OLTRE IL RECINTO
Philip K. Dick
Racconti inediti
Volume 2
La Terra puntava verso le sei del pomeriggio; la giornata lavorativa era quasi finita. I dischi dei pendolari si sollevavano in densi sciami e lasciavano in volo la zona industriale diretti verso i circostanti anelli residenziali. Come falene, le fitte nuvole di dischi oscuravano il cielo della sera. Silenziosi, leggeri, trasportavano i passeggeri verso casa, verso le famiglie in attesa, pasti caldi e un buon letto.
Don Walsh era il terzo occupante del suo disco, e completò il carico. Mentre lasciava cadere la moneta nella fessura la pedana si sollevò con impazienza. Walsh si appoggiò riconoscente all'invisibile ringhiera di sicurezza e srotolò il giornale della sera. Di fronte a lui gli altri due pendolari stavano facendo la stessa cosa.
L'EMENDAMENTO HORNEY
ALIMENTA LA DISPUTA
Walsh rifletté sul significato di quel titolo. Abbassò il giornale per ripararlo dalle forti correnti d'aria e lesse con attenzione il successivo titolo.
GRANDE ATTESA PER LUNEDÌ
L'INTERO PIANETA ALLE ELEZIONI
Sul retro del foglio si parlava dello scandalo del giorno.
UCCIDE IL MARITO PER
DIVERGENZE POLITICHE
Poi c'era un titolo che gli procurò degli strani brividi alla base della spina dorsale. L'aveva già visto più di una volta, ma lo faceva sempre stare male.
UNA FOLLA DI PURISTI LINCIA
UN NATURALISTA A BOSTON
FINESTRE ROTTE E GRAVI DANNI
E nella colonna successiva:
UNA FOLLA DI NATURALISTI LINCIA
UN PURISTA A CHICAGO
EDIFICI IN FIAMME E GRAVI DANNI
Di fronte a Walsh, uno dei suoi compagni di viaggio stava cominciando a parlottare ad alta voce. Era un uomo grosso e ben piantato, di mezza età, con i capelli rossi e i lineamenti segnati dalla birra. All'improvviso appallottolò il giornale e lo gettò dal disco. «Non passeranno mai!», gridò. «Non la faranno franca!»
Walsh seppellì il naso nel giornale e tentò disperatamente di ignorare l'uomo. Stava succedendo di nuovo, la cosa che temeva ad ogni ora del giorno. Una discussione politica. Il terzo pendolare aveva abbassato il giornale; diede un'occhiata di sfuggita all'uomo con i capelli rossi e poi continuò a leggere.
L'uomo dai capelli rossi si rivolse a Walsh. «Lei ha firmato la Petizione Butte?» Prese dalla tasca una piastrina mentale e la sbatté in faccia a Walsh. «Non abbia paura di firmare per la libertà».
Walsh strinse il giornale e girò disperatamente lo sguardo oltre il bordo del disco. Le unità residenziali di Detroit si stavano avvicinando; era quasi arrivato a casa. «Mi spiace», farfugliò. «Grazie, no grazie».
«Lo lasci in pace», disse l'altro abbonato all'uomo con i capelli rossi. «Non vede che non vuole firmare?»
«Si faccia gli affari suoi». L'uomo dai capelli rossi si avvicinò a Walsh, protendendo con aria minacciosa la piastrina. «Senti, amico. Lo sai che cosa significa per te e per i tuoi se questa roba passa? Credi di essere al sicuro? Svegliati, amico. Se approvano l'Emendamento Horney, tanti saluti a libertà e giustizia».
L'altro passeggero ripose tranquillamente il giornale. Era magro, ben vestito ed aveva i capelli grigi. Il tipico cosmopolita. Si tolse gli occhiali e disse, «Per me, tu puzzi di Naturalista».
L'uomo dai capelli rossi studiò il suo avversario e notò il largo anello di plutonio nella sua mano snella: una pesante striscia metallica con le estremità aperte. «E tu che cosa sei?», disse di rimando l'uomo con i capelli rossi, «un Purista baciaculi? Bah!» Sputò in atto di disgusto e tornò da Walsh. «Stammi a sentire, amico, tu lo sai che cosa vogliono questi Puristi. Vogliono fare di noi dei degenerati. Ci trasformeranno in una razza di donnicciole. Se Dio ha fatto l'universo in questo modo, per me va bene. Quelli vanno contro Dio quando vanno contro la natura. Questo pianeta è stato costruito da uomini con il sangue nelle vene, che erano fieri dei loro corpi, fieri dell'aspetto che avevano e dell'odore che emanavano». Si batté sul petto. «Perdio, io sono fiero del mio odore!»
Walsh tentò disperatamente di prendere tempo. «Io...», farfugliò. «No, non posso firmarlo».
«Hai già firmato?»
«No».
I lineamenti bovini dell'uomo con i capelli rossi tradirono il sospetto. «Vuoi dire che sei a favore dell'Emendamento Horney?» La sua voce cupa divenne furente. «Tu vuoi vedere la fine dell'ordine naturale delle...»
«Devo scendere qui», lo interruppe Walsh, tirando bruscamente il cordone di fermata del disco. Il velivolo si abbassò verso il gancio magnetico all'estremità della sua sezione di unità, una fila di riquadri bianchi che attraversavano il fianco verde e marrone della collina.
«Aspetta un attimo, amico». L'uomo dai capelli rossi allungò minacciosamente la mano verso il braccio di Walsh, mentre il disco scivolava fino a fermarsi sulla superficie piatta del gancio. C'erano file di vetture parcheggiate: mogli in attesa di riportare a casa i mariti. «Non mi piace il tuo modo di fare. Hai fifa di alzarti in piedi e di esporti? Ti vergogni di appartenere alla tua razza? Perdio, se non sei abbastanza uomo da...»
L'uomo magro con i capelli grigi lo colpì con l'anello di plutonio, e la presa sul braccio di Walsh si allentò. La piastrina della petizione cadde al suolo tintinnando e i due si misero a lottare strenuamente senza fare rumore.
Walsh spinse di lato la ringhiera di sicurezza e balzò dal disco sui tre gradini del gancio e da qui direttamente sul piano di parcheggio. Nel buio incombente della sera riuscì a distinguere l'automobile di sua moglie; Betty era seduta davanti alla TV del cruscotto, inconsapevole di lui e della silenziosa lotta fra il Naturalista con i capelli rossi e il Purista con i capelli grigi.
«Bestia», stava ansimando il secondo, mentre si tirava su. «Animale puzzolente!»
L'uomo con i capelli rossi si era accasciato semisvenuto contro la ringhiera di sicurezza. «Maledetto... finocchio!», grugnì.
L'uomo con i capelli grigi premette il pulsante di partenza, e il disco si sollevò al di sopra di Walsh, riprendendo il suo cammino. Walsh fece grandi cenni con la mano in segno di ringraziamento. «Grazie», gridò. «Lo apprezzo molto».
«Di nulla», rispose allegramente l'uomo con i capelli grigi toccandosi un dente rotto. Man mano che il disco guadagnava quota la sua voce diminuiva di intensità. «Sono sempre lieto di aiutare un compagno...» L'ultima parola giunse quasi inaudibile alle orecchie di Walsh. «... Purista».
«Non lo sono!», strillò inutilmente Walsh. «Non sono né un Purista né un Naturalista! Mi hai sentito?»
Nessuno lo aveva sentito.
«Non lo sono», ripeté monotonamente Walsh mentre era seduto a tavola per la cena mangiando crema di granturco, patate e bistecca «Non sono un Purista e non sono un Naturalista. Perché dovrei essere l'uno o l'altro? Non c'è posto per un uomo che abbia un'opinione personale?»
«Mangia la tua cena, caro», mormorò Betty.
Attraverso le pareti sottili della sala da pranzo giungeva l'eco dei rumori di altre famiglie a cena, e di altre conversazioni. Il metallico vociare dei televisori. Il ronzio delle cucine e dei frigoriferi e dei condizionatori d'aria e degli impianti di riscaldamento. Di fronte a Walsh c'era suo cognato Carl che si stava ingozzando un secondo piatto di cibo fumante. Accanto a lui suo figlio Jimmy, quindicenne, stava leggendo un'edizione rilegata in carta del Finnegan's Wake acquistata nel grande magazzino sotterraneo che riforniva l'unità abitativa di Walsh.
«Non leggere a tavola», disse irosamente Walsh al figlio.
Jimmy alzò gli occhi. «Non trattarmi come uno scemo. Io conosco le regole dell'unità, e questa non c'è davvero. E comunque devo leggere questo libro prima di andare via».
«Dove vai stanotte, caro?», gli chiese sua madre.
«Affari ufficiali del partito», rispose evasivamente Jimmy. «Non posso dirvi di più».
Walsh si concentrò sul cibo e tentò di porre un freno alla sfilza di pensieri che urlavano nella sua mente. «Mentre tornavo a casa dal lavoro», disse, «c'è stata una lotta».
Jimmy dimostrò interesse. «Chi ha vinto?»
«Il Purista».
Un lampo di orgoglio si disegnò sul volto del ragazzo; lui era sergente della Lega dei Giovani Puristi. «Papà, dovresti cominciare a muoverti. Firma, così lunedì potrai votare».
«Io voterò lo stesso».
«No, se non sei un membro di uno dei due partiti».
Era vero. Walsh distolse lo sguardo dal figlio con aria infelice, e pensò ai giorni futuri. Si vide coinvolto in squallide e interminabili situazioni come quella che aveva vissuto quel pomeriggio; a volte sarebbe stato aggredito dai Naturalisti, ed altre volte (come gli era successo la settimana prima) da qualche Purista infuriato.
«Lo sai», intervenne il cognato, «che tu stai aiutando i Puristi solo standotene qui seduto senza fare niente?» L'uomo ruttò con soddisfazione e spinse via il piatto vuoto. «Tu sei uno di quelli che noi definiamo un filopurista inconsapevole». Poi guardò Jimmy. «Quanto a te, saputello, se tu fossi maggiorenne ti darei una bella lezione».
«Vi prego», sospirò Betty. «Niente discussioni politiche a tavola. Cerchiamo di stare tranquilli, invece. Sarò proprio contenta quando le elezioni saranno concluse».
Carl e Jimmy si fissarono, continuando a mangiare senza fretta. «Tu dovresti mangiare in cucina», disse a un certo punto Jimmy. «Sotto la cappa del camino. È quello il posto che ti spetta. Ma guardati... puzzi di sudore». Smise di mangiare e sogghignò malignamente. «Quando avremo fatto approvare l'Emendamento, sarà meglio che tu provveda, se non vuoi finire in galera».
Carl avvampò. «Voialtri smidollati non ci riuscirete, a farlo approvare». Ma la sua voce rauca mancava di convinzione. I Naturalisti temevano le elezioni, perché i Puristi avevano il controllo del Consiglio Federale. E se le elezioni si fossero risolte a favore di questi ultimi, era davvero possibile che la legge sull'osservanza obbligatoria dei cinque punti del codice Purista diventasse realtà. «Nessuno mi costringerà a farmi togliere le ghiandole sudorifere», borbottò Carl. «E nessuno mi imporrà il controllo dell'alito, lo sbiancamento dei denti e l'impianto dei capelli. È una scelta di vita, essere sporco e pelato, grasso e vecchio».
«È vero?», chiese Betty al marito. «Sei davvero un filopurista inconsapevole?»
Don Walsh riuscì pazientemente a infilzare con la forchetta un rimasuglio di bistecca. «Poiché non sono né dell'uno né dell'altro partito, mi dicono che sono un filopurista inconsapevole o un filonaturalista inconsapevole. Io dico che le due cose si equilibrano. Se sono contro tutti allora non sono contro nessuno». Poi aggiunse: «Né a favore».
«Voi Naturalisti non avete niente da offrire al futuro», riprese Jimmy, rivolto a Carl. «Che cosa potete dare ai giovani del pianeta... come me? Caverne e carne cruda e una vita da animali. Siete contro la civiltà».
«Sono solo battute», ribatté Carl.
«Voi volete riportarci ad un'esistenza primitiva, lontano dalla integrazione sociale». Eccitato, Jimmy agitò il dito magro davanti al volto dello zio. «Voi avete un'inclinazione talamica!»
«Ti spacco la testa», ringhiò Carl, alzandosi dalla sedia. «Voi Puristi non avete nessun rispetto per quelli più anziani».
Jimmy ridacchiò. «Mi piacerebbe vederti. Sono cinque anni di prigione, per chi malmena un minore. Su... picchiami».
Don Walsh si alzò stancamente e lasciò la sala da pranzo.
«Dove vai?», gli gridò dietro Betty, irritata. «Non hai finito di mangiare».
«Il futuro appartiene ai giovani», continuò Jimmy. «E i giovani del pianeta sono tutti Puristi convinti. Non avete la minima possibilità. La rivelazione Purista è imminente».
Don Walsh lasciò l'appartamento e imboccò il corridoio comune che portava alla scala. Su entrambi i lati c'era una fila di porte chiuse. Dietro si sentivano suoni, luci e segni di attività, la presenza ravvicinata di famiglie e di interazioni domestiche. Oltrepassò un ragazzo e una ragazza che amoreggiavano nell'oscurità e raggiunse la scala. Si fermò un attimo, poi riprese di scatto il cammino scendendo la scala che portava al livello più basso dell'unità.
Il livello era deserto. Sopra di lui i rumori della gente si erano trasformati in echi che giungevano ovattati dal soffitto di cemento. Accorgendosi di essersi immerso nell'isolamento e nel silenzio avanzò pensierosamente tra la drogheria buia e il negozio degli alimenti essiccati, oltrepassò la profumeria e la bottega dei liquori, la lavanderia e la farmacia, l'ambulatorio del dentista e quello del medico generico, e giunse nell'anticamera dell'analista.
Vide l'analista all'interno della sua stanza. Era seduto immobile e silenzioso, nelle ombre scure della sera. Nessuno lo stava consultando, e l'analista era spento. Walsh esitò, poi attraversò il cancelletto di controllo dell'anticamera e bussò alla porta trasparente. La presenza del suo corpo fece chiudere interruttori e relè: d'improvviso le luci dell'ufficio interno si accesero e l'analista si raddrizzò, sorrise e si alzò in piedi per metà.
«Don», lo salutò con calore. «Entra pure e mettiti seduto».
Lui entrò e si sedette stancamente. «Ho pensato che forse avrei potuto parlare con te, Charley», disse.
«Certo Don». Il robot si piegò in avanti sull'ampia scrivania di mogano per controllare l'ora. «Ma non è ora di cena?»
«Sì», ammise Walsh. «Non ho fame. Charley, ti ricordi di che cosa abbiamo parlato l'ultima volta... ricordi quello che stavo dicendo? Quello che mi preoccupava?»
«Certamente, Don». Il robot si appoggiò allo schienale della poltrona girevole e appoggiò i gomiti sulla scrivania, fissando amorevolmente il suo paziente. «Come te la sei passata, in questi ultimi due giorni?»
«Non troppo bene. Charley, io devo fare qualcosa, e solo tu puoi aiutarmi; tu non sei prevenuto». Fece appello a quel volto quasi umano di plastica e metallo. «Tu puoi vedere la faccenda in modo obbiettivo, Charley. Come faccio a scegliere uno dei due partiti? Tutti i loro slogan e la loro propaganda mi sembrano così dannatamente... sciocchi. Come diavolo posso eccitarmi per la pulizia dei denti o per l'odore delle ascelle? La gente si ammazza, per queste sciocchezze... tutto questo non ha senso. Se quell'Emendamento passa, qui scoppierà una guerra civile suicida, e pare che io debba per forza scegliere una parte o l'altra».
Charley annuì. «Ho afferrato il problema, Don».
«E io dovrei andare in giro a rompere la testa a qualcuno perché puzza o non puzza? A gente che non ho mai visto prima? Non lo farò. Mi rifiuto. Ma perché non mi lasciano in pace? Perché non posso avere le mie... opinioni? Perché devo per forza entrare a far parte di questa... follia?»
L'analista fece un sorriso indulgente. «È un bel problema, Don. Tu non sei in sintonia con la società di cui fai parte, capisci. Perciò i suoi usi e il suo clima culturale ti sembrano poco persuasivi. Ma questa è la tua società, ed è qui che devi vivere. Non puoi tirarti indietro».
Walsh dovette fare uno sforzo per calmare il tremore delle mani. «Ecco come la vedo io. A chiunque dovrebbe essere consentito di emanare odori, se ne ha voglia. Se invece uno non vuole, che si faccia rimuovere le ghiandole. Cosa c'è di strano?»
«Don, tu stai aggirando il problema». La voce del robot era calma e priva di emozione. «Tu stai affermando che nessuna delle due parti ha ragione. E questo è sciocco, non credi? Una parte deve per forza avere ragione».
«Perché?»
«Perché le due parti esauriscono tutte le possibilità pratiche. La tua non è veramente una posizione... è una specie di approccio razionale. Vedi, Don, tu hai un'incapacità psicologica ad affrontare le situazioni. Non vuoi comprometterti per paura di dover rinunciare alla tua libertà ed alla tua individualità. La tua è una sorta di verginità intellettuale; vuoi rimanere puro».
Walsh rifletté. «Io voglio», disse poi, «conservare la mia integrità».
«Ma tu non sei un individuo isolato, Don. Tu fai parte di una società... le idee non sono sospese nel vuoto».
«Io ho il diritto di avere le mie idee».
«No, Don», rispose dolcemente il robot. «Le idee non sono tue, non le hai create tu. Non puoi averle e non averle come ti fa comodo. Operano dentro di te... sono condizionamenti derivati dal tuo ambiente. Quello che tu credi è il riflesso di certe forze e pressioni sociali. Nel tuo caso le due tendenze sociali reciprocamente esclusive hanno prodotto una specie di stallo. Tu sei in guerra con te stesso... non sai decidere da che parte stare perché in te esistono elementi di entrambe le parti». Giudiziosamente, il robot rafforzò il concetto con un cenno affermativo del capo. «Ma devi prendere una decisione. Devi risolvere questo conflitto ed agire. Non puoi rimanere uno spettatore... devi partecipare. Nessuno può limitarsi a guardare la vita... e questa è la vita».
«Vuoi dire che non esiste altro che questa storia di sudore, denti e capelli?»
«Logicamente ci sono altre società. Ma tu sei nato in questa, e questa è la tua società... l'unica che avrai mai. O vi vivi dentro, o non vivi affatto».
Walsh si alzò in piedi. «In altre parole, sono io che devo adeguarmi. Qualcuno deve cedere, e quello sono io».
«Temo di si, Don. Sarebbe sciocco aspettarsi che siano gli altri ad adeguarsi a te, non credi? Tre miliardi e mezzo di persone dovrebbero cambiare solo per far piacere a Don Walsh. Vedi, Don, tu non hai superato del tutto la fase di egoismo infantile. Non sei ancora riuscito a capire che cosa significhi affrontare la realtà». Il robot sorrise. «Ma ci riuscirai».
Walsh lasciò l'ufficiò di malumore. «Ci penserò sopra».
«È per il tuo bene, Don».
Giunto alla porta, Walsh si girò per dire qualcos'altro, ma il robot si era già disattivato, ed era ricaduto nell'oscurità e nel silenzio, con i gomiti ancora appoggiati sulla scrivania. Mentre le luci si spegnevano, Walsh si accorse di una cosa che non aveva notato prima. Al cavo che costituiva il cordone ombelicale del robot era fissata una targhetta di plastica bianca. Nella semioscurità riuscì a leggere le parole che vi erano stampate:
PROPRIETÀ DEL CONSIGLIO FEDERALE
SOLO PER USO PUBBLICO
Il robot, come ogni altra cosa dell'unità multifamiliare, era fornito dalle istituzioni di controllo della società. L'analista era una creatura dello stato, un burocrate con una scrivania ed un lavoro. La sua funzione era quella di omologare le persone come Don Walsh al mondo così come era.
Ma se non doveva dare retta all'analista dell'unità, allora a chi poteva rivolgersi? Dove poteva andare?
Tre giorni più tardi ebbero luogo le elezioni. Il vistoso titolo del giornale non gli rivelò nulla che già non sapesse; era tutto il giorno che nel suo ufficio arrivavano chiamate sull'argomento. Infilò il giornale nella tasca del cappotto, e non lo guardò più finché non fu tornato a casa.
VITTORIA SCHIACCIANTE DEI PURISTI
SICURA L'APPROVAZIONE
DELL'EMENDAMENTO HORNEY
Walsh si appoggiò stancamente allo schienale della poltrona. In cucina Betty stava preparando la cena; il piacevole rumore dei piatti che sbattevano e il profumo dei cibi cucinati permeava il piccolo ma pulito appartamento.
«I Puristi hanno vinto», disse Don quando Betty apparve con una manciata di tazze e di posate. «È finita».
«Jimmy ne sarà felice», rispose evasivamente Betty. «Mi chiedo se Carl tornerà a casa in tempo per la cena». Fece qualche rapido calcolo in silenzio. «Forse dovrei scendere a comperare dell'altro caffè».
«Non capisci?» scattò Walsh. «È successo! I Puristi hanno tutto il potere!»
«Capisco», rispose stizzita Betty. «Non c'è bisogno di gridare. Hai poi firmato quella petizione? La Petizione Butte che i Naturalisti hanno fatto circolare?»
«No».
«Grazie al cielo. Non ci speravo. Meglio non firmare mai niente per nessuno». Si appoggiò alla porta della cucina. «Spero che Carl abbia abbastanza buon senso da fare qualcosa. Detesto vederlo seduto in poltrona a ingozzarsi di birra e a puzzare come un maiale durante l'estate».
La porta dell'appartamento si aprì e Carl si precipitò dentro, paonazzo e accigliato. «Non preparare la cena per me, Betty. Sarò ad una riunione straordinaria del partito». Diede un'occhiata fuggevole a Walsh. «Sei contento, adesso? Se tu ci avessi dato una mano, forse tutto questo non sarebbe successo».
«Quanto ci metteranno ad approvare l'Emendamento?», gli domandò Walsh.
Carl scoppiò in una risata nervosa. «L'hanno già approvato». Afferrò dal tavolo una manciata di giornali e li infilò nell'inceneritore dei rifiuti. «Abbiamo degli informatori al quartier generale dei Puristi. Appena prestato il giuramento i consiglieri neoeletti hanno dato via libera all'Emendamento. Vogliono coglierci di sorpresa». Fece un sorriso cattivo. «Ma non ci riusciranno».
La porta sbatté e i passi frettolosi di Carl lungo il corridoio si spensero pian piano.
«Non l'ho mai visto correre così», osservò Betty con aria perplessa.
Ascoltando il rumore pesante e cadenzato dei passi di Carl, Don Walsh fu colto da una sensazione di orrore. Uscito dall'unità, Carl salì rapidamente a bordo della sua vettura di superficie, accese il motore e si allontanò rombando. «Ha paura», disse Walsh. «È in pericolo».
«Credo che saprà badare a se stesso. È abbastanza grande».
Walsh si accese una sigaretta con le mani che gli tremavano. «Tuo fratello non è grande quanto sarebbe necessario. Non posso credere che intendano davvero farlo; approvare un emendamento come questo, e costringere tutti ad accettare la loro idea di ciò che è giusto. Ma erano anni che si preparava... questo è soltanto l'ultimo gradino di una lunga scala».
«Vorrei che la facessero finita una volta per tutte», disse Betty con tono lamentoso. «Ma è sempre stato così? Non mi ricordo che da bambina ci fossero tutte queste discussioni politiche».
«Allora non la chiamavano politica. Gli industriali martellavano la gente perché spendesse e consumasse. Tutto ruotava attorno alla pulizia dei denti, dei capelli e del corpo, la gente ha risposto all'appello, e così siamo arrivati a questa ideologia».
Betty apparecchiò e portò in tavola i piatti con il cibo. «Intendi dire che il movimento politico dei Puristi ha avuto inizio consapevolmente?»
«All'inizio non si resero conto di essere vittime di una forte sollecitazione. Non sapevano che i loro figli sarebbero cresciuti ritenendo i dentifrici, i deodoranti e i balsami per capelli le cose più importanti del mondo. Cose per cui valeva la pena di lottare e di morire. Cose abbastanza importanti da uccidere chi non la pensasse nello stesso modo».
«I Naturalisti erano contadini?»
«Erano persone che vivevano al di fuori delle città e non erano condizionati da alcuno stimolo». Walsh scosse la testa, irritato. «È incredibile che un uomo arrivi ad uccidere un suo simile per sciocchezze del genere. Nella storia ci sono tanti esempi di uomini che si sono uccisi per parole vuote, o per affermazioni assurde stimolate da qualcun altro... che rimane nell'ombra e ne gode i benefici».
«Non sono assurde, per chi ci crede».
«È assurdo uccidere un'altra persona perché ha l'alito cattivo! È assurdo picchiare qualcuno perché non si è fatto togliere le ghiandole sudorifere e non si è fatto installare dei tubi per l'eliminazione dei rifiuti. Sta per scoppiare una guerra folle: i Naturalisti hanno riempito di armi il loro quartier generale. Moriranno degli uomini, come se avessero combattuto per qualcosa di giusto».
«È ora di mangiare, caro», disse Betty, indicando la tavola.
«Non ho fame».
«Smettila di preoccuparti e mangia. O ti verrà il mal di stomaco, e lo sai che significa».
Walsh sapeva bene che cosa significava. Significava che la sua vita era in pericolo. Un rutto in presenza di un Purista, e si sarebbe trovato fra la vita e la morte. Non c'era posto nello stesso mondo per uomini che ruttavano e uomini che non sopportavano gli uomini che ruttavano. Qualcosa doveva succedere... ed era già successa. L'Emendamento era stato approvato e i Naturalisti avevano i giorni contati.
«Jimmy farà tardi stasera», disse Betty, servendosi costolette di agnello, piselli e crema di granturco. «C'è una specie di festa dei Puristi. Discorsi, sfilate, e riunioni alla luce delle torce». Poi aggiunse, con aria meditabonda: «Non possiamo andare laggiù a dare un'occhiata anche noi, vero? Sarebbe carino, con tutte quelle luci e le marce e i canti».
«Va' pure», rispose distrattamente Walsh, mentre portava alla bocca una cucchiaiata di cibo. Lo mangiò senza nemmeno sentirne il sapore. «Divertiti».
Stavano ancora mangiando, quando la porta si spalancò e Carl si precipitò dentro. «È rimasto niente per me?», domandò.
Betty accennò ad alzarsi, sbalordita. «Carl! Tu non... non odori più».
Carl si mise a sedere e afferrò il piatto con le costolette di agnello. Poi si controllò, e scelse educatamente una delle più piccole, aggiungendovi una minuscola porzione di piselli. «Ho fame», disse, «ma non tanta». Mangiò con calma con la punta della forchetta.
Walsh lo osservò senza credere ai suoi occhi. «Che diavolo ti è successo?», gli chiese. «Ai tuoi capelli... e ai denti, e all'alito. Che cosa hai fatto?»
Senza alzare lo sguardo, Carl rispose: «Tattiche di partito. Stiamo effettuando una ritirata strategica. Di fronte all'Emendamento non ha senso comportarsi in maniera temeraria. Cavolo, non abbiamo intenzione di farci macellare». Bevve del caffè tiepido. «Per dirla tutta, ci siamo dati alla clandestinità».
Walsh abbassò lentamente la forchetta. «Vuoi dire che non avete intenzione di combattere?»
«Diavolo, no. Sarebbe un suicidio». Carl si guardò intorno con aria furtiva. «Ora stammi a sentire. Io sono completamente in regola rispetto alle disposizioni dell'Emendamento Horney: nessuno può farmi la minima osservazione. Quando i piedipiatti verranno a ficcare il naso da queste parti, tenete la bocca chiusa. L'Emendamento concede il diritto di abiura, e tecnicamente è quello che abbiamo fatto. Siamo puliti, non possono toccarci. Ma teniamo le chiacchiere per noi». Mostrò un piccolo cartoncino azzurro. «Una tessera Purista. Retrodatata. L'avevamo programmato per qualsiasi evenienza».
«Oh, Carl!», esclamò Betty. «Sono così contenta. Hai un aspetto proprio... magnifico!»
Walsh non disse nulla.
«Qual è il problema?», gli chiese la moglie. «Non è questo ciò che volevi? Tu non volevi che lottassero e si uccidessero fra loro...» La voce divenne stridula. «Non sei soddisfatto di niente? Questo è ciò che volevi eppure sei ancora scettico. Che diavolo vuoi... di più?»
Si udì un rumore provenire da sotto l'unità. Carl si drizzò a sedere e per un attimo divenne pallidissimo. Se fosse stato possibile avrebbe cominciato a sudare. «È la polizia per il controllo della conformità», disse con voce impastata. «Restate seduti e tranquilli; si limiteranno a dare un'occhiata e se ne andranno».
«Oh, caro», ansimò Betty. «Spero che non rompano niente. Forse è meglio che vada a darmi una rinfrescata».
«Resta seduta», le ordinò Carl fra i denti. «Non hanno ragione di sospettare nulla».
Quando la porta si apri, Jimmy sembrava un nano in mezzo ai poliziotti in divisa verde.
«Eccolo!» strillò Jimmy, indicando Carl. «È un ufficiale dei Naturalisti. Odoratelo!»
I poliziotti irruppero con decisione nella stanza. In piedi di fronte all'immobile Carl, lo esaminarono brevemente, poi si allontanarono. «Nessun odore corporale», disse il sergente. «Niente alitosi. Capelli folti e ben pettinati». Fece un cenno e Carl, obbediente, aprì la bocca. «Denti bianchi, e puliti. Non c'è nulla di inaccettabile. No, quest'uomo è a posto».
Jimmy guardò infuriato Carl. «Proprio in gamba».
Carl continuò stoicamente a mangiare, ignorando il ragazzo e i poliziotti.
«Pare che abbiamo colpito al cuore la resistenza dei Naturalisti», disse il sergente al microfono che portava al collo. «Almeno in quest'area non c'è opposizione organizzata».
«Bene», rispose la voce al telefono. «Quella era una delle loro roccaforti. Andremo avanti, e comunque abbiamo a disposizione il dispositivo per la purificazione obbligatoria. Dovrebbe essere operativo quanto prima».
Uno dei poliziotti rivolse la sua attenzione a Walsh. Dilatò le narici e un'espressione dura ed ambigua gli attraversò il volto. «Come si chiama?», chiese.
Walsh glielo disse.
I poliziotti gli si avvicinarono cautamente. «Odore corporale», disse uno. «Ma capelli completamente reimpiantati e in ordine. Apra la bocca».
Walsh aprì la bocca.
«Denti bianchi e puliti. Ma...» Il poliziotto annusò. «Debole alitosi... stomaco in disordine. Non capisco. È un Naturalista o no?»
«Non è un Purista» affermò il sergente. «Nessun Purista emanerebbe odore dal corpo. Perciò deve essere un Naturalista».
Jimmy si fece avanti. «Quest'uomo», spiegò ai poliziotti, «è solo un simpatizzante. Non è un membro del partito».
«Lo conosci?»
«È... è un mio parente», ammise Jimmy.
Il poliziotto prese degli appunti. «Ha frequentato dei Naturalisti ma non è mai passato del tutto dall'altra parte?»
«È al confine», annuì Jimmy. «È un... quasi-Naturalista. Può essere salvato. Non dovrebbe essere un caso criminale».
«Azione di recupero», annotò il sergente. «Va bene, Walsh», disse poi rivolto a Don. «Prenda le sue cose e venga con noi. Per quelli come lei l'Emendamento prevede la purificazione obbligatoria. Non perdiamo altro tempo».
Walsh colpì il sergente alla mascella.
Il sergente finì goffamente a gambe all'aria, stordito e incredulo. Gli altri poliziotti estrassero istericamente le pistole e si sparpagliarono per la stanza, urlando e scontrandosi l'un l'altro. Betty cominciò a gridare come un'ossessa, e la voce stridula di Jimmy si perse nella confusione generale.
Walsh afferrò una lampada da tavolo e la sfasciò in testa a un poliziotto. Le luci dell'appartamento tremolarono e si spensero; la stanza divenne una baraonda di urlante oscurità. Walsh s'imbatté in un corpo, e lo colpì con una ginocchiata. Il corpo si accasciò con un gemito di dolore. Per un attimo si perse anche lui in quel tumulto rumoroso, poi le sue dita trovarono la porta di casa. La spalancò e uscì a tentoni nel corridoio.
Una figura lo seguì, mentre lui raggiungeva l'ascensore per scendere. «Perché?» gemette infelicemente Jimmy. «Avevo sistemato tutto... non dovevi preoccuparti di niente!»
La sua vocetta metallica svanì mentre l'ascensore si tuffava verso il piano terra. Alle spalle di Walsh i poliziotti stavano già uscendo con cautela nel corridoio, e il rumore dei loro stivali riecheggiò sinistramente nel silenzio.
Diede un'occhiata all'orologio. Probabilmente aveva solo quindici o venti minuti. Lo avrebbero preso, per allora, era inevitabile. Respirò a fondo, uscì dall'ascensore e con la maggior calma possibile si incamminò nel buio e deserto settore commerciale, in mezzo alle file di negozi neri.
Charley era acceso ed animato, quando Walsh entrò nell'anticamera. C'erano due uomini in attesa, mentre un terzo stava per iniziare il colloquio. Ma quando vide l'espressione sul volto di Walsh, il robot gli fece subito un cenno con le mani.
«Cosa succede, Don?», gli chiese, indicandogli una sedia. «Siediti e dimmi quello che ti passa per la testa».
Walsh glielo disse.
Quando ebbe finito, l'analista si appoggiò all'indietro ed emise un fischio appena accennato. «È un crimine, Don. Ti congeleranno per questo. Lo prevede un articolo del nuovo Emendamento».
«Lo so», annuì Walsh. Non provava nessuna emozione. Per la prima volta dopo tanti anni l'incessante turbinio di pensieri e sentimenti era stato cancellato dalla sua mente. Era solo un po' stanco, tutto lì.
Il robot scosse il capo. «Bene, Don, hai finalmente saltato il recinto. È già qualcosa; alla fine ti sei mosso». Infilò pensieroso la mano nel cassetto superiore della scrivania e ne estrasse un blocchetto di carta. «È già qui il furgone della polizia?»
«Mentre entravo nell'anticamera ho sentito le sirene. Stanno arrivando».
Le dita metalliche del robot tamburellavano incessantemente sul piano della grossa scrivania di mogano. «La tua improvvisa perdita di inibizioni indica il momento dell'integrazione psicologica. Non sei più indeciso, vero?»
«No», rispose Walsh.
«Bene. Prima o poi doveva succedere, comunque. Però mi dispiace che sia successo in questo modo».
«A me no», ribatté Walsh. «Questo era l'unico modo possibile. Adesso ho le idee chiare. Essere indecisi non è necessariamente una cosa negativa. Non trovare nulla di valido negli slogan, nei partiti organizzati, negli ideali e nel morire per essi può essere di per sé un buon motivo per cui morire. Io credevo di non avere ideali... e adesso mi sono accorto di avere un ideale molto forte».
Il robot non lo stava ascoltando. Scrisse qualcosa sul blocchetto, lo firmò e strappò il foglio di carta. «Tieni». E lo diede sbrigativamente a Walsh.
«Che cos'è?», gli chiese Walsh.
«Non voglio che qualcosa interferisca con la tua terapia. Tu stai finalmente venendo fuori... e noi dobbiamo continuare ad operare». Il robot si alzò rapidamente in piedi. «Buona fortuna, Don. Mostralo alla polizia, e se c'è qualche problema fammi chiamare da loro».
Il foglio di carta era un buono della Commissione Psichiatrica Federale. Walsh lo rigirò fra le dita senza capire. «Vuoi dire che questo mi tirerà fuori dalla faccenda?»
«Tu hai agito sotto lo stimolo di una costrizione. Non eri responsabile di te stesso. Naturalmente ci sarà un rapido esame, ma niente di cui preoccuparsi». Il robot gli diede una pacca amichevole sulla spalla. «È stato il tuo ultimo atto nevrotico... adesso sei libero. Hai avuto un atteggiamento imposto; in senso stretto, l'affermazione simbolica della libido... senza nessuna rilevanza politica».
«Capisco», disse Walsh.
Il robot lo spinse decisamente verso la porta che dava sull'esterno. «Adesso esci e consegna quel foglio ai poliziotti». Il robot fece uscire una bottiglietta dal petto di metallo. «E prendi una di questa capsule prima di andare a dormire. Niente di serio, solo un blando sedativo per calmarti i nervi. Andrà tutto bene, e mi aspetto di rivederti presto. E ricordati una cosa: finalmente stiamo facendo dei progressi veri».
Walsh si ritrovò all'esterno nell'oscurità della notte. Un furgone della polizia era parcheggiato davanti all'ingresso dell'unità, un'enorme e minacciosa sagoma nera che si stagliava contro il cielo smorto. Un gruppetto di curiosi si era radunato ad una certa distanza, cercando di capire che cosa fosse successo.
Walsh si infilò automaticamente in tasca la bottiglietta. Rimase fermo per un po' a respirare l'aria frizzante della notte, il profumo freddo e nitido del buio e della sera. Sopra la sua testa brillavano lontane poche stelle pallide.
«Ehi», gridò uno dei poliziotti, puntandogli sospettosamente in faccia la luce della torcia. «Vieni qui».
«Sembra proprio lui», disse un altro. «Su, amico. Vediamo di sbrigarci».
Walsh tirò fuori il buono che gli aveva dato Charley. «Arrivo», disse. Mentre camminava verso i poliziotti strappò meticolosamente in piccoli pezzi il foglio di carta e li lanciò contro il vento notturno, che li afferrò e li sparpagliò dovunque.
«Che diavolo hai fatto?», gli domandò uno dei poliziotti.
«Niente», rispose Walsh. «Ho solo buttato via dei pezzetti di carta. Qualcosa che non mi serviva più».
«Che strano tipo, costui», mormorò uno dei poliziotti, mentre congelavano Walsh con i raggi. «Mi fa venire i brividi».
«Meno male che non ce ne sono molti come lui», disse un altro. «A parte qualcuno, sta andando tutto bene».
Il corpo inerte di Walsh fu gettato nel furgone e le porte vennero richiuse rumorosamente. I dispositivi di eliminazione cominciarono subito a corrodere quel corpo, riducendolo agli elementi minerali di base. Un attimo dopo il furgone era già diretto verso il luogo della chiamata successiva.