martedì 11 dicembre 2018

NOI SIAMO SOCIALISTI
da Guido Morselli. Il Comunista , Adelphi Edizioni, Milano, 1976.

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[...] Noi siamo socialisti, perciò siamo dei credenti, aspettiamo un cambiamento del quale molti di noi sanno che non cambierà la sostanza del vivere. La farà finita con una certa categoria di egoismi, ed è già molto. Per questo dobbiamo essere socialisti. Senza illuderci[...]
[...]Antonino Amoruso aveva la curiosità perseverante di certi medici. Non si era dimenticato dell’episodio del tipografo trentenne, morto d’improvviso nella sua officina: l’amico di Ferranini; e era voluto andare a fondo. Si era messo in contatto col collega che lo aveva visto subito dopo il decesso. La breve indagine confermava che il Gennaro era stato vittima di un aneurisma da fatica.
Ne riparlò a Ferranini in un intervallo a Montecitorio - Noialtri – osservò poi – ci diamo da fare per cambiare il letto all’ammalato. Ma bisognerebbe anche poterlo guarire. E qui non ci riusciamo, ho paura. Ferranini sapeva dove paravano quelle curiose parole
- E allora?
- Allora? il problema è proprio questo! Il concetto di penosità del lavoro è rimasto un’astrazione dei trattati di economia e nessuno ne parla in senso concreto. I classici del socialismo descrivono la disumanizzazione conseguente al lavoro, facendo però di questa disumanizzazione un attributo negativo del lavoro organizzato e sfruttato. Ora il primo uomo sulla terra non ha penato anche lui lavorando?
Diventò un loro argomento abituale, quando si vedevano alla Camera o nella trattoria a via dei Coronari. Ogni tanto alle loro conversazioni contribuivano Reparatore e Boatta. Ma il discorso né si allargava né progrediva. Reparatore fece un’osservazione attinta al dialetto
 - Noi in Bassa Italia non diciamo lavorare, diciamo “faticare”. Perché lavorare è subire una violenza, un “travaglio”, nella misura in cui consiste nell’aprirci una strada nella materia bruta, cavandola, trasportandola, trasformandola. E dove non c’è sforzo non c’è lavoro.
Amoruso spiegò che difatti lavorare è un disperdere energie, attingendole a quel peculio di forza fisica o mentale che serve al nostro organismo per mantenersi un po’ sopra il livello della semplice sopravvivenza. Il lavoratore paga di persona nel senso più preciso perché si priva di un possesso vitale, di forze che servono dentro di lui, che ineriscono al processo organico. E Ferranini aggiunse che lui, anni prima, vedendo gli operai che uscivano alla fine della giornata dalle cooperative (un lavoro sottratto allo sfruttamento del padronato) e trovandoli affaticati, depressi, tristi persino, aveva tentato di spiegarsi il fatto ragionando che quelli vivevano pur sempre in ambiente capitalistico. Assillati dalla concorrenza, dalla ostilità delle aziende capitalistiche.
 - Se fosse così, - disse Reparatore – in URSS gli operai dovrebbero sortire allegri e ben portanti dalle officine. E questo io non sono disposto a crederlo.
- Per me, – intervenne Boatta – la colpa è della divisione del lavoro. È la divisione del lavoro che lo rende odioso qualche volta. E la divisione del lavoro è colpa del capitalismo.
- O della tecnica, – disse Reparatore – tanto è vero che nella società socialista industrializzata tu ritrovi il lavoro suddiviso. O piuttosto, è colpa della natura, è un fenomeno oggettivo, naturale, inevitabile. Ma poi, lasciamo da parte la divisione del lavoro, il lavoro resta penoso lo stesso. Prendete Robinson Crusoe, quello faceva tutto da solo, eppure il lavoro era pesante anche per lui. E nemmeno l’aiuto delle macchine cambia la situazione, la trasforma ma non la migliora. La macchina importa maggiore tensione. Trasferisce il logorio dalle braccia ad altri organi.
 Amoruso arrivando da Formia depositava l’auto in un cortile di via delle Carrozze, una traversa del Corso; quella sera la conversazione ebbe un seguito fra lui e Ferranini, lì nell’auto, dopo che gli ebbe misurato la pressione arteriosa previa una sommaria auscultazione. Gli era già capitato di visitarlo a quella maniera molto ambulatoria, dato che il suo amico non voleva saperne di controlli più accurati.
 - Vedi, – disse Ferranini mentre Amoruso rimetteva nella borsetta lo sfigmomanometro – forse sono un pessimista, per me il lavoro e i suoi mali sono una delle facce della sofferenza che l’essere vivente deve per forza subire. Per sopprimere questa sofferenza bisognerebbe sopprimere il dualismo che c’è, l’antagonismo che c’è, fra gli esseri viventi e il mondo inorganico. La “lotta di classe” della vita contro la realtà fisica in cui si afferma (a dispetto di cui si afferma), non cessa mai. La necessità del lavoro è un’espressione, io dico, della ostilità attiva o inerte dell’ambiente. Come il terremoto e la siccità, come la malattia, come il colesterolo che intasa le arterie.
-  E puoi aggiungerci – notò Amoruso – quella forma più sottile di malattia, di aggressione da virus, che sono la violenza e l’ingiustizia. Da parte degli altri uomini, i quali, bada bene, non “peccano”: non peccano perché sono determinati da impulsi che dimostrano ancora l’ostilità della natura. Come vedi, sono pessimista anch’io.
-  E le macchine? Molti danno colpa alle macchine dei disordini e dei mali che avvengono. Ma le macchine non sono natura? Un involucro che noi mettiamo sulle forze della natura. Crediamo di esserne i padroni, è un’illusione ingenua.
 Amoruso armeggiava intorno alla plafoniera dell’auto che si era spenta. Rimasero al buio, nel cortile appena illuminato dai riflessi intermittenti di un’insegna al neon.
 - L’idea del dualismo, della “lotta di classe” come dici tu, fra la vita e la realtà esterna, si ricollega a una vecchia tesi, ma mi pare che non è facile confutarla. In fondo è il presupposto tetro e irrefutabile dell’evoluzionismo, combattere per vivere, non finire mai di combattere altrimenti si va sotto, e restano a galla solo gli organismi che hanno più risorse e che a combattere non rinunciano.
- Lo so, – ribatté Ferranini – è anche la tesi dell’evoluzionismo, da cui risulta che l’evoluzione non ha mai termine. Cioè travolge per sempre tutti gli esseri, anche noi uomini, in una lotta senza fine contro gli altri esseri e contro l’ambiente. Ma io mi domando: noi socialisti crediamo in un processo che non solo ha una conclusione, ma una conclusione tutta bella, tutta felice, il trionfo dell’uomo sul male. Si stabilisce una società senza privilegi e soprattutto senza conflitti. Ora: come mettiamo d’accordo queste due vedute? Perché anche la dottrina dell’evoluzione è scienza, non è mica poesia, e Engels lodava Darwin, lodava la sua grande scoperta. Lenin dice: “Lo sviluppo è nella lotta degli opposti”. Però Lenin pensava che la Rivoluzione d’Ottobre fosse l’inizio della fine di questa lotta, e che a un dato momento, magari dopo cento anni, ci sarebbe stata pace e completo benessere per i lavoratori.
 Amoruso si riservava l’ultima parola.
 - Noi siamo socialisti, perciò siamo dei credenti, aspettiamo un cambiamento del quale molti di noi sanno che non cambierà la sostanza del vivere. La farà finita con una certa categoria di egoismi, ed è già molto. Per questo dobbiamo essere socialisti. Senza illuderci.[...]