(As Intermitências da Morte, 2005)
Traduzione di Rita Desti
A Pilar, la mia casa
Sapremo sempre meno che cosè un essere umano
LIBRO DELLE PREVISIONI
Pensa per esempio di più alla morte, – e sarebbe in effetti singolare se tu, in questo modo, non dovessi apprendere nuove rappresentazioni, nuovi ambiti della lingua
LUDWING WITTGENSTEIN, Diari 1936-1937
I
Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale, sia pur che si trattasse di un solo caso per campione, che fosse mai occorso un fenomeno simile, che trascorresse un giorno intero, con tutte le sue prodighe ventiquattr'ore, fra diurne e notturne, mattutine e vespertine, senza che fosse intervenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato. Neppure uno di quegli incidenti automobilistici tanto frequenti nelle occasioni festive, quando l'allegra irresponsabilità e l'eccesso di alcol si sfidano reciprocamente sulle strade per decidere chi riuscirà ad arrivare alla morte al primo posto. Il passaggio dell'anno non aveva lasciato dietro di sé il solito rigagnolo calamitoso di morti, come se la vecchia atropo dalla dentatura digrignata avesse deciso di inguainare la forbice per un giorno. Sangue, però, ce ne fu, e non poco. Allucinati, confusi, accorati, a stento dominando la nausea, i pompieri estraevano dall'amalgama dei rottami miseri corpi umani che, secondo la logica matematica delle collisioni, sarebbero dovuti essere morti e stramorti, ma che, nonostante la gravità delle ferite e dei traumi subiti, erano ancora vivi e così venivano trasportati negli ospedali, al suono delle dilaceranti sirene delle ambulanze. Nessuna di quelle persone sarebbe morta strada facendo e tutte avrebbero smentito le più pessimistiche prognosi mediche, Per questo povero diavolo non c'è niente da fare, non varrebbe neanche la pena di perdere tempo a operarlo, diceva il chirurgo all'infermiera mentre quest'ultima gli accomodava la mascherina sul viso. Realmente, forse non ci sarebbe stata salvezza per il poverino il giorno precedente, ma era del tutto chiaro che la vittima si rifiutava di morire in questo. E quanto accadeva qui, accadeva in tutto il paese. Fino alla mezzanotte in punto dell'ultimo giorno dell'anno ci fu ancora gente che accettò di morire nel più fedele ossequio alle regole, sia quelle che si riferivano al nocciolo della questione, cioè, il concludersi della vita, sia quelle che attenevano alle molteplici modalità di cui esso, il suddetto nocciolo della questione, con maggiore o minor pompa e solennità, usa rivestirsi quando arriva il momento fatale. Un caso fra tutti interessante, ovviamente trattandosi di chi si trattava, fu quello dell'anzianissima e veneranda regina madre. Alle ore ventitre e cinquantanove minuti di quel trentuno dicembre nessuno sarebbe stato tanto ingenuo da scommettere un soldo bucato sulla vita della real signora. Perduta ogni speranza, arresisi i medici all'implacabile evidenza, la famiglia reale, gerarchicamente disposta intorno al letto, aspettava con rassegnazione l'estremo sospiro della matriarca, forse qualche parolina, un'ultima sentenza edificante finalizzata alla formazione morale degli amati principi suoi nipoti, forse una bella e schietta frase all'indirizzo della sempre ingrata memoria dei sudditi venturi. E poi, come se il tempo si fosse fermato, non accadde nulla. La regina madre non migliorò né peggiorò, rimase lì come sospesa, dondolando il fragile corpo sul bordo della vita, a ogni istante minacciando di cadere dall'altro lato, ma legata a questo da un tenue filo che la morte, poteva essere soltanto lei, non si sa per quale strano capriccio, continuava a tenere. Eravamo ormai passati al giorno seguente, e in quello, come si è informato subito all'inizio di questo racconto, nessuno sarebbe morto.
Era già pomeriggio piuttosto inoltrato quando cominciò a correre la voce che, dall'inizio del nuovo anno, più precisamente dall'ora zero di questo primo gennaio in cui ci troviamo, non risultava che fosse occorso in tutto il paese un solo decesso. Si potrebbe pensare, per esempio, che la diceria avesse avuto origine nella sorprendente resistenza della regina madre a desistere da quel po' di vita che ancora le restava, ma la verità è che l'abituale bollettino medico diramato dall'ufficio stampa del palazzo ai mezzi di comunicazione sociale non solo assicurava che lo stato generale dell'inferma aveva presentato visibili miglioramenti già durante la notte, ma addirittura suggeriva, addirittura dava a intendere, scegliendo accuratamente le parole, la possibilità di un completo ristabilimento dell'importantissima salute. Nella sua prima manifestazione la voce poteva anche essere uscita con la massima naturalezza da un'agenzia di pompe funebri e traslazioni, A quanto pare nessuno sembra esser disposto a morire il primo giorno dell'anno, o da un ospedale, Quel tipo del letto ventisette non vuole davvero crepare, o magari dal portavoce della polizia stradale, È un vero e proprio mistero che, con tanti incidenti che ci sono stati sulla strada, non ci sia almeno un morto a titolo di esempio. La diceria, la cui fonte primigenia non venne mai scoperta, senza peraltro, alla luce di quanto sarebbe successo in seguito, che ciò importasse molto, non tardò ad arrivare ai giornali, alla radio e alla televisione, e fece rizzare immediatamente le orecchie a direttori, vice e capiredazione, persone non solo preparate a fiutare a distanza i grandi avvenimenti della storia del mondo, ma anche addestrate a ingigantirli ancora di più ogni qualvolta sia conveniente. Nel giro di pochi minuti c'erano già per la strada decine di cronisti investigativi a far domande a chiunque gli capitasse davanti, mentre nelle brulicanti redazioni le batterie dei telefoni si agitavano e vibravano nella stessa identica frenesia investigativa. Si fecero chiamate agli ospedali, alla croce rossa, all'obitorio, alle agenzie di pompe funebri, alle polizie, a tutte quante, con comprensibile esclusione di quella segreta, ma le risposte si riducevano tutte alle stesse laconiche parole, Morti non ce ne sono. Più fortuna avrebbe avuto quella giovane cronista televisiva cui un passante, guardando alternatamente lei e la cinepresa, raccontò un caso vissuto in prima persona e che era l'esatta copia del già citato episodio della regina madre, Stava giustappunto scoccando la mezzanotte, disse lui, quando mio nonno, che sembrava proprio sul punto di andarsene, ha aperto all'improvviso gli occhi prima che risuonasse l'ultimo rintocco nell'orologio della torre, come se si fosse pentito del passo che stava per fare, e non è morto. La cronista fu a tal punto colpita da ciò che aveva appena udito che, senza badare a proteste né suppliche, Ma signora, per favore, non posso, devo andare in farmacia, il nonno sta aspettando la medicina, spinse l'uomo nell'auto di servizio, Venga, venga con me, suo nonno non ha più bisogno di medicine, gridò, e subito ordinò di dirigersi allo studio televisivo, dove in quel preciso momento tutto era in preparativi per un dibattito fra tre specialisti in fenomeni paranormali, vale a dire, due stregoni di fama e una nota veggente, in tutta fretta convocati per analizzare e dare la loro opinione su quello che già cominciava a esser chiamato da alcuni spiritosi, di quelli che non hanno rispetto per niente, lo sciopero della morte. L'ardita cronista era incappata nel più grave degli inganni, in quanto aveva interpretato le parole della sua fonte informativa come a significare che il moribondo, in senso letterale, si fosse pentito del passo che stava per compiere, cioè, morire, defungere, tirare le cuoia, e quindi avesse deciso di fare marcia indietro. Orbene, le parole che il felice nipote aveva effettivamente pronunciato, Come se si fosse pentito, erano radicalmente differenti da un perentorio Si è pentito. Qualche lume di sintassi elementare e una maggiore familiarità con le elastiche sottigliezze dei tempi verbali avrebbero evitato il quiproquò e la conseguente lavata di capo che la povera giovane, rossa per la vergogna e l'umiliazione, dovette subire dal suo diretto superiore. A stento potevano immaginare però, lui e lei, che la tal frase, ripetuta in diretta dall'intervistato e nuovamente ascoltata in registrazione nel telegiornale della sera, sarebbe stata compresa alla stessa maniera equivocata da milioni di persone, il che finirà per avere come sconcertante conseguenza, in un futuro assai prossimo, la creazione di un movimento di cittadini fermamente convinti che grazie alla semplice azione della volontà sarà possibile vincere la morte e che, di conseguenza, l'immeritata scomparsa di tanta gente nel passato si era dovuta solo a una censurabile debilità di volizione delle generazioni precedenti. Ma le cose non si fermeranno qui. Giacché le persone, senza per ciò dover compiere alcuno sforzo percettibile, continueranno a non morire, un altro movimento popolare di masse, dotato di una visione prospettica più ambiziosa, proclamerà che il più grande sogno dell'umanità fin dal principio dei tempi, cioè, il godimento felice di una vita eterna qua sulla terra, era divenuto un bene per tutti, come il sole che nasce tutti i giorni e l'aria che respiriamo. Nonostante che si disputassero, per così dire, lo stesso elettorato, ci fu un punto in cui i due movimenti seppero mettersi d'accordo, e fu la nomina alla presidenza onoraria, data la sua eminente qualità di precursore, di quel coraggioso veterano che, nell'istante supremo, aveva sfidato e sconfitto la morte. A quanto si sa, non verrà attribuita particolare importanza al fatto che il nonnetto si trovi in uno stato di coma profondo e, secondo tutti gli indizi, irreversibile.
Benché la parola crisi non sia certamente la più appropriata per caratterizzare i singolarissimi eventi che abbiamo fin qui narrato, in quanto sarebbe assurdo, incongruente e attentatorio alla logica più corrente parlare di crisi in una situazione esistenziale privilegiata proprio dall'assenza della morte, è comprensibile che alcuni cittadini, puntigliosi nel proprio diritto a un'informazione verace, continuino a domandare a se stessi, e gli uni agli altri, che diavolo stia facendo il governo, che fino a ora non ha dato il minimo segno di vita. Vero è che il ministro della salute, interpellato di passaggio nel breve intervallo fra due riunioni, aveva spiegato ai giornalisti che, considerando la mancanza di elementi di giudizio sufficienti, qualsiasi dichiarazione ufficiale sarebbe stata giocoforza prematura, Stiamo raccogliendo le informazioni che ci arrivano da tutto il paese, aggiunse, e in effetti in nessuna si fa menzione di decessi, ma, come è facile immaginare, colti di sorpresa come tutti, non siamo ancora pronti per enunciare una prima idea sulle origini del fenomeno e sulle sue implicazioni, tanto le immediate come le future. Avrebbe potuto fermarsi qui, e, tenendo conto delle difficoltà della situazione, già ci sarebbe stato da ringraziare, ma il noto impulso di raccomandare la calma alle persone a proposito di tutto e di niente, di mantenerle tranquille nell'ovile comunque sia, quel tropismo che nei politici, specialmente se sono al governo, è divenuto una seconda natura, per non dire un automatismo, un movimento meccanico, lo portò a concludere la conversazione nella maniera peggiore, Come responsabile del dicastero della salute, assicuro a tutti coloro che mi ascoltano che non c'è alcun motivo di allarme, Se ho ben capito quanto ho appena udito, osservò un giornalista in un tono che non voleva sembrare troppo ironico, secondo lei, signor ministro, non è allarmante il fatto che nessuno sta morendo, Esatto, anche se con altre parole, è proprio ciò che ho detto, Signor ministro, mi permetta di ricordarle che ancora ieri c'erano persone che morivano e a nessuno sarebbe passato per la testa che questo fosse allarmante, È naturale, la consuetudine è morire, e morire diviene allarmante solo quando le morti si moltiplicano, una guerra, un'epidemia, per esempio, Cioè, quando si esce dalla routine, Si potrebbe dire così, Ma, proprio ora che non si trova nessuno disposto a morire, lei, signor ministro, ci viene a chiedere di non allarmarci, ne converrà con me che è, per lo meno, piuttosto paradossale, È stata la forza dell'abitudine, riconosco che in questo caso non si sarebbe dovuto adottare il termine allarme, Che altra parola userebbe allora, signor ministro, le pongo la domanda perché, come giornalista cosciente dei miei obblighi quale mi pregio di essere, mi preoccupa impiegare il termine esatto ogni qualvolta sia possibile. Leggermente infastidito per l'insistenza, il ministro rispose seccamente, Non una, ma quattro, Quali, signor ministro, Non alimentiamo false speranze. Sarebbe stato, senza dubbio, un onesto e buon titolo per il giornale dell'indomani, ma il direttore, dopo essersi consultato con il caporedattore, ritenne sconsigliabile, anche dal punto di vista imprenditoriale, lanciare quel secchio d'acqua gelata sull'entusiasmo popolare, Ci metta quello di sempre, Anno Nuovo, Vita Nuova, disse.
Nel comunicato ufficiale, finalmente diffuso ormai a notte fonda, il capo del governo ratificava che dall'inizio del nuovo anno non si erano registrate scomparse in tutto il paese, chiedeva moderazione e senso di responsabilità nelle valutazioni e interpretazioni che dello strano fatto venissero a essere elaborate, ricordava che non si sarebbe dovuta escludere l'ipotesi che si trattasse di una casualità fortuita, di un'alterazione cosmica meramente accidentale e senza continuità, di una congiunzione eccezionale di coincidenze intruse nell'equazione spazio-tempo, ma che, per il sì e per il no, si erano già avviati contatti esplorativi con gli organismi internazionali competenti al fine di abilitare il governo a un'azione che sarebbe stata tanto più efficace quanto il più possibile concertata. Enunciate queste vacuità pseudoscientifiche, destinate anch'esse a sedare, per quel che valessero, il trambusto che regnava nel paese, il primo ministro terminava affermando che il governo era preparato a tutte le eventualità umanamente immaginabili, deciso ad affrontare con coraggio e con l'indispensabile appoggio della popolazione i complessi problemi sociali, economici, politici e morali che l'estinzione definitiva della morte inevitabilmente avrebbe determinato, nel caso, che tutto sembra indicare come prevedibile, che si venisse a confermare. Accetteremo la sfida dell'immortalità del corpo, esclamò in tono esaltato, se quella sarà la volontà di dio, che ringrazieremo sempre in eterno, con le nostre preghiere, di avere scelto il buon popolo di questo paese quale suo strumento. Ciò significa, pensò il capo del governo concludendo la lettura, che ci siamo dentro fino al collo. Ma non poteva certo immaginare fino a che punto. Non era ancora passata mezz'ora quando, ormai nell'automobile ufficiale che lo riportava a casa, ricevette una chiamata dal cardinale, Buonasera, signor primo ministro, Buonasera, eminenza, Le telefono per dirle che mi sento profondamente scioccato, Anch'io, eminenza, la situazione è molto grave, la più grave di quante il paese ha dovuto vivere fino a oggi, Non si tratta di questo, Di che si tratta allora, eminenza, È deplorevole sotto tutti gli aspetti che, nel redigere la dichiarazione che ho appena ascoltato, lei, signor primo ministro, non si sia ricordato di quello che costituisce il fondamento, la trave maestra, la pietra angolare, la chiave di volta della nostra santa religione, Eminenza, mi perdoni, temo di non comprendere dove vuole arrivare, Senza morte, mi ascolti bene, signor primo ministro, senza morte non c'è resurrezione, e senza resurrezione non c'è chiesa, Oh, diavolo, Non ho capito cosa ha appena detto, ripeta, per favore, Nulla, eminenza, probabilmente sarà stata qualche interferenza causata dall'elettricità atmosferica, dalla statica, o magari un problema di copertura, a volte il satellite fallisce, stava dicendo, eminenza, Stavo dicendo quello che qualsiasi cattolico, e lei non fa eccezione, ha l'obbligo di sapere, che senza resurrezione non c'è chiesa, e inoltre, come le è venuto in mente che dio potrebbe volere la propria fine, affermarlo è un'idea assolutamente sacrilega, forse la peggiore delle bestemmie, Eminenza, io non ho detto che dio voleva la propria fine, In effetti, con queste precise parole, no, ma ha ammesso la possibilità che l'immortalità del corpo derivasse dalla volontà di dio, non c'è bisogno di avere il dottorato in logica trascendentale per capire che chi dice una cosa, dice l'altra, Eminenza, la prego, mi creda, è stata solo una frase a effetto destinata a far colpo, la conclusione di un discorso, niente di più, sa bene che la politica ha necessità del genere, Anche la chiesa ne ha, signor primo ministro, ma noi ponderiamo molto prima di aprire bocca, non parliamo a vanvera, calcoliamo gli effetti a distanza, la nostra specialità, se vuole che le dia un'immagine per comprendere meglio, è la balistica, Sono desolato, eminenza, Al suo posto lo sarei anch'io. Come se stesse valutando il tempo che ci avrebbe messo la granata a cadere, il cardinale fece una pausa, poi, in tono più dolce, più cordiale, proseguì, Vorrei sapere se lei, signor primo ministro, ha messo al corrente della dichiarazione sua maestà prima di leggerla ai mezzi di comunicazione sociale, Naturalmente, eminenza, trattandosi di un argomento di tale delicatezza, E cosa ha detto il re, se non è un segreto di stato, L'ha trovata buona, Ha fatto qualche commento alla fine, Stupendo, Stupendo che, È quanto mi ha detto sua maestà, stupendo, Vuol dire che ha bestemmiato pure lui, Non sono competente per formulare giudizi di tale natura, eminenza, vivere con i miei stessi errori mi dà già abbastanza daffare, Dovrò parlare al re, rammentargli che, in una situazione come questa, tanto confusa, tanto delicata, solo l'osservanza fedele e senza debolezze delle provate dottrine della nostra santa madre chiesa potrà salvare il paese dallo spaventoso caos che ci cadrà addosso, Deciderete voi, eminenza, è nel vostro ruolo, Domanderò a sua maestà cosa preferisce, se vedere la regina madre per sempre agonizzante, prostrata in un letto da cui non si alzerà più, con l'immondo corpo che le trattiene indegnamente l'anima, oppure vederla, morendo, trionfatrice sulla morte, nella gloria eterna e risplendente dei cieli, Nessuno esiterebbe nella risposta, Sì, ma, al contrario di quel che si crede, non sono tanto le risposte che mi importano, signor primo ministro, bensì le domande, ovviamente mi riferisco alle nostre, osservi come di solito abbiano, al tempo stesso, un obiettivo visibile e un'intenzione nascosta dietro, se le facciamo non è solo perché ci rispondano ciò che in quel momento abbiamo bisogno che gli interpellati ascoltino dalla propria bocca, è anche perché si va preparando la strada alle future risposte, Più o meno come in politica, eminenza, Infatti, ma il vantaggio della chiesa è che, anche se a volte non sembra, nel gestire ciò che sta in alto, governa ciò che sta in basso. Ci fu una nuova pausa, che il primo ministro interruppe, Sto per arrivare a casa, eminenza, ma, se me lo consente, vorrei sottoporle ancora una breve questione, Dica, Che farà la chiesa se non morirà mai più nessuno, Mai più è troppo tempo, anche trattandosi della morte, signor primo ministro, Credo che non mi abbia risposto, eminenza, Le restituisco la domanda, che farà lo stato se non morirà mai più nessuno, Lo stato tenterà di sopravvivere, anche se dubito molto che ci riuscirà, ma la chiesa, La chiesa, signor primo ministro, si è talmente abituata alle risposte eterne che non riesco a immaginarla darne delle altre, Anche se la realtà le contraddice, È fin dal principio che non abbiamo fatto altro che contraddire la realtà, ed eccoci qui, Che dirà il papa, Se lo fossi io, che dio mi perdoni la stolta vanità di pensarmi tale, farei mettere immediatamente in circolazione una nuova tesi, quella della morte rinviata, Senza ulteriori spiegazioni, Alla chiesa non si è mai chiesto di spiegare comunque, l'altra nostra specialità, oltre alla balistica, è stata di neutralizzare, con la fede, lo spirito curioso, Buonasera, eminenza, a domani, Se dio vuole, signor primo ministro, sempre se dio vuole, Da come stanno le cose in questo momento, non sembra che possa evitarlo, Non si dimentichi, signor primo ministro, che fuori dalle frontiere del nostro paese si continua a morire con la massima normalità, e questo è un buon segno, Questione di punti di vista, eminenza, forse là fuori ci stanno guardando come a un'oasi, un giardino, un nuovo paradiso, O un inferno, se sono intelligenti, Buonasera, eminenza, le auguro un sonno tranquillo e riparatore, Buonasera, signor primo ministro, se la morte decide di tornare stanotte, spero non si ricordi di venire a scegliere lei, Se a questo mondo la giustizia non è una parola vana, la regina madre dovrà andarsene prima di me, Prometto che non la denuncerò domani al re, Gliene sono grato, eminenza, Buonasera, Buonasera.
Erano le tre del mattino quando il cardinale dovette essere trasportato di corsa all'ospedale con un attacco di appendicite acuta che obbligò a un intervento chirurgico immediato. Prima di essere risucchiato nel tunnel dell'anestesia, in quel breve istante che precede la perdita totale della coscienza, pensò quello che tanti hanno pensato, che durante l'operazione poteva anche morire, poi si ricordò che ormai non era più possibile, e infine, in un ultimo barlume di lucidità, gli passò ancora per la mente l'idea che se, nonostante tutto, fosse morto, questo avrebbe significato che, paradossalmente, aveva vinto la morte. Trascinato da un'irresistibile ansia sacrificale stava per implorare a dio che lo ammazzasse, ma non fece più in tempo a mettere ordine alle parole. L'anestesia lo risparmiò al supremo sacrilegio di voler trasferire i poteri della morte a un dio più generalmente conosciuto come datore di vita.
II
Benché fosse stata immediatamente messa in ridicolo dai giornali della concorrenza, che erano riusciti a trarre dall'ispirazione dei loro redattori principali i più diversi e succulenti titoli, alcune volte drammatici, altre lirici, e, non di rado, filosofici o mistici, quando non di una commovente ingenuità, come nel caso di quel quotidiano popolare che si accontentò della domanda E Ora Che Ne Sarà Di Noi, aggiungendo in coda alla frase lo sfoggio grafico di un enorme punto interrogativo, il già citato titolo di prima pagina Anno Nuovo, Vita Nuova, nonostante la deprimente banalità, andò a cadere come il cacio sui maccheroni per certe persone che, per temperamento o educazione acquisita, preferivano soprattutto la sicurezza di un ottimismo più o meno pragmatico, anche se avevano motivi per sospettare che si sarebbe trattato di una mera e forse fugace apparenza. Avendo vissuto, fino a questi giorni di confusione, in quello che immaginavano fosse il migliore di tutti i mondi possibili e probabili, scoprivano, deliziati, che il migliore, veramente il migliore, si stava realizzando soltanto ora, che ce lo avevano proprio lì, a portata di mano, una vita unica, meravigliosa, senza la paura quotidiana della stridente forbice della parca, l'immortalità nella patria che ci ha dato l'esistenza, al riparo da sconforti metafisici e gratis per tutti quanti, senza una lettera sigillata da aprire nell'ora della morte, tu in paradiso, tu in purgatorio, tu all'inferno, a questo crocevia si separavano un tempo, cari compagni di questa valle di lacrime chiamata terra, i nostri destini nell'altro mondo. Posto ciò, non ebbero altra soluzione i periodici reticenti o problematici, e con essi le televisioni e le radio affini, che unirsi all'alta marea della gioia collettiva che dilagava da nord a sud e da est a ovest, rinvigorendo le menti timorose e trascinando via lontano dalla vista la lunga ombra di tanatos. Con il passare dei giorni, e vedendo che in effetti non moriva nessuno, i pessimisti e gli scettici, a poco a poco all'inizio, poi in massa, si unirono via via al mare magnum di cittadini che coglievano tutte le occasioni per scendere in piazza e proclamare, e gridare, che, ora sì, la vita è bella.
Un giorno, una signora in stato di recente vedovanza, non trovando altra maniera di manifestare la nuova felicità che le inondava l'essere, e sia pur con il leggero dolore di sapere che, non morendo, non avrebbe mai più rivisto il compianto defunto, pensò di appendere fuori, sul balcone fiorito della sua sala da pranzo, la bandiera nazionale. Fu ciò che si suol dire detto, fatto. In meno di quarantott'ore l'imbandieramento dilagò in tutto il paese, i colori e i simboli della bandiera si impossessarono del paesaggio, con maggiore visibilità nelle città per l'ovvia ragione che sono più beneficiate di balconi e finestre rispetto alla campagna. Era impossibile resistere a un tale fervore patriottico, soprattutto perché, provenienti chissà da dove, avevano cominciato a diffondersi certe dichiarazioni inquietanti, per non dire francamente minacciose, come, per esempio, Chi non mette l'immortale bandiera della patria alla finestra di casa sua non merita di essere vivo, Quelli che non girano con la bandiera nazionale bene in vista è perché si sono venduti alla morte, Unisciti a noi, sii patriota, compra una bandiera, Comprane un'altra, Comprane un'altra ancora, Abbasso i nemici della vita, fortuna loro che non c'è più morte. Le strade erano un vero e proprio accampamento con le insegne spiegate, battute dal vento, se soffiava, oppure, in sua mancanza, un ventilatore piazzato a dovere ne faceva le veci, e se la potenza dell'apparecchio non era sufficiente perché lo stendardo drappeggiasse virilmente, obbligandolo a fare quegli schiocchi di frusta che esaltano tanto gli spiriti marziali, almeno faceva in modo che i colori della patria oscillassero onorevolmente. Qualche rara persona, a mezza bocca, mormorava che era un'esagerazione, uno sproposito, che presto o tardi non si sarebbe potuto far altro che togliere tutto quel bandierume, e quanto prima lo faremo, tanto meglio, perché proprio come troppo zucchero nel budino ammazza il gusto e pregiudica il processo digestivo, così anche il normale e più che giusto rispetto per gli emblemi patriottici finirà per convertirsi in burla se permettiamo che scada in autentici attentati contro il pudore, tipo gli esibizionisti in impermeabile di esecrata memoria. Inoltre, dicevano, se le bandiere sono lì a celebrare il fatto che la morte ha smesso di ammazzare, allora delle due l'una, o le togliamo prima di cominciare, stufi, a non sopportare più i simboli della patria, oppure passeremo il resto della vita, cioè l'eternità, sì, diciamo bene, l'eternità, a cambiarli ogni volta che la pioggia li marcisca, che il vento li sbrandelli o il sole gliene mangi il colore. Erano pochissime le persone che avevano il coraggio di mettere così, pubblicamente, il dito nella piaga, e ci fu un poveraccio che dovette pagare l'antipatriottico sfogo con una scarica di legnate che, se non pose fine all'istante alla sua triste vita, fu solo perché in questo paese la morte aveva smesso di operare dall'inizio dell'anno.
Non è tutta una festa, però, accanto ad alcuni che ridono ce ne saranno sempre altri che piangono, e a volte, come nel presente caso, per le stesse ragioni. Importanti settori professionali, seriamente preoccupati per la situazione, hanno già cominciato a fare arrivare a chi di dovere l'espressione del loro scontento. Come c'era da aspettarsi, i primi e formali reclami vennero dalle imprese degli affari funerari. Bruscamente sforniti della loro materia prima, i proprietari cominciarono col fare il classico gesto di portarsi le mani alla testa, gemendo come in un coro di prefiche, E ora che ne sarà di noi, ma subito dopo, davanti alla prospettiva di un catastrofico fallimento che non avrebbe risparmiato nessuno della funerea cerchia, convocarono l'assemblea generale della categoria, al termine della quale, dopo accalorate discussioni, tutte quante improduttive perché tutte, senza eccezione, andavano a cozzare contro il muro indistruttibile della mancanza di collaborazione della morte, quella morte cui si erano abituati, di padre in figlio, come qualcosa che era loro dovuto per natura, approvarono un documento da sottoporre alla considerazione del governo della nazione, il quale documento adottava l'unica proposta costruttiva, sì, costruttiva, ma anche esilarante, che era stata portata al dibattito, Ci rideranno dietro, avvisò il presidente della sessione, ma riconosco che non abbiamo altra via d'uscita, o così, o sarà la rovina del settore. Informava dunque il documento che, riuniti in assemblea generale straordinaria per esaminare la gravissima crisi in cui si stavano dibattendo a causa della mancanza di decessi in tutto il paese, i rappresentanti delle agenzie di pompe funebri, dopo un'intensa e partecipata analisi, durante la quale aveva sempre prevalso il rispetto per i supremi interessi della nazione, erano giunti alla conclusione che era ancora possibile evitare le drammatiche conseguenze di quella che senza dubbio passerà alla storia come la peggiore calamità collettiva che ci è caduta addosso sin dalla fondazione dello stato nazionale, cioè, che il governo decida di rendere obbligatoria la sepoltura o la cremazione di tutti gli animali domestici che vengano a defungere di morte naturale o per incidente, e che tale sepoltura o tale cremazione, regolamentate e approvate, siano obbligatoriamente effettuate dall'industria funeraria, tenendo conto delle meritorie prove prestate nel passato come autentico servizio pubblico quali sono state, nel senso più profondo dell'espressione, generazioni dopo generazioni. Il documento continuava, Richiamiamo altresì la massima attenzione del governo sul fatto che l'indispensabile riconversione dell'industria non sarà fattibile senza consistenti investimenti, giacché non è la stessa cosa seppellire un essere umano e accompagnare all'ultima dimora un gatto o un canarino, e perché non dire un elefante da circo o un coccodrillo da vasca da bagno, essendo pertanto necessario riformulare da cima a fondo il nostro know how tradizionale, servendo da provvidenziale appoggio a questo indispensabile aggiornamento l'esperienza già acquisita sin dall'ufficializzazione dei cimiteri per animali, ossia, quello che sino a ora non era stato più che un intervento marginale della nostra industria, ancorché, non lo neghiamo, piuttosto lucroso, diventerebbe attività esclusiva, evitandosi così, nella misura del possibile, il licenziamento di centinaia se non di migliaia di abnegati e valorosi lavoratori che tutti i giorni della loro vita hanno fronteggiato degnamente l'immagine della morte e ai quali la stessa morte volta ora immeritatamente le spalle, Esposto quanto sopra, signor primo ministro, la preghiamo, al fine della meritata protezione di una professione millenariamente classificata di utilità pubblica, che si degni di considerare non soltanto l'urgenza di una decisione favorevole, ma anche, del pari, l'apertura di una linea di crediti agevolati, oppure, e questo sarebbe oro su azzurro, o dorato su nero, che sono poi i nostri colori, per non dire della più elementare giustizia, la concessione di prestiti a fondo perduto che aiutino a rendere fattibile la rapida rivitalizzazione di un settore la cui sopravvivenza è minacciata per la prima volta nella storia, e sin da molto prima di essa, in tutte le epoche della preistoria, giacché a un cadavere umano non sarà mai mancato chi, presto o tardi, si occupasse di seppellirlo, foss'anche solo la generosa terra che si apre. Rispettosamente, si chiede parere favorevole.
Anche i direttori e gli amministratori degli ospedali, tanto dello stato come privati, non tardarono molto ad andare a bussare alla porta del ministero degli affari sociali, quello della salute, per manifestare presso i servizi competenti le loro inquietudini e aspirazioni, le quali, per quanto strano sembri, quasi sempre attenevano più a questioni logistiche che non propriamente sanitarie. Affermavano costoro che l'ordinario processo rotativo di infermi entrati, infermi curati e infermi morti aveva subito, per così dire, un corto-circuito, o, se vogliamo dirla in termini meno tecnici, un imbottigliamento come quelli delle automobili, che aveva la sua causa nella permanenza indefinita di un numero sempre maggiore di ricoverati che, per la gravità delle malattie o degli incidenti di cui erano stati vittime, in situazione normale sarebbero già passati a miglior vita. La situazione è difficile, sostenevano, abbiamo già cominciato a mettere i malati nei corridoi, cioè, più di quanto si era soliti farlo, e tutto indica che in meno di una settimana ci troveremo alle prese non solo con la scarsità di letti, ma anche, con i corridoi e le infermerie stracolme, senza sapere, per mancanza di spazio e difficoltà di manovra, dove mettere gli eventuali altri ancora disponibili. Vero è che c'è un modo di risolvere il problema, concludevano i responsabili ospedalieri, ma siccome offende, ancorché in modo marginale, il giuramento ippocratico, la decisione, qualora andasse presa, non potrà essere né medica né amministrativa, ma politica. Visto che a buon intenditore mezza parola è sempre bastata, il ministro della salute, dopo essersi consultato con il primo ministro, diramò il seguente dispaccio, Considerando l'inarrestabile sovraoccupazione di ricoverati che ormai comincia a pregiudicare seriamente l'eccellente, fino a ora, funzionamento del nostro sistema ospedaliero e che è la diretta conseguenza del crescente numero di persone entrate in stato di vita sospesa e che si manterranno così indefinitamente, senza qualsivoglia possibilità di guarigione o di semplice miglioramento, almeno fino a che l'investigazione medica non raggiunga le nuove mete che si è prefissa, il governo consiglia e raccomanda alle direzioni e amministrazioni ospedaliere che, a seguito di un'analisi rigorosa, caso per caso, della situazione clinica dei malati che si trovino in tale condizione, e quando si confermi l'irreversibilità dei rispettivi processi morbosi, siano essi affidati alle cure delle famiglie, assumendosi gli stabilimenti ospedalieri la responsabilità di assicurare agli infermi, senza riserva, tutti i trattamenti ed esami che i loro medici di famiglia ritengano ancora necessari o semplicemente consigliabili. Si basa questa decisione del governo su un'ipotesi facilmente ammissibile da tutti, quella che a un paziente in un tale stato, perennemente sull'orlo di un decesso che perennemente gli viene negato, dovrà essergli poco meno che indifferente, sia pure in qualche momento di lucidità, il luogo in cui si trovi, vuoi che si tratti dell'affettuoso seno della propria famiglia o della congestionata infermeria di un ospedale, dal momento che non riuscirà a morire né qui né lì, come peraltro né lì né qui potrà recuperare la salute. Il governo vuole cogliere questa opportunità per informare la popolazione che proseguono a ritmo serrato le attività di investigazione che, come spera e confida, dovranno condurre a una conoscenza soddisfacente delle cause, fino a questo momento ancora misteriose, dell'improvvisa scomparsa della morte. Informa altresì che una nutrita commissione interdisciplinare, che include rappresentanti delle diverse religioni in vigore e filosofi delle diverse scuole in attività, che su questi argomenti hanno sempre una parola da dire, è incaricata del delicato compito di riflettere su quello che sarà un futuro senza morte, e intanto tenterà di elaborare una previsione plausibile dei nuovi problemi con cui la società dovrà confrontarsi, il principale dei quali alcuni riassumerebbero in questa crudele domanda, Che ne faremo dei vecchi, se ormai non c'è più la morte a spezzargli le velleità longeve.
Le case di riposo per la terza e quarta età, quelle benefiche istituzioni create tenendo conto della tranquillità delle famiglie che non hanno né il tempo né la pazienza di pulire mocci, badare agli sfinteri affaticati e alzarsi di notte per portare la padella, anch'esse non tardarono, proprio come avevano già fatto gli ospedali e le agenzie di pompe funebri, ad andare a picchiare il capo contro il muro del pianto. Facendo giustizia a chi si deve, dobbiamo riconoscere che l'incertezza in cui si trovavano divisi, cioè, continuare o non continuare ad accogliere ospiti, era una delle più angoscianti che avrebbero potuto sfidare i giusti sforzi e il talento pianificatore di qualsiasi gestore di risorse umane. Principalmente perché il risultato finale, ed è proprio questo che caratterizza gli autentici dilemmi, sarebbe stato sempre lo stesso. Abituati fino a ora, tali e quali ai loro lagnosi partner dell'endovenosa e della corona di fiori con la fascia viola, alla sicurezza derivante dalla continua e inarrestabile rotazione di vite e morti, alcune che entravano, altre che uscivano, le case di riposo della terza e quarta età non volevano neanche pensare a un futuro lavorativo in cui gli oggetti delle loro cure non sarebbero mai cambiati di faccia e di corpo, se non per esibirli più lamentosi di giorno in giorno, più decadenti, più tristemente scomposti, il viso che s'increspa, ruga dopo ruga, tale e quale all'uva passa, le membra tremolanti e incerte, come una barca che inutilmente andasse in cerca della bussola finita in mare. Un nuovo ospite era sempre stato motivo di rallegramento per le dimore del felice occaso, aveva un nome che bisognava fissare nella memoria, abitudini proprie portate dal mondo esterno, manie che erano solo sue, come un certo impiegato in pensione che tutti i giorni doveva lavare a fondo lo spazzolino da denti perché non sopportava di vedervi qualche resto di pasta dentifricia, o quell'anziana che disegnava alberi genealogici della sua famiglia e non azzeccava mai i nomi da appendere ai rami. Per alcune settimane, finché la routine non avesse livellato l'attenzione dovuta ai ricoverati, egli sarebbe stato il nuovo, il beniamino del gruppo, e lo sarebbe stato per l'ultima volta nella vita, sia pur che fosse durata tanto quanto l'eternità, questa eternità che, come del sole si suol dire, ha cominciato a brillare per tutta la gente di questo paese fortunato, noi che vedremo estinguersi l'astro del giorno e continueremo a essere vivi, nessuno sa come né perché. Ora, però, il nuovo ospite, a meno che non sia venuto a riempire qualche posto ancora vuoto e ad arrotondare le entrate della casa di riposo, è qualcuno dal destino ben noto in anticipo, non lo vedremo uscire da qui per andare a morire a casa o all'ospedale come accadeva ai bei tempi, mentre gli altri ospiti si affrettavano a chiudere a chiave la porta delle rispettive camere perché la morte non entrasse e portasse via anche loro, ormai sappiamo che tutto questo fa parte di un passato che non tornerà, ma qualcuno del governo dovrà pensare alla nostra sorte, noi, proprietario, direttore e impiegati delle dimore del felice occaso, il destino che ci aspetta è che non avremo nessuno che ci accolga quando arriverà l'ora in cui dovremo abbassare le braccia, notate che non siamo signori neppure di quello che in qualche modo era stato anche nostro, almeno per il lavoro che ci ha dato per anni e anni, qui si sarà capito che hanno preso la parola gli impiegati, quello che vogliamo dire è che non ci sarà posto per questi che siamo nelle dimore del felice occaso, a meno di non mettere fuori un certo numero di ospiti, al governo era già venuta la stessa idea quando c'è stato quel dibattito sulla pletora degli ospedali, che la famiglia si riassuma i propri obblighi, hanno detto, ma per ciò sarebbe necessario che ancora vi si trovasse qualcuno con abbastanza giudizio nella testa ed energie sufficienti nel resto del corpo, doni il cui periodo di validità, come sappiamo per esperienza personale e in base al panorama che ci offre il mondo, ha la durata di un sospiro a paragone con questa eternità recentemente inaugurata, il rimedio, salvo opinione più autorevole, sarebbe moltiplicare le dimore del felice occaso, non come fino a ora, utilizzando ville e palazzetti che in altri tempi hanno conosciuto miglior sorte, ma costruendo di sana pianta grandi edifici, con la forma di un pentagono, per esempio, di una torre di babele, di un labirinto di cnosso, prima quartieri, poi città, poi metropoli, oppure, usando parole più crude, cimiteri di vivi dove la fatale e irrinunciabile vecchiaia sarebbe accudita come dio volesse, fino a quando non si sa, poiché i loro giorni non avrebbero fine, l'arduo problema, e su di esso ci sentiamo in obbligo di richiamare l'attenzione di chi di dovere, è che, con il passar del tempo, non solo ci saranno sempre più anziani ricoverati nelle dimore del felice occaso, ma ci vorrà pure sempre più gente per occuparsene, con il risultato che il triangolo delle età si capovolgerà rapidamente, una massa gigantesca di vecchi lassù in cima, sempre in crescita, che inghiotte come un pitone le nuove generazioni, le quali, a loro volta, per lo più convertite in personale di assistenza e amministrazione delle dimore del felice occaso, dopo avere sprecato la parte migliore della loro vita a badare a vecchiardi di tutte le età, sia le normali, sia le matusalemmiche, folle di genitori, nonni, bisnonni, trisavoli, tetravoli, pentavoli, esavoli, e così via, ad infinitum, si raduneranno, una dopo l'altra, come le foglie che si staccano dagli alberi e vanno a cadere sulle foglie degli autunni trascorsi, mais oú sont les neiges d'antan, di quell'interminabile formicaio di coloro che, a poco a poco, hanno passato la vita perdendo i denti e i capelli, delle legioni di individui dalla vista pessima e l'udito cattivo, degli erniati, dei catarrosi, di quelli che si sono fratturati la testa del femore, dei paraplegici, dei cachettici ora immortali che non sono capaci di trattenere neppure la bava che gli scorre dal mento, esimi signori, voi che ci governate, forse non volete crederci, ma quello che ci viene addosso è il peggiore degli incubi che mai essere umano può aver sognato, neppure nelle caverne buie, quando tutto era terrore e tremore, si sarà vista una cosa simile, lo diciamo noi che abbiamo l'esperienza della prima dimora del felice occaso, certo, allora era tutto al minimo, ma a qualche cosa l'immaginazione dovrebbe pur servirci, se vuole che le parliamo con franchezza, col cuore in mano, piuttosto la morte, signor primo ministro, piuttosto la morte che una tale sorte.
Una terribile minaccia che viene a mettere in pericolo la sopravvivenza della nostra industria, fu ciò che dichiarò agli organi della comunicazione sociale il presidente della federazione delle compagnie di assicurazione, riferendosi alle molte migliaia di lettere che, più o meno con identiche parole, quasi le avessero copiate da una minuta unica, erano pervenute negli ultimi giorni alle aziende con un ordine di cancellazione immediata delle polizze di assicurazione sulla vita dei rispettivi firmatari. Affermavano costoro che, considerando il fatto pubblico e notorio che la morte aveva posto fine ai suoi giorni, sarebbe stato assurdo, per non dire semplicemente stupido, continuare a pagare dei premi altissimi che sarebbero serviti solo, senza alcun tipo di contropartita, ad arricchire ancora di più le compagnie. Non ho intenzione di alimentare asini a pan di spagna, si sfogava, in un post scriptum, un assicurato particolarmente maldisposto. Alcuni si spingevano oltre, reclamavano la restituzione delle somme pagate, ma, quanto a questi, si capiva subito che era soltanto un modo di mettere le mani avanti a mo' di scarico della coscienza, per vedere se funzionava. All'inevitabile domanda dei giornalisti su cosa pensavano di fare le compagnie di assicurazione per contrastare quella salva di artiglieria pesante che all'improvviso era caduta loro addosso, il presidente della federazione rispose che, benché i consulenti giuridici stessero, in questo preciso momento, studiando con la massima attenzione le postille delle polizze alla ricerca di una qualche possibilità interpretativa che consentisse, sempre nella più stretta legalità, è chiaro, di imporre agli assicurati eretici, sia pure contro la loro volontà, l'obbligo di pagare finché fossero vivi, vale a dire, sempiternamente, la cosa più probabile, comunque, era che finisse per esser loro imposto un patto di consenso, un accordo fra gentiluomini, il quale sarebbe consistito nell'inclusione di un breve addendum alle polizze, tanto a rettifica del presente quanto per la vigenza futura, in cui si sarebbe fissata l'età di ottant'anni per una morte obbligatoria, in senso figurato, è chiaro, si affrettò ad aggiungere il presidente, sorridendo con indulgenza. In questa maniera, le compagnie avrebbero cominciato a riscuotere i premi nella più perfetta normalità fino alla data in cui il felice assicurato avesse compiuto il suo ottantesimo compleanno, momento in cui, una volta convertitosi in qualcuno virtualmente morto, avrebbe proceduto alla riscossione dell'importo integrale dell'assicurazione, che gli sarebbe stato puntualmente corrisposto. C'era da aggiungere ancora, e questo non sarebbe stato meno interessante, che, qualora lo desiderassero, i clienti avrebbero potuto rinnovare il contratto per ulteriori ottant'anni, al termine dei quali, per i dovuti effetti, si sarebbe registrato il secondo decesso, con la ripetizione della procedura precedente, e così via. Si udirono mormoni di ammirazione e qualche abbozzo di applauso fra i giornalisti intenditori di calcolo attuariale, che il presidente ringraziò con un leggero cenno del capo. Dal punto di vista strategico e tattico, la mossa era stata perfetta, al punto che l'indomani stesso cominciarono ad affluire alle compagnie di assicurazione lettere che davano per nulle e prive di effetto le prime. Tutti gli assicurati si dichiaravano disposti ad accettare l'accordo fra gentiluomini proposto, grazie al quale si potrà dire, senza esagerazione, che questo fu uno dei quei rarissimi casi in cui nessuno ci perdeva e tutti ci guadagnavano. In particolare le compagnie di assicurazione, salve dalla catastrofe per un pelo. Ormai ci si aspetta che alla prossima elezione il presidente della federazione sarà riconfermato nell'incarico che tanto brillantemente disimpegna.
III
Della prima riunione della commissione interdisciplinare tutto si può dire tranne che sia andata bene. La colpa, se il pesante termine è pertinente, fu del drammatico memorandum presentato al governo dalle dimore del felice occaso, in particolare quella frase minatoria che lo concludeva, Piuttosto la morte, signor primo ministro, piuttosto la morte che una tale sorte. Mentre i filosofi, divisi, come sempre, in pessimisti e ottimisti, alcuni accigliati, altri ridanciani, si accingevano a ricominciare per la millesima volta la trita disputa del bicchiere che non si sa se è mezzo pieno o mezzo vuoto, la quale disputa, trasferita alla questione che li aveva chiamati lì, si sarebbe ridotta nel finale, con ogni probabilità, a un mero inventario dei vantaggi o degli svantaggi dell'essere morto o di vivere per sempre, si presentarono i delegati delle religioni, formando un fronte comune unito con cui aspiravano a fissare il dibattito nell'unico terreno dialettico che gli interessava, cioè, l'accettazione esplicita che la morte era assolutamente fondamentale per la realizzazione del regno di dio e che, pertanto, qualsiasi discussione su un futuro senza morte sarebbe stata non solo blasfema ma anche assurda, in quanto avrebbe dovuto presupporre, inevitabilmente, un dio assente, per non dire semplicemente sparito. Non si trattava di un atteggiamento nuovo, lo stesso cardinale aveva già puntato il dito sul busillis che avrebbe comportato questa versione teologica della quadratura del cerchio quando, nella sua conversazione telefonica con il primo ministro, aveva ammesso, ancorché con parole assai meno chiare, che se fosse finita la morte non ci sarebbe potuta essere resurrezione, e che se non ci fosse stata resurrezione, allora non avrebbe avuto senso che ci fosse una chiesa. Orbene, essendo questa, pubblicamente e notoriamente, l'unico strumento agricolo di cui dio sembrerebbe disporre sulla terra per arare i cammini che dovrebbero condurre al suo regno, la conclusione ovvia e irrefutabile è che tutta la storia santa termina inevitabilmente in un vicolo cieco. Questo acido argomento uscì dalla bocca del più vecchio dei filosofi pessimisti, che non si fermò qui e aggiunse immediatamente, Le religioni, tutte le religioni, per quanto le si rigiri, non hanno altra giustificazione di esistere all'infuori della morte, ne hanno bisogno come il pane per i denti. I delegati delle religioni non si scomodarono a protestare. Al contrario, uno di essi, reputato appartenente al settore cattolico, disse, Ha ragione, signor filosofo, è proprio questo il motivo per cui esistiamo noi, perché le persone conducano tutta la vita con la paura appesa al collo e, giunta l'ora, accolgano la morte come una liberazione, Il paradiso, O paradiso o inferno, oppure niente, quello che c'è dopo la morte ci importa assai meno di quanto generalmente si creda, la religione, signor filosofo, è una faccenda terrena, non ha niente a che vedere con il cielo, Non è questo che ci avete abituati a udire, Qualcosa dovevamo pur dirla per rendere più attraente la merce, Ciò vuol dire che in realtà non credete nella vita eterna, Facciamo finta. Per un minuto nessuno parlò. Il più vecchio dei pessimisti lasciò che un vago e soave sorriso gli si diffondesse sul viso e assunse l'aria di chi ha appena visto coronato di successo un difficile esperimento di laboratorio. In tal caso, intervenne un filosofo dell'ala ottimista, perché vi spaventa tanto che la morte sia finita, Non sappiamo se è finita, sappiamo solo che ha smesso di ammazzare, non è lo stesso, D'accordo, ma visto che il dubbio non è risolto, mantengo la domanda, Perché se gli esseri umani non morissero, allora tutto passerebbe a essere permesso, E questo sarebbe un male, domandò il filosofo vecchio, Tanto quanto il non permettere niente. Ci fu un nuovo silenzio. Agli otto uomini seduti intorno al tavolo era stato affidato il compito di riflettere sulle conseguenze di un futuro senza morte e di costruire, partendo dai dati del presente, una previsione plausibile delle nuove questioni con cui la società si sarebbe dovuta confrontare, oltre, superfluo dirlo, all'inevitabile aggravamento delle questioni vecchie. Meglio sarebbe allora non fare niente, disse uno dei filosofi ottimisti, i problemi del futuro, che sia il futuro a risolverli, Il peggio è che il futuro è già oggi, disse uno dei pessimisti, abbiamo qui, fra l'altro, i memorandum elaborati dalle cosiddette dimore del felice occaso, dagli ospedali, dalle agenzie di pompe funebri, dalle compagnie di assicurazione, e, salvo il caso di queste ultime, che trovano sempre il modo di trarre profitto da qualsiasi situazione, c'è da riconoscere che le prospettive non si limitano a essere cupe, sono catastrofiche, terribili, quanto a pericoli superano tutto ciò che la più delirante immaginazione potrebbe concepire, Senza voler essere ironico, il che nelle attuali circostanze sarebbe di pessimo gusto, osservò un appartenente non meno reputato al settore protestante, mi sembra che questa commissione sia nata già morta, Le dimore del felice occaso hanno ragione, piuttosto la morte che una tale sorte, disse il portavoce dei cattolici, Che pensate allora di fare, domandò il pessimista più anziano, oltre a proporre l'estinzione immediata della commissione, come sembra sia vostro desiderio, Da parte nostra, chiesa cattolica, apostolica e romana, organizzeremo una campagna nazionale di preghiere per implorare dio affinché provveda al ritorno della morte il più rapidamente possibile per risparmiare alla povera umanità i peggiori orrori, Dio ha autorità sulla morte, domandò uno degli ottimisti, Sono le due facce della stessa medaglia, da un lato il re, dall'altro la corona, Se è così, forse la morte si è ritirata proprio per ordine di dio, A suo tempo conosceremo i motivi di questa prova, intanto metteremo i rosari al lavoro, Noi faremo lo stesso, mi riferisco alle preghiere, è chiaro, non ai rosari, sorrise il protestante, E faremo anche uscire per le strade di tutto il paese le processioni a chiedere la morte, proprio come le facevamo già ad petendem pluviam, per chiedere la pioggia, tradusse il cattolico, A tanto noi non arriveremo, codeste processioni non hanno mai fatto parte delle fisime che coltiviamo, tornò a sorridere il protestante. E noi, domandò uno dei filosofi ottimisti in un tono che sembrava annunciare il suo prossimo ingresso nelle fila contrarie, che faremo d'ora in poi, quando sembra che si sian chiuse tutte le porte, Per cominciare, sospenderemo la seduta, rispose il più vecchio, E dopo, Continueremo a filosofare, giacché nasciamo apposta per questo, e ancorché sia sul vuoto, A che pro, io non lo so, Allora perché, Perché la filosofia ha bisogno tanto della morte come delle religioni, se filosofiamo è perché sappiamo che moriremo, monsieur de montaigne aveva già detto che filosofare è imparare a morire.
Pur non essendo filosofi, almeno nel senso più comune del termine, alcuni erano riusciti a imparare la strada. Paradossalmente, non tanto a imparare a morire personalmente, perché non doveva ancora essere giunto il momento, ma a ingannare la morte altrui, aiutandola. L'espediente utilizzato, come non tarderà a vedersi, fu una nuova manifestazione dell'inesauribile capacità inventiva della specie umana. In un paese, a pochi chilometri dalla frontiera con uno degli stati limitrofi, c'era una famiglia di contadini poveri che aveva, per colmo di disgrazia, non un parente, ma due, in stato di vita sospesa o, come preferivano dire loro, di morte ferma. Uno era un nonno di quelli all'antica, un robusto patriarca che la malattia aveva ridotto a un cencetto, ancorché non gli avesse fatto perdere del tutto l'uso della parola. L'altro era un bambino di pochi mesi cui non avevano neppure avuto il tempo di insegnare la parola vita né la parola morte e a cui la morte rifiutava di farsi conoscere. Non morivano, non erano vivi, il medico condotto che li visitava una volta a settimana diceva che ormai non poteva fare più niente per loro né contro di loro, neppure iniettargli, all'uno e all'altro, una buona droga letale, di quelle che non molto tempo fa sarebbero state la soluzione radicale per qualsiasi problema. Al massimo, forse sarebbe riuscito a spingerli di un passo nella direzione in cui si supponeva dovesse trovarsi la morte, ma sarebbe stato inutile, perché in quel preciso istante, irraggiungibile come prima, lei avrebbe fatto un passo indietro e mantenuto la distanza. La famiglia andò a chiedere aiuto al prete, che ascoltò, alzò gli occhi al cielo e altro non ebbe da rispondere se non che siamo tutti nelle mani di dio e che la misericordia divina è infinita. Ebbene sì, infinita sarà pure, ma non abbastanza per aiutare nostro padre e nonno a morire in pace né per salvare un povero innocentino che al mondo non ha fatto niente di male. Eravamo a questo punto, né avanti né indietro, senza un rimedio né una sua speranza, quando il vecchio parlò, Che qualcuno si avvicini, disse, Volete un po' d'acqua, domandò una delle figlie, Non voglio acqua, voglio morire, Sapete bene che il medico dice che non è possibile, padre, ricordatevi che la morte è finita, Il medico non capisce niente, dacché il mondo ha cominciato a essere mondo ci sono sempre stati un'ora e un luogo per morire, Ora no, Ora sì, Calmatevi, babbo, che vi sale la febbre, Non ho nessuna febbre, e anche se l'avessi sarebbe lo stesso, ascoltami con attenzione, Sto ascoltando, Avvicinati di più, prima che mi si spezzi la voce, Dite. Il vecchio sussurrò alcune parole all'orecchio della figlia. Lei scuoteva il capo, ma lui insisteva e insisteva. Questo non risolverà niente, babbo, balbettò lei stupefatta, pallida di sgomento, Invece sì, E se non risolvesse, Non ci perderemo niente a provare, E se non risolvesse, È semplice, mi riporterete di nuovo a casa, E il piccino, Verrà anche lui, se resterò là, resterà con me. La figlia tentò di pensare, le si leggeva in faccia la confusione, e infine domandò, E perché non riportarvi indietro e seppellirvi qua, Immagina che sarebbe, due morti in casa in un paese dove nessuno, per quanto faccia, riesce a morire, come lo spiegheresti, e inoltre, ho i miei dubbi che la morte, a come stanno le cose, ci lascerebbe rientrare, È una follia, babbo, Forse sì, ma non vedo altro mezzo per uscire da questa situazione, Noi vi vogliamo vivo, e non morto, Ma non nello stato in cui mi vedi, un vivo che è morto, un morto che sembra vivo, Se è così che volete, rispetteremo la vostra volontà, Dammi un bacio. La figlia lo baciò sulla fronte e uscì piangendo. Da lì, in lacrime, andò ad annunciare al resto della famiglia che il padre aveva stabilito che lo portassero quella notte stessa al di là della frontiera, laddove, secondo la sua idea, la morte, ancora in vigore in quel paese, non avrebbe potuto fare altro che accettarlo. La notizia fu accolta con un sentimento commisto di orgoglio e rassegnazione, orgoglio perché non è da tutti i giorni vedere un anziano offrirsi così, di sua spontanea volontà, alla morte che lo sfugge, rassegnazione perché fatto trenta, si faccia trentuno, non c'è scampo, contro ciò che dev'essere non c'è forza che tenga. Siccome è scritto che non si può avere tutto nella vita, il coraggioso vecchio lascerà al suo posto non più che una famiglia povera e onesta che certamente non si dimenticherà di onorarne la memoria. La famiglia non era solo questa figlia che è uscita piangendo e il bambino che al mondo non aveva fatto niente di male, era anche un'altra figlia e il rispettivo marito, genitori di tre bambini per fortuna in buona salute, più una zia nubile che ha già passato da un pezzo l'età del matrimonio. L'altro genero, marito della figlia che è uscita piangendo, vive in un paese lontano, è emigrato per guadagnarsi da vivere e domani saprà di aver perduto in un colpo solo l'unico figlio che aveva e il suocero che stimava. Così è la vita, con una mano dà finché arriva il giorno in cui toglie tutto con l'altra. Che importino poco a questo racconto le parentele di un certo numero di contadini che molto probabilmente non vi ricompariranno più, lo sappiamo meglio di chiunque altro, ma non ci è parso bello, sia pur soltanto da uno stretto punto di vista tecnico-narrativo, liquidare in due rapide righe proprio quelle persone che saranno protagoniste di uno degli episodi più drammatici occorsi in questa inverosimile, ancorché certa, storia sulle intermittenze della morte. Eccoli lì, dunque. Ci resta solo da dire che la zia nubile espresse ancora un dubbio, Che dirà il vicinato, domandò, quando si accorgerà che non ci sono più quelli che, pur senza morire, erano alle soglie della morte. Generalmente la zia nubile non parla in maniera tanto forbita, tanto ricercata, ma se l'ha fatto ora è stato per non scoppiare in lacrime, cosa che sarebbe successa se avesse pronunciato il nome del piccino che al mondo non aveva fatto niente di male e le parole mio fratello. Le rispose il padre degli altri tre piccini, Diremo semplicemente cosa è successo e aspetteremo le conseguenze, di sicuro saremo accusati di fare funerali clandestini, fuori dal cimitero e di cui le autorità non sono a conoscenza, e per giunta in un altro paese, Speriamo che perciò non scoppi una guerra, disse la zia.
Era quasi mezzanotte quando uscirono diretti alla frontiera. Come se sospettasse che si stava tramando qualcosa di strano, il paese aveva tardato più del solito a infilarsi sotto le lenzuola. Alla fine, il silenzio s'impossessò delle strade e le luci delle case si spensero a una a una. La mula fu attaccata al carro, poi, con grande sforzo, nonostante quel poco che pesava, il genero e le due figlie fecero scendere il nonno, lo rassicurarono quando lui, con voce flebile, domandò se avevano la pala e la zappa, Certo che le abbiamo, state tranquillo, e subito dopo la madre del bambino salì, lo prese in braccio, disse Addio figlio mio che non ti rivedrò, e questo non era vero, perché sarebbe andata anche lei nel carro con la sorella e il cognato, posto che tre non sarebbero stati di troppo per quell'incombenza. La zia nubile non volle prendere commiato dai viaggiatori che non sarebbero tornati e si chiuse in camera coi nipoti. Siccome i cerchioni metallici delle ruote avrebbero fatto un gran baccano sull'acciottolato irregolare, col grave rischio di fare spuntare alla finestra gli abitanti curiosi di sapere dove andavano i vicini a quell'ora, fecero una deviazione per dei viottoli sterrati finché giunsero finalmente alla strada, fuori dall'abitato. Non si trovavano molto lontano dalla frontiera, ma il peggio era che la strada non li avrebbe portati fin là, a un certo punto avrebbero dovuto lasciarla e proseguire per dei sentieri dove il carro sarebbe passato a stento, senza contare che l'ultimo tratto bisognava farlo a piedi, per così dire tipo una corsa campestre, trasportando il nonno dio solo sa come. Per fortuna il genero conosce bene quei paraggi perché, oltre ad averli battuti come cacciatore, di tanto in tanto vi aveva anche esercitato come contrabbandiere dilettante. Impiegarono quasi due ore ad arrivare al punto dove avrebbero dovuto lasciare il carro, e fu lì che il genero ebbe l'idea di caricare il nonno sulla mula, confidando nella saldezza dei garretti dell'animale. Staccarono la bestia, l'alleggerirono dei finimenti superflui e, con un gran daffare, s'adoprarono per issare il vecchio. Le due donne piangevano Ah il mio caro padre, Ah il mio caro padre, e insieme alle lacrime le abbandonava anche quel po' di forza che ancora restava loro. Il pover'uomo era semincosciente, come se stesse già varcando la prima soglia della morte.
Non ce la facciamo, esclamò disperato il genero, ma tutt'a un tratto gli venne in mente che la soluzione sarebbe stata di montare lui stesso per primo e poi tirarlo in groppa alla mula, davanti a sé, Lo terrò abbracciato, non c'è altro modo, voi date una mano da lì. La madre del piccino si avvicinò al carro per sistemare la coperta che lo riparava, non sia mai dovesse prendere freddo, e tornò ad aiutare la sorella, Uno, due e tre, ma fu tale e quale a niente, ora il corpo pesava come fosse piombo, non riuscirono a far altro che sollevarlo un po' da terra. Avvenne allora una cosa mai vista, una specie di miracolo, un prodigio, una meraviglia. Come se per un istante la legge di gravità si fosse sospesa o fosse passata ad agire al contrario, dal basso verso l'alto, il nonno sfuggì dolcemente dalle mani delle figlie e, da solo, levitando, salì verso le braccia tese del genero. Il cielo, che dall'inizio della serata era coperto di nuvoloni che minacciavano pioggia, si aprì e lasciò apparire la luna. Ora possiamo proseguire, disse il genero, rivolgendosi alla moglie, tu guida la mula. La madre del piccino scostò leggermente la coperta per vedere come stava il figlio. Le palpebre, serrate, erano come due macchioline pallide, il viso un disegno sfumato. Allora emise un grido che riecheggiò nello spazio intorno e fece rabbrividire nelle tane gli animali del bosco, No, non sarò io ad accompagnare mio figlio dall'altro lato, non l'ho portato alla vita per consegnarlo alla morte, portate il babbo, io resto qui. La sorella le si avvicinò e domandò, Preferisci assistere, un anno dopo l'altro, alla sua agonia, Tu hai tre figli in salute, parli bene, Tuo figlio è come se fosse mio, Se è così, portalo tu, io non posso, E io non devo, sarebbe ammazzarlo, Qual è la differenza, Non è lo stesso portare alla morte e ammazzare, almeno in questo caso, tu sei la madre di quel piccino, non io, Saresti capace di portare uno dei tuoi figli, o tutti, Penso di sì, ma non potrei giurarlo, Allora ho ragione io, Se è questo che vuoi, aspettaci, andiamo a portare il babbo. La sorella si allontanò, prese la mula per la briglia e domandò, Andiamo, il marito rispose, Andiamo, ma adagio, non voglio che mi cada. La luna, piena, brillava. Da qualche parte, più avanti, si trovava la frontiera, quella linea che è visibile solo nelle carte geografiche. Come sapremo che siamo arrivati, domandò la donna, Lo saprà il babbo. Lei comprese e non fece altre domande. Continuarono a camminare, ancora cento metri, ancora dieci passi, e all'improvviso l'uomo disse, Siamo arrivati, È finita, Sì. Dietro di loro una voce ripete, È finita. La madre del piccino proteggeva per l'ultima volta il figlio morto nell'incavo del braccio sinistro, la mano destra teneva sulla spalla la pala e la zappa di cui gli altri si erano dimenticati. Facciamo ancora qualche passo, fino a quel frassino, disse il cognato. In lontananza, su un pendio, si scorgevano le luci di un abitato. Dal calpestio della mula si avvertiva che la terra era più morbida, sarebbe stata facile da scavare. Questo mi sembra un buon posto, disse infine l'uomo, l'albero ci servirà da segnale quando verremo a portar loro un fiore. La madre del bambino lasciò cadere la zappa e la pala e, dolcemente, adagiò il figlio a terra. Poi le due sorelle, con mille cautele perché non scivolasse, ricevettero il corpo del padre e, senza aspettare l'aiuto dell'uomo che stava smontando dalla mula, andarono a metterlo accanto al nipote. La madre del bambino singhiozzava, ripeteva monotonamente, Figlio mio, padre mio, e la sorella le si avvicinò e l'abbracciò, anche lei piangendo e dicendo, È stato meglio così, la vita di questi infelici ormai non era più vita. S'inginocchiarono entrambe a terra a piangere i morti che erano andati lì a ingannare la morte. L'uomo aveva già in mano la zappa, scavava, toglieva poi con la pala la terra scavata, e subito dopo riprendeva a scavare. Sotto, la terra era più dura, più compatta, alquanto sassosa, solo in capo a una mezz'ora di lavoro continuo la fossa raggiunse la profondità sufficiente. Non c'erano né cassa né sudario, i corpi avrebbero riposato sulla nuda terra, unicamente con gli abiti che avevano indosso. Unendo le forze, l'uomo e le due donne, lui dentro la fossa, loro fuori, una per lato, calarono adagio il corpo del vecchio, sostenendolo per le braccia aperte a croce mentre lui lo reggeva finché toccò il fondo. Le donne non smettevano di piangere, l'uomo aveva gli occhi asciutti, ma tremava tutto, come se fosse stato colto da un attacco di malaria. Mancava ancora il peggio. Fra lacrime e gemiti, fu calato il bambino e sistemato accanto al nonno, ma lì non andava bene, una figurina piccola, insignificante, una vita senza importanza, accantonato come se non facesse parte della famiglia. Allora l'uomo si curvò, raccolse il bambino da terra, lo sistemò bocconi sul petto del nonno, le cui braccia furono poi incrociate sul corpicino minuscolo, ora sì, ora sono a posto, pronti per il riposo, possiamo cominciare a gettarvi sopra la terra, con garbo, a poco a poco, perché possano guardarci ancora per un altro po' di tempo, perché possano congedarsi da noi, sentiamo quello che stanno dicendo, addio figlie mie, addio genero mio, addio zii miei, addio madre mia. Quando la fossa fu riempita, l'uomo calcò e lisciò la terra perché non si capisse, se mai fosse passato qualcuno, che lì c'era gente sepolta. Mise una pietra alla testa e un'altra, più piccola, ai piedi, dopo di che sparpagliò sulla fossa l'erba che aveva sradicato prima con la zappa, altre piante, vive, in pochi giorni avranno preso il posto di queste che, avvizzite, morte, rinsecchite, saranno entrate nel ciclo alimentare della stessa terra da cui erano sbocciate. L'uomo misurò ad ampi passi la distanza fra l'albero e la fossa, furono dodici, poi imbracciò la pala e la zappa, Andiamo, disse. La luna era scomparsa, il cielo si era di nuovo rannuvolato. Cominciò a piovere mentre stavano finendo di attaccare la mula al carro.
IV
Gli attori della drammatica avventura appena descritta con inconsueta minuzia in un racconto che finora aveva preferito offrire al lettore curioso, per così dire, una visione panoramica dei fatti, sono stati, al momento della loro inopinata entrata in scena, socialmente classificati come contadini poveri. L'errore, che è stato il risultato di una precipitosa impressione del narratore, di un esame più o meno superficiale, dovrà, per rispetto della verità, essere immediatamente rettificato. Una famiglia contadina povera, ma veramente povera, non riuscirebbe mai a essere proprietaria di un carro né avrebbe i mezzi per mantenere un animale che mangia tanto come la mula. Si trattava, piuttosto, di una famiglia di piccoli agricoltori, gente agiata nella modestia dell'ambiente in cui viveva, persone con educazione e istruzione scolastica sufficiente per poter sostenere fra loro dialoghi non solo grammaticalmente corretti, ma anche con quello che, in mancanza di meglio, alcuni sono soliti chiamare contenuto, altri sostanza, altri ancora, più terra terra, succo. Se così non fosse, la zia nubile non sarebbe mai stata capace di mettere in piedi quella frase tanto bella di cui si diceva prima, Che dirà il vicinato quando si accorgerà che non ci sono più quelli che, pur senza morire, erano alle soglie della morte. Corretto il lapsus in tempo, ristabilita la verità, vediamo allora che cosa ha detto il vicinato. Nonostante le precauzioni prese, qualcuno aveva visto il carro e trovato strana l'uscita di quei tre a quell'ora. Fu proprio questa la domanda che il vicino attento si era fatto mentalmente, Dove andranno quei tre a quest'ora di notte, ripetuta l'indomani mattina, con un piccolo cambiamento, al genero del vecchio agricoltore, Dove andavate a quell'ora di notte. L'interpellato rispose che erano andati a sbrigare una faccenda, ma il vicino non si ritenne soddisfatto, Una faccenda a mezzanotte, sul carro, con tua moglie e tua cognata, strano, disse lui, Sarà strano, ma è proprio così, E da dove venivate quando il cielo cominciava a rischiararsi, Non è affar tuo, Hai ragione, scusa, realmente non è affar mio, ma in ogni caso suppongo di poterti chiedere come sta tuo suocero, Sempre lo stesso, E il tuo nipotino, Anche lui, Ah, auguri di miglioramento per entrambi, Grazie, Arrivederci, Arrivederci. Il vicino fece qualche passo, si fermò, tornò indietro, Mi è parso di vedere che portavate qualcosa sul carro, mi è parso di vedere che tua sorella aveva un bambino in braccio, e, se così era, allora è molto probabile che la figura sdraiata che mi è parso di vedere, riparato con una coperta, fosse tuo suocero, tanto più, Tanto più, che cosa, Tanto più che al ritorno il carro era vuoto e tua sorella non portava nessun bambino in braccio, A quanto pare, la notte non dormì, Ho il sonno leggero, mi sveglio con facilità, Ti sei svegliato quando siamo usciti, ti sei svegliato quando siamo tornati, questa si chiama coincidenza, Infatti, E vuoi che ti dica cosa è successo, Se ne hai voglia, Vieni con me. Entrarono in casa, il vicino salutò le tre donne, Non voglio disturbare, disse imbarazzato, e aspettò. Sarai la prima persona a saperlo, disse il genero, e non dovrai serbare il segreto perché non te lo chiederemo, Non dire nulla al di fuori di ciò che veramente vuoi dire, Mio suocero e mio nipote sono morti stanotte, li abbiamo portati al di là della frontiera, dove la morte è ancora attiva, Li avete ammazzati, esclamò il vicino, In un certo qual modo, sì, visto che non ci sarebbero potuti andare coi loro piedi, in un certo qual modo, no, perché lo abbiamo fatto per ordine di mio suocero, quanto al piccino, povero bimbo, lui non aveva desideri né vita da vivere, sono sepolti ai piedi di un frassino, si potrebbe dire abbracciati l'un l'altro. Il vicino si portò le mani al capo, E ora, Ora andrai a raccontarlo a tutto il paese, noi saremo arrestati e condotti alla polizia, probabilmente processati e condannati per quello che non abbiamo fatto, Sì, che lo avete fatto, Un metro prima della frontiera erano ancora vivi, un metro dopo erano già morti, dimmi tu quand'è che li abbiamo ammazzati, e come, Se non li aveste portati laggiù, Sì, si troverebbero ancora qui, aspettando la morte che non arriva. Silenziose, serene, le tre donne guardavano il vicino. Io me ne vado, disse lui, per la verità sospettavo che ci fosse qualcosa sotto, ma non avrei mai immaginato che fosse questo, Ho una richiesta da farti, disse il genero, Quale, Che mi accompagni alla polizia, così non dovrai andare in giro, di porta in porta, a raccontare a tutti gli orribili delitti che abbiamo commesso, pensa, parricidio, infanticidio, santo dio, che mostri vivono in questa casa, Non lo racconterei in questa maniera, Lo so bene, accompagnami, Quando, Subito, il ferro bisogna batterlo fintanto che è caldo, Andiamo.
Non furono né condannati né processati. Come una miccia, la notizia corse veloce per tutto il paese, i mezzi di comunicazione vituperarono gli infami, le sorelle assassine, il genero strumento del crimine, si piansero lacrime sull'anziano e sull'innocentino come se fossero il nonno e il nipote che tutti avrebbero desiderato avere, per la millesima volta i giornali benpensanti che funzionavano come i barometri della moralità pubblica puntarono il dito sull'inarrestabile degrado dei valori tradizionali della famiglia, a loro avviso fonte, causa e origine di tutti i mali, quand'ecco che quarantott'ore dopo cominciarono ad arrivare informazioni su pratiche identiche che si stavano verificando in tutte le zone frontaliere. Altri carri e altre mule portarono altri corpi inermi, false ambulanze girarono e rigirarono fra viottoli abbandonati per arrivare al posto dove scaricarli, fissati nel tragitto, generalmente, con le cinture di sicurezza o, in qualche censurabile caso, nascosti nei portabagagli e occultati con una coperta, auto di tutte le marche, modelli e prezzi trasportarono a quella nuova ghigliottina il cui filo, ci sia scusata la liberissima comparazione, era la sottilissima linea della frontiera, invisibile a occhio nudo, quegli infelici che la morte, dal lato di qua, aveva mantenuto in una situazione di pena sospesa. Non tutte le famiglie che si comportarono così avrebbero potuto addurre a propria difesa i motivi in qualche modo rispettabili, ancorché ovviamente discutibili, presentati dai nostri ben noti e angosciati agricoltori che, assai lungi dall'immaginare le conseguenze, avevano dato inizio al traffico. Alcune non vollero vedere nell'espediente di andare a scaricare il padre o il nonno in territorio straniero altro che una maniera pulita ed efficace, radicale sarebbe un termine più esatto, di liberarsi di quei veri e propri pesi morti che i loro moribondi rappresentavano là in casa. I mezzi di comunicazione che, prima, avevano vituperato energicamente le figlie e il genero del vecchio sepolto insieme al nipote, includendo poi nella riprovazione la zia nubile, accusata di complicità e connivenza, stigmatizzavano ora la crudeltà e la mancanza di patriottismo di persone apparentemente serie che in questa circostanza di gravissima crisi nazionale avevano gettato la maschera dietro cui nascondevano il loro autentico carattere. Pressionato dai governi dei tre paesi limitrofi e dall'opposizione politica interna, il capo del governo condannò la disumana azione, fece appello al rispetto della vita e annunciò che le forze armate avrebbero preso immediatamente posizione lungo la frontiera per impedire il passaggio di qualsiasi cittadino in stato di menomazione fisica in fase terminale, tanto che il piano fosse di propria iniziativa, come determinato da un'arbitraria decisione di parenti. In fondo in fondo, ma di questo, è chiaro, il primo ministro non osò parlare, il governo non vedeva poi tanto di cattivo occhio un esodo che, in ultima analisi, sarebbe stato utile all'interesse del paese nella misura in cui avrebbe aiutato ad abbassare una pressione demografica in aumento continuo da tre mesi, benché ancora lontana dal raggiungere livelli realmente inquietanti. E non disse neppure, il capo del governo, che quello stesso giorno si era riunito segretamente con il ministro dell'interno al fine di pianificare il posizionamento di sorveglianti, o spie, in tutte le località del paese, città, paesi e villaggi, con la missione di comunicare alle autorità qualunque movimento sospetto di persone affini a pazienti in situazione di morte sospesa. La decisione di intervenire o non intervenire sarebbe stata ponderata caso per caso, visto che non era obiettivo del governo bloccare totalmente questo impeto migratorio di nuovo tipo, bensì dare parziale soddisfazione alle preoccupazioni dei governi dei paesi con frontiere comuni, quanto bastava per tacitare i reclami per qualche tempo. Non siamo qui per fare quello che vogliono loro, disse con autorità il primo ministro, Restano ancora fuori dal piano i casolari, i poderi, le case isolate, notò il ministro dell'interno, Quelli li lasceremo in pace, facciano pure ciò che vogliono, sa bene, mio caro ministro, per esperienza, che è impossibile piazzare un poliziotto accanto a ogni persona.
Per due settimane il piano funzionò più o meno alla perfezione, dopo di che un certo numero di sorveglianti cominciarono a lamentarsi che stavano ricevendo minacce per telefono, che gli imponevano, se volevano vivere una vita tranquilla, di chiudere un occhio davanti al traffico clandestino di pazienti terminali, e di chiuderli persino tutti e due se non volevano aumentare con il loro stesso corpo il numero delle persone della cui osservazione erano stati incaricati. Non erano parole vane, come si vide subito quando le famiglie di quattro sorveglianti furono avvisate da alcune telefonate anonime di andarseli a ritirare in determinati posti. Così come si trovavano, cioè, non morti, ma neanche vivi. Davanti alla gravità della situazione, il ministro dell'interno decise di mostrare al nemico sconosciuto il proprio potere, ordinando, da un lato, che i sorveglianti intensificassero l'attività investigativa, e, dall'altro, annullando il sistema a contagocce, questo sì, questo no, fino ad allora applicato secondo la tattica del primo ministro. La risposta fu immediata, altri quattro sorveglianti subirono la triste sorte dei precedenti, ma, in questo caso, non ci fu più di una chiamata telefonica, diretta allo stesso ministero dell'interno, il che si sarebbe potuto interpretare come una provocazione, ma altresì come un'azione determinata dalla pura logica, come a dire Noi esistiamo. Il messaggio, però, non si fermò qui, era accompagnato da una proposta costruttiva, Stabiliamo un accordo fra gentiluomini, disse la voce all'altro capo, il ministero fa ritirare i sorveglianti e noi c'incarichiamo di trasportare discretamente i pazienti, Chi siete, domandò il direttore di un servizio che aveva preso la chiamata, Soltanto un gruppo di persone amanti dell'ordine e della disciplina, gente altamente competente nella sua specialità, che detesta la confusione e rispetta sempre ciò che promette, gente onesta, insomma, E ha un nome, codesto gruppo, volle sapere il funzionario, Qualcuno ci chiama maphia, con ph, Perché con ph, Per distinguerci dall'altra, dalla classica, Lo stato non fa accordi con le mafie, Su pezzi di carta con le firme autenticate da un notaio, certamente no, Né quelli né altri, Qual è la sua carica, Sono direttore di un servizio, In altre parole, qualcuno che non conosce niente della vita reale, Ho le mie responsabilità, L'unica che ci interessa in questo momento è che faccia arrivare la proposta a chi di dovere, al ministro, se ne ha accesso, Non ho accesso al signor ministro, ma questa conversazione sarà trasmessa immediatamente al mio superiore, Il governo avrà quarantott'ore per studiare la proposta, non un minuto di più, ma preavvisi già il suo superiore che ci saranno nuovi sorveglianti in coma se la risposta non sarà quella che ci aspettiamo, Lo farò, Dopodomani, a questa stessa ora, ritelefonerò per conoscere la decisione, Ho preso nota, È stato un piacere parlare con lei, Io non potrei dire lo stesso, Sono certo che comincerà a cambiare opinione quando saprà che i sorveglianti sono tornati a casa sani e salvi, se non ha ancora dimenticato le preghiere dell'infanzia, cominci a pregare perché ciò accada, Capisco, Sapevo che avrebbe capito, Infatti, Quarantott'ore, non un minuto di più, Di sicuro non sarò io a risponderle, Invece io sono certo che sì, Perché, Perché il ministro non vorrà parlare direttamente con me, e inoltre, se le cose andranno male, sarà lei ad averne la colpa, si ricordi che quello che proponiamo è un accordo fra gentiluomini, Senz'altro, Buonasera, Buonasera. Il direttore di servizio tolse il nastro magnetico dal registratore e andò a parlare con il superiore.
Mezz'ora dopo la cassetta si trovava nelle mani del ministro dell'interno. Questi ascoltò, tornò ad ascoltare, ascoltò una terza volta, poi domandò, Questo tal direttore di servizio è persona di fiducia, Fino a oggi non ho avuto il minimo motivo di lamentela, rispose il superiore, Neanche il maggiore, spero, Né il maggiore né il minore, disse il superiore, che non aveva colto l'ironia. Il ministro tolse la cassetta dal registratore e si mise a srotolare il nastro. Quando ebbe terminato, lo raccolse in un grande posacere di cristallo e gli avvicinò la fiamma dell'accendino. Il nastro cominciò a corrugarsi, a incresparsi, e in meno di un minuto era trasformato in un grumo annerito, fragile e informe. Anche loro avranno registrato il dialogo con il direttore di servizio, disse il superiore, Non importa, chiunque potrebbe simulare una conversazione al telefono, basterebbero due voci e un registratore, ciò che contava, qui, era distruggere il nostro nastro, bruciando l'originale se ne sono bruciate in anticipo tutte le copie che se ne sarebbero potute fare, Non ha bisogno che le dica che la centralinista conserva le registrazioni, Provvederemo affinché spariscano anche quelle, Sissignore, ora, se permette, mi ritiro, la lascio a pensare sulla faccenda, Già fatto, non se ne vada, Realmente non mi stupisce, lei, signor ministro, gode del privilegio di avere un pensiero agilissimo, Quello che ha appena detto sarebbe una lusinga se non fosse realtà, è vero, penso con rapidità, Accetterà la proposta, Farò una controproposta, Temo non l'accettino, i termini in cui ha parlato l'emissario, oltre che perentori, erano più che minacciosi, ci saranno nuovi sorveglianti in coma se la risposta non dovesse essere quella che ci aspettiamo, sono state queste le parole, Mio caro, la risposta che daremo è proprio quella che loro si aspettano, Non capisco, Mio caro, il suo problema, lo dico senza l'animo di offenderla, è che non è capace di pensare come un ministro, Colpa mia, spiacente, Non si dispiaccia, se mai dovessero chiamarla a servire il paese in funzioni ministeriali, noterà che il cervello le farà un giro nel preciso momento in cui dovesse sedersi su una sedia come questa, neanche s'immagina la differenza, Né del resto ci guadagnerei niente a fantasticare, io sono un funzionario, Conosce l'antico detto, non dir mai di quest'acqua non berrò, E ora, signor ministro, ha giustappunto un'acqua piuttosto amara da bere, disse il superiore indicando i resti del nastro bruciato, Quando si segue una strategia ben definita e si conoscono a sufficienza i dati del problema, non è difficile tracciare una linea sicura d'azione, Sono tutt'orecchi, signor ministro, Dopodomani, il suo direttore di servizio, giacché sarà lui a rispondere all'emissario, è lui il negoziatore da parte del ministero, e nessun altro, dirà che siamo d'accordo nell'esaminare la proposta che ci hanno fatto, ma immediatamente anticiperà che l'opinione pubblica e l'opposizione al governo non permetterebbero mai che quelle migliaia di sorveglianti fossero sollevati dalla loro missione senza una spiegazione accettabile, Ed è chiaro che la spiegazione accettabile non potrebbe essere che adesso è la maphia a occuparsi della faccenda, Infatti, anche se si sarebbe potuta dire la stessa cosa in termini più appropriati, Scusi, signor ministro, mi è uscita senza pensarci, Bene, giunti a questo punto, il direttore di servizio presenterà la controproposta, che potremo chiamare anche suggerimento alternativo, e cioè, i sorveglianti non saranno ritirati, permarranno nei posti dove si trovano attualmente, ma disattivati, Disattivati, Sì, credo che la parola sia piuttosto chiara, Senza dubbio, signor ministro, ho solo manifestato la mia sorpresa, Non vedo di che, è l'unica maniera che abbiamo perché non sembri che cediamo al ricatto di quella banda di mascalzoni, Anche se in realtà abbiamo ceduto, L'importante è che non lo sembri, che manteniamo la facciata, quello che accade dietro non sarà più di nostra responsabilità, Per esempio, Immaginiamo che intercettiamo un trasporto e arrestiamo i tizi, non c'è bisogno di dire che tali rischi erano già inclusi nella fattura che i parenti hanno dovuto pagare, Non ci saranno né fattura né ricevuta, la maphia non paga le tasse, È un modo di dire, ciò che interessa in questo caso è il fatto che finiremo per guadagnarci tutti, noi, che ci togliamo un peso di dosso, i sorveglianti, che non saranno più lesi nella loro integrità fisica, le famiglie, che si tranquillizzeranno sapendo che i loro morti-vivi si sono finalmente convertiti in vivi-morti, e la maphia, che riscuoterà per il lavoro, Una sistemazione perfetta, signor ministro, Che peraltro conta sulla fortissima garanzia che nessuno avrà interesse ad aprire bocca, Credo abbia ragione, Forse, mio caro, il suo ministro le sta sembrando troppo cinico, Assolutamente no, signor ministro, ammiro solo la rapidità con cui è riuscito a mettere in piedi tutto quanto, tanto deciso, tanto logico, tanto coerente, Esperienza, mio caro, esperienza, Parlerò con il direttore di servizio, gli trasmetterò le sue istruzioni, sono convinto che se la caverà benissimo con il messaggio, come le ho detto prima, non mi ha mai dato il minimo motivo di lamentela, Né il maggiore, credo, Né di questi né di quelli, rispose il superiore, che finalmente aveva capito la sottigliezza della battutina.
Tutto, o quasi tutto, per essere più precisi, andò come il ministro aveva previsto. Esattamente all'ora stabilita, né un minuto prima, né un minuto dopo, l'emissario dell'associazione di delinquenti che si denomina maphia telefonò per sentire ciò che il ministero aveva da dire. Il direttore di servizio se la cavò con un bel dieci nell'incombenza che gli era stata attribuita, fu deciso e chiaro, persuasivo nella questione fondamentale, cioè, i sorveglianti sarebbero rimasti ai loro posti, ma disattivati, ed ebbe la soddisfazione di ricevere in cambio, per subito trasmetterla al suo superiore, la migliore delle risposte possibili nell'attuale circostanza, quella che il suggerimento alternativo del governo sarebbe stato attentamente esaminato e che nel giro di ventiquattr'ore sarebbe stata fatta un'altra chiamata. Così accadde. Dall'esame era risultato che la proposta del governo si poteva accettare, ma a una condizione, e cioè che si sarebbero dovuti disattivare solo i sorveglianti che si mantenessero leali al governo, o, in altre parole, quelli che la maphia, semplicemente, non avesse convinto a collaborare con il nuovo padrone, cioè, se stessa. Cerchiamo di fare uno sforzo per comprendere il punto di vista dei criminali. Messi davanti a una complessa operazione a lungo termine e su scala nazionale, e dovendo impiegare una buona parte del loro personale più esperto nelle visite alle famiglie che teoricamente sarebbero state propense a disfarsi dei propri cari per risparmiarli lodevolmente a sofferenze non solo inutili, ma anche eterne, era chiarissimo che gli sarebbe convenuto, per quanto possibile, e utilizzando a tal fine le loro armi preferite, corruzione, subornazione, intimidazione, approfittare dei servizi della gigantesca rete di informatori già predisposta dal governo. Fu contro questa pietra lanciata all'improvviso in mezzo allo stagno che la strategia del ministro dell'interno andò a cozzare con grave danno per la dignità dello stato e del governo. Incastrato fra la spada e il muro, fra scilla e cariddi, fra la padella e la brace, corse a consultare il primo ministro sull'inatteso nodo gordiano che era sorto. Il peggio di tutto era che le cose erano andate troppo avanti perché si potesse ora tornare indietro. Il capo del governo, benché più esperto del ministro dell'interno, non trovò miglior via d'uscita alla difficoltà che proporre una nuova trattativa, ora con l'istituzione di una sorta di numerus clausus, qualcosa tipo il venticinque per cento al massimo del numero totale di sorveglianti in attività che sarebbero passati a lavorare per l'altra parte. Una volta ancora sarebbe toccato al direttore di servizio trasmettere a un interlocutore ormai impaziente la piattaforma conciliatoria con la quale, forzati dalla propria ansia ad accarezzare le speranze, il capo del governo e il ministro dell'interno erano convinti che l'accordo sarebbe stato finalmente omologato. Senza firme, visto che si trattava di un accordo fra gentiluomini, di quelli in cui è sufficiente dare la parola, prescindendo, come ci spiega il dizionario, da formalità legali. Significava non aver la minima idea di come sia contorto e maligno lo spirito dei maphiosi. In primo luogo, non fissarono un termine per la risposta, lasciando sui carboni ardenti il povero ministro dell'interno, ormai rassegnato a consegnare la sua lettera di dimissioni. In secondo luogo, quando in capo ad alcuni giorni venne loro in mente che dovevano telefonare fu solo per dire che non erano ancora giunti a nessuna conclusione sul fatto se la piattaforma sarebbe stata per loro tollerabilmente conciliatoria, e, di passaggio, quasi con noncuranza, colsero l'occasione per informare che non avevano alcuna responsabilità nel deprecabile fatto che il giorno precedente erano stati rinvenuti in pessimo stato di salute altri quattro sorveglianti. In terzo luogo, giacché ogni attesa ha la sua fine, felice o infelice che sia, la risposta che infine fu comunicata al governo dalla direzione nazionale maphiosa, via direttore di servizio e superiore, si divideva in due punti, vale a dire, punto a, il numerus clausus non sarebbe stato del venticinque per cento, ma del trentacinque, punto b, ogni qualvolta lo considerasse conveniente ai propri interessi, e senza necessità di consultazione previa con le autorità e tanto meno di consenso, l'organizzazione pretendeva che le fosse riconosciuto il diritto di trasferire sorveglianti al proprio servizio in posti dove si trovassero sorveglianti disattivati, essendo superfluo chiarire che quelli sarebbero andati a occupare i posti di questi. Prendere o lasciare. Vede qualche maniera di sfuggire a questa alternativa, domandò il capo del governo al ministro dell'interno, Non credo neppure che esista, signore, se rifiutiamo, stimo che avremo quattro sorveglianti inutilizzati per il servizio e per la vita ogni giorno che passa, se accettiamo, saremo nelle mani di questa gente dio sa per quanto tempo, Per sempre, o almeno fintanto che ci saranno famiglie che vogliono liberarsi a qualunque prezzo di quegli impicci che si ritrovano in casa, Questo mi ha appena fatto venire un'idea, Non so se devo rallegrarmene, Ho fatto quanto di meglio mi è possibile, signor primo ministro, se sono diventato un impiccio d'altro tipo, basterà una parola, Avanti, non sia tanto suscettibile, ma che idea, Credo, signor primo ministro, che ci troviamo davanti a un chiarissimo esempio di offerta e domanda, E questo che c'entra, stiamo parlando di persone che in questo momento hanno soltanto una maniera di morire, Proprio come nel classico dubbio di scoprire chi è nato prima, se l'uovo o la gallina, così non sempre è possibile distinguere se è la domanda che ha preceduto l'offerta o se, al contrario, è l'offerta che ha messo in movimento la domanda, Vedo che non sarebbe una cattiva politica toglierla dal dicastero dell'interno e passarla all'economia, Non sono poi tanto differenti, signor primo ministro, così come nell'interno c'è un'economia, anche nell'economia c'è un interno, sono vasi comunicanti, per così dire, Non divaghi, mi dica qual è l'idea, Se a quella prima famiglia non fosse venuto in mente che la soluzione del problema poteva star lì ad aspettarli dall'altro lato della frontiera, forse la situazione in cui ci troviamo oggi sarebbe diversa, se molte famiglie non ne avessero poi seguito l'esempio, non sarebbe spuntata fuori la maphia a voler sfruttare un affare che semplicemente non esisterebbe, Teoricamente è così, anche se, come sappiamo, loro son capacissimi di spremere da una pietra l'acqua che non c'è e poi venderla più cara, in un modo o nell'altro continuo a non vedere qual è questa sua idea, È semplice, signor primo ministro, Speriamo che lo sia, In poche parole, bloccare il flusso dell'offerta, E come ci si riuscirebbe, Convincendo le famiglie, in nome dei più sacri principi di umanità, di amore per il prossimo e di solidarietà, a tenersi i malati terminali in casa, E come crede che potrà prodursi un tale miracolo, Sto pensando a una grande campagna pubblicitaria in tutti i mezzi di diffusione, stampa, televisione e radio, ivi comprese sfilate per le strade, sedute di chiarificazione, distribuzione di opuscoli e autoadesivi, teatro di strada e di sala, cinema, soprattutto commedie sentimentali e cartoni animati, una campagna capace di commuovere fino alle lacrime, una campagna che porti al pentimento i parenti sviati dai propri doveri e obblighi, che renda le persone solidali, abnegate, compassionevoli, sono convinto che in pochissimo tempo le famiglie peccatrici prenderebbero coscienza dell'imperdonabile crudeltà del loro attuale comportamento e tornerebbero ai valori trascendenti che ancora non molto tempo fa erano le loro più solide fondamenta, I miei dubbi aumentano di minuto in minuto, ora mi domando se non dovrei piuttosto affidarle il dicastero della cultura, o quello dei culti, per il quale pure le trovo una certa vocazione, Oppure, signor primo ministro, riunire i tre dicasteri nello stesso ministero, E fin da subito anche quello dell'economia, Sì, per quella faccenda dei vasi comunicanti, Per la qual cosa non servirebbe, mio caro, sarebbe per la propaganda, codesta idea di una campagna pubblicitaria che facesse tornare le famiglie all'ovile delle anime sensibili è una sciocchezza madornale, Perché, signor primo ministro, Perché, in realtà, campagne del genere fruttano solo a chi riscuote, Ne abbiamo fatte molte, Sì, coi risultati che si conoscono, e inoltre, per tornare alla questione che deve occuparci, anche se la sua campagna dovesse produrre qualche risultato, non sarebbe né per oggi né per domani, e io devo prendere una decisione proprio ora, Attendo i suoi ordini, signor primo ministro. Il capo del governo sorrise demoralizzato, Tutto questo è ridicolo, assurdo, disse, sappiamo benissimo di non essere in condizioni di scegliere e che le proposte che abbiamo fatto sono servite solo ad aggravare la situazione, In tal caso, In tal caso, e se non vogliamo avere sulla coscienza quattro sorveglianti al giorno spinti a randellate verso il portone d'entrata della morte, non ci resta altra strada se non accettare le condizioni che ci hanno proposto, Potremmo scatenare un'operazione lampo di polizia, una retata, mettere dentro qualche decina di maphiosi, forse riusciremmo a farli indietreggiare, L'unica maniera di liquidare il drago è mozzargli la testa, limargli le unghie non serve a niente, A qualcosa servirebbe, Quattro sorveglianti al giorno, si ricordi, signor ministro dell'interno, quattro sorveglianti al giorno, è meglio riconoscere che ci troviamo con i piedi e le mani legate, L'opposizione ci attaccherà con la massima violenza, ci accuserà di aver venduto il paese alla maphia, Non diranno paese, diranno patria, Peggio ancora, Speriamo che la chiesa voglia darci una mano, immagino che dovranno essere ricettivi all'argomento che, oltre al fatto che le forniamo un bel po' di morti utili, se abbiamo preso questa decisione è stato per salvare delle vite, Ormai non si può dire più salvare delle vite, signor primo ministro, questo era prima, Ha ragione, bisognerà inventare un'altra espressione. Ci fu un silenzio. Poi, il capo del governo disse, Finiamola, dia le necessarie istruzioni al suo direttore di servizio e cominci a lavorare al piano di disattivazione, abbiamo anche bisogno di sapere quali sono le idee della maphia sulla distribuzione territoriale del venticinque per cento di sorveglianti che costituiranno il numerus clausus, Trentacinque per cento, signor primo ministro, Non la ringrazio di avermi ricordato che la nostra sconfitta è stata anche maggiore di quella che già all'inizio sembrava inevitabile, È un giorno triste, Le famiglie dei successivi quattro sorveglianti, se sapessero cosa sta succedendo qui, non lo definirebbero così, E pensare che quei quattro sorveglianti potranno essere domani al servizio della maphia, Così è la vita, mio caro titolare del ministero dei vasi comunicanti, Dell'interno, signor primo ministro, dell'interno, Quello è il deposito centrale.
V
Si potrebbe pensare che, dopo tanti e tanto vergognosi cedimenti quali erano stati quelli del governo durante i tiraemolla delle transazioni con la maphia, fino all'estremo di consentire che degli umili e onesti impiegati pubblici passassero a lavorare a tempo pieno per l'organizzazione criminale, si potrebbe pensare, dicevamo, che non sarebbero possibili maggiori bassezze morali. Purtroppo, quando si avanza alla cieca nei pantanosi terreni della realpolitik, quando il pragmatismo s'impossessa della bacchetta e dirige il concerto senza badare a cosa c'è scritto nello spartito, è più che sicuro che la logica imperativa del degrado finisca per dimostrare che, in definitiva, c'era ancora qualche gradino da scendere. Attraverso il ministero competente, quello della difesa, chiamato della guerra in tempi più sinceri, furono diramate istruzioni affinché le forze dell'esercito che erano state disposte lungo la frontiera si limitassero a sorvegliare le strade principali, specialmente quelle d'uscita verso i paesi vicini, lasciando alla loro bucolica pace quelle di seconda e terza categoria, e anche, a maggior ragione, la minuscola rete di stradine, sentieri, viottoli, carrarecce e scorciatoie. Com'era inevitabile, questo significò il rientro nelle caserme della maggior parte di tali forze, il che, se è vero che fece esultare la truppa, ivi compresi caporali e furieri, stufi, tutti quanti, di sentinelle e ronde diurne e notturne, venne a causare, al contrario, un vivo malcontento nella classe dei sergenti, a quanto pare più consapevoli che non il resto del personale dell'importanza dei valori di onore militare e servizio alla patria. Tuttavia, se il movimento capillare di tale malumore poté ascendere sino ai marescialli, se poi perse un po' del suo slancio a livello dei tenenti, certo è che riguadagnò forza, e molta, quando raggiunse quello dei capitani. Chiaro, nessuno di loro si azzardava a pronunciare ad alta voce la pericolosa parola maphia, ma, quando discutevano fra loro, non potevano fare a meno di ricordare come nei giorni precedenti alla smobilitazione fossero stati intercettati numerosi furgoncini che trasportavano infermi terminali, nei quali furgoncini c'era, accanto al conducente, un sorvegliante ufficialmente accreditato che, prim'ancora che glielo chiedessero, esibiva, con tutti i necessari bolli, firme e timbri apposti, un foglio di carta in cui, per motivi di interesse nazionale, si autorizzava espressamente il trasferimento del paziente tizio e caio a destinazione non specificata, determinandosi altresì che le forze militari si dovessero ritenere obbligate a prestare tutta la collaborazione che fosse loro richiesta, al fine di garantire agli occupanti di ciascun furgone la perfetta effettuazione dell'operazione di trasferimento. Niente di tutto ciò avrebbe potuto suscitare dubbi nello spirito dei degni sergenti se, per lo meno in sette casi, non fosse intervenuta la strana casualità che il sorvegliante aveva fatto l'occhiolino al soldato nel preciso momento in cui gli passava il documento per la verifica. Considerando la dispersione geografica dei luoghi in cui questi episodi della vita di campagna erano avvenuti, fu immediatamente accantonata l'ipotesi che si trattasse di un gesto, diciamo così, equivoco, qualcosa che avesse a che vedere con i maneggi della più elementare seduzione fra persone dello stesso sesso o di sessi diversi, tant'era. Il nervosismo di cui i sorveglianti diedero allora chiare dimostrazioni, alcuni più di altri, questo è vero, ma tutti in maniera tale che sembrava stessero piuttosto lanciando una bottiglia in mare con un foglio in cui si chiedeva aiuto, fu quello che portò il perspicace corpo dei sergenti a pensare che nei furgoncini doveva esserci nascosto quel famosissimo gatto che trova sempre il modo di lasciar fuori la punta della coda quando vuole che lo scoprano. Era poi sopraggiunto l'inspiegabile ordine di rientro in caserma, e subito dopo alcune dicerie qua e là, nate non si sa come né dove, ma che alcuni confidenti prezzolati insinuavano potesse essere lo stesso ministero dell'interno. I giornali dell'opposizione si fecero eco dell'ariaccia che si respirava nelle caserme, i giornali legati al governo negarono con veemenza che tali miasmi stessero avvelenando lo spirito di corpo delle forze armate, ma certo è che le voci che molto probabilmente era in preparazione un golpe militare, benché nessuno sapesse spiegare perché e a che pro, crebbero dappertutto e fecero sì che, tutt'a un tratto, fosse passato in un secondo piano di interesse pubblico il problema degli infermi che non morivano. Non che fosse stato dimenticato, come dimostrava una frase messa allora in circolazione e molto ripetuta dai frequentatori dei caffè, Almeno, si diceva, anche se dovesse esserci un golpe militare, di una cosa potremo star certi, per quanto dovessero spararsi addosso non riusciranno ad ammazzare nessuno. Ci si aspettava da un momento all'altro un drammatico appello del re alla concordia nazionale, una comunicazione del governo con l'annuncio di un pacchetto di misure urgenti, una dichiarazione degli alti comandi dell'esercito e dell'aviazione, perché, non essendoci mare, non c'era nemmeno la marina, in cui si ribadiva fedeltà assoluta ai poteri legittimamente costituiti, un manifesto degli scrittori, una presa di posizione degli artisti, un concerto di solidarietà, un'esposizione di cartelloni rivoluzionari, uno sciopero generale promosso congiuntamente dalle due centrali sindacali, una pastorale dei vescovi con l'appello alla preghiera e al digiuno, una processione di penitenti, una distribuzione massiccia di opuscoli gialli, azzurri, verdi, rossi, bianchi, si giunse persino a parlare di una gigantesca manifestazione cui avrebbero partecipato quelle migliaia di persone di tutte le età e condizioni che si trovavano in stato di morte sospesa, sfilando per i viali principali della capitale su barelle, carrozzine, ambulanze o sulle spalle dei figli più robusti, con un enorme striscione in testa al corteo in cui si diceva, sacrificando niente di meno che quattro virgole all'efficacia del distico, Noi che tristi qui andiamo, voi tutti felici aspettiamo. Alla fine, niente di tutto ciò fu necessario. Vero è che i sospetti di un coinvolgimento diretto della maphia nel trasporto di malati non si dissiparono, vero è che, anzi, si sarebbero rafforzati alla luce di alcuni degli eventi successivi, ma un'ora sola sarebbe bastata perché la repentina minaccia del nemico esterno placasse le propensioni fratricide e riunisse i tre stati, clero, nobiltà e popolo, ancora vigenti nel paese nonostante il progresso delle idee, intorno al suo re e, sia pur con certe giustificate reticenze, al suo governo. Il caso, come accade quasi sempre, è presto raccontato.
Irritati dalla continua invasione dei loro territori da parte di commandos di seppellitori, maphiosi o spontanei, provenienti da quell'aberrante territorio dove non moriva nessuno, e dopo non poche proteste diplomatiche che non sarebbero servite a niente, i governi dei tre paesi limitrofi decisero, con un'azione concertata, di fare avanzare i loro eserciti e presidiare le frontiere, con l'ordine tassativo di sparare al terzo avviso. Viene a proposito riferire che l'uccisione di un certo numero di maphiosi colpiti praticamente a bruciapelo dopo che avevano attraversato la linea di separazione, la qual cosa siamo soliti definire gli incerti del mestiere, servì immediatamente da pretesto all'organizzazione per alzare i prezzi della tariffa per la prestazione di servizi alla voce sicurezza personale e rischi operativi. Menzionato questo elucidativo dettaglio sul funzionamento dell'amministrazione maphiosa, passiamo all'essenziale. Ancora una volta, aggirando con una manovra tattica impeccabile le esitazioni del governo e i dubbi degli alti comandi delle forze armate, i sergenti ripresero l'iniziativa e furono, agli occhi di tutti, i promotori, e di conseguenza anche gli eroi, del movimento popolare di protesta che uscì dalle quattro mura domestiche per esigere, in massa nelle piazze, nei viali e nelle strade, il ritorno immediato delle truppe sul fronte di battaglia. Indifferenti, impassibili davanti ai gravissimi problemi con cui la patria di qua si dibatteva, alle prese con la sua quadruplice crisi, demografica, sociale, politica ed economica, i paesi di là avevano finalmente gettato la maschera e si mostravano alla luce del giorno con il loro vero volto, quello di duri conquistatori e implacabili imperalisti. La loro è solo invidia, si diceva nei negozi e nelle case, si udiva alla radio e in televisione, si leggeva sui giornali, la loro è solo invidia che nella nostra patria non si muore, perciò vogliono invaderci e occupare il nostro territorio per non morire neanche loro. In due giorni, a marce forzate e con le bandiere al vento, cantando canzoni patriottiche come la marsigliese, il ça ira, la maria da fonte, l'inno della carta, il non vedrai paese alcuno, la bandiera rossa, la portoghese, il god save the king, l'internazionale, il deutschland über alles, lo chant du marais, le stars and stripes, i soldati tornarono ai posti da cui erano venuti, e lì, armati fino ai denti, aspettarono a pie' fermo l'attacco e la gloria. Non ci furono. Né la gloria né l'attacco. Poco propensi a conquiste e ancor meno a imperi, quello che i suddetti paesi limitrofi pretendevano era soltanto che non andassero a seppellirgli senza autorizzazione questa nuova specie di immigrati forzati, e ancora passi se fossero andati solo a seppellire, pazienza, ma andavano anche per ammazzare, assassinare, eliminare, distruggere, perché era proprio nel preciso e fatidico momento in cui attraversavano la frontiera, coi piedi in avanti perché la testa potesse rendersi conto di cosa stava capitando al resto del corpo, che gli infelici trapassavano, esalavano l'ultimo respiro. Ecco dunque l'uno di fronte all'altro i due valorosi campi, ma anche stavolta il sangue non arriverà al fiume. E badate che non fu per volontà dei soldati di qua, perché questi erano sicuri che non sarebbero morti anche se una raffica di mitra li avesse spezzati a metà. Non foss'altro che per più che legittima curiosità scientifica dovremmo domandarci come sarebbero potute sopravvivere le due parti separate nei casi in cui lo stomaco fosse rimasto da un lato e gli intestini dall'altro. In ogni modo, solo a un matto da legare sarebbe venuto in mente di tirare il primo colpo. E quello, grazie a dio, non arrivò a essere sparato. Neanche la circostanza che alcuni soldati dell'altro lato avessero deciso di disertare verso l'eldorado in cui non si muore ebbe altra conseguenza se non che furono rispediti al mittente, dove c'era già bell'e pronto un alto comando. Il fatto che abbiamo appena riferito è del tutto irrilevante per lo svolgimento della laboriosa storia fin qui narrata e non ne parleremo più, ma non abbiamo voluto, comunque, lasciarlo nel buio pesto. La cosa più probabile è che l'alto comando decida a priori di non tener conto nelle sue deliberazioni dell'ingenuo anelito di vita eterna che da sempre dimora nel cuore umano, Dove si andrebbe a finire se tutti passassimo a vivere eternamente, sì, dove si andrebbe a finire, domanderà l'accusa usando tutta la sua più bassa retorica, e la difesa, superfluo aggiungerlo, non ha avuto la presenza di spirito per trovare una risposta all'altezza della situazione, neanche lei aveva la minima idea di dove si sarebbe andati a finire. Si spera che, almeno, non arrivino a fucilare quei poveri diavoli. Sarebbe dunque il caso di dire che erano andati per lana e son tornati pronti per la tosatura.
Cambiamo argomento. Parlando dei sospetti dei sergenti e dei loro alleati marescialli e capitani circa una responsabilità diretta della maphia nel trasporto alla frontiera dei pazienti, avevamo anticipato che tali sospetti si erano visti rafforzati da un certo numero di eventi successivi. È il momento di rivelare quali furono e come si svolsero. Sull'esempio di ciò che aveva fatto la famiglia di piccoli agricoltori che aveva iniziato il processo, quello che ha fatto la maphia è semplicemente attraversare la frontiera e seppellire i morti, per la qual cosa riscuotendo un bel gruzzolo. Con un'altra differenza, e cioè che lo fa senza badare alla bellezza del posto e senza preoccuparsi di appuntare sul taccuino dell'operazione i riferimenti topografici e orografici che in futuro potrebbero aiutare i familiari piangenti e pentiti della loro malefatta a ritrovare la tomba e chiedere perdono al morto. Orbene, non ci sarà bisogno di essere dotati di una mente particolarmente strategica per capire che gli eserciti schierati al di là delle tre frontiere erano divenuti un serio ostacolo a una pratica sepolcrale che era trascorsa fino ad allora nella più perfetta sicurezza. Ma la maphia non sarebbe quello che è se non avesse trovato la soluzione del problema. È veramente un peccato, ci sia permesso il commento a margine, che intelligenze tanto brillanti come quelle che dirigono queste organizzazioni criminali si siano allontanate dai retti cammini dell'ossequio alla legge e abbiano disobbedito al saggio precetto biblico che dettava di guadagnarci il pane con il sudore della fronte, ma i fatti sono fatti, e, sia pure ripetendo le parole dolenti dell'adamastor, oh, il disgusto mi prende ancora a dirlo, lasceremo qui la compunta notizia dello stratagemma di cui la maphia si servì per ovviare a una difficoltà per la quale, stando a tutte le apparenze, non si vedeva alcuna via d'uscita. Prima di proseguire, ci converrà chiarire che il termine disgusto, messo dall'epico in bocca all'infelice gigante, significava allora, e solo questo, tristezza profonda, pena, dispiacere, ma, da un po' di tempo a questa parte, il nostro vernacolo considerò, e bene, che si stava perdendo una parola stupenda per esprimere sentimenti quali la ripulsa, la ripugnanza, il ribrezzo, i quali sentimenti, come chiunque riconoscerà, non hanno niente a che vedere con quanto enunciato sopra. Con le parole la massima cautela è sempre poca, cambiano opinione come le persone. Certo, lo stratagemma non fu riempire, legare e mettere ad affumicare, la faccenda dovette fare i suoi giri, ci mise emissari coi baffi finti e cappelli con la falda calata, telegrammi cifrati, dialoghi con linee segrete, telefoni rossi, appuntamenti ai crocevia a mezzanotte, biglietti sotto un sasso, tutto quello di cui più o meno ci eravamo già accorti nelle altre trattative, quelle in cui, per così dire, si erano giocati a dadi i sorveglianti. E neanche si può pensare che si trattò, come nell'altro caso, di transazioni semplicemente bilaterali. Oltre alla maphia di questo paese in cui non si muore, parteciparono altresì alle conversazioni le maphie dei paesi limitrofi, giacché era l'unica maniera di salvaguardare l'indipendenza di ogni organizzazione criminale nel quadro nazionale in cui operava e del suo rispettivo governo. Non sarebbe stato assolutamente accettabile, anzi, sarebbe stato del tutto deprecabile, che la maphia di uno di quei paesi si mettesse a negoziare direttamente con l'amministrazione di un altro paese. Nonostante tutto, le cose non sono ancora arrivate a tal punto, l'ha impedito fino a ora, come un pudore estremo, il sacrosanto principio della sovranità nazionale, tanto importante per le maphie come per i governi, il che, pur essendo più o meno ovvio per quanto riguarda questi, sarebbe piuttosto dubbioso rispetto a quelle associazioni criminali se non avessimo ben presente con quanta gelosa brutalità sono solite difendere i propri territori dalle ambizioni egemoniche dei loro colleghi di mestiere. Coordinare tutto questo, conciliare il generale con il particolare, equilibrare gli interessi degli uni con gli interessi degli altri, non fu compito facile, il che spiega come durante due lunghe e noiose settimane di attesa i soldati avessero passato il tempo a insultarsi con gli altoparlanti, stando comunque attenti a non oltrepassare certi limiti, a non esagerare nel tono, non sia mai che l'offesa desse alla testa di qualche tenente colonnello suscettibile e andasse a fuoco troia. La cosa che maggiormente contribuì a complicare e prolungare le trattative fu il fatto che nessuna delle maphie degli altri paesi disponeva di sorveglianti da manovrare a suo piacimento e che, di conseguenza, mancava loro l'irresistibile mezzo di pressione che qui aveva dato tanto buoni risultati. Benché questo lato oscuro delle trattative non sia arrivato a trasparire, se non per le dicerie di sempre, ci sono forti presunzioni che i comandi intermedi degli eserciti dei paesi limitrofi, con l'indulgente beneplacito del ramo superiore della gerarchia, si siano lasciati convincere, dio solo sa a quale prezzo, dall'argomentazione dei portavoce delle maphie locali, al fine di chiudere gli occhi davanti alle indispensabili manovre di andare e venire, di avanzare e indietreggiare, in cui in definitiva consisteva la soluzione del problema. Un'idea che sarebbe potuta venire a qualunque bambino, ma, per renderla effettiva, era necessario che, giunto all'età che definiamo della ragione, fosse andato a bussare alla porta della sezione di reclutamento della maphia per dire, Son qui per vocazione, sia fatta in me la vostra volontà.
Gli amanti della concisione, della forma laconica, dell'economia di linguaggio, certo si staranno domandando perché, se l'idea era tanto semplice, c'è voluto tutto questo ragionamento per arrivare infine al punto critico. Anche la risposta è semplice, e la daremo utilizzando un termine attuale, modernissimo, con il quale vorremmo vedere compensati gli arcaismi di cui, nella probabile opinione di alcuni, abbiamo punteggiato di muffa questo racconto, Per amore del background. Dicendo background, tutti quanti sanno di cosa si tratta, ma non ci mancherebbe qualche dubbio se, invece di background, avessimo insulsamente detto piano di fondo, quell'odioso arcaismo, per giunta poco fedele alla verità, dato che il background non è solo il piano di fondo, è tutta quell'innumerevole quantità di piani che ovviamente esistono tra il soggetto osservato e la linea dell'orizzonte. Sarà meglio allora chiamarlo inquadramento del problema. Proprio così, inquadramento del problema, e ora che finalmente ce l'abbiamo bene inquadrato, ora sì, è arrivato il momento di rivelare in che consisteva lo stratagemma della maphia per ovviare a qualsiasi ipotesi di un conflitto bellico che sarebbe servito solo a pregiudicare i suoi interessi. L'idea, lo abbiamo già detto, avrebbe potuta averla anche un bambino. La quale idea altro non era che questo, far passare al di là della frontiera il paziente e, una volta deceduto, farlo tornare indietro e seppellirlo nel materno seno della sua terra d'origine. Un perfetto scacco matto nel più rigoroso, esatto e preciso senso dell'espressione. Come si è appena visto, il problema veniva risolto senza discredito per nessuna delle parti implicate, i quattro eserciti, ormai senza alcun motivo per rimanere sul piede di guerra alla frontiera, potevano ritirarsi in buona pace, dal momento che ciò che la maphia si proponeva di fare era semplicemente entrare e uscire, ricordiamoci ancora una volta che i pazienti perdevano la vita nell'istante stesso in cui li trasportavano dall'altro lato, da quel momento in poi non avranno bisogno di restare laggiù neanche un minuto in più, giusto il tempo di morire, e quel tempo, se è sempre stato il più breve di tutti, un sospiro, ed è fatta, si può ben immaginare come sia diventato in questo caso, una candela che all'improvviso si spegne senza che neppure ci sia bisogno di soffiare. Neanche la più blanda delle eutanasie potrà essere tanto facile e tanto dolce. La cosa più interessante della nuova situazione creata è che la giustizia del paese in cui non si muore si ritrova sprovvista di fondamenti per agire giudizialmente contro i seppellitori, supponendo che in effetti lo volesse, e non solo perché si trova condizionata dall'accordo fra gentiluomini che il governo ha dovuto approntare con la maphia. Non li può accusare di omicidio perché, tecnicamente parlando, omicidio in realtà non c'è, e perché il censurabile atto, lo classifichi meglio chi ne sia capace, si compie in paesi stranieri, né tantomeno li può incriminare per aver seppellito dei morti, visto che il loro destino è proprio questo, e c'è pure da ringraziare che qualcuno abbia deciso di assumersi un lavoro a tutti i titoli penoso, tanto dal punto di vista fisico come dal punto di vista animistico. Al massimo, potrebbe addurre che non c'era la presenza di un medico a certificare il decesso, che il seppellimento non ha rispettato le forme prescritte per una corretta inumazione e che, come se si trattasse di un caso inedito, la tomba non solo non è identificata ma sicuramente non la si ritroverà più quando arriverà il primo acquazzone e le piante irromperanno tenere e gioiose dall'humus creatore. Considerate le difficoltà e temendo di cadere nel guazzo di espedienti in cui, incalliti nei complotti, gli astuti avvocati della maphia l'avrebbero fatta sprofondare senza compassione né pietà, la legge decise di aspettare pazientemente per vedere che fine avrebbero fatto queste mode. Era, senza ombra di dubbio, l'atteggiamento più prudente. Il paese si ritrova agitato come non mai, il potere confuso, l'autorità diluita, i valori in un processo accelerato di inversione, la perdita del senso di rispetto civico dilaga in tutti i settori della società, probabilmente neanche dio sa dove ci porterà. Corre la voce che la maphia stia negoziando un altro accordo fra gentiluomini con l'industria funeraria finalizzato a una razionalizzazione degli sforzi e a una distribuzione di compiti, il che significa, in linguaggio terra terra, che lei s'incarica di fornire i morti, mentre le agenzie di pompe funebri contribuiscono coi mezzi e la tecnica a seppellirli. Si dice anche che la proposta della maphia sia stata accolta a braccia aperta dalle agenzie, ormai stanche di sprecare il loro sapere millenario, la loro esperienza, il loro know how, i loro cori di prefiche, a fare funerali a cani, gatti e canarini, ogni tanto un cacatua, una tartaruga catatonica, uno scoiattolo addomesticato, una lucertola di pregio che il padrone aveva l'abitudine di portare sulla spalla. Non siamo mai caduti tanto in basso, dicevano. Ora il futuro si presentava forte e ridente, le speranze fiorivano come aiuole di giardini, e addirittura si poteva dire, rischiando l'ovvio paradosso, che per l'industria delle esequie era spuntata finalmente una nuova vita. E tutto questo grazie ai buoni servigi e all'inesauribile cassaforte della maphia. Fu lei che finanziò le agenzie della capitale e di altre città del paese perché aprissero delle filiali, in cambio di compensi, è chiaro, nelle località più prossime alle frontiere, fu lei che prese provvedimenti perché ci fosse sempre un medico in attesa del deceduto quando fosse rientrato nel territorio e necessitasse di qualcuno lì a dire che era morto, fu lei che stabilì convenzioni con le amministrazioni municipali perché i funerali a suo carico avessero priorità assoluta, qualunque fosse l'ora del giorno o della notte in cui le convenisse farli. Tutto ciò costava un mucchio di soldi, naturalmente, ma l'affare continuava a valerne la pena, ora che le varie indennità e i servizi extra erano ormai passati a costituire il grosso della fattura. All'improvviso, senza avvisare, si chiuse il rubinetto da cui per un po' aveva sgorgato, costante, il generoso flusso di pazienti terminali. Sembrava che le famiglie, per un attacco di coscienza, si fossero passate parola l'una con l'altra, che ormai fosse finita questa storia di mandare i propri cari a morire lontano, se ne abbiamo mangiato la carne, in senso figurato, ora dovremo mangiarne anche le ossa, non c'eravamo mica soltanto per le ore felici, quando lui o lei aveva la forza e la salute intatte, ci siamo anche per i momenti brutti e quelli pessimi, quando lui o lei non sono altro che un cencio puzzolente che è inutile lavare. Le agenzie di pompe funebri passarono dall'euforia alla disperazione, di nuovo la rovina, di nuovo l'umiliazione di seppellire canarini e gatti, cani e il resto del bestiario, la tartaruga, il cacatua, lo scoiattolo, la lucertola no, perché non ce n'erano altre che si lasciassero portare in spalla dal padrone. Tranquilla, mantenendo i nervi ben saldi, la maphia andò a vedere che cosa capitava. Era semplice. Le dissero le famiglie, quasi sempre a mezze parole, dandolo solo a intendere, che una cosa era stato il tempo della clandestinità, quando gli esseri cari venivano trasportati di nascosto, nel cuore della notte, e i vicini non avevano affatto necessità di sapere se erano ancora nel loro letto di dolore, o se erano svaniti. Era facile mentire, dire compuntamente Poverino, sta là, quando la vicina avesse domandato sul pianerottolo di casa, E allora come va il nonnetto. Ora tutto sarebbe stato diverso, con un bel certificato di morte, targhe con nomi e cognomi nei cimiteri, in poche ore l'invidioso e maldicente vicinato avrebbe saputo che il nonnetto era morto nell'unica maniera in cui si poteva morire, e ciò significava, semplicemente, che la stessa e ingrata famiglia lo aveva spedito alla frontiera. Ci vergognamo molto, confessarono. La maphia ascoltò, ascoltò, e disse che ci avrebbe pensato. Non tardò ventiquattr'ore. Seguendo l'esempio dell'anziano della pagina trenta, i morti avevano voluto morire, quindi sarebbero stati registrati come suicidi nel certificato di morte. Il rubinetto si aprì di nuovo.
VI
Non tutto fu tanto sordido in questo paese dove non si muore come si è raccontato fin qui, né su tutte le porzioni di una società divisa fra la speranza di vivere sempre e il timore di non morire mai riuscì a conficcare le sue grinfie adunche la maphia, corrompendo le anime, sottomettendo i corpi, insozzando quel poco che ancora era avanzato dei buoni principi di una volta, quando una busta con dentro qualcosa che odorasse di subornazione era all'istante rinviata al mittente, con una risposta chiara e tonda, qualcosa sul tipo, Con questi soldi compri un giocattolo per i suoi figli, oppure, Dev'essersi equivocato nel destinatario. La dignità era allora una forma di alterigia alla portata di tutte le classi. Nonostante tutto, nonostante i falsi suicidi e gli sporchi traffici della frontiera, lo spirito di qui continuava ad aleggiare sopra le acque, non quelle dell'oceano, che bagnava altre terre lontane, ma sopra i laghi e i fiumi, sopra i ruscelli e i rigagnoli, nelle pozzanghere che lasciava la pioggia al suo passaggio, nel luminoso fondo dei pozzi, proprio là dove meglio si avverte l'altezza a cui sta il cielo, e, per quanto straordinario sembri, anche sopra la superficie tranquilla degli acquari. Fu proprio quando, distratto, guardava il pesciolino rosso che era salito boccheggiante alla superficie dell'acqua e mentre si domandava, già meno distratto, da quanto tempo non la cambiasse, eppure lo sapeva bene cosa voleva dire il pesce quando di tanto in tanto saliva spezzando quella sottilissima pellicola in cui l'acqua si confonde con il mare, fu proprio in quel momento rivelatore che all'apprendista filosofo si presentò, nuda e cruda, la questione che avrebbe dato origine alla più appassionante e accesa polemica che si conosce in tutta la storia di questo paese in cui non si muore. Ecco quello che lo spirito che aleggiava sopra l'acqua dell'acquario domandò all'apprendista filosofo, Ti sei chiesto se la morte sarà la stessa per tutti gli esseri viventi, siano essi animali, ivi compreso l'essere umano, o vegetali, ivi comprese l'erba strisciante che si calpesta e la sequoiadendron giganteum con i suoi cento metri di altezza, sarà la stessa la morte che ammazza un uomo che sa che morirà e un cavallo che non lo saprà mai. E continuò la domanda, In che momento muore il baco da seta dopo essersi chiuso nel suo bozzolo e avere sprangato la porta, com'è possibile che la vita di una sia nata dalla morte dell'altra, la vita della farfalla dalla morte della crisalide, e che siano la stessa cosa in maniera differente, oppure il baco da seta non è morto perché è vivo nella farfalla. L'apprendista filosofo rispose, Il baco da seta non è morto, è la farfalla che morirà, dopo aver deposto le uova, Questo lo sapevo già prima che tu nascessi, disse lo spirito che aleggia sopra le acque dell'acquario, il baco da seta non è morto, nel bozzolo non c'è rimasto nessun cadavere dopo che la farfalla è uscita, l'hai detto tu, una è nata dalla morte dell'altro, Si chiama metamorfosi, lo sanno tutti di che si tratta, disse condiscendente l'apprendista filosofo, Ecco una parola che suona bene, piena di promesse e certezze, dici metamorfosi e vai avanti, sembra che tu non veda che le parole sono etichette che si appiccicano alle cose, non sono le cose, tu non saprai mai come sono le cose, e neppure quali sono i loro nomi nella realtà, perché i nomi che tu hai dato loro non sono altro che questo, i nomi che tu gli hai dato, Chi di noi due è il filosofo, Né io né tu, tu non sei altro che un apprendista di filosofia, e io sono soltanto lo spirito che aleggia sopra l'acqua dell'acquario, Stavamo parlando della morte, Non della morte, delle morti, ho domandato per quale ragione non stiano morendo gli esseri umani, e gli altri animali sì, per quale ragione la non-morte di alcuni non è la non-morte di altri, quando a questo pesciolino rosso gli finirà la vita, e devo avvisarti che non tarderà molto se non gli cambi l'acqua, sarai capace di riconoscere nella sua morte quell'altra morte da cui ora sembri essere in salvo, ignorandone il perché, Prima, al tempo in cui si moriva, in quelle rare volte che mi son trovato davanti a qualcuno che era deceduto, non ho mai pensato che la sua morte fosse la stessa di cui un giorno sarei morto io, Perché ciascuno di voi ha una propria morte, la porta con sé in un luogo segreto sin da quando nasce, lei appartiene a te, tu appartieni a lei, E gli animali, e i vegetali, Suppongo che andrà nello stesso modo anche per loro, Ciascuno con la propria morte, Infatti, Allora le morti sono molte, tante quante gli esseri viventi che sono esistiti, esistono ed esisteranno, In un certo modo, sì, Ti stai contraddicendo, esclamò l'apprendista filosofo, Le morti di ciascuno sono morti per così dire dalla vita limitata, subalterne, muoiono con colui che hanno ammazzato, ma al di sopra di esse ci sarà una morte più grande, quella che si occupa dell'insieme degli esseri umani sin dagli albori della specie, C'è dunque una gerarchia, Suppongo di sì, E per gli animali, dal più elementare protozoo alla balena azzurra, Anche, E per i vegetali, dal fitobatterio alla sequoia gigante, quella citata prima in latino per via delle dimensioni, A quanto credo di saperne, è lo stesso per tutti loro, Cioè, ciascuno con la morte propria, personale e intrasmissibile, Sì, E poi altre due morti generali, una per ogni regno della natura, Esatto, E finisce qui la distribuzione gerarchica delle competenze delegate da tanatos, domandò l'apprendista filosofo, Fin dove la mia immaginazione riesce ad arrivare, vedo ancora un'altra morte, l'ultima, la suprema, Quale, Quella che distruggerà l'universo, che realmente merita il nome di morte, anche se quando ciò succederà non si troverà più nessuno per pronunciarlo, il resto di cui abbiamo parlato fino a ora sono soltanto dettagli infimi, bagattelle, La morte, dunque, non è unica, concluse superfluamente l'apprendista filosofo, È quello che ormai sono stufo di spiegarti, Vale a dire, una morte, quella che era nostra, ha sospeso la sua attività, le altre, quelle degli animali e dei vegetali, continuano a operare, sono indipendenti, ciascuna al lavoro nel proprio settore, Ormai ne sarai convinto, Sì, Allora vai ad annunciarlo a tutti, disse lo spirito che aleggiava sopra l'acqua dell'acquario. E fu così che cominciò la polemica.
Il primo argomento contro l'audace tesi dello spirito che aleggiava sopra l'acqua dell'acquario fu che il suo portavoce non era un filosofo titolato, ma un mero apprendista che non si era mai spinto al di là di alcuni scarsi rudimenti da manuale, quasi altrettanto elementari del protozoo, e, come se ciò non bastasse, acchiappati qua e là, a spizzichi e bocconi, sconnessi, senza quell'ago e filo che li unissero sia pure con forme e colori cozzanti fra loro, insomma, una filosofia che si sarebbe potuta definire la scuola arlecchinesca, o eclettica. La questione, però, non stava tanto lì. Vero è che il succo della tesi era stata opera dello spirito che aleggiava sopra l'acqua dell'acquario, però, basterà rileggere il dialogo sviluppato nelle due pagine precedenti per riconoscere che anche il contributo dell'apprendista di filosofie ha avuto la sua influenza nella gestazione dell'interessante idea, per lo meno in qualità di ascoltatore, fattore dialettico indispensabile fin da socrate, com'è oltremodo noto. Qualcosa, per lo meno, non si poteva negare, che gli esseri umani non morivano, mentre gli altri animali sì. Quanto ai vegetali, chiunque, pur non sapendo niente di botanica, avrebbe ammesso senza difficoltà che, tale e quale a prima, nascevano, rinverdivano, in seguito avvizzivano e subito dopo seccavano, e se quella fase finale, con marciume o senza, non si sarebbe dovuta definire morte, che allora venisse qualcuno a spiegarlo meglio. Che le persone di qui non stiano morendo, ma tutti gli altri esseri viventi sì, dicevano alcuni obiettori, c'è da vederlo solo come dimostrazione che la normalità non si è ancora ritirata del tutto dal mondo, e la normalità, superfluo dirlo, è puramente e semplicemente morire quando è giunta la nostra ora. Morire e non mettersi a discutere se la morte era già nostra per nascita o se semplicemente stava passando da quelle parti e le è capitato di notarci. Nei restanti paesi si continua a morire e non sembra che, per ciò, i suoi abitanti siano più infelici. All'inizio, com'è naturale, ci sono state invidie, ci sono state cospirazioni, si è verificato qualche caso di tentativo di spionaggio scientifico per scoprire come ci eravamo riusciti, ma, alla luce dei problemi che da allora ci son caduti addosso, crediamo che il sentimento della generalità della popolazione di quei paesi si potrà tradurre con queste parole, Di che cosa ci siamo liberati.
La chiesa, come non poteva non essere, entrò nell'arena del dibattito montando il solito cavallo di battaglia, cioè, i disegni di dio sono quelli che sono sempre stati, imperscrutabili, la qual cosa, in termini correnti e un po' macchiati di crudeltà verbale, significa che non ci è permesso sbirciare dalla fessura della porta del cielo per vedere cosa succede là dentro. Diceva altresì la chiesa che la sospensione temporale e più o meno duratura di cause ed effetti naturali non era propriamente una novità, bastava rammentare gli infiniti miracoli che dio aveva permesso si compissero negli ultimi venti secoli, l'unica differenza con ciò che accade ora sta nell'ampiezza del prodigio, visto che quello che prima toccava di preferenza l'individuo, per la grazia della sua fede personale, è stato sostituito da un'attenzione globale, non personalizzata, un paese intero per così dire in possesso dell'elisir dell'immortalità, e non soltanto i credenti che, com'è logico, si aspettano di essere particolarmente distinti, ma anche gli atei, gli agnostici, gli eretici, i recidivi, gli increduli di ogni sorta, gli aficionados ad altre religioni, i buoni, i cattivi e i peggiori, i virtuosi e i maphiosi, i carnefici e le vittime, le guardie e i ladri, gli assassini e i donatori di sangue, i matti e i sani di mente, tutti, tutti senza eccezione alcuna, erano al tempo stesso i testimoni e i beneficiari del più alto prodigio mai osservato nella storia dei miracoli, la vita eterna di un corpo eternamente unita all'eterna vita dell'anima. La gerarchia cattolica, da vescovo in su, non trovò affatto divertenti queste facezie mistiche di alcuni dei suoi quadri medi assetati di meraviglie, e lo fece sapere con un messaggio ben risoluto ai fedeli, nel quale, oltre all'inevitabile riferimento agli impenetrabili disegni di dio, ribadiva l'idea che era già stata espressa all'impronta dal cardinale sin dai primi momenti della crisi nella conversazione telefonica che aveva avuto con il primo ministro, quando, immaginandosi papa e implorando dio di perdonargli la stolta presunzione, aveva proposto l'immediata promozione di una nuova tesi, quella della morte rinviata, confidando nella spesso lodata saggezza del tempo, quella che ci dice che ci sarà sempre un domani per risolvere i problemi che oggi sembravano non aver soluzione. In una lettera al direttore del suo giornale preferito, un lettore si dichiarava disposto ad accettare l'idea che la morte aveva deciso di rinviarsi, ma chiedeva, con tutto il rispetto, che gli dicessero come lo aveva saputo la chiesa, e, se veramente era tanto bene informata, allora avrebbe dovuto sapere anche quanto tempo sarebbe durato il rinvio. In una nota della redazione, il giornale rammentò al lettore che si trattava solamente di una proposta di azione, peraltro fino a ora non messa in pratica, il che vorrà dire, così concludeva, che la chiesa ne sa tanto quanto noi, cioè, niente. A questo punto qualcuno scrisse un articolo reclamando che il dibattito tornasse al problema che lo aveva originato, ossia, se sì o se no, che la morte era una o varie, se era singolare, morte, o plurale, morti, e, approfittando che ho messo mano alla penna, denunciare che la chiesa, con quelle sue posizioni ambigue, intende piuttosto guadagnare tempo senza compromettersi, ed ecco perché si è messa, come al suo solito, a steccare la zampa alla rana, a dare un colpo al cerchio e uno alla botte. La prima di queste espressioni popolari causò perplessità fra i giornalisti, che non avevano mai letto o sentito niente del genere in tutta la loro vita. Dinanzi all'enigma, tuttavia, stuzzicati da una salutare ansia di competizione professionale, buttarono giù dalle librerie i dizionari con cui talvolta si aiutavano al momento di scrivere i loro articoli e le loro notizie e si lanciarono alla scoperta di cosa ci stesse a fare lì quel batrace. Non trovarono niente, o meglio, sì, trovarono la rana, trovarono la zampa, trovarono il verbo steccare, ma non riuscirono proprio ad arrivare al senso profondo che le tre parole insieme per forza avrebbero dovuto avere. Finché a qualcuno venne in mente di chiamare un vecchio portinaio che era venuto dalla provincia tanti anni prima e di cui tutti se la ridevano perché, dopo aver vissuto tanto tempo in città, parlava ancora come se stesse davanti al camino a raccontare storie ai nipoti. Gli domandarono se conosceva la frase e lui rispose che sì, la conosceva, gli domandarono se sapeva cosa significasse e lui rispose che sì, lo sapeva. Allora lo spieghi, disse il capo della redazione, Steccare, signori miei, è mettere stecche alle ossa rotte, Fin qui lo sappiamo pure noi, quello che vogliamo è che ci dica che cosa c'entra la rana, C'entra sì, nessuno riesce a mettere le stecche a una rana, Perché, Perché non sta mai ferma con la zampa, E questo che vuol dire, Che è inutile tentare, lei non lo lascia fare, Ma non dev'essere questo che vuol significare la frase del lettore, Si usa anche quando ci mettiamo troppo tempo a finire un lavoro, e, se lo facciamo apposta, allora stiamo impastoiando, allora stiamo steccando la zampa alla rana, Dunque, la chiesa sta impastoiando, sta steccando la zampa alla rana, Sissignore, Dunque, il lettore che ha scritto ha perfettamente ragione, Penso di sì, io bado solo all'entrata del portone, Ci è stato di grande aiuto, Non volete che vi spieghi l'altra frase, Quale, Quella del cerchio e della botte, No, quella la conosciamo, la mettiamo in pratica tutti i giorni.
La polemica sulla morte e le morti, tanto bene avviata dallo spirito che aleggia sopra l'acqua dell'acquario e dall'apprendista filosofo, sarebbe finita in commedia o in farsa se non fosse comparso l'articolo dell'economista. Sebbene il calcolo attuariale, come egli stesso riconosceva, non fosse la sua specialità professionale, si considerava sufficientemente conoscitore della materia per esporsi a domandare pubblicamente con quali soldi il paese, nel giro di una ventina d'anni, punto più, virgola meno, pensava di poter pagare le pensioni a quei milioni di persone che si sarebbero trovate in stato di pensionamento per invalidità permanente e che tali sarebbero rimaste per tutti i secoli dei secoli e ai quali implacabilmente se ne sarebbero uniti altri milioni, indipendentemente che la progressione sia aritmetica o geometrica, avremo comunque sempre garantita la catastrofe, sarà la confusione, la baraonda, la bancarotta dello stato, il si salvi chi può, e non si salverà nessuno. Davanti a questo quadro terrificante non ebbero altro rimedio i metafisici che metter le pive nel sacco, altra risorsa non ebbe la chiesa che tornare ai suoi stanchi rosari e continuare ad attendere la consumazione dei secoli, quella che, secondo le sue escatologiche visioni, risolverà tutto in una volta. Effettivamente, tornando alle inquietanti ragioni dell'economista, i calcoli erano molto facili da fare, vediamo come, se abbiamo un tot di popolazione attiva che contribuisce per la sicurezza sociale, se abbiamo un tot di popolazione non attiva che si trova in stato di pensionamento, sia per vecchiaia, sia per invalidità, e dunque riscuote dall'altra le sue pensioni, se l'attiva è in costante diminuzione rispetto all'inattiva e quest'ultima in crescita continua assoluta, non si comprende come nessuno si sia subito accorto che la scomparsa della morte, pur sembrando l'auge, l'acme, la suprema felicità, non era, in definitiva, una cosa buona. Fu necessario che i filosofi e astratti vari vagassero ormai persi nella foresta delle proprie elucubrazioni sul quasi e sullo zero, che è il modo plebeo di dire l'essere e il nulla, perché il senso comune si presentasse prosaicamente, impugnando carta e matita, a dimostrare con a + b + c che c'erano questioni ben più urgenti a cui pensare. Com'era prevedibile, conoscendo i lati oscuri della natura umana, dal giorno in cui fu reso pubblico l'articolo allarmante dell'economista, l'atteggiamento della popolazione sana verso i pazienti terminali cominciò a modificarsi in peggio. Fino ad allora, ancorché fossero tutti quanti d'accordo sul fatto che erano notevoli i trambusti e i fastidi d'ogni sorta che essi causavano, si pensava che il rispetto per i vecchi e per gli infermi in generale rappresentasse uno dei doveri essenziali di qualunque società civile, e, di conseguenza, benché non di rado mettendocela tutta, non gli si negavano le cure necessarie, e addirittura, in qualche rilevante caso, si giungeva ad addolcirle con un cucchiaino di compassione e amore prima di spegnere la luce. Vero è che esistono pure, come sappiamo fin troppo bene, quelle famiglie scellerate che, facendosi trascinare dalla loro inguaribile disumanità, sono giunte all'estremo di ingaggiare i servizi della maphia per disfarsi delle misere spoglie umane che agonizzavano interminabilmente fra due lenzuola inzuppate di sudore e macchiate dalle secrezioni naturali, ma quelle meritano la nostra riprovazione, tanto quanto quella che figurava nella favola tradizionale mille volte narrata della scodella di legno, anche se, fortunatamente, all'ultimo momento si è poi salvata dall'esecrazione, grazie, come si vedrà, al buon cuore di un bambino di otto anni. La storia è presto detta, e l'affidiamo a queste pagine a illustrazione delle nuove generazioni che la ignorano, con la speranza che non se ne facciano beffa perché ingenua e sentimentale. Attenzione, dunque, alla lezione di morale. C'era una volta, nell'antico paese delle favole, una famiglia in cui c'erano un padre, una madre, un nonno che era il padre del padre e quel già citato bambino di otto anni, un ragazzino. Si dava il caso che il nonno fosse già avanti con l'età, perciò gli tremavano le mani e gli cadeva il cibo dalla bocca quando erano a tavola, il che suscitava grande irritazione al figlio e alla nuora, sempre lì a dirgli di fare attenzione a ciò che faceva, ma il povero vecchio, per quanto lo volesse, non riusciva a trattenere il tremito, peggio ancora se lo sgridavano, e il risultato era che sporcava sempre la tovaglia o faceva cadere per terra il mangiare, per non dire poi del tovagliolo che gli legavano al collo e che bisognava cambiare tre volte al giorno, a colazione, a pranzo e a cena. Erano ormai le cose a questo punto e senza alcuna aspettativa di miglioramento quando il padre decise di farla finita con la sgradevole situazione. Si presentò a casa con una scodella di legno e disse al padre, Da oggi in poi mangerete qui, vi siederete sulla soglia della porta perché è più facile da pulire e così vostra nuora non dovrà più preoccuparsi di tante tovaglie e tanti tovaglioli sporchi. E così fu. Colazione, pranzo e cena, il vecchio seduto da solo sulla soglia della porta, che portava il cibo alla bocca come gli era possibile, metà si perdeva per strada, una parte dell'altra metà gli scivolava giù per il mento, e non era granché la quantità che finalmente gli scendeva giù per quello che il volgo chiama il gargarozzo. Non sembrava che al nipote importasse molto del pessimo trattamento riservato al nonno, lo guardava, poi guardava il padre e la madre, e continuava a mangiare come se lui non c'entrasse niente in quella faccenda. Finché un pomeriggio, rientrando dal lavoro, il padre vide il figlio che scolpiva con un temperino un pezzo di legno e credette, com'era normale e usuale a quei tempi remoti, che stesse costruendo un giocattolo con le sue stesse mani. L'indomani, però, si rese conto che non si trattava di un carrettino, per lo meno non si vedeva dove si potevano incastrare delle ruote, e allora domandò, Che stai facendo. Il ragazzo finse di non aver udito e continuò a scavare il legno con la punta del temperino, questo avvenne nel tempo in cui i genitori erano meno timorosi e non correvano a togliere dalle mani dei figli uno strumento tanto utile per la fabbricazione dei giocattoli. Non hai sentito, che stai facendo con quel pezzo di legno, di nuovo domandò il padre, e il figlio, senza alzare gli occhi, rispose, Sto facendo una scodella per quando sarete vecchio, babbo, e vi tremeranno le mani, per quando vi manderanno a mangiare sulla soglia della porta, come avete fatto con il nonno. Furono parole sante. Caddero le fette di salame dagli occhi del padre, che vide la verità e la sua luce, e che all'istante andò a chiedere perdono al progenitore e quando arrivò l'ora della cena con le sue stesse mani lo aiutò a sedersi sulla sedia, con le sue stesse mani gli avvicinò il cucchiaio alla bocca, con le sue stesse mani gli pulì dolcemente il mento, perché lui poteva ancora farlo mentre il suo amato padre non più. Di ciò che accadde in seguito non v'è notizia nella storia, ma per scienza ben certa sappiamo che se è vero che il lavoro del ragazzino rimase a metà, è anche vero che quel pezzo di legno è ancora lì in giro. Nessuno ha mai voluto bruciarlo o buttarlo via, vuoi perché la lezione dell'esempio non dovesse cadere nell'oblio, vuoi per il caso che un giorno a qualcuno venisse in mente di terminare l'opera, un'eventualità non del tutto impossibile da verificarsi se teniamo conto dell'enorme capacità di sopravvivenza di quei famosi lati oscuri della natura umana. Come si suol dire, tutto ciò che potrebbe succedere, succederà, è solo questione di tempo, e se non siamo giunti a vederlo finché eravamo da queste parti, sarà stato solo perché non abbiamo vissuto abbastanza. In ogni modo, e perché non ci si accusi di dipingere tutto con i colori della parte sinistra della tavolozza, c'è anche chi ammette l'ipotesi che un adattamento del delicato racconto per la televisione, dopo che un giornale lo avrà ripreso, scuotendone le ragnatele, dagli scaffali polverosi della memoria collettiva, potrebbe contribuire a far tornare alle affrante coscienze delle famiglie il culto o la coltivazione degli incorporei valori di spiritualità di cui la società si nutriva nel passato, quando il basso materialismo che impera oggi non si era ancora impossessato di volontà che immaginavamo forti e che, in definitiva, erano la stessa e insanabile immagine di una schiacciante debilità morale. Conserviamo dunque la speranza. Nel momento in cui quel bambino apparirà sullo schermo, stiamo pur certi che metà della popolazione del paese correrà a prendere un fazzoletto per asciugarsi le lacrime e l'altra metà, forse di temperamento stoico, le lascerà scorrere sul viso, in silenzio, perché si possa notare meglio come il rimorso per il male fatto o consentito non sempre è una parola vana. Speriamo di essere ancora in tempo a salvare i nonni.
Inaspettatamente, con una deplorevole mancanza di senso dell'opportunità, i repubblicani decisero di approfittare della delicata occasione per far sentire la loro voce. Non erano molti, e non avevano neppure una rappresentanza in parlamento nonostante che fossero organizzati in partito politico e concorressero regolarmente agli atti elettorali. Presumevano comunque di avere una certa influenza sociale, soprattutto negli ambienti artistici e letterari, dove di tanto in tanto facevano circolare dei manifesti generalmente ben redatti, ma invariabilmente innocui. Da quando la morte era scomparsa non davano segni di vita, nemmeno, come ci si aspetterebbe da un'opposizione che si dice frontale, per reclamare il chiarimento della vociferata partecipazione della maphia all'ignobile traffico di pazienti terminali. Ora, approfittando del turbamento in cui il paese malviveva, diviso com'era fra la vanità di sapersi unico in tutto il pianeta e l'inquietudine di non essere come tutti gli altri, venivano a mettere sul tavolo né più né meno che la questione del regime. Ovviamente avversari della monarchia, nemici del trono per definizione, pensavano di avere scoperto un nuovo argomento a favore della necessaria e urgente istituzione della repubblica. Dicevano che andava contro la logica più comune che nel paese ci fosse un re che non sarebbe morto mai e che, anche se un domani avesse deciso di abdicare per motivi di età o rammollimento delle facoltà mentali, pur sempre re avrebbe continuato a essere, il primo di una successione infinita di intronizzazioni e abdicazioni, un'infinita successione di re sdraiati nei loro letti in attesa di una morte che non sarebbe mai arrivata, una catena di re mezzi vivi e mezzi morti che, a meno che non li avessero sistemati nei corridoi del palazzo, avrebbero finito per riempire e infine a non rientrare più nel pantheon dove erano stati accolti i loro predecessori mortali, che ormai non sarebbero stati altro che ossa staccate dalle articolazioni o resti mummificati e ammuffiti. Quanto non sarebbe più logico avere un presidente della repubblica con scadenze prefissate, un mandato, al massimo due, e poi che se la sbrighi alla meglio, che faccia la sua vita, dia conferenze, scriva libri, partecipi a congressi, colloqui e simposi, intervenga nelle tavole rotonde, faccia il giro del mondo in ottanta ricevimenti, sdottori sulla lunghezza delle gonne quando torneranno a usarsi e sulla riduzione dell'ozono nell'atmosfera se ancora ci sarà un'atmosfera, insomma, che si arrangi. Tutto meno che dover trovare tutti i giorni sui quotidiani e sentire alla televisione e alla radio il bollettino medico sempre uguale, non vogliono crepare, sulla situazione dei ricoverati nelle infermerie reali, che, è opportuno informarlo, dopo essere state aumentate due volte, sarebbero già in procinto di un terzo ampliamento. Il plurale di infermerie sta lì a indicare che, come sempre succede nelle istituzioni ospedaliere o affini, gli uomini si trovano separati dalle donne, e dunque, re e principi da un lato, regine e principesse dall'altro. I repubblicani venivano ora a sfidare il popolo ad assumersi le responsabilità che gli competevano, prendendo il destino nelle proprie mani per dare inizio a una vita nuova e aprendo un nuovo e florido cammino verso gli albori dell'avvenire. Stavolta l'effetto del manifesto non si limitò a toccare gli artisti e gli scrittori, altri strati sociali si mostrarono ricettivi alla felice immagine del cammino florido e alle evocazioni degli albori dell'avvenire, il che ebbe come risultato un'affluenza assolutamente fuori del comune di adesioni di nuovi militanti disposti a intraprendere una traversata che, tale e quale alla pescata, che nell'acqua la chiamano ancora così, era già storica prim'ancora di sapere se lo sarebbe stata veramente. Purtroppo, le manifestazioni verbali di civico entusiasmo dei nuovi aderenti a questo repubblicanesimo prospettivo e profetico, nei giorni che seguirono, non sempre furono tanto rispettose quanto esigono la buona educazione e una sana convivenza democratica. Alcune giunsero persino a superare le frontiere della più offensiva volgarità, come il fatto di dire, per esempio, parlando delle loro altezze, che non si era disposti a mantenere bestie all'ingrasso né asini a pan di spagna. Tutte le persone di buon gusto furono d'accordo nel considerare tali parole, non solo inammissibili, ma anche imperdonabili. Sarebbe bastato dire che i forzieri dello stato non potevano continuare a sostenere ancora la continua crescita delle spese della casa reale e dei suoi a latere, e tutti lo avrebbero capito. Era la verità e non offendeva.
Il violento attacco dei repubblicani, ma soprattutto gli inquietanti vaticini veicolati nell'articolo sull'inevitabilità, a scadenza molto breve, che i suddetti forzieri dello stato non avrebbero potuto soddisfare il pagamento di pensioni di vecchiaia e invalidità senza una fine in vista, portarono il re a far sapere al primo ministro che bisognava avessero una conversazione franca, a tu per tu, senza registratori né testimoni di alcun tipo. Arrivò il primo ministro, s'interessò delle saluti reali, specialmente della regina madre, quella che all'ultimo Capodanno stava per morire e in definitiva, come tanta altra gente, respira ancora tredici volte al minuto, benché pochi altri segnali di vita si lascino cogliere nel suo corpo prostrato, sotto il baldacchino del letto. Sua maestà ringraziò, disse che la regina madre sopportava il calvario con la dignità propria del sangue che ancora le scorreva nelle vene e, subito dopo, passò agli argomenti all'ordine del giorno, il primo dei quali era la dichiarazione di guerra dei repubblicani. Non capisco che cosa le dice il cervello a quella gente, disse, il paese sprofondato nella più terribile crisi della sua storia e loro lì a parlare di cambiamento del regime, Io non mi preoccuperei, signore, quello che stanno facendo è approfittare della situazione per diffondere quelle che definiscono le loro proposte di governo, in fondo non sono altro che dei poveri pescatori di acque torbide, Con una deprecabile mancanza di patriottismo, si aggiunga, Infatti, signore, i repubblicani hanno certe idee sulla patria che riescono a capire soltanto loro, ammesso che le capiscano veramente, Le loro eventuali idee non mi interessano, quello che voglio sentire da lei è se c'è qualche possibilità che riescano a forzare un cambiamento di regime, Non hanno neppure una rappresentanza in parlamento, signore, Mi riferisco a un colpo di stato, a una rivoluzione, Nessuna possibilità, signore, il popolo è con il suo re, le forze armate sono leali al potere legittimo, Allora posso stare tranquillo, Assolutamente tranquillo, signore. Il re fece una croce sull'agenda accanto alla parola repubblicani, disse, Ecco fatto, e poi domandò, E cos'è questa storia delle pensioni che non si pagano, Le stiamo pagando, signore, è il futuro che si presenta alquanto nero, Allora devo aver letto male, pensavo ci fosse stata, diciamo, una sospensione dei pagamenti, No, signore, è il domani che ci si presenta altamente preoccupante, Preoccupante sotto che punto, Sotto tutti, signore, lo stato potrebbe crollare, semplicemente, come un castello di carte, Siamo l'unico paese che si trova in tale situazione, domandò il re, No, signore, a lungo termine il problema raggiungerà tutti, ma ciò che conta è la differenza tra morire e non morire, è una differenza fondamentale, scusi la banalità, Non capisco, Negli altri paesi si muore normalmente, i decessi continuano a tenere sotto controllo il flusso delle nascite, ma qui, signore, nel nostro paese, signore, nessuno muore, si veda il caso della regina madre, sembrava che se ne andasse, e in definitiva eccola lì, per fortuna, voglio dire, mi creda, non esagero, ma siamo con la corda al collo, In ogni caso mi sono giunte voci che qualcuno sta morendo, Infatti, signore, ma si tratta di una goccia d'acqua nell'oceano, non tutte le famiglie si azzardano a compiere quel passo, Che passo, Consegnare i loro pazienti all'organizzazione che s'incarica dei suicidi, Non capisco, a che serve che si suicidino se non possono morire, Questi sì, E come ci riescono, È una storia complicata, signore, Me la racconti, siamo soli, Al di là delle frontiere si muore, signore, Allora vuol dire che la tale organizzazione li porta là, Esattamente, Si tratta di un'organizzazione benemerita, Ci aiuta a ritardare un po' l'accumulo di pazienti terminali, ma, come ho detto prima, è una goccia d'acqua nell'oceano, E di che organizzazione si tratta. Il primo ministro fece un respiro profondo e disse, La maphia, signore, La maphia, Sissignore, la maphia, a volte lo stato non può far altro che rimediare fuori qualcuno che gli faccia i lavori sporchi, Non mi aveva detto niente, Signore, volevo tenere la maestà vostra a margine della faccenda, me ne assumo tutta la responsabilità, E le truppe che si trovavano alle frontiere, Avevano una funzione da svolgere, Che funzione, Dare l'impressione di essere un ostacolo al passaggio dei suicidi e non esserlo, Pensavo fossero là per impedire un'invasione, Non c'è mai stato un tale pericolo, in ogni modo abbiamo stabilito degli accordi con i governi di quei paesi, è tutto sotto controllo, Meno la questione delle pensioni, Meno la questione della morte, signore, se non riprenderemo a morire non abbiamo futuro. Il re fece una croce accanto alla parola pensioni e disse, Bisogna che accada qualcosa, Sì, maestà, bisogna che accada qualcosa.
VII
La busta si trovava sul tavolo del direttore generale della televisione quando la segretaria entrò nell'ufficio. Era di colore viola, dunque fuori del comune, e la carta, di tipo goffrato, imitava la trama del lino. Sembrava antica e dava l'impressione di essere già stata usata. Non recava alcun indirizzo, né del mittente, come a volte succede, né del destinatario, cosa che non succede mai, e si trovava in un ufficio la cui porta, chiusa a chiave, era stata appena aperta in quel preciso momento, e dove nessuno sarebbe potuto entrare durante la notte. Nel rigirarla per vedere se dietro c'era scritto qualcosa, la segretaria si ritrovò a pensare, con una vaga sensazione di quanto fosse assurdo pensarlo e sentirlo, che la busta non doveva esser lì nel momento in cui lei aveva introdotto la chiave e fatto funzionare il meccanismo della serratura. Sciocchezze, mormorò, non devo averla notata quando sono uscita ieri. Diede uno sguardo all'ufficio per vedere se era tutto in ordine e se ne tornò al suo posto di lavoro. Nella sua qualità di segretaria, e di fiducia, doveva essere autorizzata ad aprire quella o qualsiasi altra busta, tanto più che non v'era alcuna indicazione di carattere restrittivo, come ad esempio personale, riservata o confidenziale, eppure non lo aveva fatto, e non capiva perché. Per due volte si alzò dalla sedia e andò a socchiudere la porta dell'ufficio. La busta era sempre lì. È un'ossessione, la mia, sarà l'effetto del colore, pensò, speriamo che lui venga subito e il mistero si chiarisca. Si riferiva al capo, al direttore generale, che tardava. Erano le dieci e un quarto quando finalmente lui comparve. Non era tipo di tante parole, arrivava, salutava e passava immediatamente nel suo ufficio, dove la segretaria aveva ordine di entrare solo cinque minuti dopo, il tempo che lui considerava necessario per mettersi a proprio agio e accendere la prima sigaretta della mattina. Quando la segretaria entrò, il direttore generale aveva ancora la giacca indosso e non fumava. Teneva con tutte e due le mani un foglio di carta dello stesso colore della busta, e tutte e due le mani gli tremavano. Volse il capo verso la segretaria che si avvicinava, ma fu come se non la riconoscesse. Improvvisamente tese un braccio con la mano aperta per bloccarla e disse con una voce che sembrava uscire da un'altra gola, Esca immediatamente, chiuda quella porta e non faccia entrare nessuno, nessuno, ha sentito, chiunque sia. Sollecita, la segretaria volle sapere se c'era qualche problema, ma lui la interruppe con violenza, Non ha sentito che le ho detto di uscire, domandò. E quasi urlando, Esca, ora, subito. La povera donna si ritirò con le lacrime agli occhi, non era abituata a quei modi, vero è che il direttore, come tutti, ha i suoi difetti, ma in genere è una persona beneducata, non è da lui trattare le segretarie a pedate. Qui c'entra in qualche modo la lettera, non c'è altra spiegazione, pensò mentre cercava un fazzoletto per asciugarsi le lacrime. Non si sbagliava. Se osasse rientrare nell'ufficio vedrebbe il direttore generale fare velocemente avanti e indietro, con un'espressione allucinata sul viso, come se non sapesse cosa fare e, nello stesso tempo, avesse chiara coscienza che solo lui, e nessun altro, potrebbe farlo. Il direttore guardò l'orologio, guardò il foglio di carta, mormorò sottovoce, quasi in un sussurro, C'è ancora tempo, c'è ancora tempo, poi si sedette a rileggere la lettera misteriosa mentre si passava la mano libera sul capo con un gesto meccanico, come a volersi accertare di averlo ancora lì al suo posto, di non averlo perso inghiottito dal vortice della paura che gli contorceva le budella. Conclusa la lettura, rimase lì con gli occhi smarriti nel vuoto, pensando, Devo parlare con qualcuno, poi gli sovvenne, in soccorso, l'idea che forse si trattava di uno scherzo, di uno scherzo di pessimo gusto, un telespettatore scontento, come ce n'è tanti, e per giunta dall'immaginazione morbosa, chi ha delle responsabilità direttive alla televisione sa benissimo che non è tutto rose e fiori, Ma non è a me che in genere si scrive sfogandosi, pensò. Com'era naturale, fu questo pensiero che lo portò a telefonare finalmente alla segretaria per domandare, Chi è che ha portato questa lettera, Non so, signor direttore, quando sono arrivata e ho aperto la porta del suo ufficio, come faccio sempre, c'era già, Ma questo è impossibile, durante la notte nessuno ha accesso a questo ufficio, Infatti, signor direttore, Allora come si spiega, Non lo domandi a me, signor direttore, poco fa avrei voluto dirle cos'era successo, ma lei non me ne ha dato neppure il tempo, Riconosco di essere stato un po' brusco, scusi, Non ha importanza, signor direttore, ma mi ha fatto molto male. Il direttore generale perse di nuovo la pazienza, Se le dicessi cosa ho qui, allora sì che saprebbe cosa significa far male. E riattaccò. Di nuovo guardò l'orologio, poi disse fra sé e sé, È l'unica via d'uscita, non ne vedo altre, ci sono decisioni che non compete a me prendere. Aprì un'agenda, cercò il numero che gli interessava, lo trovò, Eccolo, disse. Le mani continuavano a tremargli, stentò a premere i tasti giusti e più ancora a indovinare il tono della voce quando all'altro capo gli risposero, Mi passi il gabinetto del primo ministro, chiese, sono il direttore della televisione, il direttore generale. Rispose il capo di gabinetto, Buongiorno, signor direttore, lietissimo di sentirla, in che posso esserle utile, Ho bisogno che il primo ministro mi riceva il più rapidamente possibile per una questione della massima urgenza, Non può dirmi di che si tratta in modo che io lo trasmetta al primo ministro, Sono molto spiacente, ma mi è impossibile, la questione, oltre che urgente, è strettamente confidenziale, In ogni caso, se potesse darmi un'idea, Ho qui con me, davanti a questi occhi che la terra dovrà mangiare, un documento di trascendente importanza nazionale, se quanto le sto dicendo non è sufficiente, se non è abbastanza perché mi metta all'istante in comunicazione con il primo ministro dovunque si trovi, temo molto per il suo futuro personale e politico, È davvero tanto serio, Le dico solo che, a partire da questo momento, ogni minuto che passerà è di sua esclusiva responsabilità, Vedrò cosa posso fare, il primo ministro è molto occupato, Allora lo disoccupi, se vuole guadagnarsi una medaglia, Immediatamente, Resto in attesa, Posso farle un'altra domanda, La prego, cos'altro ancora vuole sapere, Perché ha detto questi occhi che la terra dovrà mangiare, questo accadeva prima, Non so cos'era prima lei, ma so che cos'è ora, un perfetto idiota, mi passi il primo ministro, subito. L'insolita durezza delle parole del direttore generale mostra a qual punto è alterato il suo spirito. Lo ha colto una specie di obnubilamento, non si riconosce, non capisce com'è possibile che abbia insultato qualcuno solo perché gli ha fatto una domanda del tutto ragionevole, sia nei termini sia nell'intenzione. Dovrò chiedergli scusa, pensò pentito, un domani potrei aver bisogno di lui. La voce del primo ministro risuonò spazientita, Che c'è, domandò, i problemi della televisione, che io sappia, non riguardano me, Non si tratta della televisione, signor primo ministro, ho una lettera, Sì, mi hanno già detto che ha una lettera, e cosa vuole che le faccia, La prego solo vivamente di leggerla, nient'altro, il resto, per usare le sue stesse parole, non riguarderà me, Noto che è nervoso, Sì, signor primo ministro, sono più che nervoso, E che dice codesta misteriosa lettera, Non posso dirglielo per telefono, La linea è sicura, Comunque non glielo dirò, la cautela non è mai troppa, Allora me la mandi, Dovrò consegnargliela a mano, non voglio correre il rischio di inviare un latore, Le mando io qualcuno da qui, il mio capo di gabinetto, per esempio, persona più vicina a me sarà difficile, Signor primo ministro, per favore, non starei qui a disturbarla se non avessi un motivo molto serio, ho assolutamente bisogno che mi riceva, Quando, Ora stesso, Sono occupato, Signor primo ministro, la prego, Beh, giacché insiste tanto, venga, spero che il mistero ne valga la pena, Grazie, vengo di corsa. Il direttore generale posò il telefono, infilò la lettera nella busta, che mise in una delle tasche interne della giacca e si alzò. Le mani avevano smesso di tremare, ma la fronte era madida di sudore. Si asciugò il viso con il fazzoletto, poi chiamò la segretaria con il telefono interno, le disse che sarebbe uscito, che chiamasse l'auto. Il fatto di aver passato la responsabilità a un'altra persona lo aveva un po' calmato, nel giro di una mezz'ora il suo ruolo in questa faccenda sarà terminato. La segretaria comparve sulla soglia, L'auto la sta aspettando, signor direttore, Grazie, non so quanto tempo impiegherò, ho un appuntamento con il primo ministro, ma tenga per lei questa informazione, Stia tranquillo, signor direttore, non dirò niente, Arrivederci, Arrivederci, signor direttore, che tutto le vada bene, Da come stanno le cose, non sappiamo più cosa è bene e cosa è male, Ha ragione, A proposito, come sta suo padre, Sempre nella stessa situazione, signor direttore, quanto a soffrire, non sembra soffra, ma si sta consumando, si sta estinguendo, è in quello stato ormai da due mesi, e, visto cosa sta succedendo, avrò solo che da aspettare il mio turno perché mi stendano in un letto accanto a lui, Non si sa mai, disse il direttore, e uscì.
Il capo di gabinetto andò a ricevere il direttore generale alla porta, lo salutò con evidente freddezza, poi disse, L'accompagno dal primo ministro, Un minuto, prima voglio chiederle scusa, c'era davvero un perfetto idiota nella nostra conversazione, ma ero io, Molto più probabilmente non era nessuno di noi, disse il capo di gabinetto sorridendo, Se potesse vedere cos'ho dentro questa tasca comprenderebbe il mio stato d'animo, Non si preoccupi, per quanto mi riguarda, è scusato, La ringrazio, ad ogni modo non mancano più molte ore perché la bomba scoppi e diventi pubblica, Speriamo non sia troppo fragorosa nell'esplodere, Il fragore sarà ben più forte del peggiore dei tuoni mai uditi, e più accecanti i lampi di tutti gli altri insieme, Ora mi fa preoccupare, In quel momento, mio caro, sono certo che mi scuserà di nuovo, Andiamo, il primo ministro la sta aspettando. Attraversarono una sala che in epoche passate dovevano aver chiamato anticamera, e un minuto dopo il direttore generale era in presenza del primo ministro, che lo ricevette con un sorriso, Vediamo allora qual è il problema di vita o di morte che mi porta qui, Con il dovuto rispetto, sono convinto che non le siano mai uscite di bocca parole più esatte, signor primo ministro. Trasse di tasca la lettera e gliela porse sopra il tavolo. L'altro si stupì, Non c'è il nome del destinatario, Né di chi l'ha inviata, disse il direttore, è come se fosse una lettera indirizzata a tutti, Anonima, No, signor primo ministro, come potrà vedere è firmata, legga, la prego. La busta fu aperta lentamente, il foglio di carta dispiegato, ma già alle prime righe il primo ministro alzò gli occhi e disse, Sembrerebbe una burla, In effetti, potrebbe esserlo, ma non credo, è comparsa sul mio tavolo da lavoro senza che nessuno sappia come, Non mi pare sia una buona ragione per cui dar credito a quello che si dice qui, Continui, continui, la prego. Giunto alla fine della lettera, il primo ministro, adagio, muovendo le labbra in silenzio, articolò le due sillabe della parola che la firmava. Posò il foglio sulla scrivania, guardò fisso l'interlocutore e disse, Immaginiamo che si tratti di una burla, Non lo è, Anch'io sono propenso a credere che non lo sia, ma se le sto suggerendo di immaginarlo è solo per concludere che non c'impiegheremo molte ore a saperlo, Precisamente dodici, visto che ora è mezzogiorno, Ecco il punto dove voglio arrivare, se quanto si annuncia nella lettera si realizzerà, e se non avremo avvisato prima le persone, verrà a ripetersi, ma all'incontrano, quello che è successo la notte di capodanno, Tant'è che le avvisiamo o no, signor primo ministro, l'effetto sarà lo stesso, Contrario, Contrario, ma lo stesso, Esatto, se invece le avremo avvisate e in definitiva dovesse verificarsi che si trattava di una burla, le persone avrebbero passato un brutto quarto d'ora inutilmente, benché sicuramente ci sarebbe molto da discutere sulla pertinenza di questo avverbio, Comunque sia, lei, signor primo ministro, ha già detto di non credere che sia una burla, Infatti, Che fare, allora, avvisare, o non avvisare, Questo è il problema, mio caro direttore generale, dobbiamo pensare, ponderare, riflettere, Il problema è nelle sue mani, signor primo ministro, la decisione le appartiene, Mi appartiene, in effetti, potrei persino stracciare questo foglio in mille pezzi e restarmene in attesa di ciò che potrebbe succedere, Non credo lo faccia, Ha ragione, non lo farò, dunque c'è da prendere una decisione, dire semplicemente che la popolazione dev'essere avvisata non basta, è necessario sapere come, Per questo ci sono i mezzi di comunicazione, signor primo ministro, abbiamo la televisione, i giornali, la radio, La sua idea, dunque, è che distribuiamo a tutti quei media una fotocopia della lettera accompagnata da un comunicato del governo in cui si chiederebbe alla popolazione serenità e si darebbero alcuni consigli su come procedere nell'emergenza, Lei, signor primo ministro, ha formulato l'idea meglio di quanto avrei mai saputo fare io, La ringrazio per l'opinione lusinghiera, ma ora le chiedo di fare uno sforzo e immaginare cosa succederebbe se procedessimo in tal modo, Non capisco, Mi aspettavo di meglio dal direttore generale della televisione, In questo caso, sento di non essere all'altezza, signor primo ministro, Certo che lo è, fatto sta che si ritrova frastornato dalla responsabilità, E lei, signor primo ministro, non è frastornato, Lo sono anch'io, ma, nel mio caso, frastornato non vuo? dire paralizzato, Meno male per il paese, Ancora una volta la ringrazio, non abbiamo chiacchierato molto, noi due, in genere parlo di televisione solo con il ministro degli affari sociali, ma credo sia giunto il momento di fare di lei una figura nazionale, Ora sono io che non comprendo affatto, signor primo ministro, È semplice, questa faccenda rimarrà fra noi, rigorosamente fra noi, fino alle ore ventuno, a quell'ora il notiziario della televisione aprirà con la lettura di un comunicato ufficiale in cui si spiegherà cosa succederà alla mezzanotte di oggi, e verrà letto altresì un sunto della lettera, e la persona che procederà a queste due letture sarà il direttore generale della televisione, in primo luogo perché è lui il destinatario della lettera, ancorché non vi sia nominato, e in secondo luogo perché il direttore generale della televisione è la persona in cui confido per portare a conclusione la missione di cui, implicitamente, entrambi siamo stati incaricati dalla dama che firma questa lettera, Un annunciatore se la caverebbe meglio, signor primo ministro, Non voglio un annunciatore, voglio il direttore generale della televisione, Se questo è il suo desiderio, lo considererò come un onore, Siamo le uniche persone che conoscono cosa accadrà oggi a mezzanotte e continueremo a esserlo fino all'ora in cui la popolazione riceverà l'informazione, se avessi fatto quanto ha proposto poco fa, cioè, passare subito la notizia ai mezzi di comunicazione, avremmo avuto dodici ore di confusione, di panico, di subbuglio, di isterismo collettivo, e vai a sapere cos'altro, dunque, visto che non è nelle nostre possibilità, mi riferisco al governo, evitare tali reazioni, cerchiamo almeno di limitarle a tre ore, dopo di che non ci riguarderà più, avremo di tutto, lacrime, disperazioni, sollievi malcelati, nuovi progetti di vita, Sembra una buona idea, Sì, ma solo perché non ne abbiamo un'altra migliore. Il primo ministro prese il foglio di carta, vi diede uno sguardo senza leggere e disse, È curioso, la lettera iniziale della firma dovrebbe essere maiuscola, ed è minuscola, Anch'io l'ho trovato strano, scrivere un nome con la minuscola è anormale, Mi dica se vede qualcosa di normale in tutta questa storia che abbiamo vissuto, Veramente, niente, A proposito, sa fare delle fotocopie, Non sono uno specialista, ma qualche volta l'ho fatto,
Stupendo. Il primo ministro inserì la lettera e la busta in una cartella piena di documenti e mandò a chiamare il capo di gabinetto, a cui ordinò, Faccia sgombrare immediatamente la stanza dove si trova la fotocopiatrice, Ma gli impiegati ci lavorano, signor primo ministro, è il loro posto, Che vadano altrove, che aspettino nel corridoio o escano a fumare una sigaretta, ci serviranno solo tre minuti, non è vero, direttore generale, Neanche tanto, signore, Potrei fare io la fotocopia con assoluta discrezione, se è questo, come mi permetto di supporre, che si vuole, disse il capo di gabinetto, È proprio questo che si vuole, discrezione, ma, per questa volta, m'incaricherò personalmente del lavoro, con l'assistenza tecnica, diciamo così, del direttore generale della televisione qui presente, Benissimo, signor primo ministro, darò gli ordini necessari perché la stanza sia evacuata. Rientrò di lì a qualche minuto, Ora è sgombra, signor primo ministro, se non ha niente in contrario torno nel mio gabinetto, Mi rallegro di non doverglielo chiedere e la prego di non prendersela a male se queste manovre apparentemente cospirative la escludono, oggi stesso conoscerà il motivo di tante precauzioni e senza che io abbia bisogno di dirglielo, Certamente, signor primo ministro, non mi permetterei mai di dubitare della bontà delle sue ragioni, Così si parla, mio caro. Quando il capo di gabinetto uscì, il primo ministro prese la cartella e disse, Andiamo. La stanza era deserta. In meno di un minuto la fotocopia fu pronta, lettera per lettera, parola per parola, ma era un'altra cosa, le mancava il tocco inquietante del colore viola della carta, ora è una missiva normale, comune, di quelle sul tipo Speriamo che questa mia vi trovi in buona e felice salute unitamente a tutta la famiglia, che io, per mia parte, ho solo da dir bene della vita nel corso di questa. Il primo ministro consegnò la copia al direttore generale, Eccola, io tengo l'originale, disse, E il comunicato del governo, quando lo riceverò, Si sieda, lo redigo personalmente in un attimo, è semplice, cari compatrioti, il governo ha ritenuto suo dovere informare il paese circa una lettera che gli è giunta sottomano oggi, un documento il cui significato e la cui importanza non necessitano di essere sottolineati, anche se non siamo in condizioni di garantirne l'autenticità, ammettiamo, senza volerne anticipare fin da subito il contenuto, una possibilità che non venga a prodursi ciò che nello stesso documento si annuncia, comunque, perché la popolazione non sia colta di sorpresa in una situazione che non sarà scevra di tensioni e aspetti critici vari, si procederà immediatamente alla sua lettura, di cui, con il beneplacito del governo, s'incaricherà il direttore generale della televisione, una parola ancora prima di terminare, non è necessario assicurare che, come sempre, il governo si manterrà attento agli interessi e alle necessità della popolazione in ore che saranno, senza dubbio, tra le più difficili da quando siamo nazione e popolo, ragion per cui facciamo appello a tutti voi affinché conserviate la calma e la serenità di cui avete dato chiara dimostrazione durante il succedersi delle dure prove attraverso le quali siamo passati dall'inizio dell'anno, nel mentre confidiamo che un avvenire più benevolo venga a restituirci la pace e la felicità di cui siamo meritevoli e di cui godevamo prima, cari compatrioti, ricordatevi che l'unione fa la forza, ecco il nostro motto, la nostra caratteristica, manteniamoci uniti e il futuro sarà nostro, ecco fatto, come vede, è stato rapido, questi comunicati ufficiali non richiedono grandi equilibrismi d'immaginazione, si potrebbe quasi dire che si redigono da soli, lì c'è una macchina per scrivere, copi e tenga tutto bene in serbo fino alle ventuno, non si separi da codesti fogli neanche per un istante, Stia tranquillo, signor primo ministro, sono perfettamente consapevole delle mie responsabilità in questa congiuntura, stia pur certo che non si sentirà deluso, Benissimo, ora può tornare al suo lavoro, Mi permetta di farle ancora due domande prima di andare, Avanti, Lei ha appena detto, signor primo ministro, che fino alle nove di stasera solo due persone saranno a conoscenza di questa faccenda, Sì, lei e io, nessun altro, neppure il governo, E il re, se non è audacia da parte mia occuparmi di cose di cui non dovrei, Sua maestà lo saprà quando lo sapranno gli altri, questo, chiaro, nel caso che stia vedendo la televisione, Suppongo che non dovrà essere molto contento di non essere stato informato prima, Non si preoccupi, la migliore delle virtù che esornano i re, mi riferisco, com'è ovvio, a quelli costituzionali, è di essere persone straordinariamente comprensive, Ah, E l'altra domanda che voleva fare, Non è proprio una domanda, Allora, È che, sinceramente, sono sbigottito per il sangue freddo che sta dimostrando, signor primo ministro, a me, quello che succederà nel paese a mezzanotte si prefigura come una catastrofe, un cataclisma come non ce n'è mai stati, una specie di finimondo, mentre, guardando lei, è come se si trattasse di una qualsiasi faccenda di routine governativa, dà tranquillamente i suoi ordini, e poco fa ho avuto addirittura l'impressione che avesse sorriso, Sono convinto che anche lei, mio caro direttore generale, sorriderebbe se avesse un'idea della quantità di problemi che questa lettera viene a risolvermi senza aver dovuto muovere un dito, e ora mi lasci lavorare, ho vari ordini da dare, parlare con il ministro dell'interno perché faccia mettere la polizia in preavviso, farò in modo di inventare un motivo plausibile, la possibilità di un'alterazione dell'ordine pubblico, non è tipo da perdere molto tempo a pensare, lui preferisce l'azione, se volete vederlo felice dategli l'azione, Signor primo ministro, mi consenta di dirle che considero un privilegio impagabile aver condiviso al suo fianco questi momenti cruciali, Meno male che la vede in questo modo, ma stia pur certo che cambierebbe rapidamente opinione se una sola parola di quante sono state pronunciate in questo gabinetto, mie o sue, dovesse venire a conoscenza al di fuori delle sue quattro mura, Capisco, Come un re costituzionale, Sì, signor primo ministro.
Erano quasi le venti e trenta quando il direttore generale chiamò nel suo ufficio il responsabile del telegiornale per informarlo che il notiziario della sera si sarebbe aperto con la lettura di una comunicazione del governo al paese, della quale, come al solito, si sarebbe dovuto incaricare l'annunciatore di turno, dopo di che egli stesso, direttore generale, avrebbe letto un altro documento, complementare al primo. Se al responsabile del telegiornale il procedimento parve anomalo, inusuale, estraneo alla consuetudine, non lo fece capire, si limitò a chiedere i due documenti da passare in videoconferenza, quel meritorio apparecchio che permette di creare la presuntuosa illusione che il comunicante si stia rivolgendo direttamente e unicamente a ciascuna delle persone che lo ascoltano. Il direttore generale rispose che in questo caso la videoconferenza non sarebbe stata utilizzata, Faremo la lettura alla vecchia maniera, disse, e aggiunse che sarebbe entrato nello studio alle ore venti e cinquantacinque precise, momento in cui avrebbe consegnato il comunicato del governo all'annunciatore, già prima rigorosamente istruito di aprire la cartella che lo conteneva solo quando stesse per iniziare la lettura. Il responsabile del telegiornale pensò che, ora sì, c'era motivo per mostrare un certo interesse per l'argomento, È così tanto importante, domandò, Fra mezz'ora lo saprà, E la bandiera, signor direttore generale, vuole che la faccia mettere dietro alla sedia su cui si siederà, No, niente bandiere, non sono né capo del governo né ministro, Né re, sorrise il responsabile del telegiornale con un'aria di adulante complicità, quasi volesse dare a intendere che re, sì, lo era, ma della televisione nazionale. Il direttore generale fece finta di non aver sentito, Può andare, fra venti minuti sarò nello studio, Non ci sarà tempo per truccarla, Non voglio essere truccato, la lettura sarà piuttosto breve e i telespettatori, in quel momento, avranno ben altro cui pensare che non se la mia faccia è truccata o no, Benissimo, è lei che comanda, signor direttore generale, Comunque, prenda provvedimenti perché i riflettori non mi scavino fosse nel viso, non vorrei che mi vedessero sullo schermo con l'aspetto di uno zombi, oggi meno che in qualsiasi altra occasione. Alle ore venti e cinquantacinque minuti il direttore generale entrò nello studio, consegnò all'annunciatore la cartellina con il comunicato del governo e andò a sedersi nel posto che gli era destinato. Attirate dall'insolita situazione, la notizia, come c'era da aspettarsi, si era diffusa, c'erano molte più persone del solito nello studio. Il regista ordinò il silenzio. Alle ore ventuno esatte comparve, accompagnata dalla sua inconfondibile colonna sonora, la folgorante testata del telegiornale, una varia e velocissima sequenza di immagini con le quali s'intendeva convincere il telespettatore che quella televisione, al suo servizio per ventiquattr'ore al giorno, era, come un tempo si diceva della divinità, in ogni dove e da ogni dove mandava notizie. Nel preciso istante in cui l'annunciatore finì di leggere il comunicato del governo, la telecamera numero due inquadrò il direttore generale. Si notava che era nervoso, che aveva un groppo in gola. Tossicchiò per schiarirsi la voce e cominciò a leggere, signor direttore generale della televisione nazionale, stimato signore, per gli effetti che gli interessati riterranno convenienti sono qui per informare che a partire dalla mezzanotte di oggi si tornerà a morire come succedeva, senza proteste notorie, sin dal principio dei tempi e fino al giorno trentuno dicembre dello scorso anno, devo spiegare che l'intenzione che mi ha portato a interrompere la mia attività, a smettere di ammazzare, a rinfoderare l'emblematica falce che fantasiosi pittori e incisori d'altri tempi mi hanno messo in mano, è stata di offrire a quegli esseri umani che tanto mi detestano una piccola dimostrazione di cosa sarebbe per loro vivere per sempre, cioè, eternamente, anche se, detto fra noi due, signor direttore generale della televisione nazionale, devo confessare la mia totale ignoranza se le due parole, sempre ed eternamente, siano tanto sinonimi quanto si creda generalmente, orbene, passato questo periodo di alcuni mesi che potremmo definire come prova di resistenza o di tempo gratuito e tenendo conto degli incresciosi risultati dell'esperimento, tanto da un punto di vista morale, cioè, filosofico, come da un punto di vista pragmatico, cioè, sociale, ho considerato che la cosa migliore per le famiglie e per la società nel suo insieme, vuoi in senso verticale, vuoi in senso orizzontale, sarebbe stata di venire pubblicamente a riconoscere l'equivoco di cui sono responsabile e annunciare l'immediato ritorno alla normalità, il che significherà che per tutte quelle persone che dovrebbero già essere morte, ma che, in salute o meno, permangono a questo mondo, si spegnerà la candela della vita quando nell'aria si sarà estinto l'ultimo rintocco della mezzanotte, si noti che il riferimento al rintocco è puramente simbolico, non sia mai che a qualcuno venga in mente la stupida idea di bloccare gli orologi dei campanili o di smontare il battacchio delle campane pensando così di trattenere il tempo e contrastare quella che è la mia decisione irrevocabile, restituire cioè la paura suprema ai cuori degli uomini, delle persone che c'erano prima nello studio, la maggior parte si era già dileguata, e quelle ancora presenti parlicchiavano sottovoce, quei loro sussurri che sibilavano senza che al regista, pure lui lì a bocca aperta per lo sgomento, venisse in mente di farli tacere con quel gesto furioso che era sua abitudine usare in circostanze ovviamente molto meno drammatiche dunque rassegnatevi e morite senza discutere perché non vi servirebbe a niente, tuttavia, c'è un punto su cui mi sento in obbligo di riconoscere il mio errore, il quale punto ha a che vedere con l'ingiusto e crudele procedimento che stavo seguendo, vale a dire togliere la vita alle persone a tradimento, senza preavviso, senza un allerta, devo ammettere che si trattava di un'indecente brutalità, non so quante volte non ho dato neanche il tempo di fare testamento, vero è che nella maggior parte dei casi mandavo una malattia ad aprire la strada, ma nelle malattie c'è qualcosa di curioso, gli esseri umani sperano sempre di cavarsela, sicché solo quando ormai è troppo tardi si viene a sapere che quella sarebbe stata l'ultima, insomma, d'ora in poi tutti quanti saranno avvertiti e avranno la scadenza di una settimana per mettere in ordine quanto ancora gli resta di vita, fare testamento e dire addio alla famiglia, chiedendo perdono per il male fatto o facendo la pace con il cugino con cui avevano rotto i rapporti da vent'anni, detto ciò, signor direttore generale della televisione nazionale, non mi resta che chiederle di fare giungere oggi stesso a tutte le case del paese questo mio messaggio autografo, che firmo con il nome con cui generalmente mi si conosce, morte. Il direttore generale si alzò dalla sedia quando vide che lo avevano tolto dallo schermo, piegò la copia della lettera e se l'infilò in una delle tasche interne della giacca. Notò che il regista gli andava incontro, pallido, con le fattezze stravolte, Allora era questo, diceva in un sussurro quasi inudibile, allora era questo. Il direttore generale annuì in silenzio e si diresse all'uscita. Non udì le parole che l'annunciatore cominciava a balbettare, Avete appena udito, e poi le notizie che non avevano più importanza perché in tutto il paese nessuno vi stava dando più la minima attenzione, nelle case in cui c'era un malato terminale le famiglie andarono a riunirsi al capezzale dell'infelice, però non potevano dirgli che sarebbe morto nel giro di tre ore, non potevano dirgli che poteva approfittare subito del tempo per fare quel testamento cui sempre si era rifiutato oppure se voleva che chiamassero il cugino per fare la pace, né del resto potevano adottare la solita ipocrisia di domandargli se si sentiva un pochettino meglio, rimanevano lì a contemplare il viso pallido ed emaciato, poi guardavano l'orologio di nascosto, in attesa che il tempo passasse e che il treno del mondo rientrasse nei suoi soliti binari per fare il viaggio di sempre. E non poche famiglie ci furono che, avendo già pagato la maphia per farsi portare via da lì quelle tristi spoglie, e supponendo che, nel migliore dei casi, ora non si sarebbero certo messi a piangere per il denaro speso, vedevano come, se avessero avuto un po' più di carità e di pazienza, lo sgombero gli sarebbe riuscito gratis. Nelle strade c'erano grandi subbugli, si vedevano persone ferme, sbigottite, o disorientate, senza sapere da che lato fuggire, altre lì a piangere sconsolate, altre abbracciate come se avessero deciso di cominciare lì stesso gli addii, alcune discutevano se le colpe di tutto questo fossero del governo, o della scienza medica, o del papa di roma, uno scettico protestava che non c'era memoria che la morte avesse mai scritto una lettera e che bisognava far fare con urgenza l'esame calligrafico perché, diceva, una mano fatta solo di pezzettini di ossa non avrebbe mai potuto scrivere nella stessa maniera in cui lo avrebbe fatto una mano completa, autentica, viva, con sangue, vene, nervi, tendini, pelle e carne, e che se era vero che le ossa non lasciano impronte digitali sulla carta e dunque non si sarebbe potuto identificare così l'autore della lettera, un esame del dna forse avrebbe fatto un po' di luce su questa inaspettata manifestazione epistolare di un essere, ammesso che la morte lo sia, che era stato silenzioso per tutta la vita. In questo momento il primo ministro sta parlando per telefono con il re, spiegandogli le ragioni per cui aveva deciso di non metterlo al corrente della lettera della morte, e il re risponde che sì, comprende benissimo, allora il primo ministro gli dice che è molto spiacente per il funesto epilogo che l'ultimo rintocco della mezzanotte imporrà alla pericolante vita della regina madre, e il re fa spallucce, piuttosto che una vita scarsa meglio nessuna, oggi lei, domani io, tanto più che il principe ereditario sta già dando dimostrazioni di impazienza, sempre lì a domandare quando arriverà il suo turno di diventare re costituzionale. Una volta conclusa questa conversazione intima, con tocchi di inusuale sincerità, il primo ministro diede istruzioni al capo di gabinetto per convocare tutti i membri del governo per una riunione della massima urgenza, Li voglio qui in tre quarti d'ora, alle dieci in punto, disse, dovremo discutere, approvare e avviare i palliativi necessari per attenuare i disordini e le baraonde d'ogni sorta che la nuova situazione inevitabilmente creerà nei prossimi giorni, Si riferisce alla quantità di persone defunte che bisognerà evacuare a brevissimo termine, signor primo ministro, Questa è ancora la cosa meno importante, mio caro, è giust'appunto per risolvere problemi di tale natura che ci sono le agenzie di pompe funebri, d'altronde, per loro la crisi è finita, saranno lì contentissime a far conti su cosa guadagneranno, dunque, che seppelliscano loro i morti come gli compete, che a noi toccherà occuparci dei vivi, per esempio organizzare équipe di psicologi per aiutare le persone a superare il trauma di dover tornare a morire quando ormai erano convintissime che sarebbero vissute per sempre, Sarà davvero duro, ci avevo già pensato anch'io, Non perda tempo, che i ministri portino pure i rispettivi segretari di stato, li voglio tutti qui alle dieci in punto, se qualcuno glielo domanda, dica pure che è il primo a venire convocato, sono tutti come dei bambini piccoli, a loro piacciono le caramelle. Il telefono squillò, era il ministro dell'interno, Signor primo ministro, sto ricevendo chiamate da tutti i giornali, disse, pretendono che siano loro fornite copie della lettera che è appena stata letta in televisione a nome della morte e che io deplorevolmente ignoravo, Non lo deplori, se ho ritenuto di assumermi la responsabilità di serbare il segreto è stato perché non dovessimo affrontare dodici ore di panico e disordini, Che faccio, allora, Di questo lei non si preoccupi, ora stesso il mio gabinetto distribuirà la lettera a tutti i mezzi di comunicazione, Benissimo, signor primo ministro, Il governo si riunirà alle dieci in punto, porti i suoi segretari di stato, Anche i sottosegretari, No, loro li lasci a custodire la casa, ho sempre sentito dire che troppa gente insieme non si salva, Sì, signor primo ministro, Sia puntuale, la riunione inizierà alle dieci e un minuto, Stia pur certo che saremo i primi ad arrivare, signor primo ministro, Riceverà la sua medaglia, Che medaglia, Era solo un modo di dire, non ci faccia caso.
I rappresentanti delle imprese di pompe funebri, funerali, cremazioni e traslazioni, servizio permanente, si riuniranno alla stessa ora nella sede della corporazione. Messe di fronte alla smisurata e mai sperimentata prima sfida che rappresenterà la morte simultanea e il conseguente disbrigo funebre di migliaia di persone in tutto il paese, l'unica soluzione che si presenterà loro, oltre al fatto di essere altamente vantaggiosa dal punto di vista economico grazie all'abbassamento razionalizzato dei costi, sarà di mettere in campo, in maniera congiunta e organizzata, le risorse di personale e i mezzi tecnologici di cui dispongono, insomma, la logistica, stabilendo nel contempo quote proporzionali di spartizione della torta, come scherzosamente dirà il presidente dell'associazione di categoria, con discreto benché sorridente plauso della compagnia. Ci sarà da tenere in conto, per esempio, che la produzione di casse, tombe, bare, feretri e cataletti per uso umano si trova in fase di ristagno dal giorno in cui le persone hanno smesso di morire e che, nell'improbabile caso che ne esistano ancora in qualche falegnameria a gestione conservatrice, sarà come quella piccola rosetta di malherbe, che, convertita in rosa, più della brevità di un mattino non poté durare. La citazione letteraria fu opera del presidente, che, non venendo granché a proposito, ma provocando gli applausi degli astanti, disse subito dopo, Comunque sia, per noi è terminata la vergogna di andare in giro a fare funerali a cani, gatti e canarini di pregio, E pappagalli, disse una voce dal fondo, E pappagalli, assentì il presidente, E pesciolini tropicali, ricordò un'altra voce, Ma questo soltanto dopo la polemica sollevata dallo spirito che aleggia sopra l'acqua dell'acquario, corresse il moderatore della tavola rotonda, d'ora in poi cominceranno a darli ai gatti, per quella storia di lavoisier, quando disse che in natura nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma. Se non si è giunti a scoprire a quali estremi sarebbero potute arrivare le ostentazioni superficiali delle agenzie di pompe funebri lì riunite è perché uno dei suoi rappresentanti, preoccupato per il tempo, al suo orologio le ventidue e quarantacinque, alzò la mano per proporre di telefonare all'associazione dei carpentieri domandando come stavano a casse e bare, Abbiamo bisogno di sapere su cosa possiamo contare a partire da domattina, concluse. Come c'era da aspettarsi, la proposta fu applaudita calorosamente, ma il presidente, mal celando la stizza perché l'idea non era stata sua, osservò, La cosa più sicura è che a quest'ora non ci sarà nessuno nelle falegnamerie, Mi permetto di dubitare, signor presidente, le stesse ragioni che ci hanno riunito qui avranno fatto riunire pure loro. Ci aveva colto in pieno il proponente. Dalla corporazione dei carpentieri risposero che avevano allertato i rispettivi associati subito dopo la lettura della lettera della morte, richiamando la loro attenzione sulla convenienza di riattivare nel più breve tempo possibile la fabbricazione di casse funebri, e che, secondo le informazioni che continuavano a ricevere, non solo molte imprese avevano immediatamente convocato gli operai, ma per la maggior parte erano già in piena attività. È contro l'orario di lavoro, disse il portavoce della corporazione, ma, considerando che si tratta di una situazione di emergenza nazionale, i nostri avvocati sono certi che il governo non potrà fare altro che chiudere gli occhi e che per giunta ci ringrazierà, quello che non possiamo garantire, in questa prima fase, è che le casse e le bare in fornitura si presentino con la stessa qualità di rifiniture cui avevamo abituato i nostri clienti, le lucidature, le vernici e i crocifissi sul coperchio bisognerà rimandarli alla fase seguente, quando la pressione dei funerali comincerà a diminuire, in ogni modo siamo consapevoli della responsabilità di essere una pedina fondamentale in questo processo. Si udirono nuovi e ancor più calorosi applausi nel consesso dei rappresentanti delle agenzie di pompe funebri, ora sì, ora c'era motivo per felicitarsi reciprocamente, nessun corpo sarebbe rimasto da seppellire, nessuna fattura da riscuotere. E i becchini, domandò il tipo della proposta, I becchini fanno quello che gli si dice, rispose irritato il presidente. Non era proprio così. Da un'altra chiamata telefonica si seppe che i becchini esigevano un aumento sostanziale di stipendio e il pagamento triplicato degli straordinari. Questo spetta ai comuni, che se la vedano loro, disse il presidente. E se arriviamo al cimitero e non c'è nessuno ad aprire le fosse, domandò il segretario. La discussione proseguì accesa. Alle ore ventitre e cinquanta minuti il presidente ebbe un infarto del miocardio. Morì all'ultimo rintocco della mezzanotte.
VIII
Ben più di un'ecatombe. Per sette mesi, che tanti furono quelli che era durata la tregua unilaterale della morte, si erano andati accumulando in una lista d'attesa mai vista più di sessantamila moribondi, esattamente sessantaduemila cinquecentottanta, pacificati tutti in una volta per opera di un unico istante, di un attimo di tempo carico di una potenza mortifera di cui si troverebbe comparazione solo in certe deprecabili azioni umane. A proposito, non resistiamo a rammentare che la morte, di per sé, da sola, senza alcun aiuto esterno, ha sempre ammazzato molto meno dell'uomo. Forse qualche spirito curioso si starà domandando come siamo riusciti ad appurare quella precisa quantità di sessantaduemila cinquecentottanta persone che hanno chiuso gli occhi allo stesso tempo e per sempre. È stato facilissimo. Sapendo che il paese in cui sta accadendo tutto questo ha più o meno dieci milioni di abitanti e che il tasso di mortalità è più o meno del dieci per mille, due semplici operazioni aritmetiche, tra le più elementari, la moltiplicazione e la divisione, al pari di una meticolosa ponderazione delle proporzioni intermedie mensili e annuali, ci hanno permesso di ottenere una ristretta fascia numerica nella quale la quantità infine indicata ci si è presentata come una media ragionevole, e se diciamo ragionevole è perché avremmo potuto adottare altresì i numeri a fianco di sessantaduemila cinquecentosettantanove o di sessantaduemila
cinquecentottantuno persone se la morte del presidente della corporazione delle agenzie di pompe funebri, poiché inaspettata e all'ultimo momento, non fosse venuta a introdurre nei nostri calcoli un fattore di disturbo. Siamo comunque fiduciosi che la verifica dei decessi, iniziata sin dalle prime ore del mattino seguente, verrà a confermare l'esattezza dei conti fatti. Un altro spirito curioso, di quelli che interrompono continuamente il narratore, starà domandando come potevano sapere i medici a quali abitazioni dirigersi per adempiere a un obbligo senza il cui compimento un morto non sarà legalmente morto, ancorché morto lo sia indiscutibilmente. In certi casi, superfluo dirlo, furono le stesse famiglie del defunto a chiamare il suo medico personale o di famiglia, ma un tale sistema avrebbe avuto giocoforza una portata alquanto ridotta, visto che s'intendeva piuttosto ufficializzare a tempo di record una situazione anomala, in modo da evitare che si confermasse ancora una volta il detto che recita che una disgrazia non viene mai da sola, il che, applicato alla situazione, significherebbe, dopo l'improvvisa morte, la putrefazione in casa. È allora che si è dimostrato che non per caso un primo ministro arriva a funzioni così alte e che, come l'infallibile saggezza delle nazioni non si stanca di affermare, ciascun popolo ha il governo che merita, dovendosi tuttavia osservare, quanto a questo particolare, e a completa chiarificazione dell'argomento, che se è vero che i primi ministri, nel bene e nel male, non sono tutti uguali, non è men vero che anche i popoli non sono sempre la stessa cosa. In una parola, nell'un caso e nell'altro, dipende. Oppure è conforme, se si preferisce dirlo in due parole. Come si vedrà, qualsiasi osservatore, sia pure non particolarmente propenso all'imparzialità dei giudizi, non avrebbe il minimo dubbio nel riconoscere che il governo ha saputo mostrarsi all'altezza della gravità della situazione. Tutti ricorderemo che nella gioia di quei primi e deliziosi giorni di immortalità, in definitiva tanto brevi, cui questo popolo si è abbandonato innocentemente, una signora, vedova da poco tempo, ebbe l'idea di celebrare quella nuova felicità appendendo al balcone fiorito della sua sala da pranzo, quella che dava sulla strada, la bandiera nazionale. Ricorderemo anche di come l'imbandieramento, in meno di quarantott'ore, tale a quale a una miccia, tale e quale a un'epidemia, dilagò in tutto il paese. Passati questi sette mesi di continue e mal sofferte disillusioni, ben poche bandiere erano sopravvissute, e, anch'esse, ridotte a dei cenci malinconici, coi colori mangiati dal sole e slavati dalla pioggia, oltre che con l'architettura dell'emblema incresciosamente rovinata. Dando prova di un ammirevole spirito previdente, il governo, fra le altre misure urgenti destinate ad attenuare i danni collaterali dell'inopinato ritorno della morte, aveva recuperato la bandiera della patria come indicativo che lì, in quel terzo piano, c'era un morto in attesa. Così istruite, le famiglie che erano state ferite dall'odiosa parca mandarono qualcuno al negozio a comprare il simbolo, lo appesero alla finestra e, mentre scacciavano le mosche dal viso del defunto, si misero ad aspettare il medico che sarebbe venuto a certificare il decesso. Bisogna riconoscere che l'idea non solo era efficace, ma anche della più perfetta eleganza. I medici di ogni città, cittadina, paese o semplice località, in auto, in bicicletta o a piedi, dovevano solo percorrere le strade tenendo d'occhio le bandiere, salire nella casa segnalata e, dopo aver comprovato l'estinzione a occhio nudo, senza l'aiuto di strumenti, in quanto altri esami più prossimi al corpo si erano resi impossibili per via dell'urgenza, lasciavano un foglio firmato con cui si sarebbero tranquillizzate le agenzie di pompe funebri circa la natura specifica della materia prima, e cioè, che se a questa casa alluttata eran venuti per lucciole, di certo non ne avrebbero portato via lanterne. Come ormai si sarà capito, il ben ricordato utilizzo della bandiera nazionale avrebbe avuto una duplice finalità e un duplice vantaggio. Se all'inizio era servita da guida ai medici, ora sarebbe stata un faro per gli impacchettatori del defunto. Nel caso delle città più grandi, e in particolare per la capitale, una metropoli sproporzionata rispetto alle piccole dimensioni del paese, la divisione dello spazio urbano in compartimenti, finalizzata all'istituzione di quote proporzionali di spartizione della torta, come con spirito acuto aveva detto lo sciagurato presidente dell'associazione degli operatori funerari, avrebbe facilitato enormemente il compito dei procacciatori di carichi umani nella loro corsa contro il tempo. Un altro effetto derivante dalla bandiera, non previsto, non atteso, ma che venne a mostrare a qual punto possiamo essere in equivoco quando ci dedichiamo a coltivare scetticismi del tipo sistematico, fu il virtuoso gesto di un certo numero di cittadini rispettosi delle più radicate tradizioni di raffinata condotta sociale e che ancora usavano il cappello, i quali si scoprivano nel passare davanti alle finestre festonate e lasciavano così il sorprendente dubbio se lo facevano per via del morto o del simbolo vivo e sacro della patria.
I giornali, neanche sarebbe necessario dirlo, andarono a ruba, più ancora di quando era parso che si fosse smesso di morire. Certo, un gran numero di persone erano già state informate dalla televisione del cataclisma che si era abbattuto sulle loro teste, molte di esse avevano addirittura qualche parente morto in casa in attesa del medico e qualche bandiera piangente sul davanzale, ma è facilmente comprensibile che c'è una certa differenza tra l'immagine nervosa di un direttore generale che parlava ieri sera nel piccolo schermo e queste pagine convulse, agitate, maculate di titoli esclamativi e apocalittici che si possono piegare, infilare in tasca e portare via per rileggerle a casa in tutta calma e di cui ci accontenteremo di spigolare qui questi pochi ma espressivi esempi, Dopo Il Paradiso L'Inferno, La Morte Guida La Danza, Immortali Per Poco Tempo, Di
Nuovo Condannati a Morire, Scacco-Matto, D'Ora In Poi Preavviso, Senza
Appello e Con Affronto, Una Lettera Di Colore Viola, Sessantaduemila
Morti In Meno Di Un Secondo, La Morte Attacca A Mezzanotte, Nessuno
Sfugge Al Suo Destino, Uscire Dal Sogno Per Cadere Nell'Incubo, Ritorno Alla Normalità, Che Abbiamo Fatto Per Meritare Tutto Ciò, et caetera, et caetera. Tutti i giornali, senza eccezione, pubblicavano in prima pagina il manoscritto della morte, ma uno, per rendere più facile la lettura, riprodusse il testo in caratteri corpo quattordici e in un riquadro, ne corresse la punteggiatura e la sintassi, sistemò le coniugazioni verbali, mise le maiuscole dove mancavano, senza dimenticare la firma finale, che passò da morte a Morte, una differenza non apprezzabile all'udito, ma che provocherà quel giorno stesso un'indignata protesta dell'autrice della missiva, sempre per iscritto e sulla stessa carta di colore viola. Secondo l'autorevole opinione di un grammatico consultato dal giornale, la morte, semplicemente, non dominava neppure i primi rudimenti dell'arte dello scrivere. Già la calligrafia, disse lui, è stranamente irregolare, sembra che vi siano riuniti tutti i modi conosciuti, possibili e aberranti di tracciare le lettere dell'alfabeto latino, come se ognuna di esse fosse stata scritta da una persona diversa, ma questo sarebbe ancora scusabile, si potrebbe ancora considerare un difetto minore di fronte alla sintassi caotica, all'assenza di punti finali, al non uso di parentesi assolutamente necessarie, all'eliminazione ossessiva dei paragrafi, alle virgole distribuite a caso e, peccato imperdonabile, all'intenzionale e quasi diabolica abolizione della lettera maiuscola che, s'immagini, viene omessa persino nella firma stessa della lettera e sostituita dalla minuscola corrispondente. Una vergogna, una provocazione, continuava il grammatico, e domandava, Se la morte, che ha avuto l'impagabile privilegio di accompagnare nel passato i più grandi geni della letteratura, scrive in questa maniera, che cosa non faranno un domani i nostri fanciulli se gli si dà da imitare una simile mostruosità filologica, con il pretesto che, siccome la morte gira da queste parti da tanto tempo, dovrà sapere tutto di tutti i rami della conoscenza. E il grammatico terminava, Le bestialità sintattiche che infarciscono l'incresciosa lettera mi porterebbero a pensare che dovremmo trovarci davanti a una gigantesca e grossolana mistificazione se non fosse per la tristissima realtà, la dolorosa evidenza che la terribile minaccia si è compiuta. Nel pomeriggio dello stesso giorno, come avevamo già anticipato, pervenne alla redazione del giornale una lettera della morte che esigeva, nei termini più energici, l'immediata rettifica del suo nome, signor direttore, scriveva, io non sono la Morte, sono semplicemente morte, la Morte è una cosa che a voi non può passare neanche lontanamente per la mente che cosa sia, vossignorie, gli esseri umani, conoscono solo, che il grammatico prenda nota che anch'io saprei mettere voi, gli esseri umani, conoscete solo questa piccola morte quotidiana che sono io, questa che persino nei peggiori disastri è incapace di impedire che la vita continui, un giorno verrete a sapere che cos'è la Morte con la lettera maiuscola, e in quel momento, se lei, improbabilmente, ve ne desse il tempo, capireste la differenza reale che c'è fra il relativo e l'assoluto, fra il pieno e il vuoto, fra l'essere ancora e il non essere più, e quando parlo di differenza reale mi riferisco a qualcosa che le parole non potranno mai esprimere, relativo, assoluto, pieno, vuoto, essere ancora, non essere più, che cosa sono, signor direttore, perché le parole, se non lo sa, si muovono molto, cambiano da un giorno all'altro, sono instabili come le ombre, ombre di se stesse, che tanto ci sono quanto non ci sono più, bolle di sapone, conchiglie di cui a stento si sente il respiro, tronchi tagliati, accetti pure questa informazione, è gratuita, io non voglio niente, si preoccupi invece di spiegare bene ai suoi lettori i come e i perché della vita e della morte, e ora stesso, tornando all'obiettivo di questa lettera, scritta, proprio come quella che è stata letta in televisione, di mio pugno, la invito a rispettare all'istante quelle degne disposizioni della legge sulla stampa che impongono di rettificare nello stesso posto e con la stessa visibilità grafica l'errore, l'omissione o il lapsus commessi, a suo rischio e pericolo, signor direttore, che se questa lettera non sarà pubblicata integralmente, io le spedisca, domani stesso, con effetto immediato, il preavviso che ho già bello e pronto per lei da alcuni anni, non le dirò quanti per non amareggiarle il resto della vita, non avendo altro da aggiungere, mi sottoscrivo con la dovuta attenzione, morte. La lettera comparve puntualissima l'indomani con profuse scuse del direttore e anche in duplicato, cioè, manoscritta e impaginata in corpo quattordici e riquadrata. Solo quando il giornale uscì nelle strade il direttore si azzardò a uscire dal bunker in cui si era sprangato a sette mandate dopo aver letto la lettera comminatoria. Ed era talmente spaventato che rifiutò persino di pubblicare lo studio grafologico che un importante specialista in materia andò a consegnargli personalmente. Già mi basta di essermi messo in mezzo ai guai con la firma della morte con la maiuscola, disse, porti la sua analisi a un altro giornale, suddividiamo il male fra le parrocchie e d'ora in poi sia quello che dio vorrà, tutto tranne che dover subire un altro spavento come quello che mi sono preso. Il grafologo andò a un giornale, andò a un altro, e un altro, e solo alla quarta volta, tanto che ormai aveva perso le speranze, ottenne che accettassero il frutto delle non poche ore di quel labirintico lavoro a cui, con lenti d'ingrandimento diurne e notturne, si era dedicato. La sostanziosa e succulenta relazione cominciava col ricordare che l'interpretazione della scrittura, alle origini, era uno dei rami della fisiognomica, mentre gli altri, a informazione di chi sia non sia al corrente di questa scienza esatta, erano la mimica, i gesti, la pantomima e la fonognomica, dopo di che passava a rievocare le maggiori autorità nella complessa materia, quali, ciascuno a suo tempo e luogo, camillo baldi, johann caspar lavater, édouard auguste patrice hocquart, adolf heuze, jeanhippolyte michon, william thierry preyer, cesare lombroso, jules crépieuxjamin, rudolf pophal, ludwig klages, wilhelm helmuth müller, alice enskat, robert heiss, grazie ai quali era stata ristrutturata la grafologia nel suo aspetto psicologico, dimostrandosi l'ambivalenza delle particolarità grafologiche e la necessità di concepirne l'espressione come un insieme, e quindi, una volta esposti i dati storici ed essenziali della questione, il nostro grafologo si addentrava nel campo della definizione esaustiva delle caratteristiche principali della scrittura sub judice, vale a dire, la dimensione, la pressione, la collocazione, la disposizione nello spazio, gli angoli, la punteggiatura, la proporzione fra tratti alti e tratti bassi delle lettere, o, in altre parole, l'intensità, la forma, l'inclinazione, la direzione e la continuazione dei segni grafici, e finalmente, avendo messo in chiaro il fatto che l'obiettivo del suo studio non era una diagnosi clinica, né un'analisi del carattere, né un esame di attitudine professionale, lo specialista concentrava l'attenzione sulle evidenti dimostrazioni correlate con il foro criminologico che la scrittura andava rivelando a ogni passo, Ciononostante, scriveva frustrato e contrito, mi trovo davanti a una contraddizione che non vedo alcun modo di risolvere, che, anzi, dubito abbia soluzione possibile, ed è che, se è vero che tutti i vettori della metodica e minuziosa analisi grafologica a cui ho proceduto indicano che l'autrice dello scritto sia quella che si definisce una serial killer, un'assassina seriale, un'altrettanta irrefutabile verità, anch'essa risultante dal mio esame e che in qualche modo viene a sbaragliare la tesi precedente, ha finito per imporsi, cioè, la verità che la persona che ha scritto questa lettera è morta. Così era, di fatto, e la morte stessa non poté far altro che confermarlo, Ha ragione, signor grafologo, furono le sue parole dopo aver letto l'erudita dimostrazione. Non si capiva solo come, se era morta, e tutta fatta di ossa, fosse capace di ammazzare. E, soprattutto, che scrivesse lettere. Sono misteri, questi, che non saranno mai chiariti.
Occupati a spiegare cos'era successo dopo l'ora fatidica alle sessantaduemila cinquecentottanta persone che si trovavano in stato di vita sospesa, abbiamo rinviato a un momento più opportuno, che è questo, le indispensabili riflessioni su come reagirono al cambiamento di situazione le dimore del felice occaso, gli ospedali, le compagnie di assicurazione, la maphia e la chiesa, specialmente la cattolica, maggioritaria nel paese, al punto che era credenza comune che il signore gesù cristo non avrebbe desiderato altro luogo dove nascere se avesse dovuto ripetere, dalla a alla z, la sua prima e finora, che si sappia, unica esistenza terrena. Nelle dimore del felice occaso, cominciando da loro, i sentimenti furono quel che c'era da aspettarsi. Se si considera che l'ininterrotta rotazione dei ricoverati, come si è chiaramente spiegato al principio di questi sorprendenti eventi, era la condizione stessa della prosperità economica delle aziende, il ritorno della morte sarebbe dovuto essere, come fu, motivo di gioia e rinnovate speranze per le rispettive amministrazioni. Passato lo shock iniziale causato dalla lettura della famosa lettera in televisione, i direttori cominciarono immediatamente a farsi qualche conto e videro che gli venivano tutti quanti giusti. Non poche bottiglie di champagne furono stappate alla mezzanotte per festeggiare l'ormai non più atteso ritorno alla normalità, il che, sia pur sembrando il massimo dell'indifferenza e del disprezzo per la vita altrui, altro non era, in definitiva, se non il naturale sollievo, il legittimo sfogo di chi, messo davanti a una porta chiusa e avendo perduto la chiave, ora la vedeva ben aperta, spalancata, con il sole dall'altro lato. Diranno gli scrupolosi che almeno si sarebbe dovuta evitare l'ostentazione rumorosa e minchiona dello champagne, il tappo che salta, la schiuma che scorre, e che un discreto bicchierino di porto o di madeira, un goccio di cognac, uno schizzetto di brandy nel caffè, sarebbero stati un festeggiamento più che sufficiente, ma noi, qui, ormai lo sappiamo bene con quanta facilità lo spirito si lascia sfuggire le redini del corpo quando la gioia eccede, anche quando non c'è da scusare, perdonare si può sempre. L'indomani mattina, i responsabili della gestione chiamarono le famiglie perché andassero a riprendersi i corpi, fecero arieggiare le camere e cambiare le lenzuola, e dopo aver riunito il personale per comunicare che, in definitiva, la vita continuava, si sedettero a esaminare la lista di domande e a scegliere, fra i pretendenti, quelli che sembrassero loro più promettenti. Per ragioni non sotto tutti gli aspetti identiche, ma di uguale considerazione, anche lo stato d'animo degli amministratori ospedalieri e della classe medica era migliorata dalla notte al giorno. Benché, come già si era detto prima, una gran parte dei malati incurabili e la cui infermità era giunta al suo estremo e ultimo grado, se era lecito definire così uno stato nosologico che si era annunciato come eterno, fossero stati rimandati alle rispettive case e famiglie, In che migliori mani potrebbero stare quei poveri diavoli, ci si domandava ipocritamente, è pur vero che un elevato numero di essi, senza parenti noti e senza soldi per pagare la retta richiesta nelle dimore del felice occaso, era tutto lì ammonticchiato come capitava, non più nei corridoi, com'è vecchia consuetudine di questi benemeriti stabilimenti di assistenza, ieri, oggi e sempre, ma nei ripostigli e negli sgabuzzini, nei sottotetti e nelle soffitte, dove frequentemente li lasciavano abbandonati per vari giorni, senza che ciò importasse a chicchessia, poiché, come dicevano medici e infermieri, per quanto male si trovassero, morire non avrebbero potuto. Adesso ormai erano morti, portati via da lì e seppelliti, l'aria degli ospedali si era fatta pura e cristallina, con quel suo inconfondibile aroma di etere, tintura di iodio e creolina, come in alta montagna, a cielo aperto. Non si stapparono le bottiglie di champagne, ma i sorrisi felici degli amministratori e dei direttori sanitari erano un sollievo per le anime, e, per quanto si riferisce ai medici, non c'è altro da dire se non che avevano recuperato lo storico sguardo vorace con cui seguivano e mangiavano con gli occhi il personale infermieristico femminile. In tutti i sensi della parola, dunque, la normalità. Quanto alle compagnie di assicurazione, terze della lista, non c'è granché da comunicare fino a questo momento, in quanto non sono ancora riuscite a intendersi se l'attuale situazione, alla luce delle modifiche fatte e introdotte nelle polizze di assicurazione sulla vita e di cui abbiamo riferito nel dettaglio prima, arrecherebbe loro pregiudizi o benefici. Non faranno un passo senza essere ben sicure della saldezza del terreno che calpestano, ma, quando finalmente lo faranno, lì stesso impianteranno nuove radici sotto la forma di un contratto che riescano a inventare più adeguato ai loro interessi. Continueranno invece a considerare come morti, visto che il futuro appartiene solo a dio e giacché non si sa cosa ci porterà il domani, tutti gli assicurati che abbiano raggiunto gli ottant'anni, questo piccione, almeno, ce l'hanno già ben saldo in mano, non resta che vedere se un domani troveranno il modo di farne cadere nella rete due. C'è chi anticipa, tuttavia, che, approfittando della confusione che regna nella società, ora più che mai tra la spada e il muro, tra scilla e cariddi, tra l'incudine e il martello, forse non sarebbe una cattiva idea aumentare a ottantacinque o addirittura a novant'anni l'età della morte attuariale. Il ragionamento di coloro che sostengono la modifica è trasparente e chiaro come l'acqua, dicono che, giunte a quell'età, le persone, in generale, oltre a non avere più dei parenti che possano assisterli in caso di necessità, o ad averli altrettanto vecchi di loro che tanto è uguale, subiscono considerevoli abbassamenti nell'importo delle pensioni per effetto dell'inflazione e dei crescenti aumenti del costo di vita, ragion per cui spessissime volte si vedono forzate a interrompere il pagamento dei premi di assicurazione, dando alle compagnie il migliore dei motivi per considerare nullo e privo di effetto il rispettivo contratto. È una crudeltà, obiettano alcuni. Gli affari sono affari, rispondono altri. Vedremo cosa ne verrà fuori.
Dove pure in queste ore si starà parlando molto di affari è nella maphia. Forse perché eccessivamente minuziosa, ammettiamolo pure senza riserve, la descrizione fatta in queste pagine dei neri tunnel in cui la maphia si è addentrata nello sfruttamento funerario potrà aver portato qualche lettore a domandarsi che razza di maphia miserabile era mai questa se non aveva altre maniere di far soldi con molto meno sforzo e più pingui proventi. Ne aveva, e varie, come qualsiasi altra delle sue congeneri sparse nei sette angoli del mondo, però, abilissima negli equilibri e nei potenziamenti reciproci delle tattiche e delle strategie, la maphia locale non si limitava a puntare prosaicamente sul lucro immediato, i suoi obiettivi erano assai più vasti, tendevano niente di meno che all'eternità, ossia impiantare, con la propensione tacita delle famiglie verso la bontà dell'eutanasia e con la benedizione del potere politico, che aveva finto di guardare altrove, il monopolio assoluto delle morti e delle esequie degli esseri umani, assumendosi al contempo la responsabilità di mantenere la demografia ai livelli di volta in volta più convenienti per il paese, aprendo o chiudendo il rubinetto, per riprendere l'immagine già usata, o, per usare un'espressione più rigorosamente tecnica, regolando il flussometro. Se non poteva, almeno in questa prima fase, stimolare o diradare la procreazione, quanto meno sarebbe stata nelle sue mani la possibilità di accelerare o ritardare i viaggi alla frontiera, non la geografica, ma quella di sempre. Nel punto preciso in cui siamo entrati in sala, il dibattito si era focalizzato sulla maniera migliore di riapplicare in attività similmente remunerative la forza di lavoro che era rimasta disoccupata con il ritorno della morte, e, giacché di sicuro i suggerimenti non mancarono tra i convenuti, alcuni più radicali di altri, si finì per preferire qualcosa ormai con un ampio corredo storico di prove date e che non necessitava di dispositivi complicati, cioè, la protezione. L'indomani stesso, da nord a sud, per tutto il paese, le agenzie di pompe funebri si videro irrompere quasi sempre due uomini, a volte un uomo e una donna, raramente due donne, che chiedevano educatamente del direttore, al quale poi, coi modi migliori, spiegavano che la sua ditta correva il rischio di essere assaltata e addirittura distrutta, o con una bomba, oppure incendiata, da attivisti di un certo numero di associazioni illegali di cittadini che pretendevano l'inclusione del diritto all'eternità nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e che, ora frustrati, intendevano sfogare la propria ira facendo ricadere su imprese innocenti il pesante braccio della vendetta, solo perché erano loro che portavano i cadaveri all'ultima dimora. Abbiamo informazioni, diceva uno degli emissari, che le azioni distruttive concertate, che potranno arrivare, in caso di resistenza, fino all'assassinio del proprietario e del direttore e delle rispettive famiglie, e in loro mancanza di un paio di impiegati, cominceranno domani stesso, forse in questo quartiere, forse in un altro, E io cosa posso fare, domandava tremando il pover'uomo, Niente, lei non può fare niente, ma noi potremo difenderla se ce lo chiede, Certo, certo che lo chiedo, per favore, Ci sono alcune condizioni da soddisfare, Quali che siano, per favore, proteggetemi, La prima è che non parlerà di questa storia a nessuno, nemmeno a sua moglie, Non sono sposato, Tant'è, a sua madre, a sua nonna, a sua zia, La mia bocca non si aprirà, Meglio così, o rischierà di ritrovarsela chiusa per sempre, E le altre condizioni, Una sola, pagare quello che le diremo, Pagare, Dovremo attivare la protezione, e questo, caro signore, costa denaro, Capisco, Potremmo addirittura difendere l'umanità intera se fosse disposta a pagare il prezzo, in ogni caso, visto che non è mai troppo tardi, non abbiamo ancora perduto la speranza, Lo comprendo, Meno male che lei è di comprensione rapida, Quanto dovrò pagare, È appuntato su quel foglio, Così tanto, È il giusto, Ed è all'anno, o al mese, A settimana, È troppo per le mie possibilità, con gli affari funerari non ci si arricchisce facilmente, È fortunato se non le chiediamo quello che, a suo parere, dovrà valere la sua vita, È naturale, non ne ho altre, E non ne avrà, perciò il consiglio che le diamo è che faccia in modo di cautelarsi in questa, Ci penserò, avrò bisogno di parlare con i miei soci, Ha ventiquattr'ore, non un minuto di più, dopo di che noi ce ne laviamo le mani, la responsabilità sarà tutta sua, se dovesse capitarle qualche incidente, siamo quasi certi che, essendo il primo, non sarà mortale, allora forse torneremo a parlare con lei, ma il prezzo raddoppierà, e lei non avrà altra soluzione se non pagare quello che le chiederemo, non immagina come siano implacabili quelle associazioni di cittadini che rivendicano l'eternità, Benissimo, pago, Quattro settimane anticipate, prego, Quattro settimane, Il suo è un caso di quelli urgenti, e, come le abbiamo già detto, costa denaro organizzare gli operativi della protezione, In contanti, in assegno, Contanti, gli assegni solo per le transazioni d'altro genere e con altri importi, quando non conviene che i soldi passino direttamente da una mano all'altra. Il direttore andò ad aprire la cassaforte, contò le banconote e domandò mentre le consegnava, Mi date una ricevuta, un documento che mi garantisca la protezione, Né ricevuta, né garanzia, dovrà accontentarsi della nostra parola d'onore, D'onore, Proprio così, d'onore, non immagina fino a qual punto onoriamo la nostra parola, Dove potrò trovarvi se avrò qualche problema, Non si preoccupi, la troveremo noi, Vi accompagno all'uscita, Non vale la pena alzarsi, conosciamo la strada, svoltare a sinistra dopo il deposito delle bare, sala trucco, corridoio, reception, la porta che dà sulla strada è subito lì, Non vi perderete, Abbiamo un senso dell'orientamento molto spiccato, non ci perdiamo mai, per esempio, fra cinque settimane verrà qualcuno a riscuotere, Come saprò che si tratta della persona giusta, Quando la vedrà non avrà alcun dubbio, Buonasera, Buonasera, non c'è di che ringraziare.
Infine, last but not least, la chiesa cattolica, apostolica e romana aveva molti motivi per essere soddisfatta di se stessa. Convinta sin dal principio che l'abolizione della morte poteva essere stata solo opera del diavolo e che per aiutare dio contro le opere del demonio niente è più potente della perseveranza nella supplica, aveva accantonato la virtù della modestia che coltivava normalmente con non piccolo sforzo e sacrificio per felicitarsi, senza riserve, per l'esito della campagna nazionale di preghiere il cui obiettivo, ricordiamolo, era stato implorare dio affinché provvedesse al ritorno della morte il più rapidamente possibile per risparmiare all'umanità i peggiori orrori, fine della citazione. Le preci avevano impiegato quasi otto mesi ad arrivare in cielo, ma c'è da pensare che solo per raggiungere il pianeta marte ce ne vogliono sei, e il cielo, com'è facile immaginare, sarà certamente molto oltre, tredici milioni di anni luce di distanza dalla terra, cifra tonda. Nella legittima soddisfazione della chiesa c'era, però, un'ombra nera. Discutevano i teologi, e non si mettevano d'accordo, sulle ragioni per cui dio aveva fatto tornare improvvisamente la morte, senza nemmeno dare il tempo per portare l'estrema unzione ai sessantaduemila moribondi che, privati della grazia dell'ultimo sacramento, erano spirati in men che non si dica. Il dubbio se dio avesse o meno autorità sulla morte o se, al contrario, la morte fosse il superiore gerarchico di dio torturava in sordina le menti e i cuori del santo istituto, dove quella temeraria affermazione che dio e la morte fossero le due facce della stessa medaglia aveva cominciato a esser considerata, più che un'eresia, un abominevole sacrilegio. Questo era ciò che si viveva all'interno. Agli occhi del mondo, quello che preoccupava realmente la chiesa era la sua partecipazione al funerale della regina madre. Ora che i sessantaduemila morti comuni riposavano ormai nelle loro ultime dimore e non sconvolgevano il traffico in città, era tempo di accompagnare la veneranda signora, convenientemente rinchiusa nella sua cassa di piombo, al pantheon reale. Come i giornali non avrebbero dimenticato di scrivere, si voltava una pagina della storia.
IX
È possibile che solo un'educazione raffinata, di quelle che ormai stanno diventando rare, unitamente, forse, al rispetto più o meno superstizioso che la parola scritta suole infondere nelle anime timorate, abbia portato i lettori, benché non mancassero loro i motivi per manifestare espliciti segnali di mal repressa impazienza, a non interrompere quello che abbiamo sin qui riferito tanto profusamente e a volere che li si renda edotti su cosa, invece, abbia fatto la morte da quella notte fatale in cui ha annunciato il suo ritorno. Dato il ruolo importante che hanno svolto in questi eventi mai visti prima, è stato un bene che avessimo spiegato con abbondanza di particolari come risposero al subitaneo e drammatico cambiamento di situazione le dimore del felice occaso, gli ospedali, le compagnie di assicurazione, la maphia e la chiesa cattolica, però, a meno che la morte, tenendo conto dell'enorme quantità di defunti che bisognava seppellire nell'immediato, non avesse deciso, con un lodevole e inatteso gesto di simpatia, di prolungare la sua assenza per qualche altro giorno in modo da dare alla vita il tempo di tornare a girare sugli antichi assi, altra gente scomparsa da fresca data, cioè, sin dai primi giorni della restaurazione del regime, si sarebbe giocoforza dovuta venire a unire agli infelici che per mesi avevano malvissuto in bilico fra qua e là, e di quei nuovi morti, come imporrebbe la logica, dovremmo parlare. Questo, invece, non successe, la morte non fu tanto generosa. Il motivo della pausa di otto giorni in cui non morì nessuno e che cominciò col creare la fallace illusione che in definitiva non fosse cambiato niente, era semplicemente il risultato degli attuali schemi nei rapporti fra la morte e i mortali, ossia, che ora tutti quanti sarebbero stati avvisati in anticipo del fatto che disponevano ancora di una settimana di vita, per così dire fino allo scadere del mandato, per risolvere i propri affari, fare testamento, pagare le tasse arretrate e prendere commiato dalla famiglia e dagli amici più intimi. In teoria sembrava una buona idea, ma la pratica non avrebbe tardato a dimostrare che non lo era poi tanto. S'immagini una persona, di quelle che godono di una magnifica salute, che non hanno mai avuto un mal di testa, ottimiste per principio e per chiare e obiettive ragioni, e che, una mattina, uscendo da casa per andare a lavorare, incontra per la strada il servizievole postino della sua zona, che gli dice, Meno male che l'ho incontrata, signor tizio e caio, ho qui una lettera per lei, e immediatamente gli vede comparire fra le mani una busta di colore viola cui forse non darebbe particolare attenzione, in quanto potrebbe trattarsi di una delle tante impertinenze dei signori della pubblicità diretta, se non fosse per quella strana calligrafia con cui è scritto il suo nome, tale e quale a quella del famoso facsimile pubblicato sul giornale. Se in quell'istante il cuore gli farà un balzo dalla paura, se si sentirà invadere dal lugubre presentimento di una disgrazia irrimediabile, e vorrà, perciò, rifiutarsi di accettare la lettera, non ci riuscirà, sarà allora come se qualcuno, tenendolo dolcemente per il gomito, lo stesse aiutando a scendere il gradino, a evitare la buccia di banana per terra, a fargli svoltare l'angolo senza inciampare nei suoi stessi piedi. E non varrà neppure la pena di stracciarla, tanto si sa che le lettere della morte sono per definizione indistruttibili, neanche un cannello di acetilene al massimo della sua forza riuscirebbe a incenerirle, e l'ingenuo stratagemma di fingere che sia sfuggita di mano sarebbe altrettanto inutile perché alla lettera non la si fa, rimane lì come attaccata alle dita, e se, per un miracolo, potesse succedere il contrario, è più che sicuro che subito comparirebbe un cittadino di buona volontà a raccoglierla e a rincorrere il falso distratto per dirgli, Credo che questa lettera le appartenga, forse è importante, e lui dovrebbe rispondere mestamente, Infatti, sì, è importante, grazie molte per la sua cortesia. Ma questo sarebbe potuto capitare solo al principio, quando ancora pochi sapevano che la morte stava utilizzando il servizio postale pubblico come messaggero delle sue funebri notifiche. Nel giro di pochi giorni, il viola sarebbe diventato il più esecrato di tutti i colori, più ancora del nero nonostante che quest'ultimo significhi lutto, il che è facilmente comprensibile se pensiamo che il lutto lo mettono i vivi, e non i morti, anche quando i morti li seppelliscono con l'abito nero indosso. S'immagini il turbamento, lo sconcerto, la perplessità di quell'individuo che se ne andava a lavorare e all'improvviso ha visto balzarsi davanti la morte nella figura di un postino che non suonerà mai due volte, a questo gli basterà, se il caso non gli ha fatto incontrare il destinatario per la strada, infilare la lettera nella cassetta dell'inquilino in questione o introdurla, facendola scivolare, sotto la porta. L'uomo è fermo lì, sul marciapiede, con la sua salute magnifica, la testa ben salda, talmente salda che non gli fa male neanche adesso nonostante il colpo terribile, all'improvviso il mondo ha smesso di appartenergli o lui di appartenere al mondo, ormai sono in prestito l'uno all'altro per otto giorni, non più di otto giorni, lo dice questa lettera di colore viola che, rassegnato, ha appena aperto, gli occhi annebbiati dalle lacrime riescono a stento a decifrare cosa c'è scritto, Caro signore, sono spiacente di comunicarle che la sua vita terminerà alla scadenza improrogabile di una settimana, faccia del suo meglio per godersi il tempo che le resta, la sua attenta servitrice, morte. L'iniziale della firma è minuscola, il che, come sappiamo, rappresenta in un certo senso il suo certificato d'origine. È in dubbio l'uomo, il postino l'ha chiamato signor tizio e caio, quindi è di sesso maschile, e subito lo confermiamo pure noi, è in dubbio l'uomo se dovrà tornare a casa e sfogare con la famiglia la pena irrimediabile, o se, al contrario, dovrà ingoiare le lacrime e proseguire per la sua strada, andare dove il lavoro lo aspetta, vivere tutti i giorni che gli restano, allora potrà domandare Morte dov'è la tua vittoria, sapendo comunque che non riceverà risposta, perché la morte non risponde mai, e non perché non lo voglia, ma solo perché non sa cosa c'è da dire dinanzi al più grande dei dolori umani.
Questo episodio di strada, possibile unicamente in un paese piccolo dove tutti si conoscono, è fin troppo eloquente circa gli inconvenienti del sistema di comunicazione istituito dalla morte per la rescissione di quel contratto temporaneo che chiamiamo vita o esistenza. Potrebbe trattarsi di una sadica manifestazione di crudeltà, come le tante che vediamo tutti i giorni, ma la morte non ha alcuna necessità di essere crudele, a lei, togliere la vita alle persone le basta e le avanza. Lei non ci ha pensato, è quella che è. E ora, concentrata come dovrà essere sulla riorganizzazione dei suoi servizi di appoggio dopo la lunga sosta di sette mesi, non ha occhi né orecchi per le urla di disperazione e angoscia degli uomini e delle donne che, uno dopo l'altro, vengono avvisati della morte prossima, disperazione e angoscia che, in alcuni casi, stanno causando effetti esattamente contrari a quelli che si erano previsti, cioè le persone condannate a scomparire non risolvono le loro faccende, non fanno testamento, non pagano le imposte arretrate, e, quanto al commiato dalla famiglia e dagli amici più intimi, lo lasciano per l'ultimo minuto, e questo, com'è evidente, non consente neanche il più malinconico degli addii. Male informati sulla natura profonda della morte, il cui altro nome è fatalità, i giornali si sono scagliati in furiosi attacchi contro di lei, tacciandola di essere impietosa, crudele, tiranna, malvagia, sanguinaria, vampira, imperatrice del male, dracula in gonnella, nemica del genere umano, sleale, assassina, traditrice, serial killer di nuovo, e c'è stato perfino un settimanale, di quelli umoristici, che, spremendo a più non posso lo spirito sarcastico dei suoi creatori, è giunta a chiamarla figlia di puttana. Fortunatamente, in qualche redazione perdura ancora il buon senso. Uno dei giornali più rispettabili del regno, decano della stampa nazionale, pubblicò un prudente editoriale in cui faceva appello a un dialogo aperto e sincero con la morte, senza riserve mentali, col cuore in mano e spirito fraterno, nel caso, com'era ovvio, che si riuscisse a scoprire dove alloggiava, la sua caverna, il suo covo, il suo quartier generale. Un altro giornale suggerì alle autorità di polizia di condurre indagini su cartolerie e cartiere, in quanto i consumatori umani di buste di colore viola, se mai ce n'era stati, e comunque dovevano essere pochissimi, sicuramente avrebbero cambiato gusto epistolare alla luce dei recenti avvenimenti, e quindi sarebbe stato facilissimo acciuffare la macabra cliente quando si fosse presentata a rinnovare la provvista. Un altro giornale, acerrimo rivale di quest'ultimo, si affrettò a classificare l'idea come una crassa stupidata, visto che solo un perfetto idiota avrebbe potuto pensare che la morte, che come tutti sanno altro non è che uno scheletro avvolto in un lenzuolo, uscisse coi propri piedi, facendo scampanacciare i calcagni sull'acciottolato, per andare a imbucare le lettere alla posta. Non volendo restare indietro rispetto alla stampa, la televisione consigliò al ministero dell'interno di mettere agenti di guardia alle cassette postali, dimenticando, a quanto pare, che la prima lettera, quella che le era stata indirizzata, era comparsa nell'ufficio del direttore generale con la porta chiusa a chiave a due mandate e le finestre che davano sulla strada coi vetri intatti. Come del resto il pavimento, le pareti e il soffitto, che non presentavano neanche una semplice fessura dove poter infilare una lametta da barba. Chissà che non fosse davvero possibile convincere la morte a trattare con più compassione gli infelici condannati, ma per ciò bisognava cominciare con l'incontrarla e nessuno sapeva né dove né come.
Fu allora che a un medico legale, persona ben informata su tutto quanto, in maniera diretta o indiretta, avesse a che fare con la sua professione, venne l'idea di far venire dall'estero un famoso specialista nella ricostruzione di volti sulla base dei teschi, il quale specialista, partendo dalle raffigurazioni della morte in dipinti e incisioni antiche, soprattutto quelle che mostrano il cranio scoperto, avrebbe fatto in modo di restituire la carne laddove mancava, avrebbe reinserito gli occhi nelle orbite, distribuito in proporzioni adeguate capelli, ciglia e sopracciglia, diffuso sulle guance il giusto colorito, fino a quando gli comparisse davanti una testa perfetta e conclusa di cui si sarebbero fatte mille copie fotografiche che altrettanti investigatori avrebbero portato con sé nella borsa per compararla con tutte le facce di donna che spuntassero loro davanti. Il male fu che, concluso l'intervento dello specialista straniero, solo una vista poco allenata avrebbe ammesso come uguali i tre visi scelti, obbligando dunque gli investigatori a lavorare, invece che con una fotografia, con tre, la qual cosa, ovviamente, avrebbe reso più difficile la caccia-alla-morte, come ambiziosamente era stata denominata l'operazione. Un'unica cosa si era dimostrata al di là di qualsiasi dubbio, vale a dire, che né l'iconografia più rudimentale, né la nomenclatura più ingarbugliata, né la simbologia più astrusa avevano equivocato. La morte, in tutti i suoi tratti, attributi e caratteristiche, era, inconfondibilmente, una donna. A questa stessa conclusione, come certamente ricorderete, era già arrivato l'eminente grafologo che ha studiato il primo manoscritto della morte quando si è riferito a un'autrice e non a un autore, ma forse è stata la conseguenza della semplice abitudine, dato che, a eccezione di alcune lingue, poche, in cui, non si sa perché, si è preferito optare per il genere neutro, la morte è sempre stata una persona del sesso femminile. Benché questa informazione sia già stata data prima, converrà, per non dimenticarlo, insistere sul fatto che i tre volti, pur essendo tutti di donna, e di donna giovane, erano diversi gli uni dagli altri in certi punti, nonostante, altresì, le flagranti somiglianze che unanimemente vi si riconoscevano. Perché, non essendo credibile l'esistenza di tre morti distinte che, per esempio, lavorassero a turni, due di esse avrebbero dovuto essere necessariamente escluse, quantunque potesse anche darsi, per complicare ancor di più la situazione, che il modello scheletrico della morte vera e reale finisse poi per non corrispondere a nessuno dei tre che erano stati selezionati. Secondo la famosa frase fatta, sarebbe stato come sparare un colpo nel buio e confidare che il benevolo caso avesse il tempo di piazzare il bersaglio nella traiettoria della pallottola.
Si iniziò l'indagine, come altrimenti non poteva essere, negli archivi del servizio ufficiale di identificazione dov'erano riunite, classificate e ordinate per caratteristiche basilari, dolicocefali da un lato, brachicefali dall'altro, le fotografie di tutti gli abitanti del paese, tanto i naturali come i forestieri. I risultati furono deludenti. È ovvio che, teoricamente, essendo stati presi i modelli scelti per la ricostruzione facciale, come si è detto prima, da incisioni e dipinti antichi, non c'era da aspettarsi di trovare l'immagine umanizzata della morte nei moderni sistemi di identificazione, istituiti solo da poco più di un secolo, ma, d'altro canto, considerando che la morte esiste da sempre e non s'intravvede alcun motivo perché avrebbe dovuto cambiar faccia nel corso dei tempi, senza dimenticare poi che le sarebbe dovuto risultare difficile realizzare il lavoro in modo completo e al riparo dai sospetti se fosse vissuta in clandestinità, è del tutto logico ammettere l'ipotesi che si fosse registrata all'anagrafe sotto falso nome, visto che, come abbiamo più che il dovere di sapere, alla morte niente è impossibile. Comunque fosse, è sicuro che, nonostante gli investigatori fossero ricorsi ai talenti delle arti informatiche nell'incrocio dei dati, nessuna fotografia di qualche donna concretamente identificata coincise con una delle tre immagini virtuali della morte. Non si poté far altro, pertanto, come si era già previsto in caso di necessità, che tornare ai metodi dell'investigazione classica, all'artigianato poliziesco del taglia e cuci, sparpagliando per tutto il paese quei mille agenti che, di casa in casa, di negozio in negozio, di ufficio in ufficio, di fabbrica in fabbrica, di ristorante in ristorante, di bar in bar, e persino nei posti riservati all'esercizio oneroso del sesso, avrebbero passato in rivista tutte le donne a eccezione delle adolescenti e quelle di età matura o avanzata, poiché le tre fotografie che avevano in tasca non lasciavano alcun dubbio che la morte, qualora finalmente si incontrasse, sarebbe stata una donna sui trentasei anni di età e bella come poche. Secondo il modello ottenuto, una qualunque sarebbe potuta essere la morte, ma in realtà non lo era nessuna. Dopo ingenti sforzi, dopo aver camminato leghe su leghe battendo vie, strade e cammini, dopo aver salito tante di quelle scale che tutte insieme li avrebbero portati fino al cielo, gli agenti riuscirono a identificare due donne, le quali differivano dalle foto esistenti negli archivi solo perché avevano tratto beneficio da alcuni interventi di chirurgia estetica che, per una stupefacente coincidenza, per una strana casualità, avevano accentuato le somiglianze coi volti dei modelli ricostruiti. Un'esame minuzioso delle rispettive biografie, tuttavia, eliminò, senza alcun margine di errore, qualsiasi possibilità che si fossero mai dedicate, foss'anche nelle ore vuote, alle mortifere attività della parca, vuoi professionalmente, vuoi come semplici dilettanti. Quanto alla terza donna, identificata solo grazie all'album di fotografie della famiglia, quella lì era deceduta l'anno scorso. Per semplice esclusione delle parti, non sarebbe potuta essere la morte chi ne era stata appunto vittima. E inutile dire che fintanto che si svolsero le indagini, e durarono alcune settimane, le buste di colore viola continuarono a pervenire a casa dei rispettivi destinatari. Era evidente che la morte non si era spostata di un passo dal suo impegno con l'umanità.
Naturalmente ci sarebbe da domandarsi se il governo si stava limitando ad assistere impavido al dramma quotidiano vissuto dai dieci milioni di abitanti del paese. La risposta è duplice, affermativa da un lato, negativa dall'altro. Affermativa, ancorché solo in termini piuttosto relativi, perché morire, in fin dei conti, è quello che c'è di più normale e comune nella vita, un fatto di pura routine, un episodio dell'interminabile eredità dei padri ai figli, per lo meno da adamo ed eva, e un gran male farebbero i governi di tutto il mondo alla precaria tranquillità pubblica se si mettessero a decretare tre giorni di lutto nazionale ogni volta che muore un povero vecchio nel ricovero di indigenti. Ed è negativa perché non sarebbe possibile, persino a un cuore di pietra, rimanere indifferente alla dimostrazione palpabile che la settimana di attesa stabilita dalla morte aveva assunto proporzioni di vera e propria calamità collettiva, non solo per la media di trecento persone alla cui porta andava a bussare quotidianamente l'infausta sorte, ma anche per il resto della gente, né più né meno che nove milioni novecentonovantanovemila settecento persone di tutte le età, fortune e condizioni che ogni mattina, svegliandosi dopo una notte tormentata dai più terribili incubi, si vedevano quella spada di damocle appesa a un filo sopra la testa. Quanto ai trecento abitanti che avevano ricevuto la fatidica lettera di colore viola, le maniere di reagire all'implacabile sentenza variavano, com'è naturale, secondo il carattere di ognuno. Oltre a quelle persone, già menzionate prima, che, indotte da un'idea distorta di vendetta cui si potrebbe applicare con giusta ragione il neologismo di pre-postuma, decisero di venir meno al rispetto dei propri doveri civici e familiari, non facendo testamento né pagando le tasse arretrate, ce ne furono molte che, mettendo in pratica un'interpretazione più che viziosa del carpe diem oraziano, sperperarono quel poco tempo di vita che ancora gli restava abbandonandosi a riprovevoli orgie di sesso, droga e alcol, forse pensando che, incorrendo in eccessi così smodati, si sarebbero potuti attirare sulla testa un collasso fulminante o, in sua mancanza, un fulmine divino che, ammazzandoli all'istante, li sottraesse agli artigli della morte propriamente detta, appioppandole così una fregatura che forse le sarebbe servita da lezione. Altre persone, stoiche, dignitose, coraggiose, optavano per il radicalismo assoluto del suicidio, credendo che anche in tal modo avrebbero dato una lezione di civiltà al potere di tanatos, quello che in passato si definiva uno schiaffo senza mano, uno di quegli schiaffi che, secondo le oneste convinzioni dell'epoca, dovevano essere più dolorosi perché avevano origine nel foro etico e morale, e non in un qualsiasi movimento di primario sforzo fisico. Superfluo dire che tutti questi tentativi andarono a vuoto, a eccezione di alcune persone ostinate che riservarono il proprio suicidio per l'ultimo giorno di scadenza. Una mossa da maestro, questa, sì, per la quale la morte non trovò risposta.
Onore le sia reso, la prima istituzione ad avere una percezione molto chiara della gravità dello stato d'animo del popolo in generale fu la chiesa cattolica, apostolica e romana, alla quale, visto che viviamo in un tempo dominato dall'ipertrofico utilizzo di sigle nella comunicazione quotidiana, tanto privata come pubblica, non starebbe male l'abbreviazione semplificatrice di ccar. E anche vero che sarebbe dovuta essere del tutto cieca per non vedere come, quasi da un momento all'altro, le si erano riempiti i templi di gente afflitta che andava in cerca di una parola di speranza, di un conforto, di un balsamo, di un analgesico, di un tranquillante spirituale. Persone che fino ad allora avevano vissuto nella consapevolezza che la morte è sicura e che non c'è modo di sfuggirle, ma al tempo stesso pensando che, visto che c'era tanta gente che doveva morire, solo per una grande scalogna sarebbe toccato a loro, ora passavano il tempo spiando dietro la tenda della finestra per vedere se arrivava il postino o tremando all'idea di tornare a casa, dove la temibile lettera di colore viola, peggiore di un sanguinario mostro dalle fauci spalancate, poteva magari trovarsi dietro la porta e saltargli addosso. Nelle chiese non c'era un attimo di tregua, le lunghe file di peccatori contriti, continuamente rinnovate come se fossero catene di montaggio, facevano due volte il giro intorno alla navata centrale. I confessori in servizio non abbassavano le braccia, talvolta distratti dalla fatica, talaltra con l'attenzione all'improvviso aguzzata da un particolare scandaloso del racconto, alla fine indicavano una penitenza pro forma, tanti paternostri, tante avemaria, e dispensavano una frettolosa assoluzione. Nel breve intervallo tra il confessato che si ritirava e il confidente che s'inginocchiava, davano un morso al panino al pollo che sarebbe stato tutto il loro pranzo, mentre vagamente s'immaginavano compensi per la cena. I sermoni vertevano invariabilmente sul tema della morte come unica porta per il paradiso celeste dove, si diceva, nessuno è mai entrato da vivo, e i predicatori, nella loro ansia di consolazione, non esitavano a ricorrere a tutti i metodi della più alta retorica e a tutti i trucchi della più bassa catechesi per convincere i terrorizzati parrocchiani che, in fin dei conti, si potevano considerare più fortunati dei loro aviti, visto che la morte gli aveva concesso il tempo sufficiente per preparare le anime in vista dell'ascensione all'eden. Ci furono alcuni preti, però, che, racchiusi nella maleodorante penombra del confessionale, dovettero mettercela davvero tutta, dio solo sa con che fatica, perché anch'essi, quella mattina, avevano ricevuto la busta di colore viola e perciò ragioni ne avevano d'avanzo per dubitare delle virtù lenitive di quello che stavano facendo in quel momento.
Allo stesso modo andava coi terapeuti della mente che il ministero della salute, correndo a imitare i provvedimenti terapeutici della chiesa, aveva mandato in soccorso dei più disperati. Fatto sta che non furono poche le volte in cui uno psicologo, nel preciso momento in cui consigliava al paziente di abbandonarsi alle lacrime in quanto era il miglior modo di alleviare il dolore che lo tormentava, scoppiava in un pianto convulso ricordandosi che pure lui sarebbe potuto essere il destinatario di una busta identica nella prima distribuzione postale dell'indomani. Terminavano così la seduta tutti e due in un pianto dirotto, abbracciati nella stessa sventura, ma col terapeuta della mente pensando che, in ogni caso, se proprio doveva capitargli una sventura del genere, avrebbe pur sempre avuto ancora otto giorni, centonovantadue ore da vivere. Qualche orgetta di sesso, droga e alcol, come aveva sentito dire che si organizzavano, lo avrebbe aiutato a passare all'altro mondo, sia pur correndo il rischio che poi, laggiù nell'eterea dimora cui sei asceso, ti si venga a rincarare la nostalgia di questo.
X
Si dice, e lo dice la saggezza delle nazioni, che non c'è regola senza eccezioni, e davvero sarà così, in quanto persino nel caso di regole che tutti riterremmo assolutamente inespugnabili come lo sono, per esempio, quelle della morte sovrana, in cui, per semplice definizione del concetto, sarebbe inammissibile che si potesse presentare qualche assurda eccezione, è capitato che una lettera di colore viola sia stata rispedita all'origine. Si obietterà che una cosa del genere non è possibile, che la morte, proprio perché sta dappertutto, non può stare da nessuna parte in particolare, e quindi ne risulterebbe, in questo caso, l'impossibilità, tanto materiale come metafisica, di situare e definire ciò che di solito intendiamo per origine, ossia, nell'accezione che qui ci interessa, il luogo da cui è venuta. Si obietterà altresì, benché con minore pretesa speculativa, che, avendo mille agenti di polizia cercato la morte per settimane, passando al setaccio il paese intero, casa per casa, come se si trattasse di un pidocchio schivo e abile nelle finte, e non avendolo né visto né fiutato, è ovvio che se fino al momento in cui ci troviamo non ci è stata data alcuna spiegazione di come le lettere della morte finiscano nella posta, tanto meno ci sarà detto per quali misteriosi canali le sia pervenuta ora fra le mani la lettera restituita. Riconosciamo umilmente che alcune spiegazioni sono mancate, queste e certamente molte altre, confessiamo che non siamo in grado di darle per contentare chi ce le richiede, a meno che, abusando della credulità del lettore e prevaricando il rispetto che si deve alla logica degli eventi, aggiungessimo nuove irrealtà alla congenita irrealtà della favola, comprendiamo bene che tali mancanze ne pregiudicano seriamente la credibilità, ma niente di tutto ciò significa, lo ripetiamo, niente di tutto ciò significa che la lettera di colore viola cui ci siamo riferiti non sia stata effettivamente restituita al mittente. I fatti sono fatti, e questo, che lo si voglia o no, appartiene all'ordine di quelli inaggirabili. Non può essercene miglior prova che l'immagine della morte stessa che abbiamo davanti agli occhi, seduta su una sedia e avvolta nel suo lenzuolo, e con un'aria di totale sconcerto sull'orografia della sua ossea faccia. Guarda diffidente la busta viola, la rigira per vedere se c'è magari una di quelle annotazioni che i postini devono scrivere in casi simili, sul tipo, respinto, cambio di indirizzo, assente senza recapito e a tempo indeterminato, deceduto, Che stupida che sono, mormorò, come potrebbe essere deceduto se la lettera che avrebbe dovuto ammazzarlo è tornata indietro. Quelle ultime parole le aveva pensate senza prestarvi granché attenzione, ma immediatamente le recuperò tutte per ripeterle a voce alta, con espressione sognante, È tornata indietro. Non c'è bisogno di essere postino per sapere che tornare indietro non è lo stesso che essere restituito, che tornare indietro potrà dire unicamente che la lettera di colore viola non è giunta a destinazione, che in un punto qualsiasi del percorso le è capitato qualcosa che le ha fatto perdere la strada, facendola tornare là da dove era venuta. Orbene, le lettere possono andare solo dove le portano, non hanno né gambe né ali, e, a quanto si sa, non sono dotate di iniziativa propria, e se ne avessero ci scommettiamo che si rifiuterebbero di portare le notizie terribili di cui tante volte hanno dovuto essere latrici. Come questa mia, ammise la morte con imparzialità, informare qualcuno che morirà a una data precisa è la peggiore delle notizie, è come stare nel braccio della morte da un mucchio di anni e all'improvviso viene il carceriere e dice, Eccoti la lettera, preparati. Il curioso della faccenda è che tutte le altre lettere dell'ultima spedizione sono state consegnate ai rispettivi destinatari, e se questa, invece no, potrà essere stato solo per una casualità fortuita, perché proprio come ci sono stati casi in cui una missiva d'amore ha impiegato, dio solo sa con quali conseguenze, cinque anni ad arrivare a un destinatario che risiedeva a due isolati di distanza, meno di un quarto d'ora a piedi, potrebbe anche succedere che questa sia passata da un nastro trasportatore all'altro senza che nessuno se ne sia accorto e poi sia tornata al punto di partenza come chi, smarrito nel deserto, non ha nient'altro in cui confidare se non la pista che ha lasciato. La soluzione sarà inviarla di nuovo, disse la morte alla falce che stava lì accanto, accostata alla parete bianca. Non ci si aspetta che una falce risponda, e questa non sfuggì alla norma. La morte proseguì, Se avessi mandato te, con quel tuo gusto per i metodi sbrigativi, la questione sarebbe già risolta, ma le cose sono cambiate molto negli ultimi tempi, bisogna ammodernare i mezzi e i sistemi, mettersi al pari delle nuove tecnologie, utilizzare per esempio la posta elettronica, ho sentito dire che è la cosa più igienica, non lascia sbaffi e non macchia le dita, e inoltre è un mezzo rapido, nel preciso istante in cui si apre outlook express della microsoft è già lì, l'inconveniente sarebbe che dovrei utilizzare due archivi separati, l'archivio di quelli che usano il computer e quello di coloro che non lo usano, comunque abbiamo tempo per decidere, continuano a uscire sempre nuovi modelli, nuove configurazioni, tecnologie sempre più perfezionate, forse un giorno mi deciderò a provare, e intanto continuerò a scrivere con penna, carta e inchiostro, ha il fascino della tradizione, e in questa faccenda del morire la tradizione ha un suo bel peso. La morte fissò la busta di colore viola, fece un gesto con la mano destra e la carta sparì. Siamo venuti a sapere, dunque, che, contrariamente a ciò che tanti credevano, la morte non porta le sue lettere alla posta.
Sul tavolo c'è una lista di duecentonovantotto nomi, qualcosa in più della solita media, centocinquantadue uomini e centoquarantasei donne, un numero uguale di buste e fogli di carta di colore viola destinati alla prossima operazione postale, o decesso-per-posta. La morte aggiunse alla lista il nome della persona cui era indirizzata la lettera che era tornata all'origine, sottolineò le parole e posò la penna nel portapenne. Se avesse i nervi, potremmo dire che è leggermente eccitata, e non senza motivo. Aveva vissuto troppo per considerare la restituzione della lettera come un episodio senza importanza. È ben comprensibile, basterà un po' di immaginazione, che il posto di lavoro della morte sia casualmente il più monotono di quanti ne sono stati creati da quando, esclusivamente per colpa di dio, caino ammazzò abele. Dopo un avvenimento tanto esecrabile, che sin dall'inizio del mondo è venuto a dimostrare com'è difficile vivere in famiglia, e via via fino ai nostri giorni, la cosa era divenuta per secoli, secoli e altri secoli, ripetitiva, senza pause, senza interruzioni, senza soluzioni di continuità, diversa nelle molteplici forme di passaggio dalla vita alla non-vita, ma in fondo sempre uguale a se stessa perché sempre uguale è stato anche il risultato. Realmente, non s'è mai visto che non morisse chi doveva morire. E ora, insolitamente, un avviso firmato dalla morte, di suo proprio pugno, un avviso in cui si annunciava l'irrevocabile e improrogabile fine di una persona, era stato rispedito all'origine, a questa fredda sala dove l'autrice e firmataria della lettera, seduta, avvolta nel malinconico sudario che è la sua uniforme storica, col cappuccio in testa, medita sull'accaduto mentre le ossa delle sue dita, o le sue dita di ossa, tamburellano sul ripiano del tavolo. Si sorprende un po' nel desiderare che la lettera nuovamente inviata le venga nuovamente restituita, che sulla busta sia riportata, per esempio, l'indicazione di assente con recapito ignoto, perché questo, sì, sarebbe un'assoluta novità per chi è sempre riuscito a scovare dove ci eravamo nascosti, se mai abbiamo creduto di poterle sfuggire in maniera tanto infantile. Non crede, però, che l'ipotetica assenza le compaia annotata sul verso della busta, qui gli archivi continuano ad aggiornarsi automaticamente a ogni gesto e movimento che facciamo, a ogni passo che diamo, cambiamento di casa, di stato, di professione, di abitudini e costumi, se fumiamo o non fumiamo, se mangiamo molto, o poco, o niente, se siamo attivi o indolenti, se abbiamo mal di testa o acidità di stomaco, se soffriamo di costipazione o diarrea, se ci cadono i capelli o ci ha colpiti il cancro, se sì, se no, se forse, basterà aprire il cassettone dello schedario alfabetico, cercare il corrispondente cartellino, e là c'è tutto. E non stupiamoci se, nel preciso istante in cui ci ritrovassimo a leggere la nostra schedatura privata, ci comparisse istantaneamente registrato lo shock dell'angoscia che tutt'a un tratto ci ha pietrificato. Su di noi, la morte conosce tutto, e forse è per questo che è triste. Se è vero che non sorride mai, è solo perché le mancano le labbra, e questa lezione di anatomia ci dice che, al contrario di ciò che ritengono i vivi, il sorriso non è una questione di denti. C'è chi dice, con umore più di cattivo gusto che macabro, che la morte abbia affibbiato una specie di sorriso permanente, ma questo non è vero, ciò che offre alla vista è piuttosto una smorfia di sofferenza, perché il ricordo del tempo in cui aveva una bocca, e la bocca aveva una lingua, e la lingua aveva saliva, la perseguita continuamente. Con un breve sospiro, ha avvicinato un foglio di carta e ha cominciato a scrivere la prima lettera di quest'oggi, Cara signora, sono spiacente di comunicarle che la sua vita terminerà alla scadenza irrevocabile e improrogabile di una settimana, le auguro di approfittare al meglio del tempo che le resta, sua attenta servitrice, morte. Duecentonovantotto fogli, duecentonovantotto buste, duecentonovantotto scarichi nella lista, non si potrà certo dire che sia un lavoro da ammazzare, ma la verità è che la morte è arrivata alla fine esausta. Con quel suo gesto della mano destra che già conosciamo fece sparire le quarantadue lettere, poi, incrociando sul tavolo le braccia magre, vi abbandonò il capo sopra, non per dormire, perché la morte non dorme, ma soltanto per riposare. Quando, mezz'ora più tardi, ormai ripresasi dalla fatica, alzò il capo, la lettera che era stata restituita all'origine e di nuovo inviata, era nuovamente lì, davanti alle sue orbite attonite e vuote.
Se la morte aveva minimamente sognato la speranza di una qualche novità che potesse distrarla dalle noie della routine, era servita. Ce l'aveva lì, e una delle migliori. La prima restituzione poteva magari essere il risultato di un semplice incidente di percorso, una rotella fuori asse, un problema di lubrificazione, una lettera celeste chiaro che aveva fretta di arrivare e si era messa davanti, insomma, una di quelle cose inattese che si verificano all'interno delle macchine che, proprio come succede al corpo umano, mandano a scatafascio i calcoli più esatti. Il caso della seconda restituzione era già diverso, mostrava con la massima chiarezza che c'era un ostacolo in qualche punto del cammino che avrebbe dovuto portarla all'abitazione del destinatario e dove la lettera, sbattendoci contro, faceva un rimbalzo e tornava indietro. Nel primo caso, dato che il ritorno si era verificato il giorno seguente a quello dell'invio, si poteva ancora considerare l'ipotesi che il postino, non avendo trovato la persona cui si sarebbe dovuta consegnare la lettera, invece di metterla nella cassetta della posta o sotto la porta, l'aveva fatta tornare al mittente dimenticandosi di menzionare il motivo della restituzione. Sarebbero stati troppi se, ma poteva anche essere una buona spiegazione per l'accaduto. Ora il caso aveva cambiato aspetto. Fra l'andare e il venire, la lettera non aveva impiegato più di mezz'ora, probabilmente molto meno, dato che si trovava già sul tavolo quando la morte ha alzato il capo dal duro appoggio degli avambracci, cioè, dal cubito e dal radio, che sono intrecciati apposta per questo. Una forza estranea, misteriosa, incomprensibile, sembrava opporsi alla morte della persona, nonostante che la data del suo trapasso fosse fissata, come per tutti, sin dal giorno della nascita. È impossibile, disse la morte alla falce silenziosa, nessuno al mondo o fuori dal mondo ha mai avuto più potere di me, io sono la morte, il resto è nulla. Si alzò dalla sedia e si avvicinò allo schedario, da dove tornò con il cartellino sospetto. Non c'era alcun dubbio, il nome combaciava con quello sulla busta, l'indirizzo pure, la professione era quella di violoncellista, lo stato civile in bianco, segnale che non era sposato, né vedovo, né divorziato, perché negli schedari della morte non risulta mai lo stato di celibe, basti pensare a quanto sarebbe stupido se nascesse un bambino, gli si facesse la scheda e si scrivesse, non la professione, perché non saprà ancora quale sarà la sua vocazione, ma che il suo stato civile di neonato è quello di celibe. Quanto all'età scritta sul cartellino che la morte ha in mano, si vede che il violoncellista ha quarantanove anni. Orbene, se ancora è necessaria una prova del funzionamento impeccabile degli archivi della morte, la daremo all'istante, quando, in un decimo di secondo, o anche meno, davanti ai nostri occhi increduli, il numero quarantanove viene sostituito da cinquanta. Oggi è il giorno del compleanno del violoncellista titolare del cartellino, gli si sarebbero dovuti inviare dei fiori piuttosto che un annuncio di decesso di qui a otto giorni. La morte si alzò nuovamente, fece vari avanti e indietro nella stanza, per ben due volte si fermò davanti alla falce, aprì la bocca come per parlarle, per chiederle un'opinione, per darle un ordine, o semplicemente per dire che si sentiva confusa, sconcertata, della qual cosa, ricordiamolo, non c'è da meravigliarsi se pensiamo da quanto tempo esercita questo mestiere senza aver mai subito, almeno fino a oggi, la minima mancanza di rispetto da parte del gregge umano di cui è pastorella sovrana. Fu in quel momento che la morte ebbe il funesto presentimento che l'incidente sarebbe potuto essere anche più grave di quanto in un primo momento le era parso. Si sedette al tavolo e cominciò a consultare, andando all'indietro, le liste mortuarie degli ultimi otto giorni. Subito al primo elenco di nomi, quello di ieri, e contrariamente a quanto si aspettava, vide che non risultava quello del violoncellista. Continuò a sfogliare, uno, un altro, un altro, ancora un altro, un altro ancora, e
finalmente lo trovò, solo nell'ottava lista. Erroneamente aveva pensato che il nome si sarebbe dovuto trovare nella lista di ieri, e ora si vedeva davanti allo scandalo inaudito di uno che sarebbe dovuto essere già morto da due giorni ed era ancora vivo. E questa non era neanche la cosa principale. Quel diavolo di violoncellista, che sin dal giorno della sua nascita era indicato per morire giovane, con quarantanove primavere appena, aveva finito per compiere sfacciatamente i cinquanta, screditando così il destino, la fatalità, la sorte, l'oroscopo, il fato e tutte quelle altre potenze che si dedicano a contrastare con tutti i mezzi degni e indegni la nostra umanissima voglia di vivere. Era davvero un discredito totale. E ora come faccio a rettificare uno sviamento che non sarebbe potuto succedere, se un caso del genere non ha precedenti, se nei regolamenti non è previsto niente di simile, si domandava la morte, soprattutto perché quel tipo sarebbe dovuto morire ai quarantanove anni e non ai cinquanta che ha già. Si vedeva che la povera morte era perplessa, sconcertata, che per poco non si metteva a sbattere la testa contro le pareti dal dolore. In tante migliaia di secoli di attività continua non si era mai registrata una lacuna operativa, e ora, proprio quando aveva introdotto qualcosa di nuovo nel rapporto classico dei mortali con la loro autentica e unica causa mortis, ecco che la sua reputazione, tanto laboriosamente conquistata, aveva appena subito il più duro dei colpi. Che fare, domandò, immaginiamo che il fatto che non sia morto quando doveva lo abbia sottratto alla mia competenza, come potrò cavarmi da questo impiccio. Guardò la falce, compagna di tante avventure e di tanti massacri, ma lei fece l'indifferente, non rispondeva mai, e ora, del tutto assente, come se il mondo le fosse venuto a noia, lasciava riposare la sua lama usurata e ferruginosa contro la parete bianca. Fu allora che la morte partorì la sua grande idea, Si suole dire che non c'è uno senza due, né due senza tre, e che al tre è la volta buona perché è il conto che ha fatto dio, vediamo se è davvero come dicono. Fece il gesto di saluto con la mano destra e la lettera due volte restituita scomparve di nuovo. Neanche due minuti in giro. Era lì, nel medesimo posto di prima. Il postino non l'aveva infilata sotto la porta, non aveva suonato il campanello, ma la lettera era lì.
Ovviamente, non c'è da aver pena della morte. Innumerevoli e giustificate sono state le nostre lagnanze per permetterci di ricadere ora in sentimenti che nel passato lei non ha mai avuto la delicatezza di manifestarci, nonostante sapesse meglio di chiunque altro quanto ci contrariava l'ostinazione con cui sempre, costasse quel che costasse, ce l'ha avuta vinta. Eppure, almeno per un breve istante, quello che abbiamo davanti agli occhi assomiglia più alla statua della desolazione che non alla figura sinistra che, secondo quanto riferito da alcuni moribondi dalla vista penetrante, ci si presenta ai piedi del letto nell'ora estrema per farci un segnale simile a quello con cui invia le lettere, ma al contrario, il segnale, cioè, non dice vai là, ma dice vieni qua. Per qualche strano fenomeno ottico, reale o virtuale, ora la morte sembra molto più piccola, come se l'ossatura le si fosse ristretta, oppure è stata sempre così e sono i nostri occhi, sbarrati dalla paura, che ne fanno una gigantessa. Povera morte. Ci vien voglia di andare a posarle una mano sulla dura spalla, sussurrarle all'orecchio, o meglio, nel punto in cui ce l'aveva, sotto il parietale, qualche parola di simpatia, Non se la prenda, signora morte, sono cose che capitano, noialtri, gli esseri umani, per esempio, abbiamo grande esperienza di scoraggiamenti, insuccessi e frustrazioni, e guardi che mica ci arrendiamo, si ricordi dei tempi antichi quando lei, signora, ci rapiva senza compassione né pietà nel fiore della gioventù, e pensi al presente, invece, ora che, con la stessa durezza di cuore, continua a fare la stessa cosa a gente più bisognosa di tutto quanto è necessario alla vita, probabilmente sarà stato per vedere chi si stancava prima, se lei, signora, o noi, comprendo il suo dispiacere, la prima sconfitta è sempre la più penosa, poi ci si abitua, comunque non se la prenda a male se le dico speriamo che non sia l'ultima, e non è certo per spirito di vendetta, che poi sarebbe una vendetta ben misera, sarebbe come fare la linguaccia al boia che ci taglierà la testa, a dir la verità, noialtri, gli umani, non possiamo far molto di più che fare la linguaccia al boia che ci taglierà la testa, sarà per questo che ho una curiosità enorme di sapere come ne verrà fuori dal pasticcio in cui l'hanno messa, con quella storia della lettera che va e viene e di quel violoncellista che non potrà morire a quarantanove anni perché ormai ne ha compiuti cinquanta. La morte fece un gesto impaziente, scosse seccamente dalla spalla la mano fraterna che vi avevamo posato e si alzò dalla sedia. Ora sembrava più alta, con più corpo, una signora morte come si deve, capace di far tremare il terreno sotto i piedi, con quello strascico di sudario che alzava fumo a ogni passo. La morte è arrabbiata. È il momento di fare la linguaccia.
XI
Salvo alcuni rari casi, come quelli dei già citati poveri moribondi dallo sguardo penetrante che l'hanno scorta ai piedi del letto con l'aspetto classico di un fantasma avvolto in lenzuola bianche o, come pare sia successo a proust, nella figura di una donna grassa vestita di nero, la morte è discreta, preferisce non far notare la sua presenza, specialmente se le circostanze la obbligano a uscire per la strada. In generale si crede che la morte, essendo, come qualcuno ama affermare, la faccia di una medaglia di cui dio, dall'altro lato, è la croce, sarà, come lui, per sua stessa natura, invisibile. Non è proprio così. Noi siamo testimoni attendibili che la morte è uno scheletro avvolto in un lenzuolo, abita in una sala fredda in compagnia di una vecchia e ferruginosa falce che non risponde alle domande, circondata da pareti imbiancate lungo le quali sono disposti, fra le ragnatele, un certo numero di schedari dagli enormi cassettoni colmi di cartellini. È comprensibile dunque che la morte non voglia apparire alle persone in quella tenuta, in primo luogo per ragioni di estetica personale, in secondo luogo perché gli infelici passanti non muoiano dallo spavento nel ritrovarsi davanti, svoltando un angolo, quelle grandi orbite vuote. In pubblico, sì, la morte si rende invisibile, ma non in privato, come hanno potuto comprovare, nel momento critico, lo scrittore marcel proust e i moribondi dalla vista penetrante. Già il caso di dio è diverso. Per quanto si sforzasse non riuscirebbe mai a rendersi visibile agli occhi umani, e non perché non ne sarebbe capace, visto che per lui nulla è impossibile, ma semplicemente perché non saprebbe che faccia assumere per presentarsi agli esseri che si suppone abbia creato, e la cosa più probabile è che non li riconoscerebbe, oppure, forse ancora peggio, che loro non riconoscerebbero lui. C'è anche chi dice che, per noi, è una grande fortuna che dio non voglia apparirci, perché il terrore che abbiamo della morte sarebbe come un giochetto da ragazzi a paragone dello spavento che ci prenderemmo se capitasse una cosa del genere. Insomma, di dio e della morte non si sono raccontate altro che storie, e questa è soltanto una in più.
Siamo arrivati dunque che la morte decise di andare in città. Si tolse il lenzuolo, che era tutto il vestiario che aveva indosso, lo piegò meticolosamente e lo appese alla spalliera della sedia dove l'abbiamo vista sedersi. A parte questa sedia e il tavolo, a parte anche gli schedari e la falce, nella sala non c'è nient'altro, salvo quella stretta porta che non sappiamo dove si affacci. Essendo apparentemente l'unica uscita, sarebbe logico pensare che la morte andrà in città passando da lì, però non sarà così. Senza il lenzuolo, la morte ha perduto di nuovo altezza, sarà al massimo, in misure umane, un metro e sessantasei o sessantasette, e, così, nuda, senza un filo di vestiario addosso, ci sembra ancora più piccola, quasi uno scheletrino da adolescente. Nessuno direbbe che questa è la stessa morte che ci ha scosso la mano dalla spalla con tanta violenza quando, mossi da un'immeritata pietà, volevamo consolarla del suo dispiacere. Realmente, non c'è al mondo niente di più nudo di uno scheletro. In vita, gira doppiamente vestito, primo, con la carne di cui si ricopre, poi, se non li ha tolti per fare un bagno o per attività più dilettevoli, coi vestiti con cui la suddetta carne ama coprirsi. Ridotto a quel che in realtà è, la travatura mezzo sconnessa di qualcuno che ormai da lungo tempo non esisteva più, non gli manca altro che scomparire. Ed è proprio quello che gli sta succedendo, dalla testa ai piedi. Davanti ai nostri occhi attoniti le ossa stanno perdendo la consistenza e la durezza, a poco a poco i contorni si stanno sfumando, quel che era solido diviene gassoso, si spande in tutte le direzioni come una tenue nebbiolina, è come se lo scheletro stesse evaporando, ormai non è altro che un abbozzo impreciso attraverso cui si può vedere la falce indifferente, e tutt'a un tratto la morte non c'è più, c'era e non c'è più, oppure c'è, ma noi non la vediamo, o forse neanche questo, ha semplicemente attraversato il soffitto di quella sala sotterranea, l'enorme massa di terra che si trova sopra, e se n'è andata via, come nel suo intimo aveva già deciso dopo che la lettera di colore viola le era stata restituita per la terza volta. Sappiamo dove va. Non potrà ammazzare il violoncellista, ma vuole vederlo, averlo davanti agli occhi, toccarlo senza che lui se ne accorga. Ha la certezza che uno di questi giorni riuscirà a scoprire la maniera di liquidarlo senza infrangere troppo i regolamenti, ma intanto saprà chi è quell'uomo che gli avvisi di morte non sono riusciti a raggiungere, che poteri ha, se di questo si tratta, o se, come un idiota innocente, continua a vivere senza che gli passi per la testa che dovrebbe essere già morto. Chiusi qui, in questa fredda sala senza finestre e con una porta stretta che non si sa a cosa servirà, non ci eravamo resi conto di quanto il tempo passi rapidamente. Sono le tre del mattino, la morte sarà ormai nella casa del violoncellista.
Infatti. Una delle cose che sempre più affaticano la morte è lo sforzo che deve fare su se stessa quando non vuole vedere tutto quello che in ogni luogo, simultaneamente, le si presenta davanti agli occhi. Anche in questo particolare assomiglia molto a dio. Vediamo. Benché, in realtà, il fatto non rientri fra i dati verificabili dell'esperienza sensoriale umana, siamo stati abituati a credere, sin da bambini, che dio e la morte, quelle due eminenze supreme, siano al tempo stesso in ogni luogo, cioè, siano onnipresenti, una parola, come tante altre, meticcia di latino e greco. In verità, però, è ben possibile che, nel pensarlo, e forse più ancora quando lo esprimiamo, considerando la leggerezza con cui le parole sono solite uscirci di bocca, non abbiamo una chiara coscienza di quello che ciò potrà significare. È facile dire che dio sta in ogni luogo e che la morte in ogni luogo sta, ma a quanto pare non notiamo che, se veramente stanno in ogni luogo, allora per forza, in tutti gli infiniti luoghi in cui si trovino, in ogni luogo vedono tutto quanto ci sia da vedere. Da dio, che per dovere d'ufficio deve stare contemporaneamente in tutto l'universo, perché altrimenti non avrebbe alcun senso averlo creato, sarebbe una pretesa ridicola aspettarsi che mostrasse un interesse speciale per quanto accade sul piccolo pianeta terra, il quale peraltro, e questo forse non è venuto in mente a nessuno, è da lui conosciuto con un nome completamente diverso, ma la morte, questa morte che, come avevamo già detto alcune pagine fa, è congiunta alla specie umana con carattere di esclusività, non ci toglie gli occhi di dosso neanche per un minuto, a tal punto che persino quelli che per il momento ancora non moriranno sentono che il suo sguardo li perseguita costantemente. Da qui potrà aversi un'idea dello sforzo erculeo che la morte è stata obbligata a fare in quelle rare volte in cui, per questa o quella ragione, nel corso della nostra storia comune, ha avuto bisogno di abbassare la sua capacità percettiva all'altezza degli esseri umani, cioè, vedere ogni cosa al posto loro, stare in ogni momento in un luogo solo. Nel caso concreto di cui ci occupiamo oggi non c'è altra spiegazione del perché non sia ancora riuscita a varcare la soglia d'ingresso della casa del violoncellista. A ogni passo che fa, e se lo chiamiamo passo è solo per aiutare l'immaginazione di chi ci stia leggendo, non perché lei effettivamente si muova come se disponesse di gambe e piedi, la morte deve lottare molto per reprimere la tendenza espansiva che è inerente alla sua natura, la quale, se lasciata in libertà, farebbe subito scoppiare e disperdere nello spazio quella sua precaria e instabile unità, aggregata con tanta fatica. La distribuzione dei locali dell'appartamento dove vive il violoncellista che non ha ricevuto la lettera di colore viola è del tipo economico benestante, dunque più peculiare di un piccolo borghese senza orizzonti che non di un discepolo di euterpe. Si entra per un corridoio dove nell'oscurità a stento si distinguono cinque porte, una in fondo, che, per non doverci ritornare sopra, diciamo subito che dà accesso alla stanza da bagno, e due per lato. La prima a sinistra, da cui la morte decide di cominciare l'ispezione, apre su una saletta da pranzo che ha tutta l'aria di essere poco usata, la quale, a sua volta, comunica con una cucina ancora più piccola, attrezzata con l'essenziale. Da lì si riesce nel corridoio, proprio davanti a una porta che la morte non ha avuto bisogno di toccare per sapere che si trova fuori servizio, cioè, non si apre né si chiude, un modo di dire contrario alla semplice dimostrazione, poiché una porta di cui si dice che non si apre né si chiude è unicamente una porta chiusa che non si può aprire, o, come pure si suole dire, una porta che è stata sacrificata. Certo, la morte potrebbe attraversare lei e tutto il resto che ci fosse dietro, ma se le era costata tanta fatica aggregarsi e definirsi, per quanto continui a essere invisibile a occhi comuni, in una forma più o meno umana, sebbene, come abbiamo detto prima, non al punto da avere gambe e piedi, non è stato certo per correre ora il rischio di rilassarsi e disperdersi nell'interno del legno di una porta o di un armadio pieno di vestiario che sicuramente ci sarà al di là. La morte ha proseguito allora per il corridoio fino alla prima porta a destra di chi entra e da lì è passata nella sala di musica, che non si vede quale altro nome si debba dare al locale di una casa dove ci sono un pianoforte aperto e un violoncello, un leggio con i tre brani della fantasia opera settantatre di robert schumann, come la morte ha potuto leggere grazie a un lampione dell'illuminazione pubblica la cui slavata luce aranciata entrava dalle due finestre, e anche alcune pile di quaderni qua e là, senza dimenticare le alte scaffalature di libri dove la letteratura ha tutta l'aria di convivere con la musica nell'armonia più perfetta, che oggi è la scienza degli accordi dopo essere stata la figlia di ares e di afrodite. La morte ha accarezzato le corde del violoncello, ha sfiorato soavemente con la punta delle dita i tasti del pianoforte, ma solo lei avrebbe potuto distinguere il suono degli strumenti, un gemito grave e prolungato prima, un breve gorgheggio d'uccello dopo, entrambi inudibili a orecchi umani, ma chiari e precisi per chi da tanto tempo aveva appreso a interpretare il senso dei sospiri. Lì, nella stanza accanto, sarà dove l'uomo dorme. La porta è aperta, la penombra, nonostante sia più profonda rispetto a quella della sala di musica, consente di vedere un letto e la sagoma di qualcuno sdraiato. La morte avanza, varca la soglia, ma si trattiene, indecisa, nel sentire nella stanza la presenza di due esseri viventi. Conoscitrice di certi fatti della vita, benché, com'è naturale, non per esperienza propria, la morte pensò che l'uomo avesse compagnia, che accanto a lui stava magari dormendo un'altra persona, qualcuno a cui lei non aveva ancora spedito la lettera di colore viola, ma che in questa casa condivideva il conforto delle stesse lenzuola e il calore della stessa coperta. Si avvicinò un po' di più, quasi a sfiorare, se si può dire, il comodino, e vide che l'uomo era solo. Al di là del letto, però, acciambellato sul tappetino come un gomitolo, dormiva un cane di taglia media, dal pelo scuro, probabilmente nero. Almeno a quanto ricordasse, era la prima volta che la morte si sorprendeva a pensare che, siccome lei non serviva se non per la morte degli esseri umani, quell'animale si trovava fuori dalla portata della sua simbolica falce, che il suo potere non avrebbe potuto sfiorarlo neanche alla lontana, e perciò anche quel cane addormentato sarebbe divenuto immortale, e ben presto si sarebbe giunti a vedere per quanto tempo, se la sua morte personale, l'altra, quella che s'incarica degli altri esseri viventi, animali e vegetali, si fosse assentata come aveva fatto questa, e, dunque, qualcuno avesse avuto un buon motivo per scrivere all'inizio di un altro libro Il giorno seguente non morì nessun cane. L'uomo si mosse, forse sognava, forse continuava a suonare i tre brani di schumann e gli era uscita una nota falsa, un violoncello non è come un pianoforte, il pianoforte ha le note sempre negli stessi posti, sotto ogni tasto, mentre il violoncello le disperde in tutta la lunghezza delle corde, bisogna andare a cercarle, fissarle, coglierle nel punto giusto, muovere l'arco con la giusta inclinazione e la giusta pressione, niente di più facile, di conseguenza, che sbagliare una o due note quando si sta dormendo. La morte si è inclinata in avanti per vedere meglio la faccia dell'uomo, e in quel momento le è passata per la mente un'idea assolutamente geniale, ha pensato che i cartellini del suo archivio avrebbero dovuto prevedere la fotografia delle persone cui si riferiscono, non una fotografia qualsiasi, ma una scientificamente tanto avanzata che, proprio come i dati dell'esistenza di quelle persone si vanno continuamente e automaticamente aggiornando nei rispettivi cartellini, anche la loro immagine dovrebbe modificarsi con il passare del tempo, partendo dal bambino rugoso e arrossato fra le braccia della madre fino al giorno d'oggi, quando ci domandiamo se siamo veramente quelli che eravamo, o se un genio della lampada non ci starà magari sostituendo con un'altra persona a ogni ora che passa. L'uomo si è mosso di nuovo, pare che si stia svegliando, invece no, la respirazione ha ripreso la cadenza normale, le stesse tredici volte al minuto, la mano sinistra riposa sul cuore come se stesse auscultando le pulsazioni, una nota aperta per la diastole, una nota chiusa per la sistole, mentre la mano destra, con il palmo all'insù e le dita leggermente curvate, sembra in attesa che l'altra mano venga a stringerla. L'uomo dimostra un aspetto più vecchio dei cinquant'anni che ha compiuto, forse non proprio più vecchio, sarà solo stanco, e magari triste, ma questo potremo saperlo solo quando aprirà gli occhi. Non ha tutti i capelli, e molti di quelli che ancora gli restano sono già bianchi. È un uomo qualsiasi, né brutto né bello. Così come lo vediamo ora, sdraiato supino, con la sua giacca del pigiama a righe che la rovescina del lenzuolo non copre del tutto, nessuno direbbe che è il primo violoncellista di un'orchestra sinfonica della città, che la sua vita trascorre fra le righe magiche del pentagramma, chissà, forse anche alla ricerca del cuore profondo della musica, pausa, suono, sistole, diastole. Ancora risentita per la falla nei sistemi di comunicazione dello stato, ma senza l'irritazione che provava mentre stava venendo qui, la morte guarda il viso addormentato e pensa vagamente che quest'uomo dovrebbe essere già morto, che questo blando respiro, inspirare, espirare, già sarebbe dovuto esser cessato, che il cuore che la mano sinistra protegge sarebbe già dovuto essere fermo e svuotato, sospeso per sempre nell'ultima contrazione. È venuta per vedere quest'uomo, e ora lo ha visto, in lui non c'è niente di speciale che possa spiegare le tre restituzioni della lettera di colore viola, dopo di che la cosa migliore che avrà da fare è rientrare in quella fredda sala sotterranea da cui è venuta e scoprire la maniera di finirla una volta per tutte col maledetto caso che ha reso questo segatore di violoncelli un sopravvissuto a se stesso. È stato per spronare la propria e ormai declinante contrarietà che la morte ha usato queste due coppie aggressive di parole, maledetto caso, segatore di violoncelli, ma i risultati non si sono rivelati all'altezza del proposito. L'uomo che dorme non ha nessuna colpa di quanto è successo con la lettera di colore viola, non può neanche lontanamente immaginare che sta vivendo una vita che non dovrebbe più appartenergli, che se le cose fossero come dovrebbero essere sarebbe già sepolto per lo meno da otto giorni, e che il cane nero ora sarebbe in giro per la città come un pazzo alla ricerca del padrone, o se ne starebbe seduto, senza mangiare e senza bere, all'entrata del palazzo, aspettando il suo ritorno. Per un istante la morte si liberò da se stessa, espandendosi fino alle pareti, riempì tutta la stanza e si allungò come un fluido fino alla stanza contigua, dove una parte si soffermò a guardare il quaderno che stava lì aperto su una sedia, era la suite numero sei opera mille e dodici in re maggiore di johann sebastian bach composta a cöthen e non ebbe bisogno di aver studiato musica per sapere che era stata scritta, come la nona sinfonia di beethoven, nella tonalità della gioia, dell'unità fra gli uomini, dell'amicizia e dell'amore. Accadde allora qualcosa di mai visto, qualcosa di non immaginabile, la morte si accasciò sulle ginocchia, adesso era, tutta quanta, un corpo ricostituito, ed ecco perché aveva ginocchia, e gambe, e piedi, e braccia, e mani, e un viso che si nascondeva fra le mani, e spalle che tremavano non si sa perché, un pianto non dev'essere, non si può chiedere tanto a chi lascia sempre una scia di lacrime dovunque passa, ma mai nessuna che sia sua. Così com'era, né visibile, né invisibile, né scheletro, né donna, si alzò da terra come un soffio ed entrò nella stanza. L'uomo non si era mosso. La morte pensò, Non ho più niente da fare qui, me ne vado, non valeva neanche la pena venire solo per vedere un uomo e un cane lì a dormire, forse stanno sognando l'uno dell'altro, l'uomo il cane e il cane l'uomo, il cane lì a sognare che è già mattina e sta posando il capo accanto al capo dell'uomo, l'uomo lì a sognare che è già mattina e che il suo braccio sinistro cinge il corpo caldo e morbido del cane e se lo stringe al petto. Accanto al guardaroba, accostato alla porta che darebbe accesso al corridoio c'è un divanetto dove la morte è andata a sedersi. Non lo aveva deciso, ma è andata a sedersi lì, in quell'angolo, forse perché si è ricordata del freddo che faceva a quest'ora nella sua sala sotterranea degli archivi. Ha gli occhi all'altezza del capo dell'uomo, ne distingue il profilo nettamente disegnato nello sfondo di una vaga luminosità arancione che entra dalla finestra e si ripete che non c'è alcun motivo ragionevole per cui rimanga lì, ma immediatamente ribatte che sì, un motivo c'è, e forte, perché questa è l'unica casa della città, del paese, del mondo intero, in cui esiste una persona che sta infrangendo la più severa delle leggi della natura, quella che tanto impone la vita come la morte, che non ti ha domandato se volevi vivere, che non ti domanderà se vuoi morire. Quest'uomo è morto, pensò, tutti coloro che dovranno morire sono già morti da prima, serve soltanto che io li spinga leggermente con il pollice o mandi loro quella lettera di colore viola che non si può rifiutare. Quest'uomo non è morto, pensò, si sveglierà fra poche ore, si alzerà come tutti gli altri giorni, aprirà la porta del giardino perché il cane vada pure ad alleggerirsi di quanto nel corpo gli avanza, farà la prima colazione, entrerà nel bagno da dove uscirà alleggerito, lavato e sbarbato, forse uscirà portandosi il cane per andare a comprare insieme il giornale all'edicola d'angolo, forse si siederà davanti al leggio e suonerà ancora una volta i tre brani di schumann, forse poi penserà alla morte com'è d'obbligo per tutti gli esseri umani, lui, però, non sa che in questo momento è come se fosse un immortale perché questa morte che lo sta guardando non sa come fare per ammazzarlo. L'uomo cambiò posizione, volse le spalle al guardaroba che sacrificava la porta e lasciò scivolare il braccio destro dalla parte del cane. Un minuto dopo era sveglio. Aveva sete. Accese il lume sul comodino, si alzò, infilò i piedi nelle pianelle che, come sempre, stavano sotto la testa del cane, e andò in cucina. La morte lo seguì. L'uomo versò dell'acqua in un bicchiere e bevve. A questo punto comparve il cane, si dissetò nella ciotola d'acqua accanto alla porta che dà sul giardino e poi alzò il capo verso il padrone. Vuoi uscire, chiaro, disse il violoncellista. Aprì la porta e aspettò che l'animale tornasse. Nel bicchiere era rimasta un po' d'acqua. La morte la guardò, fece uno sforzo per immaginare cosa poteva significare aver sete, ma non ci riuscì. Non ci sarebbe riuscita neanche quando aveva dovuto ammazzare qualcuno di sete nel deserto, ma allora non lo aveva neppure tentato. L'animale stava già rientrando, scuotendo la coda. Andiamo a dormire, disse l'uomo. Tornarono in camera, il cane fece due giri su se stesso e si stese acciambellato. L'uomo si tirò le lenzuola fino al collo, tossì due volte e poco dopo entrò nel sonno. Seduta nel suo canto, la morte guardava. Molto più tardi, il cane si alzò dal tappeto e salì sul sofà. Per la prima volta la morte seppe cos'era avere un cane in grembo.
XII
Dei momenti di debolezza nella vita chiunque potrà averli, e, se oggi ce l'abbiamo fatta senza, ce li avremo assicurati domani. Proprio come dietro la bronzea corazza di achille si è visto che pulsava un cuore sentimentale, e ci basterà rammentare quel pungente dolore di cui patì l'eroe per dieci anni dopo che agamennone gli aveva preso la beneamata, la schiava briseide, e poi quella terribile collera che lo fece tornare alla guerra urlando con voce stentorea contro i troiani quando il suo amico patroclo fu ucciso da ettore, anche nella più impenetrabile di tutte le armature fino a oggi forgiate e con promessa che continuerà così sino alla definitiva consumazione dei secoli, e qui ci riferiamo allo scheletro della morte, c'è sempre la possibilità che un giorno venga a insinuarsi nella sua orribile carcassa, così, quasi non volendolo, un dolce accordo di violoncello, un ingenuo trillo di pianoforte, o soltanto la visione di un quaderno di musica aperto sopra una seggiola che ti faccia ricordare quello cui ti rifiuti di pensare, che non avevi vissuto e che, qualsiasi cosa tu faccia, non potrai vivere mai, a meno che. Avevi osservato con fredda attenzione il violoncellista addormentato, quell'uomo che non sei riuscita ad ammazzare perché hai potuto raggiungerlo solo quando ormai era troppo tardi, avevi visto il cane acciambellato sul tappeto, e neanche quest'animale ti sarebbe stato permesso toccare perché tu non sei la sua morte, e, nella tiepida penombra della stanza, quei due esseri viventi che ti ignoravano arresi al sonno sono serviti solo ad aumentare nella tua coscienza il peso del fallimento. Tu, che ti eri abituata a potere quel che nessun altro può, ti vedevi lì impotente, con le mani e i piedi legati, con la tua licenza di uccidere zero zero sette priva di validità in questa casa, mai, da quando sei morte, ammettilo, eri stata umiliata a tal punto. È allora che sei uscita dalla stanza diretta alla sala di musica, è allora che ti sei inginocchiata davanti alla suite numero sei per violoncello di johann sebastian bach e hai fatto con le spalle quei movimenti rapidi che negli esseri umani solitamente accompagnano il pianto convulso, è allora, con le tue rigide ginocchia piantate sul duro pavimento, che la tua esasperazione è svanita all'improvviso come l'imponderabile nebbia in cui talvolta ti trasformi quando non vuoi essere del tutto invisibile. Sei tornata nella stanza, hai seguito il violoncellista quando è andato in cucina a bere un po' d'acqua e ad aprire la porta al cane, prima lo avevi visto disteso e addormentato, ora lo vedevi sveglio e in piedi, forse per via di un'illusione ottica causata dalle righe verticali del pigiama sembrava molto più alto di te, ma non era possibile, è stato solo un inganno degli occhi, una distorsione della prospettiva, c'è la logica dei fatti lì a dirci che la più grande sei tu, morte, più grande di tutto, più grande di tutti noi. O forse non sempre lo sei, forse le cose che succedono nel mondo si spiegano in base all'occasione, quell'abbagliante chiaro di luna, per esempio, che il musicista rammenta della sua infanzia sarebbe passato invano se lui fosse stato lì a dormire, sì, l'occasione, perché ormai eri di nuovo una piccola morte quando sei rientrata nella stanza e sei andata a sederti sul sofà, e ancor più piccola sei diventata quando il cane si è alzato dal tappeto ed è salito nel tuo grembo che pareva di bambina, e allora hai avuto uno dei pensieri più belli, hai pensato che non era giusto che la morte, non tu, l'altra, venisse un giorno a spegnere le braci di quel soffice calore animale, questo hai pensato, chi l'avrebbe mai detto, proprio tu che sei tanto abituata ai freddi artici e antartici della sala in cui ti trovi in questo momento e dove la voce del tuo ominoso dovere ti ha chiamato, il dovere di ammazzare quell'uomo che, dormendo, pareva aver sul viso l'amaro ghigno di chi non aveva mai avuto in tutta la sua vita una compagnia realmente umana nel letto, che ha fatto un accordo con il suo cane perché ciascuno sogni l'altro, il cane l'uomo, l'uomo il cane, che si alza di notte con il suo pigiama a righe per andare in cucina a dissetarsi, certo, sarebbe più comodo portarsi in camera un bicchiere d'acqua al momento di andarsene a letto, ma lui non lo fa, preferisce quella breve passeggiata notturna nel corridoio fino alla cucina, nella pace e nel silenzio della notte, con il cane che gli va sempre dietro e a volte gli chiede di uscire nel giardino, altre volte no, Quest'uomo deve morire, dici tu.
La morte è di nuovo uno scheletro avvolto in un sudario, col cappuccio mezzo calato in avanti, in modo che sia occultata la parte peggiore del teschio, ma non valeva la pena tanta attenzione, se era questa la preoccupazione, perché qui non c'è nessuno che potrebbe spaventarsi davanti al macabro spettacolo, tanto più che in vista appaiono solo le estremità delle ossa delle mani e dei piedi, questi che riposano sulle lastre del pavimento, di cui non sentono la gelida freddezza, quelle, le mani, sfogliando come se fossero un raschietto le pagine del volume completo delle ordinanze storiche della morte, dal primo di tutti i regolamenti, quello che fu scritto con una sola e semplice parola, ammazzerai, fino agli addendum e alle appendici più recenti, in cui sono contemplati tutti i modi e le varianti del morire finora conosciuti, e la cui lista si può dire che non si esaurisce mai. La morte non è sorpresa del risultato negativo della consultazione, in realtà sarebbe incongruente, ma soprattutto sarebbe superfluo che in un libro in cui si decreta per ogni e qualsiasi rappresentante della specie umana un punto finale, un epilogo, una condanna, la morte, comparissero parole come vita e vivere, come vivo e vivrò. Lì c'è posto solo per la morte, mai per parlare di ipotesi assurde tipo quella che qualcuno sia riuscito a sfuggirle. Questo non si è mai visto. Magari, cercando bene, sarebbe possibile trovare ancora una volta, soltanto una volta, il tempo verbale ho vissuto in una inutile nota a pie' di pagina, ma un'impresa del genere non è mai stata tentata seriamente, il che porta a concludere che vi sono ragioni più che forti per cui nemmeno il fatto di aver vissuto meriti di essere menzionato nel libro della morte. È che l'altro nome del libro della morte, conviene saperlo, è libro del nulla. Lo scheletro ha accantonato il regolamento e si è alzato. Ha fatto poi, com'è sua abitudine quando ha bisogno di penetrare nel nocciolo di una questione, due volte il giro della sala, poi ha aperto il cassetto dello schedario dove si trovava il cartellino del violoncellista e lo ha tirato fuori. Questo gesto ci fa giusto ricordare che è il momento, ora o mai più, sempre per quella storia dell'occasione cui accennavamo, di mettere in chiaro un aspetto importante che ha a che vedere con il funzionamento degli archivi che è stato oggetto della nostra attenzione e del quale, per censurabile negligenza del narratore, fino a ora non si era parlato. In primo luogo, e al contrario di quanto forse si era immaginato, i dieci milioni di cartellini che si trovano ordinati in questi cassetti non sono stati compilati dalla morte, non è lei che li ha scritti. Ci mancherebbe altro, la morte è la morte, non è mica una scribacchina qualsiasi. I cartellini compaiono nei loro posti, cioè archiviati in ordine alfabetico, nell'istante preciso in cui le persone nascono, e scompaiono nel preciso istante in cui muoiono. Prima dell'invenzione delle lettere di colore viola, la morte non si prendeva neanche la briga di aprire i cassetti, l'entrata e l'uscita dei cartellini è sempre avvenuta senza confusioni, senza intoppi, non v'è memoria che si siano verificate scene tanto deplorevoli quali sarebbero alcuni lì a dire che non volevano nascere e altri lì a protestare che non volevano morire. I cartellini delle persone che muoiono vanno, senza che nessuno li trasporti, in una sala che si trova sotto questa, o meglio, prendono il proprio posto in una delle sale che sotterraneamente si succedono a livelli sempre più profondi e che si trovano già in direzione del centro igneo della terra, dove un giorno tutte queste carte finiranno per bruciarsi. Qui, nella sala della morte e della falce, sarebbe impossibile stabilire un criterio simile a quello adottato da quel conservatore dell'anagrafe che decise di riunire in un solo archivio i nomi e le carte, tutti quanti, dei vivi e dei morti che aveva in custodia, adducendo che solo insieme avrebbero potuto rappresentare l'umanità com'era giusto intenderla, un tutto assoluto, indipendentemente dal tempo e dai luoghi, e che averli mantenuti separati era stato un attentato contro lo spirito. È questa l'enorme differenza esistente fra questa morte e quell'assennato conservatore delle carte della vita e della morte, mentre lei ostenta di disprezzare olimpicamente coloro che muoiono, ricordiamo quella frase crudele, più volte ripetuta, che dice il passato è passato, lui, in compenso, grazie a ciò che in linguaggio corrente chiamiamo coscienza storica, è dell'opinione che i vivi non dovrebbero mai essere separati dai morti e che, in caso contrario, non solo i morti sarebbero morti per sempre, ma anche i vivi vivrebbero la propria vita solo a metà, ancorché fosse più lunga di quella di matusalemme, sul quale persistono vari dubbi se sia morto a novecentosessantanove anni come dice l'antico testamento masoretico o a settecentoventi come afferma il pentateuco samaritano. Certamente non tutti saranno d'accordo sull'audace proposta archivistica del conservatore di tutti i nomi che ci sono stati e ci saranno, ma, per quel che possa valere nel futuro, qui la lasceremo consegnata.
La morte esamina il cartellino e non ci trova niente che non avesse visto prima, cioè, la biografia di un musicista che dovrebbe già essere morto da più di una settimana e che, nonostante ciò, continua tranquillamente a vivere nel suo modesto domicilio di artista, con quel suo cane nero che sale in braccio alle signore, il pianoforte e il violoncello, le sue seti notturne e il suo pigiama a righe. Dev'esserci un mezzo per risolvere questo arcano, pensò la morte, sarebbe preferibile, è chiaro, poter sistemare la faccenda senza dare troppo nell'occhio, ma se le alte istanze servono a qualcosa, se non sono lì solo per ricevere onori ed elogi, allora adesso hanno una buona occasione per dimostrare di non essere indifferenti a chi, quaggiù, nella pianura, porta a compimento il duro lavoro, modificando il regolamento, decretando misure eccezionali, autorizzando, se fosse necessario arrivare a tanto, un intervento dalla dubbia legalità, qualsiasi cosa tranne permettere che un simile scandalo continui. Il fatto curioso è che la morte non ha la minima idea di chi siano, in concreto, le famose alte istanze che ipoteticamente devono risolverle il suddetto arcano. Vero è che, in una delle sue lettere pubblicate sulla stampa, salvo errori la seconda, lei aveva accennato a una morte universale che avrebbe fatto scomparire non si sapeva quando tutte le manifestazioni di vita dell'universo fino all'ultimo microbo, ma questo, oltre a trattarsi di un'ovvietà filosofica perché niente può durare sempre, nemmeno la morte, era anche il risultato, in termini pratici, di una deduzione di senso comune che da un bel pezzo circolava fra le morti settoriali, benché le mancasse la conferma di una conoscenza avvalorata dall'esame e dall'esperienza. Era già tanto se, tutte quante loro, credevano ancora a una morte generale che fino a oggi non aveva dato neanche il più semplice indizio del suo immaginario potere. Noi, le settoriali, pensò la morte, siamo quelle che lavoriamo veramente sul serio, ripulendo il terreno dalle escrescenze, e, per la verità, non mi sorprenderebbe affatto che, se il cosmo scomparirà, non sarà certo in conseguenza di una proclamazione solenne della morte universale, rimbombante fra le galassie e i buchi neri, bensì quale effetto ultimo dell'accumulazione delle morticine private e personali che sono di nostra responsabilità, una dopo l'altra, come se la gallina del proverbio, invece di riempirsi il gozzo chicco dopo chicco, chicco dopo chicco se lo stesse stupidamente svuotando, come in effetti mi sembra dovrà piuttosto accadere con la vita, che da sola si sta preparando la propria fine, senza aver bisogno di noi, senza aspettare che noi le diamo una mano. È più che comprensibile la perplessità della morte. L'avevano messa in questo mondo da tanto di quel tempo che ormai non riesce più a rammentare da chi abbia ricevuto le istruzioni indispensabili al regolare svolgimento dell'operazione che le avevano affidato. Le hanno messo il regolamento in mano, le hanno indicato la parola ammazzerai come unico faro delle sue attività future e, senza probabilmente accorgersi della macabra ironia, le hanno detto di fare la sua vita. E lei l'ha fatta, ritenendo che, in caso di dubbio o di qualche improbabile equivoco, avrebbe pur sempre avuto le spalle coperte, ci sarebbe stato sempre qualcuno, un capo, un superiore gerarchico, una guida spirituale, cui chiedere consiglio e orientamento.
Non è credibile, però, e qui entreremo finalmente nel freddo e obiettivo esame che la situazione della morte e del violoncellista richiede, che un sistema d'informazione tanto perfetto come quello che ha mantenuto questi archivi aggiornati nel corso dei millenni, attualizzando continuamente i dati, facendo apparire e scomparire i cartellini a seconda se sei nato o sei morto, non è credibile, ripetiamo, che un sistema del genere sia primitivo e unidirezionale, che la fonte informativa, dovunque essa si trovi, non stia continuamente ricevendo, a sua volta, i dati risultanti dalle attività quotidiane della morte in funzione. E, se effettivamente li riceve e non reagisce alla straordinaria notizia che qualcuno non è morto quando doveva, allora delle due una, o l'episodio, contro le nostre logiche e naturali aspettative, non le interessa e dunque non si sente in obbligo di intervenire per neutralizzare la turbativa sorta nel processo, oppure sarà sottinteso che la morte, contrariamente a quanto lei stessa pensava, ha carta bianca per risolvere, come ritiene meglio, qualsiasi problema le sorga nel quotidiano lavorativo. Si è reso necessario che la parola dubbio fosse qui pronunciata un paio di volte perché la memoria della morte riecheggiasse finalmente un certo passo del regolamento che, scritto com'è in carattere minuscolo e a pie' di pagina, non attirava l'attenzione dello studioso e tanto meno la fissava. Lasciando cadere il cartellino del violoncellista, la morte si concentrò sul libro. Sapeva che quello che cercava non si trovava affatto nelle appendici o negli addendum, che doveva essere nella parte iniziale del regolamento, la più antica, e dunque la meno consultata, come in genere succede ai testi storici fondamentali, e infatti la trovò. Recitava così, In caso di dubbio, la morte in funzione dovrà, nel più breve tempo possibile, prendere le misure che la sua esperienza le consigli affinché sia inesorabilmente ottemperato il desideratum che in ogni e qualsivoglia circostanza dovrà sempre orientare le sue azioni, cioè, mettere fine alle vite umane quando sia estinto il tempo che era stato loro prescritto al momento della nascita, anche se all'uopo si renda necessario ricorrere a metodi meno ortodossi in situazioni di un'anormale resistenza del soggetto al fatale disegno o al verificarsi di fattori anomali ovviamente imprevedibili all'epoca dell'elaborazione di questo regolamento. In parole povere, la morte ha carta bianca per agire come meglio le pare. Il che, e lo dimostra l'esame cui abbiamo proceduto, non era certo una novità. E, in caso negativo, vediamo come. Quando la morte, a proprio rischio e pericolo, ha deciso di sospendere l'attività a partire dal primo di gennaio di quest'anno, non le è passata per la testa vuota l'idea che un'istanza superiore della gerarchia avrebbe potuto chiederle conto del bizzarro strafalcione, come altresì non ha pensato all'altissima probabilità che la sua pittoresca invenzione delle lettere di colore viola fosse vista di cattivo occhio dalla suddetta istanza o da qualcun'altra più su. Sono questi i pericoli dell'automatismo delle pratiche, della routine ingannevole, della stanca prassi. Una persona, o la morte, al caso tant'è, compie scrupolosamente il proprio lavoro, un giorno dopo l'altro, senza problemi, senza dubbi, mettendoci tutta l'attenzione nel seguire i ritmi stabiliti a livello superiore, e se, dopo un certo tempo, non compare nessuno a ficcare il naso nel modo in cui adempie ai propri obblighi, è certo e risaputo, e così è successo anche alla morte, che finirà per comportarsi, senza accorgersene, come se fosse regina e padrona di quel che fa, e non solo questo, ma anche di quando e di come deve farlo. Questa è l'unica spiegazione ragionevole del perché alla morte non è parso necessario chiedere l'autorizzazione ai superiori quando ha preso e messo in atto le trascendenti decisioni che conosciamo e senza le quali questo racconto, fortunatamente o sfortunatamente, non sarebbe potuto esistere. È che non ha pensato neanche a questo. E ora, paradossalmente, è proprio nel momento in cui non sta in sé dalla contentezza perché ha scoperto che il potere di disporre delle vite umane è, in definitiva, unicamente suo e che non dovrà darne soddisfazione a nessuno, né oggi né mai, e quando ormai i fumi della gloria minacciano di stordirla, allora non riesce a evitare quella timorosa riflessione di una persona che, già sul punto di essere colta in fallo, miracolosamente era sfuggita all'ultimo istante, Di che mi sono liberato.
Nonostante tutto, la morte che ora si sta alzando dalla sedia è un'imperatrice. Non dovrebbe stare in questa gelata sala sotterranea, come se fosse una sepolta viva, bensì sulla vetta della montagna più alta a presiedere ai destini del mondo, guardando con benevolenza il gregge umano, vedendo come si muove e agita nelle varie direzioni senza capire che vanno a finire tutte alla stessa destinazione, che un passo indietro li avvicinerà alla morte tanto quanto un passo avanti, che tutto è uguale a tutto perché tutto avrà un'unica fine, quella fine a cui una parte di te dovrà sempre pensare e che è l'oscuro marchio della tua irrimediabile umanità. La morte ha in mano il cartellino del musicista. È consapevole che dovrà farci qualcosa, ma ancora non sa bene cosa. In primo luogo dovrà calmarsi, pensare che ora non è più morte di quanto non lo fosse prima, che l'unica differenza tra oggi e ieri è che ha maggiore certezza di esserlo. In secondo luogo, il fatto di poter finalmente regolare i conti con il violoncellista non è motivo per dimenticarsi di spedire le lettere del giorno. Nell'istante stesso in cui lo pensò, i duecentottantaquattro cartellini comparvero sul tavolo, metà di uomini, metà di donne, e insieme comparvero duecentottantaquattro fogli di carta e duecentottantaquattro buste. La morte si sedette di nuovo, mise da parte il cartellino del musicista e cominciò a scrivere. Una clessidra di quattro ore aveva appena fatto cadere l'ultimo granello di sabbia nel preciso momento in cui lei finì di firmare la duecentottantaquattresima lettera. Un'ora dopo le buste erano chiuse, pronte per la spedizione. La morte andò a prendere la lettera che tre volte era stata inviata e tre volte era stata restituita e la mise sulla pila di buste di colore viola, Ti darò un'ultima opportunità, disse. Fece il solito gesto con la mano destra e le lettere scomparvero. Non erano ancora passati dieci secondi quando la lettera del musicista, silenziosamente, ricomparve sopra il tavolo. Allora la morte disse, L'hai voluto tu, ora ce l'avrai. Cancellò sul cartellino la data di nascita e la passò a un anno dopo, poi rettificò l'età, dov'era scritto cinquanta corresse con quarantanove. Non puoi farlo, disse allora la falce, Già fatto, Ci saranno delle conseguenze, Una sola, Quale, La morte, finalmente, di quel maledetto violoncellista che se la sta spassando alle mie spalle, Ma lui, poverino, ignora che doveva essere già morto, Per me è come se lo sapesse, Comunque sia, non hai potere né autorità per rettificare un cartellino, Ti sbagli, ho tutti i poteri e tutta l'autorità, io sono la morte, e nota bene che non lo sono mai stata tanto come da oggi in poi, Non sai in che cosa ti stai mettendo, avvisò la falce, In tutto il mondo c'è solo un posto dove la morte non può mettersi, Che posto, Quello che chiamano urna, cassa, tomba, bara, feretro, cataletto, lì, io non c'entro, ci entrano solo i vivi, dopo che li ammazzo, è chiaro, Tante parole per una sola e triste cosa, È l'abitudine di questa gente, non smettono mai di dire ciò che vogliono.
XIII
La morte ha un piano. Il cambiamento nell'anno di nascita del musicista non è stato altro che la mossa iniziale di una operazione in cui, possiamo anticiparlo fin da subito, saranno impiegati mezzi assolutamente eccezionali, mai usati in tutta la storia dei rapporti della specie umana con la sua nemica sfegatata. Come in una partita a scacchi, la morte ha fatto avanzare la regina. Qualche altra mossa ancora aprirà la strada allo scacco matto e la partita terminerà. Ci si potrà ora domandare perché la morte non torni allo status quo ante, quando le persone morivano semplicemente perché dovevano morire, senza dover aspettare che il postino portasse loro una lettera di colore viola. La domanda ha una sua logica, ma la risposta non sarà da meno. Si tratta, in primo luogo, di una questione di amor proprio, di puntiglio, di orgoglio professionale, in quanto, agli occhi di tutti, tornare all'innocenza di quei tempi sarebbe per la morte come riconoscere la propria sconfitta. Visto che il procedimento attualmente in vigore è quello delle lettere di colore viola, allora dovrà essere tramite questa via che il violoncellista morirà. Basterà immaginarci al posto della morte per capire la bontà delle sue ragioni. Certo, come abbiamo avuto occasione di vedere per ben quattro volte, l'enorme problema di far arrivare al suo destinatario la lettera ormai stanca sussiste, ed è qui che, per ottenere il sospirato desideratum, entreranno in azione i mezzi eccezionali cui alludevamo prima. Non anticipiamo, però, i fatti, osserviamo cosa sta facendo la morte in questo momento. La morte, in questo preciso momento, non fa niente di più di quello che ha sempre fatto, cioè, per usare un'espressione corrente, gira da quelle parti, anche se, a dir la verità, sarebbe più esatto dire che è lì, e non gira. Contemporaneamente, e dappertutto. Non ha bisogno di rincorrere le persone per acchiapparle, lei starà sempre dove staranno loro. Ora, grazie al metodo dell'avviso per corrispondenza, potrebbe starsene tranquillamente nella sala sotterranea e aspettare che se ne incaricasse la posta, ma la sua natura è più forte, ha bisogno di sentirsi libera, sollevata. Come diceva già l'antico detto, gallina di bosco, non c'è pollaio che tenga. In senso figurato, dunque, la morte gira per il bosco. Non ricadrà di nuovo nella stupidaggine, o nell'imperdonabile debolezza di reprimere quanto di meglio c'è in lei, la sua illimitata virtù espansiva, dunque non ripeterà la penosa azione di concentrarsi e mantenersi sull'ultima soglia del visibile, senza passare dall'altro lato, come aveva fatto la notte scorsa, dio solo sa con che fatica, nelle ore che si era trattenuta in casa del musicista. Presente dappertutto, come abbiamo detto mille e una volta, si trova anche là. Il cane dorme nel giardino, al sole, in attesa che il padrone rientri a casa. Non sa dov'è andato né cosa sia andato a fare, e l'idea di seguirne le tracce, se mai l'ha tentato, è qualcosa cui non pensa più, tanti e tanto disorientanti sono i buoni e i cattivi odori di una città capitale. Non pensiamo mai che quello che i cani conoscono di noi sono altre cose di cui noi non abbiamo la minima idea. La morte, quella, sì, sa che il violoncellista è lì seduto sul palcoscenico di un teatro, alla destra del maestro, nel posto che corrisponde allo strumento che suona, lo vede muovere l'arco con la mano destra, vede la mano sinistra, sinistra ma non meno destra dell'altra, salire e scendere lungo le corde, proprio come aveva fatto pure lei quasi al buio, nonostante non abbia mai studiato musica, neppure il più elementare dei solfeggi, in tempo tre quarti. Il maestro ha interrotto la prova, ha vibrato la bacchetta sul bordo del leggio per un commento e un ordine, pretende che in questo passaggio i violoncelli, proprio i violoncelli, si facciano sentire senza dare l'impressione che suonino, una specie di sciarada acustica che i musicisti danno mostra di aver decifrato senza difficoltà, l'arte è così, ci sono cose che sembrano del tutto impossibili al profano e in fin dei conti non lo erano. La morte, superfluo dirlo, riempie tutto il teatro fino in cima, fino ai dipinti allegorici del soffitto e all'immenso lampadario ora spento, ma il punto di osservazione che preferisce in questo momento è quello di un palco poco sopra al livello del palcoscenico, antistante, ancorché un po' laterale, agli strumenti a corda dalla tonalità grave, alle viole, che sono i contralti della famiglia dei violini, ai violoncelli, che corrispondono al basso, e ai contrabbassi, che sono quelli dalla voce grossa. Sta lì seduta, su una seggiola stretta tappezzata di velluto cremisi, e guarda fissamente il primo violoncellista, quello che ha visto dormire e che usa il pigiama a righe, quello che ha un cane che a quest'ora dorme al sole nel giardino di casa, aspettando il ritorno del padrone. Quello è il suo uomo, un musicista, nient'altro che un musicista, come lo sono i quasi cento uomini e donne disposti a semicerchio davanti al loro sciamano privato, che è il maestro, e che uno di questi giorni, in una qualsiasi settimana, mese o anno futuro, riceveranno a casa la letterina di colore viola e lasceranno il posto vuoto, finché un altro violinista, o flautista, o trombettista, verrà a sedersi sulla stessa seggiola, forse ormai con un altro sciamano lì a far gesti con la bacchetta per architettare i suoni, la vita è un'orchestra che suona sempre, intonata, stonata, un piroscafo titanic che affonda sempre e sempre torna in superficie, ed è allora che la morte pensa che si ritroverebbe senza saper cosa fare se la nave affondata non potesse mai più risalire cantando quel canto evocativo delle acque che scorrono sulle fiancate, come dev'esser stato, scivolando con altra rumorosa soavità sul corpo ondulante della dea, quello di anfitrite nell'ora unica della sua nascita, per trasformarla in colei che circonda i mari, che questo è il significato del nome che le hanno dato. La morte si domanda dove sarà ora anfitrite, la figlia di nereo e doride, dove sarà quel che, pur non essendo mai esistito nella realtà, ciononostante per breve tempo ha dimorato nella mente umana al fine di crearvi, per breve tempo pure, una certa e particolare maniera di dare senso al mondo, di ricercare i significati di quella stessa realtà. E non l'hanno capita, pensò la morte, e non possono capirla per quanto facciano, perché nella loro vita tutto è provvisorio, tutto precario, tutto passa irrimediabilmente, gli dèi, gli uomini, quel che è stato è ormai finito, quel che è non sarà sempre, e persino io, la morte, finirò quando non ci sarà più nessuno da ammazzare, sia nella maniera classica, sia per corrispondenza. Sappiamo che non è la prima volta che un pensiero del genere passa per ciò che in lei pensa, qualunque cosa sia, ma è stata la prima volta che il fatto di averlo pensato le ha causato questo sentimento di profondo sollievo, come qualcuno che, avendo terminato il suo lavoro, si riappoggia lentamente per riposare. All'improvviso, l'orchestra tace, si ode solo il suono di un violoncello, questo si chiama un assolo, un modesto assolo che non arriverà a durare neppure due minuti, è come se dalle forze che lo sciamano aveva invocato si fosse levata una voce, magari parlando a nome di tutti quelli che ora sono silenziosi, persino il maestro è lì immobile, guarda quel musicista che ha lasciato aperto sopra una sedia il quaderno con la suite numero sei opera mille e dodici in re maggiore di johann sebastian bach, la suite che lui non suonerà mai in questo teatro, perché è solo un violoncellista d'orchestra, anche se il principale fra i suoi pari, non uno di quei famosi concertisti che percorrono tutto il mondo suonando e dando interviste, ricevendo fiori, applausi, omaggi e onorificenze, è ben fortunato se di tanto in tanto gli vengono fuori un certo numero di battute da suonare in assolo, qualche compositore generoso che si è ricordato di quel lato dell'orchestra dove solitamente accadono ben poche cose fuori dalla routine. Quando la prova sarà terminata, riporrà il violoncello nella custodia e tornerà a casa in tassì, uno di quei tassì dal portabagagli grande, ed è possibile che stasera, dopo cena, apra la suite di bach sul leggio, tragga un profondo respiro e sfiori con l'arco le corde perché la prima nota che nascerà possa consolarlo delle incorreggibili banalità del mondo e la seconda le faccia dimenticare, se può, l'assolo è ormai terminato, il tutti dell'orchestra ha coperto l'ultima eco del violoncello, e lo sciamano, con un gesto imperioso della bacchetta, è tornato al suo ruolo di invocatore e guida degli spiriti sonori. La morte è orgogliosa di quanto il suo violoncellista abbia suonato bene. Quasi si trattasse di una persona di famiglia, la madre, la sorella, una fidanzata, una moglie no, perché quest'uomo non si è mai sposato.
Nei tre giorni seguenti, eccetto il tempo necessario per correre nella sala sotterranea, scrivere le lettere in tutta fretta e inviarle alla posta, la morte fu, più che la sua ombra, l'aria stessa che il musicista respirava. L'ombra ha un grave difetto, la si perde, non si vede dov'è quando le manca una fonte luminosa. La morte viaggiò seduta accanto a lui nel tassì che lo condusse a casa, entrò quando entrò lui, contemplò con benevolenza le effusioni pazzerellone del cane all'arrivo del padrone, e dopo, come farebbe qualcuno invitato a passar lì un periodo, si installò. Per chi non ha bisogno di muoversi, è facile, tant'è che se ne stia seduto in terra o appollaiato in cima a un armadio. La prova dell'orchestra era finita tardi, fra poco sarà buio. Il violoncellista diede da mangiare al cane, poi si preparò la cena con il contenuto di un paio di scatolette che aprì, riscaldò quel che c'era da riscaldare, e poi stese una tovaglia sul tavolo della cucina, apparecchiò con le posate e il tovagliolo, versò il vino in un bicchiere e, senza fretta, come se pensasse ad altro, si mise la prima forchettata di cibo in bocca. Il cane gli si è seduto accanto, qualche avanzo che il padrone potrebbe magari lasciare nel piatto e potrebbe dargli sarà il suo dolce. La morte guarda il violoncellista. Per principio, non distingue tra gente brutta e gente bella, probabilmente perché, non conoscendo di se stessa altro che il teschio che è, ha l'irresistibile tendenza a far apparire il nostro disegnato sotto la faccia che ci serve da vetrina. In fondo in fondo, in verità va detto, agli occhi della morte siamo tutti quanti brutti allo stesso modo, anche quando eravamo stati reginette di bellezza o re di quel che mascolinamente lo equivalga. Ne apprezza le dita robuste, immagina che i polpastrelli della mano sinistra siano divenuti a poco a poco più duri, forse addirittura leggermente callosi, nella vita ci sono queste e ben altre ingiustizie, si veda ora il caso della mano sinistra, cui tocca la responsabilità di svolgere il lavoro più pesante del violoncello e riceve dal pubblico tanti meno applausi della mano destra. Terminata la cena, il musicista lavò i piatti, ripiegò meticolosamente la tovaglia e il tovagliolo, li mise in un cassetto della credenza e prima di uscire dalla cucina si guardò intorno per vedere se c'era ancora qualcosa fuori posto. Il cane lo seguì nella sala di musica, dove la morte li aspettava. Contrariamente alla supposizione che avevamo fatto in teatro, il musicista non suonò la suite di bach. Un giorno, chiacchierando con alcuni colleghi dell'orchestra che scherzosamente parlavano della possibilità di comporre dei ritratti musicali, dei veri e propri ritratti, non tipi, come quelli di samuel goldenberg e schmuyle, di mussorgsky, gli era venuto in mente di dire che il suo ritratto, se davvero fosse esistito in musica, non lo avrebbero certo trovato in nessuna composizione per violoncello, ma in un brevissimo studio di chopin, opera venticinque, numero nove, in sol bemolle maggiore. Gli avevano domandato perché e lui aveva risposto che non riusciva a vedersi in nient'altro che fosse stato scritto in uno spartito e che quella gli sembrava la migliore delle ragioni. E che in cinquantotto secondi chopin aveva detto tutto quanto si sarebbe potuto dire di una persona che non poteva aver conosciuto. Per alcuni giorni, come affettuoso divertissement, i più spiritosi lo avevano chiamato cinquantotto secondi, ma il soprannome era troppo lungo per mantenersi, e anche perché non è possibile mantener vivo un dialogo con qualcuno che aveva deciso di impiegare cinquantotto secondi a rispondere a quello che gli si domandava. Il violoncellista avrebbe finito per vincere l'amichevole contesa. Come se avesse avvertito la presenza di un terzo in casa sua, cui, per motivi non spiegati, avrebbe dovuto parlare di se stesso, e per non dover fare quel lungo discorso di cui persino la vita più semplice ha bisogno per dire di se stessa qualcosa che valga la pena, il violoncellista si sedette al pianoforte e, dopo una breve pausa per dar modo al pubblico di accomodarsi, attaccò a suonare. Sdraiato accanto al leggio e già sonnecchiante, il cane non parve dare importanza alla tempesta sonora che si era scatenata sopra la sua testa, o perché l'aveva sentita altre volte, o forse perché non aggiungeva niente a quello che conosceva del padrone. La morte, però, che per dovere d'ufficio aveva ascoltato tante altre musiche, specialmente la marcia funebre dello stesso chopin o l'adagio assai della terza sinfonia di beethoven, ebbe per la prima volta nella sua lunghissima vita la percezione di quella che sarebbe potuta essere infine una perfetta affinità tra ciò che si dice e il modo in cui lo si sta dicendo. Le importava ben poco che quello fosse il ritratto musicale del violoncellista, la cosa più probabile è che le addotte somiglianze, tanto le effettive quanto le immaginate, se le fosse costruite lui stesso nella sua testa, quello che impressionava la morte era il fatto che le era parso di sentire in quei cinquantotto secondi di musica una trasposizione ritmica e melodica di ogni e qualsivoglia vita umana, normale o straordinaria, per la sua tragica brevità, per la sua intensità disperata, e anche per via di quell'accordo finale che era come un punto di sospensione lasciato nell'aria, nel vago, da qualche parte, come se, irrimediabilmente, fosse rimasto ancora qualcosa da dire. Il violoncellista era caduto in uno dei peccati umani che meno si perdona, quello della presunzione, quando aveva immaginato di vedere la propria ed esclusiva figura in un ritratto nel quale in definitiva si ritrovavano tutti, la quale presunzione, comunque, a ben notare, se non vogliamo rimanere alla superficie delle cose, la si sarebbe potuta altrettanto interpretare come una manifestazione del suo esatto opposto, ossia, l'umiltà, visto che, se quello era il ritratto di tutti, dovrei esserci raffigurato anch'io. La morte esita, non riesce a decidersi se per la presunzione o per l'umiltà, e, per spattare, per togliersi ogni dubbio, ora si sofferma a osservare il musicista, sperando che l'espressione del viso le riveli ciò che manca, o forse le mani, le mani sono due libri aperti, non per le ragioni, supposte o autentiche, della chiromanzia, con quelle linee del cuore e della vita, della vita, signori miei, avete sentito bene, della vita, ma perché parlano quando si aprono o si chiudono, quando accarezzano o colpiscono, quando asciugano una lacrima o celano un sorriso, quando si posano su una spalla o accennano un saluto, quando lavorano, quando stanno ferme, quando dormono, quando si svegliano, e allora la morte, terminata l'osservazione, ne concluse che non è vero che l'antonimo della presunzione sia l'umiltà, benché lo giurino solennemente tutti i dizionari del mondo, poveri dizionari, che hanno da governare se stessi e governare noi con le parole che esistono, quando sono tante quelle che ancora mancano, quella, per esempio, che dovrebbe essere il contrario attivo della presunzione, ma non certo quel capo chino dell'umiltà, quella parola che vediamo chiaramente scritta sul viso e sulle mani del violoncellista, ma che non è capace di dirci come si chiama.
Si dà il caso che l'indomani sia domenica. Col tempo che si presenta buono, proprio come oggi, il violoncellista ha l'abitudine di andare a passare la mattinata in uno dei parchi della città in compagnia del cane e di un paio di libri. L'animale non si allontana mai molto, anche quando l'istinto lo spinge ad andare da un albero all'altro a fiutare le pisciatine dei suoi congeneri. Di tanto in tanto alza la zampa, ma tutto si riduce lì quanto al soddisfacimento dei bisogni escretori. L'altro, per così dire complementare, lo risolve disciplinatamente nel giardino della casa dove vive, perciò il violoncellista non deve andargli dietro raccogliendo gli escrementi in un sacchettino di plastica con l'aiuto della paletta appositamente congegnata all'uopo. Si tratterebbe di un notevole esempio dei risultati di una buona educazione canina se non si desse il caso straordinario che è stata un'idea dell'animale stesso, il quale è dell'opinione che un musicista, un violoncellista, un artista che si sforza di arrivare degnamente a suonare la suite numero sei opera mille e dodici in re maggiore di bach, è dell'opinione, dicevamo, che non stia bene che un musicista, un violoncellista, un artista sia venuto al mondo per raccogliere da terra le cacche fumanti del suo cane o di qualsiasi altro. Non è cosa, bach, per esempio, ha detto un giorno al suo padrone, non l'ha mai fatto. Il musicista ha risposto che da allora i tempi sono cambiati molto, ma è stato costretto a riconoscere che bach, in effetti, non lo aveva mai fatto. Benché apprezzi la letteratura in generale, e basterà guardare gli scaffali della sua biblioteca per appurarlo, il musicista ha una predilezione particolare per i libri di anatomia e scienze naturali o della natura, e oggi ha pensato di portare un manuale di entomologia. Per mancanza di preparazione previa non si aspetta di apprendere granché, ma si distrae leggendo che sulla terra c'è quasi un milione di specie di insetti e che questi si dividono in due ordini, gli pterigoti, che sono provvisti di ali, e gli apterigoti, che non le hanno, e che si classificano in ortotteri, come la cavalletta, blattidi, come lo scarafaggio, mantoidei, come la mantide religiosa, neurotteri, come la crisopa, odonati, come la libellula, efemerotteri, come l'effimera, tricotteri, come la friganea, isotteri, come la termite, afanitteri, come la pulce, anopluri, come il pidocchio, mallofagi, come il pidocchio dei polli, eterotteri, come la cimice, omotteri, come la cocciniglia, ditteri, come la mosca, imenotteri, come la vespa, lepidotteri, come la testa di morto, coleotteri, come lo scarabeo, e, infine, tisanuri, come il pesciolino d'argento. Come si può vedere nella fotografia riportata nel libro, la testa di morto è una farfalla, e il suo nome latino è acherontia atropos. È notturna, ostenta sulla parte dorsale del torace un disegno simile a un teschio umano, raggiunge la dimensione di dodici centimetri ed è di colorazione scura, con le ali posteriori gialle e nere. E la chiamano atropos, cioè, morte. Il musicista non sa, e non potrebbe mai immaginarlo, che la morte guarda, affascinata, dietro la sua spalla, la fotografia a colori della farfalla. Affascinata e anche confusa. Rammentiamo che la parca incaricata di occuparsi del passaggio della vita degli insetti alla non vita, ossia, ammazzarli, è un'altra, non è questa, e che, anche se in molti casi il modus operandi è lo stesso per entrambe, pure le eccezioni sono numerose, basti dire che gli insetti non muoiono per cause tanto comuni nella specie umana quali, per esempio, la polmonite, la tubercolosi, il cancro, la sindrome dell'immunodeficienza acquisita, volgarmente nota come aids, gli incidenti stradali o le affezioni cardiovascolari. Fin qui, chiunque lo capirebbe. Ciò che maggiormente si fatica a cogliere, quello che sta confondendo questa morte che continua a guardare stando dietro la spalla del violoncellista è che un teschio umano, disegnato con una straordinaria precisione, sia comparso, non si sa in che epoca della creazione, sul dorso peloso di una farfalla. Vero è che anche nel corpo umano compaiono a volte delle farfalline, ma questo non è altro che un artificio elementare, sono semplici tatuaggi, non sono venute al momento della nascita. Probabilmente, pensa la morte, c'è stato un tempo in cui tutti gli esseri viventi erano una cosa sola, ma dopo, a poco a poco, con la specializzazione, si ritrovarono divisi in cinque regni, vale a dire, i monera, i protisti, i funghi, le piante e gli animali, nel cui interno, ci riferiamo ai regni, si sono succedute nel corso delle ere infinite macrospecializzazioni e microspecializzazioni, per cui non c'è affatto da stupirsi se, in mezzo a una tale confusione, a una tale baraonda biologica, qualche particolarità di alcuni è comparsa ripetuta in altri. Ciò spiegherebbe, per esempio, non solo l'inquietante presenza di un teschio bianco sul dorso di questa farfalla acherontia atropos, che, curiosamente, oltre alla morte, reca nel nome il nome di un fiume dell'inferno, ma anche le non meno inquietanti somiglianze della radice della mandragora con il corpo umano. Non si sa davvero che pensare davanti a tanta meraviglia della natura, davanti a prodigi tanto sublimi. I pensieri della morte, però, che continua a guardare fisso stando dietro la spalla del violoncellista, hanno già imboccato un'altra strada. Ora è triste perché paragona quel che sarebbe stato utilizzare le farfalle dal teschio come messaggere di morte invece di quelle stupide lettere di colore viola che al principio le erano parse la più geniale delle idee. A una di queste farfalle non sarebbe mai venuta l'idea di tornare indietro, ha marchiato sulla schiena il suo obbligo, è per questo che è nata. L'effetto spettacolare, inoltre, sarebbe stato del tutto diverso, invece di un banale postino che viene a consegnarci una lettera, avremmo visto dodici centimetri di farfalla svolazzarci sopra la testa, l'angelo delle tenebre lì a esibire le sue ali nere e gialle, e d'improvviso, dopo avere sfiorato il terreno e tracciato il circolo da cui non usciremo più, ascendere verticalmente davanti a noi e piazzare il suo teschio davanti al nostro. È più che evidente che non lesineremmo gli applausi a una tale acrobazia. Da qui si vede come la morte che ha a suo carico gli esseri umani abbia ancora molto da imparare. Chiaro, lo sappiamo bene che le farfalle non si trovano sotto la sua giurisdizione. Né loro, né tutte le altre specie animali, praticamente infinite. Dovrebbe negoziare un accordo con la collega del dipartimento zoologico, quella responsabile della gestione di quei prodotti naturali, chiederle in prestito un certo numero di farfalle acherontia atropos, anche se molto probabilmente, purtroppo, tenendo conto dell'abissale diversità di estensione dei rispettivi territori e delle popolazioni corrispondenti, la suddetta collega le risponderebbe con un superbo, maleducato e perentorio no, tanto perché impariamo che la mancanza di cameratismo non è una parola vana, persino nella gestione della morte. Si pensi solo a quel milione di specie di insetti di cui parlava il manuale di entomologia elementare, s'immagini, se mai è possibile, il numero di individui esistenti in ciascuna, e poi ditemi se non si troverebbero più bestioline di questo genere sulla terra che non stelle nel cielo, o nello spazio siderale, se preferiamo dare un nome poetico alla convulsa realtà dell'universo in cui siamo un filino di merda sul punto di dissolversi. La morte degli umani, attualmente una ridicolaggine di sette mila milioni di uomini e donne alquanto mal distribuiti nei cinque continenti, è una morte secondaria, subalterna, lei stessa ha perfetta coscienza del proprio posto nella scala gerarchica di tanatos, come ha avuto l'onestà di riconoscere nella lettera inviata al giornale che le aveva scritto il nome con l'iniziale maiuscola. Tuttavia, siccome la porta dei sogni è tanto facile da aprire, tanto alla portata di chiunque che neanche le imposte ci richiedono per il consumo, la morte, questa che ora ha smesso di guardare da dietro la spalla del violoncellista, si compiace immaginando come sarebbe avere ai suoi ordini un battaglione di farfalle allineate sopra il tavolo, con lei che fa l'appello a una a una e dà le istruzioni, tu vai da quella parte, tu cerca la tal persona, piazzale davanti il teschio e torna qui. Allora il musicista crederebbe che la sua farfalla acherontia atropos si sarebbe levata in volo dalla pagina aperta, sarebbe il suo ultimo pensiero e l'ultima immagine che porterebbe con sé aggrappata alla retina, nessuna donna grassa vestita di nero lì ad annunciargli la morte, come si dice che vide marcel proust, nessun fantasma avvolto in un lenzuolo bianco, come affermano i moribondi dalla vista penetrante. Una farfalla, non più che il soave fruscio delle ali setose di una farfalla grande e scura con una macchia bianca che sembra un teschio.
Il violoncellista guardò l'orologio e vide che l'ora di pranzo era passata da un pezzo. Il cane, che già da dieci minuti stava pensando la stessa cosa, si era seduto accanto al padrone e, appoggiando il capo sul suo ginocchio, aspettava pazientemente che tornasse nel mondo. Non lontano da lì c'era un piccolo ristoro che forniva panini e altre minutaglie alimentari di simile natura. Ogni volta che veniva al parco di mattina, il violoncellista era cliente e non variava nell'ordinazione che faceva. Due panini con tonno e maionese e un bicchiere di vino per sé, un panino con carne poco cotta per il cane. Se il tempo era gradevole, come oggi, si sedevano a terra, sotto l'ombra di un albero e, mentre mangiavano, chiacchieravano. Il cane si teneva sempre il meglio per la fine, cominciava con le fette di pane e solo dopo si concedeva il piacere della carne, masticando senza fretta, coscientemente, assaporandone tutto il sughetto. Distratto, il violoncellista mangiava come capitava, pensava alla suite in re maggiore di bach, al preludio, un certo passaggio dell'accidente su cui alcune volte gli capitava di soffermarsi, esitare, dubitare, che è la cosa peggiore che può succedere nella vita a un musicista. Dopo aver finito di mangiare, si sdraiarono uno accanto all'altro, il violoncellista si appisolò, il cane si era già addormentato un minuto prima. Quando si svegliarono e tornarono a casa, la morte li accompagnò. Mentre il cane correva verso il giardino per i bisogni, il violoncellista mise la suite di bach sul leggio, l'aprì al passaggio scabroso e l'implacabile esitazione si rinnovò. Alla morte fece pena, Poverino, il peggio è che non avrà il tempo per farcela, del resto, non lo hanno mai, anche quelli che ci si sono avvicinati son sempre rimasti lontani. Per la prima volta, allora, la morte notò che in tutta la casa non c'era una sola fotografia di donna, salvo quella di una signora avanti nell'età che aveva tutta l'aria di essere la madre e che era in compagnia di un uomo che doveva essere il padre.
XIV
Ho un grande favore da chiederti, disse la morte. Come sempre, la falce non rispose, l'unico segnale di aver sentito fu un sussulto poco più che percettibile, una manifestazione generale di sconcerto fisico, posto che da quella bocca non erano mai uscite parole simili, chiedere un favore, e per giunta grande. Dovrò star fuori per una settimana, continuò la morte, e ho bisogno che nel frattempo tu mi sostituisca nel disbrigo delle lettere, ovviamente non ti sto chiedendo di scriverle, ma solo di inviarle, dovrai unicamente emettere una specie di ordine mentale e far vibrare un pochettino la tua lama dall'interno, tipo un sentimento, un'emozione, qualcosa che mostri che sei viva, questo basterà perché le lettere proseguano per la loro destinazione. La falce se ne rimase taciturna, ma il silenzio equivaleva a una domanda. È che non posso continuare a fare avanti e indietro per occuparmi della posta, disse la morte, devo concentrarmi totalmente sulla risoluzione del problema del violoncellista, scoprire il modo di consegnargli quella maledetta lettera. La falce aspettava. La morte proseguì, La mia idea è questa, scrivo tutte in una volta le lettere relative alla settimana che starò assente, un procedimento che mi permetto di adottare considerando il carattere eccezionale della situazione, e, come ti ho già detto, tu dovrai solo inviarle, non avrai neanche bisogno di muoverti da dove sei ora, lì accostata alla parete, bada che sto cercando di essere gentile, ti chiedo un favore da amica quando potrei benissimo, senza starci a pensare su, darti un semplice ordine, il fatto che negli ultimi tempi non mi sia più servita di te non significa che tu non sia ancora al mio servizio. Il silenzio rassegnato della falce confermava che era proprio così. Allora siamo d'accordo, concluse la morte, dedicherò questa giornata a scrivere le lettere, calcolo che finiranno per essere circa duemila e cinquecento, immaginati, sono sicura che arriverò alla fine del lavoro col polso a pezzi, te le lascio bene ordinate sopra il tavolo, a gruppi separati, da sinistra a destra, non sbagliarti, da sinistra a destra, bada bene, da qui a qui, mi ritroverei con un'altra dannata complicazione se le persone ricevessero fuori tempo le notifiche, sia in anticipo che in ritardo. Si dice che chi tace acconsente. La falce aveva taciuto, dunque aveva acconsentito. Avvolta nel suo lenzuolo, con il cappuccio all'indietro per vedere meglio, la morte si sedette a lavorare. Scrisse, scrisse, passarono le ore e lei lì a scrivere, e prima le lettere, e poi le buste, e poi piegarle, e poi chiuderle, ci si domanderà come ci riusciva se non ha né la lingua né il posto da dove viene la saliva, questo, cari signori miei, era ai tempi beati dell'artigianato, quando vivevamo ancora nelle caverne di una modernità che a stento cominciava ad affacciarsi, ora le buste sono le cosiddette autoadesive, si toglie la strisciolina di carta ed è fatta, dei molteplici impieghi che aveva la lingua, si può dire che questo ormai fa parte della storia. La morte, però, non è arrivata alla fine col polso a pezzi dopo un così grande sforzo solo perché, in verità, a pezzi ce l'ha da sempre. Son modi di dire che ci si attaccano al linguaggio, continuiamo a usarli anche dopo che da tempo hanno deviato dal significato originale, e non ci rendiamo conto che, per esempio nel caso di questa nostra morte che è stata in giro da queste parti nella figura di uno scheletro, il polso ce l'aveva già a pezzi fin dalla nascita, basta vedere la radiografia. Il gesto di congedo ha fatto scomparire nell'iper spazio le duecentottanta e passa buste di oggi, giacché la falce inizierà a svolgere le funzioni di spedizioniera postale che le erano state appena affidate solo a partire da domani. Senza pronunciare una parola, né addio, né arrivederci, la morte si alzò dalla sedia, si diresse all'unica porta esistente nella sala, quella porticina stretta cui tante volte abbiamo accennato senza avere la minima idea a cosa potesse servire, l'aprì e la richiuse dietro di sé. L'emozione fece si che la falce provasse lungo la lama, fino alla punta estrema, una fortissima vibrazione. Mai, a memoria di falce, quella porta era stata utilizzata.
Passarono le ore, tutte quelle che furono necessarie perché il sole nascesse là fuori, non qui, in questa sala bianca e fredda dove le pallide lampade, sempre accese, sembrava fossero state messe lì per fugare le ombre a un morto che avesse paura dell'oscurità. Ancora è presto perché la falce emetta l'ordine mentale che farà scomparire dalla sala il secondo mucchio di lettere, dunque potrà dormire un altro po'. È quanto sono soliti ripetersi gli insonni che non hanno chiuso occhio tutta la notte, ma che, poveri loro, credono di poter illudere il sonno solo perché gliene chiedono un altro po', soltanto un altro po', proprio loro cui non era stato concesso neanche un minuto di riposo. Da sola, durante tutte quelle ore, la falce cercò una spiegazione per l'insolito fatto che la morte era uscita da una porta cieca che, sin dal momento in cui l'avevano messa lì, pareva condannata sino alla fine dei tempi. Rinunciò infine a rompersi il capo, presto o tardi riuscirà a sapere cosa sta capitando là dietro, giacché è praticamente impossibile che tra la morte e la falce vi siano dei segreti, come del resto non ce n'è tra il falcetto e la mano che lo impugna. Non dovette aspettare molto. Sarà forse passata mezz'ora d'orologio quando la porta si aprì e sulla soglia comparve una donna. La falce aveva sentito dire che poteva accadere, che la morte si trasformasse in un essere umano, preferibilmente una donna per quella faccenda dei generi, ma pensava si trattasse di una storia, di un mito, di una leggenda come tante e tante altre, la fenice rinata dalle proprie ceneri, per esempio, l'uomo della luna che trasporta un fascio di legna sulle spalle perché ha lavorato in un giorno santo, il barone di münchhausen che, tirandosi per i capelli, si salvò dal morire affogato in un pantano insieme al cavallo che montava, il dracula della transilvania che per quanto lo ammazzino non muore, a meno che non gli piantino un paletto nel cuore, e c'è comunque chi ne dubiti, la famosa pietra, nell'antica irlanda, che urlava quando la toccava il vero re, la fonte dell'epiro che spegneva le torce accese e infiammava quelle spente, le donne che lasciavano scorrere il sangue delle mestruazioni sui campi coltivati per aumentare la fertilità della semina, le formiche grandi quanto cani, i cani grandi quanto formiche, la resurrezione al terzo giorno perché non era stata possibile al secondo. Sei molto bella, commentò la falce, ed era vero, la morte era molto carina e giovane, avrà avuto un trentasei o trentasette anni come avevano calcolato gli antropologi, Hai parlato, finalmente, esclamò la morte, Mi è parso che ci fosse un buon motivo, non capita tutti i giorni di vedere la morte trasformata in un esemplare della specie di cui è nemica, Vuoi dire che non l'hai fatto perché mi hai trovato bella, Anche, anche, ma avrei parlato comunque se mi fossi apparsa nella figura di una donna grassa vestita di nero come a monsieur marcel proust, Non sono grassa e non sono neanche vestita di nero, e tu non hai la minima idea di chi era marcel proust, Per ovvie ragioni, le falci, tanto questa con cui si mietono gli esseri umani come le altre, comuni, con cui si falcia l'erba, non hanno mai potuto imparare a leggere, ma tutte siamo state dotate di buona memoria, loro della linfa, io del sangue, qualche volta ho sentito il nome di proust e ho collegato i fatti, è stato un grande scrittore, uno dei più grandi mai esistiti, e il suo cartellino sarà negli archivi antichi, Sì, ma non nei miei, non sono io la morte che l'ha ammazzato, Allora non era di questo paese quel tal monsieur marcel proust, domandò la falce, No, era di un altro, di un paese che si chiama francia, rispose la morte, e nelle sue parole si notava un certo tono di tristezza, Che ti consoli dal dispiacere di non essere stata tu ad ammazzarlo il fatto che ti vedo tanto bella, che dio ti benedica, la spalleggiò la falce, Ti ho sempre considerata un'amica, ma il mio dispiacere non è perché non l'ho ammazzato io, Allora, Non saprei spiegarlo. La falce guardò la morte stupita e ritenne preferibile cambiare argomento, Dove sei andata a trovare quello che hai indosso, domandò, C'è molto fra cui scegliere dietro quella porta, è come un magazzino, come un enorme guardaroba di teatro, sono centinaia di armadi, centinaia di manichini, migliaia di attaccapanni, portami là, chiese la falce, Sarebbe inutile, non ne capisci né di mode né di stili, A prima vista non mi sembra tu ne capisca molto di più, non credo che le diverse parti di quel che indossi siano ben abbinate fra loro, Tu non esci mai da questa sala, e dunque ignori quello che si usa al giorno d'oggi, Comunque, ti voglio dire che codesta blusa somiglia molto ad altre che rammento di quando conducevo una vita più attiva, Le mode girano, vanno e vengono, vengono e vanno, se ti parlassi di cosa vedo per la strada, Ci credo senza che tu debba dirmelo, Non pensi che la blusa stia bene con il colore dei pantaloni e delle scarpe, Credo di sì, concesse la falce, E con questo basco che ho sul capo, Pure, E con questa giacca di pelle, Pure, E con questa borsa a tracolla, Non dico di no, E con questi orecchini alle orecchie, Mi arrendo, Sono irresistibile, confessalo, Dipende dal tipo d'uomo che vuoi sedurre, In ogni caso ti sembra proprio che io sia carina, Son io che l'ho detto per prima, In tal caso, ti saluto, sarò di ritorno domenica, al più tardi lunedì, non dimenticare di spedire la posta di ogni giorno, suppongo che non sarà troppo lavoro per chi passa il tempo accostato alla parete, Porti via la lettera, domandò la falce, che aveva deciso di non reagire all'ironia, Sì, ce l'ho qui dentro, rispose la morte, toccando la borsa con la punta delle dita affusolate, ben curate, che chiunque avrebbe voluto baciare.
La morte apparve alla luce del giorno in una strada stretta, fiancheggiata da muri, già quasi fuori città. Non si vede alcuna porta o portone da cui possa essere uscita, come del resto non si coglie alcun indizio che ci permetta di ricostruire il cammino che dalla fredda sala sotterranea l'ha condotta sin qui. Il sole non molesta le orbite vuote, ragion per cui i crani recuperati negli scavi archeologici non hanno necessità di abbassare le palpebre quando la luce batte improvvisamente sulle loro facce e il felice antropologo annuncia che il suo reperto osseo ha tutta l'aria di essere un neanderthal, anche se un esame successivo viene poi a dimostrare che in definitiva si tratta di un volgare homo sapiens. La morte, però, questa morte che si è fatta donna, tira fuori dalla borsa un paio di occhiali scuri e si difende quei suoi occhi ora umani dai pericoli di una oftalmia più che probabile in chi dovrà ancora abituarsi ai fulgori di una mattina d'estate. La morte percorre la strada in discesa fin dove i muri terminano e s'innalzano i primi palazzi. Da lì in poi si trova in un terreno conosciuto, non c'è una sola di queste case e di quante altre si estendono davanti ai suoi occhi fino ai limiti della città e del paese in cui non sia stata, e anzi, in quell'edificio in costruzione dovrà entrarci fra un paio di settimane per spingere giù da un ponteggio un muratore distratto che non baderà a dove andrà a mettere il piede. In casi come questo è nostra abitudine dire che così è la vita, quando saremmo ben più esatti se dicessimo che così è la morte. A questa ragazza dagli occhiali scuri che sta salendo in un tassì non le daremmo certo un tale nome, probabilmente penseremmo che dovrebbe essere proprio la personificazione della vita e ansimanti le correremmo dietro, ordineremmo all'autista di un altro tassì, se ci fosse, Segua quell'auto, e sarebbe inutile perché il tassì che ha caricato lei ha già svoltato l'angolo e qui non ce n'è altri cui poter supplicare, Per favore, segua quell'auto. Ora sì, ha veramente senso dire che la vita è così e fare spallucce rassegnati. Comunque sia, e che questo ci serva almeno da consolazione, la lettera che la morte ha con sé nella borsa a tracolla reca il nome di un altro destinatario e un altro indirizzo, il nostro turno di cadere dal ponteggio non è ancora arrivato. Al contrario di quel che si potrebbe ragionevolmente prevedere, la morte non ha dato all'autista del tassì l'indirizzo del violoncellista, bensì quello del teatro in cui lui suona. È vero che aveva deciso di puntare sul sicuro dopo i successivi smacchi subiti, ma non era stato per una mera casualità che aveva cominciato col trasformarsi in una donna, o, come uno spirito grammatico potrebbe anche esser portato a pensare, per quella storia dei generi cui si accennava prima, entrambi, in questo caso, della donna e della morte, femminili. Malgrado la sua totale mancanza di esperienza del mondo esterno, specialmente nel capitolo dei sentimenti, degli appetiti e delle tentazioni, la falce aveva colto in pieno il bersaglio quando, a un certo punto della conversazione con la morte, si è domandata qual era il tipo d'uomo che intendeva sedurre. Era questa la parola chiave, sedurre. La morte sarebbe potuta andare direttamente a casa del violoncellista, suonare il campanello e, quando lui avesse aperto la porta, lanciargli la prima esca di un affabile sorriso dopo essersi tolta gli occhiali, magari presentarsi come una venditrice di enciclopedie, un pretesto arcinoto, ma dai risultati quasi sempre sicuri, e allora delle due una, o lui l'avrebbe fatta entrare per discuterne tranquillamente davanti a una tazza di tè, o le avrebbe detto subito che non era interessato e fatto il gesto di chiudere la porta, al tempo stesso chiedendo gentilmente scusa per il rifiuto, Ancora ancora se fosse una enciclopedia musicale, si giustificherebbe con un sorriso timido. In qualsiasi situazione la consegna della lettera sarebbe stata facile, diciamo pure oltraggiosamente facile, e questo alla morte non piaceva affatto. L'uomo non la conosceva, ma lei conosceva l'uomo, aveva passato una notte nella sua stessa stanza, lo aveva sentito suonare, cose che, lo si voglia o no, creano dei legami, stabiliscono un'armonia, abbozzano un principio di rapporto, dirgli di botto, Morirai, hai otto giorni per vendere il violoncello e trovare un altro padrone per il cane, sarebbe stata una brutalità inadatta alla donna di bell'aspetto in cui si era trasformata. Il suo piano è un altro.
Nel cartellone esposto all'entrata del teatro si informava il rispettabile pubblico che quella settimana ci sarebbero stati due concerti dell'orchestra sinfonica nazionale, uno il giovedì, cioè, dopodomani, l'altro il sabato. È naturale che la curiosità di chi segue questo racconto con scrupolosa e meticolosa attenzione, a caccia di contraddizioni, scivoloni, omissioni e mancanze di logica, pretenda che le si spieghi con quali soldi la morte pagherà il biglietto per i concerti se meno di due ore fa è uscita da una sala sotterranea dove non risulta che esistano bancomat né banche dalla porta aperta. E già che si trova in vena di domande, vorrà anche che le si dica se gli autisti di tassì si sono messi a non riscuotere il dovuto dalle donne che portano gli occhiali scuri e hanno un sorriso gradevole e un corpo ben fatto. Orbene, prima che la malintenzionata supposizione cominci a mettere radici, affrettiamoci a chiarire che la morte non solo ha pagato quel che il tassametro segnava ma non si è neppure dimenticata di aggiungervi una mancia. Quanto alla provenienza del denaro, se continua a essere questa la preoccupazione del lettore, basterà dire che è uscito fuori da dove erano usciti fuori gli occhiali scuri, cioè, dalla borsa a tracolla, visto che, teoricamente, e che si sappia, nulla osta che da dove è venuta fuori una cosa non possa venirne fuori un'altra. Quello che, invece, potrebbe capitare sarebbe che i soldi con cui la morte ha pagato la corsa in tassì e dovrà pagare i due biglietti per i concerti, oltre all'albergo dove alloggerà nei prossimi giorni, fossero fuori corso. Per noi non sarebbe la prima volta di andare a letto con una moneta e alzarci con un'altra. È da presumere, dunque, che i soldi siano di buona qualità e ben coperti dalle leggi in vigore, a meno che, noti come sono i talenti mistificatori della morte, l'autista del tassì, senza rendersi conto di essere preso in giro, non abbia ricevuto dalla donna dagli occhiali scuri una banconota che non è di questo mondo o, per lo meno, di quest'epoca, con il ritratto di un presidente della repubblica al posto della veneranda e familiare faccia di sua maestà il re. La biglietteria del teatro ha appena aperto, la morte entra, sorride, saluta e chiede due palchi di primo ordine, uno per giovedì, l'altro per sabato. Insiste con l'impiegata che vuole assolutamente sia lo stesso palco per tutte e due le serate e, questione fondamentale, che sia situato alla destra del palcoscenico e il più vicino possibile. La morte infilò la mano nella borsa, ne tirò fuori il portafogli e porse le banconote che le erano parse necessarie. L'impiegata restituì il resto, Ecco a lei, disse, spero che i nostri concerti le piacciano, suppongo sia la prima volta, almeno non ricordo di averla vista da queste parti, e badi che io ho un'eccellente memoria per le fisionomie, non me ne sfugge una, è anche vero che gli occhiali alterano molto il viso, soprattutto se sono scuri come i suoi. La morte si tolse gli occhiali, E ora che ne dice, domandò, Sono certa di non averla mai vista prima, Forse perché la persona che ha davanti a sé, questa che sono ora, non aveva mai avuto bisogno di comprare i biglietti per un concerto, ancora pochi giorni fa ho avuto il piacere di assistere a una prova dell'orchestra e nessuno ha notato la mia presenza, Non capisco, Mi ricordi di spiegarglielo un giorno, Quando, Un giorno, il giorno, quello che arriva sempre, Non mi spaventi. La morte esibì il suo bel sorriso e domandò, Parlando francamente, trova che io abbia un aspetto che possa mettere paura, Macché, non era quel che volevo dire, Allora, faccia come me, sorrida e pensi a cose piacevoli, La stagione dei concerti durerà ancora un mese, Ecco una buona notizia, forse ci rivedremo la settimana prossima, Io sono sempre qui, ormai son divenuta quasi un arredo del teatro, Stia tranquilla, la troverei anche se non fosse qui, Allora l'aspetto, Non mancherò. La morte fece una pausa e domandò, A proposito, lei, o magari qualcuno della sua famiglia, ha forse ricevuto la lettera di colore viola, Quella della morte, Sì, quella della morte, Grazie a dio, no, ma gli otto giorni di un mio vicino scadono domani, quel poverino è talmente disperato che fa pena, Che dobbiamo farci, così è la vita, Ha ragione, sospirò l'impiegata, così è la vita. Per fortuna erano arrivate altre persone per acquistare i biglietti, altrimenti non si sa dove sarebbe potuta arrivare questa conversazione.
Ora si tratta di trovare un albergo che non sia molto lontano dalla casa del musicista. La morte si diresse a piedi verso il centro, entrò in una agenzia di viaggi, chiese di poter consultare una piantina della città, localizzò rapidamente il teatro, da lì il suo dito indice si spostò sulla carta verso il quartiere dove viveva il violoncellista. La zona era un po' distante, ma nelle vicinanze c'erano alcuni alberghi. L'impiegato gliene suggerì uno, non lussuoso, ma confortevole. Si offrì di fare personalmente la prenotazione per telefono e quando la morte gli domandò quanto gli doveva per il disturbo quello rispose, sorridendo, Lo metta sul mio conto. Al solito, la gente parla a vanvera, lancia parole a caso e non le passa per la testa di soffermarsi a pensare alle conseguenze, Lo metta sul mio conto, ha detto l'uomo, immaginando probabilmente, con quell'incorreggibile fatuità mascolina, qualche ameno incontro in un prossimo futuro. Ha corso il rischio che la morte gli rispondesse con uno sguardo gelido, Faccia attenzione, non sa con chi sta parlando, ma lei si limitò ad accennare un sorriso, ringraziò e uscì senza lasciare né un numero di telefono né un biglietto da visita. Nell'aria rimase un diffuso profumo in cui si mescolavano la rosa e il crisantemo, In effetti, è quel che sembra, metà rosa e metà crisantemo, mormorò l'impiegato, mentre ripiegava lentamente la piantina della città. Fuori, in strada, la morte faceva fermare un tassì e dava all'autista l'indirizzo dell'albergo. Non era soddisfatta di se stessa. Aveva Impaurito l'amabile signora della biglietteria, si era divertita alle sue spalle, e questo era stato un abuso imperdonabile. Le persone hanno già abbastanza paura della morte e non hanno certo bisogno che lei compaia loro davanti con un sorriso dicendo, Salve, sono io, che è la versione corrente, per così dire familiare, dell'ominoso latino memento, homo, qui pulvis est et in pulvis reverteris, e subito dopo, come se ciò non bastasse, era stata sul punto di apostrofare un tipo simpatico che le stava facendo un favore con quella stupida frase con cui le classi sociali cosiddette superiori hanno la sfacciata alterigia di provocare quelle che stanno sotto, Lei non sa chi sono io. No, la morte non è contenta della propria condotta. Ha la certezza che nello stato di scheletro non le sarebbe mai venuto in mente di comportarsi in questa maniera, Magari è perché ho preso un aspetto umano, evidentemente sono cose che si attaccano, pensò. Casualmente guardò fuori dal finestrino del tassì e riconobbe la strada in cui stavano passando, è qui che abita il violoncellista e quello è l'appartamento a pianterreno in cui vive. Alla morte parve di sentire una brusca compressione al plesso solare, un'improvvisa agitazione dei nervi, poteva essere il fremito del cacciatore nell'avvistare la preda, quando ce l'ha nel mirino del fucile, poteva essere una specie di oscuro timore, come se la morte cominciasse ad aver paura di se stessa. Il tassì si fermò, L'albergo è questo, disse l'autista. La morte pagò con quanto le aveva restituito l'impiegata del teatro, Tenga pure il resto, disse, senza far caso che il resto era superiore a quello che segnava il tassametro. Era scusata, è solo da oggi che aveva cominciato a usare i servizi di questo trasporto pubblico.
Nell'avvicinarsi al bancone della reception si ricordò che l'impiegato dell'agenzia di viaggi non le aveva domandato come si chiamava, si era limitato ad avvisare l'albergo, Vi sto mandando una cliente, sì, una cliente, subito, ed eccola lì, questa cliente che non avrebbe potuto dire di chiamarsi morte, con la lettera minuscola, prego, che non sapeva quale nome dare, ah, la borsa, la borsa che porta a tracolla, la borsa da cui sono venuti fuori gli occhiali scuri e i soldi, quella borsa da cui dovrà venir fuori un documento d'identità, Buonasera, in che posso servirla, domandò il portiere, Hanno telefonato da un'agenzia di viaggi un quarto d'ora fa facendo una prenotazione per me, Sì, signora, sono io che ho risposto, Eccomi qui, La prego di riempire questa scheda, per favore. Ormai la morte sa il nome che ha, glielo ha detto il documento d'identità aperto sul bancone, grazie agli occhiali scuri potrà copiare discretamente i dati senza che il portiere se ne accorga, un nome, una data di nascita, una nazionalità, uno stato civile, una professione, Eccola, disse, Quanti giorni si tratterrà nel nostro albergo, Intendo partire il prossimo lunedì, Mi permetta di fotocopiare la sua carta di credito, Non l'ho portata con me, ma posso pagare subito, anticipato, se vuole, Ah, non è necessario, disse il portiere d'albergo. Prese il documento d'identità per controllare i dati riportati nella scheda e, con una espressione di stupore sul viso, alzò lo sguardo. La fotografia che esibiva il documento era di una donna più vecchia. La morte si tolse gli occhiali e sorrise. Perplesso, il portiere guardò nuovamente il documento, la fotografia e la donna che aveva davanti erano adesso come due gocce d'acqua, uguali. Ha bagaglio, domandò mentre si passava la mano sulla fronte umida, No, sono venuta qui per fare acquisti, rispose la morte.
Se ne rimase in camera per tutto il giorno, pranzò e cenò in albergo. Guardò la televisione fino a tardi. Poi si mise a letto e spense la luce. Non dormì. La morte non dorme mai.
XV
Col suo vestito nuovo comprato ieri in un negozio del centro, la morte assiste al concerto. È lì seduta, da sola, nel palco di primo ordine e, come aveva fatto durante le prove, guarda il violoncellista. Prima che le luci della sala venissero abbassate, mentre l'orchestra aspettava l'entrata del maestro, lui notò quella donna. Non fu l'unico dei musicisti a far caso alla sua presenza. In primo luogo, perché occupava da sola il palco, il che, pur non essendo un caso raro, non è neanche tanto frequente. In secondo luogo perché era bella, magari non la più bella fra il pubblico femminile, ma bella in un modo indefinibile, particolare, impossibile da spiegare a parole, come un verso il cui senso ultimo, se è possibile che ciò esista in un verso, sfugge continuamente al traduttore. E infine perché la sua figura isolata, lì nel palco, circondata da vuoto e assenza ovunque, come se abitasse un nulla, sembrava l'espressione della solitudine più assoluta. La morte, che tanto e tanto pericolosamente aveva sorriso da quando è uscita dal suo sotterraneo gelato, ora non sorride. Fra il pubblico, gli uomini l'avevano osservata con dubbia curiosità, le donne con aperta inquietudine, ma lei, come un'aquila che cala rapida sull'agnello, ha occhi solo per il violoncellista. Con una differenza, però. Nello sguardo di quest'altra aquila che ha sempre afferrato le sue vittime c'è qualcosa di simile a un tenue velo di pietà, le aquile, lo sappiamo bene, sono obbligate ad ammazzare, glielo impone la loro natura, ma questa qui, in questo istante, preferirebbe forse, davanti all'agnello indifeso, aprire di colpo le potenti ali e di nuovo spiccare il volo verso l'alto, verso la fredda aria dello spazio, verso le irraggiungibili greggi delle nuvole. L'orchestra si è fermata. Il violoncellista comincia a suonare il suo assolo come se fosse nato unicamente per questo. Non sa che quella donna del palco serba nella sua borsetta appena inaugurata una lettera di colore viola di cui lui è il destinatario, non lo sa, non potrebbe saperlo, e nonostante ciò suona come se si stesse congedando dal mondo, dicendo finalmente tutto quello che aveva taciuto, i sogni infranti, i desideri frustrati, la vita, insomma. Gli altri musicisti lo guardano meravigliati, il maestro con sorpresa e rispetto, il pubblico sospira, rabbrividisce, il velo di pietà che annebbiava lo sguardo acuto dell'aquila è ora una lacrima. Ormai l'assolo è terminato, l'orchestra, tale e quale a un grande e lento mare, avanza e sommerge dolcemente il canto del violoncello, assorbendolo, ampliandolo come se volesse condurlo in un luogo dove la musica si sublimasse in silenzio, nell'ombra di una vibrazione che a poco a poco percorresse la pelle come l'ultima e inudibile risonanza di un timpano accarezzato da una farfalla. Il volo setoso e malevolo dell'acherontia atropos passò rapidamente per la memoria della morte, ma lei lo allontanò con un gesto della mano che tanto assomigliava a quello con cui faceva sparire le lettere dal tavolo di quella sala sotterranea quanto a un cenno di ringraziamento rivolto al violoncellista che ora girava il capo verso di lei, che perforava con lo sguardo l'ardente oscurità della sala. La morte ripeté il gesto e fu come se le sue dita affusolate fossero andate a posarsi sulla mano che muoveva l'arco. Malgrado il cuore avesse fatto tutto ciò che poteva perché accadesse, il violoncellista non sbagliò la nota. Le dita non l'avrebbero più sfiorato, la morte aveva capito che non si deve mai distrarre l'artista nella sua arte. Quando il concerto terminò e il pubblico irruppe in acclamazioni, quando le luci si accesero e il maestro fece alzare l'orchestra, e dopo, quando fece un cenno al violoncellista perché si alzasse, lui solo, per ricevere quella parte di applausi che meritatamente gli spettava, la morte, in piedi nel palco, finalmente sorridendo, incrociò le mani sul petto, in silenzio, e osservò, niente di più, che gli altri gridassero pure, che gli altri richiamassero per dieci volte il maestro, lei si limitava a osservare. Poi, lentamente, quasi controvoglia, il pubblico cominciò a uscire, intanto che l'orchestra si ritirava. Quando il violoncellista si girò verso il palco, lei, la donna, non c'era più. Così è la vita, mormorò.
Si sbagliava, la vita non è sempre così, la donna del palco sarà lì ad attenderlo alla porta degli artisti. Alcuni dei musicisti che stanno uscendo la guardano con qualche mira, ma avvertono, senza sapere come, che lei è difesa da un cerchio invisibile, da un circuito ad alto voltaggio in cui si brucerebbero come minuscole farfalle notturne. Poi, è comparso il violoncellista. Nel vederla, si bloccò, giunse persino ad accennare un movimento come a retrocedere, quasi che, vista da vicino, la donna fosse non più una donna, ma qualcosa di un'altra sfera, di un altro mondo, della faccia occulta della luna. Chinò il capo, tentò di unirsi ai colleghi che uscivano, di fuggire, ma la custodia del violoncello, sulla spalla, gli rese difficile quella manovra di schivamento. La donna era lì davanti a lui, gli diceva, Non mi sfugga, sono venuta solo per ringraziarla dell'emozione e del piacere di averla ascoltata, Grazie molte, ma io sono appena un musicista d'orchestra, non un famoso concertista, uno di quelli che gli ammiratori aspettano per un'ora solo per sfiorarlo o chiedergli un autografo, Se è di questo che si tratta, potrò chiederglielo anch'io, non ho portato con me l'album degli autografi, ma ho qui una busta che andrà benissimo, Non mi ha capito, io volevo solo dire che, per quanto lusingato dalla sua attenzione, non mi sento di meritarla, Il pubblico non sembrava della stessa opinione, Sono giornate, Proprio così, sono giornate, e, per coincidenza, questo è il giorno in cui le compaio io, Non vorrei che mi vedesse come un ingrato, un maleducato, ma molto probabilmente domani le sarà già passato il resto dell'emozione odierna e, così come mi è apparsa, scomparirà, Lei non mi conosce, sono molto decisa nei miei propositi, E quali sono i suoi propositi, Uno solo, conoscere lei, Ora mi ha conosciuto, e dunque possiamo dirci addio, Ha paura di me, domandò la morte, Mi inquieta, tutto qui, Ed è poca cosa che si senta inquieto in mia presenza, Sentirsi inquieto non significa giocoforza aver paura, potrebbe essere solo l'allerta della prudenza, La prudenza serve unicamente a rinviare l'inevitabile, prima o poi finisce per arrendersi, Spero non sia il mio caso, E io sono certa che lo sarà. Il musicista passò la custodia da una spalla all'altra, È stanco, domandò la donna, Un violoncello non pesa molto, il peggio è la custodia, soprattutto questa, che è una di quelle antiche, Ho bisogno di parlarle, Non vedo come, è quasi mezzanotte, ormai sono andati via tutti, Lì c'è ancora qualcuno, Quelle persone stanno aspettando il maestro, Potremmo parlare in un bar, Mi ci vede a entrare con un violoncello in spalla in un locale strapieno di gente, sorrise il musicista, immagini se tutti i miei colleghi ci andassero e si portassero gli strumenti, Potremmo dare un altro concerto, Potremmo, domandò il musicista, incuriosito dal plurale, Sì, c'è stato un tempo in cui suonavo il violino, ci sono persino delle fotografie mie dove figuro così, A quanto pare ha deciso di sorprendermi con ogni parola che dice, Sta a lei scoprire fino a che punto sarò ancora capace di sorprenderla, Non si può essere più espliciti, È in errore, non mi riferivo a quello cui ha pensato, E a cosa ho pensatole si può sapere, A un letto, e a me in quel letto, Scusi, È stata colpa mia, se io fossi un uomo e avessi udito le parole che ho rivolto a lei, certamente avrei pensato la stessa cosa, l'ambiguità si paga, La ringrazio per la franchezza.
La donna fece qualche passo e disse, Andiamo, Dove, domandò il violoncellista, Io, all'albergo dove sono alloggiata, lei, immagino a casa sua, Non la rivedrò, Le è passata l'inquietudine, Non sono mai stato inquieto, Non menta, D'accordo, lo ero, ma ora non lo sono più. Sul viso della morte comparve una specie di sorriso in cui non c'era neanche l'ombra di una gioia, Proprio quando dovrebbe averne più motivi, disse, Voglio rischiare, le ripeto perciò la domanda, Quale domanda, Se non la rivedrò, Verrò al concerto di sabato, mi troverò nello stesso palco, Il programma è diverso, non ho nessun assolo, Lo sapevo già, A quanto pare, ha pensato a tutto, Sì, e la fine di questa storia, quale sarà, Siamo ancora al principio. Si stava avvicinando un tassì libero. La donna gli fece segno di fermarsi e si girò verso il violoncellista, L'accompagno a casa, No, l'accompagno io all'albergo e poi proseguo verso casa, Sarà come dico io, oppure dovrà prendere un altro tassì, È abituata ad averla vinta, Sì, sempre, Qualche volta avrà pure fallito, dio è dio e quasi non ha fatto altro, Anche ora potrei dimostrarle che io non fallisco, Sono pronto per la dimostrazione, Non faccia lo stupido, disse all'improvviso la morte, e c'era nella sua voce una minaccia nascosta, oscura, terribile. Il violoncello fu caricato nel bagagliaio dell'auto. Durante tutto il percorso i due passeggeri non pronunciarono una sola parola. Quando il tassì si fermò alla prima destinazione, il violoncellista disse prima di scendere, Non riesco a comprendere cosa sta accadendo fra noi, credo sia meglio se non ci vediamo più, Nessuno potrà impedirlo, Neanche lei, che ce l'ha sempre vinta, domandò il musicista, sforzandosi di mostrarsi ironico, Neanche io, rispose la donna, Ciò significa che fallirà, Ciò significa che non fallirò. L'autista era sceso per aprire il bagagliaio dell'auto e aspettava che il passeggero riprendesse la sua custodia. I passeggeri non si salutarono, non dissero a sabato, non si sfiorarono, era come una rottura sentimentale, di quelle drammatiche, brusche, come se avessero giurato sul sangue e sull'acqua di non rivedersi mai più. Con il violoncello in spalla, il musicista si allontanò ed entrò nel palazzo. Non si voltò all'indietro, nemmeno quando, per un istante, si trattenne sulla soglia della porta. La donna lo guardava e stringeva con forza la borsetta. Il tassì partì.
Il violoncellista entrò in casa mormorando irritato, È pazza, pazza, pazza, l'unica volta nella vita che qualcuno viene ad aspettarmi all'uscita per dirmi che ho suonato bene, mi vien fuori una menteccata, e io, come uno sciocco, lì a domandarle se non la rivedrò, lì a mettermi nei pasticci con le mie stesse mani, ci sono difetti che ancora ancora possono avere qualcosa di rispettabile, o quanto meno di degno di attenzione, ma la fatuità è ridicola, l'infatuazione è ridicola, e io sono stato ridicolo. Accarezzò distratto il cane che era corso ad accoglierlo alla porta ed entrò nella sala del pianoforte. Aprì la custodia imbottita, estrasse con la massima cautela lo strumento che avrebbe dovuto ancora accordare prima di andare a letto perché le corse in tassì, anche se brevi, non gli facevano affatto bene alla salute. Andò in cucina a mettere un po' di cibo al cane, si preparò un panino, che accompagnò con un bicchiere di vino. Il peggio della sua irritazione era ormai passato, ma il sentimento che a poco a poco la sostituiva non era più tranquillizzante. Rammentava alcune frasi che la donna aveva detto, quell'allusione alle ambiguità che si pagano sempre e scopriva che tutte le parole che lei aveva pronunciato, per quanto pertinenti nel contesto, sembravano presupporre un doppio senso, qualcosa che non si lasciava captare, qualcosa di tantalizzante, come l'acqua che si ritraeva quando tentavamo di berla, o come il ramo che si allontanava quando andavamo a cogliere il frutto. Non direi che sia pazza, pensò, ma certo che è una donna strana, su questo non c'è dubbio. Finì di mangiare e tornò nella sala di musica, o del pianoforte, le due maniere con cui l'abbiamo designata fino a ora quando sarebbe stato molto più logico chiamarla sala del violoncello, visto che questo è lo strumento con cui il musicista si guadagna il pane, c'è comunque da riconoscere che non suonerebbe bene, sarebbe come se il locale si degradasse, come se perdesse una parte della sua dignità, basterà seguire la scala discendente per comprendere il nostro ragionamento, sala di musica, sala del pianoforte, sala del violoncello, e fin qui sarebbe ancora accettabile, ma s'immagini dove andremmo a finire se cominciassimo a dire sala del clarinetto, sala del piffero, sala della grancassa, sala del triangolo. Anche le parole hanno la loro gerarchia, il loro protocollo, i loro titoli nobiliari, i loro marchi da plebeo. Il cane seguì il padrone e andò a sdraiarsi accanto a lui dopo aver fatto i tre giri su se stesso che erano l'unica memoria che gli era rimasta di quando era stato lupo. Il musicista accordava il violoncello sul la del diapason, ristabiliva amorosamente le armonie dello strumento dopo il brutale trattamento che il trepidare del tassì sul selciato gli aveva inflitto. Per qualche momento era riuscito a dimenticare la donna del palco, non tanto lei, quanto l'inquietante conversazione che avevano avuto alla porta degli artisti, anche se il violento scambio di parole nel tassì continuava a udirsi in sottofondo, come un rullo attutito di tamburi. Della donna del palco non si dimenticava, della donna del palco non voleva dimenticarsi. La vedeva in piedi, con le mani incrociate sul petto, si sentiva sfiorare dal suo sguardo intenso, duro come diamante e come un diamante risplendente quando lei aveva sorriso. Pensò che sabato l'avrebbe rivista, sì, l'avrebbe vista, ma lei non si sarebbe più messa in piedi né avrebbe incrociato le mani sul petto, né lo avrebbe guardato da lontano, quel momento magico era stato fagocitato, distrutto dall'attimo successivo, quando si era girato per vederla un'ultima volta, come credeva lui, e lei non c'era già più.
Il diapason era tornato al silenzio, il violoncello aveva riacquistato l'accordatura e il telefono squillò. Il musicista sussultò, guardò l'orologio, quasi l'una e mezza. Chi diavolo sarà a quest'ora, pensò. Alzò il ricevitore e per alcuni secondi rimase lì in attesa. Era assurdo, certo, avrebbe dovuto parlare lui, dire il proprio nome, oppure il numero di telefono, probabilmente dall'altra parte avrebbero risposto È uno sbaglio, scusi, ma la voce che parlò aveva preferito domandare, È il cane che sta rispondendo al telefono, in tal caso, che almeno faccia il favore di abbaiare. Il violoncellista rispose, Sì, sono il cane, ma ormai è da tempo che ho smesso di abbaiare, ho anche perduto l'abitudine di mordere, se non me stesso quando la vita mi ripugna, Non si arrabbi, le sto telefonando per farmi perdonare, la nostra conversazione ha preso subito una direzione pericolosa, e il risultato si è visto, un disastro, Qualcuno l'ha sviata, ma non io, È stata tutta colpa mia, generalmente sono una persona equilibrata, serena, Non mi è parsa né una cosa né l'altra, Forse soffro di personalità doppia, In tal caso saremmo uguali, anch'io sono cane e uomo, L'ironia non suona bene in bocca a lei, suppongo che il suo orecchio musicale glielo avrà già detto, Anche le dissonanze fanno parte della musica, cara signora, Non mi chiami cara signora, Non ho altro modo di rivolgermi a lei, ignoro come si chiama, che cosa fa, che cos'è, A suo tempo lo verrà a sapere, la fretta è cattiva consigliera, in fondo ci siamo appena conosciuti, Lei è ben più avanti di me, ha il mio numero di telefono, A questo servono i servizi di informazione, si è occupata la reception di controllare, È un peccato che questo apparecchio sia antico, Perché, Se fosse uno di quelli attuali saprei già da dove mi sta parlando, Le sto parlando dalla camera dell'albergo, Una grande novità, E quanto all'antichità del suo telefono, devo dirle che ci contavo, che non ne sono affatto stupita, Perché, Perché in lei tutto sembra antico, è come se invece di cinquant'anni ne avesse cinquecento, Come sa che ho cinquant'anni, Sono molto brava a calcolare le età, non sbaglio mai, Ho l'impressione che presuma troppo di non sbagliare mai, Ha ragione, oggi, per esempio, ho sbagliato due volte, posso giurare che non mi era mai capitato, Non capisco, Ho una lettera da consegnarle e non gliel'ho consegnata, avrei potuto farlo all'uscita dal teatro o nel tassì, Di che lettera si tratta, Supponiamo che l'abbia scritta dopo avere assistito le prove del suo concerto, Era là, Sì, Non l'ho vista, È naturale, non poteva vedermi, Comunque, non è il mio concerto, Sempre modesto, E supporre non è lo stesso che averne la certezza, A volte sì, Ma in questo caso, no, Congratulazioni, oltre che modesto, è perspicace, Di che lettera si tratta, A suo tempo saprà anche questo, Perché non me l'ha consegnata, se ne ha avuto l'opportunità, Due opportunità, Insisto, perché non me l'ha data, Questo è ciò che spero di scoprire, forse gliela consegnerò sabato, dopo il concerto, lunedì avrò già lasciato la città, Non vive qui, Quanto a vivere qui, quel che si dice vivere, no, Non capisco niente, parlare con lei è come ritrovarsi in un labirinto senza porte, Ecco qui un'eccellente definizione della vita, Lei non è la vita, Io sono molto meno complicata, Qualcuno ha scritto che ciascuno di noi è nel frattempo la vita, Sì, nel frattempo, soltanto nel frattempo, Spero proprio che questa confusione verrà chiarita dopodomani, la lettera, la ragione per cui non me l'ha data, sono stanco di misteri, Ciò che chiama misteri è spesse volte una protezione, ci sono alcuni che indossano l'armatura, ci sono altri che portano con sé i misteri, Protezione o no, voglio vedere codesta lettera, Se non fallirò una terza volta, la vedrà, E perché dovrebbe fallire una terza volta, Se succederà potrà essere solo per la stessa ragione per cui ho fallito le precedenti, Non scherzi con me, stiamo facendo il gioco del gatto e del topo, Quel famoso gioco in cui il gatto finisce sempre per acchiappare il topo, Tranne se il topo riesce ad appendere un sonaglio al collo del gatto, È una buona risposta, certo, ma non è che un futile sogno, una fantasia da cartone animato, anche se il gatto stesse dormendo, il rumore lo sveglierebbe, e allora addio topo, Sono forse io quel topo cui sta dicendo addio, Se stiamo al gioco, uno dei due dovrà esserlo per forza, e in lei non vedo né figura né astuzia da gatto, Dunque, condannato a essere topo per tutta la vita, Finché durerà, sì, un topo violoncellista, Un altro cartone animato, Non ha ancora notato che gli esseri umani sono dei cartoni animati, Anche lei, suppongo, Ha avuto pur modo di vedere che lo sembro, Una bella donna, Grazie, Non so se si è accorto che questa conversazione al telefono somiglia molto a un flirt, Se la centralinista dell'albergo è dedita ad ascoltare le conversazioni degli ospiti, ormai sarà giunta alla stessa conclusione, Comunque non c'è da temere conseguenze gravi, la donna del palco, di cui continuo a ignorare il nome, partirà lunedì, Per non tornare mai più, Ne è sicura, Difficilmente si ripeteranno i motivi che mi hanno fatto venire questa volta, Difficilmente non significa che debba essere impossibile, Prenderò i provvedimenti necessari per non dover ripetere il viaggio, Nonostante tutto ne è valsa la pena, Nonostante tutto, che cosa, Scusi, non sono stato delicato, volevo dire che, Non si affanni a essere gentile con me, non ci sono abituata, e inoltre è facile indovinare cosa stava per dire, comunque, se ritiene di dovermi dare una spiegazione più completa, forse possiamo continuare la conversazione sabato, Fino ad allora non la vedrò, No. La comunicazione fu interrotta. Il violoncellista guardò il telefono che aveva ancora in mano, umida per il nervosismo, Devo aver sognato, mormorò, questa non è un'avventura che poteva capitare a me. Riposò il telefono sulla forcella e domandò, ora a voce alta, al pianoforte, al violoncello, alle librerie, Che vuole da me questa donna, chi è, perché compare nella mia vita. Svegliato dal rumore, il cane aveva alzato il capo. Nei suoi occhi c'era una risposta, ma il violoncellista non vi prestò attenzione, camminava avanti e indietro nella stanza, più nervoso e agitato di prima, e la risposta era questa, Ora che ne parli, ho il vago ricordo di aver dormito nel grembo di una donna, può darsi che fosse lei, Che grembo, che donna, avrebbe domandato il violoncellista, Tu dormivi, Dove, Qui, nel tuo letto, E lei, dove stava, Qui, Questa è buona, signor cane, quanto tempo è che non entra una donna in questa casa, in quella stanza, avanti, dimmelo, Come saprai bene, la percezione del tempo della specie dei canidi non è uguale a quella degli umani, ma credo sia davvero molto il tempo che è passato dall'ultima signora che hai ricevuto nel tuo letto, e questo, detto senza alcuna ironia, sia chiaro, Dunque hai sognato, È la cosa più probabile, i cani sono dei sognatori incorreggibili, arriviamo a sognare a occhi aperti, ci basta vedere qualcosa nella penombra e subito immaginiamo che sia il grembo di una donna e ci saltiamo sopra, Cose di cani, direbbe il violoncellista, Anche se non è giusto, risponderebbe il cane, non ci lamentiamo. Nella sua camera d'albergo, la morte, spogliata, se ne sta lì immobile davanti allo specchio. Non sa chi è.
Per tutto l'indomani la donna non telefonò. Il violoncellista non uscì di casa, in attesa. Passò la notte, e neanche una parola. Il violoncellista dormì ancora peggio della notte precedente. La mattina del sabato, prima di uscire per le prove, gli si mise in testa l'idea peregrina di andare a domandare nei vari alberghi delle vicinanze se era alloggiata lì una donna dal tale aspetto, il tal colore di capelli, il tal colore degli occhi, la tal forma di bocca, il sorriso, il movimento delle mani, ma rinunciò a quel proposito allucinato, era ovvio che sarebbe stato liquidato immediatamente con un'aria di indissimulabile sospetto e un secco Non siamo autorizzati a dare l'informazione che chiede. Le prove non gli andarono né bene né male, si limitò a suonare quel che stava scritto lì sulla carta, senz'altro impegno se non quello di non sbagliare troppe note. Quando ebbe finito corse di nuovo a casa. Si ritrovò a pensare che se lei avesse telefonato durante la sua assenza non avrebbe trovato neanche un miserabile registratore per lasciare il messaggio, Non sono un uomo di cinquecento anni fa, sono un troglodita dell'età della pietra, tutti quanti usano le segreterie telefoniche meno che io, borbottò. Se aveva bisogno di una prova che la donna non aveva telefonato, gliela diedero le ore successive. Teoricamente, chi ha telefonato e non ha avuto risposta, ritelefonerà, ma quel maledetto apparecchio se ne rimase silenzioso per tutto il pomeriggio, estraneo agli sguardi sempre più sconfortati che il violoncellista gli lanciava. Pazienza, tutto indica che non chiamerà, forse per una ragione o per l'altra non le era stato possibile, ma andrà al concerto, rientreranno tutti e due con lo stesso tassì com'è accaduto dopo l'altro concerto, e, quando arriveranno qui, lui la inviterà a entrare, e allora potranno chiacchierare tranquillamente, lei gli consegnerà finalmente l'anelata lettera e dopo scherzeranno insieme sugli elogi esagerati che lei, trascinata dall'entusiasmo artistico, aveva scritto dopo le prove in cui lui non l'aveva vista, e lui dirà di non essere certo un rostropovitch, e lei dirà chissà cosa gli riserva il futuro, e quando non avranno più nient'altro da dire o quando le parole cominceranno ad andare in una direzione e i pensieri in un'altra, allora si vedrà se potrà succedere qualcosa che varrà la pena ricordare quando saremo vecchi. Fu in questo stato d'animo che il violoncellista uscì di casa, fu questo stato d'animo che lo portò al teatro, con questo stato d'animo entrò in palcoscenico e andò a sedersi al suo posto. Il palco era vuoto. Ha fatto tardi, disse fra sé e sé, starà per arrivare, c'è ancora gente che sta entrando in sala. Era vero, chiedendo scusa per il disturbo di far alzare chi era già seduto i ritardatari stavano occupando le loro poltrone, ma la donna non comparve. Forse nell'intervallo. Niente. Il palco rimase vuoto sino alla fine. Eppure, c'era ancora una ragionevole speranza, quella che, essendole stato impossibile arrivare per lo spettacolo per i motivi che avrebbe poi spiegato, lo stesse aspettando fuori, alla porta degli artisti. Non c'era. E siccome le speranze hanno quel certo destino da compiere, nascere l'una dall'altra, ed è per questo che, malgrado le tante delusioni, non sono ancora finite a questo mondo, forse poteva darsi che lei lo stesse attendendo all'entrata del palazzo con un sorriso sulle labbra e la lettera in mano, Eccola, ogni promessa è debito. Non era neanche lì. Il violoncellista entrò in casa come un automa, uno di quelli antichi, della prima generazione, che dovevano chiedere il permesso a una gamba per poter muovere l'altra. Respinse il cane che era venuto a salutarlo, mollò il violoncello dove capitava e andò a sdraiarsi sul letto. Impara, pensava, impara una volta per tutte pezzo di stupido, ti sei comportato da perfetto imbecille, hai caricato dei significati che desideravi quelle parole che in fin dei conti avevano altri sensi, e pure quelli non li conosci e non li conoscerai, hai creduto a dei sorrisi che altro non erano se non mere e deliberate contrazioni muscolari, ti sei dimenticato che hai sulle spalle cinquecento anni malgrado te lo abbiano caritatevolmente rammentato, e ora eccoti qui, simile a un cencio, sdraiato sul letto dove aspettavi di riceverla, mentre lei se la sta ridendo della triste figura che hai fatto e della tua inguaribile minchioneria. Ormai dimentico dell'offesa di essere stato respinto, il cane andò a consolarlo. Appoggiò le zampe anteriori sul materasso, allungò il corpo fino ad arrivare all'altezza della mano sinistra del padrone, abbandonata lì come qualcosa di inutile, inservibile, e su di lei, dolcemente, posò il capo. Avrebbe potuto leccarlo e rileccarlo, come solitamente fanno i cani normali, ma la natura, questa volta benevola, gli aveva riservato una sensibilità tanto speciale che gli consentiva addirittura di inventare gesti diversi per esprimere quelle emozioni uniche e sempre uguali. Il violoncellista si girò verso il cane, mosse e piegò il corpo finché si ritrovò con il capo a un palmo dalla testa dell'animale, e così rimasero, a guardarsi, parlandosi senza bisogno di parole, A ben pensarci, non ho la minima idea di chi tu sia, ma questo non conta, ciò che importa è che ci vogliamo bene. L'amarezza del violoncellista cominciò a poco a poco a scemare, per la verità il mondo è ben stufo di episodi come questo, lui aspetta e lei manca, lei aspetta e lui non viene, in fondo, e detto fra noi, scettici e miscredenti come siamo, meglio questo che una gamba rotta. Era facile dirlo, ma sarebbe stato molto meglio tacerlo, perché spesso le parole hanno effetti contrari a quelli che si erano proposte, tant'è che non è raro che questi uomini o quelle donne giurino e spergiurino, La detesto, Lo detesto, e subito dopo averlo detto scoppino in lacrime. Il violoncellista si sedette sul letto, abbracciò il cane, che gli aveva posato le zampe sulle ginocchia quale ultimo gesto di solidarietà, e disse, come rimproverandosi da solo, Un po' di dignità, per favore, basta con queste lagne. E poi, rivolto al cane, Hai fame, è chiaro. Scuotendo la coda, il cane rispose che sì, certo, aveva fame, non mangiava da un mucchio di ore, e tutti e due si diressero in cucina. Il violoncellista non mangiò, non gli andava. E poi, il groppo che aveva in gola non gli avrebbe permesso di inghiottire. Passata una mezz'ora era di nuovo a letto, aveva preso una pastiglia per aiutarsi, ma gli servì a ben poco. Si svegliava e si addormentava, si svegliava e si addormentava, sempre con quell'idea di dover correre appresso al sonno per afferrarlo e impedire all'insonnia di venire a occupare l'altro lato del suo letto. Non sognò la donna del palco, ma ci fu un momento in cui si svegliò e la vide in piedi, al centro della sala di musica, con le mani incrociate sul petto.
L'indomani era domenica, e la domenica è il giorno in cui si porta il cane al parco. Amore con amor si paga, sembrava dirgli l'animale, già col guinzaglio in bocca e pronto per la passeggiata. Mentre, ormai nel parco, il violoncellista si stava incamminando verso la panchina su cui solitamente si sedeva, vide, da lontano, che c'era già una donna seduta. Le panchine di un giardino sono libere, pubbliche e generalmente gratuite, non si può certo dire a chi è arrivato prima di noi, Questa panchina è mia, abbia la bontà di andare a cercarsene un'altra. Non lo farebbe mai un uomo di buona educazione come il violoncellista, e tanto meno se gli fosse parso di riconoscere nella persona la famosa donna del palco di primo ordine, la donna che era mancata all'appuntamento, la donna che aveva visto in mezzo alla sala di musica con le mani incrociate sul petto. Come si sa, a cinquant'anni gli occhi non sono più affidabili, cominciamo a strizzarli, a serrarli come se volessimo imitare gli eroi del farwest o i navigatori del passato, in groppa al cavallo o alla prua della caravella, con la mano a mo' di visiera, a squadrare gli orizzonti lontani. La donna è vestita in maniera diversa, pantaloni e giacca di pelle, sicuramente è un'altra persona, come dice il violoncellista al cuore, ma questo, che ha occhi migliori, ti dice di aprire i tuoi, è proprio lei, e ora bada bene a come ti comporterai. La donna alzò il capo e il violoncellista non ebbe più dubbi, era lei. Buongiorno, disse quando si fermò accanto alla panchina, oggi mi sarei potuto aspettare di tutto, ma non di incontrarla qui, Buongiorno, sono venuta per prendere commiato e chiederle scusa di non essermi fatta vedere ieri al concerto. Il violoncellista si sedette, sganciò il guinzaglio al cane, gli disse Vai, e, senza guardare la donna, rispose, Non ho niente di cui scusarla, sono cose che capitano, si compra il biglietto e poi, per un motivo o per l'altro, non si può andare, è naturale, E circa il nostro addio, non ha alcuna opinione, domandò la donna, È una delicatezza molto grande da parte sua considerare che sarebbe dovuta venire a prendere congedo da uno sconosciuto, anche se non riesco davvero a immaginare come ha fatto a sapere che vengo in questo parco tutte le domeniche, Ci sono poche cose che non so di lei, Per favore, non torniamo alle conversazioni assurde che abbiamo avuto giovedì alla porta del teatro e poi al telefono, lei non sa niente di me, non ci eravamo mai visti prima, Si ricordi che ero presente alle prove, E non capisco come abbia fatto, il maestro è molto rigido sulla presenza di estranei, e ora non mi venga a dire che conosce anche lui, Non tanto come lei, ma lei è un'eccezione, Meglio se non lo fossi, Perché, Vuole che glielo dica, vuole proprio che glielo dica, domandò il violoncellista con una veemenza che sfiorava la disperazione, Sì, Perché mi sono innamorato di una donna di cui non so niente, che si sta divertendo alle mie spalle, che domani chissà dove andrà e che non rivedrò, Veramente partirò oggi, non domani, Anche questa, E non è vero che mi sto divertendo alle sue spalle, Se non lo sta facendo, allora, lo imita molto bene, Quanto all'essersi innamorato di me, non si aspetti che le risponda, ci sono parole che sono proibite sulla mia bocca, Un altro mistero, E non sarà l'ultimo, Con questo addio saranno tutti risolti, Potranno cominciarne degli altri, Per favore, mi lasci, non mi tormenti oltre, La lettera, Non voglio saper niente della lettera, Anche se volessi non potrei dargliela, l'ho lasciata in albergo, disse la donna sorridendo, Allora la strappi, Penserò a cosa devo farne, Non ha bisogno di pensarci, la strappi e la si fa finita. La donna si mise in piedi. Già se ne va, domandò il violoncellista. Lui non si era alzato, teneva il capo chino, aveva ancora qualcosa da dire. Non l'ho mai toccata, mormorò, Sono io che non ho voluto che mi toccasse, Come ci è riuscita, Per me non è difficile, Neppure ora, Neppure ora, Almeno una stretta di mano, Ho le mani fredde. Il violoncellista sollevò il capo. La donna non c'era già più.
Uomo e cane uscirono presto dal parco, si comprarono i panini per poi mangiarli a casa, non ci furono pisolini al sole. Il pomeriggio fu lungo e triste, il musicista prese un libro, lesse una mezza pagina e lo lasciò da una parte. Si sedette al pianoforte per suonare qualcosa, ma le mani non gli obbedivano, erano intorpidite, fredde, come morte. E, quando si girò verso l'amato violoncello, fu lo strumento stesso che gli si negò. Si appisolò su una sedia, avrebbe voluto sprofondare in un sonno interminabile, non svegliarsi mai più. Sdraiato a terra, in attesa di un segnale che non veniva, il cane lo guardava. Forse la causa dell'abbattimento del padrone era la donna comparsa nel parco, pensò, non era poi tanto giusto quel proverbio che diceva occhio non vede, cuore non duole. I proverbi ci ingannano continuamente, concluse il cane. Erano le undici quando squillò il campanello della porta. Un vicino con qualche problema, pensò il violoncellista, e si alzò per andare ad aprire. Buonasera, disse la donna del palco, varcando la soglia, Buonasera, rispose il musicista, sforzandosi di dominare lo stupore che gli contraeva la glottide, Non mi chiede di entrare, Certamente, prego. Si scansò per farla passare, chiuse la porta, tutto lentamente, perché il cuore non gli scoppiasse. Con le gambe tremanti l'accompagnò nella sala di musica, con la mano che tremava le indicò la sedia. Pensavo fosse già andata via, disse, Come vede, ho deciso di restare, rispose la donna, Ma partirà domani, Mi sono impegnata a farlo, Suppongo sia venuta a portare la lettera, che non ha strappato, Sì, ce l'ho qui, nella borsa, Me la dia, allora, Abbiamo tempo, rammento di averle detto che la fretta è cattiva consigliera, Come vuole, sono a sua disposizione, Lo dice sul serio, È il mio più grande difetto, dico tutto sul serio, anche quando faccio ridere, soprattutto quando faccio ridere, In tal caso mi azzardo a chiederle un favore, Quale, Mi compensi di esser mancata ieri al concerto, Non vedo in che modo, Lì c'è un pianoforte, Non ci pensi nemmeno, sono un pianista mediocre, O il violoncello, Questo è già diverso, sì, potrei suonarle uno o due brani se proprio ci tiene, Posso scegliere, domandò la donna, Sì, ma solo qualcosa che sia alla mia portata, entro le mie possibilità. La donna prese il quaderno con la suite numero sei di bach e disse, Questo, È molto lunga, dura più di mezz'ora, ed è già piuttosto tardi, Le ripeto che abbiamo tempo, C'è un passaggio nel preludio dove ho qualche difficoltà, Non importa, quando ci arriva lo salta, disse la donna, o magari non ce ne sarà bisogno, vedrà che suonerà meglio di rostropovich. Il violoncellista sorrise, Può starne certa. Aprì il quaderno sul leggio, trasse un profondo respiro, mise la mano sinistra sulla tastiera del violoncello, la mano destra guidò l'arco fin quasi a sfiorare le corde, e attaccò. Lo sapeva fin troppo bene, lui, di non essere rostropovich, ma un semplice solista di un'orchestra quando la casualità di un programma lo richiedeva, eppure qui, davanti a questa donna, con il cane sdraiato ai suoi piedi, a quest'ora di notte, circondato da libri, da quaderni di musica, da partiture, era johann sebastian bach in persona che componeva a cöthen ciò che in seguito si sarebbe chiamata l'opera mille e dodici, tante opere quasi quanto quelle della creazione. Il passaggio difficile fu superato senza che lui nemmeno si accorgesse dell'impresa compiuta, mani felici facevano mormorare, parlare, cantare, ruggire il violoncello, ecco cos'è mancato a rostropovich, questa sala di musica, quest'ora, questa donna. Quando terminò, le mani di lei non erano più fredde, le sue ardevano, fu per questo che le mani si abbandonarono alle mani e non se ne stupirono. Era da un pezzo passata l'una del mattino quando il violoncellista domandò, Vuole che chiami un tassì che la riporti in albergo, e la donna rispose, No, resterò con te, e gli offrì le labbra. Entrarono nella camera, si spogliarono e quel che era scritto che sarebbe accaduto, infine accadde, e un'altra volta, e un'altra ancora. Lui si addormentò, lei no. Allora lei, la morte, si alzò, aprì la borsa che aveva lasciato in salotto e prese la lettera di colore viola. Si guardò intorno come se stesse cercando un posto dove lasciarla, sul pianoforte, infilata fra le corde del violoncello, oppure lì in camera, sotto il guanciale su cui riposava il capo dell'uomo. Non lo fece. Andò in cucina, accese un fiammifero, un umile fiammifero, lei che avrebbe potuto distruggere il foglio di carta con lo sguardo, ridurlo a una polvere impalpabile, lei che avrebbe potuto appiccargli fuoco solo con il contatto delle dita, e invece era un semplice fiammifero, un fiammifero comune, il fiammifero di tutti i giorni, che faceva bruciare la lettera della morte, quella lettera che solo la morte poteva distruggere. Non rimasero neanche le ceneri. La morte tornò a letto, si abbracciò all'uomo e, senza ben capire quel che le stava succedendo, lei, che non dormiva mai, sentì che il sonno le faceva calare dolcemente le palpebre. Il giorno seguente non morì nessuno.
FINE