martedì 1 ottobre 2019


KOLN CONCERT KEITH JARRET

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Ci sono concerti in grado di cambiare il corso della storia musicale. Come ad esempio il live di Woodstock. Anche nel mondo del jazz è successo qualcosa di simile. Oltre alle esibizioni straordinarie di Charlie Parker, Miles Davis o John Coltrane ce n’è stato uno che non si fa fatica a definire epico. Keith Jarrett all’Opera Haus di Colonia nel gennaio 1975. Passato alla storia come: The Köln Concert.
È considerato il più famoso album di jazz solo della storia. Definito da qualcuno “l’unico bestseller jazz a non essere un disco jazz”. L’abbiamo amato anche grazie al cinema, nel film Caro Diario di Nanni Moretti. Nel toccante omaggio del regista a Pier Paolo Pasolini.
Keith prima di arrivare a Colonia era in tour da un paio di anni. Era tornato al piano—dopo una breve esperienza all’organo elettrico con Miles Davis. Keith voleva ritornare a quel suono che lo aveva incantato da bambino (per chi non lo sapesse, cominciò a suonare dall’età di tre anni). Lo fa anima e corpo, con un tour da solista.
Quando si presenta alla sala concerti per provare il piano prima dell’esibizione si accorge che non è lo strumento che aveva richiesto. Inoltre aveva un pedale rotto e non era accordato. Qualcuno aggiunge alla leggenda anche una “cattiva digestione” a cena.
Chi conosce Jarrett sa quanto sia maniacale in ogni dettaglio. Al limite della sopportazione. Durante i live può arrivare a interrompere l’esibizione se sente qualcuno tossire.
Trovandosi allora davanti una scena del genere è sconvolto. Dice all’organizzatrice che stando così le cose, non avrebbe suonato. Poi si fa convincere, dopo una lunga insistenza.
Perché il concerto di Colonia è un live storico
I miei occhiali stavano cadendo, i pantaloni anche. Sudavo copiosamente, in piedi, seduto, e pensavo “niente mi può fermare”.
Il concerto è interamente improvvisato. Ma non frutto del caso, attenzione. Jarrett sa benissimo come muoversi tra le note. Sui pochi accordi che ripete a oltranza per tutto il concerto lui ci improvvisa sopra, ci ricama, a volte andando meravigliosamente per le lunghe. Questo concerto è l’esempio perfetto dell’arte dell’improvvisazione.
Solo nell’improvvisazione l’ascoltatore ha la possibilità di avere un reale contatto con il musicista, senza la normale distanza che esiste in altri tipi di esecuzione. Ogni nota non è scritta su uno spartito e non è stata prevista prima. Ogni nota è nel presente ed è viva.
Il concerto è anche un esempio perfetto di quel “rituale religioso” che è un live di Jarrett. Al quale partecipano, come si legge:
gruppi di veri e propri devoti per i quali la sua musica ha un potere meditativo, spirituale e di trasformazione.
All’inizio del concerto, Keith riproduce sulla tastiera la musichettadella sala che avvisa gli spettatori dell’inizio del concerto. L’inizio è epico. Gaetano La Montagna, su ondarock, ha scritto:
Le prime note sono di attesa, come se Jarrett e il Bösendorfer [il pianoforte] fossero due belve che si stessero studiando, occhi negli occhi. I primi minuti sono la reale descrizione di una suspense vissuta in diretta, ma poi Jarrett si getta a capofitto in quest’avventura che, nel bene e nel male, segnerà il pianismo jazz e new age dei successivi 20 anni.
Cosa è successo dopo il concerto
Keith Jarrett e Manfred Eicher, il suo produttore, riascoltano dopo qualche giorno la registrazione del concerto. “Dopo tutto non è così male”, si dicono. Danno il nastro a un ingegnere del suono perché faccia qualche ritocco.
Quando il disco esce, in vinile, gli amanti del jazzimpazziscono. Non si accontentano di sentirlo, vogliono anche leggerlosullo spartito (e risuonarlo). Jarrett prima si rifiuta. Perché “il concerto era completamente improvvisato e doveva andarsene così come era venuto”. Poi cambia idea e cura personalmente le fasi del processo di trascrizione.
Le riviste specializzate lo accolgono con entusiasmo. Esagerando un po’ nei paragoni, ma dando la giusta portata del “fenomeno Köln Concert” di quegli anni:
Jarrett è un maestro d’improvvisazione e possiede una tecnica che pianisti del calibro di Horowitz o Rubinsteinpotrebbero ammirare; la sua tecnica è la più notevole da Art Tatum in poi.
La rivista “Times”, nel 1975, premiò il Köln Concert come registrazione dell’anno. Nel 1978 aveva venduto un milione e mezzo di copie. Una cifra altissima per il jazz. Surclassata dalla rimasterizzazione in cd del 1990. Venduta in più di 5 milioni di copie.
Il jazz è lasciare che la luce brilli. Non cercare di accrescerla, lasciarla essere.