LA TROVATELLA DI MILANO
Carolina Invernizio
Estratto: Capitoli 1 e 2
CAPITOLO PRIMO.
La maschera misteriosa.
La mezzanotte era ribattuta a tutti gli orologi della città, quando Maria, la bella guantaia di Porta Vittoria, si decise chiudere il suo negozio. Aveva fatto così tardi, perchè era l'ultimo giorno di carnevale e gli avventori non erano mancati.
Maria appariva stanca, abbattuta. I suoi grandi occhi azzurri, lieti e brillanti, si mostravano leggermente velati; i capelli finissimi
castani, le cadevano in disordine sul collo e sulla fronte; le guancie aveva pallide, la piccola bocca sorridente, un po' scolorita.
Tuttavia era sempre affascinante: un abito di panno verde con corsaletto di panno bianco ricamato in spighetta dorata, dava risalto
alla grazia delle tornite spalle e faceva spiccare la vita sottile, flessibile: alla leggiadra semplicità del suo portamento, univa un'altera castità.
Messi gli sporti alle vetrine, Maria stava per ritirarsi, quando un individuo mascherato, che veniva correndo dalla parte del bastioni, si slanciò nel negozio, respingendo indietro con un urto la giovine ed esclamando con voce soffocata:
—Per pietà, nascondetemi, salvatemi.
Nel primo sbalordimento, Maria era per chiamare aiuto; ma l'individuo si era tolta la maschera e mostrava un viso così gentile, animato dal
fulgore di due occhi nerissimi e da un sorriso così incantevole, che la giovine si affrettò a chiudere l'uscio e mettervi il catenaccio.
—Eccovi al sicuro—disse quindi colla sua voce fresca, armoniosa—ma non posso già tenervi qui tutta la notte.
—Nè io abuserò a lungo della vostra gentilezza; mi basta far perderele mie traccie.
Maria sussultò, guardando con maggiore curiosità lo sconosciuto. Egli
indossava un ampio domino nero, che aprendosi sul dinanzi, lasciava
scorgere al disotto un ricco costume di raso celeste e argento: il
cappuccio del domino essendogli caduto sulle spalle, mise allo
scoperto una testa bionda e ricciuta come quella di un fanciullo.
—Eravate dunque inseguito?—chiese la giovine arrossendo alquanto.
—Sì, ma spero non mi prenderete per un ladro o qualche malfattore
travestito, sorpreso dalle guardie: chi mi seguiva è un mio nemico ed
io avevo le mie buone ragioni per non cadere nelle sue mani.
Poi cambiando vivamente discorso:
—Mi dispiace darvi incomodo—aggiunse—voi forse stavate per recarvi
al riposo.
—È vero, ma se starò alzata un'ora di più, non ne soffrirò. Abito qui
sopra: dalla retrobottega, posso salire in casa.
—State sola?
—Ho con me la mamma, ma ella, povera vecchia, va a letto presto.
—Non avete paura giovane e bella come siete rimanere senza alcuno, di
notte, in negozio?
Maria alzò il bel capo con alterezza, schiuse le labbra al sorriso e
fissando sul giovane uno sguardo calmo e sicuro, che annunziava la
perfetta quiete della sua anima.
—Paura?—esclamò—E di chi? I ladri farebbero un magro bottino e in
quanto a me, se qualcuno ardisse insultarmi, saprei difendermi.
Il suo viso, l'atteggiamento, esprimevano una tale energia, che lo
sconosciuto la guardò con viva ammirazione.
—Sapete a cosa penso?—-disse dopo un momento di espressivo silenzio,
appoggiandosi con un gomito al banco, mentre la guantaia rimetteva in
ordine alcune scatole negli scaffali.
—Che volete che sappia se non me lo dite.—rispose volgendosi a
riguardarlo.
—Penso che si deve essere molto felici amati da voi.
Un vivace rossore salì alle guancie di Maria: ella alzò graziosamente
le spalle.
—Io non amo alcuno.—disse.
Egli scosse dolcemente il biondo capo.
—Non è possibile.
Maria ebbe un sorriso affascinante.
—Avete ragione, vi ho ingannato: amo, anzi adoro… mia madre.
Poi ritornando seria e come pigliasse un'improvvisa risoluzione.
—Temete signore—chiese—che la persona, dalla quale eravate
inseguito, vi abbia veduto entrar qui?
—Spero di no, avevo molto vantaggio su di lei, tuttavia scommetto che
sta perlustrando la strada…
—Se ascoltaste un mio consiglio, cangereste d'abiti.
—Potete procurarmene degli altri?
—Ve ne posso dare uno dei miei.
—Un travestimento da donna? Ebbene, perchè no? Siamo di carnevale:
accetto.
—Attendete un momento: vado a prepararvi quanto può occorrervi.
Disparve nella retrobottega, lasciando solo lo sconosciuto. Allora il
viso di questi subì una trasformazione: la fronte gli si corrugò come
quella dì un vecchio: i suoi occhi presero un'espressione dura, quasi
crudele, le sue labbra si raggrinzarono.
—Che disdetta!—mormorò—Eppure avevo sperato di raggiungere il mio
intento! Ma prenderò la mia rivincita e prima che egli giunga a
possedere Adriana, lo voglio morto.
Si ricompose, perchè Maria rientrava.
—Signore—diss'ella con semplicità e franchezza—andate a cambiarvi:
troverete tutto pronto: io vi attendo qui.
Rimase in piedi, presso il banco, meditabonda. Non sentiva più la
stanchezza, si trovava sotto il fascino di una potente emozione, senza
saper spiegarsene il perchè.
Maria era usa servire degli avventori giovani, belli, eleganti; molti
si recavano appositamente da lei, per avere l'occasione di ammirarla,
sussurrarle qualche dolce parola, farle un po' di corte. La guantaia
accettava sorridendo quegli omaggi e dichiarazioni, ma non
incoraggiava alcuno; il suo cuore era rimasto fino allora tranquillo,
la sua riputazione d'onestà non aveva ricevuta la più piccola macchia.
Ma in quella notte, la presenza dello sconosciuto le cagionava un
insolito, involontario turbamento: il cuore le batteva a colpi
precipitosi. Avrebbe voluto sapere chi egli fosse, da qual luogo era
fuggito in quel costume e perchè lo perseguitavano.
Fu scossa nel vederlo ricomparire: le sue guancie si infiammarono ed
un sorriso, un po' tremulo, inarcò le sue rosee labbra.
Vestito da donna, egli sembrava ancora più carino, civettuolo. Se due
piccolissimi baffetti biondi non gli avessero ombreggiata la bocca, si
sarebbe davvero potuto prendere per una leggiadra ragazza. Non
mostrava alcun impaccio sotto quegli abiti femminili, anzi il suo
elegante personale, pareva aver acquistato maggiore sveltezza ed
elasticità.
—Come vi sembra che stia?
—A meraviglia, nessuno vi riconoscerà, specialmente se abbasserete il
velo del cappello.
—Volevo guardarvi ancora una volta.
Per nascondere il suo rossore e la sua confusione, Maria si affrettò a
rivolgersi ed a togliere il catenaccio dalla porta.
—Fermatevi—esclamò con vivacità lo sconosciuto—voglio dirvi che
domani vi rimanderò i vostri abiti e pregarvi a non serbare di me una
triste impressione, a perdonarmi.
Maria invece di rispondere, dischiuse la porta e dopo aver guardato al
di fuori, rivolse il viso, ritornato pallido ed alquanto serio, verso
il giovane.
—La via è libera—disse—potete uscire, signore.
Lo sconosciuto con un moto pronto al pari dell'idea, afferrò con ambe
le mani la bella testa della guantaia, depose sulle labbra di lei un
bacio infuocato, poi slanciandosi in istrada, scomparve.
A Maria le parve che con quel bacio, egli le avesse portata via
l'anima, tanto fu scossa sino in fondo al suo essere.
Rimase un istante come svenuta, con gli occhi umidi, le labbra
frementi…
Poi sembrò respingere dentro di sè quell'impressione e il suo viso
riprese l'abituale serenità.
Rinchiuso accuratamente l'uscio, spense il lume e passata nella
retrobottega, senza osservare gli abiti lasciati dal giovane, prese
una lucernetta ad olio e per una scaletta di legno, salì alla camera
da letto, l'unica stanza di quel magazzino.
Era addobbata modestamente, ma di una pulitezza che incantava. Il
suolo si mostrava lucidissimo, le pareti parevano colorite di fresco.
Due letticcioli di ottone, separati da un tavolino da notte, un
armadio di noce, quattro seggiole intarsiate, un divano di cuoio, uno
specchio con cornice di rame dorato, un porta-abiti di ferro
verniciato, compivano il mobiglio della camera.
Maria entrò in punta di piedi e facendo con una mano riparo alla
fiamma della lucerna, si avvicinò ad uno dei letti e si pose a
contemplare il viso soave, sebbene appassito dagli anni, di una donna,
che dormiva profondamente, appoggiando il capo all'alto del capezzale,
sul braccio ripiegato.
Sul vago sembiante di Maria apparve un'espressione di tenerezza, di
contento.
Quel sonno calmo, quella respirazione dolce e misurata,
L'atteggiamento stesso tutto pace, rassicurarono la bella guantaia.
Sua madre nulla aveva sentito: ella poteva nasconderle la strana
avventura di quella notte.
Si ritrasse pian piano e deponendo la lucerna in un angolo, si dispose
a coricarsi.
CAPITOLO SECONDO.
Cuore di popolana.
Nel 1848, diciotto anni prima della scena raccontata, allorchè il
popolo milanese si sentì l'animo di scuotere il giogo austriaco, nelle
gloriose cinque giornate, anche le donne presero parte alla
sollevazione, mostrando come l'amore della libertà possa rendere anche
i più deboli, audaci ed invitti.
Fra quelle che più si distinsero, vi fu la Luigia Battistotti maritata
Sassi, la quale deposti gli abiti femminili, sotto le spoglie di
fuciliere, corse nelle vie a cercare il pericolo, incoraggiando
ovunque, colla sua presenza, i combattenti; la Giuseppina Lazzeroni,
una bella giovinetta che seguì a Ponte Vetero il fratello e combattè
intrepidamente al suo fianco, comunicando il suo ardore agli altri,
facendo prodigi di valore; infine Annetta Durini, che fu compagna al
marito nelle barricate di porta Tosa, ora Vittoria, dove il coraggioso
popolano trovò la morte.
La moglie che se lo vide cadere ai piedi, non si abbandonò ad atti di
dolore, di disperazione: inginocchiatasi, baciò con rispetto quella
fronte crivellata di palle, tolse dal collo del morto una sciarpa
inzuppata di sangue, che nascose in seno, poi sorse animosa,
ricominciando a combattere.
L'idea di vendicare quel prode, che ella avea tanto amato, accrebbe la
sua energia, la fece comparire come trasfigurata. Annetta Durini aveva
oltrepassati i quarant'anni; ma la freschezza della carnagione, gli
occhi scintillanti, i denti bianchissimi, i capelli folti e neri, la
facevano apparire assai più giovine.
Indossava un abito corto, stretto ai fianchi opulenti, un corsaletto
le cingeva il busto scultorio; portava il cappello all'italiana; al
collo teneva un fazzoletto di seta negligentemente annodato, in mano
la carabina, alla cintura un pugnale ed una pistola.
A Porta Tosa, ebbe il cappello portato via dalle palle nemiche, per
aver difesa una famiglia, che stava per cadere in mano ai Croati; più
tardi, mentre confortava un moribondo, fu ferita alla nuca. Tuttavia
non si scompose e malgrado il sangue che le pioveva sul collo e sulle
mani, continuò il suo pietoso ufficio.
Durante le cinque giornate, Annetta non posò mai le armi; ma
allorquando gli Austriaci ebbero provato invano il ferro ed il fuoco
contro la città protetta da un santo diritto; quando tanto peso di
forza brutale, dovette cedere alla generosa audacia, all'eroismo dei
prodi milanesi, che con tanto sangue pagavano la loro libertà; la
coraggiosa popolana, affranta dalle fatiche, spossata da lungo
digiuno, si ritrasse alla sua abitazione, in una di quelle poche case
di Porta Tosa, che non erano state completamente devastate dalle
fiamme e dal saccheggio. Per la prima volta, dopo tanti giorni di
lotta, di energia, Annetta nell'entrare in quella casa fu assalita
dallo scoraggiamento, da una muta disperazione.
Ormai ella avrebbe cercato invano nelle sue stanze il volto adorato
del marito: non avrebbe più intesa la voce di lui, nè si sarebbero
potuto rallegrare insieme della vittoria ottenuta. Di più non aveva un
figlio che le ricordasse quelle care sembianze, un figlio in cui
trasfondere tutto l'amore che aveva portato all'eroico defunto.
Rimaneva sola al mondo.
Salì le scale a stento, sentendosi piegare le gambe, cogli occhi
velati dalle lacrime. Ma ad un tratto ristette come sbalordita. Era
giunta sul pianerottolo e dinanzi al suo uscio, stesa nel vano, eravi
una bambina di forse due anni o poco più, di una bellezza angelica,
vestita di bianco, ma tutta bruttata di sangue, immobile, cogli occhi
chiusi, come se fosse morta.
Chi era? L'avevano uccisa su quella soglia? Vinto il primo moto di
raccapriccio, Annetta sollevò la fanciullina nelle sue braccia,
accostò il suo orecchio al cuore di lei e con un fremito di gioja
indescrivibile, si accorse che batteva ancora.
—Vive, la salverò!—disse la popolana con mirabile espressione di
entusiasmo, di risolutezza, dimenticando i proprii dolori in quella
nuova opera di carità.
Annetta portò la fanciullina sul letto e si mise a svestirla
delicatamente, per riscontrare se aveva qualche ferita sul tenero
corpicino. Intanto non potè a meno di rimarcare la biancheria
finissima, l'eleganza degli stivaletti, le calze di seta a trafori e
sopratutto la colpì un bizzarro medaglione d'oro, che raffigurava una
testa da morto, appeso ad una microscopica catenella pure d'oro.
La popolana mise tutto da parte e constatato con piacere che su quel
corpicino di una bianchezza nivea, non eravi la minima scalfittura, si
adoperò a tutta possa per far rinvenire la bambina. Difatti questa non
tardò ad agitarsi, ad aprire gli occhi, balbettando:
—Mamma, mamma.
Annetta fu assalita da una commozione straordinaria a quella vocina
dolce, carezzante.
Si chinò a baciare la bambina, che sorrise ripetendo:
—Mamma.
—Non sono io la tua mamma, cara, ma sento già di amarti come tale.
Dimmi chi sei, come ti chiami.
La bambina la fissava con due begli occhi di un azzurro profondo,
dallo sguardo un po' trasognato, smarrito. Balbettò alcune parole
incomprensibili, poi si mise a piangere.
Alla popolana sorse l'idea che la fanciulletta potesse aver fame.
Corse ad una madia, dove trovò ancora un pane assai duro, ne inzuppò
alcune fette in un bicchiere di vino e gliele portò.
La bambina si mise a mangiare avidamente. Annetta l'imitò. Il sole
brillava nella stanza riempiendola di calore, di allegrezza. Un senso
di benessere infinito invadeva il cuore della popolana. Ebbe per un
istante il pensiero di nascondere gelosamente quella piccina,
conservarla per sè sola. Come avrebbe rallegrata la sua solitudine,
riempito il suo cuore! Quanti baci, carezze, cure infinite, avrebbe
avute per lei!
Ma quasi tosto provò un brivido di rimorso; quella creaturina doveva
avere una madre, che forse in quell'istante la piangeva, la chiamava
con grida disperate.
La popolana non poteva mentire al suo cuore: non pensò più alla
propria felicità, ma grande d'abnegazione, consolandosi all'idea della
gioja che avrebbe procurata a quella madre, si mise tosto a farne
ricerca. Ma per quanto s'informasse, mettesse in moto vicini ed amici,
non potè trovare alcuna traccia dei parenti di quella fanciullina, nè
giunse mai a sapere da chi fosse stata posta sulla soglia del suo
uscio e da chi provenisse quel sangue, dal quale aveva aspersi i
candidi abitini.
La bambina non era in grado di dare spiegazioni: l'unica parola che
uscisse chiara dai suoi rosei labbruzzi era quella di «mamma»
Annetta non ebbe allora più scrupoli di tenerla con sè e in memoria
del suo Mario, l'adorato marito, la chiamò Maria, Gli anni passarono
senza portare maggior luce sul mistero della trovatella e la popolana
finì col non pensarci più e considerarla come una sua vera figlia.
Annetta aveva da parte un buon gruzzolo, perchè il mestiere
d'armaiuolo esercitato dal marito gli aveva dati molti guadagni e
permesso delle economie.
La popolana spese una parte di quel denaro per far istruire la
fanciulla e quando Maria compì il quattordicesimo anno, secondo i
calcoli fatti da Annetta, la mise presso una sua amica, una buona
vedova, che aveva un negozio da guantaja, assai rinomato, sul Corso di
Porta Vittoria, onde l'iniziasse al suo mestiere.
E l'anno dopo, essendo la vedova improvvisamente morta, Annetta rilevò
dagli eredi il negozio, pagando tutto a pronti contanti e andando a
stabilitisi definitivamente con Maria.
La giovinetta si faceva ogni giorno più bella e bisognava vedere con
quanta grazia e sveltezza sapeva servire gli avventori e come teneva
in ordine i libri di negozio.
La popolana, un po' indebolita di forze, per una malattia alle gambe,
sedeva abitualmente dietro al banco, contemplando come in estasi
quella bella creatura, che aveva il potere di rianimarla, farla
sorridere, sviare dalla sua mente un cumulo di tristi memorie.
Annetta aveva nascosto a Maria in qual modo era divenuta sua figlia,
perchè l'avvenuto era svanito come un sogno dalla mente della
fanciulla. Questa credeva la popolana sua madre ed i vincoli d'affetto
che univano quelle due buone creature, si facevano ogni giorno più
saldi.
A vent'anni, Maria si mostrava in tutto il pieno sviluppo della sua
bellezza affascinante. Aveva avute parecchie richieste di matrimonio,
che sempre rifiutò, dicendo di trovarsi troppo felice al fianco di sua
madre per desiderare altra sorte. Non aveva ancora amato. Eppure nelle
sue vene scorreva un sangue caldo, impetuoso, aveva la fantasia
vivacissima e l'avventura di quella notte colla maschera misteriosa,
la gettò bruscamente in un mondo d'idee nuove per lei e perciò appunto
più pericolose.
Invano la bella guantaja cercò dormire: nell'ombra della stanza,
vedeva sempre l'immagine dello sconosciuto, sentiva ancora sulle sue
labbra il tocco bruciante delle labbra di lui.
L'alba la sorprese cogli occhioni spalancati, il viso pallido,
abbattuto, le labbra frementi, che mormoravano quasi inconscie:
—Chi sarà mai? Lo rivedrò io ancora?