giovedì 13 dicembre 2018



IL RACCONTO DI PADRE ALEKSEJ
Estratto da "Il canto dell'amor trionfante"
Ivan Sergeevitch Turgenev
Una ventina di anni fa mi accadde di dover visitare, nella veste di ispettore privato, tutte le proprietà, abbastanza numerose, di mia zia. I parroci ai quali credetti che fosse mio dovere presentarmi, si rivelarono persone tutto sommato banali, tutti tagliati sullo stesso modello; alla fine, però, in una delle ultime proprietà che visitai, mi imbattei in un prete che non assomigliava ai suoi confratelli. Era un uomo molto vecchio, quasi decrepito, e se non fosse stato per le stringenti preghiere dei suoi parrocchiani che lo adoravano e lo veneravano, avrebbe chiesto da tempo di essere messo a riposo. Due particolarità di padre Aleksej (così si chiamava il prete) mi colpirono in modo particolare. Innanzi tutto, non solo non mi chiese nessun sussidio ma, al contrario, mi dichiarò francamente che non aveva bisogno di niente; in secondo luogo non avevo mai visto sul viso di un uomo un'espressione così triste, completamente indifferente, o come si dice "rassegnata". I tratti del suo viso erano comuni, contadineschi: una fronte rugosa, piccoli occhi grigi, un naso grosso, una barbetta a punta, la pelle scura e bruciata dal sole... Ma l'espressione!... l'espressione! Nello sguardo spento brillava solo una scintilla di vita, e anche la voce aveva qualcosa di offuscato, privo di vita. Mi ero ammalato e rimasi a letto un po' di giorni; padre Aleksej veniva a farmi visita ogni sera, non per chiacchierare, ma per giocare a duratchki (1). Il gioco a carte pareva che lo distraesse più della mia compagnia.
Una sera, in cui avevo perso diverse volte di seguito (cosa che aveva reso felice padre Aleksej) portai il discorso sulla sua vita passata, su quei dolori che avevano lasciato su di lui una traccia tanto evidente. Padre Aleksej per un po' si mostrò reticente, ma alla fine mi raccontò la sua storia. Qualche cosa in me gli era certamente piaciuta, altrimenti non si sarebbe mostrato così aperto.
Cercherò di trascrivere il racconto con le stesse sue parole.
Padre Aleksej parlava in modo molto chiaro e semplice, senza tutti quei giri di parole caratteristici dei seminaristi o dei provinciali. Non era la prima volta che notavo come in Russia le persone di ogni ceto e condizione, quando siano grandemente provate dalla vita fino alla piena accettazione di essa, si esprimano proprio in un linguaggio come quello.
"...Avevo una moglie buona e saggia - cominciò - l'amavo con tutto il cuore ed ebbi da lei otto figli: ma quasi tutti morirono in tenera età. Uno dei miei figli è diventato arciprete e è morto da poco nella sua diocesi. Di un altro figlio, Jakov, voglio ora parlarle. Lo avevo mandato nel seminario di T. e ben presto cominciai a ricevere sue notizie molto confortanti: era il primo in tutte le materie! Anche a casa, ancora adolescente, si distingueva per il suo amore per lo studio e per la sua modestia; spesso passava giornate intere senza che lo si sentisse... se ne stava con un libro in mano a leggere. Non procurò mai, né a me, né a mia moglie, il minimo dispiacere; era proprio un ragazzo tranquillo. Solo a volte si perdeva in riflessioni, insolite per la sua età, e aveva una salute un po' delicata. Una volta gli capitò una cosa strana. Aveva appena compiuto dieci anni. Verso il giorno di San Pietro, una mattina all'alba, si era allontanato da casa ed era rimasto fuori per quasi tutta la mattina. Finalmente tornò. Mia moglie e io gli chiediamo: 'Dove sei stato?' 'Sono andato a fare una passeggiata nel bosco' dice, 'e ho incontrato un vecchietto verde, abbiamo parlato a lungo e mi ha dato delle noccioline tanto buone!' 'Ma quale vecchietto verde?' chiediamo.
'Non so' dice, 'non lo avevo mai visto. Era un vecchietto gobbo, sgambettava in continuazione, e rideva maliziosamente. Tutto verde come una foglia.' 'Come?' chiediamo noi, 'anche il viso era verde?' 'Sia il viso che i capelli, e anche gli occhi!' Nostro figlio non aveva mai mentito, ma quella volta io e mia moglie dubitammo delle sue parole. 'Ti sarai addormentato nel bosco, in un angolo al sole e avrai visto quel vecchietto in sogno.' 'No, non mi sono addormentato, assolutamente' dice, 'ma se non mi credete, ecco in tasca mi è restata una nocciolina.' Jakov tira fuori dalla tasca quella nocciolina, e ce la mostra. Una pallina della grandezza di una piccola castagna, molto rugosa, diversa dalle nostre solite noccioline. Io la misi da parte, volevo farla vedere al dottore... ma non so dove sia finita... poi non l'ho più ritrovata.
Lo mandammo dunque in seminario e come le ho già detto, ci diede delle gioie con i suoi successi! Mia moglie e io pensavamo che sarebbe diventato qualcuno! Quando veniva a casa in vacanza, era un piacere guardarlo: era così bello, non aveva nessun vizio, piaceva a tutti e tutti ci facevano i complimenti. Era però molto magro e il suo viso non aveva un bel colorito. Aveva compiuto diciannove anni, ben presto avrebbe finito gli studi. Ed ecco che, d'improvviso, riceviamo una sua lettera. Ci scrive: 'Padre e madre miei, non siate in collera con me, permettetemi di scegliere la vita laica; il mio cuore non ha una vocazione ecclesiastica: ho paura delle responsabilità, temo il peccato e in me sono nati dei dubbi! Senza il vostro permesso e senza la vostra benedizione non prenderò nessuna decisione, ma vi dirò solo una cosa: ho paura di me stesso, perché ho cominciato a riflettere molto.' Mi creda, caro signore: questa lettera mi causò molto dolore, come se un pugnale mi avesse trafitto il cuore; dato che vedevo che nessuno avrebbe preso il mio posto. Il mio figlio maggiore è monaco; e quest'altro vuole rinunciare al suo posto! Ecco che cosa mi addolora ancora di più: da circa duecento anni nella nostra parrocchia tutti i preti erano della nostra famiglia! Tuttavia penso: non posso oppormi, si vede che quello era il suo destino. E che pastore è se si lascia prendere dal dubbio? Mi consigliai con mia moglie e scrissi quanto segue:
'Figlio mio, Jakov, pensaci bene, prima di tagliare bisogna pensarci due volte. Nella vita laica ci sono molte difficoltà: il freddo, la fame e il disprezzo per il nostro ceto. E sappi fin da adesso: nessuno ti tenderà una mano; e guarda bene di non dovertene poi pentire! Tu sai che il mio desiderio è sempre stato quello di vederti prendere il mio posto: ma se tu hai dei dubbi sulla tua vocazione e vacilli nella tua fede allora non sta a me trattenerti. Sia fatta la volontà di Dio! Tua madre e io non ti rifiutiamo la nostra benedizione.' Jakov mi rispose con una lettera riconoscente: 'Mi hai dato molta gioia, padre mio: ho intenzione di dedicarmi al lavoro scientifico e ho delle protezioni: andrò all'università, diventerò dottore, dato che sono molto portato per la scienza.' Dopo aver letto la lettera di Jasha (2) diventai ancora più triste e poco dopo non avevo più nessuno con cui dividere il mio dolore:
la mia vecchia si prese un forte raffreddore e morì: se fosse per quel raffreddore o perché il Signore, amandola, volesse prenderla con sé, non lo so. Ho pianto, ho pianto, povero vedovo solitario, ma cosa potevo fare? Si vede che così doveva essere. E sarei stato contento di finire sotto terra... ma la terra è dura... e non si spalanca. Aspettavo mio figlio, perché mi aveva scritto: 'Prima di andare a Mosca, passerò da casa.' E fu così: tornò alla casa paterna, ma ci restò poco. Sembrava che qualcosa gli facesse fretta: sembrava che volesse volare a Mosca, alla sua cara Università! Cominciai a interrogarlo sui suoi dubbi e sulla loro causa, ma senza successo: un solo pensiero gli si era ficcato in testa e profondamente! 'Voglio aiutare' diceva, 'il prossimo.' E se ne andò, senza un soldo in tasca, solo con qualche vestito.
Aveva tanta fiducia in sé! E non a torto. Superò l'esame benissimo, entrò all'Università e trovò da dare lezioni in case private... Era molto bravo nelle lingue classiche! E si figuri!
Pensò di mandarmi del denaro. Questo mi diede un po' di gioia, non per il denaro, naturalmente: il denaro glielo rimandai indietro e lo rimproverai anche; no, ero contento perché vedevo che il ragazzo era sulla strada giusta. Ma la mia gioia non durò a lungo!
Alle prime vacanze tornò a casa... Ma, cosa incredibile, non riconoscevo più il mio Jakov! Era così annoiato così malinconico... Da non tirargli fuori una parola di bocca! E anche in viso è cambiato: come se fosse invecchiato di dieci anni! Anche prima era timido, non c'è che dire! Per qualsiasi cosa si intimidiva e arrossiva come una fanciulla... Ma quando alzava gli occhi... si vedeva che ha l'anima limpida! Ora invece non è più così. Non è più timido, ma selvaggio come un lupo, e guarda tutti di traverso. Mai un sorriso, mai una parola gentile, una vera pietra! Quando lo interrogo o sta zitto o mi mostra i denti.
Comincio a pensare: che si sia dato al bere, Dio non voglia! O forse è stato preso dalla passione delle carte? O magari si è lasciato trascinare in una storia di donne. Quando si è giovani i filtri hanno un effetto potente, e poi in una grande città come Mosca, i cattivi esempi e le occasioni non mancano! Ma no: non sembra essere niente del genere. Beve solo "kvas" (3) e acqua, non guarda l'altro sesso e del resto non frequenta nessuno. E quello che mi addolora di più è che non mi mostra più la confidenza di un tempo. E' comparsa in lui una specie di indifferenza, tutto quello che prima gli stava a cuore, ora lo esaspera. Cerco di portare la conversazione sulla scienza, sull'università, e anche su questo non riesco ad ottenere una vera risposta. Andava in chiesa, però, ma anche lì si comportava stranamente: mentre dappertutto si mostrava cupo e severo, in chiesa era come se fosse divertito.
Rimase così con me circa sei settimane e poi ripartì per Mosca! Da Mosca mi scrisse due o tre volte, e dalle sue lettere ebbi l'impressione che fosse tornato in sé. Ma si immagini la mia meraviglia, egregio signore! D'improvviso, in pieno inverno, ecco che compare a casa. Come è possibile? Cosa è successo? Che cosa significa? So che questo non è tempo di vacanze. 'Arrivi da Mosca?' gli chiesi. 'Sì.' 'E allora... l'università?' 'Ho lasciato l'università.' 'Hai lasciato?' 'Sì, proprio così' 'Per sempre?' 'Sì, per sempre.' 'Ma sei forse malato, Jakov?' 'No, padre mio' dice, 'non sono malato, ma tutto quello che le chiedo, padre mio è di non infastidirmi con domande, altrimenti me ne andrò e non mi vedrà mai più.' Aveva un bel dire: non sono malato, ma Jakov aveva un tale viso, che mi spaventai. Un viso terribile, rabbuiato, quasi disumano. Le guance scavate, gli zigomi sporgenti, era tutto pelle e ossa, una voce cavernosa... e gli occhi...! Dio onnipotente! Che occhi! Minacciosi, selvaggi, sempre in movimento, inafferrabili; le sue sopracciglia aggrottate, le sue labbra contratte. Che cosa era successo al mio bel Josif (4), al mio figliolo tanto tranquillo? Non riuscivo a capire. 'Forse è diventato pazzo?' pensai allora. Era come un fantasma, non dormiva di notte e improvvisamente fissava con lo sguardo un angolo e sembrava impietrito... Era spaventoso! Poteva anche minacciarmi di andare via da casa se non lo lasciavo in pace, ma ero sempre suo padre! La mia ultima speranza stava crollando, e io dovevo forse restare zitto? Ecco che un giorno, approfittando di un momento favorevole, mi misi a pregare Jakov con le lacrime agli occhi, a scongiurarlo in nome della madre morta. 'Parla a tuo padre, padre di sangue e di spirito, Jasha, dimmi che cosa hai! Non uccidermi, spiegati, apri il tuo cuore! Hai forse ucciso un cristiano? Allora devi pentirti!', 'Ebbene padre' mi dice all'improvviso (il colloquio avveniva di notte), 'sei riuscito a commuovermi, ti dirò tutta la verità! Non ho ucciso nessuno, ma la mia anima si sta perdendo.' 'Ma in che modo?' 'Ecco...' E, allora, per la prima volta Jakov alza gli occhi su di me... 'Ecco, da più di tre mesi' comincia... Ma improvvisamente si interrompe e comincia a respirare affannosamente. 'Che cosa da più di tre mesi? Parla, non torturarmi.' 'Sono più di tre mesi che lo vedo.' 'LO vedi, ma chi vedi?' 'Quello che non si può nominare quando scende la notte.' Mi sentii gelare dalla testa ai piedi e fui preso da un tremito.
'Come?' gli dissi 'LO vedi?' 'Sì.' 'Anche adesso?' 'Sì.' 'Dove?' Non osavo girarmi e parlavamo tutti e due a voce bassa.
'Laggiù...' mi indicò un punto con gli occhi..., 'laggiù, nell'angolo.' Raccolsi tutto il mio coraggio... e guardai verso l'angolo: ma non c'era niente! 'Ma là non c'è niente, Jakov!' 'TU non lo vedi, ma io sì.' Guardai di nuovo... ma di nuovo niente! Mi ricordai di colpo del vecchietto nel bosco che gli aveva regalato la castagna. 'Che aspetto ha?' dico. 'E' verde?' 'No, non è verde, è nero.' 'Ha le corna?' 'No, è come un uomo, ma è tutto nero.' Mentre parla digrigna i denti, è pallido come un morto, si stringe a me per la paura. I suoi occhi sembrano uscire dalle orbite e guarda fisso verso l'angolo. 'Ma è l'ombra che ti sembra di vedere' dico, 'è il nero dell'ombra che tu scambi per un uomo.' 'Come no, vedo i suoi occhi: ecco ora li fa roteare ecco, ora alza la mano, chiama.' 'Jakov, Jakov, se tu avessi provato a pregare: questo maleficio sarebbe sparito. Che Dio risorga e i suoi nemici si disperdano!' 'Ho provato' dice, 'ma non è successo niente.' 'Aspetta, Jakov, aspetta, non disperare: brucerò dell'incenso, dirò una preghiera e ti cospargerò con l'acqua benedetta.' Jakov mi rispose con un gesto scoraggiato. 'Non credo al tuo incenso, né alla tua acqua benedetta: non sono di nessun aiuto. Non posso più liberarmi di LUI ormai. Da quel giorno maledetto in cui mi è venuto a visitare quest'estate, da allora è sempre stato mio ospite e niente lo può scacciare. Devi saperlo, padre e non devi più meravigliarti per la mia condotta, e non tormentarmi più.' 'In quale giorno è venuto da te?' chiedo, facendo continuamente su di lui dei segni di croce. 'Forse quel giorno in cui mi hai scritto riguardo ai tuoi dubbi?' Jakov allontanò la mia mano. 'Lasciami, padre mio,' disse, 'non contrariarmi se non vuoi aggravare le cose. Perché farei presto a attentare alla mia stessa vita.' Lei si può immaginare, caro signore, l'effetto che mi fecero queste parole!... Ricordo di avere pianto tutta la notte. 'Come ho meritato una simile collera da parte del Signore?' penso." A quel punto padre Aleksej tirò fuori dalla tasca un fazzoletto a quadretti e cominciò a soffiarsi il naso asciugandosi furtivamente gli occhi.
"Da allora, come è stata difficile la nostra vita! - continuò - Avevo un solo pensiero: come impedirgli di fuggire o che, Dio ce ne scampi, di attentare alla sua vita! Sorvegliavo ogni suo passo, ma avevo paura a riprendere la nostra conversazione. A quel tempo abitava vicino a noi la vedova di un colonnello di nome Marfa Savishna; avevo una grande stima di lei perché era una donna assennata e tranquilla, anche se era ancora giovane e affascinante; andavo spesso a trovarla e lei non disprezzava la mia condizione. Non sapendo più che cosa fare per il dolore e per l'angoscia, le raccontai tutto. All'inizio si spaventò e ne restò sconvolta, ma alla fine prevalse in lei la ragione. Rifletté a lungo in silenzio, quindi espresse il desiderio di vedere mio figlio e di parlare con lui. Capii allora che dovevo assolutamente soddisfare la sua volontà: dato che non era la curiosità femminile a spingerla, ma qualcos'altro. Tornato a casa cercai di convincere Jakov. 'Vieni con me dalla vedova del colonnello.' E lui faceva resistenza con tutte le sue forze. 'Non ci andrò' diceva, 'non ci andrò per niente al mondo. Di che cosa dovrei parlare con lei?' E cominciò a gridare contro di me, ma io finalmente lo convinsi e attaccata la slitta lo portai da Marfa Savishna e, secondo l'accordo, li lasciai soli. Mi meravigliai che avesse acconsentito così presto. Ma, speriamo, aspettiamo e vedremo. Dopo tre o quattro ore il mio Jakov tornò a casa. 'Allora,' gli chiedo, 'cosa pensi della nostra vicina? Ti è piaciuta?' Ma lui non mi risponde.
E io di nuovo a stuzzicarlo: 'E' una donna virtuosa... è stata gentile con te?' 'Sì' dice, 'non è come le altre...' Mi accorgo che aveva l'aria un po' più arrendevole. E decido allora di fargli delle domande: 'E il maleficio?' dico, 'allora?' Jakov mi lancia uno sguardo sferzante, e non dice più niente. Non insisto più ed esco dalla stanza: un'ora dopo mi avvicino alla porta, guardo dal buco della serratura... E si immagini! Il mio Jakov dorme! E' sdraiato sul letto e dorme. Mi faccio diversi segni di croce.
'Signore, benedici Marfa Savishna! Perché questa cara donna ha saputo commuovere quel cuore indurito!' Il giorno dopo vedo che Jakov prende il cappello; mi dico: gli chiedo dove va? Ma no, meglio non fare domande... sicuramente andrà da lei!... E in effetti andò da lei, da Marfa Savishna e ci rimase più a lungo della prima volta; e il giorno dopo, la stessa cosa! E il giorno dopo ancora la stessa cosa! Cominciai a sentirmi sollevato, anche perché vedevo che in mio figlio avveniva un mutamento, il suo viso era cambiato e lo si poteva guardare negli occhi, senza che distogliesse lo sguardo. C'era in lui la stessa tristezza, ma era scomparsa la disperazione di prima, la paura di prima. Ahimè, prima che io riprendessi un po' di coraggio tutto crollò di nuovo. Jakov si era di nuovo inselvatichito e non si poteva parlargli. Se ne stava rinchiuso nella sua cameretta e non andava più dalla vedova del colonnello. 'Forse' pensavo, 'egli l'ha offesa e lei non vuole più riceverlo in casa. Ma, no,' pensavo, 'anche se è infelice, non ne avrebbe avuto il coraggio; e anche lei non è il tipo!' Ma non resistetti e alla fine gli chiesi: 'Ma allora Jakov. La nostra vicina... Mi sembra che tu l'abbia dimenticata del tutto!' E lui cominciò a gridare contro di me: 'La nostra vicina! Vuoi forse che LUI si prenda gioco di me?' 'Come?' dissi... Ed egli strinse i pugni con tutta la sua rabbia!
'Sì' disse, 'prima si accontentava di stare lì, ma ora comincia a ridere e si burla di me! Vattene, esci di qui!' A chi erano dirette quelle parole non lo so; ero così spaventato che a mala pena riuscivo a stare in piedi. Si immagini: il suo viso era rosso come il rame, aveva la bava alla bocca e la voce rauca come se qualcuno lo strozzasse!... E io, affranto, lo stesso giorno andai da Marfa Savishna... La trovai in preda a una profonda tristezza.
Anche fisicamente era cambiata: era dimagrita. Ma non volle parlare con me di mio figlio. Disse soltanto questo: che nessun aiuto umano poteva avere effetto in questo caso. 'Preghi, padre,' mi disse e mi diede cento rubli. 'Per i poveri e i malati della sua parrocchia.' E di nuovo ripeté: 'Preghi!' Dio mio, come se senza le sue parole non avessi pregato giorno e notte!" Padre Aleksej tirò fuori di nuovo il fazzoletto e si asciugò le lacrime, ma questa volta non più di nascosto e dopo essersi riposato un po', riprese la sua triste storia.
"Da quel giorno, io e Jakov, cominciammo a scendere la china come una valanga di neve e tutti e due sapevamo che in fondo c'era il precipizio! Ma a che cosa aggrapparci, che cosa provare ancora? E poi eravamo nell'assoluta impossibilità di nasconderlo. Nella parrocchia si era diffuso un grande turbamento, e si diceva che il figlio del parroco era indemoniato e che bisognava informare le autorità. E lo avrebbero sicuramente fatto se i miei parrocchiani, bontà loro, non avessero avuto pietà di me. L'inverno era finito ed era arrivata la primavera. E Dio ci mandò una primavera così bella e luminosa, che nemmeno i vecchi se ne ricordano una uguale:
sole per tutto il giorno, senza vento e che tepore! Mi venne una santa idea: convincere Jakov ad andare con me in pellegrinaggio a San Mitrofan a Voronez! 'Se quest'ultimo tentativo non riesce,' penso, 'non ci resta che una speranza: tomba!' Ed ecco che un bel giorno al tramonto, mentre sono seduto sulla scaletta, i meli sono in fiore, e l'erba nuova è tutta verde... mentre sono seduto a pensare come comunicare a Jakov la mia proposta, ecco che improvvisamente lo vedo sulla scaletta: si ferma, guarda, respira profondamente e viene a sedersi vicino a me su uno scalino. Sono quasi spaventato dalla gioia, ma rimango zitto! E lui seduto sul gradino osserva il crepuscolo in silenzio!
Mi sembra che una vaga commozione passi sul suo viso; le rughe sulla sua fronte si sono appianate, i suoi occhi sono più luminosi... e sembra quasi che una lacrima stia sgorgando! Avendo notato questo cambiamento provai, mio Dio, a parlargli: 'Jakov,' dissi, 'ascoltami, senza arrabbiarti.' E gli raccontai del mio progetto di andare in pellegrinaggio da San Mitrofan. Da noi a Voronez c'erano circa cento cinquanta "verste": come sarebbe stato bello alzarsi prima dell'alba: camminare in quella frescura primaverile, camminare sull'erba verde, sulla strada maestra.
'Vedi,' gli dicevo, 'se noi ci prosterniamo e preghiamo per bene sulla tomba del Santo, chi lo sa, forse Dio ascolterà la nostra preghiera, tu avrai la guarigione, come è già successo tante volte.' E si immagini la mia felicità, caro signore! 'Va bene,' dice Jakov, senza girarsi e con gli occhi sempre rivolti al cielo, 'sono d'accordo, andiamo.' Ero senza parole... 'Figlio mio,' gli dissi, 'anima mia, mia consolazione!...' E lui mi chiede: 'E quando partiamo?' 'Perché non domani?' rispondo.
E così il giorno dopo ci mettemmo in strada. Indossate le bisacce, e preso il bastone da pellegrino, partimmo. Camminammo sette giorni interi, e cosa addirittura straordinaria con un tempo sempre favorevole! Né caldo eccessivo, né pioggia, né mosche, né polvere negli occhi. E ogni giorno l'aspetto di Jakov migliorava.
Devo dirle che Jakov, anche prima, all'aria aperta, QUELLO non lo vedeva, ma lo sentiva vicino, dietro le spalle, oppure gli sembrava che la SUA ombra gli passasse accanto e questo lo allarmava molto. Ma questa volta non successe niente di simile: e perfino nelle locande dove dovevamo pernottare non gli appariva niente. Parlavamo poco fra noi... ma come era bello stare insieme, e soprattutto per me! Vedevo il mio povero piccolo resuscitare sotto i miei occhi. Non posso descriverle, mio caro signore, quello che sentivo allora. Alla fine arriviamo a Voronez. Ci laviamo, ci mettiamo in ordine e subito alla cattedrale, dal santo! Tre giorni interi restammo nel santuario. Quante messe abbiamo ascoltato, quanti ceri abbiamo offerto! E tutto andava bene, tutto andava a meraviglia; le giornate passavano in devozione e le notti erano serene; il mio Jasha dormiva come un bambino. Cominciò lui stesso a parlare con me. A volte mi chiedeva: 'Padre non vedi niente?' e sorrideva. 'No, non vedo niente' dicevo. 'Allora neanche io non vedo niente,' diceva. Cosa chiedere di più? La mia riconoscenza verso il santo era senza limiti.
Passano tre giorni e dico a Jakov: 'Ebbene, ora, figlio mio, tutto si è sistemato. Per noi è un giorno di festa; non resta che una cosa da fare: vai a confessarti e a fare la comunione; dopo torneremo a casa con Dio e dopo che ci saremo riposati come si deve e avremo lavorato un po' a casa per consolidare le nostre forze, ci metteremo in cerca di un lavoro o qualche altra cosa.
Marfa Savishna ci aiuterà di certo.' 'No,' dice Jakov, 'perché disturbarla? Io le porterò un anellino che è stato sulla mano di San Mitrofan.' Queste parole mi diedero coraggio: 'Attento, prendi un anello d'argento e non uno d'oro, nuziale'. Il mio Jakov diventò rosso e ripeté solo che non era il caso di disturbarla e accettò di fare quello che gli avevo detto. Il giorno dopo andammo alla cattedrale; il mio Jakov si confessò, dopo aver pregato con tanta devozione e poi fece la comunione. Stavo un po' in disparte e mi sentivo al settimo cielo... Gli angeli in cielo non erano certo più felici di me! Ma poi vidi qualcosa che mi lasciò esterrefatto. Il mio Jakov aveva fatto la comunione, ma non era andato a bere il vino! Mi dava le spalle... mi avvicinai a lui.
'Jakov,' gli dico, 'perché non vai?'. Si gira di colpo! Mi creda:
feci un salto indietro tanto mi spaventai! Altre volte il suo viso era stato spaventoso, ma ora era diventato feroce, terribile! Era pallido come la morte, con i capelli dritti, gli occhi storti...
Per la paura persi la voce. Volevo parlare, ma non potevo... ero completamente paralizzato... Intanto lui si precipitò fuori dalla chiesa! Lo seguii... e lui di corsa verso la locanda dove avevamo pernottato, la bisaccia in spalla e via! 'Dove vai?' gli gridai 'Che cosa hai Jakov? Aspetta! Fermati!' Senza rispondermi una parola, corse via come una lepre, e di raggiungerlo neanche a parlarne. Infine sparì. Tornai subito indietro, noleggiai un carretto e tutto tremante non riuscivo a dire altro che 'Mio Dio, Mio Dio!' Certo non capivo assolutamente la disgrazia che si era abbattuta su di noi. Mi avviai verso casa pensando che si sarebbe sicuramente diretto laggiù. E infatti: alla sesta "versta" dalla città lo vedo camminare a lunghi passi sulla strada maestra. Lo raggiunsi, saltai giù dal carretto e mi avvicinai a lui. 'Jasha!
Jasha!' Lui si fermò, si girò verso di me, ma i suoi occhi guardavano ostinatamente a terra e le sue labbra erano serrate. E qualsiasi cosa gli dicessi restava immobile come una statua e respirava soltanto. Finalmente riprese a camminare. Che cosa potevo fare, se non incamminarmi dietro a lui?
Ah, che viaggio è stato quello, mio caro signore! Tanto felice era stato il nostro viaggio verso Voronez, altrettanto terribile fu il ritorno! Quando gli parlavo, digrignava perfino i denti, proprio come fanno le tigri e le iene! Mi chiedo ancora come ho fatto a non impazzire! Ma ecco che finalmente una notte, in una piccola "izba" di contadini, mentre se ne stava seduto sulla panca, con le gambe penzoloni e si guardava intorno, io mi gettai in ginocchio davanti a lui e tra le lacrime lo implorai con preghiere piene di amarezza: 'Non uccidere,' gli dicevo, 'non uccidere il tuo vecchio padre! Non portarlo alla disperazione! Dimmi: cosa è successo?' Lui posò gli occhi su di me - ma sembrava che non vedesse la persona che gli stava davanti - e improvvisamente parlò con una voce, che ancora mi risuona nelle orecchie. 'Ascolta padre,' mi disse, 'vuoi sapere tutta la verità? Allora eccola! Quando ho fatto la comunione, ti ricordi, e avevo ancora un pezzetto di pane in bocca, all'improvviso LUI (in chiesa e in pieno giorno) si è drizzato davanti a me come se fosse spuntato dalla terra e mi ha sussurrato (prima non aveva mai parlato): 'Sputalo e calpestalo!' E così ho fatto: ho sputato e l'ho calpestato. E ora quindi sono dannato per sempre, perché qualsiasi peccato può essere perdonato ma non un peccato contro lo Spirito Santo...' E pronunciate queste terribili parole, mio figlio si lasciò cadere sulla panca, mentre io crollai a terra... Le gambe non mi reggevano più..." Padre Aleksej tacque per un momento e si coprì gli occhi con la mano.
"Ma - continuò - non voglio tormentarla e non voglio tormentare me stesso! Mio figlio e io ci trascinammo fino a casa e poco dopo egli morì e io persi il mio Jakov! Prima di morire rimase qualche giorno senza mangiare e senza bere, correva in su e giù per la stanza e andava ripetendo che il suo peccato non poteva essere perdonato... ma che LUI non gli era più apparso. 'Ha dannato la mia anima,' diceva, 'adesso cosa tornerebbe a fare?' E non appena Jakov si mise a letto, perse subito coscienza e così, senza pentirsi, come un verme insensato, lasciò questa vita per quella eterna...
Ma non voglio credere che il Signore abbia pronunciato contro di lui un verdetto severo...
E fra l'altro non voglio crederci neanche, perché era così bello sdraiato nella bara: sembrava ringiovanito e simile al Jakov di una volta. Il suo viso era tranquillo, puro, i suoi capelli erano arricciati e le sue labbra sorridevano. Marfa Savishna venne a vederlo e disse la stessa cosa. Sistemò intorno a lui dei fiori e gli mise dei fiori sul petto; e fece mettere una pietra tombale a sue spese.
E io sono rimasto solo... Ed ecco perché, egregio signore, lei ha potuto notare sul mio viso una grande tristezza... Essa non sparirà mai, non può sparire." Volevo dire una parola di conforto a padre Aleksej... ma non trovai nessuna parola.
Poco dopo ci separammo.



NOTE:
  1. Gioco a carte dalle regole molto semplici.
  2. Jasha, diminutivo di Jakov.
  3. "kvas" bibita rinfrescante a base di cereale fermentato.
  4. L'espressione "bel Josif" fa riferimento al personaggio biblico di Giuseppe, figlio prediletto di Giacobbe.