venerdì 19 ottobre 2018


PARADISO ALIENO (1954)
Philip K. Dick
I racconti inediti
Volume II
(1995)

Il capitano Johnson fu il primo ad uscire dalla nave. Scandagliò le immense distese di foreste del pianeta, chilometri e chilometri di verde che faceva male agli occhi. Il cielo sopra d i lui era di un blu purissimo. Gli alberi erano lambiti da un oceano che aveva quasi lo stesso colore del cielo, a parte la superficie gorgogliante di alghe incredibilmente rilucenti che trasformavano il blu in porpora pallido.
C'era poco più di un metro per andare dal pannello dei comandi al portello automatico, e di lì fino alla rampa che scendeva sul terreno nero e soffice scavato dai razzi: un terreno che si estendeva da tutti i lati, piatto e scintillante. Johnson infilò gli occhiali per proteggersi gli occhi dal sole dorato e poi, dopo un attimo, se li tolse per pulirli sulla manica. Era un uomo basso e magro, dal colorito giallastro. Batté nervosamente le palpebre finché non si fu rimesso gli occhiali. Respirò a fondo l'aria tiepida, la trattenne nei polmoni, lasciò che gli penetrasse in tutto il corpo, poi con riluttanza la ributtò fuori.
«Non male», bofonchiò Brent dal portello aperto.
«Se questo posto fosse più vicino alla Terra sarebbe già pieno di lattine di birra e piatti di plastica. Non ci sarebbero più alberi e nell'acqua si troverebbero motori di razzi abbandonati. Le spiagge puzzerebbero come fogne e lo Sviluppo Terrestre avrebbe già fatto installare un paio di milioni di casette di plastica».
Brent rispose con un grugnito di indifferenza e saltò giù. Era un uomo grosso e robusto in maniche di camicia, con le braccia pelose ed abbronzate.
«Cosa c'è laggiù? Una specie di sentiero?»
Il capitano Johnson prese con qualche fatica la mappa stellare e la studiò. «Nessuna nave ha mai stilato un rapporto su quest'area, prima di noi. Secondo questa carta l'intero sistema è disabitato».
Brent scoppiò a ridere. «Non le viene in mente che potrebbe esistere una cultura indigena? Non terrestre?»
Il capitano Johnson strinse il dito sul grilletto della pistola. Non l'aveva mai usata e quella era la prima volta in cui era stato incaricato di svolgere una missione esplorativa al di fuori della zona controllata della galassia. «Forse faremmo meglio ad andarcene. In effetti qui non siamo tenuti a fare nessun rilevamento. L'abbiamo fatto nei tre pianeti maggiori, ma per questo non abbiamo nessuna istruzione».
Brent si incamminò sul terreno umido e raggiunse il sentiero. Si inginocchiò e fece scorrere le mani sull'erba pressata. «Qui è passato qualcuno. Ci sono dei solchi nel terreno». Poi emise un'esclamazione di stupore. «Delle impronte!»
«Umane?»
«Sembrano di una qualche specie di animali. Delle dimensioni... più o meno di un grosso gatto». Brent si alzò in piedi, con un'espressione pensierosa sul volto massiccio. «Forse ci potremmo procurare della selvaggina fresca. Se non altro per passare il tempo».
Il capitano Johnson diede segni di nervosismo. «Come facciamo a sapere che tipo di difese hanno questi animali? È meglio essere prudenti e restare a bordo. Faremo la nostra ricognizione dall'alto. La procedura ordinaria dovrebbe andare benissimo per un pianeta insignificante come questo. Detesto questo posto». Rabbrividì. «Mi fa venire la pelle d'oca».
«La pelle d'oca?» Brent sbadigliò e si stiracchiò, poi imboccò il sentiero, diretto verso la distesa sterminata di alberi verdi. «A me piace. Lei rimanga pure a bordo. Io vado a divertirmi un po'».
Brent percorreva cautamente il sentiero che attraversava la foresta buia, con la mano poggiata sul fucile. Era un ricognitore esperto. Aveva esplorato un gran numero di luoghi remoti e sconosciuti, e sapeva quello che faceva. Di tanto in tanto si fermava per esaminare il sentiero e tastare il terreno. Le grosse impronte continuavano, e più avanti se ne aggiungevano delle altre. Un intero gruppo di animali aveva percorso quel sentiero, diverse specie tutte di grosse dimensioni. Probabilmente dirette verso qualche sorgente d'acqua. Un ruscello o uno stagno.
Si arrampicò su una collinetta, poi si abbassò di scatto. Davanti a lui c'era un animale raggomitolato su una pietra piatta, con gli occhi chiusi, evidentemente addormentato. Brent percorse un ampio cerchio intorno all'animale, tenendogli sempre gli occhi addosso. Era un gatto, non c'erano dubbi, ma non il tipo di gatto che aveva sempre visto. Sembrava un leone, ma più grosso. Aveva la stazza di un rinoceronte terrestre. Mantello lungo e fulvo, zampe larghe e la coda grossa come un cavo da ormeggio. Alcune mosche gli camminavano sui fianchi e quando l'animale irrigidiva i muscoli le mosche schizzavano via. La bocca era semiaperta e mostrava delle zanne bianchissime ed umide che scintillavano al sole, e una grande lingua rosa. Respirava pesantemente e con lentezza, russando.
Brent giocherellò con il fucile a raggi. Come sportivo non poteva sparare a una preda addormentata: avrebbe dovuto tirargli un sasso e svegliarla. Ma come uomo di fronte ad una bestia due volte più grossa di lui era tentato di farla secca con un colpo al cuore per poi riportare i resti alla nave. La testa sarebbe andata benissimo, e anche tutta quella pelliccia. Avrebbe anche potuto inventarsi una bella storia... l'animale che gli saltava addosso da un ramo, o magari che sbucava fuori da un folto d'alberi, ruggendo e ringhiando.
Si inginocchiò, appoggiò il gomito destro sul ginocchio destro, strinse il calcio del fucile con la sinistra, chiuse un occhio e prese la mira con cura. Respirò a fondo, assestò la posizione del fucile e tolse la sicura.
Mentre stava per premere il grilletto, altri due grossi felini giunsero trotterellando lungo il sentiero, passandogli vicino, annusarono di sfuggita il loro compagno addormentato e proseguirono la marcia in direzione del bosco.
Sentendosi un idiota, Brent abbassò il fucile. I due animali non gli avevano prestato la minima attenzione. Uno gli aveva rivolto un'occhiata distratta, ma non si era fermato né aveva dato alcun segno di agitazione. Brent si rialzò in piedi a fatica, detergendosi il sudore freddo dalla fronte. Buon Dio, se solo ne avessero avuto l'intenzione, avrebbero potuto farlo a pezzi, accucciato a terra e indifeso com'era...
Avrebbe dovuto essere più prudente. Non fermarsi troppo a lungo in un posto, ma continuare a muoversi, o tornare alla nave. No, non sarebbe tornato alla nave. Voleva qualcosa da mostrare a quel buono a nulla di Johnson. Con ogni probabilità il piccolo capitano se ne stava seduto nervosamente davanti ai comandi della nave, domandandosi che cosa fosse successo al suo compagno. Brent si addentrò cautamente in mezzo ai cespugli e riguadagnò il sentiero dalla parte opposta rispetto al grande animale addormentato. Cercando ancora po' avrebbe trovato qualcosa che valesse la pena riportare indietro, e magari si sarebbe accampato per la notte in un luogo riparato. Aveva con sé una scorta di tavolette alimentari, e in caso di necessità avrebbe sempre potuto contattare Johnson con la trasmittente inserita nella gola.
Giunse ad una vallata erbosa piena di fiori con germogli gialli, rossi e violetti e l'attraversò velocemente. Il pianeta era incontaminato... ancora nel suo stadio primigenio. Nessun uomo vi aveva mai messo piede; come aveva detto Johnson, ben presto ci sarebbero stati rifiuti di ogni tipo, come lattine, stoviglie in plastica e così via. Brent si domandò se non valesse la pena formare una società, stipulare un contratto e rivendicare i diritti sull'intero pianeta; per poi magari suddividerlo fra persone selezionate. Niente commercio, soltanto residenze assolutamente esclusive. Un giardino in cui trascorrere le vacanze per terrestri ricchi con tanto tempo a disposizione: caccia, pesca e tutti i passatempi che si potevano desiderare. E per di più in un luogo inviolato, che non aveva mai visto un uomo.
L'idea gli piacque. Mentre usciva dalla radura e si addentrava nella fitta foresta, Brent si domandò come fare per racimolare il capitale iniziale. Avrebbe potuto coinvolgere altra gente, trovare qualche persona facoltosa che lo supportasse. C'era bisogno di una buona campagna pubblicitaria, per lanciare l'iniziativa. I pianeti vergini erano sempre più rari, e magari quello era l'ultimo. Se si lasciava sfuggire l'occasione, chissà quanto tempo sarebbe passato prima che gliene capitasse un'altra...
I suoi pensieri morirono, il suo progetto crollò miseramente. Una rabbia sorda gli strinse la gola e Brent si fermò all'improvviso.
Davanti a lui il sentiero si allargava, e c'era un ampio spazio fra gli alberi. La vivida luce del sole penetrava nella silenziosa oscurità dei cespugli, del sottobosco e dei fiori. Sopra una piccola altura c'era una costruzione. Una casa in pietra, con dei gradini, un porticato e solide pareti bianche come marmo. Un giardino tutt'intorno. Delle finestre. Un viottolo. Edifici più piccoli sul retro. Tutto preciso e pulito, e con l'aria estremamente moderna. Una fontanella riversava acqua azzurrina in una vasca. C'erano alcuni uccelli che beccavano e razzolavano nei vialetti ghiaiosi.
Il pianeta era abitato.

Brent si avvicinò con prudenza. Un filo di fumo grigio usciva dal comignolo di pietra. Dietro la casa c'erano dei recinti per galline e una specie di mucca che sonnecchiava all'ombra accanto all'abbeveratoio. C'erano anche altri animali, alcuni simili a cani, ed altri che potevano essere pecore. Una piccola fattoria in piena regola... ma diversa da qualunque altra fattoria che lui avesse mai visto. Le costruzioni erano in marmo, o almeno in qualcosa che sembrava marmo. E gli animali erano racchiusi all'interno di una specie di campo di energia. Tutto era in ordine. In un angolo un tubo esterno raccoglieva tutta l'acqua sporca e la convogliava dentro un contenitore semisepolto.
Brent raggiunse dei gradini che portavano ad un porticato sul retro della casa e dopo un attimo di riflessione li salì. Non era particolarmente spaventato. Il posto emanava un senso di serenità e di placida calma. Era difficile pensare che potesse costituire un pericolo. Allungò la mano verso la porta, esitò un attimo, poi cercò la maniglia.
Non c'era nessuna maniglia. Al tocco della sua mano la porta si spalancò. Sentendosi un po' sciocco, Brent entrò e si ritrovò in una sala sfarzosa: luci nascoste si accesero alla pressione dei suoi stivali sul folto tappeto. Le finestre erano coperte da lunghe tende rilucenti e il mobilio era massiccio. Brent diede un'occhiata all'interno di una stanza, e vide oggetti e macchinari di forma strana, dipinti sulle pareti, statue negli angoli. Svoltò per un corridoio e si ritrovò in un ampio salotto. E ancora non si vedeva nessuno.
Un grosso animale, delle dimensioni di un cavallo, uscì da una porta, lo annusò con curiosità, gli leccò il polso e trotterellò via. Lui lo osservò con il cuore in gola.
Un pianeta addomesticato. Tutti gli animali erano addomesticati. Che tipo di persone aveva costruito quel luogo? Il panico lo invase. Forse non erano persone. Forse era una razza diversa, qualcosa di alieno proveniente dall'altra parte della galassia. Forse quella era la frontiera di un impero alieno, una specie di avamposto.
Mentre stava pensando queste cose, domandandosi se non fosse meglio andarsene, fare ritorno alla nave e mettersi in videocontatto con la stazione orbitante di Orion IX, udì un debole fruscio alle sue spalle. Si voltò di scatto, la mano sul fucile.
«Chi...», rantolò. E rimase raggelato.
C'era una ragazza dal volto sereno, grandi occhi scuri, una massa di capelli neri. Era alta quasi quanto lui, poco meno di un metro e ottanta. I capelli neri le ricadevano giù per le spalle fino alla vita. Indossava un abito scintillante di un materiale stranamente metallico, con innumerevoli sfaccettature che brillavano e riflettevano le luci provenienti dall'alto. Le labbra erano rosse e piene, le braccia incrociate sotto i seni che si muovevano appena al ritmo del suo respiro. Accanto a lei c'era l'animale simile al cavallo che lo aveva annusato poco prima.
«Benvenuto, signor Brent», disse la ragazza, sorridendogli. Lui intravide una fila regolare di piccoli denti bianchi. La voce era gentile e cadenzata, dal timbro cristallino. Improvvisamente la ragazza si voltò; l'abito le svolazzò sulle spalle mentre lei attraversava la porta per entrare nella stanza accanto. «Si accomodi. L'aspettavamo».

Brent entrò con circospezione. Un uomo stava in piedi all'estremità di un lungo tavolo, e lo osservava con evidente avversione. Era alto più di lui, con le spalle ampie e le braccia muscolose. Si abbottonò il mantello e si diresse verso la porta. Il tavolo era coperto di piatti e ciotole di cibo; dei camerieri robot stavano sparecchiando in silenzio. Evidentemente l'uomo e la ragazza avevano appena finito di mangiare.
«Quest'uomo è mio fratello», disse la ragazza indicando il gigante dal volto scuro, il quale accennò un leggero inchino verso Brent e scambiò con la ragazza alcune parole in una lingua leggera e sconosciuta. Poi, improvvisamente, se ne andò. Il rumore dei suoi passi si spense nella grande sala.
«Mi dispiace», mormorò Brent. «Non avevo alcuna intenzione di intromettermi».
«Non si preoccupi. Se ne stava andando. Per dire la verità, non andiamo molto d'accordo». La ragazza scostò le tende rivelando un'ampia finestra che dava sulla foresta. «Può vederlo andar via. La sua nave è parcheggiata laggiù. Vede?»
Brent impiegò qualche secondo per individuare la nave. Si mimetizzava perfettamente con l'ambiente e solo quando schizzò improvvisamente verso l'alto con un angolo di novanta gradi lui si rese conto che era stata sempre lì. Le era passato a qualche metro di distanza senza notarla.
«È proprio un bel tipo», disse la ragazza, richiudendo le tende. «Ha fame? Venga a sedersi e mangi insieme a me, adesso che Aeetes se n'è andato e io sono rimasta sola».
Sospettoso, Brent si mise a sedere. Il cibo sembrava ottimo e i piatti erano di una specie di metallo semitrasparente. Un robot dispose le posate di fronte a lui, coltelli, forchette e cucchiai, poi rimase in attesa di istruzioni. La ragazza gli impartì degli ordini in quella sua strana lingua leggera. Il robot servì subito Brent e se ne andò.
I due erano soli. Brent cominciò a mangiare avidamente: il cibo era delizioso. Staccò le ali a una specie di pollo e le rosicchiò con disinvoltura, tracannò un boccale di vino rosso scuro, si pulì la bocca con la manica e attaccò un vassoio di frutta matura. Verdure, carni aromatizzate, frutti di mare, pane caldo... trangugiò ogni cosa con piacere. La ragazza si concesse solo qualche assaggio e lo osservò con curiosità fin quando lui non ebbe finito di mangiare, allontanando i piatti vuoti,
«Dov'è il suo capitano?» gli domandò. «Non è venuto?»
«Johnson? È tornato alla nave». Brent ruttò rumorosamente. «Come mai lei parla terrestre? Non è la sua lingua. E come fa a sapere che c'era qualcuno con me?»
La ragazza fece una risata dolce e musicale. Si pulì le mani snelle con un tovagliolo e bevve da un bicchiere rosso scuro. «Vi abbiamo seguito sull'analizzatore. Eravamo curiosi. È la prima volta che una delle vostre navi si spinge fin qui. Ci domandavamo quali fossero le vostre intenzioni».
«Ma lei non ha imparato la nostra lingua seguendo la nostra nave sull'analizzatore».
«No. Ho imparato la vostra lingua da gente della vostra razza. È stato molto tempo fa. Per quanto mi ricordo, l'ho sempre parlata».
Brent era confuso. «Ma lei ha detto che la nostra nave è stata la prima a giungere qui».
La ragazza rise di nuovo. «È vero. Ma noi abbiamo visitato spesso il vostro piccolo mondo. Lo conosciamo bene. Quando viaggiamo in quella direzione è un punto obbligato di sosta. Ci sono stata molte volte... non di recente, ma nei tempi passati, quando viaggiavo di più».
Una strana sensazione di gelo invase Brent. «Chi siete? Da dove venite?»
«Non so da dove veniamo originariamente», rispose la ragazza. «Ormai la nostra civiltà è sparsa in tutto l'universo. Probabilmente, nei tempi che furono, è partita da un luogo preciso. Adesso è praticamente ovunque».
«Come mai non ci siamo mai imbattuti nel vostro popolo?»
La ragazza sorrise e continuò a mangiare. «Non ha sentito quello che le ho detto? Voi ci avete incontrati. Spesso. Abbiamo perfino portato dei terrestri quassù. Ricordo molto distintamente una volta, poche migliaia di anni fa...»
«Quanto sono lunghi i vostri anni?» domandò Brent.
«Noi non abbiamo anni». Gli occhi scuri della ragazza, luminosi per il divertimento, lo trafissero. «Intendo dire anni terrestri».

Ci volle un minuto perché Brent si rendesse pienamente conto del significato di quelle parole. «Migliaia di anni», mormorò. «Lei vive da migliaia di anni?»
«Undicimila», rispose semplicemente la ragazza. Fece un cenno con la testa e un robot portò via i piatti. Poi si appoggiò allo schienale della sedia, sbadigliò, si stiracchiò come un flessuoso gattino, e di scatto si alzò in piedi. «Andiamo. Il pranzo è finito. Le farò vedere la mia casa».
Brent si mise anche lui in piedi con qualche fatica e la seguì di corsa, scosso nella sua interezza. «Voi siete immortali, vero?» Si mise fra lei e la porta, ansimando, rosso in volto. «Voi non invecchiate».
«Invecchiare? No, certo che no».
Brent faticò a trovare le parole. «Voi siete dèi».
La ragazza gli sorrise, con gli occhi scuri che trasudavano allegria. «Non esattamente. Voi avete più o meno tutto quello che abbiamo noi... più o meno la stessa conoscenza, scienza, cultura. Alla fine diventerete come noi. Siamo una razza antica. Milioni di anni fa i nostri scienziati riuscirono a rallentare il processo di invecchiamento; da allora abbiamo smesso di morire».
«Quindi la vostra razza rimane stabile. Nessuno muore, nessuno nasce».
La ragazza si fece strada al di là della porta ed entrò nella sala. «Oh, la gente continua a nascere. La nostra razza cresce e si espande». Si fermò di fronte ad un'altra porta. «Non abbiamo rinunciato a nessuno dei nostri piaceri». Scrutò pensierosamente Brent, le sue spalle, i suoi capelli neri, il suo viso massiccio. «Siamo più o meno come voi, solo che siamo eterni. Probabilmente anche voi, prima o poi, riuscirete a risolvere il problema».
«Avete vissuto in mezzo a noi?» domandò Brent. «Allora tutte le vecchie religioni e i vecchi miti erano veri. Dèi. Miracoli. Voi ci avete contattato, ci avete dato delle cose. Avete fatto delle cose per noi». Estasiato, la seguì nella stanza.
«Sì. Immagino che abbiamo fatto delle cose per voi. Mentre eravamo di passaggio». La ragazza si aggirò per la stanza, abbassando le pesanti tende. Una morbida oscurità cadde sui divani, sulle librerie e sulle statue. «Lei sa giocare a scacchi?»
«SCACCHI?»
«È il nostro gioco nazionale. Lo abbiamo insegnato ad alcuni dei vostri più antichi bramini». Il suo viso piccolo e affilato tradì la delusione. «Non sa giocare? Peccato. E il suo compagno? Aveva l'aria di possedere una capacità intellettuale maggiore della sua. Lui sa giocare a scacchi? Magari potrebbe tornare a prenderlo?»
«Non credo», rispose Brent, avvicinandosi a lei. «Per quanto ne so, lui non fa niente». Poi allungò la mano e la prese per un braccio. La ragazza si ritrasse, stupefatta. Brent la tirò a sé e la strinse forte tra le braccia robuste. «Non credo che abbiamo bisogno di lui», disse.

La baciò sulla bocca. Le labbra rosse della donna erano calde e dolci. Lei ansimava e lottava selvaggiamente, e Brent poteva sentire il suo corpo snello che si dibatteva contro di lui. Una nuvola di inebriante profumo si levò dai suoi capelli neri. Lei tentò di graffiarlo con le unghie affilate, mentre il petto si sollevava con violenza. Brent allentò la stretta e lei si liberò, e lo fissò con aria diffidente, gli occhi che avvampavano, il respiro affannoso e il corpo teso, stringendosi addosso l'abito luminoso.
«Potrei ucciderti», bisbigliò toccandosi la cintura ingioiellata. «Tu non capisci, vero?»
Brent avanzò. «Tu probabilmente puoi uccidermi. Ma scommetto che non lo farai».
La ragazza si ritrasse. «Non fare l'idiota». Le labbra rosse si piegarono e diedero vita ad un fuggevole sorriso. «Sei coraggioso. Ma non molto intelligente. Eppure, non è una brutta combinazione in un uomo. Stupido e coraggioso». Agilmente evitò la sua stretta e si pose fuori dalla sua portata. «Per di più sei anche in ottima forma fisica. Come fai a mantenerti in forma, a bordo di quella piccola nave?»
«Corsi trimestrali di ginnastica», rispose Brent, fermandosi fra lei e la porta. «Tu devi annoiarti maledettamente, tutta sola in questo posto. Dopo i primi due o tremila anni dev'essere piuttosto dura».
«Trovo sempre delle cose da fare», replicò la donna. «Non ti avvicinare di più. Per quanto possa ammirare il tuo ardire devo avvisarti che...»
Brent l'afferrò di nuovo. Lei lottò disperatamente. Allora le piegò le braccia dietro la schiena e le tenne strette con una mano, la costrinse a inarcare il corpo in avanti e la baciò sulla bocca semiaperta. La ragazza lo morse con i denti bianchi e aguzzi, e lui scattò all'indietro grugnendo. Lei si mise a ridere, con gli occhi scuri che sembravano danzare mentre cercava di divincolarsi. Il respiro le si fece affannoso, le guance si imporporarono, i seni mezzi scoperti tremolarono, il corpo si irrigidì come quello di un animale in trappola. Brent la prese per la vita e la sollevò fra le braccia.
Un'ondata di energia lo colpì.
La lasciò di scatto. Lei ricadde agilmente sui piedi e balzò all'indietro. Brent era piegato su se stesso, il volto grigio per il dolore. Gocce di sudore freddo gli scivolavano sul collo e sulle mani. Si buttò su un divano e chiuse gli occhi, con i muscoli come aggrovigliati e il corpo che si contorceva per la sofferenza.
«Mi dispiace», disse la ragazza muovendosi per la stanza senza preoccuparsi di lui. «È tutta colpa tua... te l'avevo detto di stare attento. Forse è meglio che tu te ne vada. Che ritorni alla tua piccola nave. Non voglio che ti succeda niente di male. Non è nostra abitudine uccidere i terrestri».
«Cosa... è stato?»
«Niente di speciale. Una forma di repulsione, immagino. Questa cintura è stata costruita su uno dei nostri pianeti industriali; mi protegge ma non so quali siano i suoi principi operativi».
Brent riuscì a rimettersi in piedi. «Sei una ragazzina dalla testa dura».
«Ragazzina? Sono piuttosto vecchia come ragazzina. Ero già vecchia prima che tu nascessi. Ero vecchia prima ancora che il tuo popolo inventasse i razzi. Ero vecchia prima che voi imparaste a lavorare i tessuti ed esprimere per iscritto i vostri pensieri. Ho visto la vostra razza progredire e poi ricadere nella barbarie, e poi ancora progredire. Imperi e nazioni senza numero. Ero viva quando gli Egiziani cominciarono a diffondersi nell'Asia minore. Ho visto i costruttori delle città della valle del Tigri che edificavano le loro case di mattoni. Ho visto i carri di guerra degli Assiri che correvano al combattimento. Io e i miei amici abbiamo conosciuto la Grecia e Roma e Minosse e la Lidia e i grandi reami degli indiani dalla pelle rossa. Siamo stati dèi per gli antichi, santi per i cristiani. Noi andiamo e veniamo. Man mano che il vostro popolo progrediva siamo venuti sempre meno. Abbiamo altre stazioni di transito; il vostro non è l'unico passaggio obbligato».

Brent tacque. Il suo viso stava riacquistando il colorito solito. La ragazza si era gettata su uno dei soffici divani; si piegò contro un cuscino e lo fissò con calma, un braccio proteso, l'altro appoggiato sul seno, le lunghe gambe ripiegate sotto di lei, i piccoli piedi uniti. Sembrava un gattino appagato che si riposasse dopo il gioco. Brent stentava a credere ciò che lei gli aveva detto. Ma il corpo gli doleva ancora: era stato investito solo dalla minima parte di quel campo di energia, e per poco non era rimasto ucciso. Era qualcosa sulla quale valeva la pena di riflettere.
«Allora?» gli domandò a un certo punto la ragazza. «Che cosa hai intenzione di fare? Si sta facendo tardi. Io credo che faresti meglio a ritornare alla nave. Il tuo capitano si starà domandando che cosa ti è successo».
Brent si diresse alla finestra e scostò i pesanti tendaggi. Il sole era tramontato e l'oscurità stava scendendo sulla foresta lì fuori. Cominciavano a spuntare le prime stelle, macchioline bianche su uno sfondo viola intenso. In lontananza si stagliava una linea di colline nere e minacciose.
«Posso mettermi in contatto con lui», rispose Brent, toccandosi la gola. «In caso di emergenza. E dirgli che va tutto bene».
«Ma va tutto bene? Tu non dovresti essere qui. Tu pensi di sapere ciò che stai facendo, pensi di riuscire a cavartela... con me». Si raddrizzò agilmente e scosse i lunghi capelli neri. «Io posso leggere nella tua mente. Mi vedi come quella ragazza bruna con la quale hai avuto una relazione, e chi ti rigiravi sulla punta delle dita... e che ti serviva per vantartene con i tuoi compagni».
Brent arrossì. «Sei una telepate. Avresti dovuto dirmelo».
«Una telepate solo in parte. Per quello che mi serve. Offrimi una sigaretta. Noi non abbiamo cose del genere».
Brent si frugò in tasca, prese il pacchetto e glielo lanciò. Lei si accese una sigaretta e aspirò una boccata con gratitudine. Una nuvola di fumo grigio la avvolse, mescolandosi con le ombre sempre più buie della sera. Gli angoli della stanza sfumarono nell'oscurità e lei divenne una forma indistinta rannicchiata sul divano, con la punta della sigaretta che brillava tra le labbra rosse.
«Io non ho paura», disse Brent.
«No, non hai paura. Non sei un vigliacco. Se tu fossi altrettanto furbo... ma allora penso che non saresti coraggioso. Io ammiro il tuo coraggio, per quanto sciocco. L'uomo ha molto coraggio. Anche se basato sull'ignoranza, è ammirevole». E subito dopo aggiunse: «Vieni a sederti accanto a me».

«Di che cosa dovrei preoccuparmi?» chiese Brent dopo un po'. «Se tu non azioni quella maledetta cintura, andrà tutto bene».
La ragazza si mosse nell'oscurità. «È più di questo». Si sollevò a sedere, dandosi una sistemata ai capelli, e ponendosi un cuscino dietro la testa. «Vedi, le nostre due razze sono completamente diverse. La mia è milioni di anni più progredita della tua. Il contatto fra noi - un contatto ravvicinato - è letale. Non per noi, naturalmente, ma per voi. Non puoi stare con me e rimanere un essere umano».
«Che cosa vuoi dire?»
«Subiresti dei cambiamenti. Cambiamenti evolutivi. Noi esercitiamo una forza di attrazione. Siamo saturi di energia, e un contatto intimo con noi eserciterebbe un'influenza sulle cellule del vostro corpo. Come quegli animali là fuori; si sono evoluti poco a poco, e non sono più bestie selvatiche. Riescono a comprendere semplici comandi e ad eseguire le istruzioni basilari. Ancora non hanno un linguaggio. Con animali così poco dotati il processo sarà molto lungo, e poi io non ho mai avuto contatti troppo ravvicinati con loro. Ma con te...»
«Capisco».
«Non dovremmo permettere agli umani di avvicinarsi. Aeetes se n'è andato via apposta. Io sono troppo pigra... e poi non m'importa molto. Immagino di non essere così matura e responsabile». Accennò un sorriso. «E il mio genere di contatto intimo è un po' più intimo rispetto a quello di quasi tutti gli altri».
Brent riusciva appena a distinguere nell'oscurità la sua figura snella. Era adagiata contro i cuscini, con le labbra dischiuse, le braccia strette al petto e la testa ripiegata all'indietro. Era adorabile. La più bella donna che Brent avesse mai visto. Dopo un attimo si chinò verso di lei e questa volta la ragazza non si mosse. La baciò dolcemente, poi le circondò il corpo flessuoso con le braccia e la strinse a sé. Il suo abito frusciò. I suoi capelli neri, caldi e soffici, lo avvolsero.
«Ne vale la pena», disse lui.
«Sei sicuro? Una volta incominciato, non si può tornare indietro. Non sarai più umano. Ti evolverai lungo una linea che la tua razza impiegherà milioni di anni a percorrere. Sarai un reietto, il precursore di cose ancora di là da venire. Senza nessuno».
«Resterò.» L'accarezzò sulla guancia, sui capelli, sul collo. Sentì il sangue che scorreva sotto la pelle vellutata, e un rapido pulsare nel cavo della gola. La donna respirava affannosamente e i suoi seni si sollevavano, e si abbassavano contro di lui. «Se tu me lo permetterai».
«Sì», mormorò lei. «Te lo permetterò. Se è ciò che vuoi veramente. Ma non prendertela con me». Un sorriso triste e malizioso insieme si disegnò per un attimo sul suo volto espressivo, e gli occhi neri scintillarono. «Mi prometti che non te la prenderai con me? È già successo altre volte... detesto essere rimproverata. Dico sempre che non lo farò mai più. Qualunque cosa succeda».
«È già successo?»
La ragazza rise piano, sfiorandogli l'orecchio. Lo baciò con calore e lo tirò a sé con forza. «In undicimila anni», rispose con un filo di voce, «è successo molte volte».

Il capitano Johnson trascorse una notte orribile. Cercò di contattare Brent con la trasmittente di emergenza, ma non ricevette nessuna risposta. Solo deboli scariche di elettricità statica e l'eco remota di un programma proveniente da Orion IX. Musica jazz e pubblicità suadente.
I rumori della civiltà gli ricordarono che era quasi ora di andarsene. Ventiquattro ore era tutto il tempo assegnato a quel pianeta, il più piccolo di quel suo sistema.
«Maledizione», borbottò. Si preparò una tazza di caffè e diede un'occhiata all'orologio. Poi uscì dalla nave e gironzolò nei paraggi sotto la luce del primo mattino. Il sole stava sorgendo in quel momento. L'aria era passata dal viola scuro al grigio e faceva un freddo cane. Rabbrividendo sbatté forte i piedi a terra ed osservò alcuni animaletti simili a uccelli che si abbassavano in volo per beccare in mezzo ai cespugli.
Stava cominciando a pensare di inviare un rapporto a Orion IX quando la vide.
Si stava avvicinando tranquillamente alla nave. Era alta e magra, ed indossava una giacca di pelliccia folta nella quale aveva affondato le braccia. Istupidito, Johnson rimase immobile. Era così stupefatto che non mise neppure mano al fucile. Rimase a fissare a bocca aperta la ragazza: quest'ultima si fermò poco lontano, scosse i capelli neri, gli esalò addosso una boccata d'aria argentata e poi disse: «Mi spiace che lei abbia passato una nottataccia. È colpa mia. Avrei dovuto farlo tornare indietro».
Il capitano Johnson aprì e richiuse la bocca. «Chi è lei?», riuscì a dire alla fine, gelato dalla paura. «Dov'è Brent? Cosa gli è successo?»
«Arriva fra poco». Si voltò verso la foresta e fece un cenno. «Credo che lei farà bene a partire, adesso. Lui vuole restare qui ed è meglio così... perché è cambiato. Sarà felice nella mia foresta insieme agli altri... uomini. È strano come voi umani vi riveliate tutti uguali. La vostra razza sta percorrendo un cammino insolito e forse varrebbe la pena di studiarvi, una volta o l'altra. Deve essere qualcosa che ha a che fare con il vostro basso livello estetico. Sembra che possediate una volgarità innata, che alla fine avrà il sopravvento su di voi».
Dal bosco emerse una strana figura. Per un attimo il capitano Johnson pensò di avere delle allucinazioni. Sbatté le palpebre e strabuzzò gli occhi, poi emise una specie di borbottio incredulo. Era lì, su quel pianeta remoto... no, non poteva sbagliarsi, era proprio un immenso felino l'animale che era uscito lento e triste dal bosco al richiamo della ragazza.
Quest'ultima fece qualche altro passo, poi si fermò e fece un cenno all'animale, che cominciò a uggiolare disperatamente vicino alla nave.
Johnson osservò la bestia e provò un moto d'improvvisa paura. Seppe istintivamente che Brent non avrebbe fatto ritorno alla nave. Era successo qualcosa, su quello strano pianeta... quella ragazza...
Johnson entrò nella nave e si richiuse il portello alle spalle con violenza, poi corse al pannello dei comandi. Doveva raggiungere la base più vicina e fare un rapporto. Quel pianeta richiedeva un'indagine più approfondita.
Mentre i razzi si accendevano Johnson diede un'occhiata dall'oblò e vide l'animale sollevare vanamente la grossa zampa verso la nave in decollo.
Johnson fu attraversato da un brivido. Quella zampa protesa ricordava proprio il gesto di un uomo infuriato...