LIBRO VI SULLE SPIAGGE DI CUMA (6. 1- 8) Così dice piangendo ed allenta le briglie alla flotta E finalmente arriva ai lidi euboici di Cuma. Volgono le prore al mare: allora con dente tenace L'ancora assicurava le navi e le curve poppe Coronano i lidi. Una schiera ardente di giovani brilla Sulla riva esperia: parte cerca i semi di fiamma Nascosti nelle vene della pietra, parte raggiunge le selve, Dense tane di belve ed indicano i ruscelli trovati. IL TEMPIO DEL DIO APOLLO ( 6.9-41) Ma il pio Enea si dirige alle rocche, su cui l'alto Apolo Comanda e le caverne della spaventosa Sibilla, antro gigantesco: ad essa il profeta di Delo infonde la grande anima e la mente e svela il futuro Ormai raggiungono i boschi di Trivia ed i tetti dorati. Dedalo, come è fama, fuggendo i regni minoici, osando affidarsi al cielo con rapide penne, navigò per l'insolita strada verso le gelide <Orse e leggero si fermò finalmente sulle rocche calcidiche. Dapprima restituito a queste terre consacrò a te, Febo, l'alato remeggio e fondò templi giganteschi. Sui battenti (c'è) la morte di Androgeo: poi i Cecropidi, obbligati a pagare le pene, Terribile!, sette corpi di figli all'anno; c'è l'urna, estratte le sorti. Dirimpetto risponde la terra di Cnosso, alta sul mare, qui c'è il crudele amore del toro e Pasifae sottoposta all'inganno, la razza mista e la prole biforme: il Minotauro, insegnamenti della maledetta Venere; qui c'è l'ntrico di casa e l'inestricabile vagare; ma compassionando il grande amore della regina Dedalo stesso risolse gli inganni ed i bubbi dell'edificio. Guidando i ciechi passi col filo. Tu pure avresti Grande parte, Icaro, in sì grande opera, lo permettesse il dolore!: due volte aveva cercato di rappresentare le vicende nell'oro, due volte caddero le mani paterne. Certamete subito rimirerebbero con gli occhi, se Acate , mandato avanti non si presentasse ed insieme la sacerdotessa di Febo e di Trivia, Deifibe, figlia di Glauco, che dice al re talicose: "Questo momento non richede queste scene: ora sarebbe meglio sacrificare sette giovenchi da gregge integro, ed altrettante pecore scelte secondo il rito. Così parlò ad Enea, né i compagni esitano a seguire i sacri ordini: la sacerdotessa chiama i Teucri nell'alto tempio.
PROFEZIE DI SIBILLA ( 6. 42-101) C'è un lato scavato della rupe euboica in caverna, a cui menano cento vasti ingressi, cento porte da cui corrono altrettante voci, responsi della Sibilla. Si era giunti alla soglia, quando la vergine:" E' il momento Di chiedere i fati, disse, Il dio, ecco, il dio". A lei che parla così davanti ai battenti impprovvisamente, non il volto, non Uico il colore, né pettinate restaron le chiome, ma il petto ansante ed il cuore selvaggio si gonfia di rabbia e sembrava più grande e non parlare umanamente, poichè si espresse essendo troppo vicina la potenza del dio."Esiti nei voti e nelle preghiere, disse, troiano Enea? Esiti? No si apriranno prima le grandi bocche della casa invasata" Dopo aver parlato così, tacque. Un gelido brivido attraversò i Teucri lungo le dure ossa ed il re dice preghiere dal fondo del cuore: "Febo, che sempre hai compianto i duri travagli di Troia, tu che guidasti le armi dardanie e le mani di Paride contro il corpo dell' Eacide, attraversai tanti mari che entrano in grandi terre, sotto la tua guida, le genti de Massili nascoste all'nterno ed i campi posti davanti alle Sirti, ormai raggiungiamo finalmente le spiagge fuggenti dell'Italia: oh fin qui ci avesse seguiti la sorte troiana; ormai è giusto che voi personiate il popolo di Pergamo, o dei e dee tutet, cui spiacque Ilio e la grande gloria della Dardania. E tu veneratissima profetessa, conscia del fututo, concedi ( non chiedo regni non dovuti per i miei fati) ai Teucri di fermarsi nel Lazio ed anche agli dei erranti ed alle sconvolte potenze di Troia. Allora costruirò per Febo e Trivia un tempio di forte Marmo e giorni festivi in nome di Febo. Grandi sacrari attendono pure te nei nostri regni: qui infatti io porrò le tue sorti e gli arcani segreti predetti al mio popolo ed eleggerò, o divina, uomini scelti. Solo non affidare alle foglie i tuoi versi, perché sconvolti non volino come giochi per i rapidi venti. Chiedo che tu stessa profetizzi." Mise fine al parlare a voce. Ma la profetessa non ancora soggetta di Febo, gigantesca Nell'antro si agita, se potesse scuotere dal petto Il grandio: tanto più egli affatica la bocca rabbiosa Domando il cuore furioso e la plasma incalzando. Ora le cento grandi porte della casa si apriron Spontaneamente: per l'ampia aria trasmettono I responsi della profetessa: "O finalmente scampato ai grandi pericoli del mare (ma più pesanti restan quelli di terra) i Dardanidi verranno nel regno di Lvinio (caccia tale affanno dal cuore) ma vorranno non esservi giunti. Vedo guerre, orribili guere, ed il Tevere pumeggiante di molto sangue. Non ti mancheranno Simoenta, Xanto e accampamenti dorici. C'è un altro Achille partorito per il Lazio, anch'egli nato da dea. Né mai Giunone mancherà alleata contro i Teucri: quando tu supplice in situazioni penose, quali popoli degli Itali e quali città non pregherai! Causa di tanto male per i Teucri dinuovo una donna forestiera Ancora nozze straniere. Tu non cedere ai mali, ma più fiducioso avanza, dove la tua sorte ti permetterà. La prima via di salvezza, cosa che non credi, si aprirà da una città greca." Con tali parole dalla caverna la Sibilla cumana predice dubbi terribili e rimbomba nell'antro, avvolgendo verità ad incertezze; Apollo alla furente scuote tali redini e muove pungoli nel petto.
INCORAGGIAMENTO DELLA PROFETESSA ( 6.102 -155) Appena cessò la furia e tacquero le labbra rabbiose, Enea, l'eroe, comincia: " O vergine, nessuna forma Di fatiche mi sorge nuova o inaspettata; tutto ho già provato e predisposto nell'animo, in me Una cosa sola chiedo: poiché qui si dice la porta del re Dell'Averno e la tenebrosa palude, straripato l'Acheronte, mi si conceda di andare al cospetto ad al volto del caro padre, insegnami la strada ed apri le sacre porte. Io lo strappai tra le fiamme e le mille frecce incalzanti su queste spalle e lo raccolsi in mezzo al nemico: Lui, accompagnando il mio viaggio, con me sopportava Tutti i mari e tutte le minacce di cielo ed acqua, lui malfermo, oltre le forze e la sorte della vecchiaia. Anzi lui stesso pregando dava ordini che supplice io ti Cercassi e giungessi alle tue porte. Divina, ti prego, abbi pietà del figlio e del padre: tu puoi tutto e non invano Ecate ti mise a capo dei boschi d'Averno. Se Orfeo potè richiamare l'ombra della sposa Confidando nella cetra tracia e nel flauto sonoro, se Polluce riscattò il fratello con morte alterna e fa e rifà tante volte la via( perché ricordare il grande Teseo e l'Alcide?) anch'io ho una stirpe dal sommo Giove. Con tali parole pregava e teneva gli altari, quando così la profetessa cominciò a parlare: "Nato da sangue di dei, anchisiade troiano, facile è la discesa all'Averno: giorno e notte è aperta la porta del nero Dite ; ma questa è l'impresa, questa la fatica: riportare su il passo e uscire all'aria superiore. Pochi, che il giusto Giove predilesse o che l'ardente valore portò al cielo, figli del dio lo poterono. I bochi occupano tutto il mezzo ed il Cocito scorrendo lo circonda con nero abbraccio. Ma se tanto amore nel cuore, se tanta la voglia Di attraversare due volte i laghi stigi, vedere due volte Il buio Tartaro e piace affrontare una fatica pazzesca, impara prima le cose da fare. Un ramo è nascosto su albero omboso, d'oro sia nelle foglie che nella verga molle, detto sacro a Giunone infernale; tutto il bosco lo protegge e le ombre lo chiudono in oscure convalli. Ma non è dato affrontare le profondità della terra prima Che uno abbia colto dalla pianta i frutti dale foglie dorate. La bella Proserpina decise le fosse portato questo Suo dono: colto il primo, non ne manca un altro D'oro ed il ramo fiorisce di uguale metallo. Perciò cerca in alto con gli occhi e trovatolo, coglilo con la mano. Egli contento e facile seguirà, se ti fati ti chiamano: altrimenti con nessuna forza potrai vincere né strapparlo col duro ferro. Però il corpo di un tuo amico giace esanime (oh, non lo sai) e contamina con la morte tutta la flotta, mentre chiedi responsi ed attendi alla nostra soglia. Accompagnalo prima alle sue sedi e riponolo nel sepolcro. Porta neri animali: queste siano le prime espiazioni. Così finalmente vedrai i boschi di stige ed i regni impossibili Ai vivi. Disse e con bocca sigillata ammutolì.
LA MORTE DI MISENO (6. 156 - 174) Enea convolto mesto, abbassati gli occhi Avanza lasciando la caverna e medita tra sé i ciechi Eventi. Gli va compagno il fido Acate E con uguali pensieri calca le orme. Tra loro con vario discorso esaminavan molte cose: quale amico esanime dicesse la profetessa, quale corpo da seppellire. Ma essi nel lido asciutto, come arrivarono, vedono l'eolide Miseno ucciso da morte indegna; non un altro era più capace di lui di eccitare col bronzo gli eroi ed accendere Martecol canto. Costui era stato compagno del grande Ettore, attorno ad Ettore Affrontava le battaglie, famoso per il lituo e la lancia. Dopo che Achille vincitore privò quello della vita, il fortissimo Eroe s'era unito come compagno al dardanio Enea, seguendo non minoriimprese. Ma allora, mentre per caso con cava conchiglia fa risuonare il mare, e, pazzo!, col suono provoca gli dei ad una gara, il rivale Tritone, se è giusto crederlo, aveva sommerso tra le rocce nell'onda spumosa l'eroe, dopo averlo afferrato.
IL SACRO RAMO D'ORO ( 6. 175 -211) Perciò tutti attorno framevano con grande grido Soprattutto il pio Enea. Allora piangendo eseguono gli ordini della Sibilla, senza esitare, e gareggiano a coprire con alberi l'altare del sepolcro e ad alzarlo fino alcielo. Si va nell'antica boscaglia, profonde tane di fiere, i pini stramazzano, il leccio risuona colpito dalle scuri, le travi di frassino, il rovere fendibile coi cunei si spacca: enormi orni rotolano dai monti. Nondimeno Enea tra tali opere per primo esorta i compagni e si cinge di uguali armi. Egli medita questo col suo triste cuore osservando l'immensa selva e così proprio prega: "Oh se adesso quel ramo dorato si mostrasse dalla pianta in così grande bosco, poiché con verità la sacerdotessa dissse tutto, ahi troppo, du di te, Miseno". Aveva appena parlato, quando per caso due colombe vennero dal cielo volando sotto gli stessi occhi dell'eroe, e si posarono sul verde suolo. Allora il grandissimo eroe riconobbe gli uccelli materni e lieto prega: " Siate guide, oh, se c'è una via, dirigete la rotta nell'aria dentro i boschi, dove il ramo prezioso rinfresca la ricca terra. Tu, o dea madre, non venir meno in situazioni dubbiose." Detto così, fermò il passo, osservando quali segnali portino, dove vogliano andare. Esse beccando tanto avanzano volando quanto potevano guardare a vista gli occhi di chi seguiva. Poi quando giunsero alle gole dell'Averno che gravemente puzza, si alzan veloci e scivolando nella limpida aria si posano sulle sedi desiderate, una duplice pianta donde l'aureola cangiante dell'oro brillò tra i rami. Come il vsco è solito rinverdire di nuove fronde nelle selve nel freddo invernale, (che una pianta non sua semina), e circondare i tronchi rotondi di giallo germoglio, tale era l'aspetto dell'oro frondeggiante nella fresca elce, così la lamina mormorava al vento leggero. Subito Enea l'afferra ed avido lo spezza, mentre dondola, e lo porta sooto i tetti della profetessa Sibilla.
RITI FUNEBRI PER MISENO ( 6. 212 -235) Ma non meno intanto i Teucri piangevan Miseno sul lido e rendevan gli estremi onori al corpo insensibile. Al principio eressere una pira enorme piena di resine e rovere tagliato, a cui intessono i fianchi di nere fronde e davantimettono funerei cipressi e sopra l'ornano con armi risplendenti. Parte preparan col fuoco liquidi caldi e caldaie grondanti, lavano ed ungono il corpo del defunto. C'è il compianto. Poi depongono sul letto le membra compiante e gettano sopra vesti purpuree, coperte famigliari. Parte si sono avvicinati all'enorme feretro e, voltati, secondo la tradizione dei padri hanno tenuto la fiaccola, messa sotto, quale triste dovere: Bruciano i doni di incenso raccolti, vivande, tazze con olio versato. Dopo che le ceneri caddero e la fiamma si quietò, bagnarono di vino i resti e la fiamma che assorbe, e Corineo protesse le ossa raccolte in un'urna di bronzo. Egli stesso girò attorno ai compagni con acqua pura spruzzando con lieve rugiada e e con ramo di olivo fecondo, purificò gli uomini e disse le ultime parole. Ma il pio Enea protegge il sepolcro con gigantesca mole, per l'eroe mette le sue armi, il remo, la tromba sotto l'aereo monte, che ora da lui si chiama Miseno e ne mantiene nei secoli il nome eterno.
RITI PER GLI DEI DEGLI INFERI ( 6.236 -263) Compiuti questi riti, presto eseguei comandi della Sibilla. Vi fu una profonda spelonca ed enorme per il vasto abisso, rocciosa, protetta da nero algo ed ombre di boschi, sopra la quale nessun volatile poteva impunemente volgere il volo con l'ali: tale alito, esalando da nere bocche, si portava alla volta celeste. (Da ciò i Greci chiamarono il luogo col nome di A(v)orno!) Qui la sacerdotessa anzitutto pose quattrogiovenchi, neri sul dorso, e versò vini sulla fronte e prendendo, in mezzo alle corna, un ciuffo di peli li pone sui sacri fuochi, come prime offerte, chiamando a voce Ecate potente nel cielo enell?Erebo. Altri affondano i coltelli e raccolgono con tazze il tiepido sangue: Lo stesso Enea sgozza con la spada un'agnella di nero mantello, per la madre delle Eumenidi, alla grande sorella e per te, Proserpina, una vacca sterile. Poi abbozza per il re stigio altari notturni e pone sulle fiamme intere viscere di tori versando olio grasso, mentre le offerte ardono. Ecco dunque, alla soglia del primo sole e sul sorgere, il suolo muggire sotto i pedi, i gioghi delle selve cominciarono a muoversi e sembrò che cagne ululassero nell'ombra, all'arrivo della dea. "Lontano, oh, lontatno state, profani, grida la profetessa, allontanatevi da tutto il bosco: tu affronta la via e dal fodero sguaina la spada: adesso è necessario il coraggio, Enea, uncuore saldo, adesso". Detto solo questo, furente si gettò nell'aperta spelonca. Egli con passi non timidi eguaglia la guida che avanza.
VESTIBOLO DELL'ADE ( 6. 264 -294) "O dei, che avete il potere delle anime, ombre selenziose Caos, Flegetonte, luoghi ampiamente silenziosi nella notte, mi sia permesso dire le cose udite, sia possibile col vostro aiuto rivelare le cose immerse nella terra profonda e nel buio. Andavano incerti nella notte totale nell'ombra e per le vuote case ed i morti regni. Quale è un sentiero nei boschi attraverso la luna incerta sotto la luce maligna, quando Giove con l'ombra ha nascosto il cielo e la buia notte ha tolto il colore alle cose: Davanti allo stesso vestibolo e nelle prime bocchedell'Orco, il Lutto e gli Affanni hanno le loro tane: vi abitano le pallide Malattie, la triste Vecchiaia, la Paura, la Fame, cattiva consigliera, la brutta Povertà, apettiterribili a verdersi, la Morte e la Pena: poi il Sonno, parente della Morte, le cattive Gioie della mente e la Guerra, portatrice di morte, davanti sulla soglia i ferrei letti delle Eumenidi, la pazza Discordia, che annoda la chioma con bende insanguinate. Nel mezzo un olivo spande i rami e le annose braccia, enorme, ombroso, che, dicono, i Sogni vani in massa occupano come sede e s'attaccano a tutte le foglie. Inoltre molti mostri di strane bestie, i Centauri hanno le stalle sulle porte, le Scille biformi, Briareo centumane, la belva di Lerna, stridente orrendamente e la Chimera, armata di fiame, le Gorgoni, le Arpie e l'imagine dell'ombra contre corpi (Briareo). Qui Enea trepido per l'improvviso terrore afferra la spada ed offre la punta sguainata a quelli che avanzano e se la dotta guida non ammonisse che le vite volano leggere senza corpo sotto un aspetto privo di forma, si buterebbe ed invano col ferro trapasserebbe le ombre.
IL FIUME ACHERONTE( 6. 295 -330) Di qui è la via che porta alle onde del tartareo Acheronte. Qui la corrente torbida ribolle di fango in vasta voragine e vomita tutta la sabbia in Cocito. Un orribile traghettatore custodisce queste acque ed i fiumi, Caronte di terribile squalore, a cui sta nel mento molta canizie incolta, gli occhi di fiamma fissano, dalle spalle pende uno sporco mantello con nodo.Egli spinge la barca col palo e la governa con le vele e col battello ferrigno trasporta i corpi. Anche se vecchio, ma il dio ha una cruda e verde vecchiaia. Qui tutta la folla confusa si ammassava alle rive, madri, uomini e corpi di magnanimi eroi liberi dalla vita, ragazzi ed inviolate fanciulle, giovani posti sui roghi davanti ai volti dei genitori: quante foglie nei boschi al primo freddo d'autunno vacillano, cadono o quanti uccelli si affollano a terra dall'alto mare, quando il freddo anno li allontana al di là del mare e li invia su terre assolate. I primi s'ergevano pregando di oltrepasare la rotat e tendevan le mani per amore della riva di fronte. Ma il triste nocchiero accoglie ora questi ora quelli, altri invece manda lontano, cacciati dalla sabbia. Enea meravigliato e scosso dal tumulto: "Dimmi, vergine, disse, cosa vuole la corsa al fiume? Cosa chiedon le anime? O per quale decisione queste lascian le rive, le altre coi remi spazzano i lividi guadi?" Così a lei brevemente parlò la vecchia sacerdotessa: "Figli di Anchise, certissima prole di dei, tu vedi i profondi stagni di Cocito e la palude stigia, anche gli dei temono o ingannare il suo nome. Tutta questa, che vedi, è una folla povera ed insepolta. Quello il nocchiero, Caronte; questi, che l'onda trasporta, i sepolti. Ma non è concesso oltrepassare le terribili rive e le roche correnti, prima che le ossa abbian riposato nei sepolcri. Vagano per cento anni e volano attorno a questi lidi: poi finalmente ammessi rivedono gli stagni desiderati."
INCONTRO CON PALINURO ( 6. 331-383) Il figlio di Anchise si fermò e bloccò il passo, pensando molto, commiserando l'iniqua sorte nell'animo. Vede lì mesti e mancanti dell'onore della morte Leucapi ed Oronte, capo della flotta licia, che l'Austro insieme portati da Troia per le acque ventose sommerse, mentre l'aqua travolgeva nave ed uomini. Ecco avanzava il nocchiero Plinuro, che da poco nel viaggio libico, mentre osservava le stelle, era caduto da poppa, sbalzato in mezzo alle onde. Quando a stento lo riconobbe triste tra le grandi ombre, così per primo parla: " O Palinuro, chi degli dei ti strappò a noi e ti immerse nel mezzo del mare? Orsù dimmi. Infatti Apollo, mai prima scoperto falso, ha illuso l'snimo con questo solo responso che profetava saresti stato incolume dal mare e saresti giunto nelle terre ausonie: Questa è dunque la fede promessa? Ma lui: "L'oracolo di Febo non ti ingannò: capo anchisiade, né un dio mi sommerse nell'acqua: infatti precipitando, trassi con me il timone, divelto per caso a gran forza, a cui affidato come custode, ero attaccato e guidavo la rottta. Giuro per i mari crudeli che non ebbi alcun timore solo per me, quanto che la tua nave spogliata delle difese, privata della guida, venisse meno, poiché s'alzavano sì grandi onde. Tre volte per tre fredde notti Noto mitrascinò violento nell'acqua per l'immenso mare: ma al quarto giorno vidi appena l'Italia, alto sulla cresta dell'onda. Un poco mi avvicinavo alla terra, ormai avevo la sicurezza, se un popolo crudele non m'avesse assalito col ferro, io appesantito, con la veste madida, mentre afferravo con mani adunche le sporgenze aspre del del monte e non m'avesse creduto una preda. Ora il flutto mi tiene ed i venti mi battono sul lido. Prego te per la bella luce del cielo e per l'aria, per il padre, per la speranza di Iulo che cresce: strappami, o invitto, dai mali: oppure buttami sopra della terra ( lo puoi!) e cerca i porti velini: o se c'è una via, se la dea madre te la indica ( non senza aiuto degli dei, credo, ti prepari ad attraversare sì grandi fiumi e la palude stigia) concedi la destra ad un misero e con te portami tra l'onde, perché almeno io riposi nella morte in placidi luoghi": Così aveva parlato, quando la profetessa cominciò così: "Donde ha tu, o Palinuro, questa così terribile voglia? Tu insepolto vedrai le acque stigie ed il severo fiume delle Eumenidi o senza ordine raggiungerai la riva? Smetti di sperare che i fati degli dei si pieghino, pregando,. Ma memore prendi i responsi, sollievo della sorte crudele: i vicini spinti per le città in lungo ed in largo dai prodigi celesti, espieranno le tue ossa, costruiranno una tomba e sulla tomba porranno vittime, il luogo avrà l'eterno nome di Palinuro. A queste parole gli affani furono allontanati ed un poco cacciato il dolore dal triste cuore: la terra gioisce per il nome.
SUPERAMENTO DEL FIUME ACHERONTE ( 6. 384 -425) Quindi continuano il viaggio iniziato e s'avvicinano al fiume. Ma quando il nocchiero li vide venire di lì ormai dalla onda Stigia per il bosco selvoso e volgere il piede alla riva, così per primo li affronta a parole ed inoltre li sgrida: "Chiunque tu sia, tu che armato giungi ai nostri fiumi, su di' perchè vieni da lì e ferma il passo. Questo è il luogo delle ombre, del sonno e della notte soporifera: è proibito trasportare corpi vivi con la barca stigia. Davvero non mi son rallegrato d'aver accolto sul lago Alcide, che avanzava, né Teseo e Piritoo, benchè fossero figli di dei e invitti per le forze.. Egli con la mano mise in catene il custode del Tartaro e lo strappò tremante dalla soglia dello stesso re: essi, assalitala, tolsero dal letto la signora di Dite." A questo brevemente la profetessa anfrisia rispose: "Qui non ci sono tali insidie (smetti d'esser spaventato) le armi non portan violenza; l'enorme portinaio atterrisca pure nell'antro latrando in eterno le pallide ombre, la casta Proserpina conservi pure la casa dello zio. Il troiano Enea, famoso per pietà ed armi, discende dal padre alle profonde ombre dell'Erebo. Se nessuna immagine di sì grande pietà ti commuove, ricoosci però questo ramo (mostra il ramo che nascondeva sotto la veste). Allora i cuori gonfi dall'ira si placano, e nulla (risponde) a ciò. Egli ammirando il venerabile dono della verga fatale, visto dopo lungo tempo, volge la cerula poppa e s'avvicina alla riva. Quindi sloggia le altre anime, che sedevan per i lunghi banchi, ed allarga i posti; poi accoglie sullo scafo il gigantesco Enea. La barca cucita gemette sotto il peso e screpolata accolse molta (acqua di) palude. Infine incolume oltre il fiume depone l'eroe e la profetessa nell'nforme fango e nell'alga verdastra. Cerbero gigantesco rimbomba questi regni col latrato di tre bocche, enorme sdraiandosi davanti nell'antro. A lui la profetessa, vedendo che ormai i sepenti si rizzavan sul collo, butta una focaccia sopofifera di miele e frutta drogata:Egli aprendo le tre gole con fame rabbiosa, lanciata, l'afferra e sciolse il dorso terribile e buttato a terra, gigantesco si stende per tutto l'antro. Enea occupa l'entrata, sepolto il guardiano, veloce supera la riva dell'onda inattraversabile.
I MORTI PRIMA DEL TEMPO ( 6. 426-449) Subito si udirono voci ed un enorme vagito di infanti, anime piangenti, sul far della soglia: un nero giorno li strappò, privi della dolce vita e rapiti dalla poppa li sommerse con morte acerba. Vicinia questi i condannati a morte ingiustamente: Ma questi luoghinon furon dati senza sorte, senza giudice. Minosse inquisitore scuote l'urna: egli convoca l'assemblea dei silenziosi, indaga vite e crimini. Poi mesti occupano i luoghi vicini, quelli che innocenti di propria mano si procuraron la morte, odiando la luce, buttaron via le anime.Come vorrebbero ora sopportare nell'aria superiore la povertà e dure fatiche. Il fato si oppone, la triste palude dell'onda odiata lilega e lo Stige che scorre attorno nove volte, li blocca. Non lontano di qui, sparsi in ogni parte, si mostrano Le pianure piangenti così li chiaman di nome. Qui segreti sentieri nascondono quelli che il duro amore consumò con crudele malattia: una selva di mirti attorno li copre; nellastessa morte gli affanni non li lasciano. In questi luoghi vede Fedra, Procri e la mesta Eufile, che mostra le ferite del figlio crudele, Evadne e Pasifae: con questi Laodamia va come compagna e Ceuco, un tempo giovanotto, ora donna, ritornato per fato nell'antico aspetto.
L'OMBRA DELLA REGINA DIDONE ( 6.450 -476) Ma tra queste la fenicia Didone, recente dalla ferita vagava per la grande selva; appena l'eroe troiano le fu vicino e la riconobbe tra le ombre tenebrosa, come quella luna che all'inizio del mese uno pensa di vedere o d'aver visto tra le nubi, versò lacrime e parlò con dolce amore: "Infelice Didone, dunque mi era giunta vera la notizia che eri morta e con la spada avevi raggiunto la fine? Ahi, ti fui causa di morte? Per le stelle giuro; per i celesti e se c'è lealtà sotto il più profondo della terra, conto voglia, o regina, me ne andai dal tuo lido. Ma gli ordini degli dei mi spinsero, coi loro poteri, quelli che ora spingono ad andare tra queste ombre per luoghi orridi di squallore e per la notte profonda, davvero no potei credere ch'io ti recassi sì forte dolore: Ferma il passo e non sottrarti al nostro sguardo. Chi fuggi? Questa è l'ultima volta che ti parlo, per fato!" Con tali parole Enea alleviava l'anima ardente e che guardava torvo e chiamava pianto. Lei, scontrosa, teneva gli occhi fissi al suolo, né è commossa in volto dal discorso iniziato più che fosse dura roccia oscoglio marpesio. Infine si sottrasse ed ostile si rifugiò nel bosco ombroso, dove il primo marito Sicheo risponde alle angosce e ne eguaglia l'amore. Enea nondimeno sconvolto dall'ingiusto destino, piangendo segue da lontano e commisera lei che se ne va.
LE OMBRE DEI GUERRIERI (6.477-493) Poi riprende la strada obbligata. Ormai occupavano gli ultimi campi, che i famosi in guerra affollano. Qui gli si presenta Tideo,, qui l'illustre per l'armi Partenopeo e l'ombra del pallido Adrasto, qui i Dardanidi caduti in battaglia e molto compianti fra i viventi: egli vedendoli tutti in lunga fila li pianse: Glauco, Medonte, Tersilico, i tre Antenoridi, Polibete, sacro a Cerere, Ideo, che ancora teneva il cocchio e le armi. Le anime accerchiano a destra e sinistra affollandosi: Ma è sufficiente aver visto una volta; piace fermarsi ancora, seguirne il passo e sapere i motivi del viaggiare. Ma i corpi dei Danai e le falangi agamennonie, come videro l'eroe e le armi sfavillanti tra le ombre, trepidavan per l'enorme paura in parte volgevan le spalle, come quando un tempo corsero alle navi; in parte alzavano una flebile voce: il grido iniziato di chi apre bocca si annulla.
L'OMBRA SFIGURATA DI DEIFOBO ( 6.494-546) Proprio qui vede il priamide Deifobo, dilaniato in tutto il corpo, crudelmente lacero in volto, in volto ed ambe le mani, le tempia devastate, le orecchie strappate, le narici toncate da orribile ferita. A stento così lo riconobbe tremante e che copriva i crudeli supplizi, poi lo chiama con chiare parole: "Deifobo potente in armi, prole della grande stirpe di Teucro, chi tanto crudele volle vendicarsi? A chi fu possibile così tanto su di te? L fama mi riferì che nell'ultima notte tu stanco per la grande strage di Pelasgi, cadesti sopra il cumulo di confuso massacro. Allora io sul lido reteo ti feci un tumulo vuoto e per tre volte chiamai a gran voce i Mani: Il nome e le armi custodiscono il posto: Non potei vedere te, amico, e porti nella terra patria, partendo". A ciò il priamide:"Ah, nulla fu tralasciato da te, amico, tutto hai assolto per Deifobo e per le ombre di morte. I miei fati ed il mortale delitto della Spartana mi immersero in questi mali: ella mi lasciò questi ricordi. Tu sai comme passammo tra false gioie l'ultima notte, è necessario purtroppo ricordare. Quando il cavallo fatale giunse a salti sopra Pergamo e gravido portò in grembo la fanteria armata, ella, simulando una danza, portava in giro le frigie inneggianti i riti; lei in mezzo teneva una fiaccola enorme e chiamava i Danai dall'alta rocca. Allora l'infelice talamo mi accolse, sfinito d'affanni, una dolce profonda quiete mi oppresse mentre dormivo similissima alla placida morte. Frattanto la nobile sposa toglie dalla casa tutte le armi ed aveva sottratto la spada fidata da sotto la testa: chiama in casa Menelao ed apre le porte, certamente sperando che ciò sarebbe stato gran dono per l'amante e così si potesse estinguere la fama degli antichi mali: Perché indugio?Irrompono in camera: si aggiunge insieme compagno e maestro di delitti l'eolide: O dei, ai Grai tali cose restituite, se chiedo vendetta con voce pia. Ma racconta a tua volta, orsù, quali vicende ti portarono qui vivo?Arrivi spinto dai viaggi del mare o per ordine degli dei? O quale sorte ti affanna da raggiungere le tristi case senza sole, luoghi oscuri?" A questo scambio di parole, l'Aurora con rosee quadrighe ormai aveva passato la metà dell'asse celeste con etereo percorso e forse passerebbero tutto il tempo dato con tali discorsi, ma la compagna ammonì e brevemente la Sibilla intervenne; "La notte corre, Enea, noi piangendo passiamo le ore. Questo è il luogo dove la via si divide in due parti: la destra che guida sotto le mura del grande Dite, di qui per noi è la strada per l'Elisio; la destra invece tratta le pene dei mali ed immette nell'empio Tartaro." Deifobo allora: "Non infierire, grande sacerdotessa, Partirò, entrerò nella massa, e sarò restituito alle tenebre. Va', va', nostra gloria: abbi destini migliori.". Disse solo questo e nel discorso volse i passi.
IL TARTARO ( 6.547-636) Enea osserva: ed ecco vede a sinistra sotto una rupe ampi bastioni, circondati da triplice muto che il tartare fiume Flegetonte attornia Con fiamme incandescenti e trascina massi risonanti. La porta di fronte, enorme, le colonne di duro acciaio, che nessuna forza di uomini, né gli stessi celesti possano rompere col ferro: una torre di ferro s'erge nell'aria, e Tisifone, sedendo, avvolta in cruento mantello, insonne controlla il vestibolo notte e giorno. Qui si sentivano gemiti e frustate crudeli risuonavano, poi stridore di ferro e catene strascinate. Si fermò Enea ed atterrito dallo strepito esitò: che spettacolo di delitti?vergine, parla; da che pene sono straziati?Che pianto sì grande nell'aria? Allora la profetessa così cominciò a dire: "Ilustre guida dei Teucri, a nessun giusto è lecito stare sulla soglia scellerata; ma quando Ecate mi incaricò dei boschi dell'Averno, lei stessa narrò le pene degli dei e mi condusse dappertutto. Radamanto di Cnosso tiene questi terribilissimi regni, castiga, sente gli inganni e costringe a confessare ciò che ognuno tra i vivi, contento d'un vano furto, differì alla morte lontana l'espiazione dovuta. Subito, balzando, Tisifone vendicatrice, munita di frusta, scuote ed incalza i colpevoli, scagliando con la sinistra torve serpi e chiama le terribili schiere delle sorelle. Poi finalmente le sacre porte stridendo sul cardine dal suono orrendo si aprono. Vedi quale guardia sieda nel vestibolo? Che mostro controlli la soglia? L'Idra dalle enormi cinquanta gole nere, troppo crudele, occupa il luogo dentro. Poi Tartaro stesso due volte si apre a precipizio e tanto s'addentra tra le ombre quanto l'altezza del cielo rispetto al celeste Olimpo. Qui l'antica prole della Terra, il popolo titanio, cacciati da un fulmine si rotolano nel fondo dell'abisso. Qui pure vidi i gemelli Aloidi, corpi giganteschi, che tentarono con le mani di squarciare il grande cielo e cacciare Giove dai regni celesti. Vidi anche Salmoneo che espiava pene crudeli: mentre imita le fiamme di Giove ed i rimbombi dell'Olimpo, lui trascinato da quattro cavalli e scuotendouna fiaccola attraverso i popoli dei Grai e la città del centro dell'Elide, andava esultando e si arrogava il culto degli dei: pazzo! Tanto da simulare i nembi ed il fulmine inimitabile col bronzo e col galoppo dei cavalli zoccolati. Ma il padre onnipotente scagliò tra le dense nubi un'arma, non fiaccole e neppure lucifumose per fiaccole e lo gettò a precipizio in un gigantesco vortice. C'era pure da vedere Tizio, figlio della Terra generatrice universale, il cui corpo si stende per nove iugeri interi: un gigantesco avvoltoio rodendo col becco sdunco il fegato immortale, viscere feconde per le pene, lo scava per il pasto ed abita sotto l'alto petto: e non vien dato alcun riposo alle fibre rinate. Perché ricordare i Lpiti, Issione, Piritoo? Sopra di essi una nera roccia che quasi quasi sta per crollare, non dissimile da una che cade: aurei sostegni splendono per gli alti letti festosi e son pronti davanti alle bocche i pranzi con lusso regale; vicino la maggiore delle Furie vigila e e vieta di toccare con le mani le mense e si alza reggendo unafiamma e tuona con la bocca. Qui, quelli che odiarono i fratelli, mentre la vita scorreva, o cacciato un genitore e si intentò una frode al povero oppure quelli che da egoisti si buttarono su ricchezze trovate, ma non le spartiron: questa folla è immensa, quelli uccisi per adulterio, che seguirono le empie armi non temendo di tradire le destre dei padroni, rinchiusi aspettan la pena. Non chieder di sapere quale pena e che forma o sorte travolse gli uomini. Alcuni rotolano un masso enorme, altri pendon legati a raggi di ruote; siede e siederà in eterno l'infelice Teseo ed il miserrimo Flegias ammonisce tutti ed a gran voce dichiara tra le ombre: "Ammoniti imparate la giustizia e non disprezzare gli dei". Questi ha venduto la patria per denaro ed impose un potente tiranno, fece e disfece le leggi dietro compenso; costui occupò il letto della figlia, nozze proibite: tutti osando enorme sacrilegio ed ottennero quanto osato. No, se avessi cento lingue e cento bocche, una voce di ferro, non potrei abbracciare tutte le forme di delitti, enumerare tutti i nomi delle pene." Come l'anziana sacerdotessa di Febo espresse queste parole, "Ma orsù, prendi la via e compi l'offerta iniziata; affrettiamoci disse. Vedo le mura costruite dalle officine dei Ciclopi e le porte con l'arco davanti, dove gli ordini ci obbligano di deporre questi doni": Aveva detto ed avanzando insieme per il buio delle strade completano la distanza frapposta e s'avvicinano ai battenti: Enea occupa l'ingresso ed asperge di acqua fresca il corpo ed attacca il ramo sulla soglia davanti. I CAMPI ELISI ( 6.637-678) Compiuti dunque i riti, consegnato il dono alla dea, giunsero ai luoghi ridenti, alle amene verzure, le sedi beate dei boschi fortunati: Qui l'aria è più pura e veste di luce purpurea le pianure, vedono un loro sole e stelle loro. Alcuni esercitano le membra in palestre erbose, si sfidano nel gioco e lottano su bionda sabbia, altri ritmano coi piedi le danze e cantan canzoni. Inoltre un sacerdote trace con lunga veste suona con ritmo le sette corde dei suoni, e le tocca ora con le dita, ora col plettro d'avorio. Qui è l'antica stirpe di Teucro, bellissima prole, magnanimi eroi, nati in tempi migliori, Ilo, Assaraco ed il fondatore di Troia Dardano. Ammira le armi ed i cocchi vuoti degli eroi, le lance stanno piantate per terra e qua e là sciolti i cavalli pascolano per la pianura. Quell'amore dei carri e delle armi che ebbero da vivi, la passione di pascere cavalli splendenti, la stessa li segue, ora coperti dalla terra. Ecco vede altri a destra ed a sinistra tra l'erbe banchettare ed in coro cantare un allegro inno dentro un bosco odoroso d'alloro: di là verso l'alto score attraverso la selva il ricchissimo fiume dell'Eridano. Qui, a schiera, quelli che soffriron ferite combattendo per la patria, quei sacerdoti puri, mentre la vita scorreva, quei profeti pii, che espressero cose vere per Febo, o quelli che coltivaron la vita attraverso arti inventate e quelli che si resero memori beneficand gli altri; per tutti questi le tempie son cinte di candida benda. Ad essi stretti intorno, così parlò la Sibilla: anzitutto a Museo, una foltissima folla lo preme in mezzo, ammira lui che sovrasta per le alte spalle: "Dite, felici anime, e tu, ottimo poeta, quale ambiente, quale luogo trattiene Anchise? Per lui venimo e passammo i garndi fiumi di Erebo": Ed a lei così l'eroe diede risposta con poche (parole): "Nessuno ha dimora precisa: dimoriamo per boschi ombrosi, abitiamo i giacigli delle rive ed i freschi prati di ruscelli: Ma voi, se così la volontà vuole nel cuore, superate questa altura e vi porrò subito su facile percorso": Disse e portò avanti il passo: dall'alto mostra pianure splendenti: poi lascian la sommità della cima.
L'OMBRA DEL PADRE ANCHISE ( 6. 679-702) Ma il padre Anchise dentro una valle verdeggiante osservava le anime raccolte e destinate ad andare alla luce dei viventi, ammirando con amore e contava proprio tutta la folla dei suoi, i cari nipoti; i destini e le ricchezza degli eroi, i costumi, le gesta. Egli come vide Enea che davanti avanzava sull'erba, pronto tese entrambe le mani: le lacrime si sparsero sulle guance e la voce proruppe dalla bocca: "Giungesti finalmente e la tua pietà atesa dal padre ha vinto il duro cammino? E' dato vedere il tuo volto, figlio, ascoltare voci conosciute e rispondere? Proprio così riflettevo in cuore e pensavo il futuro calcolando i tempi ed il mio impegno non mi ingannò: Io ti accolgo, trascinato per quali terre e per quanti mari! Sballottato, figlio, da quanti rischi! Quanto temetti che i regni di Libia ti nuocessero un poco" Lui in risposta:" O padre, la triste tua immagine mi spinse, apparendomi spesso, a raggiungere queste sedi; le flotte stanno sul mar Tirreno. Lasciami stringere la destra, lascia, padre, e non sottrarti al nostro abraccio" Così ricordando, insieme rigava il volto di molto pianto: Tre volte tentò lì di gettargli le braccia al collo; tre volte l'immagine invano afferrata sfuggì alle mani, uguale ei leggeri venti e similissima al sogno.
SORTE E DESTINO DELLE ANIME (6.703 -755) Intanto Enea vede nella vale solitaria un bosco appartato ed i rami della selva risuonanti ed il fiume Leteo che bagna le tranquille dimore. Attorno ad esso volavano innumerevoli popoli e stirpi: e come nei prati quando le api nella serena estete si posano sui fiori colorati e si riversano attorno ai candidi gigli: tutta la pianura echeggia per il mormorio. Rabbrividisce per la visione improvvisa, l'ignaro Enea ne domanda i motivi: quali siano poi quelle correnti, o quali uomini abbian riempito le rive con sì grande schiera. Allora il padre Anchise: "Le anime, a cui per fato sono dovuti nuovi corpi, presso l'onda del fiume Leteo bevono liquidi sicuri e lunghi oblii. Senz'altro desidero ricordarti e mostrare apertamente e da tempo enumerare questa prole dei miei, perché con me gioisca di più, trovata l'Italia." "O padre, bisogna pensare che alcune anime di qui vadano leggere al cielo e di nuovo tornino ai corpi pesanti? Quale sì crudele desiderio di luce per le misere?" "Parlerò certamente e non ti terrò sospeso, figlio" riprende Anchise e chiarisce con ordine cosa per cosa. "In principio lo spirito dentro anima il cielo, le terre, le limpide pianure, il globo lucente della luna, le stelle titanie e l'anima diffusa per le membra smuove tutta la mole e s'unisce al grande corpo. Di qui la specie umana ed animale, le vite degli uccelli, ed i mostri che il mare offre sotto l'onda marmorea. Tali semi hanno vigore igneo ed origine celeste, fin quando non li ritardino i corpi nocivie li inebetiscano organi di terra e membra che devon morire. Perciò temono e vogliono, soffron e godono, ma non vedono i cieli, chiuse in tenebre e carcere cieco. Anzi quando la vita se n'è andata con l'ultima luce, tuttavia non tutto il male né tutte le malattie fisiche se nevanno completamente dai miseri: è necessario che molte cose troppo indurite si sviluppino in strani modi. Orbene son travagliate dalle pene e pagano i tormenti dei mali passati: alcune vuote si aprono sospese ai venti; per altre in un vasto gorgo il peccato impregnato vien lavato o bruciato dal fuoco: tutti soffriamo i propri castighi: di lì siam mandati nell'ampio Elisio ed in pochi otteniamo i campi felici, finchè un lungo giorno, compiutosi il corso del tempo, ha tolto la macchia impregnata e lascia puro il senso celeste ed il fuoco dal semplice soffio. Tutte queste le chiama il dio, quando han girato la ruota mille anni, presso il fiume Leteo in gran numero, perché poi immemori rivedano il mondo di sopra e di nuovo comincino a voler ritornare nei corpi. Aveva parlato Anchise ed attira il figlio ed anche la Sibilla in mezzo a gruppi e tra una folla che grida, raggiunge un'altura, da cui potesse vedere tutti davanti in lunga fila e riconoscere i volti dei passanti.
RASSEGNA DEGLI EROI ROMANI (6. 756 - 787) Orsù adesso la prole dardania e poi quale gloria ne segua, quali siano i nipoti dalla popolazione italica, le anime illustri destinate alla nostra gloria, le spieghierò a parole ed a te rivelerò i tuoidestini. Quel giovane, vedi, che si appoggia alla pura lancia, tiene per sorte i luoghi vicinissimi alla luce, per primo sorge per l'aria celeste, misto di sangue italico, Silvio, nome albano, tua prole postuma, che tardi per te vecchio la sposa Lavinia alleva nei boschi re e padre di re, da cui la nostra stirpe dominerà Alba Longa. E' vicino quel Proca, gloria del popolo troiano, Capi, Numitore e chi ti rinnoverà col nome Silvio Enea, ugualmente famoso per pietà ed armi, se mai riceverà Alba da governare. Che giovani! Guarda quali forze mostrano! E portan le tempie adombrate di quercia civica! Questi ti costruiranno Nomento, Gbi, e la città di Fidene, questi ergeranno sui monti le rocche collatine, Pomezia, il castello d'Inuo, Bola e Cora: Allora questi saranno i nomi, ora son terre senza un nome. Ancora Romolo, figlio di Marte, si unirà come compagno al nonno, la madre Ilia della stirpe di Assaraco lo alleverà. Vedi come le creste s'ergon gemello alla sommità, e lo stesso padre dei celesti lo segna già del suo onore? Ecco, figlio, coi suoi auspici quella famosa Roma: eguaglierà l'impero alle terre, gli animi all'Olimpo, unica si circonderà le sette rocche di muraglia, fortunata per stirpe d'eroi: come la madre Berecinzia turrita è portata sul cocchio per le città frigie, gioiosa per la nascita di dei, abbracciando cento nipoti, tutti celesti, tutti occupanti le massime altezze.
IL DIVINO CESARE AUGUSTO ( 6.788 -807) Ora volgi qui i tuoi due occhi: osserva questo popolo, i tuoi Romani.Qui c'è Cesare e tutta la stirpe di Iulo, che verrà sotto l'asse del cielo: Qui c'è l'eroe, questi, che più volte ti senti promesso, Cesare Augusto, stirpe del dio, che di nuovo sul Lazio fonderà le età d'oro , per campi un tempo governati da Saturno, porterà il regno sopra i Garamanti e gli Indi: il territorio sta fuori degli astri, fuori dalle vie dell'anno e del sole, dove Atlante, portatore del cielo, regge sulla spalla l'asse ornato di stelle splendenti. Già ora per il suo arrivo i regni del Caspio temono per i responsi degli dei, la terra Meozia e le trepidanti foci del settemplice Nilo si turbano. Neppure l'Alcide affrontò tanta terra anche se trafisse la cerva dagli zoccoli di bronzo e se pacificò i boschi d'Erimanto e se atterrì Lerna con l'arco: ma neppure Libero, che vincitore guida le pariglie con briglie di pampini, spingendo le tigri dall'alta cima di Nisa. E ancora dubitiamo di aumentare l'eroismo con le azioni o la paura impedisce di fermarci in terra ausonia?
I PRIMI RE ED ALTRI EROI ( 6.808 -859) Ma chi è cului, lontano, illustre per i rami d'olivo che reca oggetti sacri?Riconosco i capelli el il mento bianco del re romano, che fonderà l'inizio della città con le leggi, inviato dala piccola Curi e da povera terra al grande impero. A lui poi subentrerà Tullo, che romperà gli ozi della patria e muoverà alle armi gli uomini pigri e le schiere ormai disabituate ai trionfi. Vicino lo segue più baldanzoso Anco, ora già troppo rallegrandosi dei favori popolari: Vuoi pure vedere i re Tarquini e l'anima fiera di Bruto vendicatore ed i fasci ripresi? Costui riceverà il primo potere di console e le tremende scuri ed il padre chiamerà a morte i figli, che muovon nuove guerre per la bella libertà, infelice, comunque i posteri riferiranno quei fatti. Vincerà l'amor di patria e l'immensa voglia di gloria. Poi osserva lontano i Deci, i Drusi ed il feroce Torquato con la scure e Camillo che riporta le insegne. Ma quelle anime, che vedi risplendere con armi uguali, adesso concordi e finchè sono oppressi dalla notte. Ahi, quale guerra tra loro se raggiungerano le luci della vita, quali eserciti e che strage richiameranno, il suocero discendendo dalle alture alpine e dalla rocca di Monaco, il genero, armato dall'oriente nemico. No, ragazzi, non abituatevi a tali guerre nei cuori e non rivolgete le energiche forze contro il seno della patria; e tu per primo, t, perdona, che hai il sangue dall'Olimpo, getta le armi dalla mano, o samgue mio. Quello, vinta Corinto, condurrà da vincitore il cocchio all'alto Campidoglio, illustre per gli Achei uccisi. Egli abbatterà Argo e l'agamennonia Micene, lo stesso Eacide, stirpe d'Achille potente nell'armi, vendicando gli avi di Troia ed i templi profanati di Minerva. Chi lascerebbein silenzio te, grande Catone, o te, Cosso? Chi la stirpe di Gracco o entrambi gli Scipioni, due fulmini di guerra, rovina dell Libia o Fabrizio, potente di povertà, o te, Serrano, che semini nel solco? Dove mi trascinate, stanco, o Fabi? Sei tu quel Massimo, che da solo, temporeggiando, rigeneri lo stato? Altri plasmeranno meglio le statue palpitanti, lo credo proprio, trarranno dal marmo volti vivi, tratteranno megli i processi e descriveranno con lo strumento le strade del cielo e prediranno gli astri nascenti: tu, Romano, ricordati di guidare i popoli col potere. Tu avrai queste arti: imporre usanze di pace, perdonare ai vinti ed abbattere i superbi": Così il padre Anchise ed aggiunge per quelli che stupivano: "Osserva come Marcello, glorioso per le ricche spoglie, avanza e da vincitore supera tutti gli eroi. Costui, da cavaliere, sistemerà lo stato romano, quando un grande tumulto sconvolga, vincerà i Puni ed il Gallo ribele, ed appenderà per terzo al padre Quirino le armi catturate."
IL GIOVANE MARCELLO ( 6. 860 -887) Ma qui Enea (infatti vedeva insieme procedere un giovane, bello d'aspetto e splendente nelle armi, ma poco lieta la fronte, gli occhi col volto abbassato): "Chi è, padre, colui che accompagna l'eroe che avanza? Il figlio o qualcuno dei nipoti della grande stirpe? Che fervore di compagni, attorno! Quanta maestà in lui! Ma una nera notte attornia il capo di triste ombra". Allora il padre Anchise, spuntate le lacrime, iniziò: "O figlio, con chiedere l'enorme luto dei tuoi: i fatti lo mostreranno soltanto in terra né lasceranno che resti di più. O celesti, la stirpe romana vi sembrò troppo potente se questi doni fossero stati suoi. Quanti gemiti d'eroi provocherà quella piana presso la grande città di Marte! Quali funerali, o Tevere, vedrai, quando scorrerai oltre la tomba fresca. Nessun ragazzo della stirpe di Ilio innalzerà a tanto per speranza gli avilatini, né la terra di Romolo si glorierà mai tanto di alcun figlio. Oh pietà, oh antica fede, destra invincibile in guerra.A lui armato, nessuno si sarebe recato contro impunemente, sia andando contro il nemico da fante, sia che calcasse con gli speroni i fianchi di spumeggiante cavallo. Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati, tu resterai marcello. Gettate gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei e colmi l'anima del nipote almeno con questi doni e faccia un inutile regalo". Così camminano qua e là per tutta la regione in vaste pianure ariose ed osservano tutto.
USCITA DAL REGNO DEGLI INFERI( 6. 888-901) Dopo che Anchise ebbe condotto il figlio per ogni singola parte ed ebbe incendiato lo spirito di amore della fama in arrivo, allora ricorda all'eroe le guerre, che son poi da combattere, illustra i popoli di Laurento e la città di Latino ed in che modo fugga e sopporti ogni fatica. Son due le porte del Sonno, di cui una si dice cornea, da cui è data una facile uscita alle vere ombre: la seconda, brillante, fatta di splendente avorio, ma gli spiriti mandano al cielo falzi sogni. Qui poi Anchise accompagna il figlio insieme con la Sibilla con queste parole e li lascia dalla porta d'avorio: egli taglia la via verso le navi e rivede i compagni. Poi si reca al porto di Gaeta per il litorale diritto. L'ancora è calata dalla prua: sul lido stanno le poppe.
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