mercoledì 3 novembre 2021

Polvere effervescente Estratto da “Il tamburo di latta” Gunther Glass

 


Polvere effervescente

Estratto da “Il tamburo di latta” Gunther Glass

Maria godeva la polverina effervescente coricata sul dorso. Siccome non appena la polvere cominciava a spumeggiare le sue gambe si scuotevano e scalciavano, spesso la camicia da notte le scivolava, già al primo colpo, su fino alle cosce. Alla seconda esplosione, la camicia, scoprendole il ventre, andava ad arrotolarsi sotto i seni. Spontaneamente, dopo aver per settimane vuotato tutto il contenuto della bustina nel palmo della mano di Maria, un giorno, senza aver prima meditato su Rasputin e Goethe, le versai il residuo di una polverina all’aroma di lampone nella cavità dell’ombelico, e vi feci colare, prima che lei potesse impedirmelo, anche la mia saliva, e quando il miscuglio cominciò a ribollire nel piccolo cratere, Maria non ebbe più argomenti per protestare: poiché l’effervescenza ombelicale aveva dei vantaggi rispetto a quella del cavo della mano. Era sempre la stessa polverina, la stessa saliva, e anche la sensazione non era diversa; ma era più forte, molto più forte. Tanto forte che Maria non seppe più resistere. Si curvò in avanti, tentò di leccar su i lamponi che fermentavano nel suo pentolino, com’era solita fare con le polverine spumeggianti nel palmo della mano quando aveva adempiuto il loro compito. Ma la sua lingua non era abbastanza lunga, l’ombelico era lontano quanto l’Africa o la Terra del Fuoco. Io invece ero vicinissimo all’ombelico di Maria e vi frugai con la lingua in cerca di lamponi e ne trovai sempre di più, smarii la strada durante la ricerca e mi trovai per luoghi in cui nessuna guardia forestale chiede di esibire un particolare premesso, ero deciso a coglierli uno per uno, null’altro avevo per la testa, nel cuore, negli occhi, negli orecchi, fiutavo solo odore di lamponi, ero talmente preso che soltanto di sfuggita a Oskar venne fatto di pensare: Maria è soddisfatta del tuo zelo. Perciò ha spento la luce. Perciò si abbandona fidente al sonno e ti permette di cercare ancora; poiché Maria era ricca di lamponi. E quanto non ne trovai più, trovai altrove, come per caso, dei canterelli aspri. Ma poiché essi crescevano ben nascosti fra il muschio, la mia lingua fallì nel suo intento e io mi feci spuntare l’undicesimo dito, dal momento che anche le dieci dita avevano fallito. E così Oskar ebbe una terza bacchetta di tamburo – cosa naturale alla sua età. Non sulla latta tambureggiai, bensì nel muschio. E non sapevo più se ero io a tambureggiare, oppure Maria, se fosse il muschio suo o il muschio mio. Apparteneva ad un altro, l’undicesimo dito, e soltanto il muschio e soltanto il muschio e i canterelli a me? Avevo ancora una mia propria volontà e non ubbidivo ciecamente a quel tale che si era scatenato lì sotto? Chi veramente faceva l’amore, Oskar, io o lui? E Maria, che piena di sonno sopra, ma ben desta a quello che succedeva sotto, lei dall’innocente odore di vaniglia con acri effluvi di muschio, che voleva la polvere effervescente, ma non voleva saperne di quell’altro che neanch’io volevo, che si era reso autonomo, che si ostinava a far di testa sua, che dava qualcosa che io non gli avevo dato, che si alzava quando io mi coricavo, che aveva sogni diversi dai miei, che non sapeva né leggere né scrivere e tuttavia firmava per me, ancora oggi va per la sua strada, che da me si era separato già fin dal giorno in cui mi ero reso conto di lui, col quale, pur essendomi nemico, devo di continuo allearmi, che mi tradisce e che mi pianta in asso, che io vorrei tradire e vorrei vendere, del quale mi vergogno, che è stufo di me, che mi insudicia mentre io invece lo lavo, che non vede nulla e tutto fiuta, che mi è tanto estraneo che vorrei dargli del lei, che ha una memoria diversa da quella di Oskar: poiché oggi quanto Maria entra nella mia stanza e Bruno discretamente si ritira lui non la riconosce