lunedì 10 dicembre 2018


TERZA PARABOLA

tratto da: L.Tolstoj – Tutti i racconti – trad. di Igor Sibaldi – ed. A. Mondadori 1991
Mentr’erano in viaggio avvenne a dei viandanti di smarrir la strada, così che dovettero avanzare non già per luoghi piani ma tra paludi, cespugli, rovi e sterpi, che impedivano loro il cammino; e facevano sempre più fatica ad avanzare. Allora tra i viandanti si formarono due partiti: quelli del primo partito dicevano che bisognava proseguire senza fermarsi, sempre diritto nella direzione in cui erano avanzati fino ad allora, giacchè assicuravano agli altri e a se stessi di non aver comunque deviato dalla direzione giusta, e di poter perciò, continuando a camminare, giungere alla meta del viaggio; quelli dell’altro partito dicevano che siccome la direzione lungo la quale stavano andando era evidentemente sbagliata – altrimenti sarebbero giunti già da tempo alla meta del viaggio – bisognava cercare la strada, e per cercarla, bisognava avanzare il più in fretta possibile, e senza fermarsi, in tutte le direzioni. Ciascun viandante condivise una di queste due opinioni: e alcuni decisero di andar sempre dritto, gli altri decisero di incamminarsi in tutte le direzioni, ma vi fu un uomo che non concordò nè con l’una nè con l’altra opinione, e disse che prima di proseguire nella direzione in cui erano andati fino a quel momento, o prima di cominciare ad avanzare in gran fretta in tutte le direzioni, sperando di poter trovare in tal modo la direzione giusta, bisognava innanzitutto fermarsi ad esaminare bene la situazione in cui ci si trovava, e poi, dopo averla esaminata, intraprendere l’una o l’altra delle due cose. Ma i viandanti erano eccitati dal movimento, ed erano talmente spaventati dalla propria situazione e desideravano talmente consolar se stessi con la speranza di non essersi affatto smarriti, ma d’aver soltanto deviato per un breve tratto dalla strada, e di poterla ritrovare subito, e soprattutto avevano tanta voglia di soffocare il proprio spavento rimettendosi in cammino, che l’opinione di quest’uomo fu accolta dallo sdegno generale, dai rimproveri e dagli scherni sia dell’uno sia dell’altro partito.
“Questo è un consiglio che viene dalla debolezza, dalla vigliaccheria, dalla pigrizia”, dicevano gli uni.
“Ah, sarebbe proprio un bel modo di giungere alla meta del viaggio: starsene fermi qui senza andare da nessuna parte”, dicevano gli altri.
“Perciò siamo uomini, e perciò ci son state date le nostre forze: per vincere gli ostacoli lottando e faticando, e non per lasciarcene piegare così da pusillanimi”, dicevano altri ancora.
E quell’uomo separatosi dalla maggioranza, per quanto si sforzasse di spiegare che se fossimo avanzati in una direzione sbagliata senza mutarla, di certo non ci saremmo avvicinati alla meta e ci saremmo bensì allontanati da essa, e che quella meta non l’avremmo raggiunta, del pari, nemmeno se ci fossimo slanciati a cercare per ogni dove, e che l’unico modo per raggiungere la meta era di individuare in base al sole o in base alle stelle quale direzione avrebbe potuto condurci alla nostra meta, e una volta scelta tale direzione, avviarci per essa, ma che per far ciò bisognava prima di tutto fermarsi, e fermarsi non semplicemente per starcene fermi, ma per trovare la giusta via e poi percorrerla con costanza, e che per fare l’una e l’altra cosa bisognava innanzitutto fermarsi e capire quale fosse stato l’errore: per quanto egli ripetesse tutto ciò, non lo ascoltarono.
E i viandanti d’un partito proseguirono nella direzione in cui si stava andando prima, mentre quelli dell’altro partito cominciarono a correre per ogni dove, ma nè gli uni nè gli altri non soltanto non si avvicinarono alla meta, ma non riuscirono nemmeno a trarsi fuori dagli sterpi e dai rovi, e là continuano tutti a vagare ancor oggi.
Proprio la stessa cosa è successa a me, quando ho cercato di esprimere il dubbio che la via, percorrendo la quale noi avevamo finito per inoltrarci nella buia selva della questione operaia, e ci saremmo fatti inghiottire dalla palude dell’infinita corsa delle nazioni al riarmo, non fosse affatto la via lungo la quale dovevamo andare, e che fosse bensì molto probabile che ci fossimo smarriti, e perciò avremmo forse fatto meglio ad arrestare per un pò qul nostro moto che si era rivelato palesemente sbagliato, e a cercar di capire, in base a quei princìpi eterni e generali della verità che ci è stata rivelata, se la direzione che avevamo seguito fosse veramente quella in cui avevamo intenzione di andare. Nessuno ha risposto a questa domanda, nessuno ha detto: “Noi non abbiamo sbagliato direzione e non stiamo vagando alla cieca, e di ciò siamo convinti per questo e per quest’altro motivo”. Nessuno ha detto, del pari, che forse ci eravamo proprio sbagliati, ma che avevamo comunque un mezzo sicuro per correggere il nostro errore senza bisogno di fermarci. Nessuno ha detto nè l’una nè l’altra cosa. Ma tutti si sono irritati, si sono offesi e si sono affrettati a soffocare, con un parlottio assai ben affiatato, la mia voce solitaria. “Come se non fossimo già abbastanza pigri, come se non fossimo già rimasti abbastanza indietro: ecco qua una predicazione della pigrizia, dell’ozio, dell’inazione!” Alcuni han persino aggiunto: “Una predicazione del non far nulla di nulla. Non dategli retta: avanti, seguiteci”! han gridato sia quanti ritengono che la salvezza consista nel proseguire nella direzione che si è scelta una volta per tutte, senza mutarla più, qualunque essa sia, sia quanti ritengono che la salvezza consista nello slanciarsi in tutte le possibili direzioni.
“A che pro restar fermi? Perchè starcene qui a pensare? Avanti, presto! Tutto si risolverà da sè!”Gli uomini hanno smarrito la strada e soffrono per questo motivo. Si direbbe che il primo e principale sforzo da compiersi, debba consistere non già nell’accelerare quel moto che ci ha condotto nella situazione sbagliata in cui ci troviamo ora, bensì nel fermarlo. E parrebbe tanto chiaro che, non appena ci si fermasse, avremmo modo di comprendere almeno un poco la nostra situazione e di trovare la direzione nella quale dobbiamo andare per giungere a ciò che è realmente bene non già per un solo uomo, non già per una sola categoria di persone, ma a quel bene autentico e universale dell’umanità, al quale aspirano tutti gli uomini e per proprio conto ogni singolo cuore umano. E invece? Gli uomini vanno escogitando tutto il possibile, a eccezione di quell’unica cosa che può salvarli, o che, se anche non potesse salvarli, potrebbe almeno alleviare la loro situazione e che consiste appunto nel fermarsi almeno per un istante e nel non continuare ad accrescere con le proprie azioni sbagliate le proprie sventure. Gli uomini avvertono la miserabilità della propria situazione, e per liberarsi da essa fanno tutto il possibile, a eccezione di quell’unica cosa che per certo allevierebbe la loro situazione e questa cosa non la vogliono fare a nessun costo, e il consiglio di farla è ciò che li irrita più di tutto.
Se si potesse ancora dubitare che ci siamo smarriti, allora questa reazione al consiglio di fermarsi a riflettere dimostrerebbe nel modo più evidente quanto ci siamo smarriti senza speranza, e quanto grande sia la nostra disperazione.
 Commento di Roberto Bolzani:
 Anche ai tempi di Tolstòj?
Il maestro Sogliani diceva che il ragno non è intelligente perché costruisce una tela che è un'opera di alta ingegneria ma non la migliora, la ripete sempre allo stesso modo.
L'uomo no?
Poi non è vero che il ragno fa la tela sempre allo stesso modo perché ricordo che attorno alla tromba di S.Benedetto la adattava ai diversi appigli di cui poteva usufruire.
Ho un libro nel cassetto che confuta il Sogliani e di cui ho già deciso il titolo: "La Tela del Ragno" (peccato che quella stronzina di Agatha mi abbia preceduto con Spider's Web). Chissà se quando andrò in pensione lo scriverò. Per adesso non ho tempo perché al lavoro di prima, che continuo alacremente, ho aggiunto il lavoro del pensionato che implica fare tutto quello che prima non facevo perché dovevo andare a lavorare.