L'ORATORE.
Estratto da "Novelle"
Anton Čecov
Un bel mattino seppellivano l'assessore di collegio Kirìll Ivànovic' Vavildnov, morto per due malanni tanto diffusi nella nostra patria: una cattiva moglie e l'alcoolismo. Quando il corteo funebre si mosse dalla chiesa verso il cimitero, un collega del defunto, certo Poplavski, salì in una carrozzella e galoppò dal suo amico Grigori Petrovic' Zapoikin, uomo giovane, ma già abbastanza popolare.
Zapoikin, com'è noto a molti lettori, possiede la rara capacità d'improvvisare discorsi matrimoniali, di giubileo e funebri. Egli può parlare quando gli garba: tra veglia e sonno, a digiuno, ubriaco fradicio, con la febbre ardente. Il suo discorso scorre liscio, eguale, come acqua da gronda, e copioso; parole di rimpianto nel suo dizionario-oratorio ve n'è assai più che di scarafaggi in qualsivoglia trattoria. Parla sempre con eloquenza e a lungo, cosicché a volte, specie a nozze di mercanti, per fermarlo tocca ricorrere all'aiuto della polizia.
- E io, fratellino, son venuto da te! - cominciò Poplavski, avendolo trovato in casa. - Vèstiti sull'istante, e andiamo. E' morto uno dei nostri, lo spediamo subito all'altro mondo, così bisogna, fratellino, dire a commiato qualche frottola... In te ogni speranza. Se fosse morto qualcuno dei piccoli, non staremmo a disturbarti, ma sai, è un segretario... una colonna della cancelleria, in certo qual modo. Non sta bene un tal pezzo grosso seppellirlo senza discorso.
- Ah, il segretario! - sbadigliò Zapoikin. - E' quell'ubriacone?
- Sì, l'ubriacone. Ci saranno i "blinì", gli antipasti... riceverai i soldi della carrozzella. Andiamo, anima mia! Metti fuori là, sulla tomba, una qualche concione più ciceroniana che puoi, e che grazie riceverai!
Zapoikin acconsentì volentieri. Egli si scarruffò i capelli, atteggiò il volto a malinconia e uscì con Poplavski sulla strada.
- Conosco il vostro segretario, - disse salendo in carrozzella.Scroccone e birba, si abbia il regno dei cieli, come ce n'è pochi.
- Via, non sta bene, Griscia, insultare i morti.
- Quest'è certo, "aut mortuis nihil bene", ma tuttavia era un mariuolo.
Gli amici raggiunsero il corteo funebre e vi si unirono. Il defunto lo portavan lentamente, talché fino al cimitero ebbero tempo di dare un tre capatine in trattoria e di mandar giù per il riposo dell'anima un bicchierino ogni volta.
Al cimitero fu detto il requiem. Suocera, moglie e cognata, lige alla consuetudine, piansero molto. Quando calarono la bara nella fossa, la moglie gridò: -Lasciatemi andar da lui! , ma nella fossa dietro al marito non andò, probabilmente essendosi rammentata della pensione.
Dopo aver atteso che tutto si fosse calmato, Zapoikin si fece avanti, girò gli occhi su tutti e cominciò: - Si ha da credere agli occhi e agli orecchi? Non sono un sogno pauroso questa bara, questi visi di pianto, gemiti e lamenti? Ahimè, non è un sogno, e la vista non c'inganna! Colui che, ancor non è molto, noi vedevamo così baldo, così giovanilmente fresco e puro, che, ancor non è molto, sotto i nostri occhi, a somiglianza d'infaticabile ape, recava il suo miele alla comune arnia del buon ordine statale, colui che... quello stesso è ora vòlto in cenere, in material parvenza. La morte inesorabile ha posto su di lui la mano irrigidita, mentr'egli, nonostante la sua avanzata età, era ancor pieno di forze in sboccio e di radiose speranze. Incolmabile perdita! Chi ce lo sostituirà? Di buoni funzionari ne abbiam molti, ma Prokofi Osipyc' era unico. Egli sino in fondo all'anima era dedito al suo onesto dovere, non risparmiava forze, non dormiva le notti, era disinteressato, incorruttibile... Come disprezzava coloro che cercavano, a danno dei comuni interessi, di corromperlo, che con gli allettevoli beni della vita tentavano di farlo venir meno al suo dovere! Sì, sotto i nostri occhi Prokofi Osipyc' distribuiva il suo modesto stipendio ai colleghi più poveri, e voi stessi avete udito or ora i lamenti delle vedove e degli orfani che vivevano delle sue donazioni. Dedito al dovere d'ufficio e alle buone opere, egli non conobbe gioie nella vita e si negò perfino la felicità dell'esistenza familiare - vi è noto che fino al termine dei giorni suoi egli fu celibe! E chi ce lo sostituirà come camerata? Come fosse ora vedo il suo volto raso, intenerito, a noi rivolto con un buon sorriso; come fosse ora, sento la sua voce dolce teneramente amichevole. Pace alle ceneri tue, Prokofi Osipyc'! Riposa, onesto, nobile lavoratore!
Zapoikin continuò, e gli ascoltatori presero a bisbigliarsi a vicenda.
Il discorso piacque a tutti, spremé alquante lacrime, ma molto in esso parve strano. In primo luogo rimase incomprensibile perché l'oratore chiamasse il defunto Prokofi Osipyc', mentre si chiamava Kirìll Ivànovic'. Secondariamente, era a tutti noto che il defunto tutta la vita aveva guerreggiato con la sua legittima moglie, e quindi non poteva dirsi scapolo; terzo aveva una folta barba rossiccia, dalla nascita non si era sbarbato, e perciò riusciva incomprensibile per qual ragione l'oratore avesse detto raso il suo volto. Gli uditori erano perplessi, si scambiavano occhiate e alzavan le spalle.
- Prokofi Osipyc'! - continuò l'oratore, guardando ispirato nella fossa: - Il tuo viso era brutto, persin deforme, tu eri arcigno e rude, ma noi tutti sapevamo che sotto codesto apparente involucro batteva un cuore onesto, amico!
Ben presto gli ascoltatori presero ad osservare un che di strano anche nell'oratore medesimo. Egli fissò gli occhi in un punto, si mosse inquieto e prese egli stesso a stringersi nelle spalle. D'un tratto ammutolì, spalancò stupito la bocca e si girò verso Poplavski.
- Senti un po', ma è vivo! - disse, guardando con sgomento.
- Chi è vivo?
- Ma Prokofi Osipyc'! Eccolo in piedi accanto al monumento!
- Lui non era mica morto! E' morto Kirìll Ivànovic'!
- Ma se tu stesso mi hai detto che vi era mancato il segretario!
- E Kirìll Ivànovic' era il segretario. Tu, stravagante, hai fatto confusione! Prokofi Osipyc', è esatto, era prima segretario da noi, ma due anni fa lo passarono capufficio al secondo reparto.
- Ah, vi capisce il diavolo!
- Perché ti sei fermato? Continua, ché si è a disagio.
Zapoikin si voltò verso la fossa e con la primitiva eloquenza riprese il discorso interrotto. Presso un monumento stava effettivamente Prokofi Osipyc', un vecchio funzionario dalla faccia sbarbata. Egli guardava l'oratore e si accigliava, iroso.
- E come t'è saltato in capo? - ridevano i funzionari, quando con Zapoikin tornavano dalle esequie. - Hai sotterrato un vivo.
- Male, giovanotto! - brontolava Prokofi Osipyc'. - Il vostro discorso va forse per un morto, ma riguardo a un vivo, è una canzonatura sola! Per carità, che avete detto? Disinteressato, incorruttibile, non prende sbruffi! Ma d'un vivo codesto si può dire solo per canzonatura. E nessuno vi ha pregato, signor mio, di diffondervi sul mio viso. Brutto, deforme, sia pure, ma perché mettere in piazza la mia fisionomia? E' offensivo!