sul marciapiede.

– Per caso c’è un posto in particolare dove vorresti andare? – domandò il Padre. – Josie ha detto qualcosa a proposito del tuo vecchio negozio. Ha detto che oggi ci eravamo passati davanti.

Appena sentii dire questo, fui consapevole dell’opportunità che mi si offriva ed esclamai, forse un po’ troppo forte: – Oh sí! – Poi, recuperando il controllo, dissi piú pacatamente: – Se non è un disturbo, mi piacerebbe molto.

– Josie diceva che forse non c’è piú. Che potrebbe essersi spostato.

– Non sono sicura. E comunque, se Mr Paul potesse portarci in zona, mi farebbe tanto felice.

– Bene. Abbiamo del tempo da perdere.

All’incrocio successivo, svoltò a destra dicendo: – Chissà come se la sta cavando Chrissie. Chissà di cosa parlano in questo momento. Magari è riuscita a cambiare discorso.

C’era piú traffico adesso e procedevamo lenti dietro ad altri mezzi. Il Sole a tratti era visibile, ma stava già calando e gli edifici alti ne ostruivano spesso la vista. I marciapiedi erano pieni di lavoratori di ufficio a fine giornata, e superammo un uomo su una scala che trafficava con una scintillante insegna rossa che diceva «Rosticceria Polli». Il cartello delle strisce pedonali e quello di Rimozione Forzata sfrecciarono via, e sentivo che ci avvicinavamo al negozio.

– Posso chiederti una cosa? – disse il Padre.

– Sí, certo.

– Credo che Josie brancoli ancora perlopiú nel buio. Ma non so di te. Quanto avessi già intuito prima. Quanto tu abbia scoperto oggi. Forse non hai niente in contrario a dirmi quello che davvero sai.

– Prima della visita a Mr Capaldi oggi, – dissi, – avevo sospettato alcune cose, ma ero ignara di molte altre. Adesso, dopo la visita, capisco bene il disagio di Mr Paul. Capisco bene la sua iniziale freddezza nei miei riguardi.

– Mi scuso ancora per questo. Allora. Ti hanno spiegato tutto. Il tuo ruolo nel progetto.

– Sí. Credo che mi abbiano detto tutto.

– E tu che ne pensi? Credi di potertela cavare? Di essere all’altezza del ruolo?

– Non sarà facile. Ma se continuo a osservare Josie attentamente, credo che ne sarò capace.

– Allora lascia che ti chieda un’altra cosa. Lascia che ti chieda questo. Tu credi al cuore umano? Non intendo semplicemente l’organo, è ovvio. Parlo in senso poetico. Il cuore umano. Tu credi che esista? Qualcosa che rende ciascuno di noi unico e straordinario? E mettiamo che esista. Se è cosí, non credi che per imparare Josie davvero non dovresti studiare soltanto i suoi modi ma anche quello che sta dentro di lei profondamente? Non dovresti imparare il suo cuore?

– Sí, certamente.

– Il che potrebbe essere difficile, o sbaglio? Una cosa che supera perfino le tue strepitose capacità. Perché un’imitazione non funzionerebbe mai, per quanto sapiente. Dovresti imparare anche il suo cuore, e impararlo appieno, o non diventerai mai Josie a nessun livello che conti.

Un autobus pubblico si era fermato accanto ad alcune cassette da frutta abbandonate. Mentre il Padre lo superava, l’auto dietro di noi emise suoni di clacson arrabbiati. Ne seguirono altri ancora piú arrabbiati, ma questi ultimi erano piú lontani e non indirizzati a noi.

– Questo cuore di cui parla, – dissi. – Potrebbe senz’altro essere la parte di Josie piú difficile da imparare. Potrebbe essere come una casa a tante stanze. Eppure, un AA devoto, se ha il tempo che ci vuole, potrebbe attraversare ciascuna di quelle stanze studiandole a fondo una per una, fino a farle diventare casa sua.

Il Padre suonò a sua volta il clacson a un’auto che cercava di infilarsi nella coda di traffico da una via laterale.

– Ma supponiamo che poi tu entri in una di queste stanze, – disse, – e scopra che ne contiene un’altra. E che dentro quella ce n’è un’altra ancora. Stanze su stanze, una dentro l’altra. Non credi che potrebbe essere cosí, cercare di conoscere il cuore di Josie? Per quanto tu possa vagabondare per quelle stanze, non ce ne sarebbero sempre altre nelle quali non saresti ancora entrata?

Ci pensai su un momento, e dissi: – Certo, un cuore umano deve per forza essere complesso. Ma avrà senz’altro un limite. Anche se Mr Paul parla in senso poetico, deve esserci una fine a quanto occorre imparare. Può darsi che il cuore di Josie somigli a una strana casa fatta di stanze che contengono altre stanze. Ma se questo fosse il sistema migliore per salvare Josie, ce la metterei tutta. E credo di avere buone possibilità di riuscire nell’intento.

– Hmm.

Per qualche minuto viaggiammo senza parlare. Poi, mentre costeggiavamo un edificio che diceva «La Boutique delle Unghie» e, subito dopo, una fila di muri coperti di manifesti scrostati, il Padre disse: – Secondo Josie, il tuo negozio è in questa zona.

Non potevo escluderlo, ma quello che avevo intorno non mi era ancora familiare. Gli dissi: – Mr Paul ha parlato molto francamente. Forse ora permetterà a me di parlargli con franchezza.

– Fa’ pure.

– Il mio vecchio negozio non è la vera ragione per cui ho chiesto di venire in questa zona.

– No?

– Quando siamo passati da qui, prima, non lontano dal negozio, abbiamo superato una macchina. Era azionata da uomini di manutenzione e produceva un tremendo Inquinamento.

– D’accordo. Continua.

– Non è facile da spiegare. Ma è molto importante che adesso Mr Paul creda a quello che sto per dire. Quella macchina. È questo il vero motivo per cui mi sono fatta portare qui. Deve essere da queste parti. È facile da identificare perché c’è il nome Cootings scritto sopra. Ha tre fumaioli, ciascuno dei quali emette un tremendo Inquinamento.

– E tu vorresti trovare questa macchina adesso?

– Sí. E distruggerla.

– Perché produce Inquinamento.

– È una macchina tremenda –. Intanto mi sporgevo avanti, già guardando a destra e a sinistra.

– E come penseresti di distruggerla, esattamente?

– Non sono sicura. Per questo ho voluto essere franca con Mr Paul. Gli sto chiedendo aiuto. Mr Paul è un ingegnere esperto, oltre che un adulto.

– Mi stai chiedendo come vandalizzare una macchina?

– Prima però dobbiamo trovarla. Per esempio, possiamo girare in questa via, per favore?

– Non posso girare qui. È senso unico. L’inquinamento non mi piace tanto quanto a te. Ma cosí non si esagera un tantino?

– Non sono in grado di dire di piú. Ma Mr Paul deve fidarsi. È molto importante per Josie. Per la sua salute.

– Come farebbe questo ad aiutare Josie?

– Mi spiace, non sono in grado di spiegare. Mr Paul deve fidarsi di me. Se solo riusciamo a trovare la Macchina Cootings e a distruggerla, credo che otterremo la piena guarigione di Josie. A quel punto Mr Capaldi e il suo ritratto e quanto io sia in grado di imparare Josie non avrebbero piú alcuna importanza.

Il Padre ci pensò su. – D’accordo, – disse alla fine. – Facciamo almeno un tentativo. L’ultima volta che hai visto questo coso, dove hai detto che era?

Continuavamo a procedere e individuai il Palazzo RPO e, accanto, quello delle Scale Antincendio in rapido avvicinamento. Il Sole calava alle loro spalle come d’abitudine, e poco dopo passammo accanto al negozio stesso. Vidi di nuovo l’espositore di bottiglie colorate e il cartello Illuminazione da Incasso, ma ero talmente preoccupata di potermi perdere la Macchina Cootings che quasi non ci badai. Mentre superavamo le strisce pedonali, il Padre disse: – Ma questa via sarà riservata ai taxi? Guardati intorno. Ce n’è dappertutto.

– Forse può svoltare qui. Se possibile, per favore.

La Macchina Cootings non era dove l’avevo vista prima e mentre le strade tornavano a essermi sconosciute, guardai in ogni direzione. Il Sole splendeva a tratti nei vuoti tra gli edifici, e mi chiesi se volesse incoraggiarmi o semplicemente osservare e sorvegliare il mio percorso. Quando alla successiva svolta ancora non c’era traccia della Macchina Cootings, il mio terrore dovette diventare lampante, perché il Padre disse, con la voce piú gentile che avesse mai usato con me:

– Tu ci credi davvero, giusto? Che questo sarà d’aiuto a Josie.

– Sí. Sí, ci credo.

A quel punto qualcosa in lui sembrò cambiare. Si sporse in avanti e, come me, prese a scrutare a destra e a sinistra con occhi inquieti.

– La speranza, – disse. – Mai che ti lasci in pace, la maledetta –. Scosse il capo quasi con risentimento, ma adesso c’era uno slancio nuovo in lui. – D’accordo. Hai detto un veicolo. Utilizzato dai manutentori.

– Ha le ruote, ma non credo che sia un vero e proprio veicolo. Deve sempre essere trainato. Ha la scritta Cootings sul fianco ed è giallo pallido.

Guardò l’ora di sfuggita. – Gli operai potrebbero aver già finito la giornata. Lasciami fare qualche tentativo.

Il Padre si mise a guidare con maggiore attenzione. Ci lasciammo indietro gli altri veicoli, i passanti, le vetrine, e ci inoltrammo nelle vie piú piccole ombreggiate da edifici ciechi di finestre, e grandi muri brillanti di scritte da fumetto. A volte il Padre si fermava, ingranava la retromarcia, e sterzava piano dentro spazi angusti accanto a recinzioni di rete metallica, al di là dei quali scorgevamo camion parcheggiati e luride auto.

– Vedi qualcosa?

Ogni volta che scuotevo il capo, faceva sbandare l’auto in modo allarmante. Temevo che svoltando bruscamente avremmo potuto sbattere contro un idrante o lo spigolo di un edificio. Guardammo dentro altri cortili e, in un caso, varcammo due cancelli sghembi, nonostante su uno dei due pendesse un cartello che diceva «Vietato l’Ingresso», e ci trovammo a girare per un cortile ingombro di veicoli, casse accatastate e, in fondo, una gru da costruzione. Ma ancora niente Macchina Cootings. Allora il Padre ci portò in un quartiere cupo con marciapiedi rotti e passanti tutti soli. Sterzò in un altro vicolo lungo un edificio alto di Locali in Affitto alle spalle del quale c’era un altro cortile cintato con rete metallica.

– Ecco, Mr Paul! È là!

Il Padre bloccò l’auto di colpo. Il cortile si apriva sul mio lato, perciò piazzai la testa contro il finestrino, mentre dietro di me il Padre si sistemava sul sedile per vedere meglio.

– Quella laggiú? Quella con i fumaioli?

– Sí. L’abbiamo trovata.

Non staccai gli occhi dalla Macchina Cootings mentre il Padre faceva lentamente retromarcia. Poi ci fermammo di nuovo.

– L’ingresso principale è chiuso con una catena, – disse. – Ma quello laterale…

– Sí, quello piccolo è aperto. Un passante dovrebbe riuscire a entrare.

Sfilai la cintura di sicurezza e stavo per scendere, ma sentii la mano del Padre sul mio braccio.

– Se fossi in te non entrerei prima di aver deciso esattamente che cosa intendi fare. Sembra tutto in abbandono, ma non si sa mai. Potrebbe esserci un sistema di allarme, telecamere di sorveglianza. Potresti non avere il tempo per gironzolare e decidere.

– Sí, ha ragione.

– Sei proprio sicura che sia la macchina giusta?

– Sicurissima. La vedo bene da qui e non ho dubbi.

– E secondo te distruggerla aiuterebbe Josie?

– Sí.

– E come pensavi di procedere?

Fissai la Macchina Cootings in mezzo al cortile, isolata dagli altri veicoli. Il Sole stava calando dietro il profilo di due edifici affacciati sul cortile a mezza distanza. Per il momento nessuno dei due edifici ne bloccava i raggi, perciò i contorni dei veicoli parcheggiati scintillavano.

– Mi sento molto stupida, – dissi alla fine.

– No, non è cosí facile, – disse il Padre. – E per giunta, quello che proponi sarebbe considerato un atto vandalico.

– Sí. Ma se le persone che stanno dietro le finestre lassú dovessero notare qualcosa, sono sicura che sarebbero contente di assistere alla distruzione della Macchina Cootings. Perché lo saprebbero quanto è orribile.

– Può darsi. Ma come proponi di fare?

Il Padre ora si era riappoggiato allo schienale, con un braccio rilassato sul volante, e mi parve che avesse già trovato una soluzione possibile ma che, per qualche ragione, si trattenesse dal rivelarla.

– Mr Paul è un ingegnere esperto, – dissi, guardandolo dritto in faccia. – Speravo che escogitasse qualcosa.

Ma il Padre continuava a guardare il cortile attraverso il parabrezza. – Non sono riuscito a spiegarlo a Josie, prima, quando eravamo al caffè, – disse. – Non ho saputo spiegarle perché odio Capaldi cosí tanto. Perché non riesco a trattarlo in modo civile. Ma vorrei provare a spiegarlo a te, Klara. Se non ti dispiace.

Quel cambiamento di discorso mi giunse molto sgradito, ma non volendo perdere la sua disponibilità, non dissi nulla e aspettai.

– Credo di odiare Capaldi perché in cuor mio sospetto che abbia ragione. Che quanto sostiene sia vero. Che la scienza abbia ormai dimostrato al di là di ogni dubbio che non c’è niente di tanto unico in mia figlia, niente che i nostri strumenti moderni non sappiano portare alla luce, copiare, trasferire. Che le persone sono vissute insieme per tutto questo tempo, per secoli ormai, amandosi e odiandosi e sempre sulla base di un presupposto sbagliato. Una specie di credenza superstiziosa che abbiamo mantenuto in vita, per ignoranza. Cosí la vede Capaldi, e una parte di me teme che possa aver ragione. Chrissie, invece, non è come me. Può darsi che ancora non lo sappia, ma non si lascerà mai convincere. Se quel momento dovesse venire, Klara, per quanto tu possa recitare bene la tua parte, per quanto lei possa desiderare che funzioni, Chrissie non sarà in grado di accettarlo. È troppo… all’antica. Anche sapendo di essere in contrasto con la scienza e con la matematica, non potrà accettarlo lo stesso. A questo proprio non può arrivare. Io sono diverso. Ho dentro una specie di… insensibilità che a lei manca. Forse perché sono un ingegnere esperto, come dici tu. Ecco perché fatico tanto a comportarmi in modo civile con gente come Capaldi. Quando li vedo fare quel che fanno, e dire quel che dicono, mi sembra che mi portino via quanto ho di piú prezioso nella vita. Riesco a spiegarmi?

– Sí. Capisco i sentimenti di Mr Paul –. Lasciai passare qualche secondo di silenzio, poi aggiunsi: – Da tutto ciò che Mr Paul dice sembra ancora piú importante che la proposta di Mr Capaldi non sia mai sperimentata. Se riusciremo a far tornare Josie in salute, allora il ritratto e il mio sforzo di impararla non avranno piú importanza. Perciò lo chiedo ancora. Per favore come potrei distruggere la Macchina Cootings? Ho la sensazione che Mr Paul abbia idea di come potremmo fare.

– Sí, un’ipotesi mi è venuta in mente. Ma speravo potesse presentarsi un’idea migliore. Purtroppo sembra poco probabile che succeda.

– Me la dica, prego. Da un momento all’altro potrebbe cambiare qualcosa, e andare perduta l’opportunità.

– D’accordo, allora. Ecco qui. Quella macchina deve contenere un capace generatore Sylvester. Fascia di mercato media. Basso consumo di carburante e discreta affidabilità, ma nessun vero sistema di protezione. Questo significa che non teme fumi, polveri, pioggia anche. In compenso, se qualunque sostanza contenente una considerevole percentuale di acrilammide dovesse penetrare gli ingranaggi, ad esempio una soluzione P-E-G 9, allora non sarebbe facile recuperarla. Sarebbe come mettere benzina in un motore diesel, solo molto peggio. Una volta entrata, la soluzione P-E-G 9 subirebbe un rapido processo di polimerizzazione. Il danno sarebbe probabilmente irreparabile.

– Soluzione P-E-G 9.

– Esatto.

– Per caso Mr Paul sa come potremmo procurarci della soluzione P-E-G 9 in tempi brevi?

– In effetti, sí –. Continuò a fissarmi per un attimo, poi disse: – Tu dovresti contenerne una certa quantità. Nella testa, per la precisione.

– Capisco.

– Credo ci sia di solito una piccola cavità. Proprio nel punto in cui la nuca si collega al collo. Attenzione, questo non è il mio settore di competenza. Capaldi ne saprebbe molto di piú. Ma credo che a una quantità modesta potresti rinunciare senza nuocere al tuo generale benessere in modo significativo.

– Se… se riuscissimo a estrarre da me la soluzione, ce ne sarebbe abbastanza per distruggere la Macchina Cootings?

– Non è proprio il mio settore, ripeto. Ma credo che tu possa contenerne grossomodo cinquecento millilitri. Ne basterebbe la metà per mettere fuori uso una macchina di fascia media come quella. Ciò detto, ci tengo a ribadire che non intendo promuovere questa linea d’azione. Qualunque cosa comprometta le tue funzioni metterebbe a rischio il piano di Capaldi. E Chrissie non lo vorrebbe mai.

Mi si riempiva sempre di piú la mente di paura, ma dissi: – Ma se riuscissimo a estrarre la soluzione, Mr Paul crede che potremmo distruggere la Macchina Cootings?

– È quello che credo. Sí.

– È possibile che Mr Paul abbia suggerito questo sistema non soltanto per distruggere la Macchina Cootings, ma anche per recare danno a Klara e di conseguenza al piano di Mr Capaldi?

– In effetti ci ho pensato. Ma se volessi davvero danneggiarti, Klara, credo che ci sarebbero modi molto piú semplici. La verità è che hai riacceso anche in me la speranza. La speranza che quanto dici possa essere vero.

– Come procederemmo per estrarre la soluzione?

– Semplice, con una piccola incisione. Sotto l’orecchio. Non ha importanza quale dei due. Ci servirà un attrezzo, qualcosa di tagliente o di appuntito. Basterà perforare lo strato superficiale. Al di là di quello, beh, dovrebbe esserci una valvolina che potrei allentare e poi stringere di nuovo a mano –. Mentre lo diceva si era messo a rovistare nel cruscotto dell’auto della Madre dal quale estrasse una bottiglia d’acqua di plastica. – Ok, questa va bene per raccogliere la soluzione. E non sarà l’ideale, ma ho trovato un minuscolo cacciavite. Se riesco ad affilare un po’ di piú la punta… – Si scostò tenendo l’attrezzo alla luce. – Dopodiché, basterà andare sul posto e versare attentamente la soluzione in uno degli ugelli. Ci conviene usare quello centrale. È probabile che sia collegato direttamente al generatore Sylvester.

– Perderò le mie capacità?

– Come ho detto, le tue prestazioni complessive non dovrebbero subire deterioramenti di rilievo. Anche se questo non è il mio settore. Qualche effetto potrebbe esserci a livello di facoltà cognitive. Ma dato che la tua fonte energetica è perlopiú solare, non dovresti subire danni rilevanti.

Abbassò il finestrino dal suo lato e tenendo fuori la bottiglia di plastica, la svuotò dell’acqua rovesciandola per terra.

– La decisione sta a te, Klara. Se vuoi, possiamo andarcene da qui subito. Abbiamo ancora, vediamo, una ventina di minuti prima dell’incontro con il resto della compagnia.

Tornai a osservare il cortile attraverso la recinzione di rete metallica, sforzandomi di controllare la paura. La visione che ne avevo dall’auto non si era frazionata, e il Sole continuava a guardare dal profilo dei due edifici.

– Sai una cosa, Klara? Io non so nemmeno di che cosa stiamo parlando. Però desidero il meglio per Josie. Proprio come te. Quindi sono disposto a sfruttare qualsiasi occasione.

Mi girai verso di lui con un sorriso e annuii. – Sí, – dissi. – Proviamoci allora.

Seduta accanto alla vetrina del sushi bar a guardare le ombre che intanto si allungavano fuori dal teatro, avevo cominciato a entusiasmarmi all’idea che il Sole avrebbe in teoria potuto elargire a Josie, che sedeva al tavolo di fronte a me, il suo speciale nutrimento attraverso la vetrina stessa. Ma poi mi resi conto di quanto doveva essere stanco ormai il Sole – che per quel giorno aveva quasi finito il suo lavoro – e capii di essere stata irragionevole e poco rispettosa ad aspettarmi una reazione tanto immediata. Mi rimaneva una vaga speranza, e osservai Josie con attenzione, ma presto mi rassegnai all’idea di dover aspettare come minimo fino al mattino dopo.

Avevo anche capito che la ragione per cui non vedevo bene dalla vetrina del sushi bar era che il vetro era macchiato e sporco e che non c’entrava tanto quel che era successo nel cortile. In realtà, malgrado il continuo turbinio nel vento, riuscivo comunque a leggere quel che era scritto sul grosso stendardo in cima all’ingresso del teatro; diceva «Semplicemente Geniale». E non avevo nemmeno difficoltà a distinguere le persone che si univano a chi già gironzolava fuori dal teatro. Ogni volta che arrivava qualcuno, partivano saluti ed esclamazioni scherzose. Non sentivo distintamente le parole, ma c’era un vetro spesso a separarci, perciò anche questo era coerente con le circostanze.

Il compito che avevamo svolto nel cortile non aveva comportato un ritardo eccessivo, ma quando finalmente il Padre e io riuscimmo a individuare il sushi bar giusto, Josie, Rick, la Madre e Miss Helen erano già seduti da parecchi minuti al tavolo accanto alla vetrina. Il Padre aveva salutato tutti allegramente, come se da Mr Capaldi non fosse nata alcuna tensione, ma poco dopo la Madre si era alzata e si era unita alla folla di fuori, con l’oblungo all’orecchio.

Ora, di là dal tavolo, il Padre sfogliava l’album di Rick, emettendo suoni di approvazione. Io invece ero preoccupata di quanto Josie fosse insolitamente silenziosa, e di lí a poco se ne accorse anche il Padre.

– Tutto a posto, bestiola?

– Sto bene, papà.

– Siamo stati in giro parecchio. Vuoi tornare all’appartamento?

– No, non sono stanca. Non sto male. Sono a posto, papà. Voglio solo starmene qui seduta.

Anche Rick, accanto a Josie, la guardava con apprensione. – Ehi, Josie, ti andrebbe di finire questa per me? – le disse sottovoce, quasi all’orecchio, passandole l’avanzo di torta alla carota. – Magari potrebbe darti un po’ di energia.

– Non ho bisogno di energia, Ricky. Sto bene. Voglio semplicemente starmene seduta, tutto qui.

Il Padre la osservò con attenzione, poi tornò all’album di Rick.

– Sono davvero notevoli, Rick.

– Ricky, tesoro, – disse Miss Helen, – ora che ci penso. Hai avuto un’ottima idea a portare i tuoi grafici. Ma forse è meglio se non li mostri a Vance a meno che lui non te lo chieda espressamente.

– Mamma, ne abbiamo già parlato.

– È solo che potrebbe sembrare fuori luogo. Un’insolenza. Dopotutto, questa dovrebbe essere una riunione amichevole. Un incontro casuale.

– Mi spieghi, mamma, come potrebbe essere casuale visto che è stato organizzato nel dettaglio, e noi ci siamo venuti apposta?

– Volevo solo dire che bisogna cercare di comportarsi come se fosse casuale, tesoro. È la miglior strategia, con Vance. Solo se chiede espressamente di vedere qualche tuo lavoro…

– Ho capito, mamma. È tutto sotto controllo.

Rick sembrava nervoso e avrei voluto fare qualcosa per rassicurarlo, ma gli stavo di fronte, al tavolo, e non potevo raggiungerlo per toccargli un braccio o una spalla. Il Padre guardava di nuovo Josie, ma a me non pareva che stesse poco bene; piuttosto che fosse persa nei suoi pensieri.

– I droni non sono mai stati il mio settore, – disse il Padre dopo un po’. – Ma questa roba, Rick, è davvero notevole, entusiasmante –. Poi, rivolto a Miss Helen: – Potenziato o no, il vero talento deve essere riconosciuto. A meno che il mondo non sia completamente impazzito al giorno d’oggi.

– Lei mi incoraggia da sempre, Mr Arthur, – disse Rick. – Sin da quando ho cominciato a interessarmi di queste cose. Molto di quel che mi ha insegnato ai tempi è alla base di quel che vede adesso.

– Grazie, Rick, sei gentile, ma sono complimenti del tutto immotivati. La tecnologia dei droni non è mai stata il mio settore, e dubito di esserti stato d’aiuto in alcun modo. Comunque, mi fa piacere che tu dica cosí.

Dalla vetrina ora vedevo gli ultimi disegni del Sole di quel giorno calare addosso alle donne in completo nero e cravattino, ai dipendenti del teatro in panciotto che distribuivano locandine, alle coppie in costumi sgargianti, e ai musicisti che si aggiravano tra la gente con piccole chitarre producendo musica che filtrava a tratti dal vetro.

– Ehi, bestiola. Per caso tua madre ha detto qualcosa che ti ha turbata? Non è proprio da te, startene lí seduta in silenzio.

– Sto bene, papà. Non sono in vena di dare spettacolo, ok? Non è che posso essere brillante e spiritosa tutto il tempo. A volte ho solo voglia di starmene tranquilla.

– Lo sai che ci manchi, vero, Paul? – disse Miss Helen. – Sono già passati quattro anni? Oh, guardate, arriva altra gente. Chissà quando riusciranno a entrare. Meno male che il traffico è vietato qui. E Chrissie dov’è adesso? Ancora là fuori?

– La vedo, mamma. È ancora al telefono.

– Mi fa cosí piacere che sia qui con noi oggi. Mi tranquillizza. È proprio una grande amica per me. E ringrazio anche tutti voi che siete qui a dimostrare a Rick e a me la vostra solidarietà –. Diede un’occhiata attorno al tavolo, badando a includere anche me nello sguardo. – Non voglio fingere di non essere nervosa. L’ora si avvicina. E non si tratta solo di Rick, a essere sincera. Te l’ho mai detto, Paul? L’uomo che sta per arrivare, è stata una grande passione la nostra. E non per pochi giorni, o pochi mesi, ma per anni…

– Mamma, ti prego…

– Se dovessi avere occasione di parlargli, Paul, credo scopriresti che avete certe cose in comune, voi due. Per esempio, anche lui ha tendenze fasciste. Le ha da sempre, anche se io, da sempre, mi sforzo di non farci caso…

– Mamma, per l’amor di Dio…

– Aspetta, Helen, vacci piano, – disse il Padre. – Stai forse insinuando che…

– Solo per quello che hai detto poco fa, Paul. A proposito della tua comunità.

– No, Helen, questo non posso accettarlo. E davanti ai ragazzi, per di piú. Quel che ho detto poco fa non ha niente a che fare col fascismo. Noi non contempliamo alcuna forma di violenza se non l’autodifesa in caso di bisogno. Dove abiti tu, Helen, forse il problema non è ancora arrivato, e spero sinceramente che sarà cosí ancora per un pezzo. Ma dove sto io, è diverso.

– E allora, papà, come mai non ti trasferisci? Perché continuare a vivere in un posto pieno di delinquenti armati?

Il Padre pareva contento che Josie fosse finalmente intervenuta. – Perché quella è la mia comunità, Josie. Non è affatto terribile come può sembrare. Ci sto bene, anzi. Vivo con persone veramente in gamba, gente a cui perlopiú è toccata la mia stessa strada. Ormai abbiamo tutti ben chiaro che sono tanti i modi in cui si può vivere una vita piena e dignitosa.

– Vuoi dire che ti fa piacere aver perso il lavoro, papà?

– Per molti versi, sí, Josie. E comunque non ho esattamente perso il lavoro. Fa parte dei cambiamenti in atto. Ciascuno ha dovuto trovare vie nuove.

– Ti chiedo scusa, Paul, – disse Miss Helen, – per aver insinuato che tu e i tuoi amici siete dei fascisti. Non avrei dovuto. È solo che tu hai detto che eravate tutti bianchi e tutti provenienti dalle élite dei professionisti di rango. L’hai detto tu. E che dovevate armarvi massicciamente contro gli altri tipi. Il che suona in effetti un tantino fascista…

– Helen, non posso accettarlo. Josie sa bene che non è cosí, ma mi disturba anche solo che te lo senta dire. Non mi piace neppure che lo senta Rick. Semplicemente non è vero. Dove viviamo noi ci sono gruppi diversi, non lo nego. Non le ho fatte io le regole, e dividersi in quel modo è venuto spontaneo. E se un altro gruppo non rispetta noi e ciò che è nostro, deve sapere che troverà pane per i suoi denti.

– La mamma è decisamente fuori uso, – disse Rick. – Le sta prendendo l’ansia, tutto qui. Dovrete scusarla.

– Non preoccuparti, Rick. Conosco tua madre da tanto tempo e le sono affezionato.

– Si chiama Vance, – disse Miss Helen. – L’uomo che stiamo aspettando. Rick e io vi siamo molto grati per il sostegno morale, ma da qui in avanti tocca a noi. Lascia che te lo dica, Paul, c’è stato un tempo in cui Vance era pazzo di me. Rick, tesoro, non fare quella faccia, per favore. Rick non l’ha mai conosciuto, è successo tutto prima che arrivasse lui. Ah, un’occasione c’è stata, se ricordo bene, ma non credo che conti. Quando lo vedrai, Paul, scommetto che ti domanderai cosa diavolo ci abbia trovato, in lui. Ma ti assicuro che una volta era piú bello perfino di te. Stranamente, piú aveva successo nella vita, e piú imbruttiva. Adesso è ricco e potente e brutto da far paura. Comunque, cercherò di rivedere il bel ragazzo di un tempo, fra tutte quelle pieghe di ciccia. Mi chiedo se lo farà anche lui con me.

– Che succede là fuori, bestiola? La vedi, tua madre?

– È ancora al telefono.

– Immagino che ce l’abbia con me. Probabilmente non rimetterà piede qua dentro finché ci sono io.

Forse il Padre sperava che qualcuno lo contraddicesse, ma nessuno lo fece. Miss Helen addirittura sollevò le sopracciglia e sbottò in una breve risata. Poi disse:

– Ci siamo quasi, Rick, tesoro. Credo che dovremmo uscire adesso.

Quando la sentii dire cosí mi spaventai molto; non ero piú sicura che gli effetti di quanto era successo nel cortile non si facessero piú notevoli con il passare dei minuti, e che il mio nuovo stato non sarebbe apparso piú evidente a tutti se avessi provato ad affrontare il terreno sconosciuto del fuori.

– Mi chiedo proprio – diceva intanto Miss Helen – se quando Vance ha proposto di incontrarci fuori da un teatro, si è reso conto che poteva esserci uno spettacolo in programma e che si sarebbe radunata una folla. Dovremmo uscire, secondo me. Potrebbe arrivare in anticipo e sarà disorientato dalla gente.

Rick appoggiò una mano sulla spalla di Josie e le chiese sottovoce: – Sicura di star bene, Josie?

– Giuro che sto bene. Perciò adesso va’ e fatti onore, Ricky. È quello che voglio piú di tutto, in questo momento.

– Esatto, – disse il Padre. – E ricordati. Tu hai talento. Va bene, forse dovremmo andarcene tutti ora.

Si alzò e intanto il suo sguardo si posava su di me e mi osservava con piú attenzione di quanto sarebbe stato normale. Immediatamente mi preoccupai che gli altri lo notassero, anche se l’incisione era ben nascosta dai capelli. Poi lo sguardo del Padre tornò su Josie.

– Bestiola, dobbiamo riportarti a casa. Andiamo a cercare tua madre.

Quando uscimmo dal sushi bar, il Sole tracciava i disegni finali della giornata, e io rinunciai a ogni vaga speranza che potesse mandare il suo aiuto speciale nel breve tempo che gli rimaneva. Ora sentivo distintamente le voci della gente davanti al teatro e la musica, e notai che i lampioni fuori dall’ingresso del teatro stavano diventando la principale fonte di luce. Per un attimo, anzi, pensai che la gente davanti al teatro cercasse di radunarsi intorno al lampione in una formazione prestabilita, ma subito dopo lo schema si dissolse e vidi che la forma della folla mutava a caso.

Il Padre e Miss Helen erano qualche passo avanti a me, diretti verso la folla, mentre Rick e Josie seguivano, cosí vicini che se all’improvviso mi fossi dovuta fermare, ci saremmo scontrati. Sentii Josie dire:

– No, Rick, piú tardi. Te ne parlerò allora. Per adesso ti dico solo che la mamma ha una delle sue giornate particolarmente strane.

– Ma che cosa ha detto? Che sta succedendo?

– Senti, Ricky, adesso come adesso non è importante. Quello che conta è il tizio che stai per conoscere e quello che stai per dirgli.

– Ma lo vedo benissimo che sei arrabbiata…

– Non sono arrabbiata, Ricky. Ma lo diventerò, e non poco, se non ti concentri e non fai del tuo meglio con lui. È importante. Intendo per te, ma anche per noi due.

Avevo creduto che smettendo di guardare la gente davanti al teatro attraverso il vetro l’avrei vista piú distintamente. Ma adesso che ero in mezzo a loro, le sagome di ciascuno si semplificavano, come strutture fatte di coni e cilindri di cartoncino liscio. I loro abiti, per esempio, non mostravano le solite pieghe e sgualciture, e perfino le facce alla luce del lampione parevano realizzate piazzando abilmente superfici piane in composizioni articolate allo scopo di produrre un effetto di chiaroscuro.

Procedemmo finché il rumore ci fu tutto attorno. A un certo punto mi fermai e tesi indietro la mano per afferrare il braccio di Josie, ma non era piú alle mie spalle. E malgrado sentissi la sua voce dire a Rick: «Ecco la mamma, laggiú», quando mi voltai da quella parte, non vidi né Josie né Rick, bensí una fronte liscia che si spostava avanti verso la mia faccia. Qualcuno mi spinse dalla schiena, ma non sgarbatamente, poi sentii la voce del Padre e, tornando a girarmi, vidi lui e Miss Helen fermi accanto al gomito di uno sconosciuto. Sentivo il Padre che diceva:

– Non volevo dirtelo mentre eravamo là, davanti ai ragazzi. Ma ascolta, Helen. Passi che tu mi dia del fascista. Chiamami pure come ti pare. Ma dove abiti adesso, potrebbe non rimanere un posto tranquillo ancora per molto. Hai sentito che cosa è successo proprio in questa città la settimana scorsa? Non dico che sei già in pericolo, ma è meglio essere lungimiranti. Quando parlo di queste cose a Chrissie, lei minimizza. Ma tu devi pensarci. Pensa al futuro di Rick, e al tuo.

– Ah, ma ci penso eccome, Paul. Secondo te come mai siamo qui, oggi? Secondo te come mai mi sto guardando attorno in cerca del mio amante dei tempi perduti? Perché penso al futuro, e programmo, e se i miei calcoli sono corretti, Rick sarà presto altrove. E non, spero, in una comunità armata fino ai denti per difendersi. Io voglio che Rick abbia successo, e per questo mi serve l’aiuto di Vance. Oh, ma dove sarà finito? Forse è davanti al teatro sbagliato.

– Rick si è fatto un ragazzo in gamba. Spero che trovi il modo di uscire dal disastro che la sua generazione ha ereditato dalla nostra. Ma se le cose non dovessero andare troppo bene, Helen, per te come per lui, voglio che tu mi contatti. Posso trovare una sistemazione a tutti e due nella nostra comunità.

– Che bella cosa da parte tua, Paul. E mi spiace se ti sono sembrata scortese poco fa. Potrà stupirti, ma non sono arrabbiata per come siamo diventati. Se un bambino è piú in gamba di un altro, è giustissimo che le opportunità vadano al migliore. Insieme alle responsabilità. Posso accettarlo. Quello che non sono disposta ad accettare è che Rick non possa avere una vita dignitosa. Rick non è stato potenziato, ma può comunque andare lontano, fare grandi cose.

– Gli auguro il meglio del meglio. Dico solo che ci sono tanti modi di avere successo nella vita.

Erano molte le facce che mi si erano accalcate intorno, ma adesso, davanti alle altre, ne comparve una nuova che continuava ad avvicinarsi fino a sfiorare quasi la mia. Soltanto allora riconobbi Rick e diedi in un’esclamazione di sorpresa.

– Klara, tu sai per caso che cosa abbia Josie? – domandò. – È successo qualcosa prima?

– Non so che cosa si siano dette Josie e la Madre, – dissi. – Ma ho ottime notizie. Sai il compito che avevo da svolgere la sera che mi hai aiutata a raggiungere il fienile di Mr McBain? Bene, ce l’ho fatta. Ci tenevo cosí tanto a compierlo, ma per molto tempo non sapevo come. Adesso è fatto, Rick, davvero.

– Magnifico. Ma non sono sicuro di sapere di cosa parli.

– Non posso ancora spiegartelo. E ho anche dovuto rinunciare a qualcosa. Ma non ha importanza ormai, perché possiamo tornare a sperare.

Altri coni e cilindri – o quelli che ne sembravano frammenti – si ammassavano in tutti gli spazi vuoti intorno a me. E mi resi conto che uno di quei frammenti – una forma che si avvicinava in sostituzione di Rick – in effetti era Josie. Appena l’ebbi riconosciuta, diventò piú nitida, e non mi creò piú alcun problema tenerla a mente.

– Ehi, Klara, ti presento Cindy. Ha servito al nostro tavolo, poco fa. Sa qualcosa del tuo vecchio negozio.

Sentii qualcuno che mi toccava il braccio ed esclamava: – Ehi, non sai quanto mi piaceva il tuo negozio! – Quando mi girai verso la voce, vidi due grossi fumaioli a imbuto, uno dentro l’altro; il superiore leggermente inclinato nella mia direzione. Quando sorrisi e dissi: «Piacere», i fumaioli proseguirono:

– Lo stavo giusto dicendo alla tua proprietaria. Ci sono passata davanti lo scorso fine settimana e ho scoperto che è un negozio di arredamento, adesso. Ma, ehi, sai che credo di averti vista in vetrina una volta?

– Klara vuole sapere dove si sono trasferiti. Tu lo sai, Cindy?

– Oh. Non so se si sono trasferiti

Qualcuno mi tirava per un braccio, ma ora avevo davanti una quantità di frammenti tale da sembrare un muro compatto. Avevo anche cominciato a sospettare che molte di quelle forme fossero in realtà tridimensionali, ma che fossero state tratteggiate su superfici piatte utilizzando un’abile tecnica di chiaroscuro che produceva l’illusione di profondità e pienezza. Poi mi accorsi che la figura accanto a me, quella che mi stava portando via, era la Madre. E mi diceva intanto, quasi all’orecchio:

– Klara, so che abbiamo detto tante cose prima. In macchina, intendo. Ma devi sforzarti di capire, avevo tre o quattro pensieri in testa contemporaneamente. Ti chiedo solo di non prendere troppo sul serio quel che abbiamo detto. Hai capito, vero?

– Cioè, quando eravamo in macchina da sole? Quando eravamo ferme vicino al ponte?

– Esatto. Non voglio dire che adesso facciamo marcia indietro su qualcosa. Dico solo perché tu lo sappia, ok? Oh, questa faccenda sta diventando cosí complicata. E Paul non aiuta. Tu guardalo! Che cosa le starà dicendo adesso?

Poco lontano da noi, il Padre stava chino in avanti con la faccia vicinissima a quella di Josie e le parlava in modo concitato.

– È un tale stronzo ultimamente, – disse la Madre avviandosi verso di loro. Ma prima ancora che facesse un passo, dalla folla uscí un braccio che le cinse la vita.

– Chrissie, – disse la voce di Miss Helen, – lasciali soli un momento. Non hanno tante occasioni di stare insieme di questi tempi.

– Paul ha elargito le sue classiche perle di saggezza quanto basta per un giorno, mi pare, – disse la Madre. – E comunque, guarda. Ora litigano.

– No, Chrissie, non litigano. Te lo posso assicurare. Lascia che si parlino.

– Helen, credi, non ho bisogno delle tue interpretazioni. Penso di conoscere ancora mia figlia e mio marito.

– Ex marito, Chrissie. E gli ex diventano imperscrutabili, come sto registrando in modo forte e chiaro in questo preciso momento. Vance mi aveva assicurato che non ci avrebbe fatto aspettare, e invece… Noi non eravamo sposati, a differenza di te e Paul, perciò il retrogusto amaro risulta un po’ strano. Ma non sottovalutare la cosa, Chrissie. Non lo vedo da quattordici anni, se non di sfuggita e per caso. È possibile che ci siamo incrociati nella folla e non ci siamo riconosciuti?

– Ti sei pentita, Helen? – domandò di punto in bianco la Madre. – Sai cosa intendo. Te ne sei pentita? Di non aver proceduto con Rick?

Per un attimo Miss Helen continuò a guardare il Padre e Josie che si parlavano. Poi disse: – Sí. Se devo essere onesta, Chrissie, la risposta è sí. Perfino dopo aver visto che cosa ha comportato per te. Ho la sensazione… la sensazione di non aver fatto del mio meglio per lui. Di non averci nemmeno riflettuto a fondo, come faceste tu e Paul. In quel momento ero altrove con la testa, e mi sono lasciata sfuggire l’occasione. Forse è di questo che mi sono pentita soprattutto. Di non averlo mai amato abbastanza da prendere una decisione in un senso o nell’altro.

– Va tutto bene –. La Madre posò con dolcezza una mano sull’avambraccio di Miss Helen. – Va tutto bene. È difficile, lo so.

– Ma adesso sto rimediando. Farò del mio meglio per lui, questa volta. Ho solo bisogno che l’Ex Amante si presenti. Oh! Eccolo là. Vance! Vance! Scusate…

– Le andrebbe di firmare la nostra petizione? – L’uomo che era comparso davanti alla Madre aveva la faccia dipinta di bianco e i capelli neri. La Madre si ritrasse di scatto, come se la sostanza sulla faccia bianca potesse staccarsi e caderle addosso, e disse: – Per quale causa?

– Protestiamo contro la proposta di sgomberare il Palazzo Oxford. Al momento ci vivono quattrocentoventitre persone post-occupate, ottantasei delle quali sono minorenni. Né la Lexdell né il Comune hanno prodotto un piano ragionevole per rilocarle.

Non sentii altro di quanto l’uomo bianco e nero andava dicendo alla Madre, perché il Padre si spostò di fronte a me e le disse:

– Santo Iddio, Chrissie, si può sapere che cosa hai detto a nostra figlia? – Teneva la voce bassa, ma si capiva che era irritato. – Si comporta in modo davvero strano. Non glielo avrai detto, spero.

– No, Paul, no –. La voce della Madre era insolitamente insicura. – O perlomeno, non… tutto.

– Beh, che cosa esattamente…

– Abbiamo parlato un po’ del ritratto, tutto qui. Non possiamo nascondere tutto. È cosí piena di sospetti che se non le diciamo qualcosa, perderemo la sua fiducia.

– Le hai detto del ritratto?

– Solo che non era un dipinto. Ma una specie di scultura. Si ricordava la bambola di Sal, ovviamente…

– Cristo, credevo fossimo d’accordo che…

– Josie non è piú una bambina, Paul. Sa fare due piú due. E per giunta ha ragione a esigere che le parliamo onestamente…

– Rick! – Riconobbi la voce di Miss Helen alle mie spalle. – Rick! Su, vieni. C’è Vance, l’ho trovato. Vieni a salutare. Oh, Chrissie, voglio presentarti Vance. Un caro vecchio amico. Eccolo qui.

Mr Vance indossava un completo di alto livello con camicia bianca e cravatta azzurra. Era calvo come Mr Capaldi e piú basso di statura di Miss Helen. Si guardava intorno, come perplesso.

– Salve, piacere di conoscerla, – disse alla Madre. Poi, a Miss Helen: – Allora, che succede qui? Tutti a vedere lo spettacolo?

– Rick e io aspettavamo te, Vance. Come ci avevi detto. Che bello rivederti! Non sei cambiato affatto.

– Stai benissimo anche tu, Helen. Ma che succede qui? Dov’è tuo figlio?

– Ricky! È laggiú!

A quel punto vidi Rick un po’ piú in là, con una mano alzata in risposta al richiamo. Poi prese a muoversi tra i frammenti verso di noi. Non avrei saputo dire se Mr Vance, che guardava dalla parte giusta, l’avesse identificato oppure no. In ogni caso, a quel punto, uno dei dipendenti del teatro in panciotto venne a piazzarsi tra Mr Vance e Rick che intanto si avvicinava.

– Avete già il biglietto per lo spettacolo? – domandò l’uomo in panciotto. – Forse sí, ma potreste essere interessati a posti migliori?

Mr Vance lo fissò senza dire niente. Poi Rick superò l’uomo in panciotto e Mr Vance disse: – Ehi! Ma questo è il tuo ragazzo? È bellissimo.

– Grazie, Vance, – disse Miss Helen sottovoce.

– Salve, signore, – disse Rick, con un sorriso simile a quello con cui aveva salutato gli adulti all’incontro di interazione a casa di Josie.

– Ciao, Rick. Io sono Vance. Un vecchissimo amico di tua madre. Ho sentito tanto parlare di te.

– Gentile da parte sua incontrarci, signore.

– Oh, eccoti qui! – Josie riempí all’improvviso lo spazio davanti a me. Accanto a lei c’era una ragazza di diciotto anni che riconobbi per Cindy, la cameriera, sebbene fosse molto meno semplificata rispetto all’ultima volta che l’avevo vista.

– Sí, non credo che il tuo negozio si sia trasferito in effetti, – disse Cindy. – Però ce n’è uno nuovo all’interno di Delancey e forse qualche AA del tuo vecchio negozio è stato risistemato là.

– Chiedo scusa –. Una signora in abito azzurro di alto livello, che stimai sui quarantasei anni d’età, si presentò davanti a me, ma rivolta verso Josie e Cindy. – Ci stavamo domandando se era vostra intenzione portare questa macchina dentro il teatro.

– Ehi, e se anche fosse, a lei che cosa importa? – disse Cindy.

– Questi posti sono molto ambiti, – disse la signora. – Non dovrebbero essere occupati da macchine. Se fate entrare la macchina in teatro, ci costringerete a protestare.

– Non credo proprio che siano affari suoi…

– È tutto a posto, – disse Josie. – Klara non intende andare allo spettacolo e nemmeno io…

– Il punto non è questo, – disse Cindy. – Mi fa arrabbiare –. Poi, rivolgendosi alla signora, disse: – Io non la conosco! Lei chi è? Chi l’autorizza a parlarci in questo modo…

– Allora è tua, la macchina? – domandò a Josie la signora.

– Klara è la mia AA, se è questo che vuole sapere.

– Prima ci rubano il lavoro. E adesso anche i posti a teatro?

– Klara? – Il Padre aveva portato la faccia vicino alla mia. – Stai sempre bene?

– Sí, sto bene.

– Sicura?

– Forse un po’ disorientata, prima. Ma adesso sto bene.

– D’accordo. Ascolta, tra poco dovrò andare. Perciò mi chiedevo se potevi dirmelo subito. Di preciso che cosa abbiamo fatto laggiú? E che cosa possiamo sperare che succeda, di conseguenza?

– Mr Paul si è fidato di me, è stato meraviglioso. Purtroppo, come ho già detto, non posso raccontare niente senza compromettere i risultati dell’operazione stessa. Comunque, credo proprio che ci sia speranza, adesso. Prego Mr Paul di avere pazienza e di aspettare le buone notizie.

– Come vuoi. Passerò dall’appartamento domattina a salutare Josie. Magari ci vediamo lí.

Da qualche parte alle mie spalle la voce della Madre disse: – Ne parliamo all’appartamento. Qui non è possibile.

– Ma io volevo dire solo questo, – disse la voce di Josie. – Non voglio assolutamente che tu la faccia completare, come hai fatto con quella di Sal. Io voglio che sia solo Klara a poter entrare nella mia stanza e ad andare e venire come le pare.

– Ma perché mai ne parliamo, comunque? Tu starai bene, tesoro. Non è il caso di pensare a niente di tutto ciò…

– Oh, Klara, eccoti qua –. Miss Helen era comparsa accanto a me. – Ascolta, Klara, siamo d’accordo con Chrissie. Per il momento tu vieni con noi.

– Con voi?

– Chrissie vuole riportare Josie all’appartamento e fare due chiacchiere con lei in pace, loro due sole. Perciò tu resterai con noi. Chrissie passerà a prenderti tra una mezz’ora –. Poi, sporgendosi in avanti, mi parlò piano all’orecchio: – Li vedi? Rick e Vance vanno d’accordissimo! In ogni caso, cara, a Rick farà tanto piacere averti vicino in questo momento. Potrebbe essere un’esperienza molto dolorosa, comunque.

– Sí, certo. Ma la Madre…

– Verrà a prenderti molto presto, vedrai. Ha semplicemente bisogno di qualche minuto da sola con Josie.

– La cosa che voglio soprattutto adesso – disse Mr Vance con una risata, mentre veniva verso di noi – è che ci leviamo da questa ressa. Laggiú, in quella tavola calda. Non sembra male. Un posto come un altro dove ci si possa sedere, guardarci in faccia, e chiacchierare.

C’erano braccia che mi circondavano e mi resi conto che Josie mi stringeva in un abbraccio, non dissimile da quello in cui mi aveva stretto al negozio il giorno della grande decisione. Questa volta, tuttavia, mi parlò all’orecchio in modo che potessi sentire solo io:

– Non ti preoccupare. Non lascerò che ti succeda niente di male. Parlerò con la mamma. Per adesso va’ con Rick. Fidati di me.

Poi mi sciolse dall’abbraccio, e Miss Helen già mi trascinava via dolcemente.

– Su, vieni, Klara cara.

Emergemmo dalla folla del teatro con Mr Vance che faceva strada verso la tavola calda e Miss Helen che affrettava il passo per restargli al fianco. Rick e io seguivamo gli adulti a una certa distanza e, grazie al movimento intorno a noi del vuoto e dell’aria fresca, sentii che recuperavo il senso dell’orientamento. Guardandomi indietro, mi stupí constatare quanto fosse buia e tranquilla la strada, a parte il fitto cluster di persone intorno al lampione. Anzi, via via che ci allontanavamo, la folla – di cui fino a poco fa ero stata parte – sembrava una di quelle nuvole di insetti che avevo visto nel prato della sera, ferme contro il cielo, con ogni creatura al loro interno in continuo febbrile spostamento alla ricerca di una collocazione migliore, ma senza mai infrangere i confini della forma che costruivano tutte insieme. Vidi Josie che salutava con la mano dai margini della folla, con un’espressione perplessa, e la Madre dietro di lei che le appoggiava le mani sulle spalle, guardandoci con gli occhi vuoti.

Il buio aumentava e il rumore della folla del teatro si affievoliva, ma sapevo che le mie capacità di osservazione non avevano subíto danni gravi perché continuavo a vedere con chiarezza davanti a me la tavola calda illuminata verso la quale eravamo diretti. Vedevo che era fatta come un segmento di torta, con la punta rivolta verso di noi; vedevo che la strada si biforcava ai due lati e che le vetrine del locale correvano lungo ciascuno dei marciapiedi divergenti, di modo che i passanti potevano scegliere da che parte andare perché avrebbero comunque visto l’interno illuminato: i sedili in lucida pelle, i tavoli lustri e il bancone di vetro trasparente dietro il quale il direttore del locale aspettava i clienti con il suo grembiule e il cappellino bianco.

In assenza di veicoli in transito e con gli edifici attorno cosí scuri, la tavola calda, unica fonte di luce della zona, gettava forme oblique sul selciato. Mi chiesi quale lato della biforcazione avrebbe scelto Mr Vance, ma quando fummo abbastanza vicini, notai una porta proprio sullo spigolo a punta. L’unico motivo per cui non l’avevo vista prima immaginai fosse che la porta somigliava moltissimo alle vetrine: era perlopiú fatta di vetro con delle scritte dipinte di traverso. Mr Vance l’aprí, e si fece da parte per far passare Miss Helen per prima.

Quando entrai dietro a Rick un attimo dopo, trovai la luce talmente forte e gialla che non riuscii ad adattare subito la vista. Solo poco per volta cominciai a distinguere le varie fette di torta alla frutta, ciascuna della forma del locale stesso, esposte nel bancone trasparente, e il Direttore del Locale – un uomo grosso dalla pelle scura – immobile dietro il bancone con la faccia puntata in direzione opposta alla mia. Poi mi accorsi che osservava Mr Vance e Miss Helen, i quali intanto si sceglievano il tavolo e prendevano posto uno di fronte all’altra.

Vidi la figura di Rick attraversare il pavimento lustro e andare a sedersi accanto a sua madre. Nel frattempo, mi tornavano in mente le parole con cui Josie mi aveva salutata, e mi chiesi quale argomento cruciale la Madre volesse discutere con lei all’Appartamento dell’Amica, e come mai fosse necessaria la mia assenza.

Miss Helen e Mr Vance continuarono a fissarsi in silenzio per tutto il tempo che impiegai a raggiungerli. Mi pareva di non conoscere Mr Vance abbastanza da sedermi accanto a lui. Per giunta, si era sistemato a metà del sedile pensato per due e mi resi conto che non avrei potuto prendere posto senza scomodarlo. Perciò sedetti da sola nel tavolo vicino sull’altro lato del corridoio.

Finalmente Mr Vance smise di fissare Miss Helen e, girandosi sul sedile, diede indicazioni al Direttore del Locale. Soltanto allora mi accorsi che, malgrado non ci fossero clienti a parte noi, tutti i tavoli erano stati preparati con cura, casomai dovesse arrivare qualcun altro. A quel punto pensai che il Direttore del Locale doveva sentirsi solo, perlomeno quando era nel locale illuminato su entrambi i lati per chiunque passasse di lí durante la notte.

– Signore? – disse Rick. – Le sono molto grato del tempo che mi dedica. E del fatto che sta perfino pensando di aiutarmi.

– Sai, Rick, – disse trasognato Mr Vance, – era davvero un bel pezzo che non vedevo tua madre.

– Mi rendo conto, signore. E me non mi aveva mai visto, se non brevemente quando avevo due anni o giú di lí. E questo rende ancora piú generoso da parte sua l’aver accettato di incontrarmi in questo modo. Del resto, la mamma non fa che ripetere quanto lei sia generoso.

– Mi conforta sapere che tua madre ti ha parlato bene di me. Ti avrà detto magari anche un paio di cosette negative?

– Oh no. Mia madre ha sempre detto solo bene di lei.

– Ma davvero? E io che per tutti questi anni… Beh, non importa. Helen, sono già conquistato da questo tuo ragazzo.

Miss Helen aveva osservato Mr Vance attentamente. – Inutile che ti dica quanto ti sono grata anch’io, Vance. Ti ringrazierei anche piú a lungo, ma oggi è la chance di Rick e non voglio parlare al posto suo.

– Ben detto, Helen. Allora Rick. Perché non mi racconti di che si tratta?

– Beh, non so bene da dove cominciare, ma comunque… Mi interessa molto la tecnologia dei droni. Si può dire che è la mia passione. Ho messo a punto un sistema personale e attualmente ho la mia squadra di droni uccello.

– Aspetta un attimo. Quando dici «sistema personale», Rick, intendi che sei andato oltre quello che hanno fatto tutti gli altri?

Il viso di Rick fu attraversato dal panico, mentre mi guardava. Gli sorrisi, cercando di fargli sentire che quel sorriso non era solo mio, ma anche di Josie. Che l’avesse capito oppure no, parve trarne un incoraggiamento.

– No, signore, niente affatto, – disse con una breve risata. – Non voglio spacciarmi per un genio. Posso dire però che al mio sistema di droni ho lavorato da solo, senza l’aiuto dei miei insegnanti. Ho utilizzato varie informazioni trovate online. E mia madre mi ha molto sostenuto, ordinando per me alcuni libri costosi. A dire il vero ho qui con me qualche disegno, casomai volesse farsi un’idea. Eccoli qui. Comunque, no, non credo di lavorare a niente di tanto rivoluzionario, e so di non potercela fare senza un’assistenza adeguata.

– Chiaro. Quindi ora ambiresti a entrare in una buona facoltà? Per rendere giustizia al tuo talento?

– Beh, qualcosa di simile. Mia madre e io abbiamo pensato che forse l’Atlas Brookings, essendo un college aperto e democratico…

– Abbastanza aperto e democratico da accogliere tutti gli studenti di alto calibro, perfino alcuni che non si sono avvalsi di alcun editing genetico.

– Esatto, signore.

– E senza dubbio saprai, Rick, perché deve avertelo detto tua madre, che al momento io presiedo la Commissione Fondatori del college. Vale a dire, l’organismo che controlla le borse di studio.

– Sí, signore. Me l’ha detto.

– Ora, Rick. Spero che tua madre non ti abbia lasciato credere che la procedura di selezione dell’Atlas Brookings va soggetta a favoritismi.

– Né mia madre né io le chiederemmo mai di aiutarci attraverso favoritismi, signore. Le chiedo di farlo solo se dovesse ritenermi all’altezza di un posto all’Atlas Brookings.

– Ben detto. D’accordo, diamo un’occhiata a quello che hai portato.

Rick aveva già appoggiato il suo album sul tavolo, e Mr Vance lo aprí. Esaminò il grafico al quale si era aperto l’album, poi voltò pagina, ne trovò un altro e si fece assorto nell’osservazione. Continuò a sfogliare lentamente l’album, tornando a volte a una pagina precedente. A un certo punto senza alzare lo sguardo disse:

– Tutte queste sono idee che intendi realizzare in futuro?

– Perlopiú, sí. Anche se qualcuna l’ho già realizzata. Come quelle della pagina dopo.

Miss Helen osservava in silenzio, sorridendo dolcemente e andando con lo sguardo da Mr Vance all’album di Rick. In quel preciso momento tornai a sentire, per un attimo ma distintamente, la mano del Padre che mi teneva la testa alla giusta angolazione e udii lo sgocciolio del fluido nella bottiglia di plastica che il Padre intanto mi teneva vicino alla faccia con l’altra mano.

– Dunque, Rick, – disse Mr Vance, – sono molto ignorante in materia. Ciononostante, ho l’impressione che i tuoi droni abbiano altissime capacità di sorveglianza.

– Gli uccelli sono dispositivi di raccolta dati, esatto. Il che non significa necessariamente che debbano essere utilizzati per attività invasive della privacy. Hanno svariate applicazioni potenziali. Sicurezza, babysitteraggio. D’altro canto, forse c’è gente che sarebbe meglio non perdere d’occhio.

– Tipo i criminali, intendi.

– O gruppi paramilitari. Sette religiose strane.

– Chiaro. Sí, tutto molto interessante. E non vedi nessun problema di natura etica, in tutto questo?

– Altro che, signore, di tutti i tipi. Ma in fin dei conti spetta al legislatore stabilire come regolamentare certe cose, non alla gente come me. Per il momento, voglio solo imparare il piú possibile, per portare le mie conoscenze in materia a un livello superiore.

– Ben detto –. Mr Vance annuiva, continuando a sfogliare l’album di Rick.

Il Direttore del Locale che si sentiva solo era arrivato intanto col vassoio e cominciò a disporre le bibite sul tavolo davanti a Miss Helen, Mr Vance e Rick. Ciascuno lo ringraziò a bassa voce e lui tornò ad allontanarsi.

– Tu lo capisci, Rick, – disse Mr Vance, – che non è mia intenzione renderti le cose difficili. Ti sto solo, come dire, valutando un po’ per vedere di che stoffa sei fatto –. Poi, a Miss Helen disse: – E finora se la sta cavando egregiamente.

– Vance, caro. Ti andrebbe qualcosa da accompagnare al caffè? Una di quelle ciambelle laggiú magari. Ti sono sempre piaciute le ciambelle.

– Grazie, Helen, ma sono a cena fuori stasera –. Diede un’occhiata all’ora, poi tornò con lo sguardo a Rick. – Dunque Rick, considera questo. All’Atlas Brookings crediamo che in giro ci siano tanti ragazzi di talento, proprio come te, che per ragioni economiche o di altra natura non hanno potuto beneficiare di alcuna forma di EGA. Siamo inoltre convinti che oggi come oggi il sistema commetta un grave errore non permettendo a quei ragazzi di talento di usufruire appieno delle strutture. Purtroppo la gran parte degli altri istituti non la pensa cosí. Il che comporta che noi riceviamo da persone come te di gran lunga piú richieste di quante siamo in grado di soddisfare. Riusciamo a sfoltire chi non ha speranza, dopodiché diventa una lotteria. Allora, Rick. Hai appena detto di non volere favoritismi. Quindi lascia che ti faccia una domanda. Se le cose stanno come dici, allora che ci faccio qui seduto davanti a te?

Con queste parole Mr Vance cambiò umore cosí bruscamente che quasi mi lasciai sfuggire un’esclamazione di sorpresa. Anche Rick pareva stupefatto. Solo Miss Helen non sembrava stupita, ma come se qualcosa che aveva sempre temuto fosse alla fine successo. Sorrise e disse:

– A questa domanda risponderò io per lui, Vance. Sí, ti stiamo in effetti chiedendo un favore. Sappiamo che saresti in grado di farcelo. Perciò ti chiediamo di aiutarci. Voglio riformulare. Sono io che te lo chiedo. Ti chiedo di aiutare il mio bambino ad avere occasione di battersi in questo mondo.

– Mamma…

– No, Ricky, tesoro, è giusto cosí. Tocca a me, e non a te, chiedere a Vance. Ed è vero che gli stiamo chiedendo un favoritismo. Certo che è cosí.

Mi ero sbagliata a credere che fossimo gli unici clienti del Direttore del Locale. Mi accorgevo adesso che, a tre tavoli di distanza dal mio, sedeva tutta sola una signora di quarantadue anni. Non l’avevo vista prima perché stava schiacciata contro la vetrina, toccandola con la fronte, a guardare fuori nel buio. Mi dissi che forse anche il Direttore del Locale non l’aveva notata e che la convinzione che il Direttore del Locale la stava deliberatamente ignorando la faceva sentire ancora piú sola.

– Sai, Helen, – disse Mr Vance, – è strana la tattica che stai adottando. Il favoritismo, come qualunque altra forma di corruzione, funziona meglio se rimane incognito. Ma lasciamo stare –. Mr Vance si sporse in avanti. – Finché ho creduto che la richiesta fosse di Rick, era un conto. È un ragazzo splendido, meritevole. Le cose stavano andando bene. Ma guarda cos’hai combinato. Mi hai appena detto che io dovrei fare un favore a te, nel senso di Helen. Dopo tutti questi anni. Tutti questi anni di te che non rispondi ai miei messaggi. Tutti questi minuti, e ore, e giorni, mesi, anni in cui non ho fatto che pensare a te.

– Devi proprio dire queste cose qui? Davanti a Rick? – Miss Helen sorrideva ancora con dolcezza, ma la sua voce si era fatta esitante.

– Rick è un giovanotto sveglio. In ultima analisi è lui che ha da perdere o da guadagnarci. Quindi perché nascondergli le cose? Lasciamo che abbia il quadro completo. Che capisca di cosa si parla qui.

Ancora una volta, Rick mi lanciò un’occhiata dal lato opposto del corridoio, e ancora una volta cercai di comunicargli incoraggiamento con un sorriso che speravo sentisse arrivare da me e da Josie.

– E di cosa si parla qui, Vance? – domandò Miss Helen. – È davvero tanto complicato? Ti sto semplicemente chiedendo di aiutare mio figlio. Se non lo vuoi fare, possiamo salutarci civilmente e fine della storia.

– Chi ha mai detto che non voglio aiutare Rick? Lo vedo benissimo che è un ragazzo dotato. Questi disegni sono davvero promettenti. Ho tutte le ragioni di credere che farebbe grandi cose all’Atlas Brookings. Il problema è che a chiedermelo sei tu, Helen.

– Allora non avrei dovuto dire niente. Prima che parlassi, andava tutto bene. Ho visto che cominciavate a piacervi, e Rick si rivolgeva a te con autentico rispetto. Poi sono intervenuta io, ed è nato un problema.

– Puoi dirlo forte che è nato un problema, Helen. Ventisette anni di problema. Ventisette anni in cui ti sei rifiutata di avere a che fare con me. Non ho tormentato tua madre per tutto questo tempo, Rick. Non voglio che tu lo pensi. All’inizio ero, beh, diciamo che potevo usare toni un po’ sentimentali, forse. Ma non l’ho mai tormentata, né minacciata né accusata. La supplicavo e basta. È corretto, Helen? Una ricostruzione corretta?

– Assolutamente. Sei stato tenace, ma non ci sono mai state spiacevolezze. Comunque, Vance, dobbiamo proprio fare questi discorsi davanti a Rick?

– D’accordo. Mi sta bene. Forse dovrei smetterla di parlare solo io. Forse è venuto il momento che mi dica qualcosa tu, Helen.

– Signore? Non so che cosa sia successo in passato. Ma se le sembra fuori luogo che le si chieda di…

– Fermo là, Rick, – disse Mr Vance. – Io sono intenzionato ad aiutarti. Credo però sia arrivato il momento di dare a tua madre l’opportunità di spiegarsi.

Per svariati secondi nessuno parlò. Guardai il Direttore del Locale per capire se avesse ascoltato, ma lo vidi fissare il buio al di là del vetro senza dar segno di aver sentito nulla che lo interessasse.

– Lo ammetto, – disse Miss Helen, – mi sono comportata male con te, Vance. Te lo concedo. Ma mi sono comportata male anche con me stessa, e con tutti gli altri. Non devi sentirti preso di mira. Era una cattiveria universalmente distribuita, la mia.

– Sarà… Io però non ero un altro qualunque. Dividevamo la vita da cinque anni…

– Sí. E non sai quanto vorrei poter chiedere scusa. Certe volte, Vance… e anche tu, Rick, non mi rincresce dire queste cose davanti a te… sento il desiderio di mettere in fila tutte le persone che ho trattato in modo indegno, di schierarle una dopo l’altra. Poi vorrei passarle in rassegna, sai, come potrebbe fare un sovrano. A una a una, stringere loro la mano, guardare ciascuno negli occhi e dire, mi dispiace tanto, sono stata cosí cattiva.

– Fantastico. E cosí dovrei pure mettermi in fila, adesso. Per avere l’onore di ricevere le scuse di sua maestà.

– Accidenti, com’è uscita male. Cerco solo di chiarire come… mi sento. Lo so: risulta terribile messa come la metti tu. Ma quando mi guardo indietro, le cose mi travolgono e allora penso, oh se si potessero risolvere cosí. Se fossi una regina, allora sí che potrei…

– Mamma, credimi, so che cosa cerchi di dire. Ma forse non è questo il modo migliore…

– Una volta lo eri, una specie di regina, Helen. Una splendida regina. E pensavi di poter fare quel che ti pareva impunemente. Da una parte mi addolora, ma dall’altra sono anche contento. Di vedere che non l’hai passata liscia. Che la vita ti ha beccata e hai dovuto pagare un prezzo, alla fine.

– E quale prezzo avrei pagato, Vance? Ti riferisci al fatto che sono povera? Perché a me non importa granché, se vuoi saperlo.

– Può darsi che non ti importi di essere povera, Helen. Ma sei diventata fragile. E credo che questo ti dispiaccia molto di piú.

Miss Helen tacque per parecchi secondi mentre Mr Vance la fissava a occhi spalancati. Infine disse: – Sí. Hai ragione. Dai tempi in cui mi hai conosciuta tu sono diventata… fragile. Cosí fragile che potrei andare in mille pezzi al primo buffo di vento. Ho perso la bellezza, non per il passare degli anni ma per questa mia fragilità. Ma Vance, caro Vance. Non vuoi perdonarmi, almeno in parte? Non vuoi aiutare mio figlio? Vance. Ti darei tutto, qualsiasi cosa, in cambio, ma non c’è niente che penso di poterti offrire. Niente di niente, a parte la mia supplica. Perciò ti supplico, Vance, aiutalo.

– Mamma, ti prego. Smettila. Non c’è modo…

– Lo vedi perché sono in difficoltà, Rick. Non capisco che cosa abbia in mente tua madre. Dice di volersi scusare, ma per cosa? È tutto cosí generico. Sai, Helen, credo che funzionerebbe meglio se scendessimo piú nello specifico.

– Ti sto chiedendo di aiutare mio figlio, Vance. Non ti sembra abbastanza specifico?

– Fatti specifici, Helen. Ad esempio quella sera a casa di Miles Martin. Hai presente a quale serata mi riferisco.

– Sí, sí. Quando ho detto a tutti che non avevi ancora letto il Rapporto Jenkins…

– Ti sei assicurata una bella risata a mie spese, con quella battuta, Helen. E sapevi quello che facevi…

– D’accordo, Vance, ti chiedo scusa per quella sera. Avevo perso il controllo, ero in vena di ripicche. Come vorrei…

– Altro fatto specifico. Non li metto in ordine, sto scorrendo l’elenco a caso. Quel messaggio vocale che mi lasciasti in albergo. A Portland, in Oregon. Credi che non mi abbia fatto male?

– Altro che. Era un messaggio spregevole e non l’ho dimenticato. Me lo risento ancora nella testa, si presenta quando meno me l’aspetto. Un momento tranquillo, sola con me stessa ed ecco che mi rivedo prendere il telefono e lasciarti di nuovo il messaggio ma diverso, questa volta. Lo correggo in modo che sia un po’ meno atroce. Dal momento che io non l’ho mai riascoltato, ma ho solo sentito me stessa pronunciarlo, a volte ho la sensazione che non sia troppo tardi per modificarlo. È piú forte di me, è la testa che mi fa questi scherzi e mi fa stare malissimo di nuovo. Credimi, Vance, mi sono punita cosí tanto per quelle parole. E non dimenticare che, ai tempi, non sapevo come si potesse tecnicamente cancellare un messaggio una volta inviato…

– Mamma, basta. Signore? Credo che tutto questo non faccia bene a mia madre. Ultimamente è stata a meraviglia, ma…

Miss Helen sfiorò il braccio di Rick per farlo tacere. – Vance, ti sto chiedendo scusa, – proseguí. – Ti sto supplicando. Sto dicendo che mi sono comportata male con te e, se vuoi, ti giuro che mi punirò e continuerò a punirmi finché non avrò saldato il conto.

– Andiamo, mamma. Non ti fa bene, tutto questo.

– Se preferisci, Vance, possiamo programmare un altro incontro. Diciamo tra due anni, qui, nello stesso posto. Potresti constatare che ho mantenuto la promessa. Potresti guardarmi e verificare tu stesso che mi sono punita come si deve…

– Basta cosí, Helen. Se non ci fosse Rick, ti direi tutto quello che penso.

– Signore? Non voglio che lei faccia niente per aiutarmi. Adesso come adesso non voglio niente.

– No, Rick, non sai quel che dici, – disse Miss Helen. – Non starlo a sentire, Vance.

Mr Vance si alzò in piedi e disse: – Devo andare.

– Mamma, calmati per favore. Niente di tutto questo importa veramente.

– Non sai quel che dici, Rick! Vance, aspetta, non andartene ancora! Non ci separiamo cosí. Una volta ti piacevano le ciambelle. Non te ne andrebbe una adesso?

– Sono d’accordo con Rick. Non ti fa bene tutto questo, Helen. La cosa migliore è che io me ne vada. Rick? I tuoi disegni mi piacciono e mi piaci anche tu. Stammi bene, mi raccomando. Ciao, Helen.

Mr Vance si avviò lungo il corridoio fra i tavoli, senza voltarsi a guardare nessuno, poi varcò la porta a vetri e uscí nel buio. Miss Helen e Rick rimasero seduti vicini a fissare lo spazio davanti a loro sulla superficie del tavolo. Poi Rick disse: – Klara. Vieni a sederti qui con noi.

– Mi chiedo, – disse Miss Helen.

Rick le si avvicinò e le cinse le spalle con un braccio. – Cosa ti chiedi, mamma?

– Mi chiedo se sarà stato abbastanza. Se basterà a soddisfarlo.

– Francamente, mamma. Se avessi saputo che andava a finire male la metà di come è andata, avrei detto di no, neanche tra un milione di anni.

Scivolai sul sedile lasciato libero da Mr Vance, ma né Miss Helen né Rick sollevarono gli occhi verso di me. Guardavo Miss Helen pensando che lei e Mr Vance una volta erano stati innamoratissimi. E mi chiesi se c’era stato un tempo in cui Miss Helen e Mr Vance si trattavano con la stessa dolcezza di Josie e Rick. E se un giorno anche Josie e Rick avrebbero potuto riservarsi la stessa assenza di gentilezza. E mi ricordai del Padre che in macchina parlava del cuore umano, e di quanto fosse complicato, e lo rividi in quel cortile, dritto davanti al Sole basso, mentre la sua figura si intrecciava all’ombra della sera in un’unica forma allungata, e lui levava il braccio a svitare il cappuccio di protezione dall’ugello della Macchina Cootings, e io ero ferma e impaziente alle sue spalle con in mano la bottiglia di plastica dell’acqua minerale contenente la preziosa soluzione.

– Che cosa è appena successo? – chiese Miss Helen. – Che farà Vance? Ci vuole aiutare? Poteva almeno dirci se sí o no.

– Chiedo scusa, – dissi. – Non vorrei infondere speranze ingiustificate. Ma da quanto ho osservato credo che Mr Vance deciderà di aiutare Rick.

– Lo pensi davvero? – chiese Miss Helen. – Perché?

– Posso sbagliarmi. Ma credo che Mr Vance sia ancora molto affezionato a Miss Helen e che deciderà di aiutare Rick.

– Oh che tesoro di robot! Spero tanto che tu abbia ragione. Non so che altro avrei potuto fare.

– Mamma, al diavolo quello. Me la caverò comunque.

– Non era affatto orribile com’ero portata a credere, – disse Miss Helen, fissando la strada buia e deserta. – Anzi, tutt’altro che brutto. Vorrei solo che ce l’avesse detto. Se sí o no.

Il nostro tavolo doveva esserle ben visibile quando la Madre accostò al marciapiede dal nostro lato della tavola calda. Ma abbassò le luci e rimase nell’auto, forse per dare privacy, malgrado vedesse bene che Mr Vance se n’era andato.

Quando uscimmo, però, e salimmo a bordo dell’auto e ci avviammo dentro la notte, capii che era in pensiero per aver lasciato Josie da sola nell’Appartamento dell’Amica, e che non vedeva l’ora di scaricarmi là il prima possibile per poi accompagnare Rick e Miss Helen al loro hotel senza pretese. La Madre in effetti aveva chiesto: «Com’è andata?» appena eravamo saliti, ma dopo che Miss Helen aveva risposto: «Non benissimo, staremo a vedere», la conversazione sull’auto si era quasi spenta del tutto, perché ciascuno era assorto nei propri pensieri.

Di notte l’Appartamento dell’Amica era ancora piú indistinguibile da quelli vicini. La Madre mi accompagnò ai gradini giusti e quando fui in cima al piú alto mi voltai a guardare l’auto ferma al semaforo. Vedevo le sagome di Miss Helen e Rick a bordo, e mi chiesi che cosa potessero dirsi, adesso che erano soli.

L’Appartamento dell’Amica era esattamente come l’avevamo lasciato andando da Mr Capaldi, a parte il fatto che adesso era al buio, naturalmente. Dall’ingresso vedevo la Sala Grande, e i disegni della notte cadere sopra il divano dove Josie aveva aspettato l’arrivo del Padre. Il tascabile era rimasto sul tappeto dove l’aveva lasciato cadere e mostrava un angolo debolmente illuminato.

La Madre mi indicò il fondo dell’ingresso, dicendo sottovoce: – Credo che dorma profondamente, perciò fa’ piano. Se qualcosa ti allarma, mi chiami. Mi ci vorranno venti minuti.

Stava per uscire di nuovo e non volevo ritardare il ritorno di Rick e Miss Helen al loro hotel senza pretese, ma sussurrai:

– Forse è possibile tornare a sperare adesso.

– Che cosa vuoi dire?

– Domattina, quando tornerà il Sole. Potremo sperare.

– D’accordo. Credo ci faccia bene il tuo costante ottimismo –. Allungò la mano verso la porta. – Non accendere nessuna luce. Potrebbero disturbarla, anche là dentro –. Poi la Madre si fece stranamente immobile, ferma nella semioscurità, con il naso che quasi sfiorava la porta. Senza voltarsi disse: – Josie e io ci siamo parlate, prima. Il discorso ha preso una strana piega. Dovevamo essere tutte e due stanche. Se si sveglia e ti dice qualcosa di strampalato, non farci troppo caso. Ah, e ricordati. Non agganciare questa catena, altrimenti non riesco piú a entrare. Buonanotte.

Entrai piano piano nella Seconda Camera e trovai Josie profondamente addormentata. La stanza era piú stretta di quella di casa ma aveva il soffitto piú alto e, visto che Josie aveva lasciato l’avvolgibile abbassato solo a metà, c’erano delle forme sopra l’armadio e sulla parete accanto. Andai alla finestra e guardai la notte per capire il percorso che il Sole avrebbe potuto fare al mattino e se gli sarebbe stato facile guardare dentro. Come la stanza, anche la finestra era alta e stretta. Sorprendentemente vicino si ergevano i retri di due grossi edifici e individuai tubi di scolo che disegnavano linee verticali, e una teoria di finestre perlopiú vuote o chiuse dagli avvolgibili. Al di là dei due edifici vedevo la strada e sapevo che l’indomani mattina ci sarebbe stato molto traffico. Perfino adesso il flusso dei veicoli in mezzo allo spazio vuoto era costante. Sopra il tratto di strada si alzava un’alta colonna di cielo notturno, e stimai che il Sole non avrebbe avuto alcuna difficoltà a far fluire da lí il suo nutrimento speciale, per quanto fosse stretta. Capii anche quanto fosse importante per me rimanere all’erta, pronta ad alzare l’avvolgibile al primissimo segnale.

– Klara? – Josie si rigirò dietro di me. – È tornata anche la mamma?

– Non ci metterà molto. È solo andata ad accompagnare Rick e Miss Helen al loro hotel.

Parve riaddormentarsi. Ma qualche minuto dopo sentii un fruscio di coperte.

– Non permetterei mai che ti succedesse qualcosa di male –. I suoi respiri si fecero piú lunghi e pensai che stesse di nuovo dormendo. Poi, con voce piú ferma, disse: – Non cambierà niente.

Era piú sveglia adesso, perciò dissi: – La Madre ha discusso con te di qualche idea nuova?

– Beh, non la chiamerei un’idea. Le ho detto che una cosa del genere non capiterà mai.

– Mi chiedo che cosa abbia suggerito la Madre.

– Ma non te ne aveva già parlato? Niente, comunque. Una roba confusa che le girava in testa.

Mi chiesi se avrebbe detto di piú. Il piumino si mosse di nuovo.

– Cercava di… proporre qualcosa, suppongo. Ha detto che poteva lasciare il lavoro e stare con me tutto il tempo. Se era quello che volevo. Ha detto che poteva diventare lei quella che stava sempre con me. Che lo avrebbe fatto, se lo volevo sul serio; avrebbe lasciato il lavoro, ma io ho detto, e che ne sarebbe di Klara? E lei ha detto, non ne avremmo piú bisogno, di Klara, perché ci sarebbe stata lei con me tutto il tempo. Si capiva che erano cose su cui non aveva riflettuto. Ma continuava a chiederlo, come se dovessi prendere una decisione e cosí alla fine le ho detto, senti, mamma, non funzionerebbe. Tu non vuoi lasciare il lavoro e io non voglio rinunciare a Klara. Tutto qui, piú o meno. Non si farà e la mamma è d’accordo.

Tacemmo per un po’ dopo queste parole, Josie nascosta nell’ombra e io ferma alla finestra.

– Forse, – dissi alla fine, – la Madre ha pensato che se fosse rimasta con Josie tutto il tempo, Josie si sarebbe sentita meno sola.

– Chi ha detto che mi sento sola?

– Se cosí fosse, se davvero Josie si sentisse meno sola con la Madre, io sarei lieta di andarmene.

– Ma chi ha detto che mi sento sola? Io non mi sento sola.

– Forse tutti gli umani si sentono soli. Almeno potenzialmente.

– Ascolta, Klara, questa della mamma era solo una cazzata. Prima le avevo chiesto del ritratto e lei ha cominciato ad agitarsi e se n’è uscita con quest’idea. Che non era nemmeno un’idea, non era niente. Perciò non ne parliamo piú, d’accordo?

Tornò silenziosa e si addormentò. Decisi che se si fosse svegliata ancora, le avrei detto qualcosa per prepararla a quanto poteva succedere la mattina dopo, se non altro per essere certa che non facesse nulla per contrastare l’aiuto speciale. Ora però, forse perché ero con lei nella stanza, il sonno di Josie si fece sempre piú profondo, cosí alla fine lasciai la finestra e andai a sistemarmi accanto all’armadio da dove avrei potuto cogliere i primi segnali di ritorno del Sole.

Sedemmo nelle stesse posizioni del viaggio di andata. L’altezza degli schienali mi permetteva di vedere solo in parte la Madre alla guida, e quasi per niente Miss Helen, se non quando si voltava a sbirciare dal suo posto per sottolineare quel che andava dicendo. A un certo punto – eravamo ancora nel traffico lento del mattino in città – Miss Helen si girò in questo modo verso di noi e disse:

– No, Ricky, tesoro, non voglio sentirti dire altre cose sgradevoli su di lui. Tu non lo conosci e non capisci. Come potresti? – Poi la sua faccia scomparve, ma la voce continuò: – Probabilmente anch’io ho detto tante cose, ieri sera. Ma stamattina mi rendo conto che è stato molto ingiusto. Che diritto ho di aspettarmi qualcosa da lui?

Miss Helen aveva dato l’impressione di rivolgere l’ultima domanda alla Madre, ma lei sembrava lontanissima. Superando l’ennesimo incrocio, la Madre mormorò: – Paul non è poi tanto male. A volte credo di essere troppo dura con lui. Non è cattivo. Oggi mi fa pena.

– È strano, – disse Miss Helen, – ma stamattina mi sono svegliata con qualche speranza in piú. Mi sembra ancora abbastanza possibile che Vance ci aiuti. Ieri sera si è lasciato un po’ trascinare, ma quando ci penserà su dopo essersi calmato, potrebbe decidere di voler essere una brava persona. Del resto gli piace, sapete, dare di sé l’immagine di una brava persona.

Rick si riscosse nervosamente accanto a me. – Te l’ho detto, mamma. Non intendo avere piú niente a che fare con quell’uomo. Non dovresti neppure tu.

– Helen, – disse la Madre, – ti serve a qualcosa fare cosí? Almanaccare in questo modo? Perché non aspetti di vedere come va? Perché tormentarti? Avete fatto tutti e due del vostro meglio.

Josie, dall’altra parte di Rick rispetto a me, gli prese la mano e intrecciò le dita alle sue. Gli sorrise in modo incoraggiante ma anche un po’ triste, mi parve. Lui ricambiò il sorriso e mi chiesi se attraverso gli sguardi si scambiassero messaggi segreti.

Tornai a voltarmi verso il finestrino dalla mia parte, appoggiando la fronte contro il vetro. Ero in vigile attesa dai primissimi segnali dell’alba. Ma nonostante i raggi del Sole nascente fossero entrati dritti nella Seconda Camera attraverso il vuoto tra gli edifici, nemmeno per un istante li avevo scambiati per il nutrimento speciale. Ricordavo naturalmente che avrei dovuto mostrarmi grata come sempre, ma non ero riuscita ad allontanare la delusione. Poi per tutto il tempo della prima colazione e dei preparativi dei bagagli, mentre la Madre si aggirava per l’Appartamento dell’Amica per un ultimo controllo, mi ero mantenuta in vigile attesa. E adesso, sporgendomi in avanti e gettando lo sguardo oltre Rick e Josie, vedevo il Sole che, ancora in fase di ascesa mattutina, scintillava in mezzo agli alti edifici che stavamo superando. A quel punto pensai al Padre quando aveva chiuso la portiera di questa stessa auto e, guardando la Macchina Cootings nel cortile al di là di me, aveva detto: «Non ti preoccupare, l’ho sentito. Il leggero sfrigolio. È quello il segnale rivelatore. Il mostro non si sveglierà mai piú». E un attimo dopo, la sua faccia si era presentata davanti alla mia e la sua voce aveva domandato: «Tu stai bene? Le vedi, le mie dita? Quante sono?», e, come già la mattina, ero stata travolta da un’ondata di ansia al pensiero che il Sole non mantenesse la promessa che mi aveva fatto nel fienile di Mr McBain.

– Senti, Rick, – disse la Madre. – Non importa che altro è successo ieri sera, il tuo è un portfolio di tutto rispetto. Ragione di piú perché tu abbia fiducia in te stesso.

– Mamma, per favore, – disse Josie. – L’ultima cosa di cui ha bisogno Rick in questo momento è una bella predica –. Le adulte non lo videro, ma Josie strinse piú forte la mano di Rick e gli sorrise di nuovo. Lui ricambiò lo sguardo e disse:

– La ringrazio, Mrs Arthur. Lei è sempre gentile con me. Grazie.

– Non si può mai dire, – disse Miss Helen. – Con Vance, non si può mai dire.

Da qualche istante avevo notato l’alto edificio che si avvicinava dalla mia parte. Aveva qualcosa in comune con il Palazzo RPO ma, se possibile, era ancora piú alto e, dal momento che il traffico ci aveva appena rallentato, potei esaminarlo con attenzione. Il Sole gli proiettava contro i suoi raggi e una sezione della facciata era adesso una specie di specchio del Sole e restituiva un intenso riflesso della sua luce del mattino. Le tante finestre dell’edificio erano suddivise in file verticali e orizzontali ma l’effetto non era ordinato: le file risultavano storte, a volte quasi sovrapposte l’una all’altra. Dentro alcune vedevo lavoratori di ufficio in movimento avvicinarsi di quando in quando al vetro per guardare in strada. Molte altre finestre erano difficili da vedere per via di una foschia grigia che le avvolgeva, e l’attimo dopo, di colpo, mentre la Madre avanzava con l’auto attraverso uno spazio vuoto in mezzo ai vicoli vicini, vidi la Macchina, ferma al solito posto, protetta dal traffico in transito dalle barriere degli uomini di manutenzione. La Macchina pompava Inquinamento dai tre fumaioli, e l’inizio del nome – le tre lettere «C-O-O» – era ben visibile sulla carrozzeria. E già mentre mi sentivo invadere da un’ondata di delusione, non mancai di notare che questa non era la stessa macchina che il Padre e io avevamo distrutto nel cortile. La carrozzeria era di un giallo diverso, le dimensioni leggermente maggiori – e la capacità di produrre Inquinamento piú che all’altezza della prima Macchina Cootings.

– Aspetta di vedere che cosa succede, Helen, – disse la Madre. – Può darsi che si presentino altre opzioni per Rick, comunque –. Superammo la Nuova Macchina Cootings e la foschia grigia di Inquinamento avvolse il nostro parabrezza, sicché la Madre, vedendola, mormorò sottovoce: – Ma tu guarda. E li lasciano fare.

– Se anche fosse, mamma, – disse Josie, – sarebbero college che tu mi lasceresti frequentare?

– Non capisco per quale motivo tu e Rick dobbiate andare allo stesso college, – disse la Madre. – Cos’è? Siete sposati? I ragazzi vanno un po’ dappertutto, e riescono comunque a restare in contatto.

– Mamma, dobbiamo proprio parlarne ora? È l’ultima cosa di cui Rick ha bisogno.

Mi voltai a guardare dal lunotto posteriore. L’edificio alto era ancora visibile, ma la Macchina Cootings era nascosta da altri veicoli. Adesso sapevo come mai il Sole non aveva agito e per un momento forse abbandonai il controllo della postura e lasciai ciondolare la testa. Josie si sporse in avanti sul sedile, mi guardò e disse: – Lo vedi, mamma? Hai sconvolto anche Klara. Ed era già abbastanza sconvolta per il trasferimento del suo negozio. Quel che ci serve adesso è parlare di cose allegre.

Parte quinta

Josie cominciò a perdere le forze undici giorni dopo il nostro ritorno dalla città. Da principio questa fase non sembrava peggiore di quelle che aveva già attraversato, ma poi si presentarono dei segnali nuovi, come un modo strano di respirare e i suoi mezzi-risvegli la mattina, con gli occhi aperti ma vuoti. Se durante questi attacchi le parlavo, lei non reagiva, e la Madre prese l’abitudine di salire in camera presto ogni mattina. Se poi trovava Josie nella condizione di mezzo-risveglio, la Madre se ne stava accanto al letto e ripeteva sottovoce: «Josie, Josie, Josie», come se recitasse le parole di una canzone che cercava di memorizzare.

C’erano giornate migliori in cui Josie si metteva seduta a letto e parlava, seguiva perfino qualche lezione sull’oblungo, ma ce n’erano invece di quelle in cui non faceva che dormire un’ora dopo l’altra. Il dottor Ryan cominciò a venire tutti i giorni e non aveva piú l’espressione sorridente di un tempo. La Madre andava a lavorare sempre piú tardi la mattina e faceva lunghi discorsi nell’Open Space con il dottor Ryan tenendo le porte scorrevoli chiuse.

Nei giorni migliori, subito dopo il nostro viaggio in città, avevamo concordato che io avrei assistito Rick nei suoi studi, perciò in quel periodo veniva spesso alla casa. Man mano che Josie peggiorava, tuttavia, Rick perse interesse nelle lezioni e prese a ciondolare a vuoto nell’ingresso in attesa che la Madre o Domestica Melania lo chiamassero di sopra in camera da letto. Ma anche allora non gli erano concessi piú di pochi minuti in piedi sulla soglia della stanza, a guardare la sagoma di Josie addormentata. Una volta, mentre la osservava cosí, Josie aprí gli occhi e sorrise.

– Ehi, Rick. Scusami. Troppo stanca per disegnare, oggi.

– Non importa. Pensa solo a riposare, andrà tutto bene.

– Come va con i tuoi uccelli, Rick?

– Bene, Josie, gli uccelli volano alla grande.

Fu tutto quel che riuscirono a dirsi prima che Josie chiudesse gli occhi di nuovo.

Dopo quell’episodio, dal momento che Rick sembrava scoraggiatissimo, lo accompagnai di sotto e uscii con lui. Poi ci fermammo insieme sulle pietre sconnesse, a guardare il cielo grigio. Mi rendevo conto che avrebbe voluto parlare ancora ma che, forse consapevole della possibilità di essere sentiti dalla camera da letto, rimaneva in silenzio, smuovendo le pietre con la punta della scarpa da ginnastica. Cosí gli chiesi: – Andrebbe a Rick di passeggiare un poco con me? – e gli indicai il cancello a cornice di quadro.

Quando ci inoltrammo nel primo prato, mi accorsi che l’erba era piú gialla di quanto non fosse la sera che avevamo raggiunto il fienile di Mr McBain. Procedemmo lenti per la prima parte del sentiero informale, mentre il vento tagliava a tratti l’erba aprendo scorci della casa di Rick in lontananza.

Giungemmo in un punto dove il sentiero informale si allargava in una specie di stanza all’aperto, e qui Rick si fermò per girarsi verso di me nel fruscio dell’erba tutto attorno.

– Josie non è mai stata cosí male, – disse, guardando per terra. – Continuavi a ripetere che c’era motivo di sperare. Lo ripetevi come se ci fosse un motivo speciale. Cosí hai convinto anche me a sperare.

– Mi dispiace. Rick forse è arrabbiato. La verità è che sono stata delusa anch’io. Ciononostante, credo ancora che ci sia motivo di sperare.

– Avanti, Klara. Non fa che peggiorare. Il dottore, Mrs Arthur, lo vedi anche tu, si può dire che abbiano rinunciato a sperare.

– Ciononostante, io credo che la speranza ci sia. Credo che potrebbe arrivare un aiuto da un posto che gli adulti non hanno mai preso in considerazione. Però dobbiamo fare qualcosa il prima possibile.

– Non so nemmeno di cosa parli, Klara. Suppongo ci sia di mezzo il grande segreto che non puoi rivelare a nessuno.

– Se devo essere sincera, da quando siamo tornati dalla città mi sono sentita insicura. Ho aspettato esitando, nella speranza che l’aiuto speciale potesse arrivare comunque. Ma adesso credo che l’unica strada giusta per me sia che si torni laggiú a spiegare. Se potessi lanciare un appello speciale… Ma basta, non devo dire di piú. Ho bisogno che Rick si fidi di me ancora una volta. Ho bisogno di ritornare al fienile di Mr McBain.

– Quindi vuoi che ti ci porti di nuovo?

– Ci devo andare il prima possibile. Se Rick non mi può portare, proverò da sola.

– Ehi, calmati. Certo che ti aiuto. Non capisco come questo possa aiutare Josie, ma se lo dici tu, lo farò di sicuro.

– Grazie! Allora dobbiamo andarci subito, questa sera stessa. E come l’altra volta, dobbiamo essere lí nel preciso momento in cui il Sole va a riposare. Rick deve incontrarmi qui proprio in questo punto, stasera alle sette e quindici. Per favore?

– Contaci. Al cento per cento.

– Grazie. C’è ancora una cosa. Quando sarò al fienile naturalmente porgerò le mie scuse. È stato mio l’errore, ho sottostimato il compito da svolgere. Ma dovrò avere anche qualcos’altro da offrire, qualcosa di piú con cui perorare la causa. Ed è per questo che devo chiedere subito a Rick una cosa, anche se può sottrarre privacy. Mi devi dire se quello tra Rick e Josie è un vero amore, se è autentico e duraturo. Devo saperlo. Perché se la risposta è sí, allora avrò qualcosa con cui negoziare, indipendentemente da quel che è successo in città. Perciò Rick, pensaci bene, per favore, e dimmi la verità.

– Non c’è bisogno che ci pensi. Josie e io siamo cresciuti insieme e siamo parte l’uno dell’altra. Per giunta, abbiamo il nostro progetto. Quindi, certo che il nostro è un amore vero e senza fine. E non farà differenza chi è stato potenziato e chi no. Ecco la mia risposta, Klara, la mia ultima parola.

– Grazie. Ora sí che ho qualcosa di molto speciale. Perciò, mi raccomando, non ti scordare. Ci rivediamo qui alle sette e quindici. Esattamente dove ci troviamo ora.

Adesso che ero piú abituata a farmi portare a cavalcioni da Rick, allungavo spesso una mano per collaborare a scostare l’erba. Rispetto al nostro viaggio precedente l’erba non era solo piú gialla, ma piú morbida e piú cedevole, e anche le nuvole di insetti della sera si aprivano con dolcezza al nostro passaggio. Questa volta i campi non divennero mai frazionati e, quando anche il terzo cancello a cornice di quadro fu dietro di noi, ebbi dinanzi a me una chiara visuale del fienile di Mr McBain, sovrastato dal grande cielo arancione, con il Sole ormai poco lontano dal vertice del tetto a triangolo.

Quando emergemmo nella zona d’erba tagliata, chiesi a Rick di fermarsi e di mettermi giú. Poi rimanemmo a osservare il Sole che sprofondava mentre l’ombra del fienile si allungava verso di noi sul disegno tessuto nell’erba, come l’altra volta. Dopo che il Sole si fu nascosto dietro la struttura del tetto del fienile, ricordai quanto fosse importante non togliere piú privacy del necessario e chiesi a Rick di lasciarmi sola.

– Che cosa succede là dentro? – domandò lui, ma prima che potessi dargli una risposta qualsiasi, mi toccò con dolcezza su una spalla e disse: – Ti aspetto fuori. Stesso posto dell’altra volta.

Se ne andò e io rimasi sola, in attesa che il Sole ricomparisse sotto il livello del tetto e mandasse i suoi ultimi raggi dentro il fienile. A quel punto pensai non soltanto che il Sole poteva essere arrabbiato con me per il mio fallimento in città, ma anche che quella era forse la mia ultima occasione di supplicare il suo aiuto speciale – e pensai alle conseguenze per Josie, in caso avessi fallito di nuovo. La paura mi entrò nella mente, ma poi ricordai l’immensa gentilezza del Sole e procedetti senza ulteriori indugi verso il fienile di Mr McBain.

Come in precedenza, il fienile era pieno di luce arancione e in un primo tempo fu difficile vedere quello che avevo attorno. Presto però cominciai a distinguere i blocchi di fieno impilati alla mia sinistra, e mi accorsi che il muro già basso che formavano si era ulteriormente abbassato. C’erano particelle di fieno intrappolate nei raggi del Sole ma, anziché galleggiare dolcemente a mezz’aria, ora si muovevano convulse come se uno dei blocchi di fieno si fosse appena abbattuto sul pavimento di legno duro polverizzandosi. Quando allungai la mano per toccare le particelle in movimento, notai che le mie dita proiettavano ombre lunghe fino all’ingresso del fienile.

Oltre al muro di blocchi di fieno, c’era il vero muro del fienile, e mi fece piacere constatare che gli Scaffali Rossi del nostro vecchio negozio erano ancora appesi, anche se quella sera apparivano sbilenchi, e parecchio inclinati verso il fondo dell’edificio. Le tazzine da caffè di ceramica occupavano ancora le loro file regolari, ma c’erano anche segnali di confusione: ad esempio, un po’ piú in là sullo stesso ripiano, vidi un oggetto che era inequivocabilmente il frullatore di Domestica Melania.

Ricordavo che l’ultima volta, in attesa del Sole, mi ero seduta su una sedia pieghevole di metallo, perciò mi voltai nella speranza di rivedere non solo la sedia, ma anche la nicchia frontale del nostro negozio, e magari perfino un AA tutto fiero di starci dentro. Quello che di fatto vidi furono i raggi del Sole scorrermi accanto, seguendo una traiettoria pressoché orizzontale, dall’ingresso posteriore a quello anteriore. Era quasi come osservare il flusso del traffico in una strada movimentata e, quando riuscii a gettare lo sguardo fino al fondo dell’edificio, lo trovai frazionato in numerosi riquadri di dimensioni ineguali. Solo dopo qualche secondo individuai la sedia pieghevole di metallo – o meglio, ne individuai varie parti all’interno di altrettanti riquadri – e, memore di quanto conforto mi avesse offerto la volta prima, mi avviai verso quella direzione. Ma non appena ebbi messo piede dentro i raggi del Sole, mi venne in mente che se volevo attirare la sua attenzione prima che proseguisse il cammino dovevo agire all’istante. Cosí, cominciai a formulare parole nella testa, restando immobile nella luce intensa.

– Devi essere stanchissimo, mi dispiace tanto disturbarti. Come ricorderai, sono già stata qui una volta nell’estate, e tu fosti cosí gentile da regalarmi qualche minuto del tuo tempo. Mi sono permessa di tornare stasera per discutere della stessa questione importante.

Quelle parole avevano appena preso forma quando mi ricordai il giorno dell’incontro di interazione di Josie e della madre arrabbiata che entrava nell’Open Space strepitando: «Danny ha ragione! Tu non dovresti proprio essere qui!» Quasi nello stesso preciso momento in un riquadro alla mia destra notai certe rabbiose scritte da fumetto che avevo già visto dall’auto su un edificio in città. Ciononostante, mi lasciai correre in mente altre parole incompiute.

– Lo so che non è mio diritto presentarmi in questo modo. E so anche che il Sole deve essere arrabbiato con me. L’ho deluso, non essendo riuscita a bloccare l’Inquinamento. In effetti, mi accorgo adesso di quanto sia stato stupido da parte mia non considerare che una seconda macchina tremenda avrebbe permesso all’Inquinamento di continuare a imperversare. Ma quel giorno il Sole sorvegliava il cortile, perciò deve sapere quanto ci ho provato e come mi sono sacrificata, cosa di cui sono molto contenta, anche se forse le mie capacità non sono piú quelle di un tempo. E deve anche aver visto come il Padre abbia fatto del suo meglio per aiutare, pur non sapendo nulla del gentile accordo del Sole, solo perché aveva visto la mia speranza e aveva avuto fede. Chiedo sinceramente scusa per aver sottostimato il mio compito. L’errore è stato mio e di nessun altro e, anche se il Sole ha buone ragioni per essere arrabbiato con me, lo imploro di riconoscere l’assoluta innocenza di Josie. Come il Padre, anche lei non ha mai saputo del mio accordo con il Sole e tuttora non ne ha idea. Ma sta diventando piú debole ogni giorno che passa. Sono qui stasera perché non ho mai dimenticato quanto può essere gentile il Sole. Se solo volesse mostrare a Josie la sua immensa compassione, come già fece per Mendicante e il suo cane. Se solo volesse mandare a Josie il nutrimento speciale di cui lei ha disperato bisogno.

Mentre quelle parole mi vagavano nella mente, pensai al toro tremendo sulla via delle Morgan’s Falls, alle sue corna, ai suoi occhi impassibili, e alla mia sensazione che fosse stato commesso un grosso errore nel permettere a una creatura tanto piena di rabbia di starsene libera sull’erba assolata. Da qualche parte sul sentiero alle mie spalle, sentii la voce della Madre che urlava: «No, Paul, non adesso e non in questa cazzo di macchina!», e vidi la donna che si sentiva sola nella tavola calda di Mr Vance, ignorata perfino dal Direttore del Locale, con la fronte contro la vetrina verso la via buia, e mi venne in mente quanto quella donna somigliasse a Rosa. Ma mi resi conto che non potevo permettermi di distrarmi, che il Sole se ne sarebbe probabilmente andato da un momento all’altro, perciò mi lasciai scorrere altri pensieri in mente, senza piú badare a metterli nelle parole.

– Non mi importa di aver perso del fluido prezioso. Ne avrei volentieri dato di piú, l’avrei dato tutto, se avesse garantito il tuo aiuto speciale a Josie. Come sai, dall’ultima volta che sono stata qui, ho scoperto l’altro modo di salvare Josie e, se non rimanesse alternativa, farei del mio meglio. Ma non sono ancora sicura che quel sistema funzionerebbe, malgrado tutti i miei sforzi, perciò il mio profondo desiderio ora come ora è che il Sole mostri la sua immensa gentilezza ancora una volta.

La mano che avevo tenuta tesa davanti a me mentre attraversavo i raggi del Sole entrò in contatto con qualcosa di duro e mi accorsi di stringere la struttura della sedia pieghevole di metallo. Fui felice di averla ritrovata, ma non sedetti per timore che potesse apparire poco rispettoso. La usai invece per avere maggiore stabilità, reggendomi allo schienale con entrambe le mani.

I raggi del Sole provenienti dal retro del fienile erano troppo forti per poterli guardare direttamente perciò, anche se poteva sembrare scortese, indirizzai di nuovo lo sguardo verso le forme fluttuanti alla mia destra, forse nella speranza di scorgere Rosa seduta in quella tavola calda desolata. Adesso però il disegno del Sole si era spostato sulla nicchia frontale, illuminandola temporaneamente, e mi accorsi che non conteneva un AA, bensí una grande foto ovale incollata al muro. La foto mostrava un prato verde in un giorno di Sole, punteggiato da pecore, e in primo piano riconobbi le quattro pecore speciali che avevo visto dall’auto della Madre, di ritorno dalle Morgan’s Falls. Sembravano ancora piú miti di come le ricordavo, cosí ben allineate, con la testa china a dividersi l’erba. Quelle creature mi avevano riempita di gioia allora, aiutandomi a cancellare il ricordo del toro tremendo, e mi fece piacere rivederle, anche soltanto nella fotografia ovale. Ma c’era qualcosa che non tornava: malgrado le quattro pecore stessero in fila proprio come le avevo viste dall’auto, adesso parevano stranamente sospese e non in piedi sulla superficie del prato. Di conseguenza, anche se allungavano il collo per mangiare, non raggiungevano l’erba, il che conferiva a quelle creature, tanto felici in passato, una vena di tristezza.

– Ti prego, non andartene ancora, – dissi. – Concedimi un altro istante, ti prego. So di non aver saputo rendere il servizio che ti avevo promesso in città, di non avere il diritto di chiederti altro. Ma ricordo anche la tua gioia il giorno in cui la Signora Tazza da Caffè e l’Uomo dell’Impermeabile si ritrovarono. Eri talmente felice da non poterlo nascondere. Quindi so quanto è importante per te che chi si ama possa tornare insieme, anche dopo molti anni. So che il Sole augura a quelle persone ogni bene, forse le aiuta perfino a trovarsi. Perciò, ti prego, considera il caso di Josie e Rick. Sono giovanissimi. Se Josie dovesse andarsene ora, sarebbero separati per sempre. Ma se solo tu potessi offrirle il tuo nutrimento speciale, come ti ho visto fare per Mendicante e il suo cane, allora Josie e Rick potrebbero andare insieme verso la loro vita adulta come si auguravano nel loro disegno gentile. Posso garantire io stessa che il loro amore è forte e duraturo proprio come quello tra la Signora Tazza da Caffè e l’Uomo dell’Impermeabile.

A quel punto, a qualche passo dalla nicchia, notai un piccolo oggetto triangolare abbandonato sul pavimento. Per un attimo pensai che fosse una di quelle fette di torta a punta che il Direttore del Locale teneva esposte nel suo bancone trasparente. E mi tornò in mente la voce poco gentile di Mr Vance che diceva: «Se non vuoi favoritismi, allora che ci faccio qui seduto davanti a te?», e Miss Helen che si affrettava a dire: «È vero che gli stiamo chiedendo un favoritismo. Certo che è cosí». Soltanto allora mi accorsi che il triangolo per terra non era un pezzo di torta, bensí un angolo del tascabile di Josie, quello che aveva lasciato cadere dal divano nell’Appartamento dell’Amica mentre aspettava il Padre. E che anzi, non era triangolare, ma era sembrato cosí perché ne sporgeva dall’ombra soltanto un angolo. Alla sinistra della nicchia frontale, i riquadri fluttuavano sovrapponendosi come spostati dal vento della sera. In parecchi vidi lampi di colori accesi, e notai che contenevano, anche se solo sullo sfondo, l’espositore di bottiglie che avevo intravisto nella nuova vetrina del negozio. Le bottiglie erano illuminate a colori contrastanti, e in alcuni riquadri individuai anche parti del cartello che diceva «Illuminazione da Incasso». Seppi allora che non mi restava piú molto tempo, perciò mi affrettai a proseguire.

– Lo so che i favoritismi non sono una bella cosa. Ma se il Sole farà un’eccezione, di certo nessuno può meritarlo piú di due giovani che si ameranno per tutta la vita. Il Sole forse si chiederà: «Come possiamo esserne sicuri? Che ne sanno due bambini del vero amore?» Ma io li ho osservati con attenzione, e sono certa che il loro amore è autentico. Sono cresciuti insieme, e sono diventati parte l’uno dell’altra. Me l’ha detto Rick stesso soltanto oggi. So di aver fallito in città, ma ti prego mostra la tua gentilezza ancora una volta e concedi a Josie il tuo aiuto speciale. Domani, o dopodomani, ti prego, valla a trovare e concedile lo stesso nutrimento che offristi a Mendicante. Te lo chiedo, anche se è un favoritismo, e anche se ho fallito nella mia missione.

I raggi serali del Sole cominciavano a indebolirsi, lasciando dietro di sé nel fienile il primo buio. Malgrado avessi cercato di restare rivolta verso l’ingresso posteriore dal quale entrava la luce, avevo da un po’ notato una fonte di luce diversa che mi arrivava dalla spalla destra. In principio avevo immaginato che fosse un altro effetto dell’espositore di bottiglie colorate, ma con il progressivo ridursi dentro il fienile della luce del Sole, quest’altra fonte di luce si era fatta piú difficile da ignorare. Mi girai finalmente a guardarla e mi accorsi con sorpresa che, invece di andarsene, il Sole era entrato direttamente nel fienile di Mr McBain e aveva trovato posto, quasi al livello del suolo, tra la nicchia frontale e l’ingresso del fienile. La scoperta giunse talmente inattesa – e la presenza del Sole nell’angolo basso era cosí abbagliante – che per un attimo rischiai di perdere l’orientamento. Poi la vista tornò ad adattarsi e, riordinando la mente, capii che non era il Sole dentro il fienile, ma che un oggetto rifrangente era rimasto dentro per caso e ne aveva raccolto il riflesso negli ultimi istanti della sua discesa. In altre parole, qualcosa si stava comportando come uno specchio del Sole in modo molto simile a quello che a volte facevano le finestre dell’RPO e di altri edifici. Mentre mi dirigevo verso la superficie riflettente, la luce si fece meno violenta pur continuando a brillare arancione tra le ombre circostanti.

Fu solo quando gli fui accanto che la natura dell’oggetto riflettente mi divenne chiara. Mr McBain – o uno dei suoi amici – aveva lasciato appoggiate al muro in quel punto diverse lastre rettangolari di vetro, accatastate una sull’altra. Forse Mr McBain aveva finalmente deciso di fare qualcosa a proposito dei muri mancanti, e forse sperava di costruire delle finestre. In ogni caso, nei rettangoli di vetro – che stimai in numero di sette, appoggiati pressoché verticalmente – vedevo riflessa la faccia del Sole. Mi avvicinai un po’ di piú, e dissi quasi ad alta voce:

– Ti prego, mostra a Josie la tua speciale gentilezza.

Fissavo le lastre di vetro. Il riflesso del Sole, seppure ancora di un arancione intenso, non era piú accecante e, potendo studiare a fondo la faccia del Sole incorniciata dentro il rettangolo esterno, cominciai a capire che non stavo guardando una singola figura; che di fatto esisteva una versione diversa della faccia del Sole su ogni superficie di vetro e che quelle che avevo in un primo momento scambiato per una sola immagine compatta erano in realtà sette figure sovrapposte che il mio sguardo penetrava dalla prima all’ultima lastra. Malgrado la faccia riflessa sul vetro piú esterno fosse minacciosa e scostante e quella subito dietro, se possibile, ancora piú ostile, le due successive erano piú dolci e gentili. Restavano ancora tre lastre e, pur essendo difficile vedere granché per via della loro ulteriore lontananza, non potei fare a meno di stimare che quelle facce avrebbero avuto espressioni scherzose e gentili. Ad ogni modo, di qualunque natura fossero le immagini su ciascuna singola lastra, guardandole tutte insieme, l’effetto era quello di un’unica faccia dotata, però, di diversi contorni e diverse emozioni.

Continuai a fissarla intensamente, poi le facce del Sole svanirono a poco a poco tutte insieme, e la luce dentro il fienile di Mr McBain si fece fioca e non potei piú vedere nemmeno il triangolo del tascabile di Josie, né le pecore che allungavano il muso verso quell’erba non raggiungibile. Dissi: – Grazie di avermi ricevuta ancora una volta. Mi dispiace tanto di non essere riuscita a rendere il servizio che ti avevo promesso. Ti prego, accogli la mia richiesta –. Ma già nella mente pronunciavo quelle parole sottovoce, perché sapevo che il Sole se n’era andato.

Nei giorni successivi, il dottor Ryan e la Madre litigarono spesso nell’Open Space sull’opportunità o meno di trasferire Josie all’ospedale e, malgrado le loro voci entrassero in conflitto – le sentivo attraverso le porte scorrevoli –, alla fine sembravano sempre concordi nel decretare che un posto simile avrebbe contribuito ad aumentare la sofferenza di Josie. Ma a dispetto di questa intesa, ogni volta che arrivava il dottor Ryan si ritiravano nell’Open Space e ripetevano la discussione da capo.

Rick veniva tutti i giorni e faceva il suo turno di assistenza nella camera di Josie, mentre la Madre e Domestica Melania riposavano. Entrambe le adulte avevano ormai rinunciato agli orari consueti e dormivano solo quando erano travolte dalla stanchezza. La mia presenza, sebbene apprezzata, era per qualche ragione ritenuta insufficiente di per sé, malgrado la Madre sapesse che con ogni probabilità avrei rilevato segnali di pericolo prima di chiunque altro. In ogni caso, con il passare dei giorni, la stanchezza della Madre e di Domestica Melania divenne tale da apparire evidente in ogni loro gesto.

Poi, sei giorni dopo la mia seconda visita al fienile di Mr McBain, il cielo si fece insolitamente cupo dopo colazione. Dico «dopo colazione» anche se ormai le abitudini della casa erano state talmente sconvolte che né la colazione né qualunque altro pasto si svolgevano secondo l’orario normale. Quella mattina in particolare il senso di disorientamento era peggiorato dall’oscurità del cielo, e l’arrivo di Rick fu una delle poche cose capaci di ricordarci che non era piú notte.

Nel corso del mattino il cielo si fece ancora piú buio, le nubi piú fitte, e infine si alzò un vento fortissimo. Una sezione sconnessa dell’edificio si mise a sbattere sul retro della casa e, quando guardai dalla finestra della camera da letto, gli alberi in cima alla strada ondeggiavano piegati dal vento.

Ma Josie dormiva, inconsapevole, ansimando a respiri corti e affannosi. A metà di quel mattino buio, mentre Rick e io sorvegliavamo Josie insieme, comparve Domestica Melania, con gli occhi semichiusi dalla stanchezza, e disse che era arrivato il suo turno e ci avrebbe sostituiti. Osservai Rick scendere le scale davanti a me con le spalle cariche di tristezza, e sedersi sull’ultimo gradino. Decisi che era meglio dargli la sua privacy per qualche minuto, perciò lo superai e andai nell’ingresso, e in quel momento la Madre uscí dall’Open Space. Era in vestaglia nera sottile, la stessa che aveva tenuto addosso per tutta la notte e che sottolineava la fragilità del suo collo, e passò decisa come se avesse urgente bisogno del suo caffè. Sulla porta della cucina tuttavia si voltò e, notando Rick seduto sul gradino in fondo alla scala, si mise a fissarlo. Rick impiegò un po’ di tempo ad accorgersi che la Madre lo stava guardando, ma quando se ne rese conto le sorrise eroicamente.

– Mrs Arthur, come va?

La Madre continuò a fissarlo. Poi disse: – Vieni, entra, – e scomparve in cucina. Rick mi rivolse uno sguardo stupito mentre si alzava. Malgrado la Madre non avesse invitato anche me, pensai fosse meglio seguirlo.

La cucina sembrava diversa per via del cielo buio di fuori. La Madre non aveva acceso nessuna luce e, quando entrammo, la trovammo davanti alle ampie finestre intenta a guardare la strada che normalmente la portava al lavoro. Rick si fermò esitante nei pressi dell’Isola, e io non andai oltre il frigorifero per dare privacy. Da quella postazione vedevo le ampie finestre e, al di là della figura della Madre, la statale che saliva in lontananza, e gli alberi ondeggianti.

– Volevo chiederti una cosa, – disse la Madre. – Non ti dispiace, vero, Rick?

– Prego, Mrs Arthur, mi dica.

– Mi chiedevo se a questo punto non ti senta un po’ un vincente. Quello che ha vinto, insomma.

– Non capisco, Mrs Arthur.

– Io ti ho sempre trattato bene, no, Rick? Spero di sí.

– Certo che sí. Lei è sempre stata molto buona. E un’amica preziosa per mia madre.

– E adesso ti sto facendo una domanda. Ti chiedo, Rick, se ti senti come se ne fossi uscito vincitore. Josie ha corso il rischio, ha scommesso. D’accordo, ho lanciato io i dadi al suo posto, ma alla fine era lei a vincere o perdere. Ha puntato alto e, se il dottor Ryan ha ragione, presto potrebbe perdere tutto. Tu invece, Rick, hai giocato sul sicuro. Ed è per questo che te lo chiedo. Come ti fa sentire, in questo momento? Ti senti davvero un vincente?

La Madre aveva detto tutto questo fissando il cielo buio, ma ora si voltò verso Rick.

– Perché se ti senti un vincente, Rick, vorrei che tu riflettessi su quello che sto per dirti. Primo. Che cosa penseresti di aver vinto? Te lo chiedo perché, in Josie, ogni cosa dal momento in cui l’ho avuta in braccio la prima volta, tutto in lei mi diceva che aveva fame di vivere. Il mondo intero la entusiasmava. Ed è per questo che ho sempre saputo, fin dal principio, che non avrei potuto negarle l’opportunità. Josie esigeva un futuro all’altezza della sua energia. Ecco che cosa intendo quando dico che puntava alto. E adesso veniamo a te, Rick. Credi davvero di essere stato tanto intelligente? Credi che di voi due, a uscire vincente sia stato tu? Perché se è cosí, allora fatti questa domanda. Che cosa avresti vinto? Guarda qui. Da’ un’occhiata al tuo futuro –. Gesticolò verso la finestra. – Hai puntato basso e la tua vincita è modesta e meschina. Magari al momento sei soddisfatto. Ma io te lo devo dire: non hai proprio motivo di esserlo. Non un motivo al mondo.

Mentre la Madre parlava, si era acceso qualcosa sulla faccia di Rick, qualcosa di pericoloso che presto gli conferí piú o meno la stessa espressione che aveva all’incontro di interazione, quando aveva sfidato i ragazzi che volevano lanciarmi da un capo all’altro della stanza. Ora fece un passo verso la Madre e all’improvviso anche lei parve sentirsi in allarme.

– Mrs Arthur, – disse Rick. – Le ultime volte che sono venuto qui Josie era perlopiú in condizioni da non riuscire nemmeno a parlare. Ma giovedí scorso ha avuto una buona giornata e io stavo seduto molto vicino al letto per non perdermi neanche una sillaba. E quel che ha detto era che voleva consegnarmi un messaggio. Un messaggio per lei, Mrs Arthur, ma non era pronta per farglielo avere subito. Insomma, mi ha chiesto di custodire il messaggio per lei fino al momento giusto. Beh, penso che potrebbe essere questo, il momento giusto.

Gli occhi della Madre erano enormi e pieni di paura, ma non disse nulla.

– Il messaggio di Josie – proseguí Rick – diceva piú o meno cosí. Che qualunque cosa succeda, comunque vada a finire, lei le vuole bene e gliene vorrà per sempre. Che ringrazia il cielo che lei sia sua madre e che mai, neppure per un momento, ne ha desiderata un’altra. Ecco che cosa ha detto. E non solo. A proposito della questione di essere potenziata. Vuole farle sapere che non avrebbe voluto che andasse diversamente. Se avesse la possibilità, e questa volta la decisione spettasse soltanto a lei, dice che farebbe esattamente la stessa cosa e dice che lei sarà sempre la madre migliore del mondo. Grossomodo questo. Come ho già detto, non voleva che lo riferissi, fino al momento giusto. Quindi, spero di aver fatto bene, Mrs Arthur, a dirglielo adesso.

La Madre fissava Rick imbambolata, ma mentre lui parlava avevo notato qualcosa – una cosa forse molto importante – dalle ampie finestre dietro di lei e adesso, approfittando del silenzio di Rick, alzai la mano. La Madre mi ignorò continuando a fissare Rick.

– Che messaggio, – disse alla fine.

– Scusate, – dissi.

– Gesú, – disse la Madre, sospirando piano. – Che messaggio.

– Scusate! – Questa volta avevo quasi gridato, e sia la Madre che Rick si girarono verso di me. – Mi dispiace interrompere. Ma fuori sta succedendo una cosa. Sta uscendo il Sole!

La Madre guardò le ampie finestre, poi di nuovo me. – Certo. E allora? Che ti prende, tesoro?

– Dobbiamo andare di sopra. Dobbiamo andare subito da Josie!

La Madre e Rick mi osservavano con un’espressione perplessa, ma a queste parole sembrarono spaventarsi al punto che, mentre io ancora andavo verso l’ingresso, già mi superavano di corsa costringendomi a seguirli su per le scale dietro di loro.

Forse non avevano capito per quale ragione avessi gridato in quel modo, e forse pensarono che Josie fosse improvvisamente in pericolo. Perciò, quando irruppero nella camera dovettero provare sollievo nel trovarla addormentata come prima, nel sentire che respirava. Era coricata su un fianco come al solito, e aveva la faccia quasi del tutto nascosta dai capelli. Non c’era nulla di inconsueto in Josie, ma la stanza era completamente diversa. I disegni del Sole coprivano varie sezioni di muro, pavimento e soffitto con straordinaria intensità – un triangolo arancione carico sopra la cassettiera, una linea curva e splendente che attraversava il Divano dei Bottoni, sbarre luminose su tutta la moquette. Josie in compenso era a letto, e nell’ombra, come molte altre parti della stanza. Poi le ombre presero a muoversi e – man mano che la mia vista si adattava – mi resi conto che erano opera di Domestica Melania, la quale, davanti alla finestra, armeggiava con l’avvolgibile e le tende. L’avvolgibile era già mezzo abbassato e anche le tende tirate, a creare un doppio strato protettivo, eppure la luce era tanto penetrante che in qualche modo fuoriusciva dai margini e creava le forme in giro per la stanza.

– Maledetto Sole! – esclamò Domestica Melania. – Vattene via, maledetto Sole!

– No, no! – Mi precipitai verso Domestica Melania. – Dobbiamo aprire le tende, aprire tutto! Dobbiamo lasciare che il Sole faccia del suo meglio!

Cercai di prenderle di mano la stoffa delle tende e, malgrado all’inizio non volesse lasciar andare, alla fine mollò, stupefatta. Rick intanto era comparso al mio fianco e, come se l’intuito l’avesse condotto a una certa conclusione, mi aiutò a sollevare l’avvolgibile e a tirare le tende.

A quel punto il nutrimento del Sole entrò nella camera in tale abbondanza che Rick e io barcollammo all’indietro rischiando di perdere l’equilibrio. Domestica Melania, coprendosi la faccia con le mani, ripeté: – Maledetto Sole! – Ma non fece piú alcun tentativo di bloccare il nutrimento.

Io mi ero allontanata dalla finestra ma avevo avuto il tempo di notare che il vento era ancora fortissimo, e che non soltanto gli alberi continuavano a ondeggiare ma che nel cielo sfrecciavano minuscoli fumaioli a imbuto e piramidi – ciascuno dei quali sembrava tracciato con una matita a punta. Il Sole comunque aveva squarciato le nuvole scure e, tutt’a un tratto – come se ciascuno dei presenti nella stanza avesse ricevuto un messaggio segreto –, ci voltammo a guardare Josie.

Il Sole illuminava lei, l’intero letto, in un feroce semicerchio arancione, e la Madre, che era la piú vicina, dovette portarsi le mani alla faccia. Adesso sembrava che Rick avesse in qualche modo indovinato che cosa stava succedendo, ma a incuriosirmi fu come anche la Madre e Domestica Melania dessero l’impressione di aver afferrato l’essenziale. Cosí, per alcuni minuti, ci paralizzammo tutti dove eravamo mentre il Sole si concentrava ancora piú radiosamente su Josie. Noi osservammo in attesa, e anche quando il semicerchio arancione sembrò sul punto di prendere fuoco, nessuno intervenne. Poi Josie si mosse e, strizzando gli occhi, levò in alto una mano.

– Ehi. Che cos’è questa luce, eh? – disse.

Il Sole continuò a brillare instancabile su di lei, e Josie strisciò in su fino ad appoggiare la schiena ai cuscini e alla testiera.

– Che succede?

– Come ti senti, tesoro? – sussurrò la Madre, fissando Josie come se avesse paura.

Josie si lasciò ricadere sui cuscini fino a guardare quasi il soffitto. Ma c’era evidentemente un’energia nuova nel modo in cui aveva condotto la manovra.

– Ehi, – disse. – Che fine hanno fatto le tende?

Il pezzo di casa sconnesso continuava a sbattere da qualche parte e, quando tornai a guardare dalla finestra, il buio già tornava a dilagare nel cielo. Poi, sotto i nostri occhi, i disegni del Sole sbiadirono finché Josie non si ritrovò nel grigio di un mattino nuvoloso.

– Josie? – disse la Madre. – Come ti senti?

Josie le rivolse uno sguardo stanco mentre si spostava per vederla meglio in faccia. Notando questo, la Madre si fece avanti forse con l’intenzione di convincerla a rimettersi giú. Ma mentre si avvicinava dovette cambiare idea, perché cominciò ad aiutare Josie a sedersi in una posizione piú comoda.

– Si direbbe che stai meglio, tesoro, – disse la Madre.

– Ehi, ma che cosa succede? – domandò Josie. – Come mai tutti qui? Che c’è da fissarmi in quel modo?

– Ehi, Josie, – sbottò Rick, con voce emozionatissima. – Da vedere sei un disastro.

– Grazie tante. Trovo bene anche te –. Poi aggiunse: – In compenso sai una cosa? Sto meglio. Mi gira un po’ la testa ma…

– Ora basta, – disse la Madre. – Devi stare tranquilla. Ti va di bere qualcosa?

– Un po’ d’acqua, magari?

– Ok. Non cominciamo a fare congetture, – disse la Madre. – Dobbiamo procedere un passo alla volta.

Parte sesta

Il nutrimento speciale del Sole si dimostrò tanto efficace per Josie quanto era stato per Mendicante, e dopo la mattina del cielo buio, non soltanto Josie si fece piú forte, ma anche adulta, da bambina che era.

Con il passare delle stagioni – e degli anni – i veicoli di Mr McBain tagliarono l’erba alta in tutti e tre i prati, lasciandoli di un colore marrone pallido. Il fienile adesso sembrava piú alto e dai contorni piú netti, ma Mr McBain continuò a non costruire i muri mancanti e, nelle sere di cielo sereno, quando il Sole calava verso il suo posto di riposo, riuscivo ancora a vederlo sprofondare al fondo del fienile prima che scomparisse dentro la terra.

Josie lavorò sodo alle sue lezioni e ci furono molti contrasti sul college che avrebbe potuto frequentare. Josie e la Madre avevano entrambe opinioni forti al riguardo, ma l’Atlas Brookings – dove ora Rick non desiderava piú andare – fu nominato assai raramente. Il Padre sembrava in disaccordo tanto con le idee di Josie quanto con quelle della Madre, e una volta si presentò alla casa per chiarire piú energicamente la sua posizione. Fu l’unica volta che lo vidi lí, e malgrado io fossi personalmente contenta di incontrarlo di nuovo, capivamo tutti che aveva infranto una regola, con quella mossa.

Josie stessa si allontanava dalla casa molto di piú in quel periodo, a volte per parecchi giorni di seguito, per andare a trovare altri giovani adulti o partecipare a qualche ritiro. Sapevo che quei viaggi erano una parte importante dei preparativi per il college, ma lei preferiva non parlarmene molto, perciò rimasero perlopiú al di fuori della mia conoscenza.

Rick aveva continuato a venire regolarmente subito dopo la guarigione di Josie ma, col passare del tempo, e di sicuro da quando Mr McBain aveva tagliato l’erba, le sue visite diventarono molto meno frequenti. La cosa era in parte dovuta al fatto che Josie era via tanto spesso, ma anche Rick era molto occupato con i suoi progetti. Si era comprato una macchina, che aveva deciso di chiamare «il Rottame», e la usava per andare regolarmente in città a incontrare i suoi nuovi amici. Rick preferiva lasciare il Rottame nella zona delle pietre sconnesse perché, secondo lui, gli era piú comodo partire da lí che affrontare il tragitto stretto e tortuoso da casa sua. Perciò era piú che altro la presenza del Rottame, anziché di Josie, a portare Rick da noi, e fu proprio sulle pietre sconnesse che ebbi la mia ultima conversazione con lui.

Sia Josie sia la Madre erano via quella mattina, cosí, quando sentii i suoi passi fuori, non vidi ragione per non uscire a salutarlo. Non aveva la solita fretta di andare, perciò parlammo per parecchi minuti, avvolti da una brezza leggera – Rick appoggiato al fianco del suo Rottame e io in piedi poco lontano. Il cielo era coperto quel mattino, e forse fu proprio per questo che a Rick tornò in mente quel giorno.

– Ti ricordi, Klara, – mi chiese, – la mattina in cui il tempo impazzí, e il Sole entrò dritto in camera di Josie?

– Naturalmente. Non dimenticherò mai quel mattino.

– Ci penso spesso ora. Sembra quasi che sia stato quello il momento in cui Josie ha cominciato a stare meglio. Magari sono completamente fuori strada. Ma se ci ripenso, mi sembra quasi cosí.

– Sí. Sono d’accordo.

– Ti ricordi quel giorno? Eravamo tutti talmente esausti. E disperati. Poi invece tutto si è ribaltato. Avrei sempre voluto chiedertelo, ma sembravi inaccessibile al riguardo. Avrei sempre voluto chiederti se quanto è successo quella mattina, il clima strano, e tutto il resto, c’entrasse qualcosa con quell’altra faccenda. Sai, no? Quando ti avevo portato a cavalcioni nei prati e tu avevi stretto il tuo patto segreto. Al tempo, mi era sembrato, sí, insomma, una superstizione da AA. Soltanto una pratica che doveva portarci fortuna. Ma ultimamente non faccio che chiedermi se non ci fosse dell’altro.

Mi osservava intensamente, ma io non dissi nulla per un bel po’.

– Purtroppo, – dissi alla fine, – non oso parlare di questo argomento nemmeno oggi. Si è trattato di un favore talmente speciale che, se ne parlo a qualcuno, anche soltanto a Rick, ho paura che l’aiuto offerto a Josie possa essere ritirato.

– In tal caso, fermati. Non dire niente. Non voglio favorire la minima possibilità che si riammali. Comunque, i dottori ripetono sempre che una volta superata la fase che lei ha attraversato, ci si può dire al sicuro.

– Sempre meglio essere prudenti, comunque, perché quello di Josie è stato un caso talmente speciale. Ma visto che Rick è tornato sull’argomento, forse potrei accennare a una cosa in proposito che mi preoccupa da un po’.

– Di che si tratta, Klara?

– Rick e Josie continuano a essere gentili l’uno con l’altra. Eppure, adesso preparano futuri talmente diversi.

Si girò verso la salita, giocherellando con lo specchietto laterale del Rottame. – Credo di capire, – disse. – Ricordo quel giorno, la seconda volta che andammo al fienile. Ricordo che, prima di avviarci, eri diventata serissima e avevi chiesto se il nostro fosse un amore vero. L’amore tra me e Josie. E io credo di averti detto che lo era. Un amore autentico e duraturo. Credo sia questo che adesso ti preoccupa.

– Rick ha ragione. Mi mette in ansia vedere Rick e Josie fare progetti tanto distanti.

Rick spostava dolcemente le pietre sconnesse col piede. Poi disse: – Ascolta. Non voglio sia detto niente che possa mettere di nuovo a repentaglio la salute di Josie. Ma una cosa almeno ci tengo a dirla. Quando hai riferito che Josie e io ci amavamo davvero, beh, era la verità, al tempo. Non si potrebbe accusarti di aver voluto fuorviare o ingannare qualcuno. Ma adesso che non siamo piú bambini, dobbiamo augurarci il meglio a vicenda e andarcene ciascuno per la sua strada. Non avrebbe mai funzionato per me: andare al college, cercare di competere con tutti quei ragazzi potenziati. Ho i miei progetti, ora, ed è cosí che dev’essere. Ma non era una bugia, Klara. E continua a non esserlo, in un certo senso.

– Non capisco che cosa Rick voglia dire.

– Probabilmente che Josie e io saremo insieme per sempre a un certo livello, un livello piú profondo, anche se ora siamo lontani e non ci vediamo piú. Non posso parlare per lei. Ma, quanto a me, so che quando sarò là fuori, continuerò a cercare qualcuno come lei. O perlomeno come la Josie che conoscevo una volta. Perciò, Klara, non è mai stato un imbroglio. Con chiunque tu abbia stretto il tuo accordo allora, se potesse vedermi dritto nel cuore, o dritto in quello di Josie, saprebbe che non hai mai voluto ingannarlo.

Dopo quel discorso restammo sulle pietre sconnesse senza parlare per un po’. Pensavo che da un momento all’altro si sarebbe tirato su per montare sul Rottame. Invece chiese, in tono piú lieve:

– La senti mai Melania? Si dice che sia in Indiana.

– Crediamo che sia in California adesso. L’ultima volta che l’abbiamo sentita, sperava di essere accolta in una comunità da quelle parti.

– Mi faceva cosí paura quella signora. Poi però ci avevo fatto l’abitudine. Spero che stia bene. E che trovi un posto sicuro. E di te che mi dici, Klara? Te la caverai? Voglio dire, quando Josie partirà per il college.

– La Madre è sempre molto gentile con me.

– Ascolta, se ti serve il mio aiuto, non hai che da dirlo, ok?

– Sí. Grazie.

Seduta qui sulla terra dura, ho ripensato alle parole di Rick quel mattino e sono sicura che abbia ragione. Non ho piú paura che il Sole si senta imbrogliato o indotto in errore, o che consideri l’ipotesi di un castigo. Anzi, è perfino possibile che già mentre gli rivolgevo il mio appello, sapesse che Rick e Josie erano destinati ad andare ciascuno per la sua strada, e ciononostante capisse che il loro amore sarebbe durato comunque. Quando aveva posto la sua domanda – se i bambini capiscono veramente che cosa significhi amare – io credo che fosse già certo della risposta e che lo chiedesse soltanto a mio beneficio. Credo addirittura che in quel momento pensasse forse alla Signora Tazza da Caffè e all’Uomo dell’Impermeabile; dopotutto avevamo parlato di loro l’attimo prima. Forse il Sole pensava che dopo tanti anni, e tanti cambiamenti, Josie e Rick potessero incontrarsi di nuovo come era successo alla Signora Tazza da Caffè e all’Uomo dell’Impermeabile.

Con l’avvicinarsi dei giorni di Josie al college ci furono frequenti visite alla casa da parte di altri giovani adulti. Erano sempre femmine e perlopiú si presentavano una alla volta, anche se ogni tanto arrivavano in coppia. Potevano venire accompagnate da un autista o alla guida della loro auto, ma non succedeva piú che fossero insieme ai genitori. La lunghezza media della visita andava dalle due alle tre notti e io sapevo quando stava per verificarsi, perché, un paio di giorni prima, la Domestica Nuova spostava un futon o una branda da campeggio nella stanza di Josie.

Fu per via delle giovani visitatrici che scoprii il Ripostiglio. Naturalmente durante le visite non c’era abbastanza spazio perché potessi rimanere anch’io in camera da letto e, in ogni caso, mi rendevo conto che la mia presenza non era piú opportuna come una volta. Se Domestica Melania fosse stata ancora con noi, credo che avrebbe programmato lei dove mettermi, ma, ora come ora, mi trovai da sola la stanza, in cima alle scale. «Nessuno dice che tu debba nasconderti», aveva detto Josie, ma non si era fatta venire in mente nessun’altra soluzione, ed ecco quindi come fu che occupai il posto nel Ripostiglio.

Erano settimane frenetiche e, anche quando Josie non aveva visite, la sentivo affrettarsi in giro per la casa, strillando con la Madre e la Domestica Nuova. Poi, un pomeriggio, la porta del Ripostiglio si aprí e Josie guardò dentro con un sorriso.

– Ah, – disse, – ecco dove sei andata a cacciarti. Come vanno le cose?

– Tutto bene, grazie.

Josie distese le braccia appoggiando una mano su ciascuno stipite verticale. Guardava dentro la stanza piegata in avanti, come se temesse di battere accidentalmente la testa contro il soffitto spiovente. Il suo sguardo passò rapido in rassegna i vari oggetti immagazzinati per poi fermarsi sull’unica piccola finestra in alto.

– Ti capita mai di guardare fuori da lí? – chiese.

– Purtroppo è un po’ alta. La sua funzione è fornire ricambio d’aria, non un panorama.

– Beh, lo vedremo.

Josie avanzò nella stanza, sempre a capo chino, vagando ovunque con lo sguardo. Poi cominciò a lavorare: sollevava un oggetto, ne scostava un altro, creava nuove cataste dove prima non ce n’erano. Una volta, non essendo riuscita ad anticipare i suoi movimenti fulminei, per poco non ci scontrammo, e lei scoppiò a ridere.

– Klara! Sta’ ferma. Ferma lí. Sto cercando di fare una cosa.

In pochi minuti aveva sgomberato uno spazio esattamente sotto la piccola finestra in alto, e l’aveva occupato con un baule di legno. Subito dopo prese un contenitore di plastica con il coperchio a chiusura ermetica e lo depose con attenzione sopra il baule.

– Ecco qua –. Indietreggiò di un passo, contenta di quel che aveva fatto, malgrado il resto della stanza adesso fosse molto disordinato. – Provalo, Klara. Però sta’ attenta. Il secondo gradino è un po’ alto. Coraggio, voglio che lo provi.

Uscii dall’angolo e senza difficoltà guadagnai i due gradini che aveva creato, fino a trovarmi in piedi sopra il coperchio del contenitore di plastica.

– Niente paura, questi cosi sono robustissimi, – disse. – Trattalo come se fosse un pavimento. Fidati, è sicuro.

Rise di nuovo e continuò a osservarmi, perciò sorrisi e infine guardai fuori dalla piccola finestra in alto. La vista era simile a quella dalla finestra sul retro della stanza di Josie, due piani piú sotto. Naturalmente era cambiata la traiettoria e una parte del tetto adesso invadeva il lato destro dell’immagine. Comunque vedevo il cielo grigio stendersi sopra i prati tagliati fino al fienile di Mr McBain.

– Avresti dovuto dirmelo prima, – disse Josie. – So quanto ti piace guardare fuori.

– Grazie. Grazie infinite.

Per un attimo ci guardammo scambiandoci sorrisi buoni. Poi Josie considerò i vari oggetti sparsi sul pavimento.

– Ragazzi, che disastro! Ok, ti assicuro che rimetterò tutto a posto, ma adesso devo andare a occuparmi di una cosa. Non cercare di riordinare tu, intesi? Lo faccio io dopo.

La Madre, come Josie, aveva meno a che fare con me in quel periodo e a volte non mi rivolgeva uno sguardo nemmeno se mi incontrava in giro per la casa. Mi rendevo conto che era un momento molto impegnativo per lei e che forse la mia presenza le riportava alla mente ricordi difficili. Ma ci fu una volta in cui mi riservò un’attenzione particolare.

Quel giorno Josie non c’era ma, essendo il weekend, la Madre era in casa. Me n’ero stata di sopra nel Ripostiglio per gran parte della mattinata, ma al sentire le voci di sotto, ero uscita sul pianerottolo in cima alle scale. E presto mi resi conto che l’uomo che parlava con la Madre giú nell’ingresso era Mr Capaldi.

Ne fui sorpresa perché nessuno aveva piú nominato Mr Capaldi da molto tempo. Lui e la Madre conversavano in tono cordiale, ma, a poco a poco, sentii la voce della Madre farsi piú tesa. Poi risuonarono i suoi passi e la vidi guardare in su verso di me da tre piani sotto.

– Klara, – chiamò. – C’è qui Mr Capaldi. Te lo ricordi senz’altro. Scendi a salutare.

E mentre scendevo con cautela sentii la Madre dire: – Questo non era il nostro accordo, Henry. Non è quello che hai detto.

E Mr Capaldi disse: – Voglio soltanto proporglielo. Tutto qui.

Mr Capaldi era piú grosso dell’ultima volta che l’avevo visto quel giorno nel suo edificio e i capelli intorno alle orecchie gli erano diventati di un grigio piú chiaro. Mi salutò calorosamente, poi si diresse verso l’Open Space, dicendo: – Volevo parlarti di alcune cose, Klara. Potresti esserci di grande aiuto.

La Madre non disse nulla e si limitò a seguirci. Mr Capaldi sedette sul divano componibile, abbandonandosi sui cuscini in una posizione rilassata che mi ricordò il ragazzo Danny all’incontro di interazione, seduto sullo stesso divano, con una gamba lunga distesa. In contrasto con l’atteggiamento di Mr Capaldi, la Madre restava impettita al centro della stanza e, quando Mr Capaldi mi invitò a sedermi, lei disse:

– Credo che Klara stia piú comoda in piedi. Vediamo di procedere, Henry.

– Eddai, Chrissie. Non c’è motivo di essere tesi.

Ma abbandonò la posizione rilassata, sporgendosi verso di me.

– Ricorderai, Klara, quanto io sia sempre stato affascinato dagli AA. Vi ho sempre considerati nostri amici. Fonte essenziale di saperi e alzate d’ingegno. Ma come sai, c’è gente che di voi ha paura. Gente spaventata e astiosa.

– Henry, – disse la Madre. – Arriva al punto, per favore.

– D’accordo. Allora, Klara, il fatto è che al momento l’ansia riguardo agli AA sta dilagando. La gente sostiene che siete diventati troppo intelligenti. Le persone si spaventano perché non riescono a seguire quello che vi succede dentro. Vedono quello che fate. Riconoscono che le vostre decisioni e i vostri suggerimenti sono sensati e affidabili, quasi sempre corretti. Ma non sono contente di non sapere come ci arrivate. Da questo nasce la loro reazione, il pregiudizio. E noi dobbiamo combatterlo. Dobbiamo dir loro, d’accordo, siete preoccupati perché non capite come pensa un AA. Perfetto, allora diamo un’occhiata al motore. Decodifichiamo. Non vi piacciono le scatole nere sigillate? Benissimo, apriamole, allora. Quando ci avremo guardato dentro, non soltanto le cose faranno meno paura, ma impareremo. Impareremo meraviglie nuove. Ed è a questo punto che entri in scena tu, Klara. Quelli di noi che stanno dalla vostra parte, hanno bisogno di aiuto, di volontari. Siamo già riusciti ad aprire un certo numero di scatole nere, ma è necessario aprirne molte altre ancora. Voi AA, siete magnifici. Stiamo scoprendo cose che non avremmo mai creduto possibili. Per questo mi trovo qui oggi. Non ti ho mai dimenticata, Klara. So che il tuo aiuto per noi sarebbe ineguagliabile. Vuoi aiutarci, per favore?

Mi fissava, perciò risposi: – Sarei lieta di rendermi utile, se questo non crea disagio a Josie o a sua madre…

– Aspetta un attimo –. La Madre fece rapidamente il giro del tavolino e venne a piazzarsi vicino a me. – Non è di questo che abbiamo parlato al telefono, Henry.

– Volevo solo chiedere a Klara, tutto qui. È la sua occasione di fornire un contributo duraturo…

– Klara merita di meglio.

– Forse hai ragione, Chrissie. Può darsi che io abbia preso un abbaglio. Però adesso che sono qui, e Klara è di fronte a me, mi dai il permesso di domandarglielo?

– No, Henry, non te lo do. Klara merita di meglio. Merita il suo declino lento.

– Ma c’è del lavoro da fare. Dobbiamo opporre resistenza alle reazioni violente.

– E allora va’ a opporre resistenza altrove. Trovati altre scatole nere da forzare. Lascia in pace la nostra Klara. Lascia che abbia il suo declino.

La Madre mi si era messa davanti come a farmi scudo da Mr Capaldi e poiché nella rabbia si era mossa rapidamente, la parte posteriore della sua spalla mi sfiorava la faccia. Di conseguenza non solo sentii molto chiaramente la morbidezza del tessuto della sua maglia scura, ma ricordai il momento in cui, sporgendosi verso di me, mi aveva abbracciata, sul sedile anteriore dell’auto, quando avevamo parcheggiato accanto al fast food Qui Macinato Fresco. Sbirciando al di là della Madre, vidi Mr Capaldi scuotere il capo e tornare ad abbandonarsi sui cuscini.

– Mi sembra evidente – disse – che ce l’hai ancora con me, Chrissie. Che ce l’hai con me da moltissimo tempo. E non è giusto. Al tempo sei stata tu a venire a cercarmi. Te lo ricordi? Io ho solo fatto del mio meglio per aiutarti. Sono contento che la faccenda si sia risolta bene per Josie. Credimi. Ma questo non è un buon motivo per avercela tanto con me.

Gli ultimi giorni prima della partenza di Josie furono pieni di tensione e di fermento. Se Domestica Melania fosse stata ancora con noi, forse sarebbe stato tutto piú calmo. Ma la Domestica Nuova lasciava spesso i lavori non fatti fino all’ultimo momento, poi cercava di farne tanti insieme peggiorando cosí l’atmosfera di nervosismo. A me sembrava importante non essere d’impiccio, perciò rimanevo nel Ripostiglio per lunghi periodi, in piedi sulla pedana che Josie aveva costruito per me a guardare dalla piccola finestra in alto la distesa dei prati, e ad ascoltare i rumori in giro per la casa. Poi un pomeriggio, due giorni prima della partenza, sentii il passo di Josie sul pianerottolo in cima alle scale e la vidi comparire sulla soglia.

– Ehi, Klara. Perché non scendi un po’ in camera. Se non hai altro da fare, s’intende.

Cosí scesi con lei e mi ritrovai ancora una volta nella vecchia stanza. Erano cambiati molti dettagli. A parte il letto di Josie, adesso c’era una seconda branda perennemente a disposizione dei suoi visitatori, mentre il Divano dei Bottoni era stato eliminato del tutto. Molti altri dettagli minori erano a loro volta cambiati: per esempio, Josie era seduta su una nuova sedia da scrivania dotata di rotelle di modo che, se voleva, poteva spostarsi restando seduta. I disegni del Sole sulla parete invece erano esattamente come li ricordavo dai tanti pomeriggi passati lí insieme. Sedetti sul bordo del letto e chiacchierammo felici per un po’.

– Tutte le persone con cui parli dicono che non hanno paura del college, – disse Josie a un certo punto. – Ma non hai idea, Klara, di quanta paura abbia invece qualcuno di loro. Un po’ ce l’ho anch’io, non voglio fare finta che non sia cosí. Ma sai una cosa? Non ho intenzione di dargliela vinta, alla paura. Mi sono fatta una promessa solenne in questo senso. Ehi, te l’avevo mai detto? Siamo tutti tenuti a impegnarci formalmente su certi obiettivi. Due obiettivi per cinque categorie. Ho dovuto anche compilare un modulo, ma ho imbrogliato, perché ho escogitato i miei obiettivi segreti, niente a che vedere con quelli elencati nel modulo. Ragazzi, quanto poco sarebbero soddisfatti della mia lista vera! E neanche la mamma ne saprà mai niente! – Rise tutta allegra. – Perfino a te, Klara, non posso rivelare i miei obiettivi segreti. Ma se sarai ancora qui quando torno a Natale, ti farò sapere quanti ne ho raggiunti.

Quella fu una delle rare allusioni a una mia possibile partenza che Josie fece in quel periodo. Tornò ad accennarvi la mattina in cui andò via con la Madre.

Aveva sperato, lo so, che Rick venisse a salutarla. Ma quel giorno si seppe che era a miglia da lí, a incontrare i suoi nuovi amici e a parlare con loro dei suoi dispositivi di raccolta dati anti-tracciamento. Perciò eravamo presenti solo io e la Domestica Nuova sulle pietre sconnesse a osservare Josie e la Madre mentre sistemavano gli ultimi bagagli sull’auto della Madre.

Poi, quando la Madre fu pronta al volante, Josie tornò verso di me e il suo passo che non aveva mai perso la cautela di un tempo le faceva affondare rumorosamente i piedi tra i ciottoli. Era euforica, forte, e prima di avermi raggiunta levò in alto le braccia cercando di formare la piú grande lettera Y possibile. Poi mi strinse in un abbraccio che durò parecchi secondi. Era diventata piú alta di me, quindi dovette abbassarsi un poco, appoggiando il mento sulla mia spalla sinistra, e i suoi capelli lunghi e folti mi piovvero su una sezione di campo visivo. Quando si ritrasse, sorrideva, ma io vidi anche la sua tristezza. Fu allora che disse:

– So che potresti non essere piú qui, quando torno. Sei stata fantastica, Klara. Davvero fantastica.

– Grazie, – dissi. – Grazie per aver scelto me.

– Una scelta facilissima –. Poi mi diede un secondo abbraccio, piú breve questa volta, e si fece indietro di nuovo. – Ciao, Klara. Mi raccomando, eh.

– Ciao, Josie.

Salutò allegramente con un gesto della mano ancora una volta mentre saliva sull’auto: il gesto era rivolto piú a me che alla Domestica Nuova. Poi l’auto si avviò sulla strada, superò gli alberi pieni di vento e sparí oltre il colle, esattamente come Josie e io l’avevamo vista fare tante volte in passato.

Negli ultimi giorni, alcuni dei miei ricordi hanno cominciato a sovrapporsi in modi curiosi. Per esempio, il mattino del cielo buio in cui il Sole aveva salvato Josie, il viaggio alle Morgan’s Falls e la tavola calda illuminata che Mr Vance aveva scelto mi tornano in mente mescolati in un unico scenario. La Madre se ne sta in piedi dandomi la schiena e osservando la nebbia che sale dalle cascate. Io però non la guardo dalla panca di legno del tavolo da picnic, bensí dal mio posto alla tavola calda di Mr Vance. E malgrado Mr Vance non sia visibile, sento le sue parole poco gentili provenire dall’altro lato del corridoio. Frattanto, sopra la Madre e sopra la cascata, si addensano nuvole scure, le stesse nuvole scure del mattino in cui il Sole ha salvato Josie, mentre piccoli cilindri e piramidi corrono in volo nel vento.

So che non si tratta di disorientamento perché, se volessi, potrei sempre distinguere un ricordo dall’altro, e riportare ciascuno all’interno del contesto corretto. Inoltre, anche quando tali ricordi compositi invadono la mia mente, resto consapevole dei loro contorni frastagliati (tipo quelli che potrebbe creare un bambino impaziente che strappi il foglio con le dita anziché tagliarlo con le forbici) che separano, che so, la Madre alla cascata e il mio posto alla tavola calda. E se guardassi meglio le nuvole scure mi accorgerei che non sono di fatto in scala rispetto alla Madre o alla cascata. Ciononostante questi ricordi compositi mi hanno talvolta invaso la mente in modo cosí vivido da farmi scordare per parecchio tempo che in realtà sono seduta nel Cortile, sulla terra dura.

Il Cortile è ampio e, dal mio posto speciale, l’unico oggetto alto che vedo è la gru da costruzione in lontananza. Il cielo è grandissimo e aperto e, se Rick e io attraversassimo di nuovo i prati di Mr McBain, specie adesso che l’erba è tagliata, potremmo vedere un cielo esattamente cosí. Siccome è grande, posso osservare il cammino del Sole senza impedimenti e, anche nei giorni nuvolosi, so sempre dove si trova sopra di me.

Appena arrivata ho pensato che il Cortile fosse in disordine, ma adesso ho imparato a conoscerne la disposizione. L’impressione iniziale, ho poi capito, era dovuta al fatto che molti degli oggetti qui hanno di per sé un’identità disordinata – vuoi per i resti di cavi recisi che fuoriescono, vuoi per i pannelli a griglia ammaccati. Ma a ben guardare non può sfuggire quanto lavoro abbiano fatto gli uomini del Cortile per sistemare ogni elemento di macchinario, contenitore o pacco in file ordinate di modo che un visitatore possa percorrere le lunghe corsie che sono venute a crearsi e – pur dovendo fare attenzione a non inciampare su sbarre o cavi – possa vedere gli oggetti uno alla volta.

Grazie al cielo grande e all’assenza di oggetti alti, mi accorgo subito se un visitatore entra nel Cortile. Individuo le loro figure quando sono ancora lontane, nient’altro che piccole forme in movimento tra le file. Ma i visitatori non sono frequenti e, quando sento una voce umana, si tratta il piú delle volte degli uomini del Cortile che si chiamano a vicenda.

Ogni tanto dal cielo scendono uccelli, ma scoprono presto che nel Cortile c’è ben poco che li possa interessare. Qualche tempo fa, una frotta di uccelli scuri è calata in formazione elegante su un macchinario poco lontano da me e per un attimo ho pensato che potessero essere gli uccelli di Rick mandati a osservarmi. Naturalmente non erano gli uccelli di Rick, ma uccelli veri, che sono rimasti tranquillamente appollaiati sul macchinario per un po’, fermi immobili, malgrado il vento arruffasse le loro piume. Poi hanno spiccato il volo tutti insieme.

Piú o meno in quel periodo, un uomo del Cortile gentile si è fermato davanti a me e mi ha detto che c’erano tre AA nel Lato Sud, e due nell’Anello. Se volevo, ha detto, poteva trasportarmi in una di quelle aree. Ma io gli ho risposto che ero contenta del mio posto speciale, e lui ha annuito e se ne è andato per la sua strada.

Qualche giorno fa è successa una cosa molto speciale.

Malgrado io non sia in grado di trasferirmi da un posto all’altro, riesco a girare la testa senza difficoltà e a vedere quello che mi circonda. Perciò mi ero accorta da un pezzo della presenza di un visitatore in cappotto lungo in movimento alle mie spalle. A un certo punto, mi sono voltata e la figura era a mezza distanza, perciò ho potuto vedere che era una donna e che portava a tracolla una borsa a sacco. Ogni volta che si chinava per esaminare un oggetto a terra, la borsa le dondolava davanti. Essendo dietro di me, non potevo tenerla sott’occhio e per un po’ – forse perché si era presentato un altro ricordo – ho smesso del tutto di pensarci. Poi ho sentito un rumore e all’improvviso la visitatrice in cappotto lungo mi stava davanti. E ancor prima che si abbassasse per guardarmi in faccia, ho riconosciuto Direttrice, e la felicità mi ha invaso la mente.

– Klara. Sei tu, Klara, giusto?

– Sí, certo, – ho detto, sorridendole.

– Klara. Che meraviglia. Aspetta un attimo. Prendo qualcosa per sedermi.

È tornata trascinando un piccolo contenitore metallico che faceva un brutto rumore sulla terra dura. L’ha piazzato davanti a me, si è seduta e, nonostante la grandezza del cielo dietro di lei, ho potuto osservarle bene la faccia.

– Speravo che ti avrei trovata qui. Una volta, oh, quasi un anno fa ormai, ho trovato qualcosa qui dentro e per un attimo ho pensato che fossi tu, Klara. Invece no. Ma questa volta sei proprio tu. Come sono contenta.

– Sono lieta di rivedere Direttrice.

Continuava a sorridermi. Poi ha detto: – Mi chiedo che cosa puoi pensare ora come ora. Rivedermi dopo tutto questo tempo. Sarai molto confusa.

– Sono soltanto lieta di rivedere Direttrice.

– Allora raccontami, Klara. Sei sempre stata, voglio dire prima di arrivare qui, sei stata sempre con le persone con cui lasciasti il negozio? Scusami se te lo chiedo, ma non ho piú facile accesso a queste informazioni.

– Sí, certo. Sono stata sempre con Josie. Finché non è andata al college.

– Perciò è stato un successo. Una buona famiglia.

– Sí, credo di aver reso un buon servizio e di aver impedito che Josie si sentisse sola.

– Ne sono sicura. Sono sicura che non ha saputo che cosa fosse la solitudine, con te accanto.

– Spero di no.

– Sai, Klara. Di tutti gli AA di cui mi sono occupata, tu sei stata decisamente fra le piú straordinarie. Avevi una sensibilità talmente speciale. Capacità di osservazione. L’avevo notato subito. Sono proprio contenta di sapere che è andato tutto bene. Perché non si sa mai, perfino con capacità eccezionali come le tue.

– Direttrice si occupa ancora di AA?

– No. Oh no. Ho smesso da un pezzo –. Si è guardata intorno nel Cortile, poi mi ha sorriso ancora. – È per questo che mi piace venirmene qui ogni tanto. Certe volte vado a quello di Memorial Bridge. Ma questo posto mi piace di piú.

– Direttrice viene qui solo per… cercare AA del suo negozio?

– Non solo. Mi piace collezionare souvenir –. Ha indicato la borsa a sacco. – Non è permesso portare via niente di importante. Ma sulle piccole cose chiudono un occhio. Gli addetti qui mi conoscono. Comunque hai ragione. Quando vengo qui, spero sempre di imbattermi in uno dei miei vecchi AA.

– Ha mai incontrato Rosa?

– Rosa. Sí, in effetti. L’ho trovata, oh, sarà almeno due anni fa. A Rosa non è andata bene come a te.

– Nel senso che non le piaceva il suo adolescente?

– Non era quello. Comunque non ti devi preoccupare. Lascia perdere Rosa. Dimmi di te. Avevi capacità eccezionali. Spero che la tua bambina sia riuscita a capirlo.

– Credo di sí. Nella casa erano tutti molto gentili con me. Ho potuto imparare tante cose.

– Mi ricordo il giorno in cui sono venute in negozio e hanno scelto te. Ricordo che la signora ti ha messa alla prova, chiedendoti di camminare come la figlia. Mi aveva allarmata. Ho continuato a pensarci molto, dopo che te n’eri andata.

– Non c’era motivo di allarme per Direttrice. È stata la famiglia migliore che potessi trovare. E Josie l’adolescente migliore.

Per un momento Direttrice mi ha guardato e ha sorriso in silenzio. Perciò ho continuato:

– Ho fatto quel che potevo perché Josie avesse il meglio. Ci ho pensato parecchie volte, ormai. E se si fosse reso necessario, sono certa che avrei potuto proseguire Josie. Ma è molto meglio che sia andata com’è andata, anche se Rick e Josie non sono piú insieme.

– Hai certamente ragione, Klara. Ma che cosa intendi per «proseguire Josie»? Che cosa significa?

– Direttrice, ho fatto quel che ho potuto per imparare Josie e, se si fosse reso necessario, avrei fatto di piú. Ma non credo che avrebbe funzionato molto bene. Non perché non sarei riuscita a raggiungere i dovuti livelli di accuratezza. Ma perché oggi sono convinta che, malgrado tutti i miei sforzi, ci sarebbe sempre stato qualcosa di inarrivabile. La Madre, Rick, Domestica Melania, il Padre. Non sarei mai stata all’altezza di quello che provavano loro, nel cuore, per Josie. Adesso ne sono sicura, Direttrice.

– Beh, Klara, mi fa piacere che le cose si siano risolte al meglio, secondo te.

– Mr Capaldi pensava che dentro Josie non ci fosse niente di tanto speciale da non poter essere proseguito. Diceva alla Madre che aveva cercato dappertutto e non l’aveva mai trovato. Ma adesso credo che non cercasse nel posto giusto. C’era invece qualcosa di molto speciale, ma non era dentro Josie. Era dentro quelli che l’amavano. Ecco perché ora credo che Mr Capaldi si sbagliasse e che io avrei fallito. Perciò sono contenta delle mie decisioni.

– È senz’altro vero, Klara. È quello che voglio sempre sentire quando mi imbatto nei miei vecchi AA. Che siete contenti di come sono andate le cose. Che non avete rimpianti. Lo sapevi che ci sono dei B3 laggiú? Non vengono dal nostro negozio, ma se volessi un po’ di compagnia, potrei chiedere agli operai di spostarti.

– No, grazie. Direttrice è gentile, come sempre. Ma questo posto mi piace. E ho i miei ricordi da passare in rassegna e mettere in ordine.

– E questa probabilmente è una cosa saggia. Non l’avrei mai detto quand’ero al negozio, ma non sono mai riuscita a provare per i B3 quel che sentivo per la tua generazione. Mi è sembrato spesso che fosse piú o meno cosí anche per i clienti. Non sono mai riusciti a legare davvero con i B3, nonostante tutte le loro migliorie tecniche. Come sono contenta di averti incontrata oggi, Klara. Ti ho pensata tanto. Sei stata una delle migliori che abbia mai avuto.

Si è alzata facendo di nuovo ondeggiare la borsa.

– Prima che Direttrice se ne vada devo riferire ancora una cosa. Il Sole è stato tanto gentile con me. È stato gentile fin dal principio. Ma una volta, quando ero con Josie, lo è stato in modo particolare. Volevo che Direttrice lo sapesse.

– Sí. Sono certa che il Sole è stato sempre buono con te, Klara.

E mentre lo diceva, Direttrice si è girata verso il cielo grande dietro di lei, portandosi una mano agli occhi, e per un momento abbiamo guardato il Sole insieme. Poi si è girata di nuovo verso di me e ha detto: – Meglio che vada ora. Ti saluto, Klara.

– Ti saluto, Direttrice. Grazie.

Ha allungato una mano per prendere il contenitore metallico su cui era seduta e l’ha trascinato di nuovo al suo posto, facendo il brutto rumore di prima. Poi si è allontanata percorrendo il corridoio tra le file ed era evidente che camminava in modo diverso da quando era in negozio. Ogni due passi si chinava a sinistra in modo da farmi temere che il cappotto lungo si sporcasse toccando per terra. Quando è stata a mezza distanza si è fermata e si è girata e ho creduto che intendesse guardarmi un’ultima volta. Invece ha fissato un punto lontano, all’orizzonte, dalla parte della gru da costruzione. Poi ha proseguito.