FACCIAMO UN GIOCO
Emmanuel Carrère
Hai comprato «Le Monde» all'edicola della stazione, prima di salire sul treno. E oggi che esce il mio racconto, te l'ho ricordato stamattina al telefono aggiungendo che sarebbe stata un' ottima lettura per il viaggio. Mi hai risposto che tre ore ti sembravano un po' troppe per un racconto, ti saresti portata anche un libro. Per non insospettirti ho ammesso che in effetti, si, era una buona idea, ma adesso sono pronto a scommettere che, qualunque libro sia, tu non lo aprirai.
Ti sei seduta al tuo posto, hai guardato le altre persone che si sistemavano. Qualcuno deve essersi seduto di fianco a te: uomo o donna, giovane o vecchio, più o meno gradevole, non ne ho idea. Hai aspettato che il treno partisse per aprire il giornale, come si fa quando si ha del tempo a disposizione. Graffiti sui muri lungo la ferrovia, un varco verso sud, uscita da Parigi. Hai scorso la prima pagina, l'ultima, dove c'è qualche parola su di me, poi hai preso l'inserto centrale, l'hai aperto, staccato, ripiegato, spero che tu non abbia sbirciato qualche frase al volo. Adesso cominci a leggere.
Strana impressione, no?
Quello che è strano, prima di tutto, è che non sai niente di questa storia. Eravamo in riva al mare insieme quando l'ho scritta, ma non ho voluto fartela vedere. Ti ho solo detto, in tono evasivo, che c'era di mezzo la fantascienza. A prima vista in realtà potrebbe far pensare a quel romanzo di Michel Butor, La modification, che si svolgeva su un treno ed era scritto in seconda persona. Immagino che alcuni lettori arrivati a questo punto ci avranno già pensato. Ma tu no, tu sei troppo sorpresa per pensare a Michel Butor. Cominci a realizzare che, con la scusa del racconto, ho scritto una lettera a te, e che 600 000 persone (questa è la tiratura di «Le Monde») sono invitate a leggerla da dietro la tua spalla. Sei emozionata, forse anche un po' a disagio. Ti chiedi dove voglio andare a parare.
Voglio farti una proposta. A partire da questo momento, tu farai tutto quello che ti dico. Letteralmente. Passo passo. Se ti dico: smetti di leggere alla fine di questa frase e non ricominciare prima di dieci minuti, tu smetti di leggere alla fine di questa frase e non ricominci prima di dieci minuti. Era un esempio, non vale. Ma in linea generale sei d'accordo? Ti fidi di me?
Va bene, adesso te lo dico davvero: alla fine di questa frase smetti di leggere, chiudi le pagine e dedica dieci minuti, orologio alla mano, a chiederti dove voglio andare a parare.
Lettore, lettrice soprattutto, io non vi conosco, non ho nessun diritto di darvi degli ordini ma vi consiglio comunque di fare la stessa cosa.
Ecco. I dieci minuti sono passati.
Gli altri non so, ma tu, sicuramente, tu devi aver capito.
Adesso vorrei che facessi uno sforzo di concentrazione. Uno sforzo senza sforzo, per cosi dire, perché te ne chiederò molti altri, siamo solo all'inizio, bisogna andare per gradi, non sbagliare il crescendo. Devi semplicemente cercare di visualizzarti. L'ambiente circostante, prima di tutto, di cui non poche variabili mi sfuggono: sei o non sei nel senso di marcia, finestrino o corridoio, sedile normale o centrale, quindi posizione frontale o no, è chiaramente un dettaglio importante. E poi visualizza te stessa, seduta, questi fogli aperti fra le mani. Vuoi che ti descriva, per aiutarti? In realtà no, non credo che sia necessario, prima di tutto perché non sono particolarmente bravo a descrivere, e poi perché ho in mente di far bagnare non soltanto te, ho in mente di far bagnare qualsiasi altra donna legga queste pagine, e una descrizione troppo precisa ostacolerebbe l'identificazione. Anche solo dire bionda alta con il collo lungo, vita sottile e fianchi morbidi, sarebbe già troppo, quindi non dico niente di simile. Rimango sul vago anche riguardo ai tuoi vestiti. Naturalmente sarei favorevole a un abitino estivo, di quelli che lasciano braccia e gambe nude, ma non mi sono permesso di darti indicazioni in proposito e può darsi benissimo che tu ti sia messa i pantaloni, in viaggio è più pratico; vedremo di arrangiarci.
Indipendentemente dal numero di strati che hai sovrapposto (ma in questa stagione non è irragionevole sperare che lo strato sia uno solo), l'unica cosa certa è che sotto tu sei nuda. Mi torna in mente un romanzo in cui il narratore prendeva coscienza con meraviglia del fatto che in qualsiasi circostanza le donne sono nude sotto i vestiti. Ho condiviso, condivido ancora questa meraviglia. Vorrei che ci pensassi un po'.
Allora, secondo esercizio: prendere coscienza del fatto che sei nuda, sotto i vestiti. Distinguere, punto primo, le zone di pelle che non sono in contatto con alcun tessuto, ma direttamente con l'aria - viso, collo e mani, più una quota variabile degli arti superiori e inferiori -, punto secondo, le zone coperte da un tessuto, e qui si apre un intero ventaglio di sfumature, a seconda che il tessuto aderisca - biancheria intima, jeans attillati - o aleggi a una certa distanza - camicia ampia, gonna al polpaccio. Rimane un punto terzo che volevo tenermi per ultimo e che riguarda le zone di pelle in contatto con altre zone di pelle; per esempio, sempre sotto una gonna, le cosce accavallate, una sopra l'altra, l'alto del polpaccio contro il lato del ginocchio. Chiudi gli occhi e procedi all'inventario di tutti i punti di contatto della tua pelle con l'aria, col tessuto, con la pelle o con un altro materiale - gli avambracci sui braccioli, la caviglia contro la plastica del sedile davanti. Passa in rassegna tutto ciò che tocca la tua pelle, tutto ciò che tocca la tua pelle. Esamina in dettaglio tutto ciò che percorre la superficie di te.
Un quarto d'ora.
C'è un momento che è sempre delicato, piacevole ma delicato, quando si fa sesso per telefono, è quello in cui si passa dal dialogo normale al vivo del discorso. Direi quasi immancabilmente, ci si arriva chiedendo all' altro di descrivere la posizione in cui si trova - «Mmmm, sono sul letto ... » -, poi quali indumenti indossa - «Solo una maglietta, perché?» -, e a quel punto gli si chiede d'insinuare un dito da qualche parte tra quegli indumenti e la pelle. Qui io esito. E come negli scacchi, o in analisi, dove a quanto pare tutto sta nella prima mossa. L'apertura più classica sarebbe il seno, da affrontare in modo diverso a seconda che sia o non sia avvolto da un reggiseno. Di solito tu lo porti. Li conosco quasi tutti, te ne ho regalati diversi, è una cosa che mi piace molto, scegliere la biancheria sexy. Mi piace confrontarmi con la commessa, descriverle la destinataria, illecito connubio tra scambio puramente professionale e sottinteso sessuale crea una sottile complicità, per cui ben presto arrivi a domandare: «E se fosse per lei, quale sceglierebbe ?»
Potrei chiederti di accarezzarti un seno, di sfiorarne la punta con la punta delle dita attraverso il vestito e il reggiseno, il più discretamente possibile. Ecco un' altra cosa che mi piace, che piace a tutti e due, guardare insieme le donne e immaginare i loro capezzoli. La fica pure, ma andiamo con calma, per ora siamo ai capezzoli. Come mi sono ritrovato a spiegare più volte alle negozianti di biancheria intima per metterle in condizione di consigliarmi al meglio, il tuo è un caso un po' particolare, nel senso che i tuoi capezzoli sembrano montati alla rovescia, con la punta verso l'interno, e sbucano, come un animaletto dalla tana, quando sei eccitata. Immagino lo stiano facendo anche in questo momento, senza che tu abbia bisogno di toccarti. Non toccarti. Interrompi quel movimento che magari avevi cominciato, lascia la mano sospesa nell' aria e accontentati di pensare al tuo seno. O meglio, visualizzalo. Te l'ho già spiegato, è una tecnica yoga estremamente efficace - anche se la sua efficacia in genere è finalizzata ad altri scopi - visualizzare una parte del proprio corpo con la massima precisione e trasferircisi col pensiero e con i sensi. Peso, calore, grana della pelle, grana differente dell' areola, confine fra la pelle e l'areola, tu sei tutta intera nel tuo seno. In linea di massima, nel momento in cui leggi queste parole una persona seduta di fronte a te - ma c'è qualcuno seduto di fronte a te? - dovrebbe vedere i tuoi capezzoli spuntare sotto il doppio strato di tessuto nitidi come sotto una maglietta bagnata.
Fermati di nuovo. Ora richiudi il giornale. Non pensi ad altro che al tuo seno, e a me che penso al tuo seno, per un quarto d'ora. Chiudi gli occhi, o no, come vuoi tu.
È stato bello?
Hai pensato alle mie mani sul tuo seno? lo non ho pensato ad altro. A dire il vero non alle mie mani sul tuo seno, alle mie mani vicino al tuo seno. Lo sai, il palmo che lo avviluppa e ne sposa la curva, un quarto di millimetro più in là e lo sfiorerebbe, ma per l'appunto non lo sfiora. Sfiorare, significa «toccare leggermente», mentre io non ti tocco, mi avvicino quanto è possibile avvicinarsi senza contatto, il gioco consiste proprio nell' evitare il contatto e insieme mantenere una distanza costante, il che implica minuscoli arretramenti del palmo in risposta al seno che avanza per effetto dell'eccitazione, o semplicemente della respirazione. Quando dico in risposta, è qualcosa di più sottile, non si tratta di rispondere, sarebbe già troppo tardi, come nelle arti marziali, dove lo scopo non è restituire il colpo, ma evitarlo. Ciò che serve è anticipare, dunque lasciarsi guidare dal calore corporeo, l'intuizione, il respiro, con un po' di allenamento si arriva a far si che punta del capezzolo e cavo del palmo funzionino come due contatori Geiger, e io e te siamo ben allenati. Chi tocca, ha perduto. D'altronde è un esercizio che si può praticare con qualsiasi parte del corpo, e benché senza ombra di dubbio palmo e dita, labbra e lingua, seno, clitoride, glande e ano consentano le combinazioni più collaudate, quelle che in pochi minuti producono grida da far ammattire i vicini - ma anche È stato bello?
Hai pensato alle mie mani sul tuo seno? lo non ho pensato ad altro. A dire il vero non alle mie mani sul tuo seno, alle mie mani vicino al tuo seno. Lo sai, il palmo che lo avviluppa e ne sposa la curva, un quarto di millimetro più in là e lo sfiorerebbe, ma per l'appunto non lo sfiora. Sfiorare, significa «toccare leggermente», mentre io non ti tocco, mi avvicino quanto è possibile avvicinarsi senza contatto, il gioco consiste proprio nell' evitare il contatto e insieme mantenere una distanza costante, il che implica minuscoli arretramenti del palmo in risposta al seno che avanza per effetto dell'eccitazione, o semplicemente della respirazione. Quando dico in risposta, è qualcosa di più sottile, non si tratta di rispondere, sarebbe già troppo tardi, come nelle arti marziali, dove lo scopo non è restituire il colpo, ma evitarlo. Ciò che serve è anticipare, dunque lasciarsi guidare dal calore corporeo, l'intuizione, il respiro, con un po' di allenamento si arriva a far si che punta del capezzolo e cavo del palmo funzionino come due contatori Geiger, e io e te siamo ben allenati. Chi tocca, ha perduto. D'altronde è un esercizio che si può praticare con qualsiasi parte del corpo, e benché senza ombra di dubbio palmo e dita, labbra e lingua, seno, clitoride, glande e ano consentano le combinazioni più collaudate, quelle che in pochi minuti producono grida da far ammattire i vicini - ma anche trattenere le grida può non essere niente male -, sarebbe un errore limitarsi alle zone mucose ed erettili classicamente erogene trascurando variazioni sul genere cuoio capelluto - cavo del poplite, mento - pianta del piede, osso dell'anca - incavo dell' ascella, io personalmente sono un appassionato delle ascelle e delle tue in particolare, di cui per l'appunto intendevo parlarti.
Questo ti fa sorridereperché sai che è una cosa che mi fa impazzire, mentre tu non hai niente in contrario ma non è che ti faccia toccare il cielo con un dito. Il mio entusiasmo t'intenerisce più di quanto non ti ecciti. Perciò, sorridi. Scrivendo queste parole, due mesi prima che tu le legga - sempre che tu le legga, che tutto vada per il verso giusto -, cerco d'immaginarmelo, quel sorriso, il sorriso di una donna mentre legge, sola sul treno, una lettera porno che è indirizzata a lei ma nello stesso momento viene letta da migliaia di altre donne, le quali, suppongo, in cuor loro si dicono che hai una bella fortuna. E una situazione un po' particolare, bisogna ammetterlo, deve provocare un sorriso altrettanto particolare, e per me provocare un sorriso così rappresenta un obiettivo letterario esaltante. Mi piace che la letteratura sia efficace, idealmente mi piacerebbe che fosse performativa, nel senso in cui i linguisti definiscono un enunciato performativo, il cui esempio più classico è la frase «Dichiaro guerra»: nell'attimo stesso in cui viene pronunciata, la guerra è di fatto dichiarata. Si potrebbe sostenere che fra tutti i generi letterari la pornografia è quello che più si approssima a un simile ideale, leggere «sei bagnata» ti fa bagnare. Era solo un esempio, non ho detto «sei bagnata», quindi non sei ancora bagnata, o se sei bagnata non ci fai caso, tutte le tue energie mentali sono impegnate a distogliere l'attenzione dalle mutandine. C'è una storia così che mi piace molto, la storia del tizio a cui un mago promette di esaudire ogni suo desiderio, ma a una sola condizione: che per cinque minuti lui riesca a non pensare a un elefante rosa. Se non gliel'avesse detto non gli sarebbe mai venuto in mente, è ovvio, ma ora che gliel'ha suggerito, e proibito, come potrebbe pensare a qualcos'altro? lo comunque voglio cercare di aiutarti, adesso pensiamo a qualcos'altro, dedichiamoci alle tue ascelle, anzi adesso facciamo qualcos'altro.
Adesso hai diritto a un po' di contatto. Tenendo i fogli con la mano sinistra, appoggia la mano destra sull'anca sinistra. L'avambraccio, che immagino nudo, riposa dunque sul tuo ventre, all' altezza dell'ombelico. Partendo dall'anca, fai risalire la mano fino a quel piccolo rigonfiamento che si forma in tutte le donne appena sopra la gonna o i pantaloni, il palmo e le dita accarezzano attraverso il tessuto la carne così tenera ed elastica che c'è in quel punto. È tiepido, dolce, riposante, ci si attarda volentieri in un campo base come questo. Attardati un momento prima di riprendere la scalata verso le costole e la parte bassa del reggiseno. La situazione, in questa fase, varia leggermente a seconda che un duplice strato di vestiario - camicia aperta sopra la maglietta, giacca leggera - ti consenta di operare relativamente al riparo dagli sguardi altrui, o che tu avanzi allo scoperto. In ogni caso puoi sempre avvicinare la mano che regge i fogli e schermare in qualche modo con il gomito l'altra mano, che ormai avvolge decisamente il seno sinistro. Qui sei in libera uscita. Prenditi il tempo che ti serve per fare, nei limiti della decenza, tutto quello che avevi voglia di fare poco fa, quando il contatto era vietato. Non dimenticare però che il nostro obiettivo attuale non è il capezzolo ma l'incavo dell'ascella, quello verso cui puntano le tue dita. Li dev'esserci per forza un accesso alla pelle nuda, dall' apertura dell' abito o della maglietta, e se per caso indossi una camicia a maniche lunghe non ti resta che passare per la scollatura, che immagino profonda. Quale che sia la strada che hai imboccato, da sopra o da sotto, per la prima volta dall'inizio di questa lettera ti stai toccando direttamente la pelle. Discosta appena il braccio sinistro, per farlo con naturalezza basta che appoggi il gomito sul bracciolo. Con la punta delle dita liscia l'attaccatura del braccio, poi comincia a esplorare l'incavo dell'ascella. Pomeriggio di luglio, su un treno che immagino piuttosto affollato, mi stupirei se non raccogliessi qualche goccia di sudore. Mi piacerebbe che nell' arco di pochi minuti - ma non aver fretta, mi raccomando - le portassi al naso, per l'odore, poi alle labbra, per assaggiarle. E una cosa che mi fa impazzire: senza spingermi agli eccessi cui deve la sua gloria Enrico IV, io non vado matto per la pelle sciacquata troppo di fresco, e anche a te piace sentire l'odore del cazzo, della fica e delle ascelle. Le tue non sono depilate, anche questo mi fa impazzire. Non è che sia una norma generale, non è un dogma, vado piuttosto caso per caso, ma nel tuo caso, non c'è il minimo dubbio, potrei passarci delle ore, di fatto ci passo delle ore in questa spuma leggera di peli biondi. La qual cosa, come tu giustamente sostieni, appartiene a un ambito di preferenze erotiche per cui tendo a collocarmi più sul versante delle foto del povero Jean - François Jonvelle che su quello di Helmut Newton: ragazza in mutandine che si massaggia il seno con la crema idratante sorridendoti nello specchio del bagno, piuttosto che tacchi a spillo smorfia sdegnosa e collare da cane. Ma non c'è solo questo nella passione per i peli sotto il braccio, c'è anche, come dire?, una sorta di effetto metonimico, come quando si dice vela per dire barca, l'impressione che tu vada a spasso con due piccole fiche supplementari, due piccole fiche che la buona creanza autorizza a mostrare in pubblico benché facciano irresistibilmente pensare, o perlomeno a me fanno irresistibilmente pensare, a quella che sta fra le tue gambe. In linea di principio disapprovo questo tipo di ragionamento. Davanti a una fica io sono incline a pensare a quella fica, davanti a un'ascella a quell'ascella, e non a lanciarmi in associazioni seguendo il principio che tutto rimanda a tutto in un sistema di echi e corrispondenze ineffabili che conduce inesorabilmente al romanticismo, dal romanticismo al bovarysmo e da 1i alla negazione totale della realtà. lo sono per la realtà, nient' altro che la realtà, e per occuparsi di una sola cosa alla volta. Come quel guru indiano che, in un'altra delle mie storielle preferite, ripete instancabilmente ai suoi discepoli (va recitata con l'accento di Peter Sellers in Hollywood Party): «When you eat, eat. When you read, read. When you walk, walk. When you make love, make love», e cosi via. Salvo che un giorno, mentre vanno a raccogliersi in meditazione, i suoi discepoli lo trovano seduto a far colazione leggendo il giornale. Ai discepoli che si stupiscono, lui risponde: «Where is the problem? When you eat and read, eat and read».
Mi avvalgo di questo esempio, in aperto contrasto con le mie posizioni filosofiche, per concedermi di pensare alla tua fica mentre ti accarezzo e ti faccio accarezzare le ascelle, e comunque ci stai pensando anche tu, per non parlare del tuo vicino che da cinque minuti è 1i che ti guarda con la coda dell' occhio mentre ti lecchi le dita.
No, per il momento preferisco non parlarne.Altra fonte di inesauribile meraviglia: non soltanto le donne sono nude sotto i vestiti, ma hanno tutte quella cosa miracolosa fra le gambe, e il fatto più sconcertante è che ce l'hanno tutto il tempo, anche quando non ci pensano. A lungo mi sono chiesto come facessero, mi sembrava che alloro posto io non avrei fatto altro che masturbarmi, o comunque pensarci. Una delle cose che mi sono piaciute subito di te, è stata l'impressione che tu ci pensassi più della media. Un giorno qualcuno ti ha detto che avevi la fica scritta in fronte, tu hai esitato, non sapevi come prenderla, se era una cafonata colossale o un complimento, e alla fine è il complimento che ha prevalso. lo sono d'accordo. Guardando il viso di una donna mi piace che si riesca a immaginarla mentre gode. Ce ne sono certe, è quasi impossibile, non si avverte il minimo abbandono, ma tu, uno ti guarda muoverti, sorridere, parlare di tutt' altro, e indovina subito che ti piace godere, viene voglia immediatamente di conoscerti mentre godi, e quando ti si conosce, be', non si resta delusi. Non è esattamente il tono di questo testo ma pazienza, mi concedo una notazione sentimentale: non mi è mai piaciuto tanto veder godere qualcuno, e quando dico vedere, ovviamente, non si tratta soltanto di vedere.
Ti immagino mentre leggi queste parole, il tuo sorriso, il tuo orgoglio, orgoglio di donna ben scopata pari soltanto a quello dell'uomo che scopa una donna ben scopata. Puoi sprofondare col pensiero nelle tue mutandine, adesso. Ma aspetta, non precipitarti. Fai come per l'elefante rosa. Non pensare ancora al mio cazzo, né alla mia lingua, né alle mie dita, né alle tue, pensa alla tua fica tutta sola, così com'è ora in mezzo alle tue gambe. È una cosa terribilmente difficile quella che sto per chiederti, ma l'idea è che tu pensi alla tua fica come se non ci stessi pensando. Le persone che fanno molta meditazione dicono che lo scopo (e l'illuminazione arriva in sovrappiù) è osservare la propria respirazione senza per questo modificarla. Esserci come se non si fosse li. Cerca di immaginare la tua fica, dall'interno, come se fosse li semplicemente fra le tue gambe e tu stessi pensando a qualcos'altro, come se stessi lavorando o leggendo un articolo sull' allargamento della Nato. Cerca di rimanere neutrale, ma intanto esamina in dettaglio ogni sensazione. Il modo in cui la stoffa delle mutandine comprime i peli. Le grandi labbra. Le piccole labbra. Il contatto delle pareti l'una contro l'altra. Chiudi gli occhi.
Allora? E’ bagnata? Un po' me lo immaginavo. Molto bagnata? Ammetto che l'esercizio era difficile, ma insomma, anche se è molto bagnata non è aperta: seduta su un treno con le mutandine addosso e senza infilare il dito, non può essere aperta. Allora guarda, adesso vediamo se si riesce ad allargare appena le labbra dall'interno, senza aiuto. Non so. Non credo. Tu hai un'eccellente muscolatura vaginale, ma non è la muscolatura vaginale che comanda l'apertura delle labbra, in compenso quello che puoi fare è aprire chiudere, aprire chiudere, più forte che puoi, come se io fossi dentro.
Lo so, qui ho un po' sforato, sono andato più veloce di quanto pensassi, ma tornare indietro sarebbe sleale. Quindi hai il diritto di pensare al mio cazzo. Ma senza saltarci sopra. Senza fretta. Sono sicuro che pensi subito a infilartelo dentro fino in fondo mentre ti tocchi, ma no, devi avere pazienza, seguire il mio ritmo che a grandi linee consiste sempre nel rallentare, ritardare, rattenere. Da ragazzo sono stato un eiaculatore precoce, è un'esperienza tremenda, da suicidio, e da quell'esperienza tremenda mi è derivata in seguito la convinzione che il piacere più grande sta nel rimanere sempre sull'orlo del piacere. E quello il punto in cui mi piace stare, esattamente: sull'orlo, e sempre respingerlo, quell'orlo, affilare la punta sempre di più. Ti sembrava un po' perturbante, all'inizio, ma adesso no. Adesso ti piace che prima di leccarti io ti accarezzi a lungo il clitoride solo respirando vicino vicino, giocando con il calore del respiro, distendendo l'attesa del primo movimento della lingua. Ti piace che prima di infilarlo tutto fino in fondo e fotterti io rimanga a lungo con il glande all'ingresso delle tue labbra, ti piace dirmi in quel momento guardando mi negli occhi che ti piace il mio cazzo dentro la tua fica, ti piace ripeterlo ed è quello che farai adesso. Li, sul treno. Ripeti «ho voglia del tuo cazzo dentro la mia fica», a voce bassissima, è ovvio, ma ripetilo lo stesso, non solo mentalmente, forma i suoni con le labbra. Pronuncia queste parole più forte che puoi senza che i vicini ti sentano. Cerca questa soglia sonora e avvicinati il più possibile senza oltrepassarla. Hai mai visto qualcuno recitare il rosario? Fai così. Sul mantra di base «ho voglia del tuo cazzo dentro la mia fica» tutte le variazioni sono bene accette, e conto sul fatto che lascerai correre la fantasia. Vai.
Fino a Poitiers, che se i miei calcoli sono giusti ormai non dovrebbe essere lontana.Io nel frattempo penserò a quelli che sono seduti vicino a te. Devo confessare di non essere pienamente a mio agio con questi personaggi: l'idea di utilizzarli mi tenta, ma sfuggono pericolosamente al mio controllo. Mi è molto chiaro, d'altra parte, che questa lettera presenta 1'aspetto delizioso di un oggetto di puro piacere e insieme quello, lievemente angosciante, che hanno le trovate di un maniaco del controllo. Se tutto è andato per il verso giusto, se hai rispettato i tempi indicati, tu stai leggendo questa pagina oggi sabato 20 luglio verso le 16.15, e il treno è appena ripartito dopo la fermata di Poitiers. lo l'ho scritta a fine maggio, prima di partire per la Russia. Ho chiesto con molto anticipo a «Le Monde» di fissare la data di pubblicazione: loro non riuscivano a capire per quale motivo fosse cosi importante per me, allora gli ho spiegato, proprio come a te, che era una storia ambientata nel futuro e che, per anticipare il futuro, mi serviva una scadenza precisa. Era la verità. Non sapevo ancora cosa avremmo fatto nel mese di agosto, ma era già stabilito che a partire da metà luglio io sarei stato con i miei figli a casa dei miei all'Ile de Ré, e tu ci avresti raggiunti 1i la seconda settimana. I racconti su «Le Monde» escono il sabato, quindi dovevi prendere il treno proprio
questo sabato, e tassativamente non prima delle 14, perché il giornale fosse già nelle edicole. Ho avuto cura di prenotarti il biglietto con largo anticipo confidando nel fatto che, dato il periodo di vacanza, avresti avuto difficoltà a cambiarlo. Da buon maniaco ossessivo, si può proprio dire che mi sono assicurato il massimo di probabilità. Ma questo non m'impedisce di sapere, come ben sanno tutti gli ossessivi, che sull'altro piatto della bilancia c'è il caso, l'imprevisto, tutto ciò che può mandare a gambe all' aria i piani meglio architettati. Il che rappresenta 1'orrore allo stato puro.
Scrivere questa lettera mi ha procurato un piacere immenso, ma anche angosce feroci - le une, devo ammetterlo, non hanno fatto che acuire l'altro. Vedevo un segmento temporale compreso fra due punti; a un capo il punto primo: ho consegnato il testo a «Le Monde», non posso più cambiarlo né tornare indietro, il treno è lanciato, e all' altro capo il punto secondo: siamo al capolinea, tu hai letto, mi vieni incontro al binario, hai le mutandine fradice, sei travolta dal desiderio e dalla gratitudine, tutto è andato esattamente come sognavo. Tra il punto primo, fine maggio, e il punto secondo, il 20 luglio 2002 alle 17:45, tutto può succedere, e puoi credermi, non c'è nulla che io non abbia immaginato, dal più innocuo contrattempo alla catastrofe senza rimedio. Che le ferrovie siano in sciopero, o la distribuzione dei quotidiani. Che tu perda il treno, o che il treno deragli. Che tu non mi ami più, che io non ti ami più, che noi due non stiamo più insieme, che questa sorpresa innocente e leggera si trasformi in qualcosa di triste o, peggio ancora, di imbarazzante.
Bisognerebbe essersi emancipati da ogni sorta di pensiero magico per pianificare il proprio piacere fino a questo punto senza temere di sfidare gli dèi. Prova a immaginare: tu sei dio, e un mortale ti viene a dire, tramite «Le Monde» (che tu ricevi con eterno anticipo): guarda un po', oggi giovedì 23 maggio io ho deciso che sabato 20 giugno, sul treno delle 14:45 per La Rochelle, la donna che amo si masturberà seguendo le mie istruzioni e godrà fra Niort e Surgères. Tu come la prenderesti? Penseresti che quel tipo se la tira. Simpatico, ma se la tira. Ti diresti che una lezioncina se l'è proprio meritata. Non la folgore che si abbatte sul temerario, non l'avvoltoio che gli divora il fegato, ma una lezioncina si. Che tipo di lezione? lo credo che al tuo posto - sempre se tu fossi dio - cercherei di organizzarla come in un film di Lubitsch, dove lo spettatore riceve sempre quello che voleva, ma mai nel modo in cui voleva. E per dare a questo copione troppo ben architettato la capriola inattesa che elude e insieme soddisfa le aspettative, credo che Lubitsch si servirebbe proprio del tuo vicino, o della tua vicina di posto. Per esempio, potrebbe essere sordomuto. Te la immagini, una graziosa sordomuta, tipo Emmanuelle Laborit, che da dieci minuti guarda furtiva le labbra della donna seduta sul treno accanto a lei tutta intenta a salmodiare, a occhi chiusi, estaticamente, «Ho voglia del tuo cazzo dentro la mia fica»? Come direbbe il mio amico Jacques Fieschi, «la vedo, la scena», e per concluderla c'è un'ampia scelta, si va dal leggero e grazioso attimo di turbamento tra ragazze, alla Michel Deville, a un registro più decisamente porno: tu sei troppo giovane per aver visto Emmanuelle, l'episodio iniziale sull'aereo quando avevo sedici anni mi ha fatto arrapare come un pazzo. Detto questo, però, se l'idea è darmi una lezione facendo sfuggire il tuo orgasmo al mio controllo e dirottandolo su un beneficiario imprevisto, la graziosa sordomuta dovrebbe cedere il passo a un grazioso sordomuto, ipotesi che, come puoi ben immaginare, mi entusiasma molto meno. Passiamo oltre, visto che ho in mente tutt'altro genere di situazione.
Ritrovarsi in un luogo pubblico di fronte a uno sconosciuto che legge un tuo libro è una cosa che può succedere nella vita di uno scrittore, ma non cosi di frequente. Non puoi certo farci conto. In compenso un buon numero di passeggeri sul tuo treno legge «Le Monde», questo è certo. Proviamo a calcolare. La Francia ha 60 milioni di abitanti e di «Le Monde» vengono tirate 600 000 copie, quindi i suoi lettori rappresentano l'1% della popolazione. Ma sul TGV Parigi- La Rochelle in un sabato pomeriggio di luglio la percentuale deve essere molto più elevata, sarei tentato di moltiplicare decisamente per dieci. Quindi, a occhio e croce, il 10%, la maggior parte dei quali, visto che oggi non hanno fretta, daranno almeno un'occhiata per curiosità al racconto che c'è in allegato. E non vorrei sembrare presuntuoso, ma secondo me la probabilità che chi dà un' occhiata per curiosità lo legga fino in fondo in questo caso è prossima al 100%, per la semplice ragione che quando si parla di sesso tutti leggono fino alla fine, non c'è niente da fare. Come dire che circa il 10% dei tuoi compagni di viaggio legge, ha letto o leggerà queste istruzioni durante le tre ore che passerete insieme sul treno. La probabilità dunue è sensibilmente più alta rispetto all’ipotesi di ritrovarti con una graziosa sordomuta seduta al tuo fianco. C'è una possibilità su dieci (sicuramente sto esagerando, ma non di molto) che la persona seduta accanto a te in questo momento stia leggendo la stessa cosa che stai leggendo tu. E se non proprio la persona accanto almeno qualcuna poco lontano.
Wow.
Non credi che sia arrivato il momento di andare al bar? Allora prendi questi fogli e infilali dentro la borsa, alzati e comincia la traversata del treno. lo ti aspetto là. Non tirarli fuori prima di essere arrivata nella carrozza ristorante.
Eccoci. Hai fatto la coda, ordinato un caffè o dell' acqua minerale. Dentro il bar c'è parecchia gente. Comunque hai trovato posto su uno sgabello, hai tirato fuori dalla borsa il giornale che adesso è aperto davanti a te, sul tavolino di plastica grigia, e riprendi la lettura. Chissà se mentre attraversavi il treno ti è venuta la stessa idea che è venuta a me? Qualcuno, su questo treno, legge questa storia. Legge, magari leggendo sorride, magari si dice ma guarda, che buffo, cosa gli è preso a quel1i di “Le Monde”? E poi a un tratto legge che il tutto si svolge sul TGV Parigi - La Rochelle delle 14:45; sabato 20 luglio. Solleva le sopracciglia, solleva gli occhi dal giornale; ha un breve istante, di vertigine sarebbe troppo, ma insomma di sconcerto, rilegge la frase e si dice: diamine, è il mio treno! E poi, un attimo dopo: ma allora la ragazza di cui si parla, la destinataria, c’è anche lei, è su questo treno! Uomo o donna che sia mettiti nei suoi panni. Tu non lo troveresti eccitante? Non cercheresti di rintracciarla, que sta ragazza? Non hai nessuna descrizione fisica, me ne sono guardato bene, ma disponi di un indizio, e di un indizio estremamente preciso: sai che tra Poitiers e Niort, cioè tra le 16.15 e le 16-45, lei dovrebbe trovarsi al bar. Cosa fai? Ci vai. Io, in ogni caso, ci andrei. Lettore, lettrice, questo è un invito, non state 1i a far tappezzeria, entrate nelle danze: prendete la vostra copia di «Le Monde» in segno di riconoscenza e fatevi trovare al bar.
Non so se poi ci sei entrata, nel bar, dopo esserti resa conto di cosa implicava, o se lo stai scoprendo solo adesso, non so cosa ne pensi ma devo dire che a me questa scena piace da impazzire. Mi piace perché, al contrario della scena con la graziosa sordomuta, non si fonda su nulla di aleatorio, ma discende in modo certo dal dispositivo che ho attivato. Se il racconto è davvero uscito il giorno previsto, se il treno davvero transita nel giorno previsto, se la carrozza ristorante non è in sciopero, è assolutamente sicuro - altrimenti sarebbe disperante - che un certo numero di passeggeri, e spero di passeggere, si dirigeranno li all'ora indicata, come dire adesso, nella speranza di identificarti. Sono li, attorno a te. Io non li conosco, ma li ho convocati due mesi fa e adesso loro sono li.Questa si che è letteratura performativa, o no ?
Hai un bell' essere un po' esibizionista, m'immagino che te ne starai col naso immerso nel giornale, non hai più il coraggio di alzare gli occhi. Dài, alzali un briciolo. Sei davanti al finestrino. Se fosse buio, o se il treno entrasse in galleria, l'interno del vagone si rifletterebbe nel vetro e tu potresti vederli senza voltarti, ma non ci sono gallerie, non ci sono riflessi, solo il paesaggio tetro della Vandea, chateaux d'eau, case basse, strade alzaie, sotto il sole ancora alto nel cielo.
E loro, dietro le tue spalle.
Forza. Non serve mettere la testa sotto la sabbia. Fai un respiro lungo e poi voltati.
Facendo finta di niente, con la massima naturalezza. Ora. Vai.
Sono tutti li.
Uomini, donne. Anche loro fanno finta di niente, ma molti hanno «Le Monde» in mano.
Ti guardano?
Sono sicuro che ti guardano. Sono sicuro che ti guardano già da diversi minuti, non li hai sentiti i loro sguardi sulla schiena? Aspettavano che ti voltassi e adesso eccoti, sei li di fronte a loro, è come se fossi nuda davanti a loro.
Questo è troppo, non ti pare? Comincia a sembrare la scena di un film dell'orrore. L'eroina crede di essersi rifugiata in un luogo sicuro, un bar pieno di gente, quando un dettaglio apparentemente insignificante le rivela all'improvviso che tutte le persone che la circondano, anch'esse apparentemente insignificanti, fanno parte del complotto. Spie, zombie, invasori extraterrestri, poco importa chi siano, ma leggono tutti «Le . Monde», è questo il loro segno di riconoscimento, e la accerchiano, e il cerchio si stringe ...
Ti senti presa in trappola?
Ma no, era uno scherzo. Non è cosi, la storia. Prova a rifletterei. Prima di tutto tu non sei l'unica sospetta, sono sicuro che altre donne sfoggiano una copia di «Le Monde» dentro quel bar. Quante? Una, quattro, undici? A partire, diciamo, da tre, lo riterrei un grande successo. A queste donne io non ho chiesto soltanto di venire, preferibilmente sole e più numerose possibile per non lasciare campo libero a un'orda di maschi in fregola, io a queste donne ho chiesto di più. O meglio, glielo sto chiedendo adesso, ma ho il fondato sospetto che loro, al contrario di te, non abbiano rispettato rigorosamente le consegne di lettura, perciò hanno scoperto questo paragrafo in anticipo. Ciò che chiedo a queste donne è: se avete letto la mia lettera e un poco, anche soltanto un pochino, vi siete eccitate, allora state al gioco, e durante l'ultima ora di viaggio, tra Niort e La Rochelle, comportatevi come se foste voi la destinataria. E un ruolo facile da interpretare, basta leggere «Le Monde» bevendo un caffè o un' acqua minerale al bar del TGV e fare attenzione quanto accade intorno a voi - e dentro di voi, anche. E’ un ruolo semplice, ma può essere estremamente sexy. Conto sulla vostra collaborazione.
Ecco, è tutto pronto, vi ricordo le regole del gioco: in questa carrozza ristorante ci sono un certo numero di uomini e donne che hanno letto questa storia, e che, con scopi reconditi differenti ma sostanzialmente sessuali, cercano di identificarne l'eroina. L'eroina sei tu, ma sei l'unica a saperlo e le altre donne fanno finta di essere te. L'eroina è bagnata come una matta da due ore, e le altre donne cominciano a bagnarsi come matte pure loro. In più, contrariamente all'eroina, loro hanno letto la storia fino alla fine e quindi sanno cosa succede nelle poche pagine che rimangono.
Questa situazione mi fa impazzire, mi fa impazzire che, grazie a «Le Monde», si svolga realmente, ma in compenso non ho più idea di come fare a controllarla. Troppi personaggi, troppi parametri. Allora non controllo più, lascio la presa. Continuo, è ovvio, a immaginare: un balletto di sguardi, sorrisi discreti, ammiccamenti fra ragazze; una risatina soffocata, magari una risata irrefrenabile, forse una manifestazione violenta oppure una scenata, perché no ? qualcuno strepita che è disgustoso, uno non compra certo il giornale di Hubert-Beuve-Méry per leggere simili porcherie; magari un dialogo piccante e sofisticato sul genere io-so-che-tu-sai-che-io-so («E cosa sa?» «Che lei ha la fica in fiamme, signorina»), e magari due persone arrivate al bar senza conoscersi ne escono insieme. Mi chiedo cosa percepisca chi si trova sul posto senza aver letto «Le Monde»: gli sfugge tutto? oppure avverte che sta succedendo qualcosa, senza sapere cosa? Mi domando, immagino, ma non decido più, adesso lascio che ciascuno improvvisi la sua parte e aspetto che tu arrivi all'ora prevista, fra un'ora, per raccontarmi tutto, a letto e poi davanti a un piatto gigante di frutti di mare. A te decidere in che ordine, vedi che non sono poi cosi dispotico.
Rimangono tre quarti d'ora di viaggio, e a me 5000 caratteri, me ne hanno concessi al massimo 35.000. Quello che può ancora succedere, oltre a tutto ciò che sfugge al mio controllo, le altre lettrici di «Le Monde» lo sanno già, e tu, ovviamente, lo sospetti. Ne hai vista una alzarsi già da qualche minuto, l'hai seguita con gli occhi e hai visto che anche gli altri la seguivano con gli occhi. Tutti sanno cosa significa, e lei sa che tutti lo sanno. Significa: vado a masturbarmi.
La donna dunque esce dal bar e si dirige verso il bagno più vicino. Occupato. Aspetta per un po'. Le pare di sentire, ovviamente coperto dal rumore del treno, un respiro irregolare dietro la porta. Incolla 1'orecchio al battente, sorride, un tizio in piedi vicino all'uscita la guarda un po' stupito, il tizio ha in mano un altro giornale e lei si dice poveretto, non sa cosa si perde. Finalmente la porta si apre, un'altra donna esce dal bagno con «Le Monde» che sbuca dalla borsetta. Si scambiano uno sguardo, la donna che esce dal bagno ha goduto di brutto, gliela si legge in faccia, e questo eccita molto la donna che sta per entrare, tanto che trova il coraggio di chiederle «è stato bello?» e l'altra risponde «si, è stato bello» in tono estremamente convincente, e il tizio che non leggeva «Le Monde», poveretto, si dice che su questo treno succedono cose proprio strane, già l'atmosfera al bar era assurda. La donna chiude la porta, fa scorrere il chiavistello. Il bagno è sudicio, di solito è una cosa che le fa orrore, ma oggi decisamente se ne frega. Si guarda nello specchio che scende fino al lavandino, cosi mentre si solleva il vestito - o si abbassa i pantaloni - può vedere bene quello che sta per fare. Si sfila le mutandine fradice, alza una gamba e appoggia il piede sul bordo del lavandino, con una mano si tiene a quella specie di maniglia che aiuta a non perdere l'equilibrio, e con l'altra comincia ad accarezzarsi la fica. Diretta, le dita dentro, il tempo delle raffinatezze è finito, ne ha troppa voglia, è almeno un' ora che ne ha voglia. Infila subito due dita; fino in fondo, è completamente inondata e la fa inondare ancora di più guardarsi nello specchio la mano che impugna la fica e le dita che la frugano.
Magari procede in un'altra maniera, va dritta al clitoride, ogni donna ha la sua personale tecnica per masturbarsi, mi fa impazzire quando me la mostrano e adesso proietto la tua su di lei, non è grave. Forse è la prima volta che si masturba in piedi nel bagno di un treno, di sicuro è la prima volta che si masturba sapendo che la gente dietro la porta sa quello che sta facendo. E come se lo facesse davanti a tutti quanti, si guarda la fica nello specchio come se tutti quanti la stessero guardando, come se tutti quanti vedessero le sue dita scivolare fra le labbra bagnate, è incredibilmente eccitante. Pensa a te, non è riuscita a rintracciarti con certezza ma un'idea se l'è fatta, quella bionda alta con il collo lungo, la vita sottile e i fianchi morbidi di cui si parlava all'inizio, forse era una falsa pista ma forse no, e c'era una ragazza fatta proprio cosi. Si dice che a quest'ora di sicuro anche tu sei dentro un bagno, in un altro vagone, e stai facendo la stessa cosa, immagina le tue dita che sprofondano fra i tuoi peli biondi e benché non abbia una particolare inclinazione per le donne adesso ne avrebbe voglia, davvero tanta voglia. Vede le sue dita dentro la sua fica, e le tue dentro la tua, e le dita di altre donne dentro la loro fica, tutte si masturbano nello stesso momento sullo stesso treno, tutte bagnate, tutte ora portano la mano al clitoride, e tutto questo perché un tizio due mesi prima ha deciso di approfittare di una richiesta di «Le Monde» per mettere in scena una storia erotica con la sua fidanzata, non le dispiacerebbe vederlo, il cazzo di quello li, dev'esserselo strapazzato mica male mentre scriveva questa storia al computer, le piacerebbe vedere il suo cazzo che entra nella tua fica, quei due non si annoiano di certo, ma adesso ci siamo, le dita sono sul clitoride, tira le labbra per dischiuderlo, per vederlo nello specchio sopra il lavandino, diremo che in questo momento fa come fai tu, con la punta delle dita, indice e medio, che sfregano sempre più forte, le piacerebbe con l'altra mano prendersi un capezzolo ma deve tenersi per non cadere, si guarda il viso, è raro guardarsi mentre si sta per godere, ha voglia di gridare, sale veloce, lei sa che c'è qualcuno dietro la porta, sa che sta respirando forte, che fa rumore e qualcuno la sente, è vicinissima adesso, ha voglia di gridare, ha voglia di dire SI, e io non starò a rifare la scena che finisce con SI ho detto SI voglio SI, anche se a dire il vero proprio di questo si tratta, ha voglia di gridare SI, si trattiene dal gridare si nel momento in cui gode, ma comunque tu la senti, tu sei dietro la porta, anche tu dici SI, si, siete quasi a Surgères, adesso arriva il tuo turno.
Tornata al tuo posto, subito prima dell'arrivo, leggi l'ultimo paragrafo. E’ dove invito tutti quelli, e quelle, che avranno fatto questo viaggio, sul treno o altrove, a raccontarmi la loro versione. Potrebbe nascere un seguito, che non sarà solo performativo ma interattivo, cosa potrei volere di più? Aggiungo addirittura il mio indirizzo: emmanue1carrere@yahoo.fr. Pensi che me la tiro. Hai ragione, me la tiro. Ti aspetto al binario.
Novembre 2003
Nei mesi di luglio e agosto, ogni sabato, «Le Monde» regala un racconto ai suoi lettori, un inserto di 16 pagine nel numero del week-end. Per l'estate del 2002 mi hanno proposto di scriverne uno, sul tema vaghissimo del viaggio, e io, divertendomi molto, ho scritto le pagine che avete appena finito di leggere. Mi sembrava buffo piegare il più rispettato dei quotidiani francesi al servizio di una mia piccola fantasia erotica.
Non ricordo di aver provato il benché minimo senso d'inquietudine, nel comporre queste pagine: mi sembrava un'idea irresistibile, e soprattutto perfettamente innocente.
Nei giorni successivi alla pubblicazione, ho ricevuto poco più di mille e-mail, Quasi tutti i miei interlocutori mi ponevano le stesse due domande: era tutta un'invenzione, oppure mi aspettavo che una donna vera prendesse un treno vero e su quel treno facesse veramente quel che le chiedevo di fare? Nel secondo caso, lei il treno l'aveva preso, e cosa era successo?
Immagino che da questa nota finale vi aspettiate che io risponda alle medesime domande, dunque ecco qui.
Prima di tutto, si, ho davvero scritto questa storia per la giovane donna con cui vivevo allora, e avevo meticolosamente organizzato ogni cosa perché lei la leggesse nelle condizioni che avevo previsto. Lei non sospettava nulla: doveva raggiungermi in vacanza quel sabato, il 20 luglio, io le avevo comprato il biglietto del treno e contavo di ricordarle di prendere «Le Monde» per il viaggio il mattino della partenza, quando l'avrei chiamata. Per me era una festa pensare di aspettarla li, al binario, al suo arrivo.
Naturalmente, come sempre succede quando si pianifica una cosa nei minimi dettagli, ho passato un'infinità di tempo a immaginare i mille e uno granelli di sabbia che avrebbero potuto inceppare la mia macchina performativa. E, come sempre succede, non è accaduto nulla di ciò che immaginavo, ma è accaduto qualcos' altro.
Mi dispiace dovervi deludere, ma non vi racconterò cosa. Non vi racconterò cosa perché ho intenzione di raccontarlo un giorno nei particolari, e quel giorno non è ancora arrivato. Dirò soltanto che è scoppiata una crisi fra la destinataria di questa storia e il suo autore, che la crisi non aveva niente a che vedere con la storia ma per una sbalorditiva coincidenza è iniziata esattamente la sera prima della sua pubblicazione, e che si è conclusa, alcuni mesi più tardi, con una separazione tristissima per entrambi.
(Parlo di una sbalorditiva coincidenza ed è cosi, in questo modo razionale, che mi sforzo di considerarla. Ma è veramente un grosso sforzo: è molto difficile, quando una coincidenza ti sbalordisce fino a questo punto, non cedere alle lusinghe del pensiero magico. Non dirsi che gli dèi che hai osato sfidare hanno voluto darti una piccola lezione: cosi impari a giocare al demiurgo).
Ma insomma, alla fine no, lei il treno non l'ha preso. Mi ha chiamato la sera prima per dirmi che non l'avrebbe preso, che non poteva prenderlo. Allora l'ho preso io. Sono tornato a Parigi e ho fatto il tragitto che doveva fare lei. Ho occupato il posto che lei aveva lasciato libero, guardato i vicini che sarebbero stati i suoi, sono anche andato al bar, all' ora prevista, per vedere cosa succedeva. A dire il vero, non granché. Uno dei miei interlocutori, in seguito, mi ha fatto giustamente notare che il treno non era ben scelto: sul Parigi - La Rochelle in un sabato pomeriggio di luglio non ci sono che famiglie, numerose e borghesi; ben altra ispirazione mi avrebbe dato un Parigi-Marsiglia del venerdi sera, l'ambiente, sarebbe stato decisamente più caldo. E vero, ma se i racconti su «Le Monde» escono di sabato, cosa ci posso fare io?
Un'altra cosa che non avevo assolutamente previsto, erano le reazioni. Pensavo che il mio testo avrebbe fatto sorridere, e anche con una certa tenerezza, invece ha provocato un piccolo scandalo. È stata la polemica dell' estate. Ci sono stati favorevoli e contrari. Philippe Sollers si è dichiarato sconvolto che un quotidiano serio al quale lui collabora pubblicasse simili assurdità, Frédéric Beigbeder si è estasiato, parlando di prodigio letterario; quanto a «Le Monde», tenuto conto dell'elevato numero di missive indignate, uno dei suoi editorialisti, a nome della redazione, ha presentato le sue scuse ai lettori. Così facendo ha dimenticato una legge fondamentale del giornalismo, che pure non presenta eccezioni: quando il lettore ama un testo, scrive all' autore; quando non lo ama, scrive al caporedattore. lo avevo segnalato il mio indirizzo internet: a mio parere, l'editorialista avrebbe potuto darmi un colpo di telefono per farsi un'idea delle lettere che ricevevo io.
Perché la posta elettronica, nei giorni e nelle settimane seguenti, ha minacciato di esplodere. E del migliaio di mail che ho ricevuto, le mie statistiche saranno anche un po' sommarie ma direi che nove su dieci erano estremamente calorose. La maggior parte, come ho detto, mi ponevano le due domande alle quali ho risposto, sia pure in modo incompleto. Poi ovviamente c'erano proposte d'incontro, e proposte di un seguito, più o meno ispirate. Molte donne avevano fatto leggere il racconto all'uomo che amavano, e alcuni uomini alla donna che amavano. Molte poi dicevano che a loro sarebbe piaciuto tantissimo ricevere un regalo cosi, essere la ragazza attesa al binario di La Rochelle.
Per scrivere questa nota finale, a un anno e mezzo di distanza, ho dovuto rituffarmi nello scatolone in cui ho ammucchiato tutte le mail, Sorrido a rileggerle, sorrido quando scopro che in rete sono nati dei club di persone a cui sarebbe piaciuto essere su quel treno. Poi ritorno sul messaggio che più mi ha commosso e su quello che ho trovato più sgradevole: li avevo messi da parte, e visto che sono entrambi anonimi credo di poterli riportare qui, anche senza l'autorizzazione degli autori.
Ecco il più perverso:
« - Posso cominciare a leggere?
- Non ancora. Aspetta che il treno parta. Bisogna rispettare esattamente le consegne del testo.
Quando il treno si muove, tu cominci. Non prima. Ancora dieci minuti.
- Dimmi almeno la prima frase.
- D'accordo, la prima e poi basta. Comincia così: "Hai comprato 'Le Monde' all'edicola della stazione, prima di salire sul treno ... "
Lui invece ha comprato il quotidiano un'ora prima. Non aveva previsto di prendere il treno quel giorno. E stato il testo scritto dal marito a convincerlo. Quello strano racconto, pubblicato proprio questo venerdi. Naturalmente lei gli aveva accennato sia al racconto sia a "Le Monde" , ma non aveva precisato il contenuto del testo, Alla fine dell'ultima riga lui ha posato il giornale, ha pagato il caffè e si è infilato in un taxi verso la stazione, L'avrebbe raggiunta nel suo scompartimento, con discrezione, Lei non è parsa sorpresa di vederlo. Si è seduto di fronte a lei e le ha impartito le sue, di consegne. Le consegne dell' amante. Molto semplici, in realtà: niente altro che seguire scrupolosamente le istruzioni del testo. Con una sola, rilevante, differenza: che lui sarebbe stato lì. Che lui avrebbe riletto il racconto nel momento in cui lei lo scopriva. E che insieme si sarebbero presi gioco del marito. Lui li a fissarla per tutto il tragitto, a spiare il più minuto fremito della sua pelle, a immaginarla nuda sotto i vestiti, a vedere il suo dito scivolare sotto l'ascella, a indovinarle le parole sulle labbra: ho voglia del tuo cazzo dentro la mia fica. Si, ma il suo, di cazzo, Il suo cazzo enorme che la fa gridare. Perché l'amante non è un tipo delicato, un gaudente di lungo corso, un esteta di queste cose. L'amante, lui, la prende come una cagna, a grandi bordate, con le spalle contro il muro o nell'angolo di un parcheggio. La penetra fino a farla soffocare, con dei gran colpi di reni, la scava, e quando lei precipita nell'orgasmo, sfinita, assalita da tremiti nervosi, e si sente sommergere dal piacere in ondate brutali che le tagliano il respiro, lui sa che lei è molto più di una cosa sua, molto più di un animale addomesticato. Che lei è una parte di lui.
Ma oggi, niente. Soltanto guardarla. In realtà la guarda fare l'amore con suo marito, su un treno, a distanza. Prima di tutto non bisogna modificare nulla del progetto iniziale. Perché, via via che procede la sua scoperta del testo, il loro desiderio non farà che montare. Eccitarsi per le parole del marito sotto gli occhi dell' amante è una cosa che le darà un piacere nuovo e potente. Alla fine andranno a masturbarsi insieme, in un bagno. Lei davanti allo specchio, lui dietro. Lui starà bene attento a non eiaculare su di lei, a svuotarsi lentamente sul pavimento senza schizzarla. Dovranno essere forti per riuscire a non toccarsi.
Niente di fisico, sarà tutto e soltanto com'è scritto. E poi, per finire, la mail inviata all'arrivo. Appena sceso dal treno, mettersi, a cercare un cyber-café per inviare il messaggio. E questa, senza dubbio, la cosa che li eccita di più. Che il marito sappia senza smettere di dubitare. Intrappolarlo nel suo stesso gioco. "Le Monde", 600.000 lettori e sicuramente un bel numero di mail. Questa all'inizio lo farà sorridere. Si dirà: niente male. È scritta in modo appropriato, è divertente. E poi il dubbio finirà per insinuarsi. Hanno concordato che, qualsiasi forma assuma il seguito della storia, lei negherà tutto. Non una parola, non un indizio, niente. Mai più si riparlerà di questo viaggio.
Ecco, Emmanuel. La mia storia è finita. lo sono l'amante. Questo è un enunciato performativo. lo ti dichiaro guerra.
Prima di spedire il testo e dimenticarlo subito, ancora qualche parola per seminare definitivamente il dubbio: di notte, la cosa che le piace di più è addormentarsi raccolta a cucchiaio, sul fianco, con la schiena curva, e te (o me) incollato contro di lei».
Ed ecco il più commovente:
«È soltanto per dirle: grazie.
"Le Monde" di sabato 20 luglio mi è arrivato per caso, sono stati degli amici di passaggio a dimenticarlo a casa mia. L'ho lasciato li, in disordine, fino a oggi pomeriggio.
La casa è tranquilla. Fa bel tempo, molto caldo. E il momento giusto per il sonnellino ... mi capisce?
Allora ho letto. E anch'io, come lei, ho usato "Le Monde".
E mi ha dato piacere.
Chi mi dava piacere in questo stesso modo, oggi si ritrova, come dire, un po' impedito, almeno nella maniera più semplice e diretta. Però sa che con me le parole sono efficaci. Per questo si è servito di lei, almeno credo, si è servito delle sue parole, e allora è giusto che io la ringrazi per avermi trasmesso il suo messaggio.
Chi mi dava piacere è morto da quasi cinque anni. Da allora, il sonnellino credo di non averlo fatto più.
lo ho settant' anni.
Ancora grazie».