martedì 9 ottobre 2018



IL GATTO CHE LEGGEVA ALLA ROVESCIA
(The Cat Who Could Read Backwards, 1966)
Lilian Jackson Braun
Edizione integrale


Jim Qwilleran, il cui nome metteva in difficoltà tipografi e correttori di bozze da due decenni, arrivò quindici minuti in anticipo all'appuntamento con il direttore del Daily Fluxion. 
In sala d'aspetto prese l'edizione del mattino e studiò la prima pagina. Lesse le previsioni del tempo (caldo primaverile), la tiratura (427.463) e il motto dell'editore snobisticamente stampato in latino (Fiat Flux). 
Lesse l'articolo di testa riguardante un processo per omicidio, e quello sulla corsa governatoriale, nel quale trovò due refusi. Notò che il museo d'arte non era riuscito a ottenere la sovvenzione di un milione di dollari, ma sorvolò sui particolari. Saltò l'articolo su un gatto rimasto intrappolato in una grondaia, ma lesse tutto il resto: "Poliziotto arresta malvivente in un conflitto a fuoco"; "Inchiesta su guerra tra spogliarelliste nel Loop"; "Parlar di tasse irrita i democratici e intanto le azioni salgono". 
Qwilleran udiva i familiari rumori al di là della porta a vetri, macchine per scrivere che ticchettavano, telescriventi che pulsavano, telefoni che squillavano. A quei suoni i suoi grandi baffi sale e pepe si rizzarono e lui se li allisciò con le nocche. Era ansioso di dare un'occhiata all'ambiente rumoroso e frenetico della redazione finanziaria prima della chiusura del giornale. Raggiunse la porta e sbirciò attraverso il vetro. 
I rumori erano autentici, ma la scena, scoprì, era tutta sbagliata. Le veneziane erano diritte, le scrivanie in ordine e senza sfregi. Le minute appallottolate e i ritagli di giornale, che avrebbero dovuto essere sparpagliati sul pavimento, erano invece raccolti nei cestini metallici. Mentre contemplava sconcertato quella scena gli giunse alle orecchie un rumore sconosciuto: un rumore che non armonizzava con la musica di fondo di tutte le redazioni finanziarie che aveva visto in vita sua. Poi notò un fattorino che stava infilando una matita gialla in un minuscolo aggeggio miagolante. Qwilleran fissò l'oggetto. Un temperamatite elettrico! Mai avrebbe immaginato che si sarebbe arrivati a questo. E ciò gli ricordò da quanto tempo aveva perso i contatti con quel mondo. 
Un altro fattorino con scarpe da tennis sbucò dalla redazione e chiese: — Signor Qwilleran? Adesso può entrare. 
Lui lo seguì sino a un cubicolo nel quale un giovane direttore lo aspettava con una franca stretta di mano e un franco sorriso. — Dunque lei è Jim Qwilleran! Ho sentito parlare molto di lei. 
Jim si chiese quanto, e quanto male. Nel curriculum che aveva inviato al Daily Fluxion la sua carriera seguiva un tracciato incerto: articolista sportivo, cronista di nera, corrispondente di guerra, vincitore del Publisher Trophy, autore di un libro sul crimine urbano. Seguiva una serie di incarichi temporanei in giornali sempre più piccoli, quindi un lungo periodo di inattività, o comunque di lavori che non meritavano di essere citati. 
Il direttore disse: — Ricordo il servizio sul processo che le ha meritato il Publisher Trophy. All'epoca ero un cronista alle prime armi e l'ammiravo molto. 
Dall'età e dai modi controllati dell'uomo Qwilleran capì che faceva parte della nuova razza di editori, di quella razza addestrata alla precisione che si avvicinava al giornalismo come a una scienza piuttosto che come a una missione. Qwilleran aveva sempre lavorato per l'altro tipo: i crociati all'antica che si rosicchiavano le unghie. 
Il direttore stava dicendo: — Con i suoi precedenti forse la nostra offerta la deluderà. Tutto quello che abbiamo per lei è una scrivania alla cronaca. Ma ci farebbe piacere che accettasse, in attesa che salti fuori qualcosa nel settore finanziario. 
— E fino a che non avrò dimostrato di essere affidabile, vero? — chiese Qwilleran guardando l'altro negli occhi. Aveva vissuto un'esperienza umiliante. Ora il problema era di suonare la giusta corda di umiltà e fiducia in se stesso. 
— Questo è ovvio. Come se la passa al momento? 
— Per ora discretamente. La cosa importante è tornare a lavorare in un giornale. Sono riuscito a rendermi malvisto in diverse città prima di farmi furbo. Questo è il motivo per cui sono venuto qui. Una città estranea; un giornale vivace; una nuova sfida. Penso di potercela fare. 
— Ma certo! — esclamò l'altro protendendo la mascella. — E adesso parliamo di quello che abbiamo in serbo per lei. Ci serve un giornalista che si occupi di arte. 
— Di arte! — Qwilleran sobbalzò e mentalmente compose un titolo: 
"Giornalista veterano messo in panchina". 
— Sa qualcosa di arte? 
Qwilleran fu onesto. — Non so distinguere la Venere di Milo dalla Statua della Libertà. 
— Proprio quello che ci serve! Meno sa, più fresco e genuino è il suo punto di vista. L'arte, in questa città, sta vivendo un momento di esplosione e abbiamo bisogno di darle più spazio. Il nostro critico tiene una rubrica due volte la settimana, ma noi vogliamo un cronista esperto che vada a caccia di storie sugli artisti. C'è una gran quantità di materiale. Come lei ben sa, di questi tempi si contano più artisti che cani e gatti. 
Qwilleran si ravviò i baffi con le nocche. 
Il direttore continuò in tono ottimistico: — Lei farà capo al redattore di cronaca, però si cercherà da solo gli articoli da proporre. Vogliamo che si dia da fare sul campo, che incontri un bel po' di artisti, stringa un bel po' di mani, faccia amicizie utili al giornale. 
Qwilleran compose in cuor suo un altro titolo: "Giornalista finisce a stringer mani". Ma aveva bisogno di lavorare. La necessità sostenne una battaglia con la coscienza. — Be' — mormorò — non saprei... 
— Sarà un lavoro bello e pulito e, tanto per cambiare, conoscerà gente decente. Probabilmente ne ha avuto fin sopra i capelli di malavitosi e pregiudicati. 
I baffi vibranti di Qwilleran sembrava stessero cercando di dire Chidiavolo-vuole-un-lavoro-bello-e-pulito, ma il loro proprietario mantenne un diplomatico silenzio. 
Il direttore consultò l'orologio e si alzò. — Perché non va di sopra a parlarne con Arch Riker? Lui può... 
— Arch Riker! Che ci fa qui? 
— Capo redattore alla cronaca. Lo conosce? 
— Lavoravamo insieme a Chicago... anni fa. 
— Magnifico! Lui le darà tutti i particolari. Spero che deciderà di venire a lavorare al Flux. — Il direttore tese la mano e gli elargì un sorriso misurato. 
Qwilleran uscì e gironzolò per la redazione: passò davanti alle file di camicie bianche con le maniche rimboccate, alle teste chine sulle macchine per scrivere, e all'inevitabile giornalista donna. Fu lei a lanciargli un'occhiata curiosa, e a quel punto Jim si eresse in tutto il suo metro e ottantacinque, tirò indietro i cinque chili di troppo che gli debordavano dalla cintura e si passò una mano sul capo per ravviarsi i capelli. Come per i baffi, la proporzione dei capelli bianchi e di quelli neri era di uno a tre. 
Al piano di sopra trovò Arch Riker che presidiava una stanza stipata di scrivanie, macchine per scrivere e telefoni, tutti di una sfumatura verde pisello. 
— Niente male, vero? — disse Arch quasi a scusarsi. — Lo chiamano Color Oliva Riposante. Tutti oggi devono essere coccolati. Personalmente a me sembra color bile. 
La cronaca era una versione ridotta della redazione finanziaria, senza però quella latente frenesia. La serenità aleggiava nel locale come una nebbia. Tutti sembravano di dieci anni più vecchi dei giornalisti della pagina finanziaria. E Arch stesso era più grasso e più calvo di una volta. 
— Jim, è magnifico rivederti! Fai ancora lo spelling del tuo nome con quella ridicola W? 
— È un rispettabile spelling scozzese — protestò Qwilleran. 
— E vedo che non ti sei liberato di quei tuoi baffoni. 
— Il mio unico souvenir della guerra. — Con le nocche li allisciò in un gesto affettuoso. 
— Come sta tua moglie, Jim? 
— Intendi la mia ex moglie? — Oh, non sapevo, scusami. 
— Sorvoliamo... Quale incarico intendi affidarmi? 
— Un lavoretto facile. Se vuoi cominciare oggi puoi preparare un pezzo per domenica. 
— Non ho ancora detto che accetto il posto. 
— Lo farai — disse Arch. — È proprio quello che ci vuole per te. 
— Considerando la mia recente reputazione, vuoi dire? 
— Hai intenzione di fare il permaloso? Lascia perdere. Smettila di tormentarti. 
Qwilleran si tastò pensosamente i baffi. — Suppongo che potrei fare un tentativo. Hai in mente qualcosa di specifico da farmi fare? 
— Quello che vuoi tu. 
— Ti hanno dato qualche indicazione? 
— Sì. — Arch Riker estrasse un foglietto rosa da uno scadenzario. — Quanto ti ha detto il capo? 
— Non mi ha detto niente, tranne il fatto che vuole scriva articoli di interesse umano sugli artisti. 
— Be', mi ha mandato un promemoria rosa per proporre un pezzo su un tale che si chiama Cal Halapay. 
— Cioè? 
— Qui al Flux abbiamo un codice stilato per colori. Un memo azzurro vuol dire Per tua informazione. Giallo significa Suggerimento blando, ma rosa vuol dire Scatta, ragazzo, scatta. 
— Che cosa c'è di tanto urgente riguardo a Cal Halapay? 
— Date le circostanze, sarebbe meglio che tu non conoscessi il retroscena. Limitati ad andar lì, fa' conoscenza con questo Halapay e scrivi qualcosa di leggibile. Conosci tutti i trucchi. 
— Dove lo trovo? 
— Penso tu possa telefonare al suo ufficio. È un artista commerciale e capo di un'agenzia di successo, ma nel tempo libero realizza quadri a olio. Dipinge bambini. Sono molto popolari. Bambinetti con capelli ricciuti e guance rosate. Sembrano in preda a un attacco apoplettico ma, a quanto pare, i compratori non mancano... Senti, ti va di mangiare qualcosa? Potremmo andare al circolo della stampa. 
I baffi di Qwilleran si rizzarono. Un tempo i circoli della stampa erano la sua vita, il suo amore, il suo hobby, la sua casa, la sua fonte di ispirazione. 
Questo era di fronte alla nuova sede di polizia, in una fuligginosa fortezza di pietra calcarea, con finestre munite di sbarre, che un tempo era stata la prigione della contea. I gradini di pietra incavati dal tempo conservavano la prova di disgelo anticipato, in febbraio. Nell'atrio l'antica boiserie splendeva rossa sotto innumerevoli strati di vernice. 
— Possiamo mangiare al bar — propose Arch — oppure andar su nella sala da pranzo. Lassù hanno messo le tovaglie. 
— Mangiamo qui — rispose Qwilleran. 
Il bar era buio e rumoroso. La conversazione si svolgeva a un tono elevato, inframmezzata da mormorii confidenziali. Qwilleran conosceva molto bene quell'atmosfera. Significava che circolavano voci, stavano per essere lanciate nuove campagne, e per essere risolti ufficiosamente dei casi davanti a una birra e un hamburger. 
Al banco trovarono due sgabelli liberi e furono avvicinati da un barista in giacca rossa che sfoggiava un sorriso cospiratorio e parlava di informazioni segrete. Qwilleran ricordava che alcune delle sue migliori imbeccate per gli articoli gli erano arrivate dai baristi dei circoli della stampa. 
— Scotch e acqua — ordinò Arch. 
— Per me un doppio succo di pomodoro on the rocks. 
— Pomodoro on the rocks — ripeté il barista. — Vuole una spruzzatina di limone e una goccia di Worcestershire? 
— No, grazie. 
— E così che lo preparo per il mio amico sindaco quando viene qui. — Il sorriso che sfoderò era pieno di sussiego. 
— No, grazie. 
— Che ne direbbe di una goccia di tabasco per dargli un po' di mordente? 
— No. Me lo serva liscio. 
La bocca del barista si piegò verso il basso e Arch si affrettò a soggiungere: — Ti presento Jim Qwilleran, un nuovo collega. Non si rende conto che tu sei un artista... Jim, ti presento Bruno. Lui dà ai drink qualcosa di molto personale. 
Dietro Qwilleran una voce che spaccava i timpani disse: — Io voglio meno personalità e più liquore. Ehi, Bruno, preparami un Martini e lascia perdere tutte le porcherie. Niente oliva, spruzzata di limone, acciughe o aborti di pomodori sottaceto. 
Qwilleran si girò e si trovò davanti un sigaro serrato tra denti scoperti di una grandezza sproporzionata rispetto allo smilzo giovanotto che lo fumava. La cordicella nera che gli pendeva dal taschino era chiaramente attaccata a un esposimetro. Era un fracassone. Era spavaldo. Si stava divertendo. A Qwilleran piacque. 
— Questo pagliaccio — spiegò Arch a Qwilleran — è Odd Bunsen, del laboratorio fotografico... Odd, questo è Jim Qwilleran, un mio vecchio amico. Ci auguriamo che entri a far parte dello staff del Flux. 
Il fotografo si affrettò a tendere la mano. — Jim, contento di conoscerti. 
Vuoi un sigaro? 
— Fumo la pipa, ma grazie lo stesso. 
Odd studiò con interesse i lussureggianti baffi dell'altro. — Quei cespugli ti stanno prendendo la mano. Non hai paura che prendano fuoco? 
Arch si rivolse a Qwilleran — La cordicella nera che pende dal taschino del signor Bunsen è ciò che usiamo per tenergli attaccata la testa al collo. Ma è un uomo utile, ha più informazioni di un archivio di consultazione. Forse potrà darti qualche notizia su Cal Halapay. 
— Certo — assentì il fotografo. — Che vuoi sapere? Ha una moglie che è uno schianto, ottantacinque-cinquantacinque-ottanta. 
— Ma chi è questo Halapay? — chiese Qwilleran. 
Odd Bunsen consultò per qualche attimo il fumo del sigaro. 
— Un artista commerciale. Dirige una grossa agenzia pubblicitaria e lui personalmente vale qualche milione. Vive nelle Lost Lake Hills. Magnifica casa, grande studio, due piscine. Due, hai capito? Dato che l'acqua è così scarsa, probabilmente ne riempie una di bourbon. 
— Figli? 
— Due o tre. Bella moglie. Halapay possiede un'isola nei Caraibi, un ranch nell'Oregon e un paio di aerei privati. Tutto ciò che il denaro può comperare. E non è spilorcio. È una brava persona. 
— Che cosa mi dici dei suoi quadri? 
— Una cannonata, proprio una cannonata! Ne ho uno in soggiorno. Dopo che ho fotografato la moglie di Halapay a un ballo di beneficenza l'autunno scorso, lui mi ha regalato un suo quadro. Due bambini dai capelli ricci... Be', adesso vado a mettere qualcosa sotto i denti. Mi aspetta un servizio all'una. 
Arch bevve il suo drink e disse a Qwilleran: — Parla con Halapay e vedi se è possibile fare delle foto. Poi cercheremo di affidare il servizio a Odd Bunsen. È il nostro uomo migliore. Potrebbe scattarle a colori. Non sarebbe male avere questo servizio a colori. 
— Quel memo rosa ti ha messo in agitazione, o sbaglio? — chiese Qwilleran. — Che nesso c'è tra Halapay e il Daily Fluxion? 
— Io me ne faccio un altro — disse Arch. — Vuoi anche tu un altro pomodoro? 
Qwilleran lo ignorò e insistette: — Dammi una risposta chiara, Arch. Perché hanno offerto a me questo lavoro? A me con tutta la gente che c'è? 
— Perché è questo il modo in cui si fanno le cose nei giornali. Assegnano gli esperti di baseball alla critica teatrale e fanno andar per locali notturni i giornalisti che si occupano di argomenti religiosi. Lo sai meglio di me. 
Qwilleran annuì e si sfregò mestamente i baffi. Poi chiese: — Che cosa mi dici del critico d'arte del giornale? Se accetterò, dovrò lavorare con lui? 
O lei? 
— È un maschio — rispose Arch. — Lui fa la critica, mentre tu ti occuperai semplicemente di cronaca e delle storie personali. Non credo nasceranno conflitti. 
— Lavora nel nostro ufficio? 
— No, non ci viene mai. Fa gli articoli a casa, li registra e poi li manda col fattorino una o due volte la settimana. Noi li trascriviamo. Una grossa seccatura. 
— Che cosa lo tiene lontano? Non gli piace il verde pisello? 
— Non chiederlo a me. Questo è l'accordo che ha fatto con la direzione. 
Ha un contratto ben preciso con il Flux. 
— Com'è questo tipo? 
— Distaccato. Intransigente. Una persona con cui è difficile andar d'accordo. 
— Magnifico! È giovane o vecchio? 
— Una via di mezzo. Vive solo con un gatto, pensa un po'! Sono in molti a insinuare che sia il gatto a scrivergli gli articoli e può darsi che abbiano ragione. 
— Quello che scrive è buono? 
— Lui lo crede. Ed evidentemente lo credono anche i capi. — Arch si agitò sullo sgabello mentre soppesava quanto stava per dire. — Corre voce che il Flux gli abbia fatto una forte assicurazione. 
— Che c'è di tanto prezioso in un critico d'arte? 
— Lui possiede quella magia che i giornali adorano: è polemico. La sua rubrica fa arrivare centinaia di lettere alla settimana. Anzi, migliaia. 
— Che genere di lettere? 
— Irate. Lusinghiere. Isteriche. I lettori che si ritengono intenditori d'arte lo detestano. Gli altri pensano che sia il più grande. E nascono vere e proprie risse. Lui riesce a tenere tutta la città in fermento. Sai che cosa è emerso dalla nostra ultima statistica? La pagina culturale ha più lettori di quella sportiva! Convieni con me che ciò è innaturale. 
— In questa città dovete avere un mucchio di appassionati d'arte — osservò Qwilleran. 
— Per godersi la nostra rubrica d'arte non è necessario che piaccia l'arte, basta che piaccia il sangue. 
— Ma su che cosa litigano? 
— Lo scoprirai. 
— Posso capire le polemiche sullo sport, sulla politica, ma l'arte è arte, no? 
— È quello che pensavo anch'io — rispose l'altro. — Quando sono passato in questo settore credevo ingenuamente che l'arte fosse qualcosa di prezioso: per persone belle, con pensieri belli. Cristo, come ho perso in fretta quest'illusione! L'arte è divenuta un fenomeno democratico. In questa città è diventata la mania più grossa dopo la canasta, e chiunque può giocare. La gente compra dipinti invece che piscine. 
Qwilleran masticò il ghiaccio del suo pomodoro e rifletté sui misteri dell'incarico che il Daily Fluxion gli offriva. — A proposito — chiese — come si chiama il critico? 
— George Bonifield Mountclemens. 
— Vuoi ripetere, per favore? 
— George Bonifield Mountclemens III! 
— Un bel po' di lettere! E usa tutti e tre i nomi? 
— Tutti e tre, tutte le nove sillabe, tutte le ventisette lettere più il numerale! Due volte alla settimana cerchiamo di fare entrare la sua firma nella colonna. Non possiamo farcelo stare che di sghembo e lui non permette abbreviazioni, trattini, contrazioni o amputazioni! 
Qwilleran fissò il capo redattore con sguardo attento. — Non ti è molto simpatico, vero? 
L'altro scrollò le spalle. — Mi è indifferente. Di fatto non lo vedo mai. Vedo solo gli artisti che vengono in redazione bramosi di dargli un pugno sui denti. 
— George Bonifield Mountclemens Terzo! — Qwilleran scosse la testa, sbalordito. 
— Persino il suo nome manda su tutte le furie alcuni dei nostri lettori — riprese Arch. — Vogliono sapere chi si crede di essere. 
— Continua a parlare, questo incarico comincia a piacermi. Il capo ha detto che si sarebbe trattato di un bel lavoretto tranquillo e io già temevo di essere costretto a lavorare con un manipolo di santi. 
— Non lasciarti trarre in inganno da lui. Tutti gli artisti di questa città si odiano, e tutti gli amanti dell'arte si schierano con l'uno o con l'altro. E tutti giocano duro. È come il football, solo più sporco. Improperi, pugnalate alla schiena, doppio gioco... — Arch scivolò dallo sgabello. — Vieni, andiamo a prenderci un panino alla carne. 
Il sangue da veterano di tante battaglie che scorreva nelle vene di Qwilleran cominciò a ribollire più in fretta. I suoi baffi quasi sorrisero. — D'accordo. Accetto — disse. — Accetto il lavoro. 


Era il primo giorno di lavoro di Qwilleran al Daily Fluxion. Occupò una delle scrivanie verde pisello e si procurò una serie di matite gialle. Osservò che sul suo telefono verde pisello era appiccicato un promemoria ufficiale: Siate gentili con la gente. Provò la macchina per scrivere verde pisello, battendo un tasto per volta: "Molti delitti accadono dopo la mezzanotte". Poi telefonò al garage del Fluxion per chiedere un'automobile di servizio con la quale recarsi a Lost Lake Hill. 
L'elegante zona residenziale distava quindici miglia dalla città; Qwilleran attraversò prosperi sobborghi e fattorie dal terreno scuro chiazzato di neve. Aveva tutto il tempo per pensare all'intervista che avrebbe fatto a Cal Halapay e si chiedeva se il Metodo Qwilleran avrebbe funzionato ancora. 
Ai vecchi tempi era famoso per l'approccio fraterno che metteva gli intervistati a proprio agio. Consisteva di due parti di simpatia, due di curiosità professionale e una di bassa pressione sanguigna. E gli aveva fatto ottenere la fiducia di vecchie signore, giovani delinquenti, belle ragazze, direttori di college e truffatori. 
Tuttavia era preoccupato per l'intervista ad Halapay. Non ne faceva più da molto tempo e gli artisti non erano la sua specialità. Sospettava che parlassero un linguaggio segreto. D'altro canto, Halapay era un dirigente pubblicitario e poteva anche darsi che gli desse una cartella stampa con la storia della sua vita stilata dal suo ufficio di pubbliche relazioni. I baffi di Qwilleran fremettero. 
Aveva sempre avuto l'abitudine di prepararsi in anticipo il paragrafo di apertura dell'articolo. Non funzionava mai, ma lui lo faceva come esercizio di riscaldamenlo. Ora - sulla strada per Lost Lake Hill - abbozzò diverse frasi di inizio per l'intervista ad Halapay. 
Pensò che avrebbe potuto scrivere: "Quando Cal Halapay lascia il suo lussuoso ufficio al termine della giornata lavorativa dimentica la spietata concorrenza che vige nello stressante mondo della pubblicità e si rilassa con...". No, troppo banale. 
Ci riprovò: "Pubblicitario multimiliardario con una bella moglie (85-5580) e due piscine (una riempita con champagne, secondo la leggenda), ammette di vivere una doppia vita. Quando dipinge intensi ritratti di bambini sfugge a...". No, questo era sensazionalismo. 
Ricordò il breve periodo in cui aveva lavorato per una rivista e fece un altro tentativo nello stile roboante prediletto da quel periodico: "Con un Ascot infilato nel colletto della camicia sportiva di seta italiana fatta su misura, bello, le tempie brizzolate, altezza un metro e ottantacinque, lo zar di un impero pubblicitario trascorre il suo tempo libero...". 
Qwilleran riteneva che un uomo arrivato dov'era arrivato Halapay dovesse essere alto così, grigio così e imponente così. E probabilmente doveva anche avere l'abbronzatura invernale. 
"Con un azzurro foulard Ascot che accentua l'abbronzatura caraibica..." 
Lost Lake Road finiva bruscamente davanti a una massiccia cancellata di ferro infitta in un muro di cinta in pietra che appariva inespugnabile e costoso. Qwilleran frenò e si guardò attorno alla ricerca di un custode. 
Quasi all'istante una voce registrata che proveniva dalla guardiola della portineria disse in tono gentile: — Siete pregati di mettervi davanti al pilastro alla vostra sinistra e di dire chiaramente il vostro nome. 
Lui abbassò il finestrino dell'auto e scandì: — Qwilleran del Daily Fluxion. 
— Grazie — mormorò la guardiola. 
Il cancello si spalancò e l'uomo entrò nella proprietà, seguendo una strada che si snodava attraverso due file di alti pini, e che finiva in un giardino d'inverno, frutto di una rigorosa architettura, tutto ghiaia, macigni e sempreverdi, con ponti ad arco che attraversavano laghetti gelati. Su questo sfondo, tetro ma pittoresco, sorgeva una casa che male si adattava al paesaggio. Era in stile moderno con tetti leggermente ricurvi e pareti di vetro opaco che sembravano di carta di riso. Qwilleran corresse la frase di apertura circa la camicia sportiva italiana. Probabilmente Halapay si aggirava per la sua pagoda da un milione di dollari vestito con un chimono di seta. 
Sulla porta d'ingresso, che sembrava d'avorio, Qwilleran individuò qualcosa che pareva un campanello e tese la mano. Il dito non aveva sfiorato il pulsante, che il pannello intorno si accese di una luce verde-azzurrina e all'interno della casa risuonò un trillo musicale. Poi seguì il latrato di un cane o forse di due o tre. Vi fu un ordine secco, un attimo di silenziosa obbedienza, quindi la porta fu aperta con decisione. 
— Buongiorno, sono Qwilleran del Daily Fluxion — si presentò il giornalista al giovane dai capelli ricci e dal volto rosato, che, con indosso maglietta e pantaloni di cotone, se ne stava impalato sulla soglia. Prima che potesse aggiungere: suo padre è in casa?, l'altro invitò in tono amabile: — Entri, signore, ecco il suo lasciapassare. — E gli porse l'istantanea sfocata di un volto dai folti baffi che guardava con aria preoccupata dal finestrino di un'automobile. 
— Sono io! — esclamò Qwilleran sbalordito. 
— Scattata al cancello prima che lei entrasse — spiegò il giovanotto, manifestamente divertito. — Stupefacente, vero? Mi dia il cappotto. Spero non sia preoccupato per i cani, sono abbastanza socievoli, adorano i visitatori. Quella è la madre, ha quattro anni. I cuccioli appartengono all'ultima nidiata. Le piacciono i blue terrier? 
— Io... — balbettò Qwilleran. 
— Oggigiorno tutti vogliono gli yorkshire, ma a me piacciono i kerry blues. Hanno un bel manto, vero? Ha fatto fatica a trovare il posto? Abbiamo anche una gatta, ma è incinta e dorme sempre. Credo che nevicherà, lo spero. Per lo sci è stato uno schifo quest'anno... 
Qwilleran, che si vantava di fare interviste senza prendere appunti, stava facendo mentalmente l'inventario della casa: atrio di marmo bianco con vasca per i pesci e albero tropicale alto non meno di quattro metri. Lucernario all'altezza del secondo piano. Soggiorno su un piano più basso e ricoperto da una moquette che sembrava di procione bianco. Camino inserito in una lucida parete nera che aveva tutta l'aria di essere onice. Notò anche che il ragazzo aveva un buco nella manica e che ai piedi aveva soltanto calzini da tennis. Il suo flusso di chiacchiere non si era interrotto. 
— Vuole accomodarsi in soggiorno, signor Qwilleran? Oppure preferisce andare subito nello studio? Lo studio è più comodo, se non la disturba l'odore. C'è gente che è allergica alla trementina. Vuole una Coca o qualcosa d'altro? Le allergie sono fenomeni strani, io sono allergico ai crostacei, e la cosa mi fa infuriare perché vado pazzo per l'aragosta. 
Qwilleran stava aspettando la possibilità di chiedere: suo padre è in casa?, quando il giovanotto disse: — La mia segretaria mi ha detto che vuol scrivere un articolo sui miei quadri. Andiamo nello studio. Vuole farmi lei le domande o basta che parli io? 
Qwilleran deglutì. — Sinceramente mi aspettavo che lei fosse molto più vecchio... 
— Io sono un ragazzo prodigio — dichiarò Halapay senza sorridere. — Ho guadagnato il mio primo milione quando non avevo ancora compiuto ventun anni. Adesso ne ho ventinove. Sembra che abbia il genio per far danaro. Lei crede nel genio? È pazzesco, davvero. Questa è una mia foto di quando mi sono sposato. Mia moglie sembra un'orientale, non trova? Adesso è a un corso di arte, ma la conoscerà dopo pranzo. La casa è stata costruita in modo che armonizzasse con il suo aspetto. Gradisce un caffè? Se lo vuole do una smossa al cameriere. Diciamolo chiaro e tondo, io ho l'aria infantile e l'avrò sempre. Se invece preferisce un drink, nello studio c'è un mobile bar. 
Nello studio aleggiava odore di vernice e regnava ovunque una gran confusione, e un'ampia vetrata, che copriva tutta una parete, dava su un bianco lago gelato. Halapay pigiò un interruttore e dal soffitto scese una tenda che schermò la luce violenta. Premette un altro pulsante: un pannello scorrevole si aprì rivelando una riserva di bottiglie superiore a quella che si vedeva sui ripiani del bar del circolo della stampa. 
Qwilleran disse che preferiva il caffè, e allora Halapay premette un terzo pulsante e diede l'ordine, parlando davanti a una griglia di ottone infissa nella parete. Poi porse a Qwilleran una bottiglia dalla forma strana che stava nel mobile bar. 
— È un liquore che ho portato io dal Sud America — spiegò. — Qui non lo si trova. La prenda. Che gliene pare della vista da questa finestra? Sensazionale, vero? Quello è un lago artificiale. Soltanto l'architettura del giardino mi è costata mezzo milione. Vuole una brioche col caffè? Quei dipinti sulla parete sono miei, le piacciono? 
Le pareti dello studio erano ricoperte da tele incorniciate: ritratti di ragazzini e ragazzine con i capelli ricci e le guance come mele rosse. Ovunque Qwilleran guardasse c'erano mele rosse. 
— Ne scelga uno — invitò Halapay — e se lo porti a casa. Con gli omaggi dell'artista. Quelli grandi si vendono a cinquecento dollari. Ne prenda uno grande. Lei ha figli? Noi abbiamo due femmine. Quella sullo stereo è la loro foto. Cindy ha otto anni e Susan sei. 
Qwilleran studiò la fotografia delle figlie di Halapay. Come la madre, avevano occhi a mandorla e capelli lunghi e lisci di tipo orientale. Chiese: — Come mai dipinge solo bambini dai capelli ricci e dalle guance rosate? 
— Sabato sera dovrebbe intervenire al Ballo di San Valentino, Abbiamo un grande complesso jazz. Sa del ballo? È l'annuale party per San Valentino che si dà al Club dell'Arte. Ci andiamo tutti travestiti da innamorati famosi. Le andrebbe di venirci? Non è necessario che si travesta se l'idea non le va. Costa venti dollari a coppia. Ecco, lasci che le dia un paio di biglietti. 
— Tornando ai suoi quadri — disse Qwilleran — sono curioso di sapere perché si è specializzato in bambini. Perché non in paesaggi? 
— Penso che lei dovrebbe scrivere del ballo nella sua rubrica — proseguì Halapay. — È l'evento piò importante dell'anno per il Club. Io sono presidente e mia moglie è molto fotogenica. Le piace l'arte? Ci saranno tutti quelli che hanno a che fare con il mondo artistico. 
— Incluso George Bonifield Mountclemens III, suppongo — disse Qwilleran in un tono che intendeva essere scherzoso. 
Senza alcun mutamento nella voce l'altro rispose: — Quell'imbroglione! Se quell'imbroglione mostrasse la sua faccia all'ingresso del Club lo butterebbero fuori. Spero non sia un suo buon amico. Non so che farmene di gente come lui. Non capisce nulla di arte, ma si comporta come se fosse un'autorità in materia e il suo giornale gli permette di crocifiggere artisti affermati. Gli permettono di guastare l'atmosfera artistica della città. Dovrebbero farsi furbi e scaricarlo. 
— Io sono nuovo di questo campo — si scusò Qwilleran quando Halapay si fermò per riprendere fiato — e non sono un esperto... 
— Solo per dimostrarle quale imbroglione è il vostro critico... sta cercando di costruire la fama di grande artista a Zoe Lambreth. Ha mai visto la sua roba? È una truffa! Vada a vedere i suoi quadri alla Galleria Lambreth e capirà ciò che intendo. Nessuna galleria che si rispetti voleva accettare i suoi lavori, così ha dovuto sposare un mercante d'arte. Ci sono trucchi in ogni mestiere. Quanto al marito, non è altro che un contabile entrato nel racket artistico, e intendo proprio racket. Ecco che arriva Tom col caffè. 
Un cameriere che indossava sudici calzoni di tela kaki e una camicia sbottonata sul petto, comparve con un vassoio che sbatté con malagrazia su un tavolo. Lanciò un'occhiata ostile a Qwilleran. 
Halapay osservò: — Mi domando se non dovremmo anche mangiare un sandwich, è quasi ora di pranzo. Che cosa vuole sapere del mio lavoro? 
Continui pure a farmi domande. Non desidera prendere appunti? 
— Vorrei sapere — tornò alla carica Qwilleran — perché si è specializzato in bambini. 
L'artista piombò in un silenzio pensoso, la sua prima pausa da quando Qwilleran era arrivato. Poi disse: — Sembra che Zoe Lambretth sia in stretti rapporti con Mountclemens. Sarebbe interessante sapere come c'è riuscita. Potrei azzardare qualche ipotesi, non da pubblicare, però. Perché non scava in questa faccenda? Magari ne ricaverebbe un succoso scandalo e potrebbe far licenziare Mountclemens. A questo punto diventerebbe lei il critico d'arte. 
— Io non voglio... — cominciò Qwilleran. 
— Se il suo giornale non fa un po' di pulizia - e in fretta - la pagherà cara. Non mi dispiacerebbe un hot dog con il caffè. Lei lo desidera? 

Alle cinque e mezzo di quel pomeriggio Qwilleran si rifugiò nel caldo ambiente del circolo della stampa dove aveva accettato di incontrarsi con Arch Riker. Arch voleva farsi un veloce drink prima di rincasare. Qwilleran esigeva una spiegazione. 
Disse seccamente a Bruno: — Succo di pomodoro con ghiaccio. Niente limone. Niente Worcestershire, niente tabasco. — Ad Arch disse: — Grazie, amico. Grazie per la bella accoglienza! 
— Che cosa intendi dire? 
— Era uno scherzo di iniziazione? 
— Non so di che cosa tu stia parlando. 
— Sto parlando dell'incarico di intervistare Cal Halapay. Era una burla? 
Non puoi avere fatto sul serio. Quel tipo è matto. 
— Be', sai come sono gli artisti. Degli individualisti. Che cosa è successo? 
— Non è successo niente. Nulla che potrei usare in un articolo. E ci sono volute sei ore per scoprirlo. Halapay vive in quella strana casa che ha quasi le dimensioni di una scuola, solo che è in stile più o meno giapponese. È dotata di ogni possibile e immaginabile congegno elettrico. L'interno è pazzesco. C'è una parete di sbarre di vetro che pendono come stalattiti. Quando ci passi davanti si muovono e suonano come uno xilofono che ha bisogno di essere accordato. 
— Be', e perché no? Deve pur spendere in qualche modo la sua grana, non ti pare? 
— Lo so, ma lasciami finire. C'è tutta quell'ambientazione lussuosa e poi salta fuori quel Cal Halapay che si aggira per casa scalzo, con una maglietta che ha un grosso buco nel gomito. E dimostra circa quindici anni. 
— Sì, ho sentito che ha l'aria giovane per un miliardario. 
— C'è un'altra cosa. Non fa che vantarsi dei suoi soldi e cercare di farti accettare regali. Ho dovuto rifiutare sigari, liquori, un quadro da cinquecento dollari, un tacchino congelato proveniente dal suo ranch nell'Oregon, un cucciolo di kerry blue. Dopo pranzo la moglie ha fatto la sua comparsa e ho temuto che la generosità di lui travalicasse i confini della correttezza. 
Detto per inciso, la signora Halapay è un bel bocconcino. 
— Mi stai rendendo invidioso. Che cosa hai mangiato? Lingue di struzzo? 
— Hot dogs. Serviti da un cameriere con il fascino di un gorilla. 
— Hai mangiato gratis. Di che cosa ti lamenti? 
— Di Halapay. Non ha voluto rispondere alle domande. 
— Si rifiuta? — chiese Arch, stupito. 
— Le ignora. Non riesci a incastrarlo. Passa dal jazz moderno alle maschere primitive che ha raccolto in Perù, fino alle gatte gravide. Ho avuto più fortuna nel comunicare con il pilastro della cancellata che con quel ragazzo prodigio. 
— Non hai ricavato proprio nulla? 
— Be', ho visto i suoi quadri e sono venuto a conoscenza di una festa che il Club dell'Arte darà sabato sera. Penso che potrei andarci. 
— Come giudichi i suoi dipinti? 
— Un po' monotoni. Tutte quelle guance rosse come mele! Ho fatto una scoperta. In quei dipinti di bambini Cal Halapay raffigura se stesso. Penso sia affascinato dal proprio aspetto. Capelli ricci, carnagione rosea. 
Arch sospirò. — Sono d'accordo con te sul fatto che tutto ciò non porterà al genere di storia che vuole il capo. Fa pensare alle Notti Arabe. 
— È proprio indispensabile ricavarne un articolo? 
— Hai ben visto il colore del promemoria. Rosa! 
Qwilleran si allisciò i baffi. Dopo un po' disse: — L'unica volta che ho ricevuto una risposta diretta a una domanda è stato quando ho citato George Bonifield Mountclemens. 
Arch posò il bicchiere. — Che cosa ha detto Halapay? 
— È esploso, anche se in modo controllato. In sostanza afferma che Mountclemens non è qualificato a dare giudizi in campo artistico. 
— Questo è plausibile. Circa un anno fa Halapay ha tenuto una personale e il nostro critico lo ha arrostito vivo. Ai lettori è piaciuto da morire. I loro cuori sanguinari hanno gioito nel sapere che un ricco uomo di successo poteva fallire in qualcosa. Ma è stato un duro colpo per Halapay. Ha scoperto che il suo denaro può comperare tutto tranne una buona critica. 
— Piango per lui. Che mi dici dell'altro giornale? Lo critica anch'esso sfavorevolmente? 
— Non ha un critico d'arte. Solo una dolce vecchia signora che fa gli articoli sulle inaugurazioni e si profonde in elogi per qualsiasi cosa. Quelli giocano sul sicuro. 
— Dunque Halapay non sa incassare! — esclamò Qwilleran. 
— Sì, e tu non immagini neppure quanto — ribatté Arch avvicinando lo sgabello a quello dell'amico. — Da quell'episodio non ha fatto che cercare di provocare il fallimento del Flux. Ha tolto una quantità di inserzioni pubblicitarie, trasferendole all'altro giornale. Un bel guaio! Tanto più che lui controlla la maggior parte della pubblicità di aziende alimentari e di abbigliamento della città. Sta anche tentando di metter contro il Flux altri pubblicitari. È una faccenda seria. 
Qwilleran fece una smorfia incredula. — E io dovrei scrivere un articolo per allisciare quel verme di modo che il settore pubblicità possa riavere le inserzioni? 
— Francamente aiuterebbe. Raffredderebbe un po' le cose. 
— Non mi piace. 
— Non fare lo schizzinoso con me — lo invitò Arch. — Limitati a scrivere un articolo di taglio popolare riguardo a un'interessante persona che gira per casa con addosso vecchi vestiti, non porta scarpe, vive con cani e gatti e a pranzo mangia wurstel. Sai benissimo come cavartela. 
— Non mi piace. 
— Non ti sto chiedendo di mentire. Semplicemente di operare una selezione, tutto qui. Glissa sulla parte riguardante le stalattiti di vetro, il lago da mezzo milione di dollari, i viaggi in Sud America e calca sull'allevamento di tacchini, sulla bella moglie e sulle adorabili bimbe. 
Qwilleran rimuginò un po'. — Suppongo che questo si possa definire un modo pratico di far giornalismo. 
— Serve per pagare i conti. 
— Non mi piace — ripeté Qwiileran — ma se tu sei in una situazione davvero così brutta, vedrò che cosa posso fare. — Sollevò il bicchiere pieno di succo di pomodoro. — O Halapay o morte! 
— Non fare lo spiritoso. Ho avuto una giornataccia. 
— Mi piacerebbe leggere qualche critica di Mountclemens. Ne hai qualcuna? 
— Nell'archivio in biblioteca — gli rispose l'altro. 
— Voglio vedere che cosa ha scritto su un'artista che si chiama Zoe Lambreth. Halapay ha accennato a un'oscura connessione tra la signora Lambreth e Mountclemens. Ne sai qualcosa? 
— Io mi limito a mandare in stampa i suoi testi. Non sbircio nella sua vita privata — disse Arch e diede una pacca sulla spalla a Qwilleran per augurargli la buona notte. 


Qwilleran, che aveva indossato il più nuovo e il più scuro dei suoi due completi, andò da solo al Ballo di San Valentino del Club dell'Arte che - scoprì - veniva chiamato il Trementina e Scalpello. Il club era nato quarant'anni prima in uno spaccio di alcolici clandestino. Ora occupava il piano alto del migliore albergo della città, i suoi soci erano tanti ed eleganti e gli squattrinati bohémiens che avevano fondato la confraternita erano diventati vecchi e posati e pieni di dollari. 
Al suo arrivo al ballo Qwilleran poté andarsene in giro per i locali senza essere riconosciuto da nessuno. Trovò una sontuosa sala da pranzo e un bar molto affollato. Le sale da gioco, con le pareti rivestite di pannelli di vecchio legno da granaio, offrivano di tutto, dalle freccette al domino. Nel salone da ballo i tavolini erano apparecchiati con tovaglie bianche e rosse, e un'orchestra suonava anonime melodie. 
Chiese dove fosse il tavolo degli Halapay e lì fu accolto da Sandra Halapay, che indossava un chimono bianco di rigida seta ricamata. Un trucco esasperato rendeva i suoi occhi a mandorla ancor più esotici. 
— Temevo non sarebbe venuto — lo apostrofò, tenendogli la mano a lungo anche dopo la stretta, e deliziandolo con una risata squillante. 
— L'invito era irresistibile, signora Halapay — rispose Qwilleran, poi si stupì lui stesso quando si chinò sulla mano e la sfiorò con i baffi. 
— La prego, mi chiami Sandy. È venuto da solo, al Ballo degli Innamorati? 
— Sì, io rappresento Narciso. 
Sandy fece un trillo divertito. — Voi giornalisti siete così intelligenti! 
Qwilleran si disse che aveva una bellezza lirica e quella sera appariva deliziosamente rilassata, come spesso lo sono le mogli quando i mariti sono assenti. 
— Cal è il presidente del ballo — spiegò la donna. — E deve andare in giro, quindi lei può farmi da cavaliere. 
Gli occhi oltre che esotici erano anche maliziosi. 
Poi Sandy, passando a un tono formale che suonava vuoto, gli presentò gli altri ospiti seduti al tavolo. 
Si prese cura di spiegargli che erano membri della commissione presieduta da Cal. Un certo signore e una certa signora Riggs o Biggs indossavano costumi francesi d'epoca. Una coppia bassa e grassoccia, i Buchwalter, che sembrava annoiarsi, era vestita da contadini. C'era anche Mae Sisler, critico d'arte del giornale concorrente. 
Qwilleran le fece un cenno amichevole del capo, calcolando nel contempo che doveva aver superato da dieci anni l'età della pensione. 
Mae Sisler gli tese una mano ossuta e proferì con voce sottile: — Il suo signor Mountclemens è un ragazzo molto cattivo, ma lei mi sembra un giovanotto a posto. 
— Grazie — disse Qwilleran — da vent'anni nessuno mi dà più del giovanotto. 
— Le piacerà il suo nuovo lavoro — gli predisse — conoscerà gente deliziosa. 
Sandy si chinò su Qwilleran. — Questi baffi le danno un'aria così romantica! Volevo che Cal se li facesse crescere in modo da apparire quasi adulto, ma lui si è opposto. Sembra un tale bambinetto, non le pare? — E fece una risata musicale. 
— È vero, sembra molto giovane — ammise Qwilleran. 
— Direi che la sua crescita si è rallentata. Tra qualche anno la gente lo prenderà per mio figlio. Sarà un bel disastro, no? — e gli lanciò un'occhiata adorante. — Mi inviterà a ballare? Cal è un ballerino spaventoso. Lui si considera un ganzo, ma in realtà sulla pista da ballo è una frana. 
— Riesce a ballare con quel costume? 
Il bianco chimono rigido di Sandy era stretto in vita da un alto obi nero. 
Altra seta bianca era drappeggiata sui neri capelli lisci. 
— Oh, certo! — Strizzò il braccio di Qwilleran mentre si dirigevano sulla pista da ballo. — Sa che cosa rappresenta il mio costume? 
Qwilleran rispose che non lo sapeva. 
— Cal è in chimono nero. Rappresentiamo i Giovani Innamorati in un Paesaggio Nevoso. 
— Chi sono? 
— Oh, ma sì che lo sa! La famosa stampa... di Harunobu. 
— Mi spiace, quando si tratta di arte sono un disastro. — Sapeva di potersi permettere quell'ammissione perché in quel momento stava guidando Sandy con perizia in un fox-trot arricchito da brillanti evoluzioni alla Qwilleran. 
— Lei è un ballerino divertente — osservò lei. — Ci vuole una bella capacità di coordinazione per ballare il fox-trot al ritmo del cha-cha. Però dobbiamo fare qualcosa per la sua educazione artistica. Vuole che io diventi il suo pedagogo? 
— Non so se posso permettermelo col mio stipendio — eccepì lui, e la risata di Sandy sovrastò l'orchestra. — Che cosa mi dice della piccola signora dell'altro giornale? È un'esperta d'arte? 
— Il marito era un artista della mimetizzazione durante la prima guerra mondiale. Penso che questo faccia di lei un'esperta. 
— E chi sono le altre persone al suo tavolo? 
— Riggs è scultore. Fa delle cose filiformi sparute che espone alla Galleria Lambreth. Sembrano cavallette. A pensarci bene, anche Riggs lo sembra. Gli altri due, i Buchwalter, si suppone rappresentino la famosa coppia di innamorati di Picasso. Non si capisce che sono in maschera. Si vestono sempre come contadini. — Sandy arricciò il bel nasino. — Io non sopporto lei. Crede d'essere una tal testa d'uovo! Il marito insegna arte alla Penniman School; al momento è in corso una sua personale alla West Side Gallery. È un vegetale, ma fa dei deliziosi acquerelli. — Poi si accigliò. — Spero che i giornalisti non siano teste d'uovo. Quando Cal mi ha detto di... oh, be', non ha importanza, io parlo troppo. Limitiamoci a ballare. 
Di lì a poco Qwilleran perse la sua partner perché fra loro si intromise un arcigno giovanotto. Portava una T-shirt strappata e aveva modi da teppista. Il volto gli era familiare. 
Più tardi, quando furono tornati al tavolo, Sandy disse: — Era Tom, il nostro cameriere. Dovrebbe rappresentare Stanley Vattelapesca, il personaggio di quella commedia di Tennessee Williams, e la sua dama è da qualche parte qui attorno, vestita con un negligé rosa. Tom è uno zotico, ma secondo Cal ha talento, e quindi gli fa frequentare la scuola artistica. Cal fa un mucchio di cose meravigliose. Scriverà un articolo su di lui? 
— Se riuscirò a raccogliere materiale sufficiente. Suo marito è difficile da intervistare. Forse lei mi potrebbe aiutare. 
— Ne sarei felice. Lo sa che Cal è presidente dello State Council of Art? Credo intenda essere il primo artista professionista che arriva alla Casa Bianca. E probabilmente ci arriverà. Non si lascia fermare da nulla. — Si interruppe e divenne pensierosa. — Dovrebbe scrivere un articolo sul vecchio seduto al tavolo vicino. 
— Chi è? 
— Lo chiamano Zio Waldo. È un macellaio in pensione che dipinge animali. Non ha mai tenuto in mano un pennello fino all'età di sessantanove anni. 
— Non mi è nuova questa storia — esclamò Qwilleran. 
— Oh certo, qualunque vecchio vorrebbe essere una Nonna Moses, ma Zio Waldo ha davvero talento, anche se George è di diverso avviso. 
— Chi è George? 
— Georgie... il vostro prezioso critico d'arte. 
— Non l'ho ancora conosciuto; che tipo è? 
— È un vero puzzone, ecco che tipo è! Ha scritto una critica sulla personale di Zio Waldo a dir poco crudele. 
— Che cosa ha scritto? 
— Che Zio Waldo farebbe meglio a lavorare dietro il banco della macelleria e a lasciare mucche e conigli ai bambini che li disegnano con più fantasia e realismo. Ha sostenuto che Zio Waldo ha macellato più bestiame sulla tela di quanto abbia mai fatto nel commercio delle carni. Eravamo tutti furibondi! Un mucchio di persone ha indirizzato lettere di sdegno al direttore, ma il povero vecchio l'ha presa male e ha smesso di dipingere. È stato un delitto! Dipingeva naïf pieni di fascino. Ho sentito dire che il nipote, che fa il camionista, si è presentato al giornale e ha minacciato di prendere a sberle George Bonifield Mountclemens, e non lo biasimo. Il vostro critico è una persona del tutto irresponsabile. 
— Si è mai espresso sul lavoro di suo marito? — chiese Qwilleran con 
la sua migliore aria innocente. 
Sandy rabbrividì. — Ha scritto delle cose orribili su Cal, solo perché lui è un artista commerciale e ha successo. Mountclemens assimila gli artisti commerciali agli imbianchini e ai tappezzieri. In realtà Cal sa dipingere assai meglio di uno qualsiasi di quegli pseudo-artisti che fanno macchie e spruzzi e si definiscono Espressionisti Astratti. Nessuno di costoro sarebbe in grado di disegnare un bicchiere d'acqua. 
La giovane donna si incupì e piombò nel silenzio. Qwilleran la fissò. — È più carina quando sorride. 
Lei lo gratificò di una risata. — Guardi! Non è pazzesco? Cal sta ballando con Marc'Antonio! 
Qwilleran spostò lo sguardo sul punto della pista che lei gli stava indicando e vide Cal Halapay, in chimono nero, che guidava in un lento foxtrot un robusto guerriero romano. Il volto visibile sotto l'elmo di Antonio aveva lineamenti forti ma cadenti. 
— Quella è Butchy Bolton — spiegò Sandy. — Insegna scultura alla scuola artistica: metallo saldato e cose del genere. E venuta con la sua compagna di stanza e interpretano Antonio e Cleopatra. Non è uno schianto? Butchy si è fatta l'armatura da sola - sembra una coppia di paraurti di camion. 
— Il giornale avrebbe dovuto mandare un fotografo — osservò Qwilleran. — Ce n'è di materiale per un bel servizio! 
Facendo qualche smorfietta Sandy disse: — Si pensava che Zoe Lambreth si sarebbe occupata della pubblicità del ballo, ma lei, secondo me, sa fare pubblicità solo a se stessa. 
— Vado a telefonare al laboratorio fotografico per chiedere che mandino qualcuno. 
Mezz'ora dopo Odd Bunsen, che aveva il turno undici-ventitré, arrivò con la macchina fotografia reflex di 35 mm al collo e il solito sigaro tra i denti. 
Qwilleran lo incontrò nel foyer. — Accertati di fare una bella foto di Cal e di Sandra Halapay. 
— E lo dici a me? Quei due adorano vedere il loro muso sui giornali. 
— Cerca di riprendere tutti a coppie. Sono vestiti come famosi innamorati: Otello e Desdemona, Lolita e Humbert Humbert, Adamo ed Eva... 
— Pazzesco! — esclamò Odd Bunsen, mentre preparava la macchina fotografica. — Quanto tempo devi ancora restare a gironzolare qui, Jim? 
— Solo fino a quando riuscirò a sapere chi sono i vincitori dei premi per 
i costumi più belli in modo da telefonarlo al giornale. 
— Perché non ci diamo appuntamento al circolo della stampa per bere il bicchiere della staffa? Io, dopo che avrò fatto le fotografie, sarò libero. 
Quando Qwilleran tornò al tavolo degli Halapay, Sandy lo presentò a una matrona che indossava un abito da sera coperto di perline. — La signora Duxbury — spiegò Sandy. — È la più importante collezionista della città. Dovrebbe scrivere un articolo sulla sua collezione. Diciottesimo secolo inglese, Gainsborough e Reynolds, sa? 
La signora Duxbury sorrise. — Non sono ansiosa di veder pubblicizzata la mia collezione, signor Qwilleran, a meno che ciò non aiuti lei personalmente nella sua nuova posizione. Mi creda, sono più che contenta di darle il benvenuto tra noi. 
Qwilleran fece un lieve inchino. — Grazie. Per me è un campo del tutto nuovo. 
— Confido che la sua presenza qui voglia dire che il Daily Fluxion finalmente è ritornato in sé e ha licenziato Mountclemens. 
— No — rispose lui. — Stiamo semplicemente ampliando lo spazio dedicato all'arte. Mountclemens continuerà a scrivere i suoi articoli. 
— Che peccato! Tutti noi speravamo che il giornale avrebbe silurato quell'orribile persona. 
Una fanfara dal palcoscenico annunciò la premiazione e Sandy disse a Qwilleran: — Devo andare a recuperare Cal per l'assegnazione dei premi e la grande parata. È sicuro di non volersi trattenere ancora un po'? 
— Mi dispiace, devo passare l'articolo al giornale. Ma non dimentichi che deve aiutarmi a scrivere un profilo di suo marito. 
— Le telefonerò e mi inviterò per una colazione — rispose Sandy, abbracciandolo in modo affettuoso. — Sarà divertente. 
Qwilleran si trasferì in fondo al salone e annotò i nomi dei vincitori a mano a mano che venivano annunciati; stava cercando un telefono quando una voce femminile, dolce e bassa, lo apostrofò: 
— Lei non è il nuovo giornalista del Daily Fluxion? 
I baffi gli vibrarono. A volte la voce delle donne gli provocava quella sensazione, e questa pareva una carezza. 
— Sono Zoe Lambreth — si presentò lei — e temo di aver fallito miseramente nel mio compito. Dovevo informare i giornali di questo ballo, ma mi è uscito del tutto di mente. Sto preparando una personale e lavorando moltissimo... se vuole accettare questa debole scusa. Spero non sia stato trascurato. È riuscito a ottenere tutte le informazioni di cui ha bisogno? 
— Penso di sì. La signora Halapay si è occupata di me. 
— Sì, l'ho notato — disse Zoe, stringendo appena le belle labbra. 
— La signora Halapay è stata molto utile. 
Le sopracciglia della donna ebbero un guizzo. — Lo immagino. 
— Lei non è in costume, signora Lambreth. 
— No. Mio marito non è voluto venire stasera e io mi sono limitata a fare un salto per qualche minuto. Mi farebbe piacere che un giorno visitasse la mia galleria e conoscesse mio marito. Saremmo entrambi lieti di aiutarla in qualunque modo. 
— Avrò proprio bisogno di aiuto. Questo per me è un campo del tutto nuovo — disse Qwilleran. Poi, con aria maliziosa, aggiunse: 
— La signora Halapay si è offerta di sovrintendere alla mia educazione artistica. 
— Oh mio Dio! — esclamò Zoe in un tono che suggeriva una blanda afflizione. 
— Non approva? 
— Be'... Sandra non è una delle persone che sarebbe più facile riconoscere come un'autorità. Mi scusi. Prima o poi scoprirà che gli artisti sono notoriamente delle malelingue. — I grandi occhi castani di Zoe dimostravano una franchezza disarmante e Qwilleran vi affogò per un momento. — Ma io sono davvero sincera nella mia preoccupazione per lei — proseguì la donna. — Non vorrei che fosse... mal guidato. Molto di ciò che si produce oggi in nome dell'arte è, al peggio, fasullo e, al meglio, fuffa. Lei dovrebbe insistere per conoscere le credenziali dei suoi consiglieri. 
— Che cosa mi suggerirebbe? 
— Venga a visitare la Lambreth Gallery — insistette lei, e i suoi occhi riecheggiarono l'invito. 
Qwilleran tirò indietro la pancia e meditò sull'ipotesi di perdere qualche chilo, a cominciare dall'indomani. Quindi si rimise alla caccia di un telefono. 
La grande sfilata si era conclusa e gli invitati stavano riaffollando il salone. Si era sparsa la voce che al party era presente il nuovo giornalista del Daily Fluxion, facilmente riconoscibile dai vistosi baffi. Di conseguenza, molti di loro si avvicinarono a Qwilleran e si presentarono. Tutti gli fecero gli auguri, seguiti da qualche acido commento nei riguardi di George Bonifield Mountclemens; i mercanti d'arte aggiunsero qualche breve accenno pubblicitario a favore delle loro gallerie; gli artisti menzionarono le loro imminenti mostre; gli altri lo invitarono a visitare, in qualunque momento, le loro collezioni private, raccomandandogli di portarsi pure appresso il fotografo, se lo desiderava. 
Tra coloro che omaggiarono il giornalista ci fu Cal Halapay. — Venga una sera a cena a casa nostra — gli disse. — Con la famiglia. 
Adesso si cominciava a bere sul serio, e la festa divenne chiassosa. Il frastuono maggiore proveniva dalla sala da gioco e Qwilleran seguì la folla che andava in quella direzione. Trovò la stanza piena di gente allegra e accalcata, e c'era spazio appena sufficiente per levare i bicchieri. Il centro dell'attenzione era Marc'Antonio. Stava seduta su una sedia e, senza elmo, sembrava già di più una donna: volto grassoccio, capelli corti acconciati in onde piatte. 
— Venite avanti — stava latrando. — Mostrate la vostra abilità! 
Qwilleran si fece strada in mezzo alla ressa. Si avvide che gli ospiti erano intenti a osservare una partita di freccette. I giocatori miravano alla sagoma di un uomo disegnato con il gesso a grandezza naturale sulla parete di legno, i tratti anatomici sottolineati con grande rilievo. 
— Venite avanti, gente — cantilenava la guerriera. — Non costa un centesimo. Un tiro a testa. Chi vuole giocare a Uccidere il Critico? 
Qwilleran decise che ne aveva avuto abbastanza. I suoi baffi erano vagamente a disagio. Uscì con discrezione, telefonò al giornale l'articolo, quindi raggiunse Odd Bunsen al circolo della stampa. 
— Mountclemens deve essere proprio odioso — ammise con il fotografo. — Tu leggi la sua rubrica? 
— E chi legge mai? Io mi limito a guardare le fotografie e a controllare il mio conto in banca. 
— A quanto sembra quell'individuo provoca un mucchio di guai. Sai nulla sulla situazione del museo artistico? 
— So che hanno una bambola niente male al guardaroba — rispose Odd. — E dei nudi pazzeschi al primo piano. 
— Interessante, ma non è questo che intendo. Di recente il museo ha perso una sovvenzione di un milione di dollari che gli veniva elargita da non so quale fondazione, e in seguito a questo il direttore è stato licenziato. È quanto ho appreso stasera alla festa, e si dice che tutto questo pandemonio sia stato provocato dal critico del Daily Fluxion. 
— Non ne dubito. Al laboratorio fotografico fa sempre il diavolo a quattro. Ci telefona affidandoci l'incarico di fotografare le opere che intende trattare nella sua rubrica. E noi siamo costretti ad andare per gallerie a farlo. Dovresti vedere che porcherie ci segnala! La settimana scorsa sono dovuto andare due volte alla Lambreth Gallery, e ciò nonostante non sono riuscito a scattare una foto che valesse la pena di pubblicare. 
— Come mai? 
— Il quadro era nero e blu marino, figurati! La foto sembrava un mucchio di carbone in una notte buia e il capo ha pensato che la colpa fosse mia. Il vecchio Monty pianta sempre un sacco di grane per le foto e, se mai me ne capitasse l'occasione, mi piacerebbe spaccargli in testa una Polaroid! 


La domenica mattina Qwilleran prese una copia del Fluxion al chiosco di giornali dell'albergo. Viveva in un vecchio hotel modesto che aveva sostituito i tappeti logori e i velluti sbiaditi con linoleum e poltrone rivestite di vinilpelle. Al bar una ragazza con un grembiule di plastica gli servì le uova strapazzate su un freddo piatto di plastica. Qwilleran aprì il giornale alla pagina artistica. 
Riportava la critica di George Bonifield Mountclemens III sulle opere di Franz Buchwalter. Qwilleran ricordò subito quel nome. Buchwalter era l'uomo tranquillo seduto al tavolo degli Halapay, il vegetale che dipingeva pregevoli acquerelli, a detta di Sandy Halapay. 
Due dipinti di Buchwalter illustravano l'articolo, e a Qwilleran parvero piuttosto belli. Barche a vela. Le barche a vela gli erano sempre piaciute. 
Cominciò a leggere: 
"Qualunque frequentatore di gallerie che apprezzi l'arte non deve perdersi la mostra di Franz Buchwalter che si può vedere questo mese alla West Side Gallery" scriveva Mountclemens. "L'artista, che è un acquarellista e insegna alla Penniman School of Fine Arts, ha scelto di esporre una notevole collezione di cornici. 
"Risulta evidente anche all'occhio meno esperto che l'artista l'anno scorso si è dedicato diligentemente alle sue cornici. Le modanature combaciano perfettamente e gli angoli sono meticolosamente connessi ad angolo retto. 
"Questa raccolta si distingue anche per la sua varietà. Vi sono modanature larghe, modanature strette, modanature di media misura, rifinite in oro, in argento, in noce, ciliegio ed ebano, nonché con quella coloritura opaca a imitazione del bianco antico come tanto va di moda oggi. 
"Una delle migliori cornici della mostra è di castagno tarlato. È difficile per l'osservatore capire - senza inserire nei buchi un ago da rammendo - se siano stati fatti da vermi della Carolina del Nord o da trapani elettrici di Kansas City. Tuttavia è improbabile che un corniciaio della integrità di Buchwalter usi materiali scadenti, e il vostro critico è portato a ritenere che si tratti di genuino castagno tarlato. 
"I quadri sono appesi bene e un elogio speciale va ai passe-partout i cui materiali e tonalità sono stati scelti con gusto e fantasia. L'artista ha riempito le sue notevoli cornici di barche a vela e altri soggetti che nulla tolgono all'eccellenza di esse". 

Qwilleran guardò di nuovo le illustrazioni e i suoi baffi fecero piccole e silenziose proteste. Le barche a vela erano gradevoli, davvero molto gradevoli. 
Prese il giornale e se ne andò. Si accingeva a fare una cosa che non aveva più fatto dall'età di undici anni. E allora vi era stato costretto. In breve, trascorse il pomeriggio al museo d'arte. 
La collezione artistica cittadina era alloggiata in un edificio di marmo copiato da un tempio greco, da una villa italiana e da un castello francese. Nel sole domenicale scintillava bianco e fiero bordato di ghiaccioli luccicanti. 
Controllò il desiderio pressante di salire subito al primo piano per ammirare i nudi raccomandati da Odd Bunsen, ma andò al guardaroba per dare un'occhiata alla bambola niente male. Trovò una ragazza dai capelli lunghi e dall'aria sognante che lottava con gli attaccapanni. 
Fissandogli i baffi lei chiese: — Non l'ho vista ieri sera al Trementina e Scalpello? 
— E io non l'ho vista con addosso il negligé rosa? 
— Abbiamo preso un premio, Tom LaBlanc e io. 
— Lo so; è stata una bella festa. 
— Magnifica, lo pensavo che sarebbe stata una bomba. 
Nell'atrio Qwilleran si avvicinò a un custode in divisa sul cui volto si leggeva un'espressione mista di sospetto, di disapprovazione e di ferocia così caratteristica dei custodi dei musei. 
— Dove posso trovare il direttore? — chiese Qwilleran. 
— La domenica non c'è, di regola. Ma l'ho visto attraversare l'atrio un minuto fa. Probabilmente è venuto a sbaraccare. Se ne va, lo sa? 
— Peccato. Ho sentito dire che è una brava persona 
L'altro annuì comprensivo. — La politica! Tutta colpa di quel giornalista che continua a rimestare nel fango! È stato lui. Sono contento di essere un dipendente statale... Se vuole vedere il signor Farhar provi a cercarlo nel suo ufficio: in fondo al corridoio. 
L'ala che ospitava gli uffici del museo era immersa nella quiete domenicale. Noel Farhar, Direttore - come recitava la scritta sulla porta - era lì, in perfetta solitudine. 
Qwilleran percorse il corridoio privo di custode ed entrò in un ufficio con le pareti rivestite a pannelli, adorno di oggetti d'arte. — Chiedo scusa — disse — il signor Farhar? 
L'uomo, che stava armeggiando in un cassetto della scrivania, sobbalzò, annuendo con aria colpevole. Qwilleran non aveva mai visto un uomo più fragile di quello. Sebbene Noel Farhar sembrasse giovane per occupare quella posizione, la sua magrezza insana gli conferiva l'aria spettrale della vecchiaia. 
— Mi scuso di disturbarla. Sono Jim Qwilleran del Daily Fluxion. 
La mascella contratta di Noel Farhar risaltava in modo evidente, E così la sua incapacità di controllare il tremito che gli faceva pulsare una palpebra. — Che cosa vuole? — chiese. 
Qwilleran rispose in tono amabile: — Volevo solo presentarmi. Sono nuovo nel campo artistico e sto cercando di farmi conoscere. — Tese la mano e ricevette quella riluttante e piuttosto tremante di Farhar. 
— Se l'hanno aggiunta allo staff per porre riparo, è troppo tardi — disse con freddezza il direttore. — Il danno è già stato fatto. 
— Temo di non capire; sono nuovo di questa città. 
— Si accomodi, signor Qwilleran. — Farhar incrociò le braccia e rimase in piedi. — Presumo lei sappia che il museo ha appena perso una sovvenzione di un milione di dollari. 
— Ne ho sentito parlare. 
— Questo ci avrebbe dato il prestigio e la possibilità di raccoglierne altri cinque da donatori privati e da industrie. Avremmo potuto ottenere la più prestigiosa collezione pre-ispanomessicana del paese e una nuova ala per ospitarla, ma il suo giornale ha sconvolto tutto il programma. Il suo critico con i suoi continui attacchi e insistendo nel metterci in ridicolo ha presentato questo museo in una luce così sfavorevole che la fondazione ha ritirato l'elargizione. — Nonostante tremasse visibilmente, Farhar parlava con vigore. — Inutile dire che questo fallimento, oltre agli attacchi personali di Mountclemens alla mia gestione, mi ha costretto a dare le dimissioni. 
Qwilleran mormorò: — È un'accusa grave. 
— È incredibile come un singolo individuo che non sa nulla di arte riesca a inquinare il clima artistico di una città. Ma non c'è niente da fare. Parlando con lei perdo tempo. Ho scritto al suo editore, chiedendo che Mountclemens venga fermato prima che distrugga il nostro patrimonio culturale. — Farhar si girò verso gli schedari. — Adesso avrei del lavoro da sbrigare... — Devo sistemare alcune carte... 
— Mi spiace di averla interrotta — disse Qwilleran. — E mi dispiace moltissimo per tutta questa faccenda. Non conoscendo i fatti, non posso far commenti... 
— I fatti glieli ho esposti. — Il tono di Farhar pose fine all'intervista. 
Qwilleran si aggirò per le scale del museo, ma la sua mente non era concentrata sui Renoir e sui Canaletto. Le culture tolteca e atzeca non riuscirono a catturare il suo interesse. Solo le armi antiche lo entusiasmarono: pugnali, coltelli da caccia tedeschi, mazze munite di picche, stiletti e stocchi spagnoli, lame italiane. E ripetutamente i suoi pensieri tornavano al critico d'arte che tutti odiavano. 
Il mattino dopo, di buon'ora, Qwilleran era al lavoro al giornale. Nell'archivio di consultazione del secondo piano chiese lo schedario con le critiche di Mountclemens. 
— Eccolo — disse l'impiegato con una strizzatina d'occhi. — Quando ha finito, la stanza del pronto soccorso è al quarto piano, se le serve del bromuro. 
Qwilleran fece passare dodici mesi di critiche. Trovò il giudìzio al vetriolo sui bambini riccioluti di Cal Halapay ("Arte da supermercato") e le crudeli parole sui naïf di Zio Waldo ("L'età non sostituisce il talento"). Cera una colonna dedicata, senza far nomi, a collezionisti privati che si dimostravano meno interessati alla conservazione dell'arte che a evitare le tasse. 
Mountclemens usava parole forti riguardo alle sculture metalliche di figure umane a grandezza naturale di Butchy Bolton, sculture che gli ricordavano le armature indossate nella rappresentazione del Macbeth di una qualche scuola di campagna. Deplorava la produzione massiccia di artisti di terza categoria della Penniman School, la cui produzione sarebbe stata degna delle catene di montaggio di una fabbrica di automobili di Detroit. 
Si complimentava con le piccole gallerie di periferia per il loro ruolo di centri sociali pomeridiani in sostituzione del Club del Bridge o del Circolo di Cucito, pur mettendo in discussione il loro valore di dispensatrici d'arte. E inveiva contro il museo: contro la sua politica, contro la sua collezione permanente, contro il suo direttore e contro il colore delle uniformi dei custodi. 
Tuttavia, in mezzo a queste tirate, spiccavano esaltazioni entusiastiche di alcuni artisti - in particolare di Zoe Lambreth - ma il gergo usato era incomprensibile per Qwilleran: "La complessità di una eloquente dinamica nel tessuto organico"... "Gli impulsi interni soggettivi espressi in un linguaggio pieno di compassione". 
C'era anche un articolo che non aveva nulla a che vedere con la pittura o la scultura ma trattava dei gatti (Felis domestica) come opere d'arte. 
Qwilleran riportò lo schedario al suo posto e compulsò la guida telefonica alla ricerca di un indirizzo. Voleva scoprire perché Mountclemens ritenesse così valido il lavoro di Zoe Lambreth e perché Cal Halapay lo ritenesse così cattivo. 
Trovò la Lambreth Gallery alla periferia del distretto finanziario, in un vecchio edificio che sembrava piccolissimo a causa dei grattacieli a uffici che lo circondavano. Sembrava un posto di classe. La targa sulla porta era in lettere dorate e, in vetrina, c'erano soltanto due quadri, in mezzo a trenta metri di velluto grigio. 
Una delle due tele esposte era di un blu marina disseminato di triangoli neri. L'altra, una misteriosa impiastricciatura di vernice spessa dai toni marrone e porpora smorti. 
E tuttavia, da essa sembrava emergere un'immagine e Qwilleran sentì su di sé due occhi che lo scrutavano da quelle profondità. Mentre li fissava la loro espressione da innocente divenne guardinga e poi selvaggia. 
Aprì la porta e si avventurò all'interno. La galleria era lunga e stretta, arredata come un soggiorno, in un modo piuttosto ricco e in un moderato stile moderno. Su un cavalletto Qwilleran vide un'altra composizione di triangoli - grigi su sfondo bianco - che preferì a quella in vetrina. La firma dell'artista era "Scrano". Su un piedistallo troneggiava un tubo a gomito in terracotta dal quale spuntavano i raggi di una bicicletta. Era intitolato "Cosa 17". 
Quando aveva varcato la soglia, da qualche parte era tintinnata una campanella e adesso Qwilleran udì dei passi sui gradini della scala a chiocciola in fondo alla galleria. La struttura in ferro verniciata di bianco sembrava un'enorme scultura. Scorse un paio di piedi, poi delle gambe fasciate in calzoni aderenti, poi il proprietario della galleria, deciso, impettito e altezzoso. Gli riuscì difficile immaginare Earl Lambreth come marito della sensuale Zoe. Sembrava un po' più vecchio della moglie ed era pateticamente azzimato. 
Qwilleran disse: — Sono il nuovo giornalista d'arte del Daily Fluxion. La signora Lambreth mi aveva invitato a visitare la galleria. 
L'uomo fece qualcosa che, inizialmente, parve un sorriso ma poi lasciò il posto a una sgradevole smorfia affettata: si raschiò il labbro inferiore con i denti. — La signora Lambreth mi ha accennato a lei — disse — e suppongo che Mountclemens le abbia detto che questa è la galleria più importante della città. In realtà è l'unica degna di questo nome. 
— Non ho ancora conosciuto Mountclemens, ma so che parla in termini elogiativi dei lavori di sua moglie. Vorrei vederne qualcuno. 
Il mercante, restando rigido con le mani dietro la schiena, indicò un rettangolo marrone sulla parete. — Quello è uno dei dipinti recenti della signora Lambreth. Ha quella ricchezza di colore che la caratterizza. 
Qwilleran studiò il quadro in un prudente silenzio. La superficie aveva l'aspetto di un dolce al cioccolato pesantemente glassato e lui, inconsciamente, si passò la lingua sulle labbra. Tuttavia, di nuovo, fu consapevole di due occhi che si trovavano da qualche parte nelle pennellate di colore. A poco a poco prese forma un volto di donna. 
— Usa una gran quantità di colore — osservò. — Ci vorrà parecchio per farlo asciugare. 
Il mercante d'arte si sfregò il labbro superiore con i denti. — La signora Lambreth adopera i pigmenti per catturare l'osservatore e irretirlo sensualmente prima di porgergli il suo messaggio. La sua dichiarazione è sempre elusiva, nebulosa, forza l'osservatore a partecipare in modo vitale all'interpretazione. 
Qwilleran fece un vago cenno di assenso. 
— È una grande umanista — continuò Lambreth. — Sfortunatamente al momento ci sono poche sue tele qui. Le ha portate via tutte per la sua personale che si terrà in marzo. Comunque, in vetrina, lei potrà ammirare una delle sue opere più lucide e rigorose. 
Qwilleran ricordò gli occhi offuscati dal colore che aveva visto prima di entrare: occhi pieni di mistero e di malevolenza. Domandò: — Dipinge sempre donne come quella? 
Lambreth scrollò le spalle. — La signora Lambreth non dipinge mai secondo una formula. Ha molta versatilità e immaginazione. E il quadro in vetrina non vuole evocare associazioni umane. È lo studio di un gatto. 
— Oh! — esclamò Qwilleran. 
— Le interessa Scrano? È uno dei più rilevanti artisti contemporanei. Quello che ha visto in vetrina è un suo quadro. Qui sul cavalletto ce n'è un altro. 
Qwilleran strinse gli occhi e fissò i triangoli grigi su fondo bianco. La superficie dipinta era liscia e possedeva una lucentezza quasi metallica; i triangoli spiccavano decisi. 
— Sembra abbia la mania dei triangoli — osservò il giornalista. — Se la tela fosse appesa sottosopra, vi leggeremmo tre barche a vela nella nebbia. 
— Il simbolismo dovrebbe essere evidente — riprese Lambreth. — Nei suoi quadri Scrano esprime in modo conciso la natura essenzialmente libidinosa e poligama dell'uomo. Il dipinto in vetrina è specificatamente incestuoso. 
— Be', penso che questo distrugga la mia teoria — affermò Qwilleran. — Speravo di averci visto delle barche a vela. Che cosa dice Mountclemens di Scarno? 
— S-c-r-a-n-o — lo corresse Lambreth. — Nell'opera di Scrano Mountclemens trova una virilità intellettuale che trascende le minori considerazioni dell'espressione artistica e si concentra sulla purezza del concetto e sulla sublimazione del mezzo. 
— Suppongo debba costare un bel po'. 
— Uno Scrano di norma si aggira sulle cinque cifre. 
— Perbacco! — esclamò Qwilleran. — E che cosa mi dice degli altri artisti esposti? 
— Valgono molto meno. 
— Non vedo da nessuna parte cartellini col prezzo, Lambreth raddrizzò un paio di quadri. — Difficilmente una galleria di questo calibro apporrebbe i prezzi come un supermercato. Per i nostri artisti più importanti stampiamo un catalogo, ma quella che lei vede oggi è soltanto un'esposizione informale del nostro gruppo di artisti. 
— Mi sono stupito di vedere che siete ubicati nel distretto finanziario — osservò Qwilleran. 
— I nostri collezionisti più avveduti sono uomini d'affari. Qwilleran fece un giro per la galleria e si astenne dal fare commenti. 
Molti dei dipinti raffiguravano gocce e macchie in colori stridenti e vivacissimi. Alcuni erano costituiti unicamente da strisce ondulate. C'era un primo piano di un metro e cinquanta per due di rosse fauci spalancate e Qwilleran d'istinto si ritrasse. Su un piedistallo campeggiava una sfera metallica a forma di uovo intitolata "senza titolo". 
Sagome allungate di argilla rossastra facevano pensare a cavallette, ma alcune protuberanze convinsero Qwilleran che quelli che stava guardando erano esseri umani denutriti. I due rottami erano etichettati "Cosa 14" e "Cosa 20". 
A Qwilleran piaceva di più l'arredamento: poltrone accoglienti, divani dalle strutture di acciaio cromato e tavolini con piani di marmo bianco. 
— Non avete nulla di Cal Halapay? — chiese. 
Lambreth rabbrividì. — Vorrà scherzare! Non siamo quel genere di galleria. 
— Pensavo che la roba di Halapay avesse successo. 
— La si vende facilmente a gente priva di gusto — rispose il mercante d'arte. — Ma, in realtà, la roba di Halapay - come lei opportunatamente la definisce - non è altro che roba da illustratori commerciali, collocata piuttosto presuntuosamente in cornice. Non ha valore come arte. In realtà, quell'uomo farebbe un favore a tutti se dimenticasse le sue pretese e si concentrasse sull'attività che sa svolgere così bene: far denaro. Io non ce l'ho con i dilettanti che vogliono trascorrere la domenica pomeriggio davanti a un cavalletto. Ma costoro non dovrebbero atteggiarsi ad artisti e degradare il gusto del pubblico. 
Qwilleran rivolse l'attenzione alla scala a chiocciola. — Di sopra c'è un'altra sala? 
— Solo il mio ufficio e la bottega delle cornici. Vuole vederla? Potrebbe interessarle più dei quadri e delle sculture. 
Lambreth fece strada, passando davanti a un magazzino dove i quadri erano riposti in scansie verticali, e su per le scale. Nella bottega delle cornici c'era un tavolo da lavoro sul quale regnava una gran confusione e l'aria odorava di colla e di lacca. 
— Chi esegue le vostre cornici? — chiese Qwilleran. 
— Un artigiano di grande talento. Noi siamo quelli in città che offrono il lavoro più accurato e la maggior scelta di cornici. — Sempre stando impettito, le mani allacciate dietro la schiena, Lambreth ne indicò una sul banco di lavoro. — Quella si vende a 35 dollari il piede. 
Lo sguardo del giornalista si spostò su un ufficio ingombro adiacente al laboratorio. Fissò il quadro raffigurante una ballerina appeso di sghembo al muro. La danzatrice, in tutù azzurro, era immortalata su un sfondo di fogliame verde. 
— Finalmente qualcosa che posso capire — esclamò. — Quello mi piace davvero! 
— Ed è giusto! È un Ghirotto, come può vedere dalla firma. 
Qwilleran era rimasto colpito. — Ho visto un Ghirotto ieri al museo. 
Questo deve valere parecchio. 
— Sarebbe così se fosse completo. 
— Vuol dire che non è ancora finito? 
Lambreth trasse un sospiro spazientito. — Questa è solo metà della tela originale. Il quadro fu danneggiato. Non potrei permettermi un Ghirotto in buone condizioni. 
Poi Qwilleran notò un tabellone coperto di ritagli di giornale. 
— Vedo che il Daily Fluxion si occupa molto di voi. 
— Avete un'eccellente rubrica d'arte — rispose l'altro. — Mountclemens è quello che più si intende d'arte in tutta la città, inclusi i sedicenti esperti. 
Ed è un uomo integerrimo, di un'integrità inattaccabile. 
— Hmm — bofonchiò Qwilleran. 
— Senza dubbio scoprirà che Mountclemens è aggredito da ogni parte... perché sta cercando di estirpare i ciarlatani e di elevare il livello del gusto. Di recente ha fatto un grosso favore alla città, sloggiando Farhar dal muse-
o. Un nuovo regime riporterà in vita quell'istituzione moribonda. 
— Ma al contempo non hanno perso una succosa sovvenzione? 
Lambreth agitò la mano. — Nuovo anno nuova sovvenzione, e quando questo avverrà il museo se la sarà meritata. 
Per la prima volta Qwilleran notò le mani dell'altro, le unghie sporche in stridente contrasto con l'abbigliamento esageratamente curato. — Ho notato che Mountclemens ha un'ottima opinione dell'opera della signora Lambreth. 
— È stato molto gentile. Parecchia gente pensa che lui favorisca questa galleria, ma la verità è che noi trattiamo solo gli artisti migliori. 
— Quel tipo che dipinge triangoli è un artista locale? Mi piacerebbe potergli chiedere un'intervista. 
Sul volto dell'altro apparve un'espressione addolorata. — Quasi tutti sanno che Scrano è europeo. È da molti anni esule in Italia, per ragioni politiche. 
— Come lo avete scoperto? 
— È stato Mountclemens a portare la nostra attenzione su di lui e a metterci in contatto con il suo agente americano, del che gli siamo grati. Noi siamo gii agenti esclusivi di Scrano nel Midwest — si schiarì la gola e continuò con orgoglio: — L'opera di Scrano ha una virilità intellettualizzata, una purezza trascendente... 
— Non voglio rubarle altro tempo — lo interruppe Qwilleran. — È quasi mezzogiorno e ho un appuntamento per pranzo. 
Lasciò la Lambreth Gallery con molti interrogativi che gli frullavano per la testa: come si poteva distinguere l'arte buona da quella cattiva? Perché i triangoli meritavano il consenso e le barche a vela la condanna? Se Mountclemens era bravo quanto Lambreth diceva e la situazione artistica locale così malsana, perché il critico rimaneva in quell'ambiente irriconoscente? Era davvero un missionario, come sosteneva Lambreth? Oppure un mostro, come sottintendevano tutti gli altri? 
Poi un altro punto di domanda agitò la propria coda ondulata. Esisteva davvero un uomo che si chiamava George Bonifield Mountclemens? 
Al circolo della stampa, dove doveva incontrare Arch Riker per pranzo, chiese al barista: — Ci viene mai qui il critico del Fluxion? 
Bruno, che stava pulendo un bicchiere, si bloccò. — Lo vorrei. Gli rifilerei un Mickey. 
— Perché? Cos'hai contro di lui? 
— Una sola cosa — rispose Bruno. — Lui è contro tutta la razza umana. — Si chinò sul bancone in atteggiamento confidenziale. — Se vuole saperlo, quell'uomo è deciso a rovinare tutti gli artisti di questa città. Guardi quello che ha fatto a quel povero vecchio, Zio Waldo. E a Franz Buchwalter, sul giornale di ieri! Gli unici artisti che gli piacciono veramente sono quelli che hanno a che vedere con la Lambreth Gallery. Sembrerebbe quasi che ne sia il proprietario. 
— C'è gente che lo ritiene un'autorità qualificata. 
— Certa gente vede le cose al contrario. — Poi Bruno fece un sorriso saggio: — Aspetti che incominci a prendere di mira lei, signor Qwilieran. Non appena Mountclemens scoprirà che lei va in giro a curiosare nel suo campo... — il barista premette un grilletto immaginario. 
— A quanto vedo ne sai molto della situazione artistica di questa città. 
— Certo, anch'io sono un artista, faccio collages. Mi farebbe piacere se desse un'occhiata ai miei lavori e mi offrisse un parere critico. 
— Faccio questo lavoro soltanto da due giorni — rispose Qwilieran. — Non so nemmeno cosa sia un collage. 
Bruno gli elargì un sorriso paternalistico. — È una forma di arte. Io stacco le etichette dalle bottiglie di whisky, le taglio a pezzettini poi le incollo a formare dei ritratti di presidenti. Adesso sto preparando Van Buren. Potrei fare una personale fantastica. — Assunse un'espressione confidenziale. — Forse potrebbe aiutarmi a trovare una galleria... non so, magari raccomandarmi alle persone giuste? 
— Non so se vi sia molto interesse per i ritratti di presidenti fatti con etichette di whisky. Chiederò in giro. E adesso, mi daresti il solito, con ghiaccio? 
— Uno di questi giorni — disse il barista — tutto questo succo di pomodoro le farà venire l'orticaria. 
Quando Arch Riker arrivò al bar trovò l'amico intento a mangiucchiarsi i baffi. Gli chiese: — Come sono andate le cose stamattina? 
— Benone — rispose Qwilleran. — All'inizio ero piuttosto confuso riguardo alla differenza tra l'arte buona e quella cattiva. Adesso lo sono totalmente. — Bevve lentamente un sorso di pomodoro. — Tuttavia sono arrivato a una conclusione riguardo a George Bonifield Mountclemens III. 
— Sputa. 
— È una finzione. 
— Che vuoi dire? 
— Non esiste. È una leggenda, un'invenzione, un concetto, una corporazione, una luce nell'occhio dell'editore. 
Arch domandò: — E secondo te chi scriverebbe tutti gli articoli che stampiamo con il suo nome sesquipedale? 
— Un comitato di negri. Un comitato di tre persone, probabilmente un Signor George, un Signor Bonifield e un Signor Mountclemens. Nessuna singola persona potrebbe provocare tanti guai, essere così odiata, avere un'immagine così ambigua. 
— Tu non sai niente dei critici, tutto qui. Sei abituato ai ladri e ai piedipiatti. 
— Se non accetti la mia prima teoria ne ho un'altra in alternativa. 
— E cioè? 
— Si tratta di un fenomeno dell'età elettronica. La rubrica d'arte è compilata da una batteria di computer a Rochester, N. Y. 
— Che cosa ti ha messo Bruno nel succo di pomodoro? — scherzò Arch. 
— Be', lasciati dire una cosa: non crederò all'esistenza di George Bonifield Mountclemens fino a che non l'avrò visto. 
— D'accordo. Che ne diresti di domani o di mercoledì? È stato fuori città ma adesso è tornato. Ti fisseremo un appuntamento. 
— Facciamo qui, a pranzo. Potremo mangiare di sopra... con la tovaglia. 
Arch scosse il capo. — Non viene al circolo della stampa. Non viene mai in centro. Probabilmente dovrai andare nel suo appartamento. 
— Bene, fissami l'incontro. E magari farò tesoro di quanto ha detto Bruno e noleggerò un giubbotto antiproiettile. 


Qwilleran trascorse il martedì mattina nel palazzo del ministero della Pubblica Istruzione, dove assistette a una mostra allestita con i lavori degli scolari. Sperava di riuscire a scrivere qualcosa di teneramente spiritoso sui disegni a matita che raffiguravano barche a vela fluttuanti nel cielo, case purpuree con camini grigi, cavalli azzurri che sembravano pecore, e gattigatti-gatti. 
Dopo essersi avventurato nel mondo decisamente non complicato dell'arte giovanile, Qwilleran tornò in ufficio in uno stato di soddisfatto distacco. Il suo arrivo al giornale provocò un silenzio innaturale. Le macchine per scrivere smisero di ticchettare, teste che fino a quel momento erano state chine sulle bozze si sollevarono di scatto. Persino i telefoni verdi mantenevano un silenzio rispettoso. 
— Abbiamo notizie per te — lo apostrofò Arch. — Abbiamo telefonato a Mountclemens per fissarti un appuntamento e lui vuole che tu vada a casa sua domani sera. A cena! 
— E allora? 
— Non stai per svenire? Il resto dell'ufficio l'ha fatto. 
— Già vedo i titoli in prima pagina — rispose Qwilleran. — Critico avvelena minestra di giornalista. 
— Si dice che sia un gran cuoco — continuò Arch — un vero gourmet. Se sei fortunato, aspetterà a mettere l'arsenico solo al dessert. Eccoti l'indirizzo. 
Alle diciotto di mercoledì pomeriggio Qwilleran prese un taxi per recarsi al 26 di Blenheim Place, in un vecchio quartiere della città, un tempo alla moda e con belle case. La maggior parte di esse erano diventate pensioncine a buon mercato o uffici per disparate e strane attività commerciali. Per esempio, c'era un restauratore di porcellane antiche e Qwilleran intuì che doveva essere un allibratore. Alla porta accanto c'era un vecchio negozio di monete, probabilmente una facciata che copriva un giro di droga. Quanto al negozio di costumi per varietà, Qwilleran non aveva dubbi sulla vera natura di quell'attività. 
In mezzo a tutto questo resisteva strenuamente una casa orgogliosa e impavida. Aveva una rispettabile aria residenziale. Stretta e alta, aveva un aspetto compitamente vittoriano, fino nella ornamentale cancellata in ferro. 
Quello era il numero 26. 
Qwilleran schivò un paio di ubriachi che barcollavano sul marciapiede e salì gli scalini di pietra che conducevano al piccolo porticato dove tre cassette per la posta indicavano che l'edificio era stato diviso in appartamenti. 
Si allisciò i baffi, che fremevano di ansiosa curiosità, e suonò il campanello. Un ronzio fece scattare la porta d'ingresso. Entrò in un atrio col pavimento a piastrelle. Di fronte a lui, una seconda porta si aprì dopo un ronzio di un altro tono. 
Varcatala, Qwilleran si trovò in un ingresso sontuoso ma fiocamente illuminato, che lo avviluppò con i suoi arredi. Notò grandi cornici dorate, specchi, statue, un tavolo sorretto da leoni d'oro, una panca scolpita come un banco di chiesa. Una passatoia rossa copriva il pavimento dell'ingresso e la scala. Una voce tagliente e ricercata lo accolse dall'alto: — Venga su, signor Qwilleran. 
L'uomo in cima alle scale era di un'altezza fuori del comune e di una magrezza elegante. Mountclemens indossava una giacca di velluto amaranto e il giornalista trovò che aveva un volto poetico forse per il modo in cui i radi capelli erano pettinati a coprire l'alta fronte. Lo circondava una fragranza di scorza di limetta. 
— Chiedo scusa per le fortificazioni che ha dovuto affrontare — disse il critico. — In questo quartiere non si può rischiare... 
Gli strinse la mano con la sinistra e lo fece accomodare in un soggiorno che non somigliava a nulla di tutto quanto il giornalista avesse mai visto. Era zeppo di cose e buio. L'unica illuminazione proveniva da una fiamma vivace nel camino e da faretti invisibili puntati su opere d'arte. Qwilleran individuò busti di marmo, vasi cinesi, molte cornici dorate, un guerriero di bronzo e delle marcescenti sculture lignee di angeli. Una parete della stanza dall'alto soffitto era coperta da un arazzo con figure a grandezza naturale di damigelle medievali. Sopra il camino c'era un dipinto che qualsiasi frequentatore di cinema avrebbe riconociuto come un Van Gogh. 
— Sembra colpito dalla mia piccola collezione, signor Qwilleran — osservò il critico — o forse è sgomento per il mio gusto eclettico... Mi dia il cappotto. 
— È un piccolo museo — disse Qwilleran, un po' in soggezione. 
— È la mia vita, signor Qwilleran, e ammetto, del tutto immodestamente, che riesce ad avere una certa ambiance. 
Non un centimetro di parete rosso scuro era scoperto. Il camino era fiancheggiato da due librerie ben fornite; le altre pareti erano tappezzate fino al soffitto di dipinti. 
Persino sulla moquette rossa, che aveva una sua luminosità, c'era affollamento... enormi poltrone, tavoli, piedistalli, una scrivania e una vetrinetta illuminata, piena di piccole sculture. 
— Permetta che le offra un aperitivo — continuò Mountclemens — poi potrà sprofondarsi in una poltrona e appoggiare i piedi. Evito di servire cose più forti dello sherry o del Dubonnet prima di cena, perché sono piuttosto orgoglioso della mia abilità culinaria e preferisco non paralizzare le sue papille gustative. 
— Non posso bere alcol — disse Qwilleran. — Di conseguenza le mie papille gustative sono sempre in ottime condizioni. 
— Allora che ne direbbe di una limonata con acqua tonica? 
Mentre Mountclemens era via, Qwilleran si guardò attorno e si rese conto di altri particolari: una macchina per scrivere sulla scrivania, un paravento orientale da dietro il quale proveniva della musica, due poltrone dai cuscini soffici poste l'una di fronte all'altra davanti al camino e che si condividevano una ottomana molto imbottita. Provò una delle poltrone e fu inghiottito dai cuscini. Posò la testa sullo schienale e mise i piedi sull'ottomana: un'incredihile sensazione di benessere lo pervase. Sperava quasi che Mountclemens non tornasse più con la bibita. 
— La musica le va bene? — chiese il critico, posandogli il vassoio accanto. — Io trovo che Debussy è rasserenante a quest'ora del giorno. Qui ci sono dei salatini da sgranocchiare con il suo drink. Vedo che è approdato sulla poltrona giusta. 
— Dopo la totale incoscienza, è la cosa migliore che ci sia — rispose Qwilleran. — Di che cosa è rivestita? Mi fa venire in mente il materiale con cui erano fatti i pantaloni corti. 
— Fustagno vellutato — spiegò Mountclemens. — Un tessuto miracoloso non ancora scoperto dagli scienziati. La mania per i materiali fabbricati dall'uomo sta diventando quasi blasfema. 
— Io vivo in un albergo dove tutto è plastica. Un vecchio essere di carne e sangue come me può sentirsi obsoleto. 
— Come vede, guardandosi attorno, io ignoro la tecnologia moderna. 
— Sono stupito — ammise Qwilleran. — Per le sue critiche lei predilige l'arte moderna, eppure qui è tutto... — non riuscì a trovare una parola che suonasse elogiativa. 
— Mi permetta di correggerla — ribatté Mountclemens, e indicò con gesto ampolloso due battenti a listelli inclinati. — In quell'armadio c'è un piccolo patrimonio in arte del ventesimo secolo... in condizioni ottimali di temperatura e umidità. È il mio investimento. Ma i dipinti che vede sulle pareti sono i miei amici. Io credo nell'arte odierna come espressione del suo tempo, ma scelgo di vivere nelle dolci morbidezze del passato. Per questa ragione cerco di conservare questa vecchia, bella casa. 
Mountclemens, seduto lì, con la sua giacca di velluto, le scarpe italiane di vernice ai piedi lunghi e magri, un aperitivo, rosso rubino, stretto tra le dita affusolate e diafane, appariva soddisfatto, sicuro, imperturbabile e irreale. La sua voce nasale, la musica, la comoda poltrona, il calore del fuoco e l'oscurità della stanza provocavano una certa sonnolenza a Qwilleran. 
Aveva bisogno di azione. 
— Le dà fastidio se fumo? — chiese. 
— Le sigarette sono in quella scatola chisonné vicino al suo gomito. 
— Io fumo la pipa. — Qwilleran estrasse la grossa pipa ricurva, il sacchetto del tabacco, i fiammiferi e cominciò il rituale dell'accensione. 
Quando la fiammella brillò nella stanza in penombra, lui girò di scatto la testa. Fissò le librerie. Vide una luce rossa. Come un segnale. No, erano due luci rosse. Fiammeggiavano, rosse... e vive! 
Sussultò. Il fiammifero si spense, e quei segnali rossi scomparvero. 
— Che cos'era... quello? — chiese farfugliando. — Qualcosa in mezzo ai libri. Qualcosa... 
— Era solo il gatto — rispose Mountclemens. — Gli piace nascondersi dietro i volumi. I ripiani sono insolitamente profondi per contenere i libri d'arte. E lui riesce a trovarsi un rifugio là dietro. Evidentemente, questo pomeriggio ha fatto il pisolino dietro le biografie. Sembra preferirle agli altri testi. 
— Non ho mai visto un gatto con occhi che sembravano di brace — disse Qwilleran. 
— Scoprirà che questa è la caratteristica dei gatti siamesi. In essi brilla una luce che li fa diventare rosso rubino. Di norma sono azzurri... come l'azzurro di quel Van Gogh. Lo vedrà da sé quando la bestiola deciderà di concedere la propria presenza. Per ora preferisce restare acquattata. Sta conoscendola attraverso i sensi. Sa già diverse cose di lei. 
— Che cosa sa? — Qwilleran si agitò sulla poltrona. 
— Avendola osservata, sa che difficilmente lei farà rumori forti o movimenti improvvisi. E questo gioca a suo favore. Così pure la pipa. Gli piacciono le pipe e sa che lei la fuma fin da prima che la estraesse di tasca. 
Ha anche capito che lavora in un giornale. 
— E come ha fatto? 
— L'inchiostro. Ha un naso eccezionale per l'inchiostro da stampa. 
— Nient'altro? 
— In questo momento sta lampeggiando un messaggio. Mi sta dicendo di servire la prima portata, altrimenti lui non cenerà fino a mezzanotte. 
Mountclemens uscì dalla stanza e tornò con un vassoio di sfoglie calde. 
— Se non ha obiezioni — disse — prenderemo l'antipasto in salotto. Non ho personale di servizio e lei mi scuserà se non bado alle formalità. 
Le sfoglie erano ripiene di una morbida crema di formaggio e spinaci. Qwilleran ne gustò ogni boccone. 
— Lei forse si chiederà perché preferisco arrangiarmi senza servitù. Ho una morbosa paura di essere derubato e non voglio che estranei entrino in casa e scoprano le cose preziose che posseggo. La prego, sia gentile e non accenni alla mia collezione con nessuno. 
— Certo... se è questo che desidera. 
— So come vi comportate voi giornalisti. Siete fornitori di notizie per istinto e per abitudine. 
— Intende dire che siamo una massa di pettegoli — ribatté Qwilleran in tono amabile, godendosi l'ultima forchettata di sfoglia al formaggio e chiedendosi che cosa sarebbe seguito. 
— Diciamo semplicemente che ai tavoli del circolo della stampa c'è un grande scambio di informazioni, corrette o meno. Comunque sento di potermi fidare di lei. 
— Grazie. 
— Peccato che lei non beva vino. Avevo progettato di festeggiare quest'occasione stappando una bottiglia di Chàteau Clos d'Estrounel del '45. Una magnifica annata - una maturazione molto lenta - ancora meglio di quella del '28. 
— La stappi lo stesso — lo esortò Qwilleran. — Mi farà piacere vederglielo gustare. Davvero. 
Gli occhi di Mountclemens si accesero di entusiasmo. — Non ho bisogno di altri incoraggiamenti. A lei verserò un bicchierino di succo di uva Catawba. Lo tengo in casa per... lui. 
— Chi? 
— Kao K'o-Kung. 
Per un attimo il volto di Qwilleran assunse un'espressione vacua. 
— Il gatto — spiegò Mountclemens. — Mi perdoni se ho dimenticato che non siete ancora stati presentati formalmente. A lui piace moltissimo il succo d'uva, specialmente bianca. E deve essere della marca migliore. È un intenditore. 
— Si direbbe un gatto eccezionale — disse Qwilleran. 
— È una creatura peculiare. Ha coltivato una predilezione per alcuni periodi artistici e io, pur essendo in disaccordo con lui, ammiro la sua indipendenza. Legge anche i titoli dei giornali, come vedrà quando mi verrà portata l'ultima edizione. E adesso credo che siamo pronti per il primo. — Il critico scostò dei tendaggi di velluto rosso scuro. 
Quando fu nell'alcova che costituiva la sala da pranzo, Qwilleran fu accolto da un profumo di aragosta. Su un tavolo nudo che dimostrava centinaia di anni erano disposte due fondine con dentro un brodo denso e cremoso. Grosse candele bruciavano in candelabri di ferro. 
Mentre si accomodava su una sedia dallo schienale alto e dai ricchi intagli, Qwilleran sentì un tonfo attutito provenire dal salotto, seguito da brontolii rochi. Un'asse del pavimento scricchiolò e nell'alcova fece la sua comparsa un gatto dal manto chiaro, il muso scuro e gli occhi allungati. 
— Questo è Kao K'o-Kung — disse Mountclemens. — Il suo nome de-
riva da un artista del tredicesimo secolo e lui stesso ha la dignità e la grazia tipiche dell'arte cinese. 
Kao K'o-Kung restò immobile a fissare Qwilleran. L'uomo fissò a sua volta l'animale. Vide un gatto dal corpo lungo, snello e possente, con il pelo lustro e un'insopportabile sicurezza. 
— Se sta pensando quello che io credo stia pensando, forse farei meglio ad andarmene. 
— La sta soltanto "sentendo" — spiegò Mountclemens — e, quando si concentra, sembra severo. La sta "sentendo" con gli occhi, con le orecchie, col naso, con le vibrisse. I dati raccolti con tutte queste quattro fonti di informazioni saranno convogliati in un punto centrale per essere valutati e sintetizzati e - a seconda del verdetto - lui la accetterà o meno. 
— Grazie — disse Qwilleran. 
— È una specie di eremita, sospettoso nei riguardi degli estranei. 
Il gatto se la prese con calma e, quand'ebbe finito di studiare l'ospite, senza sforzo apparente, fece un balzo in verticale fino a raggiungere la cima di un alto stipo. 
— Caspita! — esclamò Qwilleran. — Ha visto? 
Una volta sullo stipo, Kao K'o-Kung si sistemò in una posizione imperiosa e prese a osservare la scena sottostante con un certo interesse. 
— Un balzo di più di due metri non è insolito per un siamese — dichiarò Mountclemens. — I gatti hanno molte doti che sono negate agli esseri umani, eppure noi tendiamo a valutarli con criteri umani. Per capire un gatto bisogna rendersi conto che esso ha delle sue proprie qualità, un suo proprio punto di vista, persino una sua moralità. Il fatto che il gatto non possa parlare non fa di luì un animale inferiore. I gatti disprezzano la parola. Perché dovrebbero parlare quando possono comunicare senza parole? Tra loro se la cavano benissimo e con pazienza cercano di far conoscere i propri pensieri agli esseri umani. Ma per capire un gatto bisogna essere rilassati e ricettivi. 
Il critico parlava in tono serio e didascalico. 
— Per la massima parte — proseguì — quando hanno a che fare con gli umani i gatti ricorrono alla pantomima. Kao K'o-Kung usa un codice che non è difficile da apprendere. Graffia gli oggetti per attirare l'attenzione, annusa per indicare il sospetto. Si sfrega contro le caviglie quando vuole qualcosa. E per manifestare disapprovazione mostra i denti. Ha anche un suo modo di far marameo. 
— Questa devo proprio vederla. 
— È semplicissimo. Quando un gatto, che è il ritratto della grazia e della bellezza, si rovescia di colpo assumendo una posizione orribile, contorce il muso e si gratta l'orecchio, le sta dicendo di andare all'inferno! 
Mountclemens portò via i piatti fondi e tornò con una terrina contenente del pollo in una salsa scura e misteriosa. Dall'alto dello stipo si udì un miagolio lacerante. 
— Non ci vuole un'antenna per sintonizzarsi con questo tipo di messaggio — commentò Qwilleran. 
— La mancanza di un'antenna nell'anatomia umana — ribatté il critico — è, secondo me, un'enorme svista, un errore cosmico. Pensi a che livello di comunicazione e di possibilità di previsione sarebbe arrivato l'uomo se avesse avuto una semplice attrezzatura di antenne o di baffi da felino! Quella che noi definiamo percezione extrasensoriale per un gatto è un'esperienza normale. Lui sa quello che pensi, quello che fai, e dove sei stato. Darei volentieri un orecchio e un occhio in cambio di una dotazione completa di baffi in buone condizioni. 
Qwilleran posò la forchetta e si forbì i baffi col tovagliolo. — Questo è molto interessante. — Diede due colpetti di tosse, poi si chinò verso il padrone di casa. — Vuole sapere una cosa? Io ho una strana sensazione riguardo ai miei baffi. Non l'ho mai detto a nessuno, ma da quando me li sono fatti crescere, ho cominciato ad avere la strana idea di essere... di essere più... più consapevole. Capisce quello che intendo dire? 
Mountclemens gli fece un cenno di incoraggiamento col capo. 
— È una cosa che non vorrei circolasse per il circolo della stampa — continuò Qwilleran. 
Mountclemens si dichiarò d'accordo. 
— Mi sembra di vedere le cose con maggiore chiarezza — riprese il giornalista. 
Mountclemens assentì. 
— A volte mi par di intuire ciò che sta per succedere, e mi presento nel posto giusto al momento giusto. Un fenomeno che non so spiegarmi. 
— Kao K'o-Kung fa la stessa cosa. 
Dalla cima dello stipetto si udì un profondo brontolio, e il gatto si alzò, arcuò la schiena e tese gli arti, stiracchiandosi, poi fece un grosso sbadiglio e balzò a terra con un borbottio e un tonfo vellutato. 
— Adesso guardi — disse il critico. — Tra tre o quattro minuti il campanello della porta suonerà e consegneranno il giornale. In questo momento il ragazzo è a due isolati di distanza, in bicicletta, ma Kao K'o-Kung sa che sta arrivando. 
Il gatto attraversò il soggiorno, passò nell'atrio e si appostò in cima alle scale. Di lì a pochi minuti il campanello trillò. 
— Sarebbe così gentile, signor Qwilleran, da andare dabbasso a prendere il giornale? A lui piace leggerlo fintanto che le notizie sono fresche. Io nel frattempo condisco l'insalata. 
Il gatto attese con solenne interesse mentre il giornalista raccoglieva il giornale dal porticato. 
— Stenda il giornale per terra — invitò Mountclemens. — Kao K'oKung leggerà i titoli. 
Il gatto seguiva con attenzione ciò che veniva fatto, il naso fremente d'impazienza. I baffi si rizzarono e si abbassarono due volte: poi l'animale chinò il muso sul titolo più grosso che era stampato in caratteri di cinque centimetri e toccò ogni lettera con il naso, tracciando le parole: OTATSERRA RELLIK OZZAP. 
Qwilleran chiese: — Legge sempre all'incontrano? 
— Legge da destra a sinistra — spiegò Mountclemens. — Tra l'altro spero che l'insalata alla Cesare le piaccia. 
Era un'insalata croccante, saporita, gusto deciso. Seguì un dessert al cioccolato di una morbidezza vellutata e Qwilleran si sentì meravigliosamente in armonia con un mondo dove i critici d'arte sapevano cucinare come cuochi francesi e i gatti sapevano leggere. Più tardi, in salotto, bevvero del caffè turco in piccole tazze e Mountclemens chiese: — Le piace il nuovo ambiente di lavoro? 
— Sto conoscendo personaggi interessanti. 
— Mi dispiace dover dire che gli artisti di questa città hanno più temperamento che creatività. 
— Quel Cal Halapay è un tipo difficile da decifrare. 
— Un ciarlatano — dichiarò Mountclemens. — I suoi dipinti non sono che l'equivalente della pubblicità per gli shampoo. Sua moglie è decorativa, se tiene la bocca chiusa. Ma purtroppo questo le riesce impossibile. Ha anche un cameriere, o un protégé - o qualunque eufemismo caritatevole si possa usare - che a ventun anni ha l'insolenza di volere una retrospettiva della sua opera. Ha conosciuto altri rappresentanti della vivace vita artistica di questa città? 
— Earl Lambreth. Sembra essere... 
— Ecco un caso patetico. Nessun talento. Ma lui spera di arrivare alle stelle attaccandosi alle sottane della moglie. L'unica cosa che è riuscito a fare è stato sposare un'artista. Come abbia potuto conquistare una donna così attraente supera la mia immaginazione. — È davvero bella — ammise Qwilleran. 
— Ed è un'artista eccellente, anche se deve affinare la sua tavolozza. Ha fatto alcuni studi di Kao K'o-Kung, catturandone tutto il mistero, la magia, la perversità, l'indipendenza, la giocosità, la ferocia e la lealtà: in un solo paio di occhi. 
— Ho conosciuto la signora Lambreth al Trementina e Scalpello, lo scorso weekend, c'era una festa... 
— Tutti quei vecchi adolescenti continuano a mettersi in maschera? 
— Era il Ballo di San Valentino. Impersonavano tutti coppie di famosi innamorati. Il primo premio è andato a una scultrice che si chiama Butchy Bolton. La conosce? 
— Sì. E il buongusto mi impedisce di fare qualsiasi commento. Suppongo che ci fosse anche Madame Duxbury grondante visoni e Gainsborough. 
Qwilleran tirò fuori la pipa e ci mise un bel po' per accenderla. In quel momento Kao K'o-Kung entrò nella stanza, proveniente dalla cucina e diede inizio al suo rituale postprandiale, per l'ammirazione di tutti. Con studiata concentrazione, si fece saettare la lunga lingua rosata su tutto il muso, poi si leccò bene la zampa destra e la usò per lavarsi l'orecchio destro. 
Quindi cambiò zampa e ripeté il procedimento sulla sinistra: una passatina sui baffi, una passatina sugli zigomi, due sugli occhi, una sulla fronte, una sull'orecchio, una sulla nuca. 
Mountclemens si rivolse al suo ospite. — Può ritenersi soddisfatto, signor Qwilleran. Quando un gatto si lava davanti a un estraneo vuol dire che l'ha ammessa nel proprio mondo... dove progetta di andare ad abitare? 
— Voglio trovare al più presto un appartamento ammobiliato: qualsiasi cosa pur di andarmene da quell'albergo rivestito di plastica. 
— Al pianterreno ho un appartamento libero — disse Mountclemens. — Piccolo ma adeguato... e arredato piuttosto bene. C'è un fornello a gas e ci ho messo alcuni esemplari della mia seconda scelta di Impressionisti. L'affitto è irrisorio. A me interessa soprattutto aver qualcuno in casa. 
— Mi sembra una proposta allettante — convenne Qwilleran dalle profondità della poltrona, ancora piacevolmente preso dal ricordo dell'insalata alla Cesare e dalla bisque di aragosta. 
— Io viaggio parecchio, sia per visitare mostre sia perché faccio parte di giurie artistiche. In questo quartiere malfamato è buona cosa far vedere che l'edificio non resta disabitato. 
— Mi piacerebbe dare un'occhiata all'alloggio. 
— Lasciando da parte le voci secondo le quali io sarei un mostro — continuò Mountclemens con il suo tono più amabile — lei non mi troverà un cattivo padrone di casa. Tutti odiano i critici, sa, e immagino che i pettegoli mi descrivano come una specie di colto Belzebù con pretese artistiche. Ho pochi amici e. grazie a Dio, nessun parente, a parte una sorella nel Milwaukee che si rifiuta di ripudiarmi. Sono praticamente una specie di recluso. 
Qwilleran fece un gesto comprensivo con la pipa. 
— Un critico non può permettersi di mescolarsi con gli artisti — proseguì Mountclemens — e quando si mantengono le distanze si stimolano la gelosia e l'odio. Tutti i miei amici si trovano in questa stanza e a me non interessa altro. La mia unica ambizione è possedere opere d'arte. Non sono mai soddisfatto. Mi permetta di mostrarle la mia ultima acquisizione. Lei sapeva che Renoir in un dato momento della sua carriera ha dipinto scuri di finestre? — Il critico si chinò e abbassò la voce, mentre una strana esaltazione gli andava illuminando il volto. — Ho due scuri dipinti da Renoir. 
Un miagolio stridulo uscì dalla gola di Kao K'o-Kung, che se ne stava seduto diritto e raccolto e fissava il fuoco. Un commento in siamese che Qwilleran non avrebbe saputo tradurre, ma che, più di qualsiasi altra cosa, gli parve prodigioso. 


Il giovedì il Daily Fluxion pubblicò il primo profilo d'artista scritto da Qwilleran. Il soggetto era Zio Waldo, il vecchio naif che dipingeva capi di bestiame. Qwilleran aveva evitato accuratamente di commentare il talento dell'anziano pittore e aveva invece costruito l'articolo attorno alla personale filosofia del macellaio dopo una intera vita trascorsa a vendere arrosti di spalla alle casalinghe in un quartiere della bassa borghesia. 
La comparsa dell'articolo rinnovò l'interesse per i quadri di Zio Waldo e il venerdì la mediocre galleria che trattava le sue opere vendette tutte le polverose tele raffiguranti bovini e lanosi agnelli e invitò pressantemente il vecchio a ricominciare a dipingere. I lettori scrissero al direttore elogiando il modo in cui Qwilleran aveva trattato l'argomento. E il nipote di Zio Waldo, il camionista, si recò negli uffici del Daily Fluxion con un dono per l'autore dell'articolo: dieci chili di salame fatto in casa, che il macellaio aveva preparato in cantina dopo essere andato in pensione. 
Il venerdì sera Qwilleran stesso godette di alcune attenzioni al circolo della stampa quando distribuì collane di salamini. Incontrò Arch Riker e Odd Bunsen al bar e ordinò il solito succo di pomodoro. 
Arch disse: — Devi essere un vero intenditore di quella roba. 
Qwilleran si passò il bicchiere sotto il naso e valutò pensosamente il bouquet. — Un'annata senza pretese — commentò alla fine. — Niente di memorabile, però ha un fascino naif. Sfortunatamente il bouquet è soffocato dal fumo del sigaro del signor Bunsen. Oserei dire che i pomodori provengono... — bevve una sorsata che si lasciò rotolare sulla lingua — dall'Illinois settentrionale. Ovviamente una coltivazione di pomodori vicina a un canale di irrigazione e che prendeva il sole mattutino da est e quello pomeridiano da ovest. — Bevve un altro sorso. — Il mio palato mi dice che questi pomodori sono stati raccolti di mattino presto - di martedì o di mercoledì - da un contadino che aveva addosso un cerotto. Il mercurocromo si avverte come retrogusto. 
— Vedo che sei di buon umore — commentò Arch. 
— Puoi ben dirlo! — esclamò Qwilleran. — Sto per andarmene dal palazzo della plastica. Prenderò in affitto un appartamento di Mountclemens. 
Arch posò di scatto il bicchiere, attonito, e Odd Bunsen per poco non si strozzò col fumo del sigaro. 
— Un appartamento ammobiliato al pianterreno. Molto confortevole e l'affitto è di soli 50 dollari al mese. 
— Cinquanta? Dove è il trucco? 
— Nessun trucco. Semplicemente, lui non vuole che la casa resti vuota quando è fuori città. 
— Deve esserci un trucco — insistette Odd. — Il vecchio Monty è troppo spilorcio per regalare qualcosa. Sei sicuro che non si aspetti che tu faccia da baby-sitter al suo gatto quando lui è assente? 
— Smettila di fare la parte del fotografo cinico — sbottò Qwilleran. — Non sai che è uno stereotipo datato? 
Arch intervenne. — Odd ha ragione. Quando il nostro fattorino va a ritirare i nastri, Mountclemens lo manda a fare ogni genere di commissioni personali e non gli dà mai la mancia. È vero che ha la casa piena di opere d'arte? 
Qwilleran bevve un sorso di pomodoro. — Ha una gran quantità di cianfrusaglie sparse un po' dappertutto, ma chissà se valgono qualcosa. — Si guardò bene dall'accennare al Van Gogh. — L'attrazione più importante è costituita dal gatto. Ha un nome cinese... qualcosa tipo Koko. Mountclemens dice che i gatti amano sentire una ripetizione di sillabe quando ci si rivolge loro. E che hanno orecchie particolarmente ricettive a suoni palatali e velari. 
— Qui c'è qualcuno che è pazzo. 
— Il suo è un siamese e ha una voce che sembra la sirena di un'ambulanza. Sapete qualcosa sui siamesi? Sono una razza di supergatti... molto intelligenti. Questo sa leggere. 
— Leggere? 
— Legge i titoli dei giornali, ma li vuole freschi di stampa. 
— Che cosa pensa delle mie foto questo supergatto? — chiese Odd. 
— Non si sa se i gatti riescano a riconoscere immagini, a detta di Mountclemens, però lui sostiene che possono sentire il contenuto di un dipinto. Koko preferisce l'arte moderna agli antichi maestri. La mia teoria è che il colore più fresco raggiunga più facilmente il suo odorato. E questo vale anche per l'inchiostro fresco di un giornale. 
— Com'è la casa? — chiese Arch. 
— Vecchia. In un quartiere in decadenza. Ma Mountclemens tiene a quel luogo come a una reliquia. Tutt'attorno a lui stanno demolendo edifici, ma Mountclemens sostiene che non rinuncerà alla sua casa. È un posto notevole. Candelabri, elaborate rifiniture in legno, soffitti alti... tutti con stucchi. 
— Ricettacoli di polvere — commentò Odd. 
— Mountclemens vive al piano di sopra e il pianterreno è costituito da due appartamenti. Io prenderò quello che sta sul fronte della casa. Anche quello dietro è vuoto. È un posto tranquillissimo. Quando il gatto non emette i suoi strilli. 
— Com'è stata la cena mercoledì? 
— Quando si assaggia la cucina di Mountclemens, gli si perdona di parlare come un personaggio di una commedia di Noel Coward. Non so come riesca a fare piatti simili con quell'handicap. 
— Intendi dire la mano? 
— Sì, che cos'ha alla mano? 
— È artificiale. 
— Starai scherzando! Sembra vera, se si esclude il fatto che è appena un po' rigida. 
— Quello è il motivo per cui registra i suoi articoli. Non scrive a macchina. 
Qwilleran rifletté per qualche momento su queste parole. Poi disse: — Per un certo verso, mi dispiace per Mountclemens. Vive come un eremita. Ritiene che un critico non dovrebbe mescolarsi con gli artisti, eppure l'arte è il suo principale interesse... oltre alla conservazione di una vecchia casa. 
— Che cosa ha detto della situazione artistica locale? — s'informò Arch. 
— È strano, ma non ha parlato molto d'arte. Abbiamo conversato per lo più di gatti. 
— Hai visto? Che cosa ti avevo detto? — esclamò Odd. — Monty ti ha assegnato un ruolo part-time di baby-sitter del micio e non aspettarti una mancia. 

Il caldo, anomalo per febbraio, finì quella settimana. La temperatura precipitò e Qwilleran, con il suo primo stipendio intero, si comperò un cappotto pesante di tweed pepe e sale. Per la maggior parte del fine settimana rimase in casa a godersi il nuovo appartamento. Aveva un soggiorno con un'alcova per il letto, una piccola cucina e ciò che Mountclemens avrebbe chiamato ambiance. Qwilleran lo chiamava un mucchio di spazzatura. Però l'effetto gli piaceva. C'era aria di casa. E le sedie erano confortevoli. E nel caminetto a gas brillavano i ceppi finti. Il quadro sopra la mensola del caminetto, a detta del padrone di casa, era una delle opere di Monet di minor successo. 
L'unica cosa che non gli piaceva era l'illuminazione fioca. Le lampadine da poche candele sembravano una delle fonti di economia di Mountclemens. Quando sabato mattina Qwilleran andò a fare la spesa ne comperò alcune da 75 e da 100. 
Aveva preso in biblioteca un libro su come capire l'arte moderna e il sabato pomeriggio stava affrontando il dadaismo al capitolo nove e mordicchiando la pipa spenta, piena di tabacco, quando un lamento imperativo echeggiò davanti alla sua porta. Anche se si trattava chiaramente di un miagolio, era articolato in sillabe enfatizzate correttamente sì da fare intuire che l'ordine era: fammi entrare. 
Qwilleran si ritrovò a obbedire prontamente. Aprì la porta e si trovò davanti Kao K'o-Kung. 
Per la prima volta vide il gatto di Mountclemens nella piena luce del giorno che filtrava attraverso le vetrate molate dell'atrio. La luce metteva in risalto la brillantezza del manto pallido, il marrone scuro del muso e delle orecchie, il magico azzurro degli occhi. Le lunghe zampe marroni, diritte e sottili, si incurvavano all'estremità a formare delicati piedi, e i baldanzosi baffi scintillavano dei colori prismatici dell'arcobaleno. L'angolazione delle orecchie, che il felino portava come una corona, ne spiegava il portamento regale. 
Kao K'o-Kung non era un gatto qualsiasi, e Qwilleran non sapeva quasi come rivolgerglisi. Sahib? Vostra Altezza? D'impulso decise di trattarlo come un suo pari, quindi si limitò a dire: — Vuoi entrare? — e si scostò, senza rendersi conto che stava abbozzando un inchino. 
Kao K'o-Kung avanzò fino alla soglia e. prima di accettare l'invito, studiò con attenzione l'appartamento. Ciò richiese un po' di tempo. Poi avanzò con passo altero sulla moquette rossa e fece una ispezione di routine del camino, del portacenere, dei resti di un po' di formaggio e di crackers che stavano sul tavolo, della giacca di velluto di Qwilleran appesa allo schienale di una sedia, del libro sull'arte moderna e di una macchia indefinibile e quasi invisibile sulla moquette. Infine, soddisfatto, si scelse un posto al centro del locale - a una distanza dal fuoco accuratamente calcolata - e vi si allungò in posa leonina. 
— Posso offrirti qualcosa? — s'informò Qwilleran. 
Il gatto non rispose, ma sogguardò il padrone di casa con una strizzatina d'occhi che sembrava indicare contentezza. 
— Koko, sei un tipo molto in gamba — ammise Qwilleran. — Mettiti comodo. Ti spiace se finisco la mia lettura? 
Kao K'o-Kung si trattenne mezz'ora, e Qwilleran godette del quadretto che insieme formavano: un uomo, una pipa, un libro, un gatto pregiato. 
Rimase deluso allorché il suo ospite si alzò, si stiracchiò, pronunciò un acuto addio e salì nei propri appartamenti. 
Qwilleran trascorse il resto del weekend in impaziente attesa dell'appuntamento con Sandra Halapay, con la quale doveva pranzare il lunedì. Intendeva aggirare il problema dell'intervista al marito scrivendo un profilo di Cal Halapay "visto attraverso gli occhi della famiglia e degli amici". Sandy lo avrebbe indirizzato alle persone giuste. E poi aveva promesso di portargli delle istantanee del marito mentre insegnava a sciare alle figlie, dava da mangiare ai tacchini nella fattoria dell'Oregon e addestrava un kerry blue a star ritto sulle zampe posteriori. 
Per tutta la domenica Qwilleran sentì che i baffi gli trasmettevano dei messaggi, o forse dovevano semplicemente essere regolati. Comunque fosse, il loro proprietario intuiva che la settimana in arrivo sarebbe stata importante; se si trattasse di un'importanza positiva o negativa la sua bene informata fonte non glielo rivelò. 
Il lunedì mattina arrivò e con esso giunse anche una inattesa comunicazione dal piano di sopra. 
Qwilleran stava scegliendo una cravatta che potesse ricevere l'approvazione di Sandy (tartan di lana blu marina e verde, fatta in Scozia) quando si accorse del foglio ripiegato che stava sul pavimento, a mezzo sotto la porta. 
Lo raccolse. La calligrafia era brutta - uno scarabocchio infantile - e il messaggio conciso e abbreviato: "Signor Q. pf consegn nastri a A.R. Il fat risparmierà un viaggio - GBM". 
Qwilleran non aveva più visto il suo padrone di casa da venerdì sera, quando aveva portato le sue due valigie dall'albergo all'appartamento e gli aveva pagato un mese di affitto. La speranza che Mountclemens lo invitasse domenica a far la prima colazione con lui - magari uova alla benedettina o frittata con fegatini di pollo - era caduta nel vuoto. Sembrava che soltanto il gatto intendesse mostrarsi socievole. 
Dopo aver decifrato il biglietto Qwilleran aprì la porta e sul pavimento dell'atrio trovò i nastri registrati. 
Li consegnò ad Arch Riker, anche se trovava quella richiesta strana e non necessaria. Il giornale aveva una gran quantità di fattorini che passavano il tempo a girarsi i pollici. 
Arch s'informò: — Va avanti bene il profilo di Halapay? 
— Oggi porto fuori a pranzo la signora Halapay. Il FIux vorrà accollarsi il conto? 
— Certo, a due dollari ci arriveranno. 
— Conosci un buon locale dove potrei condurla? Qualcosa di speciale. 
— Perché non lo chiedi agli Affamati Fotografi? Trovano sempre gente a cui offrire il pranzo per poterlo mettere in conto spese. 
Nel laboratorio fotografico Qwilleran si trovò davanti sei paia di piedi appoggiati a scrivanie, tavoli, cestini per la carta straccia e schedari: gli uomini oziavano in attesa di incarichi o in attesa che le fotografie uscissero dall'essiccatoio, oppure in attesa del cicalino della camera oscura. 
Qwilleran chiese: — Qual è un buon ristorante in cui portare qualcuno a pranzo per un'intervista? 
— Chi paga? 
— Il Flux. 
— La Casa della Bistecca di Toro Seduto — gli risposero all'unisono i fotografi. 
— Il filetto pesa mezzo chilo — aggiunse uno di loro. 
— La torta di formaggio è alta dieci centimetri. 
— Ti servono una doppia cotoletta di agnello grande come la mia scarpa. 
A Qwilleran parve che potesse andare. 
La Casa della Bistecca di Toro Seduto era situata nel distretto in cui si confezionavano i cibi in scatola, e nella sala da pranzo filtrava un odore caratteristico che andava a competere con quello di fumo di sigaro. 
— Oh, che posto divertente! — squittì Sandy Halapay. — Che bell'idea portarmi qui. Tanti uomini. Io adoro gli uomini! 
E gli uomini adoravano Sandy. Il cappellino rosso sovrastato da un'altera piuma di gallo nera era al centro dell'attenzione. Lei ordinò ostriche, che il locale non era in grado di fornire, e allora si accontentò dello champagne. Ma, a ogni sorsata, la sua risata diventava sempre più stridula, rimbalzando sulle asettiche pareti di mattonelle bianche del ristorante, e l'entusiasmo dei presenti scemò. 
— Jim caro, la settimana prossima, quando Cal andrà in Europa lei deve venire con me ai Caraibi. Avrò l'aereo tutto per me. Non sarebbe divertente? 
Però si era dimenticata di portare con sé le informazioni che servivano a Qwilleran, e le istantanee del marito si rivelarono inservibili. La cotoletta di agnello effettivamente risultò grossa come la scarpa di un fotografo, e altrettanto saporita. Le cameriere, in una divisa come quella delle infermiere diplomate, erano più efficienti che cordiali. Il pranzo non fu un successo. 
Nel pomeriggio, tornato in ufficio Qwilleran dovette sorbirsi lamentele telefoniche sulla critica domenicale di Mountclemens. Costui aveva definito un certo acquarellista "arredatore di interni frustrato" e gli amici e i parenti dell'artista chiamavano per criticare il Daily Fluxion e annullare l'abbonamento. 
Il lunedì nel complesso non fu una giornata serena per Qwilleran. Alla fine di quel noioso pomeriggio si fiondò al circolo della stampa per cenare e Bruno, mentre gli preparava il succo di pomodoro, disse: — Ho sentito che è andato a stare da Mountclemens. 
— Ho preso in affitto uno dei suoi appartamenti vuoti — rispose asciutto Qwilleran. — C'è qualcosa che non va in questo? 
— No, non penso, almeno non fino a quando lui non comincerà a comandarla a bacchetta. 
Poi comparve Odd Bunsen, che si trattenne quanto bastava per fare un sorrisetto allusivo e dirgli: — Ho sentito che il vecchio Monty ti ha affibbiato la sua prima commissione. 
Quando rincasò al 26 di Blenheim Place, Qwilleran non era dell'umore giusto per affrontare quello che trovò. Sulla porta c'era un altro biglietto. 
"Signor Q." diceva "P.f. ritiri biglietto aereo - prenot. merc. 15 N Y, addeb. mio conto GBM." 
I baffi di Qwilleran vibrarono. Era vero che l'ufficio della compagnia aerea era di fronte al palazzo del Daily Fluxion e che prendere un biglietto era un piccolo favore che il suo padrone di casa gli chiedeva in cambio di una buona cena, ma quello che lo irritava era il modo brusco in cui era stata fatta la richiesta. Oppure si trattava di un ordine? Forse Mountclemens credeva di essere il suo principale? 
Il giorno seguente era martedì. La prenotazione era per mercoledì. 
Non c'era tempo per discuterne, quindi Qwilleran, brontolando, la mattina successiva, prima di recarsi al giornale, ritirò il biglietto. 
Più tardi, nel corso della giornata, Odd Bunsen lo incontrò in ascensore e gli chiese: — Stai partendo? 
— No, perché? 
— Ti ho visto entrare negli uffici della compagnia aerea. Pensavo lasciassi la città. — E aggiunse con un sorriso beffardo: — Non dirmi che stai di nuovo facendo commissioni per Monty. 
Qwilleran si aggiustò i baffi con le nocche e cercò di convincersi con calma che la curiosità e un acuto senso di osservazione erano le caratteristiche di un buon fotoreporter. 
Quando tornò a casa quella sera un terzo biglietto lo aspettava sotto la porta. Questo gli riuscì più gradito: "Signor Q. p.f. faccia colaz. con me merc. 8.30. GBM". 
Mercoledì mattina Qwilleran salì al piano di sopra con il biglietto aereo e bussò alla porta di Mountclemens. 
— Buongiorno, signor Qwilleran — lo salutò il critico, tendendo una mano diafana, la sinistra. — Spero non abbia fretta. Ho preparato un ramequin di uova con erbe e panna acida e devo metterlo in forno, se può aspettare. Ci sono degli spiedini di fegatini di pollo e prosciutto. 
— Per questo posso anche aspettare. 
— Ho apparecchiato in cucina e, mentre teniamo d'occhio lo spiedo, potremo gustare una composta di ananas fresco. Stamattina sono stato tanto fortunato da trovare al mercato un ananas femmina. 
Il critico indossava pantaloni di seta e una corta giacca orientale stretta alla vita da una fusciacca. Profumava di essenza di limetta. I sandali infradito schiaffeggiarono il pavimento mentre l'uomo faceva strada sul lungo corridoio fino alla cucina. 
Le pareti del corridoio erano totalmente coperte da arazzi, pergamene e quadri incorniciati. Qwilleran fece dei commenti riguardo alla quantità. 
— C'è anche la qualità — disse Mountclemens, dando un colpetto a un gruppo di disegni nel passar loro davanti. — Rembrandt... Holbein. Molto belli. Millet. 
La cucina era grande con tre alte e strette finestre. La luce era filtrata dagli scuri di bambù, attraverso i quali Qwilleran scorse una scala esterna - evidentemente un'uscita di sicurezza - che portava a un patio delimitato da un muro di mattoni. Nel vialetto al di là riuscì a intravedere il tetto di una station-wagon. 
— Quella è la sua macchina? 
— Quella cosa grottesca — rabbrividì Mountclemens — è di quel mercante di porcherie che sta dall'altra parte del vialetto. Se avessi una macchina avrebbe una linea più felice: una Karmann Ghia o una Citroen. Stando le cose come stanno, dissipo la mia fortuna in taxi. 
La cucina era piacevolmente ingombra di antiche pentole di rame e di mazzetti di erbe essiccate. 
— Essicco da solo queste erbe — spiegò Mountclemens. — Gradirebbe un po' di menta marinata con l'ananas? Secondo me, dà un tocco in più a questo frutto. Coltivo la menta in un vaso sul davanzale, specialmente per Kao K'o-Kung. La sua idea di bel giocattolo è un bouquet di foglie di menta essiccate infilate in una calza. In un momento di raro acume abbiamo chiamato il suo giocattolo Mintie Mouse. Un'interpretazione piuttosto libera di un topo ma si tratta di quel genere di cose che affascinano il suo intelletto artistico. 
Mountclemens stava mettendo dei piatti nel forno, uno alla volta, usando la mano sinistra. 
— Dov'è Koko stamattina? — chiese Qwilleran. 
— Dovrebbe avvertire il suo sguardo. La sta osservando dall'alto del frigorifero: l'unico frigorifero fornito di cuscino di piume a ovest del fiume Hudson. È il suo letto. Si rifiuta di dormire altrove. 
Per la cucina stava cominciando a diffondersi l'aroma della pancetta, delle erbe e del caffè e Koko - acciambellato sopra di un cuscino azzurro uguale a quello dei suoi occhi - alzò il muso ad annusare. Lo stesso fece Qwilleran. 
Il giornalista chiese: — Come risolve il problema del gatto quando va a New York? 
— Ah, questo sì che è un problema. Koko ha bisogno di determinate attenzioni. La sentirebbe un'imposizione se le chiedessi di preparargli i pasti in mia assenza? Starò fuori meno di una settimana. Koko fa solo due pasti al giorno e la sua è una dieta semplice. Nel frigorifero c'è del manzo crudo. Deve semplicemente tagliarlo a pezzetti della dimensione di un fagiolo, metterli in una padella con del brodo e scaldarli. Un pizzico di sale e una spolverata di salvia o di timo saranno apprezzati. 
— Be'... — mormorò Qwilleran, prendendo l'ultima cucchiaiata di succo di ananas alla menta. 
— Per facilitarle le cose al mattino, quando deve andare in ufficio, per colazione invece del manzo potrebbe dare a Koko una fetta di pâté de la maison. È un gradito cambiamento per lui. Desidera il caffè subito o più tardi? 
— Più tardi — rispose Qwilleran. — No... lo prendo adesso. 
— E poi c'è la questione della lettiera. 
— Che cos'è? 
— La sua comoda. La troverà nella stanza da bagno. Richiede pochissime attenzioni. Koko è un gatto pulitissimo. Troverà la sabbia nella cassa da tè cinese che sta ai piedi della vasca da bagno. Vuole zucchero o panna? — Nero. 
— Se il tempo non è troppo inclemente, Koko potrebbe fare un po' di moto nel patio, sempre che lei lo accompagni. Di norma fa esercizio sufficiente correndo su e giù per le scale. Io lascio la porta del mio appartamento socchiusa perché lui possa entrare e uscire. Per star sul sicuro, le darò una chiave. C'è qualcosa che possa fare per lei a New York? 
Qwilleran, che aveva appena assaggiato la prima forchettata di fegatini di pollo avvolti nella pancetta e insaporiti con un tocco di basilico, rovesciò gli occhi al cielo deliziato. Nel farlo incrociò lo sguardo di Kao K'oKung che stava appollaiato sul frigorifero. Lentamente e con deliberatezza, il gatto chiuse un occhio in un inequivocabile ammiccamento. 


— Ho una lagnanza — disse Qwilleran ad Arch il mercoledì sera al circolo della stampa. 
— So di che si tratta. Hanno scritto il tuo nome con una u, ieri, ma nella seconda edizione lo abbiamo corretto. Sai che cosa succederà, vero? La prossima volta che il sindacato dei tipografi si riunirà con la direzione una delle lamentele riguarderà lo spelling del tuo nome. 
— Ma ho anche un'altra cosa di cui lamentarmi. Non sono stato assunto per fare l'attendente del vostro critico d'arte, ma lui sembra pensarla così. Lo sai che nel pomeriggio lascia la città? 
— Questo l'avevo intuito — rispose Arch. — L'ultimo pacco di nastri includeva materiale a sufficienza per tre rubriche. 
— Prima ho consegnato i nastri per lui, poi gli ho preso il biglietto aereo per il volo delle quindici e adesso si aspetta che pulisca la latrina del suo gatto! 
— Aspetta che Odd Bunsen lo venga a sapere! 
— Non dirglielo! Quel ficcanaso lo scoprirà fin troppo presto con quei suoi modi insinuanti. Io dovrei dare da mangiare al gatto due volte al giorno, cambiargli l'acqua e pulirgli la lettiera. Sai che cosa è una lettiera? 
— Posso indovinarlo. 
— Per me è stata una novità. Pensavo che i gatti corressero in cortile per i loro bisogni. 
— Nel contratto dei giornalisti non c'è niente che riguardi la pulizia dei cessi — ribatté Arch. — Perché non ti sei rifiutato? 
— Mountclemens non me ne ha dato la possibilità! È un volpone! Io me ne stavo lì, seduto nella sua cucina, ipnotizzato dall'ananas fresco, dai fegatini di pollo e dalle uova in panna acida. E per di più era un ananas femmina. Che potevo fare? 
— Dovrai scegliere tra l'orgoglio e la gola, tutto qui. Non ti piacciono i gatti? 
— Sicuro, gli animali mi piacciono e questo gatto è più umano di certe persone di cui potrei fare il nome. Ma mi dà la sgradevole sensazione di saperne più di me. 
— Noi abbiamo di continuo gatti per casa; li portano i ragazzi, ma nessuno mi ha mai fatto venire complessi d'inferiorità. 
— Perché i tuoi ragazzi non ti hanno mai portato a casa un siamese. 
— Be', per tre o quattro giorni riuscirai a farcela. Se si rivelerà un compito superiore alle tue forze manderemo un fattorino con laurea. Lui dovrebbe essere in grado di cavarsela con un siamese. 
— Piantala, sta arrivando Odd Bunsen — disse Qwilleran. 
Ancor prima che il fotografo comparisse, si avvertì l'odore del suo sigaro e si udì la sua voce che si lamentava del freddo. 
Odd diede una pacca sulla spalla a Qwilleran. — Quelli che hai sul risvolto sono peli di gatto, oppure esci con una bionda con i capelli tagliati a spazzola? 
Qwilleran si pettinò i baffi con un bastoncino sgasatore. 
L'altro riprese: — Ho il turno di notte. Qualcuno di voi vuole mangiare con me? Ho un'ora di tempo, se nessuno fa saltare in aria il municipio. 
— Io — disse Qwilleran. 
Sedettero a un tavolo e consultarono il menù. Odd ordinò una bistecca, fece i complimenti alla cameriera per il vitino di vespa, poi chiese a Qwilleran: — Be', sei riuscito a inquadrare il vecchio Monty? Se io andassi in giro a insultare tutti come fa lui sarei licenziato oppure mi manderebbero alla cronaca mondana; non so cosa delle due sia peggio. Lui come fa a passarla liscia? 
— Licenza di critico. E poi ai giornali piacciono gli scrittori polemici. 
— E da dove prende tutto quel denaro? So che fa una gran bella vita. Viaggia molto. Guida un'auto costosa. Non può fare tutto questo con il denaro che gli dà il Flux. 
— Mountclemens non guida — disse Qwilleran. 
— E invece sì. L'ho visto io al volante. Stamattina. 
— Mi ha detto che non ha la macchina, che viaggia in taxi. 
— Forse non ce l'ha, ma qualche volta la guida. 
— E secondo te come fa? 
— Nessun problema. Cambio automatico. Non hai mai guidato usando solamente una mano? Io ho guidato molto spesso con una mano sola e contemporaneamente cambiavo marcia e mangiavo un hot-dog senza alcun problema. 
— Ho anch'io qualche domanda da farti. Gli artisti locali sono davvero così scadenti come sostiene Mountclemens? Oppure lui è una montatura come pensano gli artisti? Mountclemens afferma che Halapay è un ciarlatano. Halapay afferma che i quadri di Zoe Lambreth non valgono un fico secco. Zoe sostiene che Sandy Halapay è un'ignorante. Sandy sostiene che Mountclemens è un irresponsabile. Mountclemens sostiene che Farhar è incompetente. Farhar sostiene che Mountclemens non sa nulla di arte. Mountclemens sostiene che Earl Lambreth è patetico. Lambreth sostiene che Mountclemens è un monumento di buongusto, attendibilità e integrità. 
Dunque... chi ha ragione? 
— Ascolta — disse Odd — credo mi stiano chiamando. 
La voce proveniente dall'altoparlante si udiva a stento nel frastuono del locale. 
— Sissignore, è per me — esclamò il fotografo. — Qualcuno deve aver fatto saltare il municipio. 
Andò al telefono e Qwilleran se ne stette lì a meditare sulla complessità del mondo dell'arte. 
Quando Odd Bunsen ritornò era teso per l'eccitazione. 
Qwilleran pensò: "Fa il fotoreporter da quindici anni e ancora si infiamma per un allarme di incendio". 
— Ho notizie per te — disse Odd, chinandosi sul tavolo e tenendo la voce bassa. 
— Che cosa è successo? 
— Guai nel tuo campo. 
— Che tipo di guai? 
— Omicidio! Vado subito alla Lambreth Gallery. 
— Lambreth? — Qwilleran si alzò tanto in fretta da rovesciare la sedia. Chi...? Non Zoe! 
— Suo marito. 
— Sai che cosa è successo? 
— Mi hanno detto che è stato pugnalato. Vuoi venire con me? Ho avvertito il giornale che eri qui; ti sono grati se vorrai occuparti tu della faccenda: Kendall è fuori per un servizio, e i suoi due ragazzi sono impegnati. 
— D'accordo, vengo. 
— Sarà bene che telefoni per informarli. Ho la macchina fuori. Quando Qwilleran e Bunsen arrivarono, davanti alla Lambreth 
Gallery regnava la calma. Il distretto finanziario di solito dopo le diciassette e trenta si svuotava, e nemmeno un omicidio era riuscito ad attirare gente. Un vento gelido soffiava nel corridoio creato dai vicini palazzi di uffici e solo pochi passanti infreddoliti si erano fermati sul marciapiede; ma anche questi se ne andarono di lì a poco. La strada rimase deserta. Voci isolate riecheggiarono forte nel silenzio. 
I due giornalisti mostrarono il tesserino all'agente di guardia alla porta. Dentro, i costosi pezzi d'arte e l'arredamento lussuoso costituivano uno scenario improbabile per l'assortimento di ospiti non invitati. Un fotografo della polizia stava scattando fotografie di alcuni dipinti che erano stati rabbiosamente squarciati. Bunsen indicò a Qwilleran l'ispettore del distretto di polizia e Hames, un agente investigativo della Squadra Omicidi. Questi fece loro un cenno indicando il piano di sopra con il pollice. 
I due cominciarono a salire la scala a chiocciola situata in fondo al locale, ma subito indietreggiarono per lasciar passare il tecnico della scientifica che parlottava tra sé chiedendosi: "Come riusciranno a far scendere di qua la lettiga? Dovranno calarla dalla finestra". 
Al piano di sopra una voce stava dicendo — Avanti ragazzi, di questo potrete occuparvi al piano di sotto. Sgombrate un po'. 
— Questo è Wojcik, della Omicidi — spiegò Bunsen. — Con lui non si scherza. 
Il laboratorio delle cornici era più o meno come Qwilleran ricordava, a parte gli uomini con distintivi, macchine fotografiche e taccuini. Sulla porta dell'ufficio di Lambreth sostava un agente. Guardando al di sopra della sua spalla Qwilleran riuscì a vedere che il locale era a soqquadro. Il cadavere giaceva sul pavimento accanto alla scrivania. 
Catturò l'attenzione di Wojcik, e aprì il notes. — Si sa chi è l'assassino? 
— No — rispose l'altro. 
— La vittima è Earl Lambreth, direttore della galleria? 
— Esatto. 
— Metodo usato? 
— Pugnalato con uno strumento preso dal banco di lavoro. Uno scalpello affilato. 
— Dove? 
— Alla gola. Un lavoro sporco. 
— Dove è stato scoperto il cadavere? 
— Nel suo ufficio. 
— Da chi? 
— Dalla moglie della vittima, Zoe. 
Qwilleran deglutì e fece una smorfia. 
— Si scrive Z-O-E — spiegò l'altro. 
— Lo so. Tracce di lotta? 
— L'ufficio è stato praticamente devastato. 
— E che mi dice del vandalismo nella galleria? 
— Diversi quadri danneggiati. Una statua spaccata. Se torna giù può vedere da sé. 
— A che ora è successo? 
— L'orologio elettrico, che giaceva a terra accanto alla scrivania, era fermo sulle diciotto e quindici. 
— A quell'ora la galleria era chiusa. 
— Esatto. 
— Segni di effrazione? 
— No. 
— Quindi l'assassino doveva avere legittimo accesso alla galleria. 
— Forse. Abbiamo trovato la porta di ingresso chiusa a chiave. Quando la signora Lambreth è arrivata, la porta sul vicolo poteva essere chiusa come aperta. 
— Rubato qualcosa? 
— Nulla che risulti a prima vista. — Wojcik si mosse per andarsene. — Tutto qui. Può fare il suo articolo. 
— Un'altra domanda. Qualche indiziato? 
— No. 
Al piano di sotto, mentre Bunsen si aggirava scattando fotografie, Qwilleran esaminò la natura del vandalismo. Due dipinti a olio erano stati squarciati diagonalmente con uno strumento affilato. Un quadro incorniciato giaceva a terra con il vetro spaccato, come se qualcuno l'avesse calpestato con il tacco della scarpa. Una scultura di argilla rossiccia sembrava essere stata sbattuta giù da un tavolino col ripiano di marmo; dappertutto c'erano frammenti. 
I dipinti di Zoe Lambreth e di Scrano - gli unici due nomi che dicessero qualcosa a Qwilleran - non erano stati toccati. 
Ricordò di aver visto la scultura, la volta precedente. La figura allungata dalle assurde protuberanze era stata, evidentemente, una donna. La targhetta, ancora fissata sul piedistallo vuoto, diceva: "Eva di B.H. Riggs - terracotta". 
Qwilleran la settimana precedente non aveva notato l'acquerello che ora stava per terra. Faceva pensare a un puzzle di molti colori: nient'altro che una composizione gradevole. Il titolo era: "Interno" e il nome dell'artista era Mary Ore. Secondo la targhetta, sì trattava di una gouache. 
Poi Qwilleran esaminò i due olii. Entrambi consistevano in ondulate strisce verticali di colore, tracciate con un pennello largo, su fondo bianco. I colori erano violenti - rosso, porpora, arancione, rosa - e i dipinti sembravano vibrare come corde pizzicate. Si chiese chi avrebbe comperato quelle opere esasperanti. Lui preferiva il suo Monet di seconda scelta. 
Avvicinatosi ulteriormente per controllare le targhette, notò che una diceva: "Scena di spiaggia 3 di Mary Ore - Olio", mentre l'altra recitava: "Scena di spiaggia 2" e l'opera era dello stesso artista. Per un certo verso, quei titoli aiutavano a capire i dipinti, che cominciarono a ricordargli delle onde di calore che si levassero da sabbie infuocate. 
Si rivolse a Bunsen: — Guarda quelle due tele. Diresti che sono scene di spiaggia? 
— Direi che l'artista era ubriaco — fu il commento di Odd. 
Qwilleran indietreggiò di qualche passo e strizzò gli occhi per osservare bene i due olii. All'improvviso distinse una folla di figure in piedi. Aveva fissato le strisce rosse, arancione e porpora e, nei vuoti in mezzo a queste, avrebbe dovuto vedere i vuoti bianchi. Le strisce verticali bianche suggerivano i contorni di corpi femminili astratti ma riconoscibili. 
Pensò: "In quelle strisce bianche ci sono sagome di donne... La statua di argilla in frantumi era il torso di una donna... Diamo un'altra occhiata all'acquerello". 
Ora che sapeva che cosa stava cercando, non gli fu difficile trovarlo. Nell'incastro di colori che costituiva l'opera di Mary Ore riuscì a distinguere una finestra, una sedia, un letto... sul quale era adagiata una figura umana. Femminile. 
Disse a Odd Bunsen: — Mi piacerebbe andare a casa Lambreth per vedere se Zoe vuole parlarmi. Inoltre potrebbe fornirci una foto del marito. Vogliamo chiedere in ufficio se è il caso di farci un salto? 
Dopo aver telefonato alla redazione i dettagli dell'articolo e ottenuto il nullaosta, Qwilleran s'infilò nell'angusta due posti guidata da Odd Bunsen e insieme raggiunsero il 3434 di Sampler Street. 
La casa di Lambreth era un edificio moderno, situata in un quartiere nuovo, tutto leziosamente progettato, dove prima sorgevano degli slum. Suonarono il campanello e attesero. Le grandi finestre avevano i tendaggi tirati, ma si vedeva che in ogni stanza le luci erano accese, al pianterreno come al piano di sopra. Suonarono di nuovo. 
Quando la porta si aprì la donna in pantaloni che comparve sulla soglia - le braccia conserte in atteggiamento bellicoso, i piedi saldamente piantati sul pavimento - parve familiare a Qwilleran. Era alta e robusta. Sul volto flaccido mostrava un'espressione severa. 
— Sì? — chiese in tono di sfida. 
— Sono un amico della signora Lambreth — dichiarò Qwilleran. — Mi domando se potrei esserle di aiuto. Mi chiamo Jim Qwilleran. E questo è il signor Bunsen. 
— Siete del giornale? La signora Lambreth stasera non riceve i giornalisti. 
— Questa non è una visita ufficiale. Stiamo rincasando e abbiamo pensato che magari avremmo potuto fare qualcosa. Lei non è la signorina Bolton? 
Dall'interno della casa una voce bassa e stanca chiese: — Chi è, Butchy? 
— Qwilleran e un altro tizio del Fluxion. 
— Va bene, falli passare. 
Entrarono in una stanza arredata in stile rigidamente moderno. I mobili erano pochi ma belli e lì, appoggiata allo stipite, c'era Zoe Lambreth, che indossava pantaloni di seta porpora, camicetta color lavanda, e aveva un'aria sciupata e stranita. 
Butchy la rimproverò: — Dovresti stare a letto a riposare. 
— Sto bene — ribatté la padrona di casa. — Sono troppo tesa per riuscire a riposare. 
— Non vuole prendere sedativi. 
— I signori vogliono sedersi? — chiese Zoe. 
Sul volto di Qwilleran si leggeva quella calda comprensione per la quale andava famoso. Persino i baffi contribuivano a esprimere seria sollecitudine. — Inutile — esordì — che le dica quello che provo. Anche se lo conoscevo da poco, sono molto addolorato. 
— È terribile, proprio terribile. — Zoe sedette sul bordo del divano, le mani sulle ginocchia. 
— Avevo visitato la galleria la settimana scorsa, come lei mi aveva suggerito — continuò Qwilleran. 
— Lo so, Earl me lo aveva detto. 
— Deve aver provato uno choc terribile. 
Butchy si intromise: — Non credo che dovrebbe parlarne. 
— Butchy, devo parlarne — si spazientì Zoe. — Altrimenti impazzisco. — Guardò Qwilleran con i grandi occhi castani che lui ricordava tanto bene dal loro primo incontro e che ora gli fecero venire in mente gli occhi che aveva visto nei quadri di Zoe, alla galleria. 
Chiese: — Era sua abitudine andare alla galleria dopo l'orario di chiusura? 
— Assolutamente no. Ci andavo sempre molto di rado. È considerato poco professionale che un artista si aggiri per la galleria che tratta delle sue opere; in particolare nel nostro caso, marito e moglie. Sarebbe sembrato una cosa troppo in famiglia! 
— La galleria mi è parsa molto sofisticata, molto adatta al distretto finanziario. 
Con manifesto orgoglio Butchy spiegò: — È stata un'idea di Zoe. 
— Signora Lambreth, che cosa l'ha indotta ad andare alla galleria questa sera? 
— Ci sono andata due volte. La prima quando mancava pochissimo all'orario di chiusura. Ero stata in giro a fare spese per tutto il pomeriggio e sono entrata per vedere se Earl voleva restare in centro per cena. Lui si è rammaricato che non poteva venir via prima delle sette, se non più tardi. 
— Che ora era quando gli ha parlato? 
— La porta d'ingresso era ancora aperta, quindi doveva essere prima delle diciassette e trenta. 
— Le ha spiegato perché non poteva lasciare la galleria? 
— Aveva da lavorare sui registri contabili... per una scadenza fiscale o qualcosa del genere... e allora me ne sono andata a casa. Ma ero stanca e non avevo voglia di cucinare. 
Butchy intervenne: — Sta lavorando giorno e notte per una personale. 
— E così ho deciso di farmi un bagno e di cambiarmi — proseguì Zoe 
— poi di tornare alla galleria alle sette e di strappare Earl alla sua contabilità. 
— Gli ha telefonato per avvertirlo? 
— Penso di sì. O forse no. Non ricordo. Avevo pensato di farlo, ma nella fretta di vestirmi non so se ho chiamato o meno... Sa come succede... si fa tutto automaticamente... senza riflettere. A volte non mi ricordo nemmeno se mi sono lavata i denti e devo guardare lo spazzolino per vedere se è bagnato. 
— Che ore erano quando è arrivata per la seconda volta alla galleria? 
— Più o meno le sette, penso. Earl aveva portato la macchina a far riparare e così ho chiamato un taxi e ho chiesto all'autista di lasciarmi all'ingresso sul vicolo. Ho una chiave della porta di servizio... in caso di emergenza. 
— Era chiusa? 
— Questa è un'altra cosa che non ricordo. Avrebbe dovuto esserlo. Ho infilato la chiave nella toppa e ho abbassato la maniglia senza pensarci su molto. La porta si è aperta e sono entrata. 
— Ha notato qualcosa di strano al pianterreno? 
— No. Le luci erano spente. Ho salito la scala a chiocciola, ma, una volta raggiunto il laboratorio, ho intuito che c'era qualcosa che non andava. Il silenzio era assoluto. Avevo quasi paura di entrare. — Ricordare le riusciva doloroso. — Ma l'ho fatto. Prima ho visto... giornali e ogni cosa sparpagliati per terra e poi... — Si nascose il volto tra le mani e nella stanza calò il silenzio. 
Di lì a poco Qwilleran chiese con dolcezza: — Ha piacere che informi Mountclemens a New York? So che la tiene in grande considerazione. 
— Se vuole. 
— I funerali sono stati predisposti? 
Gli rispose Butchy. — Non ci saranno funerali. Zoe non li approva. 
Qwilleran si alzò. — Adesso ce ne andiamo, ma la prego, signora Lambreth, mi faccia sapere se posso fare qualcosa. A volte aiuta anche solo parlare. 
— Ci sono qui io, mi occupo io di lei — intervenne Butchy. 
Qwilleran si disse che quella donna era troppo possessiva. — Un'altra cosa, signora Lambreth. Ha una bella foto di suo marito? 
— No. Soltanto un ritratto che gli ho fatto l'anno scorso. È nel mio studio. Vi accompagnerà Butchy. Io credo che andrò di sopra. 
Uscì dalla stanza senza ulteriori cerimonie e Butchy condusse i due uomini nello studio sul retro della casa. 
Lì, su una parete, c'era Earl Lambreth: freddo, altezzoso, sprezzante, ritratto senza amore. 
— Somiglianza perfetta — dichiarò Butchy con orgoglio. — Zoe è riuscita davvero a cogliere la sua personalità. 
Il clic della macchina fotografica di Odd Bunsen quasi non si udì. 


Quando Qwilleran e Odd risalirono in macchina e si allontanarono da casa Lambreth restarono a tremare in silenzio fino a che il riscaldamento non emise il suo primo, promettente alito di calore. 
Poi Odd disse: — A quanto sembra, i Lambreth marciavano bene nel racket artistico. Vorrei poter vivere così anch'io. Scommetto che quel divano vale un miliardo di dollari. Chi era quella megera? 
— Butchy Bolton. Insegna scultura alla Penniman School of Fine Art. 
— Pensava di essere lei a dirigere il gioco. E si divertiva anche. 
Qwilleran si dichiarò d'accordo. — E inoltre non mi è parsa affatto addolorata per la morte di Lambreth. Mi chiedo come rientra nella vicenda. 
Amica di famiglia, suppongo. 
— Se vuoi un mio parere — suggerì Odd — ho l'impressione che nemmeno la bella Zoe se la sia presa troppo. 
— È una donna calma e intelligente, anche se è una bella bambola. Non è il tipo che crolla. 
— Se mia moglie dovesse mai trovarmi disteso in un lago di sangue voglio che crolli, e crolli per benino! Non voglio che torni di corsa a casa a mettersi il rossetto e a indossare un abito elegante per accogliere la gente che arriva a porgerle le condoglianze. Pensa un po': non ricorda nemmeno se ha telefonato o no al marito, e neppure se la porta della galleria era chiusa a chiave! 
— Colpa dello choc. Lascia dei vuoti di memoria. Se ne ricorderà domani... o dopodomani. Che te ne pare del ritratto del marito? 
— Perfetto! Un baccalà. Non avrei potuto far di meglio con una fotografia. 
— Pensavo che questi artisti moderni facessero macchie e gocce perché non sono capaci di dipingere, ma adesso non ne sono più tanto sicuro. Zoe ha davvero del talento. 
— Se ha tanto talento perché spreca il suo tempo a dipingere quelle porcherie moderne? 
— Probabilmente perché si vendono. Tra l'altro, vorrei conoscere il nostro cronista di nera. 
— Lodge Kendall? Non l'hai ancora conosciuto? Lo si trova al circolo della stampa quasi tutti i giorni all'ora di pranzo. 
— Vorrei parlargli. 
— Vuoi che ti combini un appuntamento per domani? — chiese Odd. 
— D'accordo... Ora dove sei diretto? 
— Torno al laboratorio. 
— Se non ti porto fuori strada mi accompagneresti a casa? 
— Non c'è problema. 
Qwilleran guardò l'orologio alla luce del cruscotto. — Sono le dieci e trenta e ho dimenticato di dare da mangiare al gatto. 
— Aah aah! — rise Odd. — Te l'avevo detto che Monty voleva farti fare da baby-sitter al gatto. — Qualche minuto dopo, quando svoltò in Blenheim Place, chiese: — Ma questo quartiere non ti fa paura? Con tutti i ceffi che vi si aggirano... 
— Non mi preoccupano — tagliò corto Qwilleran. 
— Non riusciresti mai a convincermi ad abitare qui, io sono un pusillanime. 
Sotto il porticato del numero 26 c'era un giornale ripiegato. Qwilleran lo raccolse, aprì la porta e se la richiuse lesto alle spalle, felice di non essere più al freddo. Provò la maniglia per assicurarsi che fosse chiusa, come Mountclemens gli aveva raccomandato di fare. 
Avvalendosi di una seconda chiave aprì la porta del vestibolo. E subito si ritrasse in preda al panico. 
Dal buio era scaturito un urlo selvaggio. La mente gli si svuotò. I baffi gli si rizzarono. Il cuore prese a battergli all'impazzata. Istintivamente strinse il giornale a mo' di randello. 
Poi capì qual era la fonte dell'urlo. Koko lo stava aspettando. Koko lo stava rimproverando. Koko era affamato. Koko era furioso. 
Qwilleran si abbandonò contro lo stipite della porta e respirò a fondo. 
Poi allentò la cravatta. 
— Non provarci mai più — disse al gatto. 
Koko era sul tavolo i cui piedi erano costituiti da leoni dorati e gli rispose con un torrente di insulti. 
— D'accordo, d'accordo — urlò Qwilleran. — Mi scuso. Me ne sono dimenticato, tutto qui. Avevo una faccenda importante da sbrigare in centro. 
Koko continuò la sua tirata. 
— Aspetta un attimo che mi tolgo il cappotto, eh? 
Quando Qwilleran andò al piano di sopra il tumulto cessò. Il gatto fece un balzo e, precedendolo, lo scortò sino all'appartamento di Mountclemens, ch'era immerso nell'oscurità. Qwilleran tastò tutt'attorno alla ricerca di un interruttore. Quest'ulteriore ritardo irritò Koko che diede la stura a una nuova protesta vocale. Adesso gli strilli avevano un tono roco e minaccioso. 
— Arrivo, arrivo — sbuffò Qwilleran, seguendo il gatto lungo lo stretto corridoio, fino alla cucina. Koko lo portò direttamente davanti al frigorifero, nel quale su un vassoio di vetro lo aspettava un pezzo di carne. Sembrava un intero filetto di manzo. 
Qwilleran posò la carne su un tagliere e si mise alla ricerca di un coltello affilato. 
— Dove tiene i coltelli il tuo padrone? — chiese, aprendo un cassetto dopo l'altro. 
Koko fece un balzo leggiadro su una credenza vicina e indicò con il muso una rastrelliera, dove cinque coltelli erano appesi con la punta rivolta all'ingiù a una sbarra calamitata. 
— Grazie — disse Qwilleran, che prese a tagliare la carne stupendosi dell'ottima qualità di quell'acciaio. Dei veri coltelli da chef! Tagliare la carne era un piacere. Come aveva detto Mountclemens che si doveva tagliare la carne? Delle dimensioni di un fagiolo o di un pisello? E riguardo al brodo? Aveva detto di scaldare la carne nel brodo. Dov'era il brodo? 
Il gatto era seduto sulla credenza e sorvegliava ogni mossa con smorfia impaziente. 
Qwilleran gli disse: — Che ne penseresti di mangiarla cruda, vecchio mio? Visto che è così tardi... 
Koko gorgogliò una nota bassa di gola, che Qwilleran interpretò come assenso. Il giornalista aprì la credenza e ne levò un piatto di porcellana che aveva un grande bordo dorato. Vi collocò la carne -in un modo invitante, così gli parve - poi lo depose sul pavimento, vicino a una ciotola di ceramica per l'acqua, decorata con la parola gatto in tre lingue. 
Koko balzò al suolo con un grugnito, si avvicinò al piatto ed esaminò la carne. Poi alzò gli occhi a guardare Qwilleran con l'incredulità resa evidente dalla posizione delle orecchie. 
— Su, mangia — lo esortò Qwilleran. — Goditelo e buon pro ti faccia! 
Koko abbassò la testa di nuovo 
Annusò. Toccò la carne con una zampa e rabbrividì visibilmente. Scosse la zampa, disgustato, e si allontanò con la coda rigidamente puntata verso la Stella polare. 
Più tardi, dopo che Qwilleran ebbe trovato il brodo nel frigorifero e preparato il pasto come si conveniva, Kao K'o-Kung acconsentì a cenare. 
Il giorno dopo, mentre pranzava con Arch Riker e Lodge Kendall al circolo della stampa, Qwilleran raccontò dell'esperienza vissuta la sera prima. 
— Ma questa mattina me la sono cavata magnificamente — riprese. — Koko è venuto a chiamarmi alle sei e mezzo, urlando davanti alla porta, al che mi sono alzato e ho preparato la colazione con sua piena soddisfazione. Penso che mi permetterà di svolgere questo incarico fino al ritorno di Mountclemens. 
Il cronista di nera era giovane, teso, serio, portato a prendere tutto alla lettera e poco incline al sorriso. Chiese: — Intendi dire che permetti al gatto di farla da padrone? 
— In realtà mi dispiace per lui. Povero piccolo gatto ricco! Niente altro che filetto di manzo e pâté de la maison! Mi piacerebbe riuscire a catturargli un topo. 
Arch spiegò a Kendall: — Vedi, si tratta di un siamese che discende da una divinità egizia. Non solo comunica e spadroneggia, ma sa anche leggere i titoli dei giornali. Un gatto che sa leggere è chiaramente superiore a un giornalista che non sa catturare topi. 
Qwilleran soggiunse: — E vola anche. Quando vuole arrivare in cima a una libreria alta due metri e mezzo si limita a tirare indietro le orecchie e a schiizzare verso l'alto come un jet. Niente ali. In lui funziona un qualche principio aerodinamico che non vale per i gatti normali. 
Kendall guardò i due uomini più anziani con stupore e sospetto. 
— Dopo che Koko mi ha svegliato alle sei e mezzo — spiegò Qwilleran — mi sono messo a riflettere sull'omicidio Lambreth. C'è qualche sviluppo, Lodge? 
— Stamattima non hanno comunicato nulla. 
— Sono arrivati a una conclusione riguardo al vandalismo? 
— Non che io sappia. 
— Be', ieri sera ho notato una cosa che mi sembra interessante. Tutti e quattro gli oggetti danneggiati raffiguravano una donna più o meno svestita. La polizia lo ha notato? 
— Non lo so — rispose il cronista. — Ne accennerò al quartier generale. 
— Non è facile accorgersene. Quella roba è quasi tutta astratta e un'occhiata superficiale non dice nulla. 
— Quindi il vandalo deve essere qualcuno che si intende di arte moderna — osservò Kendall. — Forse un pazzo che odia la madre! 
— Questo restringe il campo — disse Arch. 
Qwilleran era nel suo elemento... a contatto con il campo della nera nel quale aveva imparato il mestiere. L'espressione del viso era accesa e persino i baffi sembravano felici. 
Al tavolo furono serviti i panini di carne, e i tre si concentrarono a far scendere la senape ciascuno a modo proprio: Arch fece dei cerchi concentrici sul suo pane di segale, Kendall tracciò un preciso zigzag e Qwilleran creò un disegno astratto. 
Di lì a un po' Kendall chiese a quest'ultimo: — Sai molto di Lambreth? 
— L'ho incontrato una volta sola. Un pallone gonfiato. 
— La galleria va bene? 
— Difficile dirlo. È arredata sontuosamente, ma questo non dimostra nulla. Alcuni quadri esposti avevano prezzi a cinque cifre, anche se io non avrei tirato fuori nemmeno cinque centesimi. Immagino ci siano investitori che comperano questo genere d'arte. Ecco il motivo per cui Lambreth ha aperto la galleria nel distretto finanziario. 
— Forse qualche gonzo ha creduto di essere stato truffato e ha ingaggiato con il mercante una lite finita poi tragicamente! 
— Non quadra con il tipo di vandalismo. 
Arch interloquì. — Pensi che la scelta dell'arma indichi qualcosa? 
— Si trattava di uno scalpello preso dal banco di lavoro — spiegò Kendall. 
— L'assassino può averlo afferrato in un momento di furia, oppure sapeva già da prima che lo avrebbe trovato lì pronto per essere usato? 
— Chi mandava avanti il laboratorio? 
— Non penso ci fossero operai — rispose Qwilleran. — Sospetto che fosse Lambreth stesso a fabbricare le cornici, nonostante la facciata lussuosa allestita per i clienti. Mentre mi trovavo lì ho notato un lavoro chiaramente in via di svolgimento, ma nessuno all'opera. E quando ho chiesto chi facesse le cornici lui è stato evasivo. Poi ho notato che aveva le mani sporche: macchiate e sciupate come se avesse fatto un lavoro manuale. 
— Allora può darsi che la galleria non andasse troppo bene e che fosse lui a eseguire le cornici. 
— D'altro canto, la casa di Lambreth è in un buon quartiere, e sembra arredata costosamente. 
Kendall disse: — Mi domando se Lambreth abbia fatto entrare l'assassino dopo l'orario di chiusura. O forse è stato l'assassino a entrare dal retro... con una chiave? 
— Sono sicuro che si trattava di qualcuno che Lambreth conosceva — intervenne Qwilleran — e ritengo che dopo l'omicidio si sia simulata una lotta. 
— Come mai lo pensi? 
— A causa della posizione del cadavere. Sembrerebbe che Lambreth sia caduto fra la sedia girevole e la scrivania, come se fosse stato seduto quando l'assassino lo ha colto di sorpresa. Non si sarebbe impegnato in una zuffa per poi rimettersi alla scrivania ad aspettare di essere fatto fuori. 
— Be', lasciamo che sia la polizia a risolvere il caso — disse Arch. — Noi abbiamo del lavoro da sbrigare. 
Quando si alzarono, il cameriere fece cenno a Qwilleran di avvicinarsi. — Ho letto dell'omicidio Lambreth — disse e fece una pausa significativa prima di aggiungere: — Conosco quella galleria. 
— Ah sì? E che cosa sai? 
— Lambreth era un imbroglione. 
— Che cosa te lo fa credere? 
Bruno lanciò una rapida occhiata a destra, poi a sinistra. — Conosco una gran quantità di pittori e scultori e tutti potrebbero dirle come operava Lambreth. Vendeva qualcosa per ottocento dollari e all'artista offriva centocinquanta miserabili dollari. 
— Pensi che lo abbia fatto fuori uno dei suoi amici? 
Bruno finse un'espressione indignata. — Non dicevo niente del genere. Pensavo solo che le facesse piacere sapere che tipo era. 
— Be', grazie. 
— E la moglie non è molto meglio. 
— Che cosa vuoi dire? 
Il barista prese uno strofinaccio e pulì un tratto del bancone che non ne aveva alcun bisogno. — Tutti sanno che si dà da fare, però bisogna concederle che sa dove sgambettare. 
— Per esempio, dove? 
— Per esempio al piano di sopra di dove vive lei. Mi par di capire che lassù ci sia un appartamentino molto confortevole. — Bruno smise di pulire il bancone e gli lanciò un'occhiata carica di significato. — Quella sale lassù per dipingere il gatto! 
Qwilleran scrollò le spalle senza far commenti e si apprestò ad andarsene. 
Bruno lo richiamò. — Un'altra cosa, signor Qwilleran. Ho sentito che stanno succedendo fatti strani al museo. È scomparso un oggetto di valore e quelli vogliono mettere la cosa a tacere. 
— E quale sarebbe il motivo? 
— Chi lo sa? In quel posto accadono tante cose strane. 
— Qual è l'oggetto scomparso? 
— Un pugnale... dalla Sala Fiorentina! Questo mio amico... un custode del museo, ha scoperto che mancava il pugnale e ha riferito la cosa, ma nessuno vuol agire al riguardo. Pensavo potesse essere uno scoop per lei. 
— Grazie, indagherò — rispose Qwilleran. Alcune delle informazioni migliori nella sua carriera le aveva ricavate dai baristi dei circoli della stampa. Anche alcune delle peggiori. 
Mentre si apprestava a lasciare l'edificio si fermò nell'atrio dove le mogli dei giornalisti stavano facendo una vendita per beneficenza di libri usati. Per mezzo dollaro prese una copia di Come far felice la vostra bestiola. Acquistò anche uno Studio sugli alti e bassi nell'impresa commerciale americana dal 1800 al 1850, per pochi centesimi. 
Tornato in ufficio telefonò a casa Lambreth. Rispose Butchy e disse che no, Zoe non poteva venire all'apparecchio... sì, era riuscita a dormire un po'... no, non c'era nulla che Qwilleran potesse fare. 
Finito il pomeriggio di lavoro tornò a casa con il bavero del cappotto rialzato per ripararsi dalla neve che aveva cominciato a fioccare. Si disse che avrebbe dato da mangiare al gatto, sarebbe uscito a farsi un hamburger, dopodiché sarebbe andato al museo a dare un'occhiata alla Sala Fiorentina. Era giovedì e il museo restava aperto fino a tardi. 
Quando arrivò al numero 26 e si fu scrollato di dosso la neve dalle spalle mentre batteva i piedi, trovò Koko in attesa. Il gatto questa volta stava nell'atrio, dietro la porta, e non lo accolse con una rumorosa sequela di lamentele, ma con un miagolio di apprezzamento. La posizione dei baffi, piegati verso l'altro, gli conferiva un'aria cordiale. Qwilleran si sentì lusingato. 
— Salve, vecchio mio, hai avuto una giornata interessante? 
Dal tenue mormorio di Koko, Qwilleran decise che la giornata del gatto doveva essere stata un po' meno interessante di quella che aveva avuto lui. Si avviò sulle scale per andare a tagliare il filetto - o come si chiamava quel taglio di carne che Mountclemens usava come alimento per il gatto - e notò che questa volta Koko non gli era balzato davanti per precederlo, ma lo seguiva alle calcagna, e gli si infilava tra le gambe. 
— Che cosa stai cercando di fare? Lo sgambetto? — lo apostrofò. 
Preparò la carne secondo le istruzioni ufficiali, mise il piatto per terra e sedette a guardare Koko mangiare. Cominciava ad apprezzare i bei tratti della razza siamese: le eleganti proporzioni del corpo, i muscoli guizzanti sotto lo spendido manto e le squisite sfumature della pelliccia che andavano dal bianco panna al fulvo chiaro sino al più scuro dei vellutati marroni. Qwilleran si disse che quella di Koko era la più bella tonalità di marrone che avesse mai visto. 
Con sorpresa si rese conto che il gatto non mostrava alcun interesse per 
il cibo. Continuava a sfregarglisi contro le caviglie e a emettere lamentosi miagolii striduli. 
— Che ti succede? — chiese Qwilleran. — Sei una creatura difficile da capire. 
Koko alzò la testa, lo guardò con espressione implorante negli occhi azzurri, fece delle rumorose fusa e sollevò una zampa posandogliela contro il ginocchio. 
— Koko, scommetto che soffri di solitudine. Sei abituato ad avere sempre qualcuno attorno; ti senti trascurato? 
Qwilleran sollevò l'acquiescente corpicino di calda pelliccia e se lo mise sulla spalla. Koko prese a fargli le fusa vicino all'orecchio con un roco brontolio che indicava estrema soddisfazione. 
— Penso che stasera resterò a casa — gli disse. — C'è cattivo tempo. La neve sta diventando alta e sono senza calosce. 
Alla ricerca di qualcosa da mangiare, si tagliò una fetta del pâté de la maison di Koko. Era il miglior polpettone che avesse mai mangiato. Il gatto intuì che si trattava di una festa e cominciò a correre da una parte all'altra dell'appartamento. Sembrava che volasse rasoterra sulla moquette, tanto i piedi si muovevano in fretta. Balzò sulla scrivania, sulla sedia, sulla libreria, sul tavolo, su un'altra sedia, sullo stipo, il tutto a una velocità sbalorditiva. Qwilleran cominciava a capire perché in quella casa non vi fossero lampade da tavolo. 
Fece pure lui il giro dell'appartamento, anche se a un passo motto più tranquillo. Aprì una porta che dava sul lungo e stretto corridoio e si trovò davanti a una camera da letto con un letto a baldacchino che aveva drappeggi di velluto rosso. Nel bagno vide una bottiglia verde con l'etichetta Essenza di limetta, la annusò e riconobbe il profumo. In salotto si aggirò con le mani nelle tasche dei pantaloni a godersi da vicino i tesori di Mountclemens: targhette di ottone apposte alle cornici recavano incise le scritte Hals, Gauguin, Eakins. 
Dunque, secondo Bruno, quello era un nido d'amore. Qwilleran dovette convenire che era bene attrezzato allo scopo: luci smorzate, musica bassa, candele, vino, grandi poltrone comode, tutto per indurre al languore. 
E adesso Earl Lambreth era morto! Mentre rifletteva sulle varie possibilità, Qwilleran fischiettava. Non era difficile immaginare Mountclemens come ladro di mogli. Il critico era dotato di un fascino soave, che sicuramente avrebbe attratto qualsiasi donna sulla quale avesse deciso di far colpo, e di un'autorevolezza che non avrebbe mai accettato un rifiuto. Ladro di mogli, sì; assassino, no. Mountclemens era un tipo troppo elegante, troppo, troppo schizzinoso per questo. 
Alla fine Qwilleran tornò nel proprio appartamento, seguito da un allegro Koko. 
Per farlo divertire Qwilleran legò a una cordicella un pezzo di carta ripiegato, che poi fece dondolare. Alle nove fu consegnata l'ultima edizione del Daily Fluxion e Koko lesse attentamente i titoli. Quando il giornalista finalmente si fu sistemato in poltrona con un libro, il gatto gli si accovacciò in grembo, e il velluto del manto morbido denotava la sua soddisfazione. Con manifesta riluttanza, a mezzanotte Koko si accommiatò e salì ai piano di sopra per raggiungere il suo cuscino in cima al frigorifero. 
Il giorno dopo, quando si fermò presso la scrivania di Arch Riker per ritirare lo stipendio, Qwilleran gli descrisse la sua serata come baby-sitter del gatto. 
Arch gli aveva chiesto: — Come te la cavi col gatto del critico? 
— Ieri sera Koko si sentiva solo, così sono rimasto a casa e l'ho fatto divertire. Abbiamo giocato a Passero. 
— Un gioco da salotto che non conosco? 
— L'abbiamo inventato noi: una sorta di tennis, con un solo giocatore e niente rete — disse Qwilleran. — Ho fatto un passero con un pezzetto di carta, poi l'ho legato a una cordicella; quindi l'ho fatto dondolare avanti e indietro mentre Koko lo colpiva con la zampa. Ha un rovescio notevole, se vuoi saperlo. Ogni volta che prendeva il passero guadagnava un punto, se lo mancava il punto andava a me. Il game era a ventuno. Ho tenuto il punteggio: dopo cinque games Koko era a 108, Qwilleran a 92. 
— Io scommetto sul gatto — disse Arch. Prese un foglietto di carta rosa. — So che quell'animale ti ruba parecchio tempo, attenzione e forza fisica, ma vorrei che ti spicciassi un po' col profilo di Halapay. Stamattina è arrivato un altro promemoria rosa. 
— Sarò pronto non appena avrò avuto un ultimo incontro con la signora Halapay — lo rassicurò Qwilleran. 
Tornato alla scrivania, telefonò a Sandy e le propose di pranzare con lui il mercoledì successivo. 
— Sarebbe meglio una cena — gli rispose lei. — Cal è in Danimarca e io sono tutta sola. Mi piacerebbe moltissimo andare a cenare in un posto dove ci fosse un'orchestra da ballo. Lei è un ballerino così meraviglioso! — La sua risata rese dubbia la sincerità di quel complimento. 
Siate gentili con la gente diceva lo slogan sul suo telefono e lui rispose: — Sandy, mi piacerebbe moltissimo... ma la settimana prossima dovrò lavorare di sera. — Sul telefono non c'era nulla che dicesse di non mentire alla gente. — Vediamo di pranzare insieme mercoledì, per parlare delle attività benefiche e civiche di suo marito. Mi hanno dato una rigida scadenza per ultimare l'articolo. 
— D'accordo — accondiscese lei. — Verrò a prenderla e andremo da qualche parte. Avremo una quantità di cose di cui parlare. Voglio sapere tutto sull'omicidio Lambreth. 
— Temo di non saperne molto. 
— Be', secondo me è tutto perfettamente chiaro. 
— Che cosa è chiaro? 
— È una faccenda di famiglia. — Pausa calcata. — Lei sa che cosa succedeva vero? 
— No, non lo so. 
— Be', non mi va di parlarne al telefono. Ci vediamo mercoledì a mezzogiorno. 
Qwilleran trascorse la mattinata a portare a termine svariate cosucce. Scrisse un breve pezzo umoristico su un artista grafico locale passato all'acquerello dopo essersi lasciato cadere su un piede una pietra da litografia di cinquanta chili. Poi stese l'esaltante storia di una donna che aveva vinto un premio per aver creato dei tessuti a mano pregiati, e che al contempo insegnava matematica in un liceo, aveva pubblicato due romanzi, aveva il brevetto di pilota, era violoncellista e madre di dieci figli. Quindi si occupò del barboncino prodigio che dipingeva con le zampe, e del quale al momento c'era una personale presso un ricovero per persone bisognose. 
Proprio mentre stava immaginandosi il titolo (Personale canina di ghirigori di barboncino), squillò il telefono. Una voce bassa e roca all'altro capo del filo gli diede un fremito di piacere. 
— Zoe Lambreth, signor Qwilleran. Devo parlare a bassa voce, mi sente? 
— Sì. Qualcosa non va, signora Lambreth? 
— Ho bisogno di parlarle. Di persona, se riesce a trovare un po' di tempo. Non da me. In centro. 
— Le andrebbe bene il circolo della stampa? 
— Non c'è un posto un po' più privato? Vorrei parlarle confidenzialmente. 
— Le darebbe fastidio venire nel mio appartamento? 
— Lì andrebbe meglio. Lei abita nel palazzo di Mountclemens, vero? 
— Al numero 26 di Blenheim Place. 
— So dov'è. 
— Va bene domani pomeriggio? Prenda un taxi. Non è un quartiere rassicurante. 
— A domani. La ringrazio molto. Ho bisogno dei suoi consigli. Adesso devo riattaccare. 
Vi fu un clic improvviso e la voce tacque. I baffi di Qwilleran praticamente danzavano. Vedova del mercante d'arte assassinato fa rivelazioni al reporter del Flux. 


Era da tanto tempo che Qwillleran non riceveva una donna nel proprio appartamento e quindi, sabato mattina, si svegliò con una lieve sindrome da debutto. Mandò giù una tazzina di caffè solubile, mangiucchiò una frittella stantia e si chiese se avrebbe dovuto offrire a Zoe qualcosa da mangiare o da bere. Il caffè, date le circostanze, sembrava adeguato. Caffè con che cosa? Le frittelle sarebbero sembrate una cosa frivola, anche se non avrebbe saputo spiegare perché. Una torta? Dei biscotti? 
Nel quartiere c'era un piccolo emporio specializzato in birra, vino scadente e gommoso pane bianco. Con espressione dubbiosa Qwilleran esaminò le confezioni di biscotti ma gli ingredienti elencati in caratteri molto piccoli (aromi artificiali, emulsionanti, glicerina, lecitina e sciroppo invertito) lo scoraggiarono. 
Chiese dove avrebbe potuto trovare un fornaio, dopo di che camminò per sei isolati sguazzando nella neve sporca e raggiunse il negozio le cui mercanzie sembravano commestibili. Escludendo i petit fours (troppo stravaganti) e i biscotti di avena (troppo nutrienti) si decise per dei biscottini al cioccolato e ne comperò un chilo. 
Nel suo cucinino c'era un'antiquata caffettiera ma per lui era un mistero come funzionasse. Zoe avrebbe dovuto accontentarsi del caffè solubile. Si chiese se lei mettesse zucchero e panna. Tornò all'emporio e comperò mezzo chilo di zucchero, mezzo litro di panna e un pacco di tovagliolini di carta. 
A quel punto s'era fatto mezzogiorno e nell'appartamento aveva cominciato a filtrare un pallido sole invernale che metteva in risalto la polvere sui mobili, la sporcizia della moquette e i peli del gatto sul divano. Tolse la polvere con i tovagliolini di carta poi si precipitò di sopra, nell'appartamento di Mountclemens, per andare a cercare l'aspirapolvere. Lo trovò nello sgabuzzino delle scope in cucina. 
All'una era pronto... a parte le sigarette, si era dimenticato le sigarette. Corse al drugstore e comperò delle sigarette lunghe, leggere e senza filtro. Dopo aver riflettuto a lungo sul filtro, aveva deciso che Zoe non era tipo da compromessi. 
All'una e mezzo accese i ceppi finti nel camino e si sedette ad aspettare. 
Zoe arrivò e alle quattro in punto, Qwilleran vide una bella donna avvolta in una morbida pelliccia marrone scendere da un taxi, guardarsi intorno e precipitarsi sotto il porticato. Lui era lì ad attenderla. 
— La ringrazio moltissimo per avermi permesso di venire — disse Zoe a voce bassa e senza fiato. — Butchy in questo periodo mi sorveglia come un falco cosicché sono dovuta sgattaiolare in sordina... ma non dovrei lamentarmi. In un momento come questo, si ha bisogno di un'amica come Butchy. — Lasciò cadere la borsetta di coccodrillo marrone. — Mi scusi, sono molto agitata. 
— Si rilassi — disse Qwilleran — e cerchi di riprendersi. Le farebbe piacere una tazza di caffè? 
— Farei meglio a non prendere caffè. Mi rende nervosa e già così sono sufficientemente tesa. — Diede a Qwilleran la pelliccia e sedette su una sedia dallo schienale rigido, accavallando le gambe in modo attraente. — Le dà fastidio se chiudiamo la porta? 
— Per niente, sebbene in casa non ci sia nessuno. 
— Ho avuto la sgradevole sensazione di essere seguita. Sono andata in taxi fino all'Arcade Building, sono entrata, l'ho attraversato e ho preso un secondo taxi all'altro ingresso. Pensa che possano avermi messo qualcuno alle calcagna? La polizia, voglio dire? 
— Non vedo perché. Come mai le è venuta questa idea? 
— Ieri si sono presentati a casa. Due di loro. Due investigatori. Si sono comportati da perfetti gentiluomini, ma alcune delle domande che mi hanno rivolto mi hanno messa in agitazione, mi sembrava che stessero tentando di intrappolarmi. Pensa sospettino di me? 
— No di certo, ma la polizia deve vagliare ogni possibilità. 
— Butchy, ovviamente, era presente, ed è stata piuttosto polemica con loro. Non ha fatto buona impressione. Lei è così protettiva, sa? Nel complesso, è stata un'esperienza terribile. 
— Che cosa hanno detto prima di andarsene? 
— Mi hanno ringraziata per la collaborazione e hanno detto che forse sarebbero tornati a parlarmi. Subito dopo, le ho telefonato... mentre Butchy era nel seminterrato. Non volevo che lei lo sapesse. 
— Perché? 
— Be'... perché lei è così sicura di riuscire a gestire tutto da sola in questo... in questo momento di crisi. E anche a causa di quanto sto per dirle ora... Non pensa che la polizia sorveglierebbe i miei movimenti, vero? Forse non sarei dovuta venire qui. 
— Perché non sarebbe dovuta venire qui, signora Lambreth? Io sono un amico di famiglia. Professionalmente ho a che fare col mondo artistico e sto dandole una mano riguardo ad alcuni piccoli problemi inerenti la galleria. Come le suona? 
Lei accennò un debole sorriso. — Comincio a sentirmi una criminale. Ma bisogna stare molto attenti quando si parla con la polizia! Se si usa la parola sbagliata o un'inflessione di voce non giusta, loro ci si avventano sopra. 
— Bene, adesso — la invitò Qwilleran con il suo tono più di rassicurante — scacci quest'episodio dalla mente e si rilassi. Non vorrebbe accomodarsi in poltrona? 
— Questa sedia va bene. Mi controllo meglio quando sto dritta. 
Indossava un vestito azzurro chiaro di lana soffice che le conferiva un che di morbido e di fragile. Qwilleran cercò di non fissare la provocante fossetta proprio sotto la rotula. 
Le disse: — Trovo molto confortevole questo appartamento. Il mio padrone di casa è geniale quando si tratta di arredamento. Come sapeva che abito qui? 
— Oh... nell'ambiente artistico le voci girano. 
— Evidentemente lei è stata già in questa casa. 
— Mountclemens ci ha invitati a cena un paio di volte. 
— Lei deve conoscerlo meglio della maggior parte degli altri artisti. 
— Abbiamo sempre mantenuto rapporti amichevoli. Ho fatto diversi studi del suo gatto. L'ha informato... del...? 
— Non sono riuscito a scoprire dove alloggia a New York. Lei sa in quale albergo è sceso? 
— Vicino al museo d'arte moderna, ma non ricordo il nome. — Zoe torceva con fare nervoso il manico della borsetta che teneva posata in grembo. 
Qwilleran andò in cucina e tornò con un piatto. — Le andrebbe qualche biscottino? 
— No, grazie. Devo... contare le calorie... — la voce le si spense. Lui intuì la sua preoccupazione e domandò: — Dunque, che cosa mi voleva dire? — Con l'altra metà della mente stava prendendo le misure di Zoe e chiedendosi come mai si preoccupasse delle calorie. 
— Non so da dove cominciare. 
— Che ne direbbe di una sigaretta? Sto dimenticando le buone maniere. 
— Ho smesso qualche mese fa. 
— Le dà fastidio se fumo la pipa? 
All'improvviso Zoe dichiarò: — Non ho detto tutto alla polizia. 
— No? 
— Forse ho sbagliato, ma non sono riuscita a decidermi a rispondere ad alcune loro domande. 
— Che genere di domande? 
— Mi hanno chiesto se Earl aveva nemici. Come avrei potuto puntare il dito su qualcuno e dire che era un nemico? Che cosa succederebbe se cominciassi a far nomi... conoscenze, soci del club, gente importante...? Mi sembra sia stata una cosa orribile da chiedermi, non pensa? 
— Era una domanda necessaria. Tant'è — disse Qwilleran in tono gentile ma fermo — che le porrò anch'io la stessa domanda: suo marito aveva nemici? 
— Temo di sì. Era antipatico a un sacco di persone... signor Qwilleran, posso parlarle in confidenza, vero? Devo fidarmi di qualcuno. Sono certa che lei non è uno di quei giornalisti ficcanaso che farebbero... 
— Personaggi così si trovano solo nei film — la rassicurò. Era tutto comprensione e interessamento. 
Zoe inspirò a fondo, poi prese a parlare: — Nel campo artistico c'è moltissima competizione, c'è gelosia... Non so come mai. 
— Questo vale per tutti i campi. 
— Ma tra gli artisti è peggio, mi creda. 
— Non potrebbe essere più specifica? 
— Be'... i direttori di gallerie, per esempio. Le altre gallerie della città pensavano che Earl portasse via loro i migliori artisti. 
— E lo faceva? 
Zoe si irrigidì. — È naturale che gli artisti volessero essere rappresentati dalla galleria più importante, di conseguenza Earl esponeva i lavori migliori e le mostre della Lambreth ottenevano critiche migliori. 
— E la gelosia aumentava. 
Zoe annuì. — Inoltre, Earl spesso era costretto a rifiutare le opere di arti-
sti meno quotati, e questo non gli faceva guadagnare amici. Per tale motivo veniva considerato un malvagio. L'io di un artista è una cosa preziosa. Persone come Cal Halapag e Franz Buchwalter - o per l'esattezza la signora Buchwalter - al club chiacchieravano molto su mio marito, e non erano belle chiacchiere. Ecco perché Earl non è mai voluto andare al Trementina e Scalpello. 
— Fino a questo momento — osservò Qwilleran — lei ha citato solo persone ostili esterne al vostro giro. C'era qualcuno all'interno di esso che non andava d'accordo con suo marito? 
Zoe esitò. Sembrava quasi volesse scusarsi quando ammise: — Nessuno in realtà aveva simpatia per lui. Era piuttosto freddo. Si trattava soltanto di una facciata, ma pochi lo capivano. 
— È possibile che il delitto sia stato eseguito da qualcuno in possesso della chiave o fatto entrare da suo marito. 
— È quanto sostiene Butchy. 
— C'era qualcun altro, oltre a lei, che aveva la chiave? 
— N... no — rispose Zoe, armeggiando nella borsetta. 
Qwilleran chiese: — Posso offrirle qualcosa? 
— Magari un bicchiere d'acqua... con un po' di ghiaccio. Fa piuttosto caldo... 
Lui abbassò la fiamma del camino, poi le portò un bicchiere di acqua con ghiaccio. — Mi parli della sua amica Butchy. A quanto ho capito fa la scultrice. 
— Sì. Opere di metallo saldato — confermò Zoe con voce flebile. 
— Vuol dire che usa il saldatore o cose del genere? Potrei ricavarne un buon articolo. Le donne che fanno questi lavori vanno sempre bene sui giornali... Vedo già una foto di lei all'opera in un alone di scintille. 
Zoe annuì adagio, mentre rifletteva su quell'idea. — Sì, mi piacerebbe che scrivesse qualcosa su Butchy, le farebbe una montagna di bene... a livello psicologico, voglio dire. Di recente ha perso una commissione di 50.000 dollari, uno smacco che l'ha molto danneggiata. Vede, insegna alla Penniman School e quella commissione avrebbe rafforzato il suo prestigio. 
— In che modo l'ha persa? 
— Butchy era stata contattata per fare una scultura da collocare all'esterno di un nuovo centro commerciale. Poi all'improvviso l'incarico è stato dato a Ben Riggs, che espone alla Lambreth Gallery. 
— Una scelta giustificata? 
— Oh, sì. Riggs è un artista molto migliore. Lavora l'argilla e fa sculture 
in bronzo. Ma per Butchy è stato un duro colpo. Vorrei fare qualcosa per aiutarla. Scriverebbe davvero un pezzo su di lei? 
— È una sua buona amica? — Qwilleran stava mentalmente raffrontando la morbida e attraente Zoe con il personaggio mascolino che la sera del delitto le faceva da guardia. 
— Sì e no. Siamo cresciute insieme e insieme abbiamo frequentato la scuola artistica. Butchy era la mia migliore amica quando estrambe eravamo dei ragazzacci. Ma lei non ha mai superato quello stadio. È stata sempre grande e robusta e per reazione si comportava come un maschio. Mi dispiace per lei, non abbiamo più molto in comune... a parte i vecchi tempi. 
— Come mai mercoledì sera era a casa sua? 
— È l'unica persona che mi è venuto in mente di chiamare. Dopo aver trovato Earl e avvisato la polizia ero completamente inebetita. Non sapevo che fare; avevo bisogno di qualcuno e così ho chiamato Butchy. Lei è arrivata subito, mi ha portata a casa e ha detto che sarebbe rimasta con me per qualche giorno. Adesso non riesco a liberarmene. 
— Come mai? 
— Le piace farmi da angelo custode. Ha bisogno di sentirsi necessaria. Butchy non ha molti amici, e si aggrappa in modo irritante a quei pochi che ha. 
— Che ne pensava di lei suo marito? 
— Non gli piaceva affatto. Voleva che la lasciassi perdere. Ma è difficile rompere i rapporti con una persona che conosci da una vita... soprattutto quando le vostre strade si incrociano di continuo... Non so perché le racconti questi dettagli personali, la starò annoiando! 
— Per nulla. Lei è... 
— Avevo bisogno di parlare con una persona disinteressata e comprensiva. Con lei è stato facile. È sempre così con i giornalisti? 
— Siamo buoni ascoltatori. 
— Ora mi sento molto meglio, grazie a lei — si appoggiò allo schienale e rimase in silenzio mentre sul suo volto compariva un'espressione di tenerezza. 
Lui si allisciò i baffi con il cannello della pipa, provando un senso di esultanza. Le disse: — Sono contento di essere riuscito a... 
— Lei sta cercando materiale per la sua rubrica? — lo interruppe Zoe e la radiosità del viso parve inadeguata a quella domanda. 
— Certo, cerco sempre... 
— Vorrei parlarle di Nino. 
— Chi è Nino? — chiese Qwilleran, mascherando col tono brusco la lieve delusione. 
— È un Cosista. Qualcuno lo definisce uno scultore di spazzatura. Lui fa delle costruzioni molto significative, avvalendosi di rifiuti e le chiama Cose. 
— Le ho viste alla galleria. Una di queste era un pezzo di tubo di scolo nel quale erano conficcati dei raggi di bicicletta. 
Zoe gli fece un sorriso luminoso. — Ah, la "Cosa 17". Non è eloquente? Afferma la vita mentre ripudia questo pseudo mondo che ci circonda. Lei non si è sentito catturato da quelle tensioni ribelliste? 
— A onor del vero... no — rispose lui un po' stizzito. — Sembrava un pezzo di tubo di scolo con dei raggi di bicicletta. 
Zoe gli lanciò un'occhiata dolce in cui il rimprovero si mescolava alla compassione. — Lei non ha ancora l'occhio sintonizzato con le arti espressive contemporanee ma, col tempo, le capirà. 
Qwilleran si agitò sulla sedia e abbassò gli occhi a guardarsi i baffi. 
Zoe proseguì in tono entusiastico. — Nino è praticamente il mio protégé. L'ho scoperto io. In questa città ci sono alcuni artisti di talento, ma io posso onestamente affermare che Nino ha più che solo talento. Ha genio. Dovrebbe visitare il suo studio. — Si chinò con espressione ansiosa: — Le piacerebbe conoscerlo? Sono sicura che le fornirebbe ottimo materiale per un articolo. 
— Qual è il suo nome per intero? 
— Nine Oh Two Four Six Eight Three — disse lei. — O forse Five. Non ricordo l'ultima cifra. Per abbreviare possiamo chiamarlo Nino. 
— Intende dire che ha un numero al posto del nome? 
— Nino è un cane sciolto — gli spiegò. — Non si piega alle convenzioni del mondo comune. 
— Naturalmente ha la barba. 
— Sì, è vero, come fa a saperlo? E parla anche una lingua tutta sua. Ma noi non ci aspettiamo il conformismo da un genio, no? L'uso di un numero al posto del nome fa parte della sua protesta. Penso che soltanto la madre e l'assistenza sociale conoscano il suo vero nome. 
Qwilleran la fissò. — Dove sta quel tale? 
— Vive e lavora in un garage su un vicolo all'angolo tra la Dodicesima e la Somers, dietro una fonderia. Il suo studio potrebbe scioccarla. 
— Non credo di scioccarmi facilmente. 
— Voglio dire, potrebbe essere infastidito dalla sua collezione di oggetti trovati. 
— Spazzatura? 
— Non è tutta spazzatura. Ci sono anche alcuni pezzi molto belli. Dio solo sa dove li trova! Ma, per lo più, è spazzatura, della bella spazzatura. Il talento di Nino per raccattare le cose è quasi un dono divino. Se va a trovarlo cerchi di capire la natura della sua visione artistica. Lui vede la bellezza dove gli altri vedono soltanto rifiuti e sporcizia. 
Qwilleran studiava Zoe, affascinato dalla sua pacata animazione, dalla sua manifesta convinzione. Non capiva di che cosa stesse parlando, ma gli piaceva essere preda della sua magia. 
— Credo che Nino le piacerà — proseguì lei. — È primitivo e vero... e triste, per un certo verso. O forse siamo lei e io i tristi perché ci adeguiamo a schemi prestabiliti. E come seguire i passi di una danza composta da un maestro di ballo dittatoriale. La danza della vita dovrebbe essere creata di momento in momento, secondo la propria individualità e con spontaneità. 
Qwilleran si strappò al rapimento con cui la guardava e disse: — Posso farle una domanda personale? Perché dipinge cose tanto incomprensibili quando ha il talento per creare veri dipinti di cose vere? 
Zoe lo fissò di nuovo con espressione dolce. — Lei è così naïf, signor Qwilleran, però è franco e questo solleva lo spirito. I "veri dipinti di cose vere" si possono ottenere con una macchina fotografica. Io dipingo secondo lo spirito esplorativo di oggi. Noi non abbiamo tutte le risposte e lo sappiamo. A volte io stessa mi stupisco delle mie creazioni, ma esse sono la mia risposta artistica alla vita come la vedo oggi. La vera arte è sempre un'espressione del suo tempo. 
— Capisco. — Qwilleran voleva essere convinto, ma non era sicuro che Zoe fosse riuscita a farlo. 
— Un giorno dobbiamo discutere a lungo di quest'argomento. — Nella sua espressione c'era uno struggimento inspiegabile. 
— Mi piacerebbe — le rispose a bassa voce. 
Un silenzio imbarazzato calò su di loro. Qwilleran lo ruppe offrendole una sigaretta. 
— Ho smesso — gli ricordò Zoe. 
— Un biscottino? Sono al cioccolato. 
— No, grazie. — Sospirò. 
Qwilleran indicò il Monet sul camino. — Che ne pensa di quello? Fa parte dell'appartamento. 
— Se fosse autentico, Mountclemens non lo sprecherebbe per un inquilino! — disse la donna con una nota brusca nella voce e quell'improvviso cambiamento d'umore stupì Qwilleran. 
— Ma ha una bella cornice — obiettò lui. — Chi fa le cornici alla Lambreth Gallery? 
— Perché me lo chiede? 
— Pura curiosità. Ho sentito commenti molto favorevoli su quei lavori. — Era una bugia, ma il genere di bugia che stimola sempre le confidenze. 
— Oh... be', posso anche dirglielo. Le faceva Earl. Le eseguiva tutte da solo, anche se non voleva che lo si sapesse. Avrebbe distrutto l'immagine prestigiosa della galleria. 
— Era un gran lavoratore... Faceva le cornici, teneva l'amministrazione, gestiva il negozio. 
— Sì. L'ultima volta che l'ho visto vivo si lamentava del carico di lavoro. 
— Perché non aveva assunto qualcuno? 
Zoe si strinse nelle spalle e scosse la testa. 
Era una risposta insoddisfacente, ma Qwilleran lasciò perdere. Proseguì. — Ha ricordato qualcosa che potrebbe aiutare le indagini? Qualcosa che suo marito ha detto mentre vi trovavate lì alle diciassette e trenta? 
— Nulla che abbia una qualche importanza. Earl mi ha mostrato alcune opere grafiche appena arrivate e io gli ho detto... — si interruppe bruscamente. — Sì, c'è stata una telefonata... 
— Qualcosa di insolito? 
— Non ho ascoltato in modo particolare, ma c'è una cosa che Earl ha detto - adesso ricordo - che non ha senso. Riguardava una station wagon. 
— Suo marito ne aveva una? 
— Tutti i mercanti d'arte devono averne una. Io le detesto. 
— E che cosa ha detto riguardo all'automobile? 
— Non prestavo molta attenzione, ma ho sentito qualcosa circa il fatto di caricare dei quadri sulla macchina per una consegna. Earl ha detto che l'auto era nel vicolo; anzi, l'ha ribadito con foga ed è per questo che mi è venuto in mente... Al momento non ci ho fatto caso, ma adesso mi sembra strano. 
— Che cosa le sembrava strano? 
— La nostra automobile era dal meccanico per una messa a punto. È ancora lì. Non sono andata a riprenderla. Earl l'aveva lasciata al garage quel mattino. Eppure, al telefono insisteva dicendo che era nel vialetto, come se il suo interlocutore stesse mettendo la faccenda in discussione. 
— Sa chi era l'interlocutore? — chiese Qwilleran. 
— No. Sembrava un'interurbana. Lei sa come la gente urla quando fa un'interurbana. Anche quando la comunicazione è perfetta pensano di dover parlare con voce più alta. 
— Forse suo marito aveva detto una piccola e innocua bugia... per motivi di lavoro. 
— Non so. 
— O magari si stava riferendo alla station wagon di un altro mercante. 
— Proprio non so. 
— Lei non ha visto nessuna vettura parcheggiata nel vicolo? 
— No. Sono entrata dalla porta principale e sono uscita dalla medesima. E, quando sono tornata alle sette, nel vicolo non c'erano auto posteggiate. Lei pensa che la telefonata abbia un qualche nesso con quanto è successo? 
— Non sarebbe male parlarne alla polizia. Cerchi di ricordare tutto il possibile. 
Zoe si fece assorta. 
— A proposito — chiese Qwilleran — Mountclemens possiede un'automobile? 
— No — mormorò lei. 
Qwilleran restò impegnato per un bel po' a ricaricare la pipa, battendola rumorosamente sul posacenere. Come in risposta a un segnale, da dietro la porta dell'appartamento si udì un lungo gemito desolato. 
— È Koko — spiegò. — Obietta per essere stato escluso. Le dà fastidio se viene dentro? 
— Oh, io adoro Kao K'o-Kung. 
Qwilleran aprì la porta e il gatto, dopo l'usuale ricognizione visiva, entrò, agitando la coda a tracciare aggraziati arabeschi. Fino a quel momento aveva dormito e non si era ancora stirato i muscoli. 
Adesso arcuò la schiena in una curva tesa, dopo di che allungò due zampe in avanti in una libidinosa stiracchiatura. Concluse protendendo indietro le zampe postertori. 
Zoe disse: — Si scioglie i muscoli come una ballerina. 
— Vuol vederlo danzare? — chiese Qwilleran. Ripiegò un pezzetto di carta e lo legò a una cordicella. Pregustando il gioco, Koko fece qualche passettino verso sinistra poi verso destra, quindi si sollevò sulle zampe non appena la corda cominciò a oscillare. Il gatto era tutto grazia e ritmo. Ballava sulle pointes, faceva balzi, eseguiva evoluzioni acrobatiche a mezz'aria, atterrava con levità e poi balzava di nuovo più in alto di prima. 
— Non l'ho mai visto far così — commentò Zoe. — Che slancio! È un vero Nijinsky. 
— Mountclemens insiste su obiettivi intellettuali — ribatté Qwilleran — e questo gatto ha trascorso troppo tempo sui ripiani dei libri. Io spero di ampliare la sua gamma di interessi. Ha bisogno di più atletica. 
— Mi piacerette ritrarlo. — Zoe frugò nella borsetta. — Fa un grand buttement, proprio come una ballerina. 
Una ballerina. Una ballerina. Le parole gli fecero tornare alla mente un'immagine: un ufficio pieno di oggetti, un quadro appeso storto alla parete. La seconda volta che aveva visto quel locale, da sopra la spalla del poliziotto, sul pavimento c'era un cadavere. E dov'era il quadro? Qwilleran non riusciva a ricordarsi di aver visto la ballerina. 
Disse a Zoe: — Alla Lambreth Gallery c'era un quadro che raffigurava una ballerina... 
— Il famoso Ghirotto di Earl — rispose lei mentre tracciava degli schizzi sul blocco. — Era solo metà della tela originale, sa? La sua grande ambizione era trovare l'altra metà. Riteneva che lo avrebbe reso ricco. 
Qwilleran drizzò le orecchie. — Ricco quanto? 
— Se le due metà fossero state riunite e adeguatamente restaurate, probabilmente il dipinto avrebbe avuto un valore di 150.000 dollari. 
Il giornalista emise un fischio stupefatto. 
— Sull'altra metà era raffigurata una scimmia — proseguì Zoe. — Ghirotto, durante il suo famoso Periodo Vibrato, ha dipinto ballerine o scimmie, ma una volta le ha inserite entrambe nella stessa composizione. Si trattava di un pezzo unico... il sogno di ogni collezionista. Dopo la guerra il quadro fu spedito a un mercante di New York e, durante il tragitto, restò danneggiato... squarciato in due. Dato il tipo di composizione, l'importatore riuscì a incorniciare le due metà e a venderle separatamente. Earl acquistò quella con la ballerina, con la speranza di riuscire a rintracciare l'altra metà raffigurante la scimmia. 
Qwilleran chiese: — Crede che il proprietario della scimmia abbia cercato di trovare la ballerina? 
— Potrebbe essere. La metà di Earl è quella più pregiata; reca la firma dell'artista. — Mentre parlava la matita sfrecciava sulla carta e lei spostava rapida lo sguardo dal disegno al gatto impegnato nella sua esibizione. 
— C'è molta gente che sa di questo Ghirotto? 
— Oh, costituiva grande argomento di conversazione. Diverse persone volevano acquistare la ballerina... semplicemente per speculazione. Earl avrebbe potuto venderla e ricavarne un discreto guadagno, ma continuava ad accarezzare il suo sogno di 150.000 dollari. Non ha mai perso la speranza di ritrovare la scimmia. 
Qwilleran procedette con una certa prudenza. — La sera del delitto lei ha visto la ballerina? 
Zoe posò matita e blocco. — Temo di non aver notato molto... quella sera. 
— Io ero lì a curiosare — disse Qwilleran — e sono abbastanza sicuro che il quadro non c'era più. 
— Non c'era più! 
— Quando ero andato lì in precedenza, era appeso sopra la scrivania e adesso ricordo che, la sera in cui c'era la polizia, la parete era vuota. 
— Che cosa dovrei fare? 
— Meglio parlarne alla polizia. A quanto pare, il dipinto è stato rubato. Dica anche della telefonata. Quando torna a casa, telefoni alla Squadra Omicidi. Ricorda i nomi degli agenti investigativi? Hames e Wojcik 
Zoe si batté le mani sulle guance, costernata. — Onestamente, mi ero del tutto scordata di quel Ghirotto. 

10 

Dopo che Zoe se ne fu andata dall'appartamento di Qwilleran - lasciandolo con un barattolo di caffè, mezzo chilo di zucchero, mezzo litro di panna, un pacchetto di sigarette e un chilo di biscotti al cioccolato - lui si chiese quante informazioni gli avesse nascosto. Il nervosismo di Zoe suggeriva che la donna stesse vagliando i fatti da dire e quelli da tacere. Aveva balbettato quando le aveva chiesto se qualcun altro aveva la chiave della galleria. Per sua stessa ammissione, aveva evitato di raccontare alla polizia tutto quello che era successo. Aveva affermato di aver dimenticato l'esistenza di un quadro che presumibilmente valeva tanto da giustificare un omicidio. 
Qwilleran andò al piano di sopra per preparare la cena di Koko. Lentamente e distrattamente tagliò la carne, mentre rifletteva sulle complessità del caso Lambreth. Che peso poteva avere l'allusione di Sandy che si trattasse di un "affare di famiglia"? E come questo poteva collegarsi alla scomparsa del Ghirotto? Bisognava anche tener conto del vandalismo e Qwilleran rifletté che la tela mancante rientrava nella stessa categoria di tutti gli altri oggetti danneggiati: rappresentava una figura femminile in abbigliamento succinto. 
Aprì la porta della cucina e guardò fuori. L'aria notturna era pungente e gli odori del quartiere erano resi più intensi dal freddo. Aleggiava la puzza di smog e sembrava che al garage sull'angolo fossero stati bruciati degli stracci impregnati di grasso. Sotto di lui c'era il patio, un buco scuro le cui alte pareti di mattoni escludevano qualsiasi luce proveniente dai lontani lampioni stradali. 
Qwilleran accese la luce esterna, che illuminò debolmente di giallo la scala-antincendio e si chiese che diavolo avesse Mountclemens contro l'uso di un po' di elettricità in più. Ricordò di aver intravisto una pila elettrica nell'armadietto delle scope e andò a prenderla: una bellezza di torcia, efficiente, dalla lunga impugnatura, dal peso ben calibrato, potente e cromata. Tutto quello che Mountclemens possedeva aveva una bella linea: coltelli, pentole e padelle e persino la torcia elettrica, che proiettò un poderoso fascio di luce sulle pareti e sul pavimento del patio deserto, sul pesante portone di legno, sulla scala antincendio pure di legno. I gradini erano incrostati di fanghiglia ghiacciata, e pertanto Qwilleran decise di rimandare le investigazioni alla luce del giorno. L'indomani avrebbe magari anche potuto portar fuori Koko per farlo sfogare un po'. 
Quella sera andò a cena in un ristorante italiano lì vicino e la cameriera dagli occhi castani gli rammentò Zoe. Quando rientrò giocò a Passero con Koko, i cui movimenti gli ricordarono la ballerina scomparsa. Accese i ceppi finti nel camino e diede una scorsa al libro usato di economia che aveva comperato al circolo della stampa; le statistiche gli ricordarono Nine Oh Two Four Six Eight Three... o era Five? 
Domenica andò a trovare Nino. 
Lo studio-appartamento dell'artista nel garage nel vicolo era squallido come ci si poteva aspettare. Il precedente inquilino lo aveva lasciato tutto lordo di grasso, al quale si era aggiunta la sporcizia della collezione di spazzatura di Nino. 
Dopo aver bussato senza ricevere risposta Qwilleran si fece strada in mezzo alle montagne di tristi rifiuti. C'erano vecchi copertoni, quintali di vetri rotti, pezzi di marciapiede di cemento, latte di ogni dimensione e porte e finestre divelte. Prese nota di una carrozzina senza ruote, di un manichino privo di braccia e di testa, di un acquaio dipinto dentro e fuori di un vivace arancione, di una cancellata di ferro coperta di ruggine, di una testiera di legno nel deprimente stile modernistico degli anni Trenta. 
Una stufetta appesa al soffitto eruttava fumi caldi sul volto di Qwilleran, mentre le zaffate gelide sulle caviglie erano paralizzanti. Pure appeso al soffitto con una corda c'era un lampadario di cristallo d'incredibile bellezza. 
Poi Qwilleran vide l'artista al lavoro. Su una piattaforma in fondo al locale c'era una Cosa mostruosa, costituita da rimasugli di legno, piume di struzzo e pezzetti di luccicante alluminio. Nino stava attaccando alla testa del mostro due ruote di carrozzina per neonato. 
Diede un colpo alle ruote per farle girare e si ritrasse. Nella rotazione i raggi scintillanti alla luce di un faretto divennero occhi malevoli. 
— Buongiorno — lo salutò Qwilleran — sono un amico di Zoe Lambreth. Lei deve essere Nino. 
Lo scultore sembrava in trance. Il suo volto era acceso dall'entusiasmo della creazione. Camicia e pantaloni erano rigidi per la vernice e il grasso, la barba aveva bisogno di una spuntatina e i capelli non vedevano un pettine da molto tempo. Ciò nonostante era un bell'uomo, dai lineamenti classici e dal fisico invidiabile. Guardò Qwilleran senza vederlo. Poi con sguardo ammirato tornò a girarsi verso la Cosa dagli occhi roteanti. 
— Le ha dato un titolo? — chiese il giornalista. 
— Trentasei — rispose Nino, poi si nascose il volto tra le mani e pianse. Qwilleran attese con pazienza che l'artista si riprendesse, poi domandò: — Come crea queste opere d'arte? Quale procedimento segue? 
— Le vivo — disse Nino. — Trentasei è quello che sono, che ero e che sarò. Lo ieri è passato, e che importa? Se appicco il fuoco a questo studio io vivo, in ogni guizzante fiamma, lampo, bagliore. 
— I suoi materiali sono assicurati? 
— Se lo faccio lo faccio se non lo faccio non lo faccio. È tutto relativo. L'uomo ama, odia, piange, gioca, ma che può fare un artista? Boom! Così è. Un mondo al di là di un mondo, al di là di un mondo, al di là di un mondo. 
— Un concetto cosmico — si dichiarò d'accordo Qwilleran. — Ma la gente capisce davvero le sue idee? 
— Si logorano il cervello per cercare di riuscirci, ma io so e lei sa, e noi tutti sappiamo. Ma che cosa sappiamo? Nulla! 
Nell'entusiasmo della conversazione Nino si stava avvicinando sempre più al giornalista che indietreggiò cercando di non darlo a vedere. — Nino, lei sembra un pessimista: il successo ottenuto alla Lambreth Gallery non l'aiuta ad avere un atteggiamento positivo nei confronti della vita? 
— Donna calda, sfrenata, guardinga, debole! Io le parlo. Lei mi parla. 
Noi comunichiamo. 
— Sa che suo marito è morto? Assassinato. 
— Siamo tutti morti — sentenziò Nino. — Morti come maniglie di porte... Maniglie di porte! — gridò e si tuffò in una montagna di rifiuti per una disperata ricerca. 
— Grazie di avermi mostrato il suo studio — disse Qwilleran e si diresse verso la porta. Mentre passava davanti a un ripiano ingombro di oggetti fu attratto da un luccichio dorato. — Qui c'è una maniglia di porta, se è questo che sta cercando — lo avvisò da sopra la spalla. 
Sul ripiano c'erano due maniglie e sembravano d'oro massiccio. Accanto, altri pezzi di metallo lucente, nonché alcuni stupefacenti avori e giade scolpiti; ma Qwilleran non si fermò a esaminarli. I fumi della stufa gli facevano pulsare la testa, non vedeva l'ora di respirare una boccata d'aria fresca. Voleva tornare a casa e trascorrere una sensata e salubre domenica con Koko. Si stava affezionando a quel gatto. E gli sarebbe dispiaciuto quando Mountclemens fosse tornato. Si chiedeva se a Koko piacesse davvero il clima culturale che regnava al piano di sopra. I piaceri della lettura dei titoli di giornale e quelli offerti dagli antichi maestri della pittura da annusare erano preferibili a una esaltante partita a Passero? Dopo quattro giorni di gioco il punteggio era di 471 per il gatto e 409 per l'uomo. 
Quando rincasò pregustando un'accoglienza cordiale e giocosa, da parte del suo amico a quattro zampe, rimase deluso. Koko non era lì in sua attesa. Salì sino all'appartamenio di Mountclemens e trovò la porta chiusa. Dall'interno proveniva della musica. Bussò. 
Passò un po' di tempo prima che Mountclemens, in vestaglia, venisse ad aprirgli. 
— Vedo che è tornato — disse Qwilleran. — Volevo soltanto assicurarmi che il gatto mangiasse. 
— Ha appena finito l'entrée — lo informò il critico — e ora si sta godendo il tuorlo di un uovo cotto in camicia. Grazie di essersi occupato di lui; ha l'aria di star bene e di essere contento. 
— Ci siamo divertiti insieme. Abbiamo fatto dei giochi. 
— Davvero? Tante volte ho desiderato che imparasse a giocare a Majongg. 
— Ha sentito la cattiva notizia riguardo alla Lambreth Gallery? 
— Se hanno avuto un incendio se lo meritano — rispose il critico. — Quel loft è una vera polveriera. 
— Non un incendio. Un omicidio. 
— Davvero? 
— Earl Lambreth — proseguì Qwilleran. — Mercoledì sera la moglie lo ha trovato morto in ufficio. Pugnalato. 
— Che cosa poco pulita! — La voce di Mountclemens aveva un tono annoiato, o forse stanco. Il critico indietreggiò come se si apprestasse a chiudere la porta. 
— La polizia non sospetta ancora nessuno — riprese Qwilleran. — Lei ha qualche teoria? 
Mountclemens rispose asciutto: — Sto disfacendo la valigia. Mi appresto a fare il bagno. Non c'è nulla di più lontano dalla mia mente della possibile identità dell'assassino di Earl Lambreth. — Il tono era conclusivo. 
A Qwilleran non restò che accettare il congedo. Mentre scendeva le scale tirandosi i baffi con aria pensosa, si disse che Mountclemens era bravissimo a mostrarsi odioso quando gli garbava. 
Più tardi, in un ristorante di terza categoria in fondo alla strada, se ne stette seduto a rimuginare davanti a un piatto di polpette, spilluzzicando un'insalata vizza e contemplando una tazza di acqua calda nella quale fluttuava una bustina di tè. Oltre all'irritazione nei confronti del suo padrone di casa provava una assillante delusione: Koko non era venuto alla porta ad accoglierlo. Tornò a casa insoddisfatto e di cattivo umore. 
Stava per aprire la porta del vestibolo quando dal buco della serratura gli pervenne un profumo di essenza di limetta, e non si stupì quando si trovò davanti Mountclemens. 
— Oh, eccola qui — disse il critico sfoderando un tono amabile. — Ero sceso giusto per invitarla a bere una tazza di Lapsang Souchong e ad assaggiare un dessert. Ho portato a casa, piuttosto laboriosamente, una Dobos torte che ho preso in una favolosa pasticceria viennese a New York. 
Il sole squarciò le nubi di Qwilleran, che seguì per le scale la giacca di velluto e le scarpe italiane. 
Mountclemens versò il tè e descrisse le mostre in corso a New York, mentre Qwilleran si lasciava lentamente sciogliere in bocca la pastosa e burrosa cioccolata. 
— E adesso sentiamo i raccapriccianti dettagli — invitò il critico. — Presumo siano raccapriccianti. A New York, dove tutti i mercanti d'arte potrebbero più o meno essere tolti di mezzo indifferentemente, non ho sentito nulla dell'omicidio. Mi perdoni se mi metto alla scrivania e apro la posta mentre lei parla. 
Mountclemens sedette davanti a una pila di buste grandi e piccole e di pubblicazioni fascettate. Posata ogni busta a faccia in giù sulla scrivania, vi metteva sopra la mano destra, mentre con la sinistra la apriva servendosi del tagliacarte e ne estraeva il contenuto che per lo più buttava con gesto sprezzante nel cestino per la carta straccia. 
Qwilleran raccontò in breve i particolari dell'omicidio Lambreth, così come erano stati pubblicati sui giornali. — Questa è la storia — concluse. — Qualche idea sul movente? 
— Personalmente — rispose Mountclemens — non sono mai riuscito a concepire il delitto per vendetta. Trovo infinitamente più allettante quello che implica un guadagno personale. Ma mi risulta incomprensibile come qualcuno possa guadagnarci spedendo Earl Lambreth nell'aldilà. 
— A quanto mi è stato detto, aveva non pochi nemici. 
— Tutti i mercanti d'arte e tutti i critici d'arte hanno nemici! — Mountclemens strappò con particolare violenza una busta. — La prima persona che mi viene in mente in questo caso è quella indescrivibile Bolton. 
— Che cosa aveva contro Lambreth? 
— Lui l'ha derubata di una commissione per 50.000 dollari... almeno è quanto lei sostiene. 
— La scultura per l'esterno del centro commerciale? 
— In verità, Lambreth ha fatto un favore al pubblico, persuadendo gli architetti a rivolgersi a un altro scultore. Le sculture saldate sono una moda passeggera. Se siamo fortunati spariranno presto, uccise da individui come quella Bolton. 
Qwilleran dichiarò: — Qualcuno mi ha suggerito di scrivere un articolo di interesse umano su di lei. 
— Ma certo, la intervisti — sorrise Mountclemens — anche solo per sua cultura personale. E si metta delle scarpe da tennis. Potrebbe capitarle di essere costretto a scappare per salvarsi la vita, o di dover schivare lingotti di metallo, se quella si lasciasse andare a uno di quei suoi folli attacchi d'ira. 
— Sembrerebbe una buona indiziata per il delitto. 
— Ha il movente e il temperamento. Ma non lo ha commesso lei, glielo posso assicurare. Sarebbe incapace di fare con successo alcunché... soprattutto un omicidio che richiede una certa qual finesse. 
Qwilleran indugiò a gustare le ultime briciole di torta, poi chiese: — Pensavo anche a quello scultore di spazzatura che si chiama Nino. Sa qualcosa di lui? 
— Brillante, odorifero e innocuo. Il successivo sospetto? 
— Qualcuno ha suggerito che si tratti di un affare di famiglia. 
— La signora Lambreth ha troppo buon gusto per indulgere in una cosa tanto volgare come pugnalare qualcuno. Magari sparare, ma pugnalare no. Sparare con una delicata piccola pistola cloisonné estratta da mezzo quel che diavolo si portano le donne nelle loro cavernose borsette. Ho sempre avuto l'impressione che le borsette delle donne fossero piene di pannolini bagnati. Ma sicuramente ci sarebbe anche lo spazio per infilarci una delicata, piccola pistola di smalto cloisonné o di tartaruga con intarsi di argentone. 
Qwilleran chiese: — Ha mai visto il ritratto che la signora ha fatto al marito? Realistico come una fotografia, e non molto lusinghiero. 
— Ringrazio il fato che mi ha risparmiato un'esperienza simile... No, signor Qwilleran, temo che il suo assassino non sia un artista. Per un pittore l'esperienza materiale di conficcare uno strumento tagliente in carni umane sarebbe oltremodo ripugnante. Uno scultore avrebbe un rapporto migliore con l'anatomia ma darebbe sfogo alla propria ostilità in un modo più accettabile dalla società, plasmando l'argilla, incidendo la pietra o tormentando il metallo. Dunque, farebbe meglio a cercare un cliente adirato, o un concorrente disperato, oppure psicopatico amante dell'arte o, ancora, un amante respinto. 
— Tutti gli oggetti d'arte deturpati rappresentavano figure femminili. 
Il tagliacarte continuava a frusciare. — Un piacevole senso della disciplina — osservò il critico. — Comincio a sospettare di un'amante gelosa. 
— Ha mai avuto motivo di dubitare che Earl Lambreth facesse affari eticamente scorretti? 
— Mio caro signore — dichiarò Mountclemens — ogni buon mercante d'arte ha le caratteristiche per essere un abilissimo ladro di preziosi. Earl Lambreth aveva scelto di convogliare i suoi talenti in canali più ortodossi, ma, a parte questo, non sono in grado di dire altro. Voi giornalisti siete tutti eguali, quando piantate i denti in una notizia la azzannate fino alla morte... Un'altra tazza di tè? 
Il critico versò dell'altro tè dalla teiera d'argento poi tornò ad aggredire la corrispondenza. — Ecco un invito che potrebbe interessarla. È mai stato così sfortunato da partecipare a un happening? — Buttò a Qwilleran un invito in carta color magenta. 
— No, che cos'è un happening? 
— Una serata di estrema noia; perpetrata da artisti e inflitta a un pubbli-
co abbastanza stupito da pagare per essere ammesso. Tuttavia lei potrà entrare senza pagare e forse troverebbe argomenti per un articolo. Magari si divertirebbe anche un po'. L'avverto che farà bene a indossare degli abiti vecchi. 
L'happening aveva un nome. Era stato chiamato Lento lento ti passa sopra la testa, ed era programmato per la sera successiva, alla Penniman School of Fine Arts. Qwilleran disse che ci sarebbe andato. 
Prima che il giornalista lasciasse l'appartamento di Mountclemens, Koko gratificò quell'occasione con un attimo del proprio tempo. Il gatto comparve da dietro il paravento orientale, lanciò a Qwilleran un'occhiata casuale, fece un grande sbadiglio e se ne andò. 

11 

Lunedì mattina Qwilleran telefonò alla Penniman School e chiese il permesso di intervistare un membro della facoltà. Il direttore ne fu compiaciuto. Nei modi dell'uomo il giornalista riconobbe l'esuberanza e l'entusiasmo che sempre si accompagnavano all'idea di godere di una pubblicità gratuita. 
All'una si presentò alla scuola e fu indirizzato allo studio di saldatura, un fabbricato ricoperto d'edera che una volta era stato la rimessa delle carrozze della proprietà Penniman. All'interno lo studio aveva un aspetto misero. Era un luogo tutto irto di sculture di metallo saldato dai bordi taglienti e dalle punte acuminate; se le opere fossero finite o meno, Qwilleran non avrebbe saputo dirlo. Tutto sembrava ideato per pungere le carni e strappare gli abiti. Attorno alle pareti c'erano bombole a gas, metri e metri di tubi di gomma ed estintori. 
Butchy Bolton, imponente nella tuta e ridicola con quell'acconciatura a onde piatte, era seduta da sola e stava consumando il pranzo che estraeva da un sacchetto di carta. 
— Vuole un sandwich? — chiese, in un tono brusco che non riuscì a nascondere il piacere che le dava l'idea di essere intervistata per un giornale. — Prosciutto e pane di segale. — Fece un po' di spazio sul tavolo da lavoro con il piano di asbesto, scostando chiavi inglesi, pinze, pinzette, mattonelle spaccate e versò a Qwilleran una tazza di caffè nero come catrame. 
Lui mangiò e bevve, anche se aveva pranzato mezz'ora prima. Conosceva i vantaggi che si avevano se si mangiava durante un'intervista. Una conversazione casuale sostituiva domande e risposte formali. 
Parlarono dei loro ristoranti preferiti e del modo migliore per cuocere il prosciutto. Da lì passarono alle diete e alla ginnastica. Poi alla saldatura all'ossiacetilene. Mentre Qwilleran addentava una grossa mela rossa, Butchy si infilò elmetto, occhialoni, guanti di pelle e gli mostrò come si pudellava una barra metallica e si faceva una saldatura regolare. 
— Durante il primo semestre siamo già fortunati se riusciamo a insegnare ai ragazzini a non darsi fuoco — dichiarò. 
Qwilleran passò alle domande. — Come mai lei salda il metallo invece di scolpire il legno o modellare la creta? 
Butchy lo guardò con aria feroce e lui non capì se avesse intenzione di colpirlo con una barra metallica o se stesse preparando una risposta tagliente. — Lei deve aver parlato con quel Mountclemens — si limitò a dire. 
— No. Era soltanto una mia curiosità. 
Butchy diede un calcio al banco di lavoro con gli stivali dall'allacciatura alta. — Detto tra noi, è più veloce e meno costoso. Ma per il giornale, può scrivere che si tratta di qualcosa che appartiene al ventesimo secolo. Abbiamo scoperto un nuovo strumento di scultura. Il fuoco. 
— Immagino che questo modo di scolpire attragga per lo più gli uomini. 
— Per niente. I nostri corsi sono frequentati anche da alcune ragazze che sono dei soldi di cacio. 
— Nino, lo scultore di spazzatura, è stato suo studente? 
Butchy si guardò alle spalle, come se stesse cercando un posto dove sputare. — Era nella mia classe, ma non sono riuscita a insegnarli nulla. 
— Ho sentito dire che è considerato un genio. 
— Alcuni lo pensano. Secondo me è un bluff. Come sia stato accettato dalla Lambreth Gallery non riesco proprio a immaginarlo. 
— La signora Lambreth ha un'alta opinione del suo lavoro. 
Butchy respirò rumorosamente attraverso il naso e non disse nulla. 
— Earl Lambreth condivideva il suo entusiasmo? 
— Forse. Non lo so. Earl Lambreht non era un esperto. Era semplicemente riuscito a far credere a un mucchio di gente di essere un esperto... e mi scusi se parlo male di un morto. 
— A quanto mi risulta, molte persone sono d'accordo con lei. 
— Certo che sono d'accordo con me. Io ho ragione. Earl Lambreth era fasullo come lo è Nino. Facevano una bella coppia tutti e due, a cercare d'ingannarsi a vicenda. — Sorrise malignamente. — E poi tutti sanno come operava Lambreth. 
— Che cosa intende dire? 
— Niente etichette col prezzo. Niente catalogo... se non per le grandi personali. Faceva parte della cosiddetta immagine di prestigio. Se a un cliente piaceva un pezzo, Lambreth poteva sparare qualunque cifra che il mercato consentisse. E quando l'artista riceveva la percentuale pattuita, non aveva alcuna prova del vero prezzo al quale era stata effettuata la vendita. 
— Lei pensa che ci fosse in atto qualche attività truffaldina? 
— Ma certo. E Lambreth la passava liscia perché la maggior parte degli artisti sono stupidi. Nino è stato l'unico che lo ha accusato di truffarlo. Ci vuole un imbroglione per riconoscere un imbroglione. 
Soddisfatta di sé, Butchy si diede qualche colpetto sulle onde piatte dei capelli. 
Qwilleran tornò al giornale e scrisse una richiesta al laboratorio fotografico perché facessero un primo piano di "scultrice saldatrice al lavoro". Batté anche a macchina un abbozzo dell'intervista - con meno riferimenti a Lambreth e a Nino - e lo lasciò lì a decantare. Si sentiva soddisfatto. Aveva la sensazione di essere sulle tracce di qualcosa. Di lì a poco sarebbe andato al museo d'arte per indagare sul pugnale fiorentino scomparso e dopo cena si sarebbe recato all'happening. Per essere un lunedì, si stava rivelando una giornata interessante. 
Il museo lo aggredì con il suo silenzio da lunedì pomeriggio. Nell'atrio prese un catalogo della Collezione Fiorentina e apprese che, in massima parte, era il frutto di una generosa donazione della famiglia Duxbury. Percy Duxbury era membro del consiglio di amministrazione del museo. 
La moglie era presidente del gruppo che raccoglieva i fondi. 
Al guardaroba, dopo aver lasciato cappotto e cappello, chiese alla ragazza di Tom LaBlanc dove poteva trovare la Collezione Fiorentina. 
Lei gli indicò con espressione sognante l'estremità del corridoio. — Ma perché vuol perdere il suo tempo lì? 
— Perché non l'ho mai vista, ecco perché. È una buona ragione? — Aveva usato un tono amabile e scherzoso. 
Lei lo guardò attraverso una ciocca dei lunghi capelli che le erano caduti su un occhio. — C'è una mostra temporanea di argenti moderni svedesi che è molto più stimolante. 
— D'accordo. Vedrò entrambe le cose. 
— Non ne avrà il tempo. Il museo chiude tra un'ora. Quella roba svedese è proprio una cannonata. E questa è l'ultima settimana che rimane qui. 
Per essere una guardarobiera si mostrava innaturalmente interessata a consigliarlo, si disse Qwilleran, e la sua sospettosità professionale cominciò a scodinzolare. Andò nella Sala Fiorentina. 
La donazione Duxbury era un'accozzaglia di dipinti, di arazzi, di bassorilievi di bronzo, di statue di marmo, di manoscritti e di piccoli oggetti d'oro e di argento in teche di vetro. Alcuni erano messi in mostra dietro vetri scorrevoli dotati di minuscoli congegni di chiusura quasi invisibili; altri stavano su piedistalli sotto campane di vetro che sembravano inamovibili. 
Qwilleran scorse col dito la pagina del catalogo e trovò l'articolo che gli interessava: "Pugnale d'oro lungo venti centimetri, dalla elaborata cesellatura, sedicesimo secolo, attribuito a Benvenuto Cellini". Nelle teche di vetro, però, tra le saliere, i calici e le statue religiose non figurava. 
Andò nell'ufficio del direttore e chiese del signor Farhar. Una segretaria di mezza età dai modi timidi gli disse che il signor Farhar era fuori. Gli poteva essere d'aiuto il signor Smith? Il signor Smith era il curatore capo. 
Smith sedeva a un tavolo pieno di oggettini di giada e ne stava mettendo uno sotto una lente d'ingrandimento. Era un bell'uomo dai capelli neri, con la pelle olivastra e occhi verdi come la giada. Qwilleran ricordò di averlo visto al Ballo di San Valentino nelle vesti di Humbert-Humbert, l'accompagnatore di Lolita. L'uomo aveva negli occhi un che di astuto ed era facile sospettarlo capace di comportamenti non proprio retti. Inoltre si chiamava John. Chiunque portasse il nome di John Smith avrebbe fatto nascere dubbi anche alla persona più fiduciosa. 
— Ho saputo che dalla Sala Fiorentina manca un oggetto prezioso — lo apostrofò Qwilleran. 
— Dove l'ha sentito? 
— È un'informazione arrivata al giornale. Non ne conosco la fonte. 
— La voce è infondata. Mi dispiace che abbia fatto un viaggio a vuoto. Comunque, se cerca materiale per un articolo, potrebbe scrivere di questa collezione privata di giade che è appena stata donata al museo da uno dei membri del nostro consiglio. 
— La ringrazio. Lo farò con piacere, ma un'altra volta. Oggi mi interessa l'arte fiorentina. In particolare cerco un pugnale d'oro cesellato attribuito a Cellini e non riesco a trovarlo. 
L'altro fece un gesto di deprecazione. — Il catalogo è eccessivamente ottimistico. A noi sono arrivate ben poche opere del Cellini, ma ai Duxbury piace pensare di averne acquistato uno e noi li assecondiamo in questa convinzione. 
— Io voglio vedere il pugnale. Di chiunque sia — rimarcò Qwilleran. — Sarebbe così gentile da venire con me a indicarmelo? 
Il curatore si appoggiò allo schienale e sollevò le braccia. — D'accordo, come vuole. Il pugnale è al momento fuori posto, ma non vogliamo pubblicità al riguardo. La notizia potrebbe scatenare un'ondata di furti. Queste cose succedono sa? — Non gli aveva offerto di sedersi. 
— Quanto vale? 
— Preferiamo non dichiararlo. 
— Questo è un museo civico — replicò Qwilleran — e il pubblico ha diritto di essere informato. Così forse l'oggetto potrebbe essere recuperato. Lo avete comunicato alla polizia? 
— Se chiamassimo la polizia e convocassimo i giornalisti ogni volta che un oggetto non è più al suo posto, saremmo considerati degli emeriti seccatori. 
— Quando vi siete accorti che mancava? 
Smith esitò. — Ci è stato comunicato da uno dei custodi all'incirca sette giorni fa. 
— E non avete fatto nulla al riguardo? 
— Abbiamo messo un rapporto sulla scrivania del signor Farhar ma, come lei sa, lui sta per lasciarci e ha ben altri pensieri per la testa. 
— A che ora il custode si è accorto che mancava? 
— Al mattino, quando ha eseguito il primo controllo. 
— Quante volte fa il controllo? 
— Diverse volte al giorno. 
— E il pugnale era nella bacheca quando aveva fatto il giro precedente? 
— Sì. 
— E quando l'aveva fatto? 
— La sera prima, all'ora di chiusura. 
— Quindi è scomparso durante la notte. 
— Così sembrerebbe. — John Smith era reticente e riluttante. 
— Sono state trovate tracce di effrazione, o qualcosa che indichi che qualcuno è rimasto chiuso dentro per tutta la notte? 
— Assolutamente no. 
Qwilleran si stava scaldando. — In altre parole, potrebbe trattarsi di una sparizione perpetrata da qualcuno del museo? Come è stato asportato dalla bacheca? L'hanno spaccata? 
— No. La vitrine era stata spostata e poi rimessa a posto. 
— Che cosa è una vitrine? 
— La campana di vetro che protegge gli oggetti disposti sui piedistalli. — C'erano altri oggetti sotto quella stessa campana, vero? 
— Sì. 
— Ma non sono stati toccati. 
— Esatto. 
— Come si tolgono quelle campane? Io le ho esaminate e non sono riuscito a capirlo. 
— Si incastrano perfettamente nel piedistallo grazie a una modanatura fissata da viti invisibili. 
— In altre parole — osservò Qwilleran — per poterle togliere bisogna conoscere il trucco. Il pugnale deve essere stato portato via da qualcuno che sapeva come fare. Quando il museo era chiuso. Lei non lo definirebbe un lavoro fatto dall'interno? 
— Non gradisco questa insinuazione, signor Qwilleran — ribatté il curatore. — Voi giornalisti potete essere oltremodo sgradevoli, come questo museo ha avuto agio di scoprire a proprie spese. Le proibisco di pubblicare qualsiasi cosa su questo incidente senza l'autorizzazione del signor Farhar. 
— Non si dice a un giornale quello che deve pubblicare e quello che non deve — disse Qwilleran controllandosi a stento. 
— Se questo articolo sarà pubblicato — minacciò Smith — dovremo concludere che il Daily Fluxion è un irresponsabile giornale scandalistico. In primo luogo diffondereste un falso allarme. In secondo luogo potreste incoraggiare una epidemia di furti. Terzo, potreste impedire il recupero del pugnale, ammesso che sia stato davvero rubato. 
— Deciderà il mio direttore — tagliò corto Qwilleran. — Un'ultima cosa. Quando Farhar se ne sarà andato, lei sarà promosso? 
— Il successore non è stato ancora nominato — rispose Smith, e la pelle olivastra divenne color pergamena. 
Qwilleran andò a cenare all'Artista & Modella, un ritrovo frequentato dalla gente di cultura. La musica di sottofondo era classica, il menù francese e le pareti erano ricoperte da opere d'arte, totalmente invisibili nella voluta oscurità del locale, nella quale persino la forchetta aveva difficoltà a trovare il cibo (piccole porzioni servite in piatti di terraglia marrone). 
Era un'atmosfera più adatta alla conversazione e a tenersi per mano che a mangiare, e Qwilleran si concesse un attimo di autocompatimento quando si avvide di essere l'unico a cenare da solo. Rimpianse di non essere a casa a dividere una fetta di pasticcio di carne con Koko e a fare una veloce partita a Passero. Poi ricordò tristemente che Koko lo aveva abbandonato. 
Ordinò del ragôut de boeuf bordelaise e si concentrò sul pugnale sparito. 
Quello Smith era stato evasivo. E aveva anche mentito, all'inizio dell'intervista. Persino la ragazza del guardaroba aveva tentato di dissuadere Qwilleran dal visitare la Sala Fiorentina. Chi stava coprendo e perché? 
Se il pugnale era stato rubato, come mai il ladro aveva scelto quel particolare oggetto dell'Italia rinascimentale? Perché rubare un'arma? Perché non un calice o una coppa? Non si trattava di un oggetto che un ladruncolo avrebbe potuto facilmente barattare con un pasto, e dei ladri professionisti avrebbero fatto un bottino più rilevante. Qwilleran convenne che qualcuno doveva aver bramato il possesso di quel pugnale, o perché era d'oro o perché era bello. 
Era un pensiero poetico e Qwilleran ne attribuì la colpa all'atmosfera romantica del ristorante. Poi lasciò che la sua mente vagasse piacevolmente verso Zoe. Si chiese quanto tempo sarebbe dovuto passare prima di poterla invitare a cena. Una vedova che non credeva nei funerali e che come abiti da lutto indossava pantaloni di seta purpurea evidentemente non teneva alle convenzioni. 
Tutto attorno a lui le coppie chiacchieravano e ridevano. Udì più volte levarsi una risata argentina e non ebbe dubbi di chi fosse. 
Di Sandy Halapay. Era ovvio che aveva trovato qualcuno con cui divertirsi mentre il marito si trovava in Danimarca. 
Nell'uscire dal ristorante, lanciò un'occhiata furtiva verso il tavolo di Sandy e guardò la testa bruna china su di lei. L'uomo era John Smith. 
Cacciò le mani nella tasche del cappotto e percorse i pochi isolati che lo dividevano dalla Penniman School. Distolse il pensiero dal pugnale del Cellini per rivolgerlo a quello Smith dagli occhi astuti, alla connivente Sandy, a Cal Halapay in Danimarca, a Tom, lo sgarbato cameriere di Halapay, alla ragazza di Tom che stava al guardaroba del museo, finendo per riportarlo ancora una volta sul pugnale. 
Quella giostra mentale gli diede un vago senso di vertigine. Cercò di scacciare l'argomento. Dopo tutto non erano fatti suoi. E neppure lo era l'omicidio di Earl Lambreth. Che lo risolvesse la polizia. 

Alla Penniman School altri misteri lo confusero. L'happening era un'ammucchiata di gente, oggetti, suoni e odori all'apparenza privi di senso, di scopo e di organizzazione. 
La scuola era arredata con sfarzo (prima di sposarsi la signora Duxbury era una Penniman) e tra i tanti ambienti c'era un imponente studio di cultura. In un suo articolo Mountclemens lo aveva definito "enorme come un granaio e artisticamente produttivo come una balla di fieno". Quello studio era lo scenario dell'happening; per parteciparvi gli studenti dovevano pagare un dollaro e il pubblico tre. Il ricavato sarebbe andato al fondo per le borse di studio. 
Quando Qwilleran arrivò il locale era buio tranne che per alcuni riflettori che disegnavano giochi di luce sulle pareti. Raggi e chiazze luminose consentivano di scorgere una parete di vetro opaco e un alto soffitto a travi. Una complessa impalcatura allestita per l'occasione dominava la stanza. 
Sul pavimento di cemento, persone di ogni età sostavano in gruppi o tra pile di enormi scatoloni di cartone vuoti che trasformavano la stanza in un labirinto. Quelle torri di cartone dipinte in colori vistosi e precariamente in equilibrio minacciavano di crollare al minimo tocco. 
Altre minacce pendevano dall'impalcatura. Una spada sembrava appesa a un filo invisibile. C'erano grappoli di palloni verdi, mele rosse legate per il picciuolo e secchi di plastica gialla pieni di chissà che cosa. Una pompa da giardinaggio sgocciolava capricciosamente. Sospesa a un'imbracatura di funi, una donna nuda dai lunghi capelli verdi spruzzava scadente profumo con una pistola per disinfestazione. E, al centro dell'impalcatura, torreggiante sopra l'happening come una divinità malevola, c'era la "Cosa 36" con i suoi occhi roteanti. Qwilleran notò che era stato aggiunto un dettaglio: la Cosa ora aveva una corona di maniglie di porte, il simbolo di morte di Nino. 
Di lì a poco la musica elettronica riempì il locale e i riflettori cominciarono a muoversi seguendo il ritmo, cosicché fasci di luce sfrecciavano all'impazzata sul soffitto, oppure si soffermavano sui volti sollevati. 
Durante uno di questi fugaci passaggi di luce Qwilleran riconobbe il signore e la signora Buchwalter, il cui abbigliamento normale non era dissimile dal travestimento da contadini della sera del Ballo di San Valentino. 
La coppia riconobbe subito i suoi baffi. 
— Quando ha inizio l'happening? — chiese ai due. 
— È già iniziato — gli rispose la donna. 
— Vuol dire che è questo? Che è tutto qui? 
— Altre cose accadranno a mano a mano che la serata procederà — spiegò lei. 
— Cosa si suppone che la gente debba fare? 
— Si può starsene in disparte aspettando che le cose succedano, oppure si può far sì che succedano, a seconda della propria filosofia di vita. Io, per esempio, probabilmente spingerò per la stanza un po' di quegli scatoloni; Franz si limiterà ad aspettare che gli caschino addosso. 
— Io mi limiterò ad aspettare che mi caschino addosso — ripeté Franz. 
Dato che arrivava di continuo altra gente la folla era costretta a circolare. C'erano persone dall'aria assai compresa; altre apparivano divertite; altre mascheravano lo sconcerto con bravate. 
— Che ne pensate di tutto questo? — chiese Qwilleran ai Buchwalter mentre vagavano per il labirinto. 
— Secondo noi è un'interessante dimostrazione di creatività e di come si sviluppa un tema — gli rispose la signora Buchwalter. — L'evento deve avere forma, movimento, un centro dominante di interesse, varietà, unità: tutti gli elementi del buon design. La ricerca di queste qualità accresce il divertimento. 
Franz annuì. — Accresce il divertimento. 
— I ragazzi stanno salendo sull'impalcatura — notò la moglie — adesso cominceranno a succedere tante cose. 
Tra un lampo di luce e l'altro Qwilleran scorse tre persone che salivano lungo la scala di corda: Butchy Bolton in tuta, seguita da Tom LaBlanc e da Nino, non meno trasandato della prima volta in cui l'aveva visto. 
— Il giovanotto con la barba — spiegò la signor Buchwalter — è un ex alunno che ha avuto un certo successo, l'altro è uno studente. La donna, l'avrà riconosciuta, è la signorina Bolton, insegna qui. È stata sua l'idea di fare troneggiare sull'happening quella Cosa con gli occhialoni. Francamente siamo rimasti stupiti, sapendo come la pensa Butchy riguardo alla scultura spazzatura. Forse voleva mettere in evidenza un concetto: la gente oggi adora la spazzatura. 
Qwilleran si girò verso Franz: — Lei insegna alla Penniman, vero? 
— Sì — rispose la signora Buchwalter — insegna acquerello. 
— Ho visto che tiene una mostra alla West Side Gallery, signor Buchwalter. Ha successo? 
— Ha venduto quasi tutto — disse la donna — a dispetto di quell'eccezionale critica di George Bonifield Mountclemens. Il vostro critico non ha saputo interpretare il simbolismo dell'opera di Franz. Quando mio marito dipinge barche a vela, di fatto rappresenta la brama di fuga dell'anima, su bianche ali, verso un domani del più puro azzurro. Mountclemens ha usato un abile artificio per nascondere la sua incapacità di capire; a noi è parso molto divertente. 
— Molto divertente — le fece eco l'artista. 
— Quindi la sua critica non vi ha offesi? 
— No. Quel tipo ha i suoi limiti, come ne abbiamo tutti. E comprendiamo il suo problema. Riusciamo a capirlo — aggiunse la signora Buchwalter. 
— Quale problema intende? 
— Mountclemens è un artista frustrato. Di certo le avranno riferito che ha una mano artificiale, per la verità assai realistica, costruitagli da uno scultore del Michigan. La sua vanità è stata soddisfatta, ma lui non può più dipingere. 
— Non sapevo che fosse un artista — disse Qwilleran. — Come ha perso la mano? 
— Nessuno lo sa. È successo prima che venisse qui. Ovviamente questa menomazione ha tarpato la sua personalità. Ma noi dobbiamo imparare a convivere con le sue stravaganze. Lui è venuto qui per restare. Ci par di capire che nulla potrebbe sradicarlo da quella sua casa vittoriana... 
La signora Buchwalter fu interrotta da una serie di squittii. La pompa da giardino sospesa in alto all'improvviso aveva annaffiato gli astanti. 
Qwilleran osservò: — L'omicidio Lambreth è stata una notizia scioccante. Voi avete qualche teoria al riguardo? 
— Non permettiamo alla nostra mente di soffermarsi su questo genere di cose — rispose la signora Buchwalter. 
— Noi non ci soffermiamo su questo — ribadì il marito. 
Ora lo studio si riempì di risate perché, dall'alto, era stata rovesciata una balla di piume di galline che un ventilatore faceva volteggiare come neve. 
— Un bel divertimento pulito! — commentò Qwilleran. 
Ma cambiò idea un attimo dopo quando i tre che stavano in alto liberarono una nube mefitica di idrogeno solforato. 
— Ha tutto un significato simbolico — spiegò la signora Buchwalter. — Non è necessario che lei sia d'accordo con questa premessa fatalistica, ma deve ammettere che loro pensano ed esprimono se stessi. 
Vi furono degli scoppi. La gente urlò e subito dopo seguì un breve tumulto. I tre che stavano sull'impalcatura avevano forato i palloni verdi e avevano inondato di cotillons la folla sottostante. 
Qwilleran disse: — Spero che non abbiano in mente di far cadere quella spada di Damocle. 
— Agli happening non succede mai nulla di realmente pericoloso — gli rispose la signora Buchwalter. 
— No, niente di pericoloso — ripeté il signor Buchwalter. 
La folla sì aggirava frenetica e le torri di scatoloni avevano preso a oscillare. Dall'alto scese una pioggia di coriandoli. Poi una raffica di palle di gomma si rovesciò fuori da uno dei secchi di plastica gialla. Poi... 
— Sangue... — strillò una voce femminile. 
Qwilleran riconobbe quel grido e si fece strada nella calca per raggiungere la donna. 
Il volto di Sandy Halapay grondava di qualcosa di rosso. Le sue mani erano rosse. Lei se ne stava lì, come inebetita, mentre John Smith la ripuliva delicatamente con il proprio fazzoletto. Poi la donna scoppiò a ridere. Si trattava di ketchup. 
Qwilleran ritornò vicino ai Buchwalter. — L'intrattenimento si sta facendo sfrenato, commentò. La gente aveva cominciato a tirare le palle di gomma ai tre che stavano sull'impalcatura. 
Le palle attraversavano l'aria, colpivano l'impalcatura, rimbalzavano sulle teste dei presenti e venivano di nuovo lanciate contro l'impalcatura dal pubblico schiamazzante. La musica era stridente e rumorosa, i fasci di luce tracciavano archi che davano le vertigini. 
— Tiriamo al mostro — gridò una voce e una raffica di palle si abbatté sulla Cosa dagli occhi rotanti. 
— No! — urlò Nino. — Fermi! 
Ben visibile sotto i fasci di luce la Cosa ondeggiò sul piedistallo. 
— Fermi! 
I tre si precipitarono per reggerla. Le tavole dell'impalcatura vibrarono. 
— Attenti! 
La ragazza che stava nell'imbragatura di corda urlò. 
La gente sottostante si scostò freneticamente. La Cosa precipitò con un tonfo. E con essa anche un corpo si abbatté sul pavimento di cemento. 

12 

Due nuovi argomenti costituirono i titoli dell'edizione mattutina di martedì del Daily Fluxion. 
Un pregiato pugnale d'oro attribuito al Cellini era scomparso dal museo. Sebbene la sua assenza fosse stata notata da un custode oltre una settimana prima, la notizia non era stata comunicata alla polizia fino a quando un giornalista del Fluxion non aveva scoperto che quel prezioso oggetto mancava dalla Sala Fiorentina. I funzionari del museo non avevano dato una spiegazione soddisfacente per quel ritardo. 
L'altro articolo riguardava un incidente mortale. 
"Lunedì sera, alla Penniman Sehool of Fine Art, durante un programma in cui era prevista la partecipazione del pubblico e che era stato definito happening, un artista è precipitato dall'alto ed è morto. Si trattava di uno scultore professionalmente noto come Nine Oh Two Four Six Eight Five, il cui vero nome era Joseph Hibber. 
"Hibber si trovava in piedi su un'alta impalcatura nel locale buio quando un'agitazione disordinata sul pavimento aveva minacciato di far crollare una gigantesca struttura che faceva parte allo spettacolo. 
"I testimoni hanno riferito che Hibber aveva cercato di evitare che l'oggetto piombasse sulla gente. Nel tentativo, evidentemente ha perso l'equilibrio ed è precipitato al suolo da un'altezza di otto metri. 
"La signora Sadie Buchwalter, moglie di Franz Buchwalter, un membro della facoltà, è stata ferita da una maniglia schizzata via quando l'oggetto è caduto. Le sue condizioni sono state definite soddisfacenti. 
"Circa trecento studenti, membri della facoltà e mecenati presenti alla festa di beneficenza, sono stati testimoni dell'incidente." 
Quel pomeriggio, quando Arch Riker lo raggiunse alle cinque e mezzo per un aperitivo, Qwilleran buttò il giornale sul bancone del circolo della stampa. 
— È caduto, oppure è stato spinto. 
— Hai sviluppato una mentalità criminale — dichiarò Arch. — Non basta un omicidio per farti felice? 
— Non sai quello che so io. 
— Sentiamo. Chi era quel tipo? 
— Un beatnik cui si dà il caso piacesse Zoe Lambreth. E a lei lui piaceva molto. Anche se potrebbe riuscire difficile crederlo vedendo quel tizio, un selvaggio che veniva dritto dritto dalle fogne della città. 
— Con le donne non si può mai sapere — sospirò Arch. 
— Tuttavia, devo ammettere che il ragazzo aveva delle possibilità. 
— Dunque chi lo ha spinto? 
— Be', c'era quella scultrice, quella Butchy Bolton, che sembrava avercela con lui. Penso fosse gelosa dell'amicizia che Zoe dimostrava per quel beatnik, e anche gelosa di lui professionalmente. Nino aveva un successo di critica maggiore del suo. Butchy ha anche un debole per Zoe. 
— Ah, una di quelle? 
— Zoe stava cercando di allontanarla da sé... con modi sottili, ma Butchy è sottile come un bulldog. E c'è anche un'altra cosa interessante: sia Butchy sia Nino, il morto, nutrivano un serio rancore verso il marito di Zoe. Supponiamo che uno di loro abbia ucciso Earl Lambreth; è possibile che Butchy considerasse Nino un concorrente per le attenzioni di Zoe e l'abbia sbattuto giù dall'impalcatura? Tutti quelli che stavano lassù si sono precipitati lungo quelle tavole sottili per impedire che la Cosa cadesse. 
Butchy avrebbe avuto una magnifica occasione. 
— A quanto sembra, ne sai più della polizia. 
— Ma non ho risposte. Solamente interrogativi. Eccone un altro: Chi ha rubato il quadro della ballerina dall'ufficio di Earl Lambreth? Durante lo scorso fine settimana, all'improvviso mi sono ricordato che la sera dell'omicidio quel dipinto mancava. L'ho detto a Zoe e lei lo ha riferito alla polizia. 
— Sei stato un ragazzo laborioso. Non c'è da stupirsi che non abbia portato a termine il profilo su Halapay. 
— Ed ecco un altro interrogativo: chi ha rubato il pugnale al museo? E perché quelli sono così abbottonati al riguardo? 
— Hai altre storielle? — chiese Arch. — Oppure posso andare a casa da mia moglie e dai miei bambini? 
— Vai pure a casa. Sei un pessimo pubblico. Ecco che stanno arrivando un paio di persone che saranno più interessate. 
Odd Bunsen e Lodge Kendall avanzavano l'uno dietro l'altro in mezzo alla gente che affollava il bar. 
— Ehi Jim! — lo apostrofò il fotografo. — Hai scritto tu quel pezzo sul pugnale scomparso al museo? 
— Sì. 
— L'anno ritrovato. Sono andato là a fotografarlo. Il mio capo ha pensato che alla gente avrebbe fatto piacere vedere com'è fatto, dopo tutto il cancan che tu hai sollevato. 
— Dove l'hanno trovato? 
— Nella cassaforte al ministero della Pubblica Istruzione. Un insegnante doveva scrivere un articolo sull'arte fiorentina per una rivista. Ha tirato fuori dalla bacheca il pugnale per esaminarlo. Poi è andato a un congresso e lo ha depositato temporaneamente in cassaforte. 
— Oh! — esclamò Qwilleran. I baffi gli si abbassarono. 
— Be', questo risolve uno dei tuoi problemi — gli disse Arch, che poi si rivolse al cronista di nera. — Qualcosa di nuovo sul caso Lambreth? 
— E appena saltato fuori un importante indizio. — La polizia ha ritrovato un quadro di valore che la moglie di Lambreth aveva detto essere scomparso. 
— Dove è stato trovato? — chiese Qwilleran. 
— Nel magazzino della galleria, archiviato sotto la G. 
— Oh! — esclamò Qwilleran. 
Arch gli diede una manata sulla schiena. — Sei proprio un grande investigatore, Jim! Perché non ti concentri sul profilo di Halapay e lasci i delitti alla polizia? Io me ne vado a casa. 
Arch lasciò il circolo della stampa, Odd Bunsen e Lodge Kendall si allontanarono; Qwilleran rimase lì seduto da solo a scrutare con espressione infelice il suo succo di pomodoro. 
Bruno, che stava passando lo strofinaccio sul bancone, chiese con un sorrisetto: — Vuole un altro Bloody Mary senza vodka, limetta, Worcestershire o tabasco? 
Il barista non se ne andò. Pulì per benino il bancone. Porse a Qwilleran un altro tovagliolino di carta e alla fine disse: — Le piacerebbe vedere un paio di miei ritratti presidenziali? 
Qwilleran lo guardò in cagnesco. 
— Ho finito il Van Buren — riprese Bruno — e sotto il banco del bar ho quello e il John Quincy Adams. 
— Non stasera, non sono dell'umore. 
— Non conosco nessun altro che faccia dei ritratti a collages con le etichette del whisky — insistette Bruno. 
— Senti, non mi interessa se anche fai dei ritratti a mosaico con i noccioli delle olive! Stasera non ho voglia di guardarli. 
— Sta cominciando ad assomigliare a Mountclemens — commentò acido Bruno. 
— Ho cambiato idea riguardo al drink — disse Qwilleran. — Ne voglio uno. Uno scotch... liscio. 
Bruno si strinse nelle spalle e cominciò a servirlo con gesti lenti. 
— E sbrigati — si stizzì Qwilleran. 
Dall'altoparlante provenne una voce attutita che lui non udì. 
— Signor Qwilleran — disse Bruno — penso la stiano chiamando. 
Qwilleran si mise in ascolto, si pulì i baffi e, di pessimo umore, andò al telefono. 
Una voce morbida disse: — Signor Qwilleran, spero di non disturbare, ma mi chiedevo se avesse già programmi per stasera. 
— No, non ne ho — rispose riprendendosi di colpo. 
— Verrebbe a cena da me? Mi sento triste e mi farebbe bene chiacchierare con qualcuno che mi capisce. Prometto di non dilungarmi sui miei guai. Parleremo di cose piacevoli. 
— Prendo un taxi e sono subito da lei. 
Prima di uscire dal circolo della stampa Qwilleran buttò un dollaro a Bruno. — Bevilo tu lo scotch — disse. 

Quando rincasò dopo la cena da Zoe Lambreth, a mezzanotte passata, Qwilleran era di buon umore. La notte era molto fredda, eppure lui sentiva caldo. Diede un quarto di dollaro a un mendicante dall'aria intirizzita che si trascinava per Blenheim Place e aprì la porta del numero 26 canticchiando. 
Ancor prima di inserire la seconda chiave nella porta interna, udì Koko miagolare nel vestibolo. 
— Ah, amico infido! — lo salutò. — Ieri mi hai snobbato. Non aspettarti una partita a Passero, vecchio mio. 
Koko era seduto sull'ultimo gradino, in posizione eretta. Niente salti, niente sfregamento contro le caviglie. Era serissimo. Tornò a miagolare. 
Qwilleran guardò l'orologio. Il gatto a quell'ora avrebbe dovuto dormire, acciambellato sul cuscino in cima al frigorifero, nell'appartamento di Mountclemens. Invece era lì, a comunicargli qualcosa. Non si trattava del gemito lamentoso che usava quando la cena era appena un po' in ritardo, né del tono di rimprovero che assumeva quando essa era imperdonabilmente in ritardo. Era un grido di disperazione. 
— Zitto, Koko! Sveglierai tutta la casa — mormorò Qwilleran. 
Koko abbassò il volume, ma insistette a conferire al suo messaggio un tono di urgenza. Camminava avanti e indietro sulle zampe rigide, sfregandosi contro la colonnina della scala. 
— Di che si tratta, Koko? Che cosa stai cercando di comunicarmi? 
Il gatto sfregava il lustro fianco come se volesse strapparsi via ciuffi di peli. Qwilleran si abbassò e accarezzò la schiena inarcata. La pelliccia vellutata era diventata stranamente ruvida e irsuta. Al tocco della sua mano Koko fece un balzo di cinque o sei gradini, dopo di che abbassò la testa e girò il collo fino a che riuscì a sfregarsi il retro delle orecchie contro lo spigolo anteriore di un gradino. 
— Sei rimasto chiuso fuori, Koko? Andiamo su a vedere. 
Subito il gatto sfrecciò in cima alla rampa, seguito dal giornalista. 
— La porta è aperta. Koko — bisbigliò Qwilleran. — Entra, vai a dormire. 
Il gatto si infilò nella stretta fessura e Qwilleran ritornò sui suoi passi. 
Era arrivato a metà scala, quando i miagolii ricominciarono. Koko era uscito e stava sfregando violentemente la testa contro lo stipite. 
— Non puoi andare avanti così per tutta la notte! Vieni nel mio appartamento. Cercherò di trovarti uno spuntino. — Qwilleran afferrò il gatto da sotto la pancia e se lo portò in casa, dove lo adagiò sul divano. Ma Koko in un battibaleno, come una macchia indistinta, schizzò via, volò su per le scale e, una volta in cima, prese a gemere disperatamente. 
A questo punto i baffi di Qwilleran vibravano in modo inspiegabile. Che cosa significava tutto ciò? Senza indugiare oltre, seguì Koko di sopra. Per prima cosa diede un colpetto alla porta aperta. Non ricevendo risposta, entrò. Il soggiorno era immerso nell'oscurità. 
Quando premette l'interruttore tutti i faretti nascosti saettarono i loro fasci di luce sui quadri e sugli oggetti d'arte. Koko adesso era silenzioso e fissava i piedi di Qwilleran che si spostavano nel soggiorno, nella alcova da pranzo e poi riemergevano. Le stanze dai pesanti tendaggi e piene di tappeti erano avvolte in un silenzio opprimente. Quando i piedi si fermarono, Koko imboccò il lungo corridoio e raggiunse la cucina buia. I piedi lo seguirono. Le porte della stanza da bagno e della camera da letto erano aperte. Qwilleran accese la luce della cucina. 
— Che cosa c'è, diavolo d'un gatto? 
Koko si stava sfregando contro la porta di servizio che portava alla scala antincendio. 
— Se vuoi semplicemente andare a fare una passeggiata ti torco il collo. 
Si tratta di questo? 
Koko si sollevò sulle zampe e diede una zampata alla maniglia. 
— Be', io fuori non ti porto. Dov'è il tuo padrone? Che ti ci porti lui... Inoltre, fa troppo freddo perché i gatti escano. 
Qwilleran spense la luce della cucina e ritornò nel corridoio, solo per vedersi schizzare davanti Koko che ora stava emettendo un brontolio roco. 
Il gatto gli si buttò tra le gambe. 
I baffi di Qwilleran mandarono un altro messaggio. Tornò in cucina, accese la luce e prese la torcia elettrica dallo sgabuzzino. Protese la mano verso la serratura della porta di servizio, che trovò aperta. Strano, pensò. 
Quando spalancò l'uscio, fu aggredito da una folata di aria gelida. Proprio accanto allo stipite, all'esterno, c'era un interruttore. Lo pigiò, ma la lampadina esterna si limitò a creare una debole chiazza gialla sul pianerottolo. Qwilleran accese la torcia elettrica e il potente fascio luminoso investì la scena sottostante. La luce esplorò le tre pareti di mattoni, indugiò sulla porta chiusa, strisciò sul pavimento di mattoni fino a illuminare un corpo a terra: lungo, scuro ed esile. Era George Bonifield Mountclemens. 
Qwilleran scese con molta prudenza i gradini ghiacciati della scala di legno. Fece lampeggiare il raggio di luce sul lato visibile del volto. Mountclemens era riverso, la guancia premuta al suolo, il corpo rannicchiato. Non c'erano dubbi: era morto. 
Il vicolo era deserto. La notte era silenziosa. Si sentiva odore di scorza di limetta. E all'interno del patio l'unico movimento era quello di una pallida ombra proprio al di là del raggio di luce. Si muoveva in circoli. Era il gatto che stava eseguendo uno strano e privato rituale. Con la schiena inarcata, la coda rigida e le orecchie ripiegate all'indietro, Kao K'o-Kung continuava a girare in tondo. 
Qwilleran lo afferrò con un braccio e salì la scala di legno con tutta la velocità che i gradini ghiacciati permettevano. Raggiunto il telefono, rimase esitante col dito sul disco, ma poi chiamò per prima la polizia e dopo il capocronista del Daily Fluxion. Quindi si sedette ad aspettare, componendo mentalmente diverse proprie versioni di titoli adeguati alla prima edizione. 
I primi ad arrivare in Blenheim Place furono due agenti di polizia a bordo di un'autopattuglia. 
Qwilleran li avvertì: — Non potete raggiungere il patio dal fronte della casa. O salite, attraversate l'appartamento e scendete dalla scala antincendio, oppure potete aggirare l'isolato ed entrare dal vicolo. Può darsi però che la porta sia chiusa. 
— Chi abita al pianterreno sul retro? 
— Nessuno. È usato come magazzino. 
I due uomini provarono ad aprire la porta dell'appartamento sul retro, ma era chiusa. Salirono tutti e tre al piano di sopra e scesero dalla scala antincendio. 
Qwilleran disse: — In un primo momento ho pensato che fosse caduto dai gradini. Sono pericolosi. Ma il corpo giace troppo distante dalla scala. 
— Sembrerebbe che ci sia una ferita — osservò uno dei poliziotti. A prima vista si direbbe inferta da un coltello. 
Al piano di sopra il gatto inarcò la groppa, tese le zampe posteriori e prese a saltellare secondo uno schema di cerchi che andavano facendosi sempre più piccoli. 

13 

Il giorno dopo l'omicidio di Mountclemens al Daily Fluxion c'era un solo argomento di conversazione. A uno a uno, si fermarono tutti alla scrivania di Qwilleran. I colleghi della cronaca, quelli della pagina femminile, delle redazioni, del laboratorio fotografico e delle pagine sportive. Visite inaspettate fecero anche il responsabile della biblioteca, il capo dei compositori e l'addetto all'ascensore. 
Il telefono di Qwilleran squillava in continuazione. Lettrici che gli piangevano nell'orecchio; anonimi che esprimevano la loro contentezza, sostenendo che Mountclemens quella fine se l'era voluta. 
C'era anche chi insisteva affinché il giornale offrisse una ricompensa a chi avesse aiutato a trovare l'assassino. Sei gallerie telefonarono per sapere chi avrebbe recensito le loro mostre di marzo, ora che Mountclemens era uscito di scena. Un mitomane telefonò per dare un'informazione che suonava fasulla e gli fu detto di chiamare la Squadra Omicidi. Una dodicenne si offrì come critica d'arte. 
Una telefonata provenne anche dalla cameriera di Sandy Halapay: la signora annullava l'appuntamento per pranzo fissato con Qwilleran; non c'erano spiegazioni. Così lui a mezzogiorno si recò al circolo della stampa con Arch Riker, Odd Bunsen e Lodge Kendall. 
Si accomodarono a un tavolo per quattro e Qwilleran raccontò di nuovo per filo e per segno l'accaduto, cominciando dall'insolito comportamento di Koko. Mountclemens era stato accoltellato allo stomaco. L'arma non era stata trovata. 
Non c'erano tracce di colluttazione. La porta che dava sul vicolo era chiusa a chiave. 
— Il corpo è stato mandato nel Milwaukee — disse Qwilleran al suo pubblico. — Mountclemens aveva accennato a una sorella che viveva lì e la polizia ha trovato il suo indirizzo. Hanno anche confiscato i nastri su cui lui stava lavorando. 
Arch intervenne: — Stanno controllando delle vecchie registrazioni, ma non so che cosa sperino di trovare. Il fatto che abbia insultato metà degli artisti della città non li rende tutti sospetti, vero? O forse sì! 
— Ogni briciola d'informazione può aiutare — disse Lodge. 
— Mountclemens era odiato da un mucchio di gente. Non soltanto artisti, ma mercanti d'arte, gente del museo, insegnanti, collezionisti... e almeno un barista che conosco — lamentò Qwilleran. — Persino Odd voleva spaccargli una macchina fotografica sulla testa. 
— Il centralino è in fiamme — riferì Arch. — Tutti vogliono sapere chi è stato. A volte penso che i nostri lettori siano tutti dei deficienti. 
— Mountclemens non aveva la mano artificiale quando è stato ucciso. Mi domando perché. 
— Questo mi fa venire in mente una cosa — intervenne Qwilleran. — Stamattina mi sono preso un bello spavento: sono salito nell'appartamento di Mountclemens per prendere la carne del gatto e lì, sul ripiano più alto del frigorifero, c'era la mano di plastica! Ho fatto un salto terribile! 
— Che ne pensa il gatto di tutto quel bailamme? 
— È nervoso. Lo tengo nel mio appartamento; sobbalza al minimo rumore. Dopo che la poliza ieri sera se n'è andata, ho messo una coperta sul divano e ho cercato di farlo dormire lì, ma lui ha continuato a camminare, credo sia andato su e giù per tutta la notte. 
— Mi piacerebbe sapere che cosa sa il gatto. 
— E a me — ribatté Qwilleran — piacerebbe sapere che cosa ci faceva Mountclemens nel patio in una fredda notte invernale con addosso la giacca da casa di velluto. Perché è quella che indossava... oltre a un guanto sulla mano vera. Eppure si era portato il cappotto appresso. Sulle mattonelle in un angolo del patio c'era un cappotto di tweed inglese. Presumo fosse suo: taglia giusta, etichetta di New York e mantellina! Chi altri porterebbe una mantellina! 
— Dove hai trovato il cadavere esattamente? 
— In un angolo del patio vicino alla porta che immette sul vicolo. Sembrava che desse la schiena alla parete di mattoni - quella laterale, cioè - quando qualcuno gli ha conficcato il coltello nello stomaco. 
— La lama è penetrata nella aorta addominale — precisò Lodge. — Non ha avuto alcuna possibilità di cavarsela. 
— Adesso dobbiamo trovare un nuovo critico d'arte — rifletté Arch. — Vuoi tu il lavoro, Jim? 
— Chi? Io? Sei pazzo? 
— Questo mi fa venire in mente una cosa — intervenne Lodge. — In città c'era qualcuno che voleva il lavoro di Mountclemens? 
— Non rende abbastanza per valere il rischio di un imputazione per omicidio. 
— Ma dà prestigio — ribatté Qwilleran — e forse qualche esperto di arte lo vede come una possibilità di farla da padreterno. Un critico può creare o distruggere un artista. 
— Chi potrebbe essere qualificato per un lavoro del genere? 
— Un insegnante. Un curatore di museo. Qualcuno che collabora a pubblicazioni d'arte. 
Arch disse: — Dovrebbe sapere scrivere e la maggior parte degli artisti non sa farlo. Credono di saperlo fare, ma non ne sono capaci. 
— Sarà interessante vedere chi si proporrà per questo lavoro. 
Qualcuno chiese: — Ci sono altre notizie sul caso Lambreth? 
— Niente che alla polizia sia parso opportuno rivelare — rispose Lodge. 
— Sapete chi sarebbe un buon critico? — suggerì Qwilleran. — E per di più, al momento, disoccupato. 
— Chi? 
— Noel Farhar, del museo. 
— Pensi che sarebbe interessato? — chiese Arch. — Forse dovrei telefonargli. 
Qwilleran passò il resto del pomeriggio a rispondere alle telefonate, e al termine della giornata lavorativa il suo desiderio di tornare al circolo della stampa per cena era meno imperioso di quello di tornare a casa a vedere Koko. Si diceva che il gatto adesso era orfano. I siamesi avevano un particolare bisogno di compagnia. L'animale, in lutto, era rimasto tutto il giorno chiuso in casa, da solo, nell'appartamento di Qwilleran. Chissà quale trauma doveva aver subito. 
Quando aprì la porta dell'appartamento non c'era traccia di Koko sul divano, e nemmeno sulla poltrona, nessuna forma in posa leonina sulla moquette rossa, nessuna pallida massa di pelo sul letto nell'alcova. 
Qwilleran lo chiamò. Si mise carponi e guardò sotto i mobili. Cercò dietro i tendaggi e dietro la tenda della doccia. Guardò su per la canna fumaria. 
Pensò di averlo chiuso inavvertitamente in un armadio o in uno sgabuzzino, ma un frenetico sbattere di porte e di cassetti non fece saltar fuori nessun gatto. Non poteva essere scappato. La porta dell'appartamento era chiusa a chiave; anche le finestre erano chiuse. Deve essere qui, si disse Qwilleran. Può darsi che se comincio a preparargli la cena sbuchi fuori da qualche parte. 
Passò nel cucinino, si avvicinò al frigorifero e si trovò faccia a faccia con un Koko tranquillo e impassibile. 
Qwilleran sussultò. — Diavolo d'un gatto, eri seduto qui anche prima? 
Koko, rannicchiato in una posizione scomoda sulla sommità del frigorifero, rispose con un conciso miagolio. 
— Che ti succede vecchio mio, sei infelice? 
Il gatto cambiò posizione con aria irritata; si agitò inquieto sulla dura superficie bianca, poi si acquattò, e le ossa delle spalle e dei fianchi si piegarono ad angolo come pinne, mentre il pelo sulle scapole si apriva come un enorme tarassaco andato a seme. 
— Stai scomodo, ecco cos'è che non va. Dopo cena andremo di sopra a prendere il tuo cuscino, d'accordo? 
Koko strizzò gli occhi. 
Qwilleran cominciò a tagliuzzare la carne. — Quando questo pezzo di manzo sarà finito dovrai cominciare a mangiare qualcosa che io posso permettermi... altrimenti dovrai trasferirti nel Milwaukee. Tu vivi meglio di me. 
Dopo che Koko ebbe mangiato la sua carne e Qwilleran un panino col salame, andarono di sopra a prendere il cuscino azzurro dalla sommità del frigorifero di Mountclemens. L'appartamento era chiuso, ma Qwilleran aveva ancora la chiave che il critico gli aveva dato una settimana prima. 
Koko entrò con esitazione perplessa. Girò senza una meta precisa, annusò la moquette in vari punti, poi avanzò lentamente verso un angolo del soggiorno. Sembrava attratto dalle porte a listelli inclinati. Ne annusò i bordi, i cardini, i listelli con concentrazione rapita. 
— Che cosa stai cercando, Koko? 
Il gatto si rizzò sulle zampe posteriori e grattò la porta, poi sfregò le zampe sulla moquette rossa. 
— Vuoi entrare in quello sgabuzzino? 
Koko scavò con energia sul pavimento e Qwilleran colse l'allusione. Aprì le doppie porte. 
Nei primi anni di vita della casa quello stanzino forse era stato il guardaroba. Ora le finestre erano chiuse da imposte e lo spazio era occupato da un mobile a rastrelliera nel quale erano infilati in verticale diversi dipinti. Alcuni erano incorniciati, altri erano solo tele. Qua e là Qwilleran scorse macchie di colore confuse e prive di significato. 
Una volta dentro lo sgabuzzino Koko prese ad annusare avidamente, passando da uno scomparto all'altro. Uno in particolare attrasse il suo interesse; cercò di infilare la zampa nell'apertura. 
— Mi piacerebbe sapere il senso di tutta questa tua dimostrazione — disse Qwilleran. 
Koko miagolò, eccitato. Provò prima con una zampa poi con l'altra. Si concesse una pausa per sfregarsi contro la gamba di Qwilleran, poi riprese la ricerca. 
— Suppongo tu abbia bisogno di aiuto. Che cosa c'è là dentro? — Estrasse il quadro incorniciato che: riempiva l'angusto spazio e Koko allungò la zampa per tirar fuori con le unghie un piccolo oggetto scuro. 
Qwilleran glielo portò via per esaminarlo. Che cosa poteva mai essere? 
Morbido... lanuginoso... leggerissimo. Koko protestò indignato. 
— Scusa — disse Qwilleran. — Ero solo curioso. Dunque questo è Mintie Mouse. — Gettò di nuovo al gatto quel giocattolo profumato di menta e lui lo afferrò con le zampe anteriori, rotolandosi su un fianco e tempestandolo di colpi con quelle posteriori. 
— Su, usciamo di qui. — Qwilleran rimise il dipinto al suo posto, non senza avergli prima dato una rapida scorsa. Si trattava di un paesaggio irreale, pieno di corpi senza testa e di teste senza corpi. Fece una smorfia e lo rimise a posto. Dunque, queste erano le azioni blue chip di Mountclemens. 
Ne guardò qualcun altro. Uno era costituito da una serie di linee nere tracciate di traverso su fondo bianco, alcune in parallelo, altre che si intersecavano. Inarcò le sopracciglia. Un'altra tela era coperta di colore grigio, semplicemente del grigio con una firma nell'angolo in basso. Poi c'era una sfera di vivido color porpora, su campo rosso, che gli diede un inizio di emicrania. 
Il quadro successivo gli provocò una particolare sensazione alla radice dei baffi. Di botto si chinò a sollevare Koko e corse giù per le scale 
Raggiunse il telefono e formò il numero che ormai conosceva a memoria. — Zoe? Sono Jim. Qui in casa, ho trovato una cosa che voglio lei veda... un dipinto... che le interesserà. Koko e io eravamo saliti nell'appartamento di Mountclemens a prendere una cosa e il gatto mi ha condotto verso lo sgabuzzino. Era molto insistente. Lei non immaginerà mai che cosa vi ho trovato... una scimmia, un quadro raffigurante una scimmia!... Può venire qui? 
Qualche minuto dopo Zoe arrivò con un taxi; indossava la pelliccia sopra i pantaloni di flanella e il maglione. Qwilleran l'attendeva sulla porta. Aveva portato il dipinto con la scimmia nel proprio appartamento e lo aveva messo sulla mensola del camino davanti al Monet. 
— È quello! — esclamò Zoe. — E l'altra metà del Ghirotto di Earl. 
— Ne è certa? 
— È chiaramente un Ghirotto. La pennellata è inconfondibile e il fondo è dello stesso verde giallo. Potrà notare come il disegno sia squilibrato; la scimmia è troppo spostata sulla destra ed è protesa verso l'esterno del quadro. Inoltre... vede quel lembo di tutù da ballerina sul margine di destra? 
Entrambi rimasero a fissare la tela mentre i loro pensieri prendevano forma. 
— Se questa è la metà mancante... 
— Che cosa vuol dire? 
All'improvviso Zoe parve scavarsi in volto. Sedette, mordendosi il labbro inferiore. Quel tic che lui aveva trovato così sgradevole in Earl Lambreth, in Zoe era affascinante. 
Poi lei disse lentamente: — Mountclemens sapeva che Earl era alla ricerca della scimmia. Era tra quelli che si erano offerti di comperare la ballerina. E non c'è da stupirsene! La scimmia l'aveva trovata lui! 
Qwilleran si picchiettava i baffi col pollice. Si stava chiedendo: "Mountclemens avrebbe ucciso per ottenere la ballerina? E, in tal caso, perché lasciare il dipinto nella galleria? Forse perché era stato spostato nel magazzino e lui non era riuscito a trovarlo? Oppure perché...?". 
Avvertendo un fremito nei baffi Qwilleran ricordò i pettegolezzi che aveva sentito su Zoe e Mountclemens. 
Zoe si stava guardando le mani, che teneva serrate in grembo. Quasi avesse sentito lo sguardo interrogativo di Qwilleran alzò di scatto gli occhi ed esclamò: — Lo disprezzavo! Lo disprezzavo! 
Qwilleran attese paziente che lei continuasse. 
— Era un uomo arrogante, avaro e prepotente. Detestavo Mountclemens, eppure ero costretta a stare al suo gioco... per ovvie ragioni! 
— Per ovvie ragioni? 
— Non capisce? I miei quadri godevano dei suoi favori critici. Se lo avessi contrariato avrebbe potuto rovinarmi la carriera, e avrebbe rovinato anche Earl. Che potevo fare? Civettavo... con discrezione, perché era così che lui voleva. — Armeggiò con il fermaglio della borsetta, aprendolo e chiudendolo. — E poi gli è venuta l'idea che io dovessi lasciare Earl e andare a vivere con lui. 
— Lei come ha gestito quella proposta? 
— Mi creda, è stata una manovra delicata! Gli ho detto... o meglio gli ho fatto capire... che avrei accettato volentieri, ma che un antiquato senso di lealtà mi legava a mio marito. Che commedia! Mi sentivo come la protagonista di un vecchio film muto. 
— Questo ha sistemato le cose? 
— No, per mia sfortuna. Lui ha insistito nella sua corte, e io mi sono trovata invischiata sempre di più. Era un incubo! Dover recitare costantemente mi teneva in continua tensione. 
— Suo marito sapeva quello che stava accadendo? 
Zoe sospirò. — Per molto tempo non ha sospettato di nulla. Earl era sempre tanto preso dai propri problemi da essere cieco e sordo a qualunque altra cosa. Ma alla fine ha sentito il pettegolezzo. C'è stata una scenata terribile, e io sono riuscita a convincerlo di essere stata intrappolata in una brutta situazione. — Continuava ad armeggiare con il fermaglio della borsetta. Poi proseguì in tono un po' incerto: — Lo sa... Earl sembrava aggrapparmisi, anche se non eravamo più... vicini... se capisce quello che intendo. Io ritenevo più sicuro essere sposata ed Earl mi sì aggrappava perché avevo successo. Era nato per essere un fallito. L'unico suo successo è stato dovuto a un felice caso: il reperimento della metà del Ghirotto. E tutto quello cui ambiva era trovare l'altra metà e diventare ricco! 
— Lei non pensa che sia stato Mountclemens a ucciderlo? 
Zoe lo guardò con espressione impotente. — Non lo so, non lo so proprio. Non avrebbe fatto nulla di così drastico al solo fine di avermi. Di questo sono sicura! Non era capace di amare così appassionatamente. Ma avrebbe potuto farlo per avere me e l'altra metà del Ghirotto. 
Qwilleran commentò tra sé che si sarebbe trattato di un bel pacco dono. 
Mountclemens aveva una vera passione per l'arte. 
— Ma solo intesa come ricchezza, da accumulare e da arraffare. Non divideva con nessuno ciò che possedeva. Non voleva nemmeno che la gente sapesse che aveva dei tesori favolosi. 
— Dove prendeva il denaro per comperarli? Certo non lo guadagnava con la rubrica d'arte del Daily Fluxion. 
Zoe lasciò la domanda in sospeso. Parve ritrarsi nella poltrona. — Sono stanca. Vorrei andare a casa. Non avevo intenzione di dire queste cose. 
— Lo so, non si preoccupi. Ora le chiamerò un taxi. 
— Grazie per essere stato così comprensivo. 
— Sono lusingato che lei si sia confidata con me. 
Zoe si morse il labbro. — Sento di poterle dire una cosa: quando Earl è stato ucciso la mia reazione è stata più di paura che di dolore: paura di Mountclemens e di quello che sarebbe successo. Adesso che la paura non c'è più non posso provare altro che contentezza. 
Qwilleran guardò il taxi di Zoe sparire nell'oscurità. Si chiese se lei avesse sospettato di Mountclemens fin dall'inizio. Il critico era stato uno dei nemici di Earl, una delle "persone importanti" che lei aveva avuto timore di nominare alla polizia? D'altra parte, un uomo come Mountclemens - che viveva una bella vita e aveva tanto da perdere - avrebbe commesso un'azione tanto rischiosa come un omicidio per ottenere una donna e un dipinto di valore? Qwilleran ne dubitava. 
Poi i suoi pensieri tornarono alla scimmia che stava appoggiata sulla mensola del camino del suo appartamento. Che ne sarebbe stato ora di quella tela? La scimmia di Ghirotto, insieme con i disegni di Rembrandt e con i Van Gogh, sarebbe finita a quella donna del Milwaukee. Molto probabilmente lei non ne avrebbe capito l'importanza. E avrebbe odiato quella brutta bestia. Come sarebbe stato facile... Nel cervello cominciò a formarglisi un'idea. Tienila. Non dire niente... Dalla a Zoe. 
Rientrò in casa e andò a guardare la scimmia. Kao K'o-Kung era seduto sulla mensola del camino, davanti alla tela, eretto come una sentinella. 
Guardò Qwilleran con espressione di rimprovero. 
— D'accordo, hai vinto tu — sospirò il giornalista. — Informerò la polizia. 

14 

Giovedì mattina Qwilleran telefonò a Lodge Kendall alla sala stampa del Distretto di polizia. 
— Ho raccolto alcune informazioni su Lambreth e su Mountclemens. 
Perché non vieni a pranzo al circolo con quelli della Omicidi? 
— Facciamo a cena. Hames e Wojcik hanno il turno di notte. 
— Pensi che saranno disposti a discutere del caso? 
— Certo, soprattutto Hames. È un tipo rilassato. Ma non sottovalutarlo mai. Il suo cervello è un computer. 
Qwilleran disse: — Andrò presto per cercare un tavolo tranquillo, di sopra. Va bene per le diciotto? 
— Fai sei e un quarto. Non ti prometto nulla, ma cercherò di portarli. 
Qwilleran annotò 18,15 sull'agenda, e considerò con riluttanza l'ipotesi di iniziare la giornata lavorativa. Temperò una manciata di matite, pulì la vaschetta dei fermagli, riempì il vasetto di colla e riordinò la pila di giornali. Poi tirò fuori dal cassetto l'abbozzo dell'intervista con Butchy Bolton, quindi lo ripose di nuovo. Non c'era fretta, il laboratorio non gli aveva ancora mandato le foto. Senza molta fatica trovò pretesti analoghi per rimandare tutto quello che aveva da fare. 
Non era nello stato d'animo di lavorare. Era troppo indaffarato a chiedersi come avrebbe reagito il Daily Fluxion all'idea di aver avuto un assassino tra il personale, nientepopodimeno nel servizio culturale! Gli pareva già di vedere l'imbarazzo della dirigenza se la polizia avesse appioppato a Mountclemens l'omicidio di Lambreth, e già immaginava il giornale concorrente approfittare con gioia della scandalosa notizia. 
No, era impensabile. I giornalisti avevano l'abitudine di riferire di omicidi, ma non di indulgere sull'argomento. 
A Qwilleran Mountclemens era stato simpatico. Un padrone di casa delizioso, uno scrittore intelligente, uno spudorato egoista, un adoratore di gatti, un impavido critico, avaro con le candele delle lampadine, sentimentale riguardo alle vecchie case, un essere umano imprevedibile. Che poteva essere brusco un minuto, cordiale quello successivo, come la sera in cui aveva saputo dell'omicidio di Lambreth. 
Il giornalista guardò l'agenda. Non c'era niente in programma fino alle diciotto e quindici. Diciotto e quindici: l'ora in cui l'orologio si era fermato per Earl Lambreth. Diciotto e quindici? I baffi di Qwilieran fremettero. Diciotto e quindici! Dunque Mountclemens aveva un alibi! 
Erano le sei e venti quando il cronista di nera si presentò con i due della Squadra Omicidi: Hames, blandamente amabile, e Woj-cik, molto ufficiale. 
Hames lo apostrofò: — Lei non è quel tale che ha il gatto che sa leggere? 
— Non solo sa leggere — gli rispose Qwilieran — ma sa leggere all'incontrano. E non rida. Quando crescerà lo manderò all'accademia dell'FBI e può darsi che le porti via il lavoro. 
— E se la caverà anche bene. I gatti sono dei ficcanaso nati. I miei figli hanno un gatto che caccia il naso dappertutto. Sarebbe un buon poliziotto o un buon giornalista. — Hames studiò il menù. — Prima che ordini, chi paga? Il Daily Fluxion o noi sottopagati custodi del benessere pubblico? 
Wojcik guardò Qwilieran: — Kendall ci dice che lei intende parlare degli omicidi del mondo dell'arte. 
— Ho raccolto alcuni fatti. Volete ascoltarli adesso o preferite ordinare prima? 
— Sentiamo. 
— Bene. Le cose stanno così: a quanto sembra, la vedova Lambreth mi ha eletto a confidente e ieri sera, dopo che ho scoperto una cosa strana nell'appartamento di Mountclemens, mi ha riferito alcuni particolari. 
— Lei che cosa ci faceva lassù? 
— Stavo cercando il giocattolotopo del gatto. È una vecchia calza riempita di menta essiccata. La bestiola stava impazzendo perché non lo trovava. 
Hames annuì. — Anche il nostro gatto va pazzo per l'erba gatta. 
— Questa non è erba gatta. Si tratta di menta fresca che Mountclemens coltivava in un vaso sul davanzale. 
— È la stessa cosa — puntualizzò Hames. — L'erba gatta fa parte della famiglia della menta. 
— Dunque che cosa ha trovato di strano? — chiese Wojcik. 
— Un dipinto raffigurante una scimmia. Ho telefonato alla signora Lambreth e lei è venuta e lo ha riconosciuto. 
— Qual è il senso di questa scimmia? 
— Ha a che fare con il dipinto della ballerina del Ghirotto, quello della Lambreth Gallery. 
Hames intervenne: — A casa abbiamo una di quelle ballerine del Ghirotto. Mia moglie l'ha comperata da Sears per quattordici dollari e novantacinque. 
— Ghirotto ha dipinto una gran quantità di ballerine e le riproduzioni sono molto diffuse. Ma questa è unica. È soltanto mezzo quadro. La tela fu strappata e le due metà vendute separatamente. Lambreth possedeva quella recante la firma dell'autore e cercava l'altra metà, quella con la scimmia. Riunite e restaurate le due metà, il quadro sarebbe valso 150.000 dollari. 
Hames scosse il capo. — Di questi tempi, si raggiungono prezzi assurdi per le opere d'arte... Qualcuno vuole un'altra di queste ciambelline al seme di papavero? 
Wojcik riprese: — E lei ha trovato la metà mancante... 
Qwilleran assentì: — In uno sgabuzzino nell'appartamento di Mountclemens. 
— In uno sgabuzzino? Allora stava davvero curiosando, eh? 
I baffi di Qwilleran si ribellarono e lui se li allisciò. — Cercavo il giocattolo del gatto... 
— D'accordo, d'accordo. Dunque sembrerebbe che Mountclemens abbia ucciso un uomo per impossessarsi di un quadro con una signora in gonnellino corto. Che altro sa? 
Qwilleran, irritato per i modi bruschi di Wojcik, sentì svanire la voglia di collaborare. Si disse: "Lascia che vada a cercarsi da solo i suoi pidocchiosi indizi". Con una certa riluttanza continuò: — Pare che Mountclemens facesse gli occhi dolci alla signora Lambreth. 
— Glielo ha detto lei? 
Qwilleran annuì. 
— Le donne lo dicono sempre. Lei era interessata a Mountclemens? 
Qwilleran scosse la testa. 
— Respinto! — esclamò il giovane Hames. — E così il cattivo è tornato a casa, ha fatto karakiri in cortile, dopodiché ha ingoiato il coltello per cancellare la prova del suicidio e gettare i sospetti sulla povera vedova. 
Qualcuno vuole gentilmente passarmi il burro? 
Wojcik lanciò un'occhiata irritata al collega. 
— Tuttavia — riprese Qwilleran con calma — ho un alibi per Mountclemens. — Tacque e attese le reazioni. 
Kendall era tutt'occhi e orecchie; Wojcik rigirava tra le dita il cucchiaio, Hames imburrava un'altra ciambella. 
Qwilleran proseguì: — Secondo l'orologio da tavolo elettrico che si è fermato a quell'ora, Lambreth è stato ucciso alle sei e un quarto. Ma alle tre Mountclemens era su un aereo diretto a New York. Gli ho comperato io il biglietto. 
— Lei ha comperato il biglietto — ribatté Hames — ma sa se lui lo ha usato o no? Forse ha cambiato la prenotazione e ha preso l'aereo delle sette dopo aver ucciso Lambreth alle sei e quindici... È strana questa faccenda dell'orologio che si è fermato alle sei e quindici. Non era danneggiato. Il filo era semplicemente staccato dalla presa. Sembra che l'assassino si sia dato la pena di inscenare una violenta colluttazione, abbia messo l'orologio sul pavimento e staccato il filo, sottolineando così l'ora del delitto. Se la colluttazione fosse stata autentica e l'orologio fosse finito a terra nella foga dello scontro, probabilmente sarebbe stato danneggiato e, se non lo fosse stato, avrebbe continuato a funzionare a meno che nella caduta il filo non si fosse staccato dalla presa. Tuttavia, considerando la disposizione della scrivania, la collocazione della presa sulla parete e il punto in cui è stato travato l'orologio, non sembra probabile che la caduta avrebbe potuto far staccare il filo incidentalmente. Dunque, sembra che l'assassino abbia fatto uno sforzo particolare per indicare l'ora dell'omicidio attraverso l'orologio - e ciò allo scopo di costruirsi un alibi - quindi abbia preso il volo successivo... tutto questo presumendo che il suo critico, con il biglietto aereo delle tre, fosse davvero l'assassino. 
Wojcik si alzò. — Controlleremo alla compagnia aerea. 
Dopo che i poliziotti se ne furono andati, Qwilleran prese un'altra tazza di caffè con Lodge Kendall. — Avevi sostenuto che Hames ha una mente come un computer. Sembra più una betoniera. 
— Credo invece che abbia ragione. Scommetto che Mountclemens ti ha incaricato di ritirare il biglietto aereo con l'esplicito scopo di sottolineare la sua partenza alle tre. Poi ha preso un volo successivo. Lambreth non avrebbe avuto nulla da ridire se se lo fosse visto comparire in galleria dopo l'orario di chiusura. Quindi, è probabile che Mountclemens lo abbia colto di sorpresa. 
— Con una mano sola? 
— Era un uomo alto. È arrivato alle spalle di Lambreth, gli ha stretto il collo col braccio destro e, con la mano sinistra, quella vera, gli ha conficcato lo scalpello in gola. Poi ha messo a soqquadro l'ufficio, ha staccato il filo dell'orologio e ha danneggiato alcuni oggetti per creare falsi indizi, dopo di che ha preso l'aereo. 
Qwilleran scosse la testa. — Non riesco a immaginare Mountclemens con in mano quello scalpello. 
— Hai una teoria migliore? 
— Ne sto accarezzando una. Non è ancora elaborata del tutto, ma potrebbe spiegare tutte e tre le morti... Che cosa c'è in quel pacchetto? 
— I nastri che la polizia ha sequestrato. Non c'è su nulla... solo il pezzo per il giornale. Possono servirti? 
— Li darò ad Arch — rispose Qwilleran. — E forse scriverò un articolo commemorativo da unire all'ultima critica di Mountclemens. 
— Stai attento a come ti esprimi. Potresti scrivere la commemorazione d'un assassino — ribatté Kendall. 
I baffi di Qwilleran assunsero una posizione cocciuta. — Ho la sensazione che scoprirai che Mountclemens era sull'aereo delle tre. 
Quando Qwilleran arrivò a casa con i nastri sotto il braccio erano quasi le otto e Koko gli andò incontro sulla soglia protestando spazientito. Non gli andava a genio la casualità dell'orario dei pasti di Qwilleran. 
— Se tu imparassi a parlare, io non avrei bisogno di starmene al circolo della stampa tanto a lungo — gli spiegò il giornalista — e potresti cenare in tempo. 
Koko si passò una zampa sull'orecchio destro e si diede due leccate alla scapola sinistra. 
Qwilleran studiò assorto quei segnali. — Secondo me tu sai parlare. Sono io che non sono abbastanza brillante da decifrarti. 
Dopo cena gatto e uomo salirono al piano di sopra e si avvicinarono al registratore che stava sulla scrivania del critico. Qwilleran inserì un nastro. La voce secca del defunto George Bonifield Mountclernens - resa più nasale dalla qualità dell'apparecchio - riempì la stanza. 
«Da pubblicare domenica 8 marzo. Alcuni seri collezionisti d'arte contemporanea stanno segretamente acquistando tutte le opere disponibili del celebre pittore italiano Scrano, lo si è saputo questa settimana. Per motivi di salute l'artista - da vent'anni recluso sulle colline umbre - non può più realizzare quei dipinti che gli hanno guadagnato la fama di maestro moderno. 
«Ora le ultime opere di Scrano, secondo il suo agente newyorkese, sono in viaggio per gli Stati Uniti e bisogna aspettarsi che i prezzi salgano. Io, nella mia modesta collezione, ho un piccolo Scrano del '58, per il quale mi è stato offerto un prezzo venti volte il costo originale. Inutile dire che non ho voluto separarmene.» 
Vi fu una pausa durante la quale alcuni decimetri di nastro si svolsero in un silenzio pensoso, poi la voce assunse un tono più informale. «Correzione! Redattore, cancelli le ultime due frasi.» Un'altra pausa poi: 
«Le opere di Scrano sono gestite dalla locale Lambreth Gallery che riaprirà presto, secondo quanto è stato annunciato. La galleria ha chiuso in seguito alla tragedia del 25 febbraio, e il mondo dell'arte piange... Correzione, il mondo dell'arte locale piange... la dipartita di un personaggio rispettato e influente. 
«Nonostante l'età e la malattia di Scrano, la qualità delle sue opere è rimasta inalterata. Egli combina la tecnica di un antico maestro con la sicurezza della giovinezza, la capacità introspettiva del saggio, l'espressività...» 
Koko era seduto sulla scrivania e guardava affascinato il nastro che girava, accompagnandolo con un roco e intenso borbottio. 
— Riconosci il tuo defunto compagno? — gli chiese Qwilleran con una punta di tristezza nella voce. Lui stesso era rimasto turbato dal suono delle ultime parole di Mountclemens e si allisciava mestamente i baffi. 
Mentre il nastro si riavvolgeva in fretta. Koko abbassò la testa e sfregò con foga la mascella contro lo spigolo del registratore. 
Qwilleran disse: — Chi lo ha ucciso, Koko? Tu dovresti esser capace di "sentire" le cose! 
Il gatto si mise seduto eretto, le zampe anteriori ripiegate sotto il corpo, e fissò il giornalista con occhi spalancati. L'azzurro era scomparso: lo scrutavano due grossi buchi neri. Dondolò leggermente. 
— Vai avanti. Parla. Tu devi sapere chi lo ha ucciso. 
Koko chiuse gli occhi ed emise un mesto miagolio. 
— Devi aver visto mentre succedeva! Martedì sera. Dalla finestra sul retro. I gatti vedono al buio, no? 
Le orecchie del gatto si piegarono, una in avanti l'altra indietro. Poi Koko saltò sul pavimento. Qwilleran lo osservò aggirarsi per la stanza, inizialmente senza una meta, guardando sotto una sedia qui, sotto un mobile là, scrutando nel camino scuro e freddo, toccando con una zampa guardinga il cordone di un campanello. Poi protese la testa verso il basso. Cominciò a zigzagare lungo il corridoio, fino alla cucina e Qwilleran lo seguì. 
Davanti alla porta della stanza da letto il gatto diede una frettolosa annusatina. Sulla soglia della cucina si fermò ed emise un suono di gola. Quindi ritornò indietro nel lungo corridoio fino all'arazzo che copriva gran parte della parete di fronte alla camera da letto. L'arazzo raffigurava una scena di caccia regale, con cavalli, falchi, cani e piccola selvaggina. La semioscurità e i colori sbiaditi dal tempo rendevano le figure quasi indistinguibili; ma Koko mostrò un pronunciato interesse per i conigli e le anatre selvatiche che occupavano un angolo della composizione. Era vero, si chiese Qwilleran, che i gatti potevano sentire il contenuto di un quadro? 
Koko lo toccò con fare esploratore. Si sollevò sulle zampe posteriori e agitò la testa come un cobra. Poi, rimessosi a quattro zampe, annusò il bordo inferiore dell'arazzo nel punto in cui sfiorava il pavimento. 
Qwilleran chiese: — C'è qualcosa là dietro? — Sollevò un angolo del pesante arazzo e non vide altro che muro. Koko emise un grido gioioso. Qwilleran sollevò ancora di più il tessuto e il gatto si fece strada là dietro, proclamando la propria felicità in tono deciso. 
— Aspetta un momento. — Qwilleran andò a prendere la torcia elettrica e illuminò la zona tra l'arazzo e la parete. Il cono luminoso rivelò il bordo di uno stipite ed era lì che Koko stava sfregando, annusando e proclamando la propria eccitazione. 
Qwilleran lo seguì, infilandosi con qualche difficoltà tra il pesante tessuto e la parete e raggiunse una porta dotata di chiavistello. Il chiavistello scivolò senza difficoltà e la porta si aprì su una stretta scala. Questa piegava bruscamente e arrivava fin sul pavimento sottostante, nel punto in cui si vedeva una seconda porta. Un tempo quella doveva essere la scala per la servitù. 
C'era un interruttore per la luce ma, quando lo premette, nessuna lampadina si accese. Scese con l'aiuto della torcia elettrica, riflettendo. Se di lì si raggiungeva l'appartamento sul retro - che, come aveva detto il critico, serviva da magazzino - chissà quali tesori vi si sarebbero potuti trovare. 
Koko era già arrivato in fondo alla scala e stava aspettando con impazienza. Qwilleran lo prese in braccio e aprì la porta. 
Si ritrovò in una vasta e antiquata cucina con le tapparelle delle finestre abbassate e l'aria di abbandono. Eppure la stanza era confortevolmente calda. Era più uno studio che una cucina. C'erano un cavalletto, un tavolo, una sedia e, accostata a una parete, una branda. Sul pavimento, rivolte verso il muro, si vedevano molte tele non incorniciate. 
Una porta immetteva nel patio, un'altra, verso il fronte della casa, si apriva su una sala da pranzo. Qwilleran fece girare la torcia su un caminetto di marmo e su un mobile decorato e incassato nel muro. Per il resto il locale era spoglio. 
Koko si agitava per liberarsi, ma c'era polvere dappertutto e quindi Qwilleran se lo tenne ben stretto sotto il braccio mentre rivolgeva nuovamente l'attenzione alla cucina. 
Sul ripiano dell'acquaio c'era un dipinto appoggiato agli armadietti sovrastanti. Era il ritratto di un robot azzurro acciaio su fondo rosso ruggine, di un realismo sconcertante e firmato O. Narcs. L'opera era tridimensionale e lo stesso robot aveva il luccichio e la consistenza del vero metallo. Era ricoperto di polvere. Qwilleran aveva sentito dire che le vecchie case si fabbricano da sole la loro polvere. 
Accanto alla porta del retro, sopra un tavolo da cucina tutto incrostato di colori, c'erano un vasetto pieno di pennelli, una spatola e alcuni tubetti contorti. Sul cavalletto sistemato accanto alla finestra era posata una tela raffigurante un altro uomo meccanico dalla testa quadrata in posa minacciosa. Il dipinto non era finito e una pennellata trasversale di vernice bianca lo aveva sfigurato. 
Koko si agitava e miagolava, e tenerlo tra le braccia diventava difficile. Qwilleran disse: — Andiamo di sopra. Quaggiù c'è soltanto sporcizia. 
Di sopra, dopo aver chiuso la porta col chiavistello ed essersi fatto strada a tentoni fra l'arazzo e il muro, Qwilleran commentò: — Falso allarme, Koko. Stai perdendo il tuo fiuto. Laggiù non c'era nessun indizio. 
Kao K'o-Kung gli diede un'occhiata fulminante, poi gli girò le spalle e prese a leccarsi abbondantemente. 

15 

Venerdì mattina Qwilleran sedeva davanti alla macchina per scrivere e fissava la prima fila di tasti: q-w-e-r-t-y-u-i-o-p. Odiava quella parola qwertyuiop. Voleva dire che era bloccato, che avrebbe dovuto scrivere un articolo brillante e che non aveva nemmeno un'idea per la testa. 
Erano trascorsi tre giorni da quando aveva trovato il cadavere di Mountclemens riverso nel patio. Quattro da quando Nino aveva fatto quella caduta mortale. Nove dall'omicidio di Earl Lambreth. 
I suoi baffi fremevano e gli mandavano segnali. Continuavano a suggerire che le tre morti erano collegate. Un'unica persona aveva ucciso il mercante d'arte, buttato giù Nino dall'impalcatura e accoltellato Mountclemens. Ma a viziare questa tesi c'era la possibilità che Mountclemens avesse commesso il primo omicidio. 
Il telefono sulla scrivania squillò tre volte prima che lui l'avvertisse. 
All'altro capo del filo la voce di Lodge Kendall esclamò: — Pensavo che ti avrebbe fatto piacere sapere che cosa ha scoperto la Omicidi alla compagnia aerea. 
— Come? Oh sì! Che cosa ha scoperto? 
— L'alibi regge. L'elenco passeggeri registra che Mountclemens si trovava su quel volo pomeridiano. 
— L'aereo è partito in orario? 
— In perfetto orario. Lo sapevi che la compagnia aerea trasferisce gli elenchi dei passeggeri su microfilm che conserva per tre anni? 
— No. Voglio dire... sì. Cioè... grazie per l'informazione. 
Dunque Mountclemens aveva un alibi. E Qwilleran aveva un sostegno alla sua nuova teoria. Si disse che c'era una sola persona che aveva un movente per tutti e tre i delitti, possedeva la forza per conficcare una lama nel corpo di un uomo e aveva avuto l'occasione di scaraventare giù Nino. Soltanto Butchy Bolton. Ma era troppo facile. Qwilleran era riluttante a fidarsi dei propri sospetti. 
Tornò alla macchina per scrivere. Guardò speranzoso il foglio di carta bianca, in attesa. Guardò i dieci tasti verdi della macchina per scrivere: qwertyuiop. 
Era conscio del fatto che Butchy covava seri motivi di rancore nei riguardi di Earl Lambreth. La donna riteneva che lui l'avesse privata di una commissione redditizia di molto prestigio. Inoltre Lambreth incoraggiava la moglie a mollarla. Nell'immaginazione di una donna con un problema di personalità e portata a violenti accessi di collera, risentimenti del genere potevano ingigantirsi. Forse aveva pensato che, una volta eliminato Lambreth, Zoe sarebbe diventata di nuovo la sua "migliore amica'", come ai vecchi tempi. Ma sulla strada di Butchy c'era un altro ostacolo: Zoe mostrava un interesse sfrenato per Nino. Se questi avesse avuto un incidente mortale Zoe forse avrebbe avuto più tempo e trasporto per l'amica d'infanzia. 
Qwilleran fischiettò tra i baffi nel ricordare un altro fatto: a detta della signora Buchwalter, mettere la "Cosa 36" sull'impalcatura era stata un'idea di Butchy. 
Dopo la morte di Nino, Butchy si era trovata davanti ad altre complicazioni. Mountclemens rappresentava una minaccia per la felicità e la carriera di Zoe e forse Butchy - violentemente protettiva - aveva visto l'occasione per eliminare quei problema angosciante... qwertyuiop. 
— Assume sempre quell'aria perplessa quando scrive? — chiese una voce morbida. 
Sobbalzando, Qwilleran riuscì solo a balbettare. Balzò in piedi. 
Zoe continuò: — Mi scusi, non sarei dovuta venire nel suo ufficio senza telefonare prima, ma sono andata dal parrucchiere e ho pensato che magari l'avrei trovata qui. La segretaria mi ha detto che potevo entrare. Ho interrotto qualcosa di importante? 
— Assolutamente no — rispose Qwilleran. — Mi fa piacere che sia venuta. Posso invitarla a pranzo? 
Zoe era di una bellezza spettacolare. Lui si immaginò mentre la scortava al circolo della stampa, si crogiolava nelle occhiate curiose e in seguito rispondeva alle domande. 
Ma lei declinò l'invito. — Non oggi, grazie, ho un altro appuntamento. 
Volevo solo parlarle per qualche minuto. 
Qwilleran andò a prendere una sedia e lei la avvicinò alla sua. 
A bassa voce Zoe gli disse: — Dovrei rivelarle una cosa... una cosa che continuo ad avere sulla coscienza, ma di cui non è facile parlare. 
— Potrebbe essere utile per le indagini? 
— Non lo so, davvero. — Si guardò attorno. — Si può parlare qui? 
— Siamo assolutamente al sicuro — le rispose. — Il critico musicale ha chiuso l'apparecchio acustico. E il tizio che siede alla scrivania vicina ha la testa in fiamme da due settimane. Sta scrivendo una serie di articoli sulle tasse. 
Zoe abbozzò un sorriso. — Lei mi ha chiesto come Mountclemens potesse permettersi di comperare tutti quei tesori d'arte e io ho eluso la domanda. Ma adesso ho deciso che lei deve saperlo, perché, seppure indirettamente, la cosa si riflette su questo giornale. 
— In che modo? 
— Mountclemens traeva i profitti dalla Lambreth Gallery. 
— Vuol dire che suo marito lo pagava? 
— No. Mountclemens era il proprietario della Lambreth Gallery — Il proprietario? 
Zoe annuì. — Earl era soltanto un impiegato. 
Qwilleran sbuffò tra i baffi. — Che organizzazione! Mountclemens poteva far pubblicità gratis alla propria mercanzia e distruggere la concorrenza... e il Flux lo pagava per questo! Perché non me lo ha detto prima? 
Zoe agitò le mani. — Mi vergognavo della parte che Earl aveva in questa faccenda. Probabilmente speravo che il segreto sarebbe morto con lui. 
— Suo marito parlava mai con lei degli affari che riguardavano la galleria? 
— Non fino a poco tempo fa. Io ero all'oscuro di come fosse connesso Mountclemens con la galleria fino a qualche settimana addietro quando Earl e io abbiamo avuto quella scenata chiarificatrice. È stato allora che lui mi ha detto che tipo di persona era in realtà Mountclemens. Per me è stato uno choc terribile. 
— Ci credo. 
— Quello che mi ha sgomentata di più è stato il coinvolgimento di Earl. In seguito lui ha cominciato a fornirmi maggiori particolari su come funzionava la galleria. Mio marito era sottoposto a una tensione terribile ed era gravato da una eccessiva mole di lavoro. Ben pagato, ma eccessivo. Mountclemens non voleva assumere nessun altro... o forse non si azzardava. Earl faceva tutto. Oltre a trattare con il pubblico e con gli artisti, faceva le cornici e teneva i registri. In passato aveva lavorato per un'azienda di contabilità. 
— Sì, l'avevo sentito — disse Qwilleran. 
— Earl doveva occuparsi di tutti i registri, e manipolare le cifre della dichiarazione dei redditi. 
— Ha detto manipolare? 
Zoe sorrise con amarezza. — Non penserà che un uomo come Mountclemens denunciasse tutti i redditi, vero? 
— Che ne pensava suo marito di questo giochetto? 
— Diceva che i funerali sarebbero stati di Mountclemens e non i suoi. Lui si limitava a fare quanto gli veniva detto e non ne era responsabile. — Zoe si morse il labbro. — Ma mio marito teneva una registrazione degli incassi effettivi. 
— Vuol dire che teneva due contabilità? 
— Sì. Per sé. 
— Intendeva usare quelle informazioni? 
— Earl era al limite della sopportazione. Bisognava fare qualcosa... modificare in qualche modo l'accordo. E poi c'è stata... quella spiacevolezza che riguardava me. È stato allora che Earl ha affrontato Mountclemens. 
— Lei li ha sentiti discutere? 
— No. Ma Earl mi ha raccontato tutto. Ha minacciato Mountclemens... se non mi avesse lasciata in pace. 
Qwilleran la fissò scettico. — Non penso che il nostro defunto critico d'arte si spaventasse tanto facilmente. 
— Oh, invece si è spaventato. Sapeva che mio marito non stava scherzando. Earl lo ha minacciato di denunciarlo al fisco. Aveva i registri che avrebbero dimostrato la frode, e avrebbe persino ricevuto una ricompensa dal governo per aver fornito quelle informazioni. 
Qwilleran si appoggiò allo schienale. — Caspita! — esclamò a bassa voce. — E tutto sarebbe saltato fuori! 
— Si sarebbe saputo a chi apparteneva veramente la galleria e temo che il Daily Fluxion ci avrebbe fatto una figura meschina. 
— A dir poco. L'altro giornale avrebbe fatto un cancan. E Mountclemens... 
— Mountclemens avrebbe dovuto subire un processo, così ha detto Earl. 
Un processo che si sarebbe concluso con una condanna per frode. 
— Un verdetto che avrebbe sancito la fine della sua carriera. 
Si fissarono in silenzio, poi Qwilleran disse: — Era un personaggio complesso. 
— Sì — mormorò Zoe. 
— Se ne intendeva davvero di arte? 
— Era un esperto brillante. Nonostante la personalità truffaldina, la sua rubrica non era capziosa. Qualunque opera della Lambreth Gallery che lui lodasse era davvero degna di lode: i dipinti a strisce, la grafica, la scultura spazzatura di Nino... 
— E che mi dice di Scrano? 
— La concezione è oscena, ma la tecnica impeccabile. Le sue opere posseggono una bellezza classica. 
— Io ci vedo soltanto un mucchio di triangoli. 
— Ah, ma le proporzioni... la struttura... la profondità e il mistero che ci sono in quella piatta composizione geometrica! Superbe! Troppo belle per essere vere. 
Qwilleran la sfidò. — E che cosa mi dice dei suoi quadri? Sono buoni come diceva Mountclemens? 
— No. Ma lo saranno. I colori foschi che usavo esprimevano il mio tormento interiore. Ma adesso tutto questo è passato. — Zoe gli fece un sorrisetto esangue. — Non so chi abbia ucciso Mountclemens, ma è la cosa migliore che potesse accadere. — Negli occhi le saettò una luce velenosa. — Non credo ci siano dubbi sul fatto che è stato lui a uccidere mio marito. Quella sera, quando Earl si è dovuto fermare in ufficio per lavorare sui registri... credo aspettasse Mountclemens. 
— Ma la polizia sostiene che il nostro critico è partito per New York alle tre di quel pomeriggio... in aereo. 
— Io non lo credo. Ritengo che lui abbia guidato fino a New York... quella station wagon ch'era parcheggiata nel vicolo. — Zoe si alzò apprestandosi ad andarsene. — Ma adesso che è morto, non potranno dimostrare nulla. 
Quando anche Qwilleran si alzò Zoe gli tese la mano, infilata in un guanto di morbida pelle. Lo fece con un'espressione quasi gaia. — Devo scappare. Ho un appuntamento alla Penniman School. Mi accettano alla Facoltà. — Fece un sorriso radioso e con passo leggero uscì dall'ufficio. 
Qwilleran la seguì con gli occhi. "Adesso è libera ed è felice... Chi l'ha liberata?" Poi si odiò per il pensiero successivo. "E se è stata Butchy mi chiedo se il piano è stato tutto una sua idea." 
Per un po' la Sospettosità Professionale battagliò con la Propensione Personale. 
Quest'ultima diceva: "Zoe è una donna adorabile, incapace di un piano così orribile. E certamente sa portare i vestiti!". 
Al che la Sospettosità Professionale rispondeva: "È ansiosissima di attribuire l'omicidio del marito al critico, adesso che lui non c'è più e non può difendersi. Continua a saltar fuori con frammenti di informazioni... che le vengono sempre in mente dopo e che fanno apparire Mountclemens un verme". 
"Ma è così dolce, attraente, piena di talento, e intelligente! E quella voce! Sembra velluto." 
"D'accordo, è una donna in gamba. Due persone pugnalate... e fa il jackpot. Sarebbe interessante sapere come sono state architettate queste manovre. Butchy può aver fatto la parte sporca del lavoro, ma non è abbastanza brillante per ideare il piano. Chi le ha dato la chiave della porta di servizio della galleria? E chi ha detto a Butchy di deturpare la figura femminile... allo scopo di gettare i sospetti su un uomo dalla mentalità distorta? Zoe non era neppure interessata a Butchy, la stava solo usando." 
"Sì, ma che occhi ha Zoe! Così profondi e onesti!" 
"Non ci si può fidare di una donna con occhi come quelli. Smettila di pensarci e rifletti su ciò che probabilmente è successo la notte dell'omicidio di Mountclemens. Zoe gli aveva telefonato per fissare un appuntamento, dicendo che sarebbe arrivata in macchina nel vicolo deserto e che sarebbe entrata furtiva dalla porta di servizio. Probabilmente era così che faceva sempre. Suonava il clacson e lui usciva ad aprire la porta del patio. Ma l'ultima volta che ciò è accaduto, là fuori, nel buio, non c'era Zoe; c'era 
Butchy... con una corta lama, larga, affilata e appuntita." 
"Ma Zoe è una donna adorabile! E quella sua voce dolce! E le sue ginocchia!" 
"Qwilleran, sei un allocco! Non ricordi il modo in cui ti ha tolto di mezzo la sera dell'omicidio di Mountclemens invitandoti a cena?" 
Quella sera Qwillweran tornò a casa, sedette e disse a se stesso; "Hai abboccato alla sceneggiata della povera donna inerme e le hai permesso di abbindolarti... Ti ricordi come sospirava e si mordeva il labbro, e con quale voce suadente ha detto che eri così comprensivo? Per tutto il tempo non ha fatto che costruire la sua storia con accenni, alibi, dolorose rivelazioni... e hai notato il bagliore sinistro che oggi aveva negli occhi? Era lo stesso sguardo selvaggio che ha raffigurato nel dipinto del gatto ch'era in vetrina alla Lambreth Gallery. Gli artisti dipingono sempre se stessi. Questo lo hai imparato". 
Sprofondato nell'enorme poltrona, aspirava la pipa che si era spenta da qualche minuto. Il suo silenzio rendeva pesante l'atmosfera e, alla fine, Koko emise un miagolio di protesta. 
— Mi spiace, vecchio mio, stasera non sono molto socievole. 
Dopo di che si alzò e riprese le sue meditazioni. "E che cosa mi dici della station wagon? Mountclemens è andato a New York con quella? E di chi era?" 
Koko tornò a farsi sentire. Questa volta dal corridoio. La sua conversazione era una melodiosa successione di suoni felini piuttosto invitanti. Qwilleran uscì nell'atrio e lo trovò a giocare sulla scala. Le snelle zampe e i piccoli piedi, che sembravano note musicali dalle aste lunghe, stavano eseguendo delle melodie su e giù per la passatoia. Quando il gatto vide Qwilleran schizzò in cima alla rampa e guardò in basso, le orecchie piegate e in una posizione che voleva dire: seguimi. 
Qwilleran all'improvviso si sentì indulgente verso quella creaturina amichevole, che sapeva quando era necessaria un po' di compagnia. Koko poteva essere più divertente dei numeri offerti da un locale notturno e, a volte, più efficace di un tranquillante. Dava molto e chiedeva poco. 
Qwilleran chiese: — Vuoi visitare il tuo vecchio territorio? — Seguì Koko e aprì la porta dell'appartamento del critico con la chiave che sì era portato appresso. 
Con un miagolio deliziato il gatto entrò ed esplorò l'appartamento, assaporandone ogni angolo. 
— Dai una buona annusata, Koko. Presto arriverà una donna dal Milwaukee, venderà la casa e ti porterà via con sé. E allora sarai costretto a vivere di birra e pretzel. 
Koko - come se avesse capito e volesse commentare - si fermò e si sedette per darsi una breve ma significativa lavata alle parti basse. 
— Penso che preferiresti vivere con me. 
Koko si avviò lentamente verso la cucina, entrò, balzò sul suo vecchio posto sopra il frigorifero, scoprì che mancava il cuscino, si lamentò e balzò a terra di nuovo. Speranzoso, fece una ricognizione dell'angolo in cui di solito c'erano il suo piatto e la ciotola dell'acqua. Nulla. Saltò con leggerezza sulla cucina dove i fornelli lo affascinarono con zaffate di brodo traboccato la settimana precedente. Da lì balzò con grazia sul tagliere, pregno di ricordi di arrosti, cotolette e pollame. Poi annusò la rastrelliera dei coltelli e ne fece cadere uno dalla barra magnetica che li reggeva. 
— Attento! — esclamò Qwilleran. — Potresti tagliarti una zampa! — E rimise a posto il coltello. 
Mentre lo allineava alle tre altre lame, i baffi gli lanciarono un segnale e lui d'improvviso provò l'urgenza di scendere nel patio. 
Andò a prendere la torcia elettrica dallo sgabuzzino, chiedendosi come mai Mountclemens non l'avesse presa con sé prima di scendere la scala antincendio. I gradini dovevano risultare insidiosi, ricoperti com'erano di ghiaccio. 
Forse il critico pensava di andar giù per incontrarsi con Zoe? Si era buttato sulle spalle il cappotto di tweed ed era sceso senza la torcia elettrica? Aveva invece preso un coltello? Il quinto coltello della rastrelliera magnetica? 
Mountclemens aveva lasciato la protesi di sopra. Un uomo così vanitoso, se avesse dovuto incontrare l'innamorata, se la sarebbe messa, ma non gli sarebbe servita se avesse voluto ucciderla. 
Qwilleran si sollevò il bavero della giacca e scese con attenzione la scala, accompagnato da un gatto curioso ma non entusiasta. La notte era fredda. Il vicolo immerso nel silenzio. 
Il giornalista voleva vedere come si apriva la porta del patio, in quale direzione si creava l'ombra, quanto potesse essere visibile nel buio un visitatore. Esaminò la solida porta di legno con il pesante chiavistello spagnolo e le cerniere a fascetta. Nell'aprirla Mountclemens sarebbe rimasto in parte nascosto dietro di essa. Se il visitatore in arrivo avesse fatto un movimento rapido lo avrebbe inchiodato contro il muro. Probabilmente Mountclemens non era riuscito a cogliere di sorpresa quella che doveva essere la sua vittima. E l'assassino era riuscito a balzargli addosso. 
Mentre Qwilleran rifletteva e faceva scorrere la torcia elettrica sui mattoni consumati del patio, Koko scoprì una chiazza scura sul pavimento e prese ad annusarla con insistenza. 
Qwilleran lo afferrò per la pancia. — Koko non essere disgustoso! 
Risalì la scala antincendio con il gatto che si contorceva e strillava come se lo stessero torturando. 
Nella cucina di Mountclemens Koko sedette al centro del pavimento a farsi il pedicure. La breve passeggiatina nella sporcizia esterna gli aveva lordato le dita, le unghie, e i cuscinetti dei delicati piedini. Allargate le scure dita come petali di un fiore, vi faceva guizzare in mezzo la lingua rosata, lavando, spazzolando, pettinando e deodorando con un solo efficiente strumento. 
A un tratto si bloccò nel mezzo di una leccata, la lingua fuori, le dita allargate, a mezz'aria. Dalla gola gli uscì un lieve mormorio e di colpo si mise in posizione eretta, teso per un'eccitazione controllata. Poi, con passi ostentati, si avvicinò all'arazzo del lungo corridoio e prese a grattarne un angolo. 
— Non c'è niente in quella vecchia cucina, tranne la polvere — disse Qwilleran e poi i baffi gli fremettero. Ebbe la strana sensazione che il gatto ne sapesse più di lui. 
Prese la torcia elettrica, arrotolò l'angolo dell'arazzo, aprì la porta e scese per la stretta scala di servizio. Koko era già in fondo, in sua attesa, silenzioso, ma quando lo prese in braccio lo sentì vibrare e ne avvertì la tensione in tutti i muscoli. 
Qwilleran aprì l'altra porta e lasciò che il battente oscillasse mentre girava rapido il fascio di luce attorno a tutto il locale. Lì non c'era nulla che spiegasse l'irrequietezza di Koko. Puntò il fascio sul cavalletto, sul tavolo ingombro, sulle tele ammonticchiate lungo le pareti. 
E poi, con uno sgradevole fremito dei baffi, si avvide che c'erano meno tele di quelle che aveva visto la sera prima. Il cavalletto era vuoto. E il robot appoggiato sull'acquaio era scomparso. 
In un attimo di disattenzione perse la presa su Koko che balzò a terra. Qwilleran si girò di scatto e puntò la torcia sulla sala da pranzo. Era vuota come prima. 
In cucina Koko stava braccando qualcosa, furtivo in ogni mossa del corpo. Prima saltò sull'acquaio e avanzò ondeggiando sul bordo mentre scrutava l'interno, poi, silenziosamente passò su una sedia e di lì sul tavolo. Mentre annusava gli oggetti che ingombravano il tavolo aveva la bocca aperta, le vibrisse allargate, i denti scoperti, e con una zampa grattava lo spazio circostante la spatola. Qwilleran era fermo al centro della stanza e cercava di raccogliere le idee. Lì dentro era accaduto qualcosa che non aveva senso. Chi era entrato in quella cucina? Chi aveva portato via i dipinti... e perché? I due ritratti di robot erano svaniti. Che altro era stato asportato? 
Posò la torcia elettrica su un piano piastrellato, cosicché la luce ora cadeva sulle poche tele rimaste. Ne girò una. 
Era uno Scrano! Un bagliore di triangoli arancioni e gialli, la tela aveva la pennellata sciolta e lustra tipica dell'artista italiano. E tuttavia in essa c'era un senso di profondità che lo indusse a tendere la mano per toccarne la superficie. Nell'angolo in basso compariva la famosa firma vergata in lettere maiuscole. 
Qwilleran mise da parte il quadro e ne girò un altro. Ancora triangoli! Questi erano verdi su fondo blu. Dietro c'erano altre tele, grigio su marrone, marrone su nero, bianco su panna. Le proporzioni e le disposizioni variavano, ma i triangoli erano tutti puro Scrano. 
Un mormorio roco di Koko attrasse l'attenzione di Qwilleran. Il gatto stava annusando i triangoli arancione sul fondo giallo. Qwilleran si chiese quanto valesse quel quadro. Diecimila? Ventimila? Forse anche di più, ora che Scrano non poteva più dipingere. 
Forse Mountlemens stava facendo incetta delle sue opere per far salire i prezzi? Oppure erano false? E, in entrambi i casi, chi le rubava? 
Koko stava passando con fare meticoloso il naso su tutta la superficie del dipinto, come se volesse rendersi conto della trama della tela, visibile sotto il pigmento. Quando giunse alla firma tese il collo e piegò la testa di qua e di là, tendendosi per avvicinarsi ai caratteri. 
Il naso si spostava da destra a sinistra. Prima tracciò la O, poi studiò la N, quindi si spostò sulla A, annusò la R con trasporto, quasi fosse qualcosa di speciale, dopo di che passò alla C e concluse soffermandosi sulla S. 
— Notevole! — esclamò Qwilleran. — Notevole! 
Quasi non udì la chiave girare nella toppa della porta che dava sul retro della casa, ma Koko sì. Il gatto scomparve. Qwilleran si immobilizzò mentre la porta si apriva adagio. 
La figura che stava sulla soglia non si mosse. Nella semioscurità Qwilleran scorse due spalle quadrate, un maglione pesante, mascelle quadrate, una fronte alta, quadrata. 
— Narcs! — esclamò. 
L'uomo prese vita. Avanzò con passo incerto nella stanza, tendendo la mano verso il tavolo, gli occhi fissi su Qwilleran. D'un balzo afferrò la spatola e si avventò. 
Subito un pandemonio di strilli e di ringhi riempì il locale. La stanza divenne un turbinio di cose volanti... che si avventavano freneticamente sotto, sopra, di lato, davanti e dietro! 
L'uomo si abbassò. Quei mille corpi in movimento erano più veloci dell'occhio. Strillavano come arpie, volavano giù, sotto, sopra. in mezzo. 
Qualcosa colpì l'uomo al braccio. Barcollò. 
In quella frazione di secondo Qwilleran si buttò ad afferrrare la torcia elettrica e la abbaté sull'uomo con tutte le proprie forze. 
Narcs indietreggiò barcollando. Si udì un tonfo quando la sua testa colpì il piano piastrellato. Si accasciò lentamente al suolo. 

16 

Erano le cinque e trenta e Qwilleran. al circolo della stampa, stava raccontando la storia per la centesima volta. Per tutta la giornata di lunedì il personale del Daily Fluxion era sfilato davanti alla sua scrivania per sentire di prima mano i particolari. 
Odd Bunsen commentò: — Avrei voluto essere lì con la mia macchina fotografica! Mi pare di vedere il nostro eroe che telefona alla polizia con una mano e con l'altra si regge i pantaloni! 
— Be', ho dovuto legare Narcs con la cintura — spiegò Qwilleran. — Quando ha battuto la testa ha perso conoscenza, ma temevo che rinvenisse mentre telefonavo. Gli avevo già legato i polsi con la cravatta - la mia bella cravatta scozzese - e l'unica cosa che avevo per le caviglie era la cintura dei pantaloni. 
Come hai capito che si trattava di Narcs? 
— Quando ho visto quella faccia quadrata e quelle spalle quadrate ho pensato ai quadri dei robot e ho capito che l'autore doveva essere lui. Mi è stato detto che i pittori mettono sempre sulla tela qualcosa di sé, sia che dipingano bambini, gatti o barche a vela. Ma era stato Koko a rendermi tutto chiaro quando aveva letto la firma di Scrano all'incontrario. 
Arch chiese — Che effetto fa essere il dottor Watson di un gatto? Intervenne Odd: — Cos'è questa storia della firma? Mi sono perso qualcosa? 
— Koko ha letto la firma del dipinto — gli spiegò Qwilleran — e l'ha sillabata alla rovescia. Legge sempre da destra a sinistra. 
— Oh, naturalmente. È una vecchia abitudine siamese! 
— È stato allora che mi sono reso conto che Scrano, il pittore dei triangoli era anche O. Narcs, il pittore dei robot. Le superfici dipinte avevano la stessa lucentezza metallica. Qualche minuto dopo il robot in persona è entrato nel locale e mi si è avventato contro brandendo una spatola. E mi avrebbe colpito se Koko non mi fosse venuto in soccorso. 
— Ne stai parlando come se meritasse una medaglia. Che cosa ha fatto? 
— È diventato una furia! E un gatto siamese in preda al panico è come un ciclone, sembra di vedere e di udire un branco di gatti selvatici. Pareva che in quella stanza ci fossero sei animali. E quel Narcs era uno solo e frastornato. 
— Quindi Scrano non esiste — commentò Arch. 
— Sissignore. Non esiste alcun pittore italiano che vive in isolamento sulle colline umbre — gli spiegò Qwilleran. — C'è soltanto Oscar Narcs, che dipinge triangoli che Mountclemens pubblicizza nella sua rubrica e vende nella sua galleria. 
— È strano che non abbia usato il suo vero nome — osservò Odd. 
Poi parlò Arch: — Ma nella sua ultima critica Mountclemens ha detto che non ci sarebbe più stato nulla di Scrano. 
— Penso che intendesse eliminare Oscar Narcs — disse Qwiileran. — Forse Narcs sapeva troppo. Ho il sospetto che il nostro critico, il giorno in cui Lambreth fu ucciso, non si trovasse sull'aereo delle tre. Ho il sospetto che avesse un complice che ha usato il biglietto d'aereo e inserito il suo nome nella lista passeggeri. Sono pronto a scommettere che quel complice era Narcs. 
— E poi Mountclemens ha preso un volo successivo — disse Arch. 
— Oppure ha raggiunto New York in macchina — eccepì Qwilleran. — 
In quella misteriosa station wagon che era parcheggiata dietro la galleria nel tardo pomeriggio. Zoe Lambreth aveva sentito il marito parlarne al telefono. 
— Mountclemens è stato pazzo a coinvolgere un'altra persona nel suo piano. Se si vuole commettere un omicidio bisogna farlo da soli, lo dico sempre — affermò Odd Bunsen. 
— Mountclemens non era stupido — replicò Qwilleran. — Pro-
babilmente si era preparato un alibi intelligente. Qualcosa però deve essere andato storto. 
Arch, che per tutto il giorno aveva continuato a sentire frammenti della storia di Qwilleran, chiese: — Come mai sei così sicuro che Mountclemens stesse per uccidere qualcuno quando è sceso in cortile? 
— Per tre ragioni. — Qwilleran si stava divertendo. Parlava con autorevolezza e faceva ampi gesti. — Prima. Mountclemens è sceso nel patio per incontrarsi con qualcuno, eppure quell'uomo vanitoso ha lasciato in casa la protesi. Non andava ad accogliere un ospite, quindi non ne aveva bisogno. Secondo. Non ha portato con sé la torcia elettrica, sebbene i gradini fossero ghiacciati e pericolosi. Terzo. Sospetto che invece abbia preso un coltello da cucina, perché ne manca uno. 
Il pubblico pendeva dalle sue labbra. 
— Evidentemente — proseguì — Mountclemens non è riuscito a cogliere di sorpresa Narcs. Se non fosse riuscito a coglierlo di sorpresa e a conficcargli il coltello nella schiena mentre l'uomo entrava, era molto probabile che l'altro, essendo più giovane, lo sopraffacesse. Narcs era un avversario poderoso; e poi si trattava di una mano contro due. 
— Come sai che Mountclemens è sceso per accogliere qualcuno? 
— Aveva la giacca da casa. Probabilmente mentre aspettava Narcs aveva il cappotto sulle spalle e lo ha buttato a terra quando si è apprestato ad agire. Narcs avrebbe dovuto aprire la porta che ruota verso l'interno e Mountclemens sarebbe stato lì dietro in attesa, pronto ad accoltellarlo alla schiena. È intuibile che intendesse trascinare il cadavere nel vicolo dove il crimine sarebbe stato attributo a qualche vagabondo. È un quartiere così. 
— Se Narcs è possente come dici tu — chiese Arch — come mai quel pazzo ha potuto illudersi di eseguire il lavoretto con una mano sola? 
— Per vanità. Tutto quello che Mountclemens faceva lo faceva in modo superbo. E questo lo rendeva insopportabilmente presuntuoso... E io credo di sapere perché questa volta ha fallito. È solo una supposizione, ma ecco come immagino siano andate le cose: mentre apriva la porta del patio, Narcs ha avvertito la sua presenza. 
— E come? 
— Ha sentito il profumo di limetta che Mountclemens metteva sempre. 
— Pazzesco! — esclamò Odd Bunsen. 
Arch commentò: — Narcs se la sarebbe cavata con l'omicidio se non fosse tornato per prendere quei quadri. 
— Due omicidi — precisò Qwilleran — se non fosse stato per Koko. 
— Qualcuno vuole un altro drink? — chiese Arch. — Bruno, facci altri due Martini e un succo di pomodoro... anzi tre Martini, sta arrivando Lodge Kendall. 
— Lascia stare il succo di pomodoro — disse Qwilleran — tra due minuti me ne vado. 
Kendall era ansioso di riferire le ultime novità. — Vengo adesso dal quartier generale. Narcs si è ripreso ed è stato in grado di rilasciare una deposizione. La polizia ha adesso in mano tutta la storia. È proprio come aveva detto Qwilleran. Narcs dipingeva i quadri di Scrano. Ogni volta che veniva in città si sistemava nell'appartamento vuoto di Mountclemens, ma per lo più lavorava a New York. Portava la roba lì con la station wagon e si presentava come l'agente newyorkese di Scrano. 
— Ha accennato al volo delle tre? 
— Sì. È stato lui a usare il biglietto di Mountclemens. 
Odd disse: — Dunque Mountclemens... stupidamente lo ha fatto entrare nel piano. 
— No. In quello stadio del giuoco Narcs era innocente. Vedete, era appena arrivato in città con la station wagon quando Mountclemens gli ha detto di ritornare in aereo a New York per andare a un appuntamento con un grosso acquirente giunto improvvisamente da Montreal. Mountclemens gli ha detto di aver effettuato la trattativa per telefono - a nome di Narcs - come gestiva tutte le faccende di Scrano. Narcs ha capito che doveva tornare in fretta a New York per incontrare il canadese alle cinque e vendergli un bel po' di quadri di Scrano. A lui la cosa suonava abbastanza logica. Dopo tutto, era il prestanome in quella operazione. E così Mountclemens gli ha dato il proprio biglietto, l'ha accompagnato in macchina all'aeroporto e l'ha visto partire sull'aereo delle tre. 
— Come mai sulla lista dei passeggeri c'era il nome di Mountclemens? 
— A sentire Narcs, erano arrivati appena in tempo all'aeroporto e il critico gli avrebbe detto: «Non preoccuparti di cambiare il nome sul biglietto, vai direttamente all'imbarco». Ha aggiunto che aveva deciso di raggiungerlo in macchina; sarebbe partito subito a bordo della station wagon, avrebbe passato la notte a Pittsburgh e sarebbe arrivato a New York giovedì mattina. 
Qwilleran osservò: — Posso immaginare che cosa è andato storto. 
— Be', il gonzo di Montreal era pazzo per quei triangoli, voleva tutti quelli che poteva ottenere e così Narcs ha telefonato a Earl Lambreth e gli ha chiesto di mandargli per aereo alcuni dei quadri rimasti invenduti. 
— Questa dunque era la telefonata che Zoe aveva sentito. 
— Lambreth ha risposto che li avrebbe mandati con la wagon, ma Narcs gli ha ribattuto che Mountclemens era già diretto a Pittsburgh con quella macchina. Lambreth ha risposto che no, la macchina era ancora lì, parcheggiata nel vicolo dietro la galleria. 
— E allora Narcs ha sentito puzza di bruciato. 
— Non fino a quando ha saputo dell'omicidio di Lambreth e ha capito che Mountclemens aveva mentito. Allora ha deciso di approfittarne. Odiava comunque Mountclemens, si sentiva un lacché, un robot che eseguiva sempre gli ordini del grand'uomo. E così ha deciso di chiedergli una fetta più grossa della torta che Mountclemens arraffava vendendo gli Scrano. 
Odd scosse il capo. — Narcs è stato un cretino a pensare di poter ricattare un volpone come Mounty. 
— Allora Mountclemens si è appostato nel patio — continuò Kendall — ma Narcs è riuscito a balzargli addosso e ad afferrare il coltello. 
— Ha detto perché è tornato sulla scena del delitto? 
— Soprattutto per prendere alcuni quadri che recavano la sua firma. Temeva che la polizia potesse cominciare a indagare. Ma ha preso anche alcuni dipinti di Scrano e stava tornando a prenderne altri quando si è imbattuto in Qwill... e nel gatto. 
Arch chiese: — Che ne sarà delle quotazioni dei quadri di Scrano quando questa storia salterà fuori? Un sacco di collezionisti si butteranno dalla finestra. 
— Be', ti dirò una cosa — proseguì Qwilleran. — Nelle ultime settimane ho visto una gran quantità di opere d'arte e se avessi qualche soldo da spendere penso che acquisterei dei bei triangoli grigi e bianchi di Scrano. 
— Caspita, sei proprio perduto! — commentò Odd. 
— Avevo dimenticato di dirti — intervenne Kendall — che quei triangoli erano il frutto di una collaborazione. Narcs ha detto che li dipingeva lui ma li ideava Mountclemens. 
— Molto intelligente — convenne Qwilleran. — Mountclemens, avendo perso una mano, non era in grado di dipingere; Narcs aveva un'ottima tecnica ma nessuna creatività. Una bella operazione! 
— Scommetto che molti artisti hanno dei "negri" che fanno il lavoro per loro. 
— Su, bevi un altro succo di pomodoro — invitò Arch. — Brinda con noi. 
— No, grazie. Vado a cena con Zoe Lambreth e voglio tornare a casa a cambiarmi la camicia. 
— Prima che tu vada — si intromise Odd — dovrei forse spiegarti perché la settimana scorsa non ho potuto scattare nessuna fotografia a quella signora che salda il metallo. 
— Non c'è fretta — disse Qwilleran. 
— Sono andato alla scuola, ma lei non c'era. Era in casa con le zampe indolenzite. 
— Che cosa le era successo? 
— Ricordi quel tipo che è caduto ed è rimasto ucciso? La Bolton aveva cercato di salvarlo. Lui le era caduto sulle mani e le aveva torto i polsi. Ma in settimana sarà di ritorno e tu avrai le tue foto. 
— Falle belle — raccomandò Qwilleran. — Se ti riesce, cerca di abbellirla un po'. 
Quando Qwilleran tornò a casa per dar da mangiare al gatto, lo trovò in soggiorno intento a farsi il bagno. 
— Ti prepari per la cena? — gli chiese. 
La lingua rosata saettò sul petto bianco, sulle zampe marroni, sui fianchi fulvi. Le umide zampe venivano passate sulle vellutate orecchie scure. La lustra coda marrone stretta tra le zampe anteriori veniva allisciata con meticolosa cura. Sorprendentemente, Koko sembrava un gatto e non una creatura sovrannaturale che leggeva nel pensiero, sapeva che cosa stava per succedere, avvertiva con l'olfatto ciò che non vedeva e sentiva ciò che non avvertiva con l'olfatto. Qwilleran notò: — Dovrebbero dedicarti un titolo, Koko. Gatto investigatore stana le prove di un duplice omicidio. Tu hai sempre avuto ragione e io sempre torto. Nessuno aveva rubato il pugnale d'oro. Mountclemens non aveva preso l'aereo delle tre, Butchy non aveva commesso alcun crimine, Nino non è stato ammazzato e Zoe non mi ha mentito. 
Koko continuò a leccarsi la coda. 
— E tuttavia non ho ancora tutte le risposte. Perché mi hai condotto nello sgabuzzino al piano di sopra? Per recuperare Mintie Mouse o per aiutarmi a trovare la scimmia di Ghirotto? 
"Perché venerdì sera hai richiamato la mia attenzione sulla rastrelliera dei coltelli? Volevi farmi capire che ne mancava uno? Oppure mi stavi solo suggerendo di tagliare il controfiletto per te? 
"E perché hai insistito nel voler scendere al piano di sotto in quella cucina? Sapevi che Narcs stava arrivando? 
"E che cosa mi dici della spatola? Perché stavi cercando di coprirla? Sapevi che cosa stava per accadere?" 
Koko continuò a leccarsi la coda. 
— E un'altra cosa: quando Oscar Narcs mi si è avventato contro con quella lama sei stato veramente colto dal panico? Eri soltanto un gatto spaventato o stavi cercando di salvarmi la vita? 
Koko finì di occuparsi della coda e lo guardò con espressione distante, come se nella sua lucida testa marrone si stesse formando una sorta di responso divino. Poi torse lo snello corpicino in una posizione complicata, sollevò il naso, incontrò il suo sguardo e si grattò un orecchio con una zampa posteriore e un'espressione rapita. 

FINE