domenica 16 dicembre 2018


I FIGLI DEL CAPITANO GRANT
Jules Verne

Parte 1

I. Balance fish1

Il 26 luglio 1864, spinto da una forte brezza da nord-est, un magnifico yacht avanzava a tutto vapore sui flutti del canale del Nord. La bandiera d’Inghilterra batteva sul pennone di mezzana; all’estremità dell’albero maestro, un guidone blu recava le iniziali «E G», ricamate in oro e sormontate da una corona ducale. Lo yacht si chiamava Duncan; apparteneva a lord Glenarvan, uno dei sedici Pari scozzesi che sedevano alla Camera alta, e il membro più distinto del Royal Thames Yacht Club, così celebre in tutto il Regno Unito.
Lord Edward Glenarvan si trovava a bordo con la sua giovane moglie, lady Helena, e uno dei cugini di lei, il maggiore Mac Nabbs.
Il Duncan, costruito poco tempo prima, era venuto a fare dei collaudi a qualche miglio2 al largo del golfo di Clyde, e cercava di rientrare a Glasgow; già l’isola d’Arran era visibile all’orizzonte, quando il marinaio di vedetta segnalò un enorme pesce che si dimenava nella scia dello yacht.
Il capitano John Mangles fece tempestivamente informare lord Edward dell’incontro. Questi salì sul ponte di poppa con il maggiore Mac Nabbs e domandò al capitano cosa pensasse di quell’animale.
«Veramente, vostro onore», rispose John Mangles, «penso che sia un pescecane di grossa taglia».
«Un pescecane da queste parti!», esclamò Glenarvan.
«Non c’è dubbio», riprese il capitano; «questo pesce appartiene a una specie di squali che si incontra in tutti i mari e a tutte le latitudini. È il balance fish, e se non mi sbaglio abbiamo a che fare con una di quelle pesti! Se vostro onore acconsente, e se non dispiace troppo a lady Glenarvan di assistere a una pesca bizzarra, sapremo presto di cosa si tratta».
«Cosa ne pensate, Mac Nabbs?», disse lord Glenarvan al maggiore. «Siete del parere di tentare l’avventura?»
«Sono del parere che più vi aggrada», rispose tranquillamente il maggiore.
«D’altro canto», riprese John Mangles, «non se ne potrebbero ammazzare mai abbastanza di queste terribili bestie. Approfittiamo dell’occasione, e, se vostro onore lo desidera, sarà allo stesso tempo uno spettacolo emozionante e una buona azione».
«Fate pure, John», disse lord Glenarvan.
Poi mandò ad avvertire lady Helena, che lo raggiunse sul ponte di poppa, davvero molto attratta da quella pesca emozionante.
Il mare era magnifico; si potevano facilmente seguire sulla sua superficie le rapide evoluzioni dello squalo, che si tuffava o si slanciava con sorprendente vigore. John Mangles diede i suoi ordini. I marinai, da sopra i parapetti di tribordo, gettarono una grossa fune, munita di un uncino, con appeso un grosso pezzo di lardo. Il pescecane, benché fosse ancora a una distanza di cinquanta iarde3, fiutò l’esca offerta alla sua voracità. Si avvicinò rapidamente allo yacht. Si vedevano le sue pinne, grigie alle estremità, nere alla base, battere i flutti con violenza, mentre l’estremità della coda lo manteneva su una linea perfettamente dritta. Man mano che si avvicinava, si vedevano i suoi grandi occhi sporgenti, infiammati dalla brama e, quando si rigirava, le sue mascelle spalancate mostravano quattro file di denti. La sua testa era larga e disposta come un doppio martello all’estremità di un manico. John Mangles non poteva essersi sbagliato; quello era il più vorace esemplare della famiglia degli squali, il pesce bilancia degli inglesi, il pesce giudeo dei provenzali.
I passeggeri e i marinai del Duncanseguivano con vivo interesse i movimenti del pescecane. Ben presto l’animale fu alla portata del gancio; si voltò sul dorso per afferrarlo meglio, e l’enorme boccone scomparve tra le sue larghe fauci.
A un tratto, si agganciò da solo dando un violento strattone al cavo, e i marinai issarono il mostruoso squalo per mezzo di un paranco fissato all’estremità di un grande pennone. Il pescecane si dibatté violentemente, vedendosi strappare al suo elemento naturale. Ma ebbero ragione della sua violenza.
Una corda munita di un nodo scorsoio lo afferrò per la coda e ne paralizzò i movimenti. Dopo qualche istante veniva sollevato sopra i parapetti e precipitato sul ponte dello yacht. Immediatamente, uno dei marinai gli si avvicinò, non senza precauzioni, e, con un vigoroso colpo d’ascia, tagliò l’eccezionale coda dell’animale.
La pesca era terminata; non c’era più nulla da temere da parte del mostro; la vendetta dei marinai era soddisfatta, ma non la loro curiosità. Effettivamente, è usanza a bordo di qualunque imbarcazione di ispezionare lo stomaco del pescecane.
I marinai sanno della sua voracità poco selettiva, si aspettano qualche sorpresa, e la loro aspettativa non sempre viene disattesa.
Lady Glenervan non volle assistere alla ripugnante “esplorazione” e rientrò negli alloggi del cassero. Il pescecane respirava ancora; faceva dieci piedi4 di lunghezza e pesava più di seicento libbre5.
Queste dimensioni e questo peso non hanno niente di straordinario, ma se il balance fish non è classificato tra i giganti della specie, tuttavia lo si annovera tra i più temibili.
Ben presto l’enorme pesce venne sventrato a colpi d’ascia, e senza tanti convenevoli. Il gancio era penetrato fin dentro lo stomaco, che era completamente vuoto; evidentemente l’animale digiunava da lungo tempo, e i marinai indispettiti ne stavano per gettare i resti in mare, quando l’attenzione del nocchiero fu attirata da un oggetto grossolano, saldamente incastrato tra le viscere.
«Eh! Cos’è quello?», esclamò.
«Questo», rispose uno dei marinai, «è un pezzo di roccia che l’animale avrà ingoiato per sfamarsi».
«Be’», riprese un altro, «quello che questo disgraziato ha buttato in pancia, e che non ha ancora digerito, non è altro che una palla ramata6».
«E tacete, voi altri», replicò Tom Austin, il secondo dello yacht, «non vedete che questo animale era un ubriacone incallito, e che per non perderne una goccia ha bevuto non soltanto il vino, ma addirittura la bottiglia?»
«Cosa?», esclamò lord Glenarvan. «È una bottiglia che questo pescecane ha nello stomaco?»
«Una bottiglia, davvero», rispose il nocchiero, «ma è chiaro che non salta fuori dalla cantina».
«Ebbene, Tom», riprese lord Edward, «estraetela con precauzione; le bottiglie trovate in mare racchiudono spesso documenti preziosi».
«Credete?», disse il maggiore Mac Nabbs.
«Credo, quanto meno, che possa succedere».
«Oh, non vi contraddico affatto, e forse in quella bottiglia si trova un segreto».
«È quello che sapremo», disse Glenarvan.
«Ebbene, Tom?»
«Ecco», rispose il secondo, mostrando un oggetto informe che aveva appena estratto, non senza fatica, dallo stomaco del pescecane.
«Bene», disse Glenarvan, «fate lavare questa sporcizia, e portatela negli alloggi del cassero».
Tom obbedì, e la bottiglia, rinvenuta in circostanze tanto singolari, fu disposta sul tavolo della sala comune, intorno al quale presero posto lord Glenarvan, il maggiore Mac Nabbs, il capitano John Mangles e lady Helena, perché una donna è, diciamo, sempre un po’ curiosa.
Tutto rappresenta un evento, in mare. Ci fu un momento di silenzio. Ognuno interrogava con lo sguardo quel fragile relitto. Lì dentro c’era il segreto di un grande disastro, o soltanto un messaggio insignificante affidato alle onde da qualche navigatore disorientato?
Nel frattempo bisognava capire di cosa si trattasse, e Glenarvan, senza attendere oltre, procedette all’esame della bottiglia; d’altro canto, prese tutte le precauzioni che circostanze simili necessitano; lo si sarebbe detto un coroner7 intento a raccogliere gli indizi di un caso grave; e Glenarvan aveva ragione, perché l’indizio all’apparenza più insignificante può spesso mettere sulla rotta di un’importante scoperta.
Prima di essere ispezionata all’interno, la bottiglia venne esaminata esternamente. Aveva un collo snello, e il cui orlo spesso recava ancora un pezzo di fil di ferro intaccato dalla ruggine; le sue pareti, molto spesse e capaci di sopportare una pressione di diverse atmosfere, facevano pensare a una bottiglia di champagne. Con bottiglie come questa, i vignaioli d’Aï o di Épernay spezzano i legni delle sedie senza che riportino alcun danno. Dunque, questa aveva potuto sopportare impunemente i rischi di una lunga peregrinazione.
«Una bottiglia di marca Cliquot», disse semplicemente il maggiore.
E, visto che se ne intendeva, la sua affermazione venne accettata senza discussioni.
«Mio caro maggiore», replicò Helena, «poco importa cosa sia questa bottiglia, se non sappiamo da dove proviene».
«Lo sapremo, mia cara Helena», disse lord Edward, «e già possiamo affermare che viene da lontano. Guardate i materiali pietrificati che la ricoprono, queste sostanze mineralizzate, per così dire, dall’azione dell’acqua di mare! Questo relitto aveva già fatto un lungo viaggio nell’oceano prima di andare a incastrarsi nella pancia di quel pescecane».
«Mi è impossibile non essere del vostro stesso avviso», rispose il maggiore, «e questo fragile vaso, protetto dal suo involucro di pietra, avrebbe potuto fare un lungo viaggio».
«Ma da dove viene?», domandò lady Glenarvan.
«Pazientate, mia cara Helena, pazientate; bisogna avere pazienza con le bottiglie. Mi sbaglio di grosso, o questa risponderà essa stessa a tutte le nostre domande».
E, dicendo questo, iniziò a grattare la materia dura che proteggeva la bocca; presto apparve il tappo, ma molto danneggiato dall’acqua di mare.
«Circostanza fastidiosa», disse Glenarvan, «perché se dentro c’è della carta sarà in pessimo stato».
«C’è da temerlo», replicò il maggiore.
«Aggiungerei», proseguì Glenarvan, «che questa bottiglia mal tappata non avrebbe tardato ad andare a fondo, ed è una fortuna che il pescecane l’abbia ingoiata per portarcela a bordo del Duncan».
«Senza dubbio», ribatté John Mangles, «e malgrado ciò sarebbe stato meglio pescarla in mare aperto, a una longitudine e una latitudine ben determinate. Avremmo potuto, così, studiando le correnti atmosferiche e marine, ricostruirne il tragitto percorso; ma in circostanze tali, con questi squali che vanno contro vento e contro la marea, non si sa più cosa pensare».
«Lo vedremo», rispose Glenarvan.
In quel momento, tolse il tappo con grande premura, e un forte odore salino si diffuse nel cassero.
«Ebbene?», domandò lady Glenarvan, con un’impazienza tutta femminile.
«Sì!», disse Glenarvan. «Non mi sbagliavo! Ci sono dei fogli!».
«Dei documenti! Dei documenti!», esclamò lady Helena.
«Solo che», riprese Glenarvan, «sembrano essere intaccati dall’umidità, e sarebbe impossibile estrarli, poiché aderiscono alle pareti della bottiglia».
«Rompiamola», disse Mac Nabbs.
«Preferirei conservarla intatta», replicò Glenarvan.
«Anch’io», aggiunse il maggiore.
«Senza alcun dubbio», disse lady Helena, «ma il contenuto è più prezioso del contenitore, e conviene sacrificare questo a quello».
«Che vostro onore stacchi soltanto il collo», disse John Mangles, «e questo permetterà di estrarre il documento senza danneggiarlo».
«Vediamo! Vediamo! Mio caro Edward», esclamò lady Glenarvan.
Sarebbe stato difficile procedere in altro modo, e, come che fosse, lord Glenarvan si decise a spaccare il collo della preziosa bottiglia. Fu necessario utilizzare un martello, giacché l’involucro pietroso aveva acquisito la durezza del granito. Ben presto i frammenti caddero sul tavolo, e scorsero diversi pezzi di carta aderenti gli uni agli altri.
Glenarvan li prelevò con cautela, li separò, e li dispiegò davanti ai propri occhi, mentre lady Helena, il maggiore e il capitano si stringevano intorno a lui.

1In inglese nel testo. In italiano corrisponde al pesce martello.
2Un miglio marino corrisponde a 1852 m; un miglio terrestre corrisponde a ca. 1609 m.
3 Una iarda corrisponde a ca. 0,914 m.
4Un piede inglese misura ca. 0,305 m.
5 Una libbra corrisponde a ca. 453 g.
6 Palla di cannone composta da due semisfere unite da una corta catena. Doveva servire ad abbattere gli alberi delle navi avversarie.
7In inglese nel testo. Ufficiale giudiziario che si occupa delle cause di morte e svolge consulenze medico-legali. In italiano corrisponde all’anatomopatologo

II. I tre documenti

Quei pezzi di carta, mezzo distrutti dall’acqua di mare, lasciavano intravedere soltanto qualche parola, residuo indecifrabile delle frasi quasi completamente cancellate. Per qualche minuto, lord Glenarvan li esaminò con attenzione; li rigirò da tutti i versi; li espose alla luce del giorno; osservò ogni minima traccia di scrittura risparmiata dal mare; quindi guardò i suoi amici, che lo osservavano con occhio trepidante.
«Abbiamo qui», disse, «tre documenti distinti, e verosimilmente tre copie dello stesso documento tradotto in tre lingue: uno inglese, l’altro francese, il terzo tedesco. Le poche parole ancora leggibili non mi lasciano alcun dubbio in proposito».
«Ma almeno queste parole hanno un significato?», domandò lady Glenarvan.
«È difficile stabilirlo, mia cara Helena; le parole scritte su questi documenti sono molto lacunose».
«Forse si completano l’uno con l’altro?», disse il maggiore.
«Deve essere così», rispose John Mangles, «è impossibile che l’acqua del mare abbia intaccato le frasi esattamente nello stesso punto, e avvicinando questi brandelli di frasi finiremo per trovar loro un senso comprensibile».
«È ciò che faremo», disse lord Glenarvan, «ma procediamo con metodo. Ecco innanzitutto il documento inglese».
Questo documento presentava la seguente disposizione di righe e di parole:
62 bri gow sink... ecc.
«Sembra che non significhi granché», disse il maggiore con disappunto.
«Per quanto sia», rispose il capitano, «si tratta di un buon inglese».
«Non c’è dubbio in proposito», disse lord Glenarvan, «le parole sinkalandthatandlost8, sono intatte; skipp è certamente parte della parola skipper9, e si parla di un signor Grant, probabilmente il capitano di un’imbarcazione naufragata».
«Aggiungiamo», disse John Mangles, «le parole monit e ssistance, la cui interpretazione è evidente».
«Eh! È già qualcosa», ribatté lady Helena.
«Sfortunatamente», rispose il maggiore, «ci mancano delle intere righe. Come risalire al nome della nave perduta e al luogo del naufragio?»
«Li ritroveremo», disse lord Edward.
«Su questo non c’è dubbio», replicò il maggiore, che era immancabilmente della stessa opinione di chiunque, «ma in che modo?»
«Integrando un documento con l’altro».
«Proviamo, dunque!», esclamò lady Helena.
Il secondo pezzo di carta, più danneggiato del precedente, non offriva che parole isolate e disposte in questo modo: 7 juni glas... ecc.
«Questo è scritto in tedesco», disse John Mangles, non appena mise gli occhi sul documento.
«E conoscete la lingua, John?», domandò Glenarvan.
«Perfettamente, vostro onore».
«Ebbene, diteci cosa significano queste poche parole».
Il capitano esaminò il documento con attenzione, poi si espresse in questi termini:
«Innanzitutto, concentriamoci sulla data dell’evento; 7 juni vuol dire 7 giugno, e avvicinando questa alle cifre 62 fornite dal documento inglese abbiamo la data completa: 7 giugno 1862».
«Molto bene!», esclamò lady Helena; «continuate, John».
«Sullo stesso rigo», riprese il giovane capitano, «trovo la parola glas, che, avvicinata alla parola gow fornita dal primo documento, dà Glasgow. Si tratta di un’imbarcazione del porto di Glasgow».
«Condivido», aggiunse il maggiore.
«La seconda riga del documento manca completamente», riprese John Mangles. «Ma sulla terza si trovano due parole importanti: zwei, che vuol dire due, e atrosen, o meglio matrosen, che significa marinai in lingua tedesca».
«Così, dunque», disse lady Helena, «si tratterebbe di un capitano e di due marinai?»
«È probabile», rispose lord Glenarvan.
«Confesso a vostro onore», riprese il capitano, «che la parola seguente, graus, mi imbarazza. Non so come tradurla. Forse il terzo documento ce la farà comprendere. Quanto alle due ultime parole, si spiegano senza difficoltà. Bringt ihnen significa portate loro, e se le avviciniamo alla parola inglese situata come queste sulla settima riga del primo documento, intendo alla parola assistance, la frase portate loro assistenza si forma da sola».
«Sì! Portate loro soccorso!», disse Glenarvan, «ma dove si trovano questi disgraziati? Finora non abbiamo una sola indicazione del luogo, e il teatro della catastrofe è assolutamente sconosciuto».
«Speriamo che il documento francese sia più esplicito», disse lady Helena.
«Vediamo il documento francese», rispose Glenarvan, «e dato che tutti conosciamo la lingua, le nostre ricerche saranno più facili».
Ecco il fac-simile esatto del terzo documento:
Troi ats tannia gonie... ecc.
«Ci sono dei numeri», esclamò lady Helena. «Guardate, signori, guardate!...».
«Procediamo con ordine», disse lord Glenarvan, «e cominciamo dall’inizio. Permettetemi di considerare una ad una queste parole sparse e incomplete. Innanzitutto vedo, dalle prime lettere, che si tratta di un tre alberi, il cui nome, grazie ai documenti inglese e francese, è conservato per intero: il Britannia. Delle due parole successive gonie e austral, soltanto l’ultima ha un significato che comprenderete tutti».
«Ecco finalmente un dettaglio prezioso», rispose John Mangles: «il naufragio è avvenuto nell’emisfero australe».
«È vago», disse il maggiore.
«Proseguo», riprese Glenarvan. «Ah! La parola abor, la radice del verbo aborder. Quei disgraziati sono abbordati da qualche parte. Ma dove? Contin! Forse su un continente? Cruel!...».
«Cruel!», esclamò John Mangles. «Ma ecco la spiegazione della parola tedesca graus... Grausam... crudele».
«Continuiamo! Continuiamo!», disse Glenarvan, il cui interesse si faceva sempre più eccitato mano a mano che il senso di quelle parole incomplete si chiariva ai suoi occhi. «Indi... È dunque in India che quei marinai sarebbero naufragati? Cosa significa la parola ongit? Ah! Longitude! Ed ecco la latitudine: trentesept degrés onze minutes».
«Finalmente! Abbiamo dunque un’indicazione precisa».
«Ma manca la longitudine», disse Mac Nabbs.
«Non si può avere tutto, mio caro maggiore», rispose Glenarvan, «ed è già qualcosa conoscere i gradi esatti di latitudine. Decisamente, il documento francese è il più completo dei tre. È evidente che ciascuno di questi era la traduzione letterale degli altri, poiché contengono tutti lo stesso numero di righe. Dunque ora bisogna riunirli, tradurli in una sola lingua, e cercarne il significato più probabile, il più logico e il più esplicito».
«Ed è in francese», domandò il maggiore, «in inglese o in tedesco che farete questa traduzione?»
«In francese», rispose Glenarvan, «poiché la maggior parte delle parole significative è conservata in questa lingua».
«Vostro onore ha ragione», disse John Mangles, «e d’altro canto è una lingua familiare a tutti noi».
«È deciso. Trascriverò il documento riunendo questi resti di parole e questi brandelli di frasi, rispettando gli intervalli che le separano, completando quelle il cui senso è indiscutibile; quindi compareremo e giudicheremo».
Glenarvan prese immediatamente la penna, e dopo qualche istante presentò ai suoi amici un foglio sul quale erano scritte le seguenti frasi: 7 juin 1862 trois mâts Britannia Glasgow sombré... ecc.
In quel momento, un marinaio venne ad avvertire il capitano che il Duncan stava imboccando il golfo di Clyde, e chiedeva quali fossero i suoi ordini.
«Quali sono le intenzioni di vostro onore?», disse John Mangles rivolgendosi a lord Glenarvan.
«Raggiungere Dumbarton al più presto, John; quindi, mentre lady Helena tornerà a Malcolm Castle, andrò fino a Londra a sottoporre questo documento all’ammiragliato».
John Mangles diede i suoi ordini di conseguenza, e il marinaio andò a trasmetterli al secondo.
«Ora, amici miei», disse lord Glenarvan, «proseguiamo le nostre ricerche. Siamo sulle tracce di una grande catastrofe. La vita di alcuni uomini dipende dalla nostra sagacia. Quindi impieghiamo tutta la nostra intelligenza per trovare la soluzione di questo enigma».
«Siamo pronti, mio caro Edward», rispose lady Helena.
«Innanzitutto», riprese Glenarvan, «in questo documento occorre considerare tre cose ben distinte: primo, le cose che sappiamo; secondo, quelle che possiamo congetturare; terzo, quelle che non sappiamo. Cosa sappiamo? Sappiamo che il 7 giugno 1862 un tre alberi, il Britannia, di Glasgow, è affondato; che due marinai e il capitano hanno gettato questo documento in mare a una latitudine di 37°11ʹ e che chiedevano soccorso».
«Perfettamente», replicò il maggiore.
«Cosa possiamo congetturare?», riprese Glenarvan. «Innanzitutto, che il naufragio si è verificato nei mari australi, e subito richiamerò la vostra attenzione sulla parola gonie. Non sta forse a indicare da sé il nome del paese al quale appartiene?»
«La Patagonia!», esclamò lady Glenarvan.
«Senza dubbio».
«Ma la Patagonia è attraversata dal trentasettesimo parallelo?», domandò il maggiore.
«Questo è facile da verificare», rispose John Mangles dispiegando una carta dell’America meridionale. «È proprio così. La Patagonia è sfiorata dal trentasettesimo parallelo. Questo taglia l’Araucania, costeggia, attraverso le pampas10, il Nord delle terre patagoniche, e va a perdersi nell’oceano Atlantico».
«Bene. Proseguiamo le nostre congetture. I due marinai e il capitano abor... abbordano a cosa? Contin... Il continente; sentite, un continente e non un’isola. Che ne è di loro? Qui abbiamo due lettere provvidenziali Pr... Che ci dicono della loro sorte. Questi disgraziati, infatti, sono pris o prisonniers di chi? Di cruels indiens. Siete convinti? Non vi sembra che le parole riempiano spontaneamente gli spazi vuoti? Non si chiarisce ai vostri occhi il significato di questo documento? Non si fa luce nel vostro animo?».
Glenarvan parlava con convinzione. Una fiducia assoluta traspariva dai suoi occhi. Tutto il suo ardore si trasmetteva a chi lo ascoltava. Come lui, gridarono: «È chiaro! È chiaro!».
Lord Edward, dopo un istante, riprese in questi termini:
«Tutte queste ipotesi, amici miei, mi sembrano estremamente plausibili; secondo me la tragedia si è svolta sulle coste della Patagonia. Del resto, a Glasgow farò chiedere quale fosse la destinazione del Britannia, e sapremo se poteva essere impegnato da quelle parti».
«Oh! Non c’è bisogno di cercare così lontano», rispose John Mangles. «Ho qui la collezione della “Mercantile and shipping gazette”, che ci fornirà indicazioni precise».
«Vediamo, vediamo!», disse lady Glenarvan.
John Mangles prese un fascio di giornali dell’anno 1862 e si mise a sfogliarli rapidamente. Le sue ricerche non furono lunghe, e ben presto disse, con un tono di soddisfazione:
«30 maggio 1862. Perú! Il Callao! Incarico per Glasgow. Britannia, Capitano Grant».
«Grant!», esclamò Glenarvan, «quell’ardito scozzese che ha voluto fondare una Nuova Scozia nei mari del Pacifico!».
«Sì», rispose John Mangles, «proprio quello che, nel 1861, si è imbarcato a Glasgow sul Britannia, e di cui non si sono avute più notizie».
«Non c’è più dubbio! Non c’è più dubbio!», disse Glenarvan. «È proprio lui. Il Britannia ha lasciato il Callao il 30 maggio, e il 7 giugno, otto giorni dopo la partenza, si è perso sulle coste della Patagonia. Eccone l’intera storia in queste poche parole che sembravano indecifrabili. Come vedete, amici miei, sono tante le cose che possiamo congetturare. Quanto a quelle che non sappiamo, si riducono a una soltanto: ai gradi di longitudine che ci mancano».
«Non ne abbiamo bisogno», rispose John Mangles, «poiché il paese è conosciuto, e con la sola latitudine mi farò carico di puntare dritto sul teatro del naufragio».
«Sappiamo tutto, allora?», disse lady Glenarvan.
«Tutto, mia cara Helena, e questi spazi vuoti che il mare ha formato tra le parole del documento, li riempirò senza fatica, come se scrivessi sotto dettatura del Capitano Grant».
Immediatamente lord Glenarvan riprese la penna, e redasse senza esitazioni la seguente nota:
Il “7 giugno 1862”, il “tre alberi Britannia”, di “Glasgow”, è “affondato” sulle coste della Patagonia nell’emisfero “australe”. Dirigendosi “a terra, due marinai” e “il capitano” Grant tenteranno di abbordare al “continente”, dove saranno prigionieri dei “crudeli indiani”. Hanno “gettato questo documento” a gradi ... di “longitudine e a 37°11ʹ gradi di latitudine”. “Portate loro soccorso” o sono “perduti”.
«Bene! Bene! Mio caro Edward», disse lady Helena, «e se quei disgraziati potranno rivedere la loro patria, è voi che dovranno ringraziare».
«E la rivedranno», rispose Glenarvan. «Questo documento è troppo esplicito, troppo chiaro, troppo sicuro, perché l’Inghilterra esiti a venire in soccorso di tre dei suoi figli abbandonati su di una costa deserta. Ciò che ha fatto per Franklin e tanti altri, lo farà oggi per i naufraghi del Britannia!».
«Ma quei disgraziati», riprese lady Helena, «hanno di certo una famiglia che ne piange la scomparsa. Forse questo povero Capitano Grant ha una moglie, dei figli...».
«Avete ragione, mia cara signorina, e mi incarico di far sapere loro che non è ancora persa ogni speranza. Ora, amici miei, risaliamo sul ponte di poppa, poiché dobbiamo avvicinarci al porto».
In effetti, il Duncan aveva forzato l’andatura; costeggiava in quel momento le rive dell’isola di Bute, e si lasciava Rothesay a tribordo, con la sua graziosa cittadina, adagiata in quella fertile valle; quindi si slanciò tra gli stretti passaggi del golfo, passò davanti a Greenock e, alle sei della sera, gettò l’ancora ai piedi della parete basaltica di Dumbarton, coronata dal celebre castello di Wallace, l’eroe scozzese.
Lì, una carrozza pronta attendeva lady Helena per ricondurla a Malcolm Castle con il maggiore Mac Nabbs. Quindi lord Glenarvan, dopo aver abbracciato la giovane moglie, corse a prendere l’espresso della ferrovia di Glasgow.
Ma prima di partire aveva affidato a un mezzo più rapido una nota importante, e il telegrafo, qualche minuto dopo, consegnava al «Times» e al «Morning Chronicle» un avviso redatto in questi termini:
«Per informazioni sulla sorte del tre alberi “Britannia, di Glasgow, Capitano Grant”, rivolgersi a lord Glenarvan, Malcolm Castle, Luss, contea di Dumbarton, Scozia». 

8In inglese nel testo. Sink = affondare; aland = terra; that = quel; and = e; lost = perduto.
9In inglese nel testo. Marinaio.
10Vaste pianure fertili dell’Argentina.

III. Malcolm Castle

Il castello di Malcolm, uno dei più poetici delle Highlands11, è situato presso il villaggio di Luss, da dove domina la bella vallata. Le acque limpide del lago Lomond bagnano il granito delle sue mura.
Da tempo immemore appartiene alla famiglia Glenarvan, che nel paese di Rob Roy e di Fergus Mac Gregor ha mantenuto la tradizionale ospitalità dei vecchi eroi di Walter Scott. All’epoca in cui ci fu la rivoluzione sociale in Scozia, un gran numero di vassalli, quelli che non potevano pagare gli elevati affitti delle proprietà agli anziani capi dei clan, furono scacciati.
Alcuni morirono di fame; altri diventarono pescatori; altri ancora emigrarono. Era la disperazione generale. Soli fra tutti, i Glenarvan credettero che la fedeltà legasse i grandi come i piccoli, e restarono fedeli ai loro possidenti. Neanche uno lasciò la casa che l’aveva visto nascere; nessuno abbandonò la terra dove riposavano i propri cari; tutti restarono del clan dei loro antichi signori. Inoltre, a quei tempi, durante quel secolo di disaffezione e di dissoluzione, la famiglia Glenarvan non contava che su degli scozzesi, al castello di Malcolm così come a bordo del Duncan; tutti discendenti dei vassalli di Mac Gregor, di Mac Farlane, di Mac Nabbs, di Mac Naughtons, per dire che erano figli delle contee di Stirling e di Dumbarton: gente onesta, devota anima e corpo al suo padrone, e tra cui qualcuno parlava ancora il gaelico della vecchia Caledonia12.
Lord Glenarvan possedeva una fortuna immensa; la utilizzava per fare molto del bene; la sua bontà addirittura prevaleva sulla sua generosità, perché se l’una era infinita, l’altra aveva forzatamente dei limiti. Il signore di Luss, “il possidente” di Malcolm, rappresentava la sua contea alla Camera dei lord. Ma, con le sue idee giacobite, poco sollecito a piacere al casato di Hannover, era assai malvisto dai politici d’Inghilterra, soprattutto per il fatto che si atteneva alle tradizioni dei suoi avi e resisteva energicamente alle invasioni politiche di “quelli del Sud”.
Eppure lord Glenarvan non era certo un uomo arretrato, né piccolo di spirito, né di scarsa intelligenza; ma, pur mantenendo spalancate al progresso le porte della sua contea, restava scozzese nell’anima, ed era per la gloria della Scozia che avrebbe gareggiato con i suoi yacht da corsa nei “match” del Royal Thames Yacht Club.
Edward Glenarvan aveva trentadue anni; era di alta statura, i suoi tratti un po’ severi, il suo sguardo di una dolcezza infinita, la sua persona tutta plasmata dalla poesia delle Highlands. Lo si sapeva coraggioso all’eccesso, intraprendente, cavalleresco, un Fergus del XIX secolo, ma buono sopra ogni cosa, migliore di san Martino stesso, poiché aveva donato il suo intero mantello alla povera gente delle terre alte.
Lord Glenarvan era sposato da appena tre mesi; si era unito con miss Helena Tuffnel, la figlia del grande esploratore William Tuffnel, una delle numerose vittime della scienza geografica e della passione per le scoperte.
Miss Helena non apparteneva a una famiglia nobile, ma era scozzese, cosa che agli occhi di lord Glenarvan valeva quanto tutte le nobiltà; di questa giovane affascinante, coraggiosa, devota, il signore di Luss aveva fatto la compagna della sua vita. Un giorno, la incontrò che viveva sola, orfana, pressoché senza mezzi, nella casa di suo padre, a Kilpatrick.
Capì che la povera figliola sarebbe diventata una valida moglie; la sposò. Miss Helena aveva ventidue anni; era una giovane bionda, con gli occhi blu come l’acqua dei laghi scozzesi in un bel mattino di primavera. Il suo amore per il marito era anche più grande della sua riconoscenza. Lo amava come se fosse stata lei la ricca ereditiera e lui l’orfano abbandonato. Quanto ai suoi fattori e alla servitù, erano pronti a dare la loro vita per quella che chiamavano “Nostra Signora di Luss”.
Lord Glenarvan e lady Helena vivevano felici a Malcolm Castle, nel mezzo della natura superba e selvaggia delle Highlands, passeggiando per i viali adombrati dai castagni e dai sicomori, sulle rive del lago dove risuonavano ancora i pibrochs13 dei tempi andati, sul fondo di quelle gole incolte nelle quali la storia della Scozia è scritta tra rovine secolari. Un giorno si fermavano nei boschi di betulle e di larici, tra i vasti campi di brughiere ingiallite; un altro giorno scalavano le ripide cime del Ben Lomond, o cavalcavano attraverso i glens14abbandonati, studiando, comprendendo, ammirando la poetica regione ancora nominata “il Paese di Rob Roy”, e tutti quei siti celebri, così valorosamente cantati da Walter Scott. La sera, mentre calava la notte, quando “la lanterna di Mac Farlane” s’illuminava all’orizzonte, andavano errando lungo la bartazenne, una vecchia galleria circolare che faceva da collana di merli al castello di Malcolm, e lì, pensierosi, dimenticati e come soli al mondo, seduti su qualche pietra smossa, nel mezzo del silenzio della natura, sotto i pallidi raggi della luna, mentre la notte avanzava poco a poco sulle cime dei monti oscurati, restavano sepolti in una limpida estasi, in quel rapimento intimo di cui, sulla Terra, soltanto i cuori che amano posseggono il segreto.
Così trascorsero i primi mesi del loro matrimonio. Ma lord Glenarvan non dimenticava che sua moglie era figlia di un grande esploratore! Pensò che lady Helena dovesse avere nel cuore tutte le aspirazioni del padre, e non si sbagliava. Il Duncan venne costruito; era destinato a trasportare lord e lady Glenarvan verso i paesi più belli del mondo, tra i flutti del Mediterraneo, e fino alle isole dell’arcipelago. Non si può immaginare quale fosse la gioia di lady Helena quando il marito mise il Duncan ai suoi ordini! In effetti, c’è forse una gioia più grande che condurre il proprio amore verso le splendide regioni della Grecia, e veder sorgere la luna di miele sulle rive incantate d’Oriente?
Nel frattempo lord Glenarvan era partito per Londra.
Ne andava del destino di naufraghi disgraziati; tuttavia, di quella breve assenza lady Helena si mostrò piuttosto impaziente che triste; l’indomani, un dispaccio del marito la fece sperare in un repentino ritorno; la sera, una lettera richiedeva una proroga; le intenzioni di lord Glenarvan tradivano qualche difficoltà; il giorno successivo, una nuova lettera, nella quale lord Glenarvan non nascondeva il suo malcontento nei confronti dell’ammiragliato.
Quel giorno stesso, lady Helena cominciò a essere inquieta.
La sera, si trovava sola nel suo alloggio, quando l’intendente del castello, il signor Halbert, venne a domandarle se volesse ricevere una ragazza e un ragazzo che desideravano parlare con lord Glenarvan.
«Gente del paese?», chiese lady Helena.
«No, signora», rispose l’intendente, «dato che non li conosco. Sono appena arrivati con la ferrovia di Balloch, e da Balloch a Luss hanno percorso la strada a piedi».
«Pregateli di salire, Halbert», disse lady Glenarvan.
L’intendente uscì. Dopo qualche istante, la ragazza e il ragazzo furono introdotti nella stanza di lady Helena. Erano fratello e sorella. Data la loro rassomiglianza non si poteva dubitarne.
La sorella aveva sedici anni. La sua figura graziosa, un po’ affaticata, i suoi occhi, che dovevano aver pianto spesso, la sua fisionomia rassegnata, ma coraggiosa, le sue vesti povere, ma pulite, predisponevano bene nei suoi confronti. Teneva per mano un ragazzino di dodici anni dall’aria decisa, e che sembrava tenere la sorella sotto la sua protezione. Veramente! Qualsiasi cosa fosse mancata alla ragazza se ne sarebbe occupato questo giovane ometto! La sorella restò ammutolita, trovandosi davanti a lady Helena. Questa si affrettò a parlare.
«Desiderate parlarmi?», disse incoraggiando la giovane con lo sguardo.
«No», rispose il ragazzino con tono deciso, «non a voi, ma a lord Glenarvan stesso».
«Perdonatelo, signora», disse allora la sorella guardando il fratello.
«Lord Glenarvan non è al castello», riprese lady Helena; «ma sono sua moglie, e se potessi fare io qualcosa per voi...».
«Voi siete lady Glenarvan?», disse la ragazza.
«Sì, signorina».
«La moglie di lord Glenarvan di Malcolm Castle, che ha pubblicato sul “Times” una nota relativa al naufragio del Britannia
«Sì! Sì!», rispose lady Helena prontamente, «e voi?...».
«Sono miss Grant, signora, e questo è mio fratello».
«Miss Grant! Miss Grant!», esclamò lady Helena avvicinando a sé la giovane, prendendola per le mani, baciando le guance paffute del giovane ometto.
«Signora», riprese la ragazza, «cosa sapete del naufragio di mio padre? È vivo? Lo rivedremo mai? Parlate, vi supplico».
«Cara figliola», disse lady Helena, «Dio mi risparmi dal rispondervi con leggerezza in una simile circostanza; non vorrei darvi speranze illusorie...».
«Parlate, signora, parlate! Sono forte contro il dolore, e sono pronta a ricevere qualunque notizia».
«Mia cara figliola», riprese lady Helena, «le speranze sono poche, ma con l’aiuto di Dio, che tutto può, è possibile che un giorno rivediate vostro padre».
«Mio Dio! Mio Dio!», esclamò miss Grant, che non poté trattenere le lacrime, mentre Robert ricopriva di baci le mani di lady Glenarvan.
Passato questo primo accesso di gioia dolorosa, la ragazza si lasciò andare e fece un’innumerevole serie di domande; lady Helena le raccontò la storia del documento, come il Britannia si era perso sulle coste della Patagonia; in che modo, dopo il naufragio, il capitano e due marinai, soli sopravvissuti, dovevano aver raggiunto il continente; infine, come imploravano il soccorso del mondo intero con questo documento scritto in tre lingue e abbandonato ai capricci dell’oceano.
Durante il racconto, Robert Grant divorava con lo sguardo lady Helena; la sua vita era sospesa alle labbra di lei; la sua immaginazione di bambino gli disegnava nella mente le terribili scene di cui suo padre aveva dovuto essere vittima; lo vedeva sul ponte del Britannia; lo seguiva tra i flutti; si aggrappava con lui alle rocce della costa; si trascinava ansimante sulla spiaggia e fuori della portata delle onde. Più volte, durante il racconto, delle parole gli sfuggirono dalla bocca.
«Oh! Papà! Mio povero papà!», gridava stringendosi alla sorella.
Quanto a miss Grant, ascoltava, con le mani giunte, e non pronunciò una sola parola, fino al momento in cui, a racconto terminato, disse:
«Oh! Signora! Il documento! Il documento!».
«Non l’ho più, cara figliola», rispose lady Helena.
«Non l’avete più?»
«No, nell’interesse di vostro padre stesso è stato portato a Londra da lord Glenarvan; ma vi ho detto tutto ciò che c’era scritto parola per parola, e come siamo giunti a ricostruirne il significato esatto; tra questi brandelli di frasi quasi cancellate, i flutti hanno risparmiato qualche cifra; sfortunatamente, la longitudine...».
«Ce la caveremo!», esclamò il ragazzino.
«Sì, signor Robert», rispose Helena sorridendo a vederlo tanto determinato. «Così, come vedete, signorina Grant, ora conoscete tutti i dettagli di quel documento a me noti».
«Sì, signora», rispose la giovane, «ma avrei voluto vedere la scrittura di mio padre».
«Ebbene, domani, forse domani, lord Glenarvan sarà di ritorno. Mio marito ha voluto sottoporre quel documento inconfutabile ai commissari dell’ammiragliato, per affrettare l’invio immediato di un’imbarcazione alla ricerca del Capitano Grant».
«Davvero, signora?», esclamò la ragazza, «avete fatto questo per noi?»
«Sì, mia cara signorina, e attendo lord Glenarvan da un momento all’altro».
«Signora», disse la giovane con un tono di profonda riconoscenza e con religioso ardore, «che lord Glenarvan e voi siate benedetti dal cielo!».
«Cara figliola», rispose lady Helena, «non meritiamo alcun ringraziamento; chiunque al nostro posto avrebbe fatto ciò che abbiamo fatto noi. Possano realizzarsi le speranze che vi ho lasciato concepire! Fino al ritorno di lord Glenarvan, dimorerete al castello...».
«Signora», rispose la giovane, «non vorrei abusare della cortesia che mostrate a degli stranieri».
«Stranieri! Cara figliola; né vostro fratello né voi siete degli stranieri in questa casa, e voglio che al suo arrivo lord Glenarvan informi i figli del Capitano Grant su ciò che si tenterà di fare per salvare loro padre».
Un’offerta tanto accorata non si poteva rifiutare. Si decise, dunque, che miss Grant e suo fratello avrebbero atteso a Malcolm Castle il ritorno di lord Glenarvan.
  
11Letteralmente, Terre alte. Rilievi della Scozia settentrionale.
12Antico nome della regione che corrisponde all’attuale Scozia.
13In inglese nel testo. Musiche marziali per cornamusa.
14In inglese nel testo. Particolare valle, solitamente molto allungata, profonda e con una forma a U.