giovedì 28 maggio 2020

LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE Joseph Roth


LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE
Joseph Roth


Nota introduttiva 

Un importante scrittore come Stefan Zweig è stato grande amico e sostenitore – in ogni senso, anche economico – di Roth. Tanto che più d’uno ha avanzato l’ipotesi che l’angelo nelle vesti del distinto signore che, anche lui, “incongruamente”, vive sotto i ponti, e che compare per ben due volte, quell’angelo tanto simile e tanto diverso da Andreas/Joseph, sia proprio Stefan Zweig. Forse non per caso La leggenda del santo bevitore fu letto per la prima volta nel 1939 nel salotto parigino di Stefan e Friederike Zweig. Era ancora inedito, e inedito rimase per Roth che morì di lì a poco, il 27 maggio del 1939. Purtroppo la sorte, e l’alcol, non gli procurarono la morte felice che aveva regalato al suo personaggio, e che Roth auspicava per tutti i bevitori. Il suo amico Soma Morgenstern racconta di averlo aiutato a bere il primo Armagnac della giornata perché le mani gli tremavano al punto che non riusciva a portare il bicchiere alle labbra, poi «improvvisamente tese le braccia sul tavolo e sarebbe rovinato a terra se io non l’avessi preso al volo». Apparentemente si riprende e viene portato in ospedale, dove, in preda al delirium tremens tipico degli alcolizzati in astinenza, lotta con la morte legato al letto per quattro lunghi giorni senza che né i medici né le infermiere né gli amici – per impossibilità o distrazione – siano in grado di aiutarlo. La realtà, in questo caso, è stata davvero lontana dalla letteratura. La “santità” del bevitore non ha garantito a Roth una morte «lieve e bella». Eppure,in un certo senso, Roth era davvero un “santo”. Nel protagonista del racconto coglieva una sua caratteristica difficile da spiegare, forse potremmo dire che la sua “santità” era nella sua impossibilità, incapacità, di compromettersi con il mondo, nel suo non essere a casa da nessuna parte, nel sentirsi estraneo come i suoi personaggi: presente ed assente come un santo. Presente e assente anche in tutte le religioni: ebreo ma anche cattolico, rivoluzionario ma anche monarchico. Tanto che sulla sua tomba è stato detto tutto e il contrario di tutto, lui che non c’era più seguitava ad esserci nella sola forma che conosceva: l’estraneità assoluta di Andreas, il santo bevitore.
G. M.

I.



Una sera di primavera dell’anno 1934 un signore di una certa età scese i gradini in pietra che da uno dei ponti sulla Senna conducono alle rive del fiume. Là, come quasi tutti sanno ma in questa occasione merita di essere ricordato, sono soliti dormire, o meglio accamparsi, i vagabondi di Parigi.
Uno di questi vagabondi veniva per caso incontro all’anziano signore ben vestito, che dava l’impressione di essere un viaggiatore interessato a visitare le bellezze delle città straniere. Il vagabondo aveva un aspetto malandato e pietoso, proprio come gli altri con cui condivideva la propria esistenza, eppure all’anziano signore ben vestito sembrò degno di particolare attenzione; il perché, non lo sappiamo.
Come abbiamo detto, era già sera, e sotto i ponti e lungo l’argine era più buio che sopra i ponti e sul lungofiume. Il vagabondo dall’aspetto malandato barcollava leggermente. Sembrava non essersi accorto dell’anziano signore ben vestito. Questi però, che non barcollava affatto e, anzi, procedeva dritto e con passo sicuro, evidentemente aveva notato già da lontano l’uomo che barcollava. L’anziano signore sbarrò addirittura la strada all’uomo malandato. Entrambi si fermarono, l’uno di fronte all’altro.
«Dove va, fratello?», chiese l’anziano signore ben vestito.
L’altro lo guardò per un attimo, poi rispose: «Non sapevo di avere un fratello, e non so dove mi porta la strada».
«Proverò a indicarle la via», disse l’anziano signore, «ma non se la prenda se le chiedo un favore insolito».
«Sono pronto a svolgere ogni servizio», rispose l’uomo malandato.
«Vedo bene che in questo momento lei è in difficoltà, ma è il Signore a mandarla sul mio cammino. Non si offenda a queste parole, però avrà certamente bisogno di soldi. Io ne ho anche troppi. Vuole dirmi in tutta sincerità quanto le occorre? Almeno per tirare avanti».
L’altro rifletté un paio di secondi e disse: «Venti franchi».
«Sono troppo pochi», replicò l’anziano signore. «Di sicuro gliene servono duecento».
L’uomo malandato arretrò di un passo e sembrò sul punto di cadere ma riuscì a restare in piedi, pur continuando a barcollare. Quindi disse: «Senza dubbio duecento franchi sono meglio di venti, io però sono un uomo d’onore. A quanto pare mi giudica in modo sbagliato. Non posso accettare il denaro che mi offre, per i seguenti motivi: primo, perché non ho il piacere di conoscerla; secondo, perché non so come e quando potrei restituirglielo; terzo, perché non potrebbe venire a cercarmi. Non ho una casa. Vivo sotto i ponti di questo fiume, ogni giorno uno diverso. Tuttavia, come ho già detto, sono un uomo d’onore anche se non ho un indirizzo».
«Nemmeno io ho un indirizzo», rispose l’anziano signore, «anch’io vivo ogni giorno sotto un ponte diverso, ma la prego lo stesso di voler gentilmente accettare i duecento franchi, che del resto sono una somma ridicola per un uomo come lei. Per quanto riguarda la restituzione del denaro, dovrei partire da troppo lontano per spiegarle come mai, per esempio, non posso indicarle una banca dove riportarlo. Sono diventato cristiano dopo aver letto la storia della piccola Thérèse de Lisieux, e ora sono particolarmente devoto alla statuetta della santa che si trova nella cappella di Ste Marie des Batignolles che non le sarà difficile trovare. Non appena avrà i duecento franchi, se la sua coscienza non le permetterà di rimanere in debito di questa ridicola somma, vada a Ste Marie des Batignolles e, quando il sacerdote avrà finito di dire la messa, consegni il denaro nelle sue mani. Infatti, se c’è qualcuno a cui lei è debitore, è la piccola santa Thérèse. Ma non si dimentichi: Ste Marie des Batignolles».
«Vedo», disse a quel punto l’uomo malandato, «che ha compreso la mia onorabilità. Le do la mia parola che manterrò la parola. Però posso andare alla messa solo la domenica».
«La domenica va bene», disse l’anziano signore. Prese duecento franchi dal portafoglio, li porse all’uomo che barcollava e disse: «La ringrazio».
«È stato un piacere», rispose l’altro, e svanì all’istante nella profonda oscurità.
Nel frattempo, infatti, in basso si era fatto buio mentre in alto, sui ponti e il lungofiume, i lampioni argentati si accendevano per annunciare l’allegra notte di Parigi.

II.



Anche il signore ben vestito svanì nelle tenebre. Aveva davvero ricevuto il miracolo della conversione. E aveva deciso di guidare la vita dei più poveri. E per questo viveva sotto i ponti.
Quanto all’altro, invece, era un bevitore, anzi un ubriacone. Si chiamava Andreas e viveva alla giornata, come molti bevitori. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che aveva posseduto duecento franchi. E forse proprio perché era passato tanto tempo, alla debole luce di uno dei rari lampioni sotto i ponti prese un pezzetto di carta e un mozzicone di matita e scrisse l’indirizzo della piccola santa Thérèse e la somma di duecento franchi che da quel momento le doveva. Salì una delle scale che dalle rive della Senna conducono al lungofiume. Là, lo sapeva, c’era un ristorante. Entrò, mangiò e bevve in abbondanza, spese molti soldi e portò via una bottiglia intera per la notte, che aveva pensato di trascorrere come di consueto sotto un ponte. Raccolse anche un giornale dal cestino dei rifiuti, ma non per leggerlo, per coprirsi. I giornali tengono caldo, tutti i vagabondi lo sanno.

III.



La mattina successiva Andreas si alzò prima del solito perché aveva dormito particolarmente bene. Dopo una lunga riflessione ricordò che il giorno precedente aveva vissuto un miracolo, un vero e proprio miracolo. E siccome nella calda notte passata, coperto dal giornale, gli sembrò di aver riposato come non gli accadeva da tempo, decise anche di lavarsi, cosa che non faceva da molti mesi, ossia da quando era iniziato il periodo più freddo. Prima di togliersi i vestiti, però, infilò ancora una volta la mano nella tasca interna sinistra della giacca dove, a quanto ricordava, doveva trovarsi il resto tangibile del miracolo. Poi cercò un posto appartato lungo l’argine della Senna per lavarsi almeno viso e collo. Ma poiché gli sembrò che ovunque gli altri, poveracci del suo stesso stampo (straccioni, come di punto in bianco li battezzò tra sé), potessero guardarlo mentre si lavava, finì per rinunciare al suo progetto e si accontentò di immergere nell’acqua solo le mani. Dopo di che si rimise la giacca, toccò di nuovo le banconote nella tasca interna sinistra e si sentì completamente ripulito, addirittura un altro.
Fece il suo ingresso nel giorno, uno di quei giorni che da tempo immemorabile era abituato a sprecare, con l’intenzione di recarsi anche quest’oggi nella solita Rue des Quatre Vents, dove si trovava il ristorante russo-armeno Tari-Bari e dove spendeva in bevande scadenti i pochi soldi che il caso quotidiano gli concedeva.
Ma si fermò al primo chiosco di giornali, attratto dalle illustrazioni dei settimanali e colto anche dall’improvvisa curiosità di sapere che giorno fosse, che data e che nome avesse quel giorno. Allora comprò un giornale, vide che era un giovedì e a un tratto si ricordò di essere nato di giovedì, e senza nemmeno guardare la data decise di considerare quel giovedì il suo compleanno. E, felice come un bambino alla prospettiva del giorno di festa, non esitò un attimo ad abbandonarsi a buoni, anzi nobili propositi e invece che al Tari-Bari andare, giornale in mano, in un locale migliore per bere un caffè, magari corretto con il rum, e mangiare pane imburrato.
Entrò, sicuro di sé malgrado i vestiti consumati, in un bistrot perbene e si sedette a un tavolo, lui, che da così tanto tempo era abituato a stare in piedi, o meglio appoggiato, al banco. Si sedette e, poiché di fronte al suo posto c’era uno specchio, non poté fare a meno di osservare il proprio viso, e gli sembrò di fare di nuovo conoscenza con se stesso. Tuttavia si spaventò, e in quel momento seppe perché negli ultimi anni aveva avuto tanta paura degli specchi. Non era bello vedere con i propri occhi il proprio tracollo. E finché uno non era costretto a vederlo, era quasi come non avere un viso o avere ancora quello vecchio, che risaliva al tempo precedente la rovina.
Ma ora si spaventò, come abbiamo detto, soprattutto perché confrontò il proprio aspetto con quello degli uomini curati seduti accanto a lui. Si era fatto radere alla meglio otto giorni prima da uno dei suoi compagni di sventura, che di tanto in tanto erano disposti a fare la barba a un fratello per un modesto compenso. Adesso però, una volta stabilito di iniziare una vita nuova, bisognava farsi radere sul serio, come si deve. Decise di andare da un barbiere vero prima di ordinare.
Detto fatto, andò da un barbiere.
Quando tornò nel locale, il posto dove era seduto prima era occupato e poté guardarsi allo specchio solo da lontano. Ma fu più che sufficiente per vedere che era cambiato, era più giovane e più bello. Il suo viso sembrava emanare uno splendore che rendeva insignificanti i vestiti laceri, lo sparato visibilmente logoro e la cravatta a righe bianche e rosse annodata intorno al colletto con il bordo sfilacciato.
Dunque si sedette, il nostro Andreas, e consapevole del proprio rinnovamento ordinò un «café, arrosé rhum» con quella voce sicura che aveva avuto in passato e ora, come una vecchia e cara amica, sembrava essergli tornata. Fu servito e, come credette di notare, con il dovuto rispetto che di solito i camerieri riservano ai clienti di riguardo. La cosa lusingò molto il nostro Andreas, gli sollevò il morale e rafforzò la sua convinzione che proprio quel giorno fosse il suo compleanno.
Un signore seduto da solo al tavolo vicino lo osservò a lungo, poi gli si rivolse chiedendo: «Le interesserebbe guadagnare qualche soldo? Può lavorare per me. Mi trasferisco domani, potrebbe aiutare mia moglie e i facchini durante il trasloco. Mi sembra abbastanza robusto. Che ne dice, le va?»
«Certo che mi va», rispose Andreas.
«E quanto vuole per due giorni di lavoro?», domandò il signore. «Domani e sabato. Sa, la mia casa è piuttosto grande e quella in cui vado ad abitare è ancora più grande. E ho molti mobili. Io sono impegnato in negozio».
«Ci sto!», disse il vagabondo.
«Beve qualcosa?», chiese il signore.
E ordinò due Pernod. Il signore e Andreas brindarono e si accordarono sul compenso: era di duecento franchi.
«Ne beviamo un altro?», propose il signore dopo aver vuotato il primo Pernod.
«Questa volta però offro io», disse il vagabondo. «Lei non mi conosce, ma io sono un uomo d’onore. Un lavoratore onesto. Guardi le mie mani!». E fece vedere le mani. «Sono sporche, callose, ma oneste mani da lavoratore».
«Questa è una bella cosa!», esclamò il signore. Aveva occhi scintillanti, un viso roseo da bambino e proprio in mezzo due baffetti neri. Nell’insieme era piuttosto gentile, e ad Andreas piacque molto.
Dunque bevvero insieme e Andreas pagò il secondo giro. E quando il signore con la faccia da bambino si alzò, vide che era molto grasso. L’uomo prese un biglietto da visita dal portafoglio e vi scrisse l’indirizzo, poi tirò fuori dal portafoglio anche una banconota da cento franchi e consegnò entrambi ad Andreas dicendo: «Così domani verrà di sicuro! Domattina alle otto, non si dimentichi, e avrà il resto. E dopo il lavoro prendiamo di nuovo l’aperitivo insieme. Arrivederci, amico mio». E il signore se ne andò, quel signore grasso con la faccia da bambino, e ciò che più stupì Andreas fu che l’uomo grasso avesse tirato fuori l’indirizzo e i soldi dallo stesso portafoglio.
Ora che possedeva del denaro e aveva la prospettiva di guadagnarne ancora, decise che anche lui avrebbe comprato un portafoglio. Perciò si mise in cerca di una pelletteria. Nella prima che trovò lungo il cammino c’era una giovane commessa. Gli sembrò molto carina, lì dietro al banco, in un severo abito nero con la pettorina bianca, la testa piena di ricci e un pesante cerchio d’oro al polso sinistro. Davanti a lei si tolse il cappello e disse: «Cerco un portafoglio». La ragazza gettò una rapida occhiata ai suoi vestiti malridotti, ma nel suo sguardo non c’era cattiveria, voleva soltanto valutare il cliente. In negozio infatti aveva portafogli costosi, di prezzo medio ed economici. Per risparmiare domande superflue, salì subito su una scala e prese una scatola dallo scaffale più alto. Conteneva i portafogli che alcuni clienti avevano riportato indietro per cambiarli. Con l’occasione Andreas vide che la ragazza aveva gambe molto belle e portava scarpe basse molto graziose, e ripensò ai tempi quasi dimenticati in cui accarezzava gambe così, baciava piedi così, i volti però non li ricordava più, i volti delle donne, a eccezione di uno, quello per cui era stato in prigione.
Intanto la ragazza era scesa dalla scala, aprì la scatola e lui scelse uno dei portafogli che stavano in cima, senza nemmeno guardarlo bene. Pagò, si rimise il cappello, sorrise alla ragazza e la ragazza ricambiò il sorriso. Infilò il portafoglio in tasca, distratto, ma lasciò i soldi dov’erano. All’improvviso il portafoglio gli parve insensato. Invece era tutto preso dalla scala, dalle gambe, dai piedi della ragazza. Perciò si diresse verso Montmartre, a cercare i luoghi dove un tempo se l’era spassata. In una viuzza ripida trovò anche la taverna con le ragazze. Si sedette a un tavolo con loro, offrì da bere e ne scelse una, quella più vicina a lui. Malgrado fosse pomeriggio, dormì fino all’alba del giorno dopo – e i proprietari, che erano persone di buon cuore, lo lasciarono dormire.
Il mattino seguente, il venerdì, Andreas andò a lavorare dal signore grasso. Doveva aiutare la moglie a imballare e, benché i facchini facessero il loro dovere, gli restarono tante mansioni meno pesanti ma delicate. Nel corso della giornata sentì la forza tornargli nei muscoli e il lavoro lo riempì di gioia. Infatti era cresciuto tra il lavoro, minatore come suo padre e un po’ anche contadino come suo nonno. Se solo la padrona di casa non lo avesse messo in agitazione dandogli ordini assurdi e mandandolo nello stesso istante di qua e di là fino a fargli perdere la testa! Ma anche lei era agitata, Andreas lo vedeva. Forse per lei non era facile traslocare come se niente fosse, e magari aveva paura della nuova casa. Era vestita di tutto punto, con il soprabito, il cappello, i guanti, la borsetta e l’ombrello, anche se avrebbe dovuto sapere che le toccava rimanere in quella casa tutto il giorno, la notte e l’indomani. Di tanto in tanto si sentiva costretta a mettersi il rossetto. Andreas lo capiva benissimo, del resto era una signora.
Lavorò fino a sera. Quando ebbe finito la padrona di casa gli disse: «Torni domattina alle sette in punto». Tolse dalla borsetta un borsellino con dentro alcune monete d’argento. Rovistò a lungo, prese un pezzo da dieci franchi, lo posò, infine si decise a tirare fuori cinque franchi. «Ecco la mancia», disse, «però non se la beva tutta», aggiunse. «E domani sia puntuale».
Andreas ringraziò, se ne andò e si bevve la mancia, ma non un soldo di più. Passò la notte in un piccolo albergo.
Si fece svegliare alle sei e andò al lavoro riposato.

IV.



Così quella mattina Andreas arrivò prima dei facchini. Come il giorno precedente, la padrona di casa era vestita di tutto punto, con il cappello e i guanti, quasi non fosse nemmeno andata a letto, e gli disse gentilmente: «Vedo che ieri ha seguito la mia raccomandazione e non si è bevuto tutti i soldi».
Andreas si mise al lavoro. Accompagnò anche la padrona nella nuova casa dove si sarebbe trasferita con il marito, aspettò che tornasse il signore grasso e gentile e lui gli pagò il compenso promesso.
«Le offro da bere», disse il signore grasso. «Venga con me».
Ma la moglie glielo proibì, intervenne sbarrando la strada al marito e disse: «Ora si cena». Andreas allora se ne andò da solo, bevve da solo e mangiò da solo, poi entrò in altre due taverne per bere al banco. Bevve molto ma non si ubriacò, e fece attenzione a non spendere troppo, perché il giorno dopo, memore della sua promessa, voleva andare nella cappella di Ste Marie des Batignolles e pagare alla piccola santa Thérèse almeno una parte del proprio debito. Tuttavia bevve abbastanza da non individuare con l’occhio sicuro e quell’istinto che solo la povertà conferisce l’albergo più economico.
Dunque trovò un albergo leggermente più caro e dovette saldare il conto in anticipo per colpa dei vestiti logori e perché non aveva bagaglio. Ma non gli importò e dormì fino a tardi di un sonno tranquillo. Si svegliò al rintocco assordante delle campane di una chiesa vicina e ricordò immediatamente che quello era un giorno importante: era domenica, e doveva andare dalla piccola santa Thérèse per pagare il suo debito. Si vestì al volo e si incamminò a passo veloce verso la piazza dove si trovava la cappella. Tuttavia non arrivò in tempo per la messa delle dieci e si vide venire incontro il fiume di persone che uscivano dalla chiesa. Domandò quando sarebbe iniziata la messa successiva e gli fu risposto a mezzogiorno. Non sapeva cosa fare, così in piedi all’ingresso della cappella. Mancava un’ora e non intendeva affatto passarla per strada. Si guardò intorno per cercare il posto più adatto dove aspettare, scorse un bistrot sull’altro lato della piazza, alla sua destra, e decise di trascorrere lì l’ora che rimaneva.
Ordinò un Pernod con la sicurezza di un uomo che sa di avere soldi in tasca e lo bevve con la sicurezza di un uomo che in vita sua ne ha bevuti molti. Poi ne bevve un secondo e un terzo, versando sempre meno acqua nel bicchiere. Quando arrivò il quarto, non sapeva più se ne aveva bevuti due, cinque o sei. Non ricordava nemmeno come mai fosse finito in quel caffè e in quella zona. Sapeva solo che doveva risolvere una questione, una questione d’onore, e pagò, si alzò, uscì dalla porta con passo ancora sicuro, scorse la cappella sull’altro lato della piazza, alla sua sinistra, e subito seppe di nuovo dov’era e perché si trovava lì. Stava per avviarsi verso la cappella quando all’improvviso sentì chiamare il suo nome. «Andreas!», esclamò una voce, una voce di donna. Giungeva da un passato ormai sepolto. Lui si fermò e voltò la testa a destra, verso il punto da cui era arrivata la voce. E riconobbe immediatamente quel viso, il viso per cui era stato in prigione. Era Karoline.
Karoline! Indossava un vestito e un cappello che non le aveva mai visto, ma il viso era proprio il suo, e Andreas non esitò a gettarsi tra le braccia che lei aveva subito allargato. «Che sorpresa», disse. Ed era davvero la sua voce, la voce di Karoline.
«Sei solo?», chiese.
«Sì».
«Vieni, dobbiamo parlare».
«Ho un appuntamento».
«Con una donna?»
«Sì», rispose lui timoroso.
«Chi?»
«La piccola Thérèse».
«Ma lei non ha alcuna importanza», disse Karoline.
In quell’istante passò un taxi e Karoline lo fermò con l’ombrello. Diede l’indirizzo all’autista e, prima ancora di rendersene conto, Andreas si ritrovò seduto in macchina al suo fianco ed erano già ripartiti, stavano già sfrecciando, come gli sembrò, su strade in parte conosciute e in parte sconosciute, verso chissà quale destinazione.
Raggiunsero un posto fuori città, il paesaggio, o meglio il giardino dove si erano fermati, era di un verde chiaro, il verde che annuncia la primavera, e dietro i radi alberi si nascondeva un ristorante appartato.
Karoline fu la prima a scendere, scese scavalcando le ginocchia di Andreas con quel piglio battagliero che le era abituale. Pagò e lui la seguì. Entrarono nel ristorante e sedettero uno accanto all’altra su una panca con l’imbottitura verde, come una volta, quando erano giovani, prima della prigione.
«Dove sei stato tutto questo tempo?», chiese Karoline.
«Dappertutto e in nessun posto», rispose lui. «Ho ricominciato a lavorare due giorni fa. Per tutto il tempo che non ci siamo visti ho bevuto e dormito sotto i ponti, come fanno quelli come me. Probabilmente tu hai avuto una vita migliore. Con degli uomini», aggiunse dopo un po’.
«E tu allora?», chiese lei. «Mentre ti ubriacavi, non lavoravi e dormivi sotto i ponti hai avuto modo di conoscere questa Thérèse. E se non fossi arrivata io, per puro caso, saresti andato da lei».
Andreas non rispose, restò in silenzio finché non finirono di mangiare la carne e vennero serviti il formaggio e poi la frutta. Non appena ebbe bevuto l’ultimo sorso di vino nel bicchiere fu assalito di nuovo da quell’improvvisa paura che tanti anni prima, quando viveva con Karoline, aveva provato così spesso. Ancora una volta volle sfuggirle e chiamò: «Cameriere, il conto!». Ma Karoline si intromise: «Tocca a me». Il cameriere, un uomo maturo e dall’occhio esperto, disse: «Lo ha chiesto prima il signore». Così fu Andreas a pagare. Tirò fuori i soldi dalla tasca interna sinistra della giacca, e dopo aver pagato si accorse con un certo spavento, seppur mitigato dal vino bevuto, di non avere più l’intera somma che doveva alla piccola santa. Ma ultimamente, disse tra sé, mi capitano così tanti miracoli uno dietro l’altro che di certo la prossima settimana riuscirò a mettere insieme il denaro e restituirlo.
«Allora sei ricco», disse Karoline una volta in strada. «Ti fai mantenere dalla piccola Thérèse».
Lui non replicò e lei fu sicura di avere ragione. Volle andare al cinema e lui la portò al cinema. Rivide un film dopo tanto tempo. Ma ne era passato talmente tanto dall’ultima volta che ne aveva visto uno, che non riuscì a seguirlo e si addormentò sulla spalla di Karoline. Dopo andarono in un locale dove suonavano la fisarmonica, ma era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che aveva ballato, che quando provò a danzare con Karoline non ci riuscì e altri ballerini gliela portarono via, era ancora bella e desiderabile. Restò seduto al tavolo da solo a bere Pernod e si sentì come in passato, quando Karoline ballava con altri uomini e lui beveva seduto al tavolo da solo. Perciò all’improvviso la strappò con violenza dalle braccia di un ballerino e disse: «Ora andiamo a casa!». La prese per la nuca e non la mollò più, pagò e tornò a casa con lei. Abitava lì vicino.
E così fu tutto come ai vecchi tempi, i tempi prima della prigione.

V.



Andreas si svegliò all’alba. Karoline dormiva ancora. Un uccello cinguettava solitario davanti alla finestra aperta. Andreas rimase sdraiato a occhi chiusi per un po’, non più di qualche minuto. In quei pochi minuti rifletté. Gli sembrò che da molto tempo non gli fossero capitate tante cose strane come in quell’ultima settimana. A un tratto si voltò e vide Karoline alla sua destra. Notò quello che non aveva notato il giorno prima quando l’aveva incontrata: era diventata vecchia. Pallida, gonfia e con il respiro pesante, dormiva il sonno mattutino delle donne che invecchiano. Riconobbe i segni del tempo, che era passato anche per lui. E riconobbe quei segni su se stesso. Decise di alzarsi subito, senza svegliare Karoline, e andarsene altrettanto casualmente, o meglio fatalmente, di come si erano ritrovati il giorno prima. Si vestì furtivo e uscì, facendo il suo ingresso in un nuovo giorno, uno dei suoi soliti nuovi giorni.
Anzi, non proprio uno dei soliti. Infatti quando tastò la tasca interna sinistra della giacca, dove da qualche tempo aveva l’abitudine di tenere i soldi guadagnati o trovati, si accorse che gli restavano solo una banconota da cinquanta franchi e qualche spicciolo. E lui, che da molti anni non sapeva cosa volesse dire il denaro e non gli dava alcuna importanza, si spaventò come si spaventa chi è abituato ad avere sempre soldi con sé e all’improvviso si ritrova nella situazione imbarazzante di essere rimasto quasi senza. A un tratto, nel vicolo deserto all’alba, si sentì di colpo povero, lui che da mesi e mesi non aveva un soldo, perché in tasca non sentiva più tutte le banconote che aveva posseduto negli ultimi giorni. Il tempo della povertà gli sembrò lontano, molto lontano, ed ebbe la sensazione di aver speso per Karoline, con spavalderia e sconsideratezza, la somma che avrebbe dovuto garantirgli il tenore di vita che meritava.
Si arrabbiò con Karoline e da un momento all’altro, lui che non aveva mai dato importanza al denaro, iniziò ad apprezzarne il valore. Pensò che cinquanta franchi fossero una somma ridicola per un uomo della sua levatura, e soprattutto sentì l’urgente bisogno, anche solo per chiarirsi le idee, di riflettere in santa pace su se stesso davanti a un bicchiere di Pernod.
Scelse tra i locali vicini quello che gli piaceva di più, si sedette e ordinò un Pernod. Mentre beveva si ricordò che in fondo viveva a Parigi senza permesso di soggiorno e controllò i documenti. Scoprì così che in realtà lo avevano espulso, infatti veniva da Olschowice, nella Slesia polacca, ed era arrivato in Francia come minatore.

VI.



Poi, mentre stendeva sul tavolo i documenti laceri, ricordò come un giorno, molti anni prima, fosse arrivato in Francia perché sul giornale c’era scritto che cercavano minatori. E per tutta la vita lui aveva desiderato andare in un paese lontano. E aveva lavorato nelle miniere di Quebecque e trovato alloggio presso due suoi connazionali, i coniugi Schebiec. E si era innamorato della donna, e siccome il marito un giorno stava per ammazzarla di botte, lui, Andreas, aveva ammazzato di botte il marito. E dopo era stato in prigione per due anni.
Quella donna era Karoline.
Osservando i documenti ormai non più validi, Andreas ripensò a tutto questo e per la grande infelicità ordinò un altro Pernod.
Quando infine si alzò avvertì una specie di fame, la fame che hanno solo i bevitori. Si tratta infatti di un genere particolare di voglia (ma non di qualcosa da mangiare), che dura soltanto pochi secondi e si placa non appena chi l’avverte immagina quella determinata bevanda che gli andrebbe in quel preciso istante.
Da tempo Andreas aveva dimenticato il proprio cognome. Adesso però, dopo aver rivisto i documenti, ricordò di chiamarsi Kartak: Andreas Kartak. E fu come riscoprire se stesso dopo tanti anni.
Tuttavia provava un certo rancore nei confronti del destino per non avergli mandato nel locale, come l’ultima volta, un signore grasso, con i baffi e la faccia da bambino che gli desse la possibilità di guadagnare altri soldi. Perché non c’è nulla a cui gli uomini si abituino più facilmente dei miracoli, quando accadono una, due, tre volte. Sì, la natura degli uomini è tale che arrivano addirittura ad arrabbiarsi se non ottengono in continuazione ciò che un destino casuale e passeggero sembra aver loro promesso. Gli uomini sono fatti così... cos’altro potremmo aspettarci da Andreas? Trascorse dunque il resto della giornata in varie taverne e accettò l’idea che il tempo dei miracoli fosse finito, finito per sempre, e fossero ricominciati di nuovo i vecchi tempi. E, deciso ad accettare il lento declino a cui i bevitori sono sempre pronti – una sensazione che i sobri non conosceranno mai –, tornò sulle sponde della Senna, sotto i ponti.
Dormì lì, un po’ di giorno e un po’ di notte, come era sua abitudine da un anno, facendosi prestare di tanto in tanto una bottiglia di acquavite da uno o l’altro dei suoi compagni di sventura... fino alla notte tra giovedì e venerdì.
Quella notte sognò la piccola Thérèse, nelle sembianze di una bambina con i riccioli biondi, che gli disse: «Perché domenica non sei venuto da me?». E la santa era proprio come tanti anni prima Andreas si era immaginato sua figlia. Ma lui non aveva figlie. Nel sogno chiese alla piccola Thérèse: «Che modi sono questi? Hai dimenticato che sono tuo padre?». E la bambina rispose: «Perdonami, padre, ma fammi un favore e domenica vieni da me a Ste Marie des Batignolles».
Dopo aver fatto questo sogno Andreas si alzò riposato e si sentì come la settimana precedente, quando ancora gli capitavano i miracoli, quasi considerasse il sogno un vero miracolo. Ancora una volta volle lavarsi nel fiume. Però prima di togliersi la giacca toccò la tasca interna sinistra nella vaga speranza ci fosse qualche soldo di cui magari non si era accorto. Infilò dunque la mano nella tasca e le sue dita non trovarono denaro, ma in compenso sfiorarono il portafoglio di cuoio che aveva comprato alcuni giorni prima. Lo tirò fuori. Era un portafoglio dozzinale, già usato e cambiato, come c’era da aspettarsi. Cuoio conciato. Vacchetta. Lo osservò, non ricordava di averlo comprato, né dove e quando. “Come è finito qui?”, si chiese. Infine lo aprì e notò che aveva due scomparti. Incuriosito, guardò in entrambi e in uno trovò una banconota. La prese, era una banconota da mille franchi.
Infilò i mille franchi nella tasca dei calzoni, andò sulla riva della Senna e, senza preoccuparsi dei suoi compagni di sventura, si lavò il viso e perfino il collo, quasi con allegria. Poi si rimise la giacca, fece il suo ingresso nel giorno e lo iniziò entrando in una tabaccheria per comprare le sigarette.
Aveva abbastanza spiccioli per pagarle, ma non sapeva in quale altra occasione cambiare la banconota che si era miracolosamente ritrovato in tasca. Infatti aveva esperienza sufficiente su come va il mondo per rendersi conto che agli occhi della gente, ossia della gente che conta, mille franchi creavano un notevole contrasto con i suoi vestiti e il suo aspetto. Malgrado ciò, con il coraggio che gli veniva dal rinnovato miracolo, decise di mostrare la banconota, tuttavia usando quel briciolo di accortezza che gli era rimasto per dire all’uomo alla cassa della tabaccheria: «Mi farebbe comodo cambiare mille franchi, ma se non ha da darmi il resto pago con le monete».
Con grande stupore di Andreas, l’uomo rispose: «Tutt’altro! Avevo proprio bisogno di un pezzo da mille, capita a proposito». E gli cambiò la banconota. Allora Andreas rimase ancora un po’ in piedi al banco e bevve tre bicchieri di vino bianco, per così dire in segno di riconoscenza verso il destino.

VI.



Poi, mentre stendeva sul tavolo i documenti laceri, ricordò come un giorno, molti anni prima, fosse arrivato in Francia perché sul giornale c’era scritto che cercavano minatori. E per tutta la vita lui aveva desiderato andare in un paese lontano. E aveva lavorato nelle miniere di Quebecque e trovato alloggio presso due suoi connazionali, i coniugi Schebiec. E si era innamorato della donna, e siccome il marito un giorno stava per ammazzarla di botte, lui, Andreas, aveva ammazzato di botte il marito. E dopo era stato in prigione per due anni.
Quella donna era Karoline.
Osservando i documenti ormai non più validi, Andreas ripensò a tutto questo e per la grande infelicità ordinò un altro Pernod.
Quando infine si alzò avvertì una specie di fame, la fame che hanno solo i bevitori. Si tratta infatti di un genere particolare di voglia (ma non di qualcosa da mangiare), che dura soltanto pochi secondi e si placa non appena chi l’avverte immagina quella determinata bevanda che gli andrebbe in quel preciso istante.
Da tempo Andreas aveva dimenticato il proprio cognome. Adesso però, dopo aver rivisto i documenti, ricordò di chiamarsi Kartak: Andreas Kartak. E fu come riscoprire se stesso dopo tanti anni.
Tuttavia provava un certo rancore nei confronti del destino per non avergli mandato nel locale, come l’ultima volta, un signore grasso, con i baffi e la faccia da bambino che gli desse la possibilità di guadagnare altri soldi. Perché non c’è nulla a cui gli uomini si abituino più facilmente dei miracoli, quando accadono una, due, tre volte. Sì, la natura degli uomini è tale che arrivano addirittura ad arrabbiarsi se non ottengono in continuazione ciò che un destino casuale e passeggero sembra aver loro promesso. Gli uomini sono fatti così... cos’altro potremmo aspettarci da Andreas? Trascorse dunque il resto della giornata in varie taverne e accettò l’idea che il tempo dei miracoli fosse finito, finito per sempre, e fossero ricominciati di nuovo i vecchi tempi. E, deciso ad accettare il lento declino a cui i bevitori sono sempre pronti – una sensazione che i sobri non conosceranno mai –, tornò sulle sponde della Senna, sotto i ponti.
Dormì lì, un po’ di giorno e un po’ di notte, come era sua abitudine da un anno, facendosi prestare di tanto in tanto una bottiglia di acquavite da uno o l’altro dei suoi compagni di sventura... fino alla notte tra giovedì e venerdì.
Quella notte sognò la piccola Thérèse, nelle sembianze di una bambina con i riccioli biondi, che gli disse: «Perché domenica non sei venuto da me?». E la santa era proprio come tanti anni prima Andreas si era immaginato sua figlia. Ma lui non aveva figlie. Nel sogno chiese alla piccola Thérèse: «Che modi sono questi? Hai dimenticato che sono tuo padre?». E la bambina rispose: «Perdonami, padre, ma fammi un favore e domenica vieni da me a Ste Marie des Batignolles».
Dopo aver fatto questo sogno Andreas si alzò riposato e si sentì come la settimana precedente, quando ancora gli capitavano i miracoli, quasi considerasse il sogno un vero miracolo. Ancora una volta volle lavarsi nel fiume. Però prima di togliersi la giacca toccò la tasca interna sinistra nella vaga speranza ci fosse qualche soldo di cui magari non si era accorto. Infilò dunque la mano nella tasca e le sue dita non trovarono denaro, ma in compenso sfiorarono il portafoglio di cuoio che aveva comprato alcuni giorni prima. Lo tirò fuori. Era un portafoglio dozzinale, già usato e cambiato, come c’era da aspettarsi. Cuoio conciato. Vacchetta. Lo osservò, non ricordava di averlo comprato, né dove e quando. “Come è finito qui?”, si chiese. Infine lo aprì e notò che aveva due scomparti. Incuriosito, guardò in entrambi e in uno trovò una banconota. La prese, era una banconota da mille franchi.
Infilò i mille franchi nella tasca dei calzoni, andò sulla riva della Senna e, senza preoccuparsi dei suoi compagni di sventura, si lavò il viso e perfino il collo, quasi con allegria. Poi si rimise la giacca, fece il suo ingresso nel giorno e lo iniziò entrando in una tabaccheria per comprare le sigarette.
Aveva abbastanza spiccioli per pagarle, ma non sapeva in quale altra occasione cambiare la banconota che si era miracolosamente ritrovato in tasca. Infatti aveva esperienza sufficiente su come va il mondo per rendersi conto che agli occhi della gente, ossia della gente che conta, mille franchi creavano un notevole contrasto con i suoi vestiti e il suo aspetto. Malgrado ciò, con il coraggio che gli veniva dal rinnovato miracolo, decise di mostrare la banconota, tuttavia usando quel briciolo di accortezza che gli era rimasto per dire all’uomo alla cassa della tabaccheria: «Mi farebbe comodo cambiare mille franchi, ma se non ha da darmi il resto pago con le monete».
Con grande stupore di Andreas, l’uomo rispose: «Tutt’altro! Avevo proprio bisogno di un pezzo da mille, capita a proposito». E gli cambiò la banconota. Allora Andreas rimase ancora un po’ in piedi al banco e bevve tre bicchieri di vino bianco, per così dire in segno di riconoscenza verso il destino.

VII.



Mentre era al banco gli cadde l’occhio su un ritratto incorniciato appeso alla parete dietro le larghe spalle dell’oste che gli ricordò un vecchio compagno di scuola a Olschowice. «Chi è?», chiese. «Mi sembra di averlo già visto». L’oste e tutti i clienti al banco scoppiarono in una fragorosa risata e domandarono in coro: «Ma come, non lo conosce?».
In effetti era Kanjak, il grande calciatore originario della Slesia, ben noto a tutte le persone normali. Ma come potevano conoscerlo gli alcolizzati che dormivano sotto i ponti della Senna, tra cui, per esempio, il nostro Andreas? Però, siccome si vergognava e soprattutto aveva appena cambiato mille franchi, disse: «Certo che lo conosco, è un mio amico, ma lì è venuto male». Poi, per evitare ulteriori domande, pagò e uscì.
Adesso aveva fame. Cercò l’osteria più vicina, mangiò e bevve vino rosso, dopo il formaggio ordinò un caffè e decise di trascorrere il pomeriggio al cinema. Non sapeva ancora in quale, perciò, consapevole di possedere in quel momento tanti soldi quanto ognuno dei signori benestanti che poteva incrociare per strada, si incamminò sui Grands Boulevards. Tra l’Opéra e il Boulevard des Capucines cercò un film che gli piacesse e alla fine ne trovò uno. La locandina mostrava un uomo che sembrava avere tutta l’intenzione di perdersi in un’avventura esotica. Si trascinava, come si vedeva sul manifesto, in un deserto impietoso, bruciato dal sole. Andreas entrò nel cinema. Guardò il film dell’uomo che attraversa il deserto bruciato dal sole. Era sul punto di trovare il protagonista simpatico e considerarlo uno spirito affine, quando all’improvviso la storia prese una piega inaspettata e si avviò verso una lieta conclusione, con l’uomo salvato da una carovana di scienziati che passava di lì e ricondotto in grembo alla civiltà europea. A quel punto Andreas perse ogni simpatia per l’eroe. Stava già per alzarsi quando sullo schermo apparve l’immagine dell’ex compagno di scuola di cui aveva appena visto il ritratto nella taverna, dietro le spalle larghe dell’oste. Era Kanjak, il grande calciatore. Andreas ricordò che tanto tempo prima, erano passati vent’anni, sedevano allo stesso banco, e decise di informarsi subito l’indomani se il vecchio compagno si trovasse a Parigi.
In fondo il nostro Andreas aveva in tasca niente meno che novecentottanta franchi.
E non sono pochi.

VIII.



Poi, prima ancora di uscire dal cinema, pensò che non occorreva aspettare fino alla mattina dopo per trovare l’indirizzo dell’amico ed ex compagno di scuola, soprattutto considerando la somma piuttosto elevata che aveva in tasca.
Nel ricordare il denaro che gli restava si sentì così coraggioso che decise di chiedere alla cassa l’indirizzo dell’amico, il famoso calciatore Kanjak. Aveva creduto di doversi rivolgere direttamente al direttore del cinema. Ma no! Chi in tutta Parigi era più popolare di Kanjak? Perfino il sorvegliante conosceva il suo indirizzo. Alloggiava in un albergo sugli Champs-Élysées. Il sorvegliante gli disse anche il nome, e il nostro Andreas si mise subito in cammino.
Era un hotel signorile, piccolo e tranquillo, uno di quelli dove generalmente alloggiano pugili e calciatori, l’élite dei nostri giorni. Andreas si sentì fuori posto nella hall e sembrò fuori posto anche al personale dell’albergo. In ogni caso, il famoso calciatore Kanjak era in camera e sarebbe sceso da un momento all’altro.
Infatti dopo qualche minuto arrivò, ed entrambi si riconobbero subito. Ancora in piedi nell’atrio, si scambiarono vecchi ricordi di scuola, poi andarono a cena insieme. Tra i due regnava grande allegria. Mangiarono insieme e fu così che il famoso calciatore fece al malandato amico la seguente domanda:
«Come mai sei ridotto così male, e cosa sono questi stracci che hai addosso?»
«Sarebbe terribile se ti raccontassi cosa è successo», rispose Andreas. «E rovinerebbe la gioia del nostro incontro. Non sprechiamo tempo su questo argomento, parliamo piuttosto di qualcosa di allegro».
«Io ho molti vestiti», disse il famoso calciatore. «Mi farebbe piacere dartene uno. Eravamo compagni di banco e mi lasciavi copiare. Cosa vuoi che sia un vestito per me! Dove te lo mando?»
«Non puoi mandarmelo», replicò Andreas, «per la semplice ragione che non ho un indirizzo. Da un po’ di tempo vivo sotto i ponti della Senna».
«Allora ti prendo una camera», disse il famoso calciatore, «così potrò regalarti un vestito. Vieni!».
Finito di mangiare se ne andarono e il calciatore affittò una camera, costava venticinque franchi al giorno e si trovava nelle vicinanze della splendida chiesa di Parigi conosciuta con il nome di Madeleine.

IX.



La camera era al quinto piano, Andreas e il calciatore dovettero prendere l’ascensore. Naturalmente Andreas non aveva bagagli, ma né il portiere né il ragazzo dell’ascensore né altri dell’albergo se ne meravigliarono. Era un miracolo, e quando capita un miracolo non ci si meraviglia di nulla. Entrati in camera il calciatore disse all’ex compagno di banco: «Ti servirà del sapone».
«Quelli come me vivono anche senza sapone», replicò Andreas. «Pensavo di fermarmi qui una settimana, e mi laverò anche senza sapone. Invece vorrei ordinare subito qualcosa da bere per brindare a questa stanza».
E il calciatore ordinò una bottiglia di cognac. La bevvero fino all’ultima goccia poi uscirono, presero un taxi e andarono a Montmartre, nel locale con le ragazze in cui Andreas era stato qualche giorno prima. Dopo aver chiacchierato per due ore scambiandosi ricordi dei tempi di scuola, il calciatore accompagnò Andreas a casa, ossia nella camera d’albergo che aveva affittato per lui, e disse: «Si è fatto tardi, ti saluto. Domani ti mando due completi. E... hai bisogno di soldi?»
«No», rispose Andreas, «ho novecentottanta franchi, e non sono pochi. Va’ pure a casa».
«Torno fra due o tre giorni», disse l’amico, il calciatore.

X.



La camera d’albergo in cui ormai Andreas viveva era la numero ottantanove. Non appena fu solo nella stanza, si sedette sulla comoda poltrona rivestita di canneté rosa e iniziò a guardarsi intorno. Per prima cosa vide la tappezzeria di seta rossa cosparsa di teste di pappagallo in una tenue sfumatura d’oro, poi tre pulsanti avorio alle pareti; a destra della porta, vicino al letto, il comodino e sopra una lampada con il paralume verde scuro, inoltre una porta con il pomello bianco che sembrava nascondere qualcosa di misterioso, almeno per Andreas. Accanto al letto c’era un telefono nero, messo in modo che anche stando sdraiati si poteva sollevare comodamente il ricevitore con la mano destra.
Dopo aver osservato a lungo la stanza per prendere dimestichezza, all’improvviso Andreas fu colto dalla curiosità. Quella porta con il pomello bianco lo turbava e, malgrado la paura e la poca familiarità con le camere d’albergo, si alzò e decise di controllare dove conduceva. Aveva pensato fosse chiusa a chiave. E quale fu il suo stupore quando invece la porta, quasi prevenendolo, si aprì da sé.
Vide che si trattava di una stanza da bagno, con piastrelle scintillanti, una vasca bianca e splendente, una toilette e, per farla breve, quella che nel suo ambiente si sarebbe definita una latrina.
In quel momento sentì il bisogno di lavarsi e fece scorrere dai due rubinetti acqua calda e fredda nella vasca. Mentre si spogliava per entrarvi si rammaricò di non avere una camicia pulita, perché togliendosela aveva visto che era alquanto sporca e temeva già il momento in cui, uscito dalla vasca, sarebbe stato costretto a indossarla di nuovo.
Si immerse nell’acqua, consapevole che era passato molto tempo dall’ultima volta che si era lavato. Fece il bagno con voluttà, si alzò, si rivestì e a quel punto non seppe più cosa fare.
Più per disagio che per curiosità, aprì la porta della camera, si affacciò in corridoio e scorse una donna che nello stesso istante usciva dalla sua stanza, proprio come lui. Era giovane e bella, così gli sembrò. Gli ricordava la commessa del negozio dove aveva comprato il portafoglio e un po’ anche Karoline, perciò le rivolse un leggero inchino e la salutò, e dato che lei ricambiò con un cenno della testa, si fece coraggio e le disse di getto: «È bella».
«Anche lei mi piace», rispose la donna. «Allora forse ci vedremo domani». – E sparì nell’oscurità del corridoio. Andreas però, bisognoso d’amore come a un tratto era diventato, guardò il numero sulla porta della sua camera.
Era il numero ottantasette. Se lo impresse nel cuore.

XI.



Tornò nella sua stanza, attese, rimase in ascolto ed era già deciso a non aspettare l’indomani per incontrare la bella ragazza. Infatti la serie pressoché ininterrotta di miracoli degli ultimi giorni lo aveva convinto che la grazia si fosse posata su di lui, e proprio per questo si sentiva autorizzato a mostrare una certa presunzione e credeva di dover prevenire la grazia, quasi per una forma di cortesia, senza con ciò offenderla minimamente. Così, quando gli sembrò di udire i passi leggeri della ragazza della camera ottantasette, aprì con cautela la porta di uno spiraglio e vide che era proprio lei che rientrava. Quello che invece non notò, certamente a causa dei molti anni in cui gli era mancata la pratica, fu il particolare da non sottovalutare che la bella ragazza si era accorta di essere spiata. Perciò, come le avevano insegnato il mestiere e l’abitudine, mise in ordine la camera in fretta e furia, un ordine solo apparente, spense il lampadario, si sdraiò sul letto, prese un libro e iniziò a leggere alla luce dell’abat-jour, ma era un libro che aveva letto da tempo.
Poco dopo, come aveva immaginato, bussarono timidamente alla porta e Andreas entrò. Si fermò sulla soglia, benché fosse sicuro che di lì a un attimo lei lo avrebbe invitato a farsi avanti. La bella ragazza non si mosse, non posò nemmeno il libro, domandò soltanto: «E lei cosa vuole?».
Andreas, reso più sicuro dal bagno, il sapone, la poltrona, la tappezzeria, le teste di pappagallo e il vestito, rispose: «Non posso aspettare fino a domani, bella signora». La ragazza tacque.
Andreas le si avvicinò, chiese cosa stesse leggendo e disse in tutta sincerità: «A me i libri non interessano».
«Sono solo di passaggio», disse la ragazza sul letto. «Rimango qui fino a domenica, lunedì devo andare in scena a Cannes».
«Cosa fa?», domandò Andreas.
«Sono ballerina al casinò. Mi chiamo Gabby, non ha mai sentito il mio nome?»
«Certo. La conosco dai giornali», mentì Andreas – e stava per aggiungere: quelli con cui mi copro. Ma si trattenne.
Si sedette sul bordo del letto e la bella ragazza non ebbe nulla in contrario. Anzi, mise da parte il libro e Andreas restò fino al mattino nella camera numero ottantasette.

XII.



Il sabato mattina si svegliò con la ferma decisione di non separarsi dalla bella ragazza fino alla sua partenza. In lui sbocciò addirittura il tenero pensiero di un viaggio a Cannes con la giovane donna, infatti, come tutti i poveri, aveva la tendenza a considerare grandi le piccole somme che aveva in tasca (tendenza comune soprattutto ai bevitori poveri). Dunque quella mattina contò ancora una volta i suoi novecentottanta franchi e, dato che i franchi erano in un portafoglio e il portafoglio era nella tasca di un vestito nuovo, la somma gli sembrò dieci volte più grande. Di conseguenza non fu affatto infastidito quando, un’ora dopo averla lasciata, la bella ragazza entrò in camera sua senza bussare e, poiché gli chiese come avrebbero trascorso il sabato prima della sua partenza per Cannes, rispose a caso: «Fontainebleau». Forse aveva sentito quel nome da qualche parte, quasi in sogno. Comunque sia, non aveva idea di come gli fosse uscito di bocca.
E così presero un taxi e andarono a Fontainebleau, e lì risultò che la bella ragazza conosceva un buon ristorante, dove si mangiava bene e si beveva buon vino. Conosceva anche il cameriere, e lo chiamava per nome. Se il nostro Andreas fosse stato geloso per natura, si sarebbe anche potuto arrabbiare. Ma non era geloso, quindi non si arrabbiò. Passarono un po’ di tempo a mangiare e bere poi, di nuovo in taxi, tornarono indietro, e a un tratto avevano davanti la sera sfolgorante di Parigi e non sapevano cosa farsene, come succede alle persone che non hanno nulla in comune e si sono incontrate solo per caso. La notte si stendeva davanti a loro come un deserto troppo luminoso.
E dopo aver sprecato con leggerezza l’esperienza fondamentale data a un uomo e a una donna non sapevano più cosa farsene nemmeno l’uno dell’altra. Così scelsero l’unica cosa che resta agli uomini del nostro tempo quando non sanno cosa fare: andare al cinema. Ed eccoli seduti, non al buio, nemmeno nell’oscurità, in quella che a malapena poteva essere definita una penombra. E si tenevano la mano, la ragazza e il nostro amico Andreas. Ma la sua stretta era indifferente e lui stesso ne soffrì. Ne soffrì per primo. Perciò, durante l’intervallo, decise di andare a bere qualcosa con la bella ragazza nel foyer, e andarono nel foyer e bevvero. Il film non lo interessava più. Fecero ritorno in albergo provando un grande senso di oppressione.
La mattina successiva, era domenica, Andreas si svegliò consapevole del proprio dovere, quello di restituire il denaro. Si alzò più in fretta rispetto al giorno precedente, così in fretta che la bella ragazza si svegliò di soprassalto e chiese: «Perché tanta fretta, Andreas?».
«Devo pagare un debito», disse Andreas.
«Come, di domenica?»
«Sì, di domenica».
«I soldi li devi a un uomo o a una donna?»
«A una donna», rispose Andreas esitante.
«Come si chiama?»
«Thérèse».
Allora la bella ragazza saltò giù dal letto, strinse i pugni e colpì Andreas al viso.
Lui fuggì dalla camera e se ne andò dall’albergo. E senza più guardarsi intorno si diresse verso Ste Marie des Batignolles, con l’assoluta certezza che quel giorno sarebbe finalmente riuscito a restituire i duecento franchi alla piccola Thérèse.

XIII.



La provvidenza – o come direbbero i meno credenti, il caso – volle che Andreas arrivasse di nuovo appena dopo la messa delle dieci. Ed era naturale che vicino alla chiesa gli cadesse l’occhio sul bistrot dove aveva bevuto l’ultima volta e, come allora, vi entrò.
Ordinò da bere. Prima però, prudente com’era e come lo sono tutti i poveri di questo mondo anche se hanno vissuto miracoli su miracoli, controllò di avere abbastanza soldi e tirò fuori il portafoglio. Allora vide che dei novecentottanta franchi non era rimasto molto.
Erano solo duecentocinquanta. Rifletté e si rese conto che il denaro se l’era preso la bella ragazza in albergo. Al nostro Andreas però non importava. Si disse che il piacere si paga, lui il piacere lo aveva avuto e quindi doveva anche pagare.
Intendeva aspettare che suonassero le campane, le campane della vicina cappella, per andare alla messa e finalmente estinguere il suo debito con la piccola santa. Nel frattempo voleva bere, e ordinò da bere. Bevve. Le campane che invitavano alla messa iniziarono a risuonare con forti rintocchi e lui chiamò: «Cameriere, il conto!», pagò, si alzò, uscì e, proprio davanti alla porta, si scontrò con un uomo enorme, dalle spalle larghe. Lo chiamò subito per nome: «Woitech», e contemporaneamente questi esclamò: «Andreas!». Si gettarono l’uno tra le braccia dell’altro, erano stati minatori insieme a Quebecque, entrambi nella stessa miniera.
«Aspettami qui», disse Andreas. «Solo venti minuti, il tempo della messa, non un secondo di più!».
«Neanche per sogno», disse Woitech. «E poi da quando vai alla mes­sa? Non sopporto i preti, e ancora meno la gente che va dai preti».
«Ma io vado dalla piccola Thérèse», disse Andreas. «Le devo dei soldi».
«Vuoi dire santa Thérèse?»
«Esatto, lei».
«Quanto le devi?»
«Duecento franchi».
«Allora ti accompagno», disse Woitech.
Le campane continuavano a suonare. Andreas e Woitech andarono in chiesa e una volta entrati, quando iniziò la messa, Woitech bisbigliò: «Dammi subito cento franchi! Mi sono appena ricordato che fuori c’è uno che mi aspetta, altrimenti finisco in prigione!».
Andreas gli consegnò immediatamente entrambi i biglietti da cento che gli erano rimasti e disse: «Ti raggiungo subito».
Quando si rese conto che non aveva più i soldi da restituire a Thérèse, gli sembrò inutile assistere ancora alla messa. Aspettò altri cinque minuti, solo per decenza, poi andò nel bistrot sull’altro lato della piazza, dove Woitech lo stava aspettando.
Da allora in poi furono amici per la pelle, come si promisero reciprocamente.
Naturalmente Woitech non era debitore a nessuno. Una delle banconote che gli aveva prestato Andreas la nascose con cura nel fazzoletto e ci fece un nodo. Con gli altri cento franchi invitò Andreas a bere, e bere e bere, e la notte andarono in quella casa con le ragazze compiacenti e vi rimasero tre giorni. Quando uscirono era martedì e Woitech si separò da Andreas con le seguenti parole: «Ci vediamo domenica, stesso posto, stessa ora».
«Ciao», disse Andreas.
«Ciao», disse Woitech, e sparì.

XIV.



Era un piovoso pomeriggio di martedì, e pioveva così a dirotto che un attimo dopo Woitech era sparito sul serio. O almeno così sembrò ad Andreas.
Gli sembrò di aver perduto l’amico nella pioggia, proprio come per caso lo aveva incontrato, e poiché a parte trentacinque franchi non aveva più soldi in tasca, si considerava viziato dal destino ed era sicuro che gli sarebbero capitati altri miracoli, decise, come fanno tutti i poveri e i bevitori incalliti, di affidarsi nuovamente a Dio, all’unico in cui credeva. Andò dunque sulla Senna e scese i familiari gradini che conducevano alla dimora dei vagabondi.
Incrociò un uomo che stava salendo le scale e che gli sembrò di conoscere molto bene. Andreas allora lo salutò con gentilezza. Era un signore anziano, dall’aspetto curato, che si fermò, osservò attentamente Andreas e infine chiese: «Ha bisogno di soldi, caro signore?».
Dalla voce Andreas riconobbe il signore che aveva incontrato tre settimane prima, perciò disse: «Ricordo bene di essere ancora in debito con lei, dovevo portare il denaro a santa Thérèse. Ma sa, nel frattempo sono successe tante cose e già per tre volte mi è stato impossibile restituirlo».
«Si sbaglia», disse il signore anziano e ben vestito, «non ho l’onore di conoscerla. Credo proprio mi abbia scambiato per qualcun altro, ma ho l’impressione che lei si trovi in difficoltà. Quanto a santa Thérèse, di cui ha appena parlato, le sono così obbligato umanamente che sono senz’altro disposto ad anticiparle il denaro che le deve. Quanto le serve?»
«Duecento franchi», rispose Andreas, «ma scusi, lei non mi conosce neppure. Sono un uomo d’onore, però non potrà venirmi a cercare, infatti ho il mio onore, è vero, ma non ho un indirizzo. Dormo sotto uno di questi ponti».
«Oh, non importa», disse il signore. «Anch’io dormo qui. E accettando questi soldi mi fa un piacere per cui non le sarò mai abbastanza grato. Anch’io devo tanto alla piccola Thérèse».
«Se è così», disse Andreas, «sono a sua disposizione».
Prese il denaro, aspettò che il signore salisse i gradini, poi salì anche lui gli stessi gradini e andò direttamente al Tari-Bari, il suo vecchio ristorante russo-armeno, e lì rimase fino al sabato sera. Allora si ricordò che il giorno dopo era domenica e doveva andare nella cappella di Ste Marie des Batignolles.

XV.



Il Tari-Bari era pieno di gente, perché molti di quelli che non avevano un tetto dormivano lì, giorno e notte, di giorno dietro al banco e di notte sulle panche. Quella domenica Andreas si svegliò molto presto, non tanto per paura di perdere la messa quanto per paura che il padrone lo obbligasse a pagare vitto, bevande e alloggio per tutti quei giorni.
Ma gli andò male, perché il padrone si era alzato molto prima di lui. Lo conosceva da tempo e sapeva che il nostro Andreas aveva la tendenza a cogliere ogni occasione per evitare di saldare il conto. Perciò il nostro Andreas dovette pagare profumatamente cibo e bevande, da martedì a domenica, anzi, molto più di quanto avesse mangiato e bevuto in realtà. Infatti il padrone del Tari-Bari sapeva distinguere chi tra i suoi clienti era bravo a fare i conti e chi invece no, e il nostro Andreas apparteneva a quelli meno bravi, come molti bevitori. Così sborsò gran parte del denaro che aveva con sé, tuttavia si recò ugualmente alla cappella di Ste Marie des Batignolles. Ma sapeva bene di non aver più abbastanza soldi per pagare il debito a santa Thérèse. E pensava anche all’amico Woitech, con cui aveva appuntamento, nella stessa misura in cui pensava alla sua piccola creditrice.
Raggiunse dunque la cappella, e purtroppo anche quella volta la messa delle dieci era finita e di nuovo si vide venire incontro il fiume di persone che uscivano. Quando per abitudine prese la via del bistrot si sentì chiamare, e all’improvviso una mano robusta si posò sulla sua spalla. Si voltò e si trovò davanti un poliziotto.
Il nostro Andreas che, come sappiamo non aveva documenti al pari di tanti altri nelle sue condizioni, si spaventò e si toccò la tasca, tanto per dare l’impressione di avere qualche documento valido. Tuttavia il poliziotto disse: «So cosa cerca, ma è inutile che lo cerchi in tasca. Ecco il suo portafoglio, lo ha appena perduto. Questo succede», aggiunse in tono scherzoso, «quando già di prima mattina si sono bevuti molti aperitivi...».
Andreas prese in fretta il portafoglio, riuscì a malapena a mantenere la calma necessaria per sollevare il cappello e andò difilato nel bistrot dall’altra parte della piazza.
Lì trovò Woitech ma non lo riconobbe alla prima occhiata, gli ci volle un po’. Poi però il saluto del nostro Andreas fu tanto più cordiale. Non la finivano più di invitarsi reciprocamente a prendere posto e Woitech, cortese come la maggior parte degli uomini, si alzò dalla panca e cedette ad Andreas il posto d’onore, fece il giro del tavolo barcollando, si sedette di fronte a lui su una sedia e gli rivolse parole gentili. Bevvero soltanto Pernod.
«Mi è successa una cosa incredibile», disse Andreas. «Mentre venivo qui al nostro appuntamento un poliziotto mi prende per una spalla e dice: “Ha perso il portafoglio”. E mi dà un portafoglio che non è mio e io me lo metto in tasca. Voglio vedere cos’è di preciso».
E con queste parole tira fuori il portafoglio e lo esamina, dentro ci sono vari documenti che non gli interessano, trova anche dei soldi, conta le banconote e sono esattamente duecento franchi. Allora Andreas esclama: «Vedi, questo è un segno di Dio. Ora attraverso la piazza e pago finalmente il mio debito».
«Hai tempo finché non finisce la messa», dice Woitech. «A che ti serve andare ora? Tanto durante la messa non puoi restituire i soldi. Dopo vai in sacrestia, intanto beviamo».
«Certo, come vuoi», replicò Andreas.
In quell’istante la porta si aprì e, mentre avvertiva un terribile dolore al petto e una grande debolezza nella testa, Andreas vide entrare una bambina che si sedette proprio sulla panca davanti a lui. Era molto giovane, così giovane come nessun’altra vista prima, gli sembrò, ed era vestita tutta di celeste. Di un celeste come può esserlo solo il cielo in certi giorni, nei giorni benedetti.
Andreas si avvicinò barcollando alla bambina, fece un inchino e chiese «Cosa ci fa qui?»
«Aspetto i miei genitori che escono ora dalla messa e passano a prendermi. Vengo ogni quattro domeniche», rispose intimidita da quell’uomo anziano che le aveva rivolto la parola così all’improvviso. Le faceva un po’ paura.
Andreas domandò: «Come si chiama?»
«Thérèse».
«Ma è bellissimo», esclamò Andreas. «Non avrei mai immaginato che una così grande, una così piccola santa, una così grande e così piccola creditrice mi concedesse l’onore di venirmi a cercare dopo che io non sono andato da lei per tutto questo tempo».
«Non so di cosa parla», disse confusa la bambina.
«Lo dice solo per delicatezza», replicò Andreas. «Lo dice solo per delicatezza, ma io lo apprezzo. Da tanto le devo duecento franchi e non sono più riuscito a restituirglieli, signorina santa!».
«Lei non mi deve dei soldi, ma io ne ho un po’ nella borsetta, li prenda e se ne vada. Fra poco arrivano i miei genitori».
E così dicendo prese dalla borsetta una banconota da cento franchi e gliela diede.
Woitech vide la scena allo specchio, si alzò barcollando dalla sua sedia, ordinò due Pernod e cercò di trascinare il nostro Andreas al banco perché bevesse con lui. Ma appena prova ad avvicinarsi, Andreas si accascia come un sacco vuoto e tutti nel bistrot si spaventano, anche Woitech. Più degli altri la bambina di nome Thérèse. E dato che nelle vicinanze non ci sono medici né farmacie, Andreas viene trascinato nella cappella, per l’esattezza in sacrestia, perché i preti se ne intendono di morte e gente che muore, come nonostante tutto credevano anche i miscredenti camerieri, e la bambina di nome Thérèse non può fare a meno di andare con loro.
Quindi il nostro povero Andreas viene portato in sacrestia, e purtroppo non è più in grado di parlare, fa solo un gesto, come per toccare la tasca interna sinistra della giacca, dove si trova il denaro che deve alla piccola creditrice, dice: «Signorina Thérèse!», rende l’ultimo sospiro e muore.
Voglia Dio concedere a tutti noi, a noi bevitori, una morte così lieve e bella.