mercoledì 17 febbraio 2021

LA VITA DAVANTI A SÉ Romain Gary



LA VITA DAVANTI A SÉ

Dopo la trasposizione cinematografica del 1977 con Simone Signoret nel ruolo di Madame Rosa, su Netflix possiamo vedere il nuovo film nella interpretazione di Sofia Loren.

Recensione di Susanna Alagi

Momo’, che racconta nel romanzo in prima persona, è un giovane arabo allevato da un ex prostituta in un quartiere di Parigi, Belville, nel dopoguerra. Periferia piena di razze colori,lingue e religioni, ma in cui regna degrado e miseria. il linguaggio disarmante del bambino, il suo buonsenso, il suo atteggiamento sempre positivo ed ottimista del mondo nonostante il disagio e gli stenti in cui vive, non possono lasciare indifferente il lettore che trovera’ in questo bambino la delicatezza e la trasparenza tipici dell’infanzia. I suoi pensieri faranno sorridere, commuovere, emozionare perche’ raccontati in modo semplice e senza pregiudizi.Il punto di vista di un bambino è sempre interessante,soprattutto un bambino che vive in condizioni terribili;un bambino che non si compiange e cerca di salvarsi aggrappandosi disperatamente a quanto di buono la vita gli offre. Un romanzo delizioso,drammatico,ironico,ricco,indimenticabile!Lo sguardo di un bambino sull’umanita’che lo circonda, la sua fame d’amore e il suo grande interrogativo che rivolge spesso al suo amico venditore di tappeti: ”si puo vivere senza amore?”naturalmente la risposta e’ no. Questo libro è un capolavoro , struggente e trascinante fino all’ultima parola. “Ho aperto per il signor Charmette la scatola di cioccolatini che ci aveva regato Madame Lola, ma lui non ne ha presi perché aveva degli organi che gli proibivano lo zucchero.alla fine se ne è sceso al secondo piano e la sua visita non ha sistemato assolutamente niente.Madame Rosa vedeva che la gente diventava sempre più gentile con lei e non è mai un buon segno.

LA VITA DAVANTI A SÉ 

Romain Gary. 

Neri Pozza Editore

 Per prima cosa vi posso dire che abitavamo al sesto piano senza ascensore e che per Madame Rosa, con tutti quei chili che si portava addosso e con due gambe sole, questa era una vera e propria ragione di vita quotidiana, con tutte le preoccupazioni e gli affanni. Ce lo ricordava ogni volta che non si lamentava per qualcos’altro, perché era anche ebrea. Neanche la sua salute era un granché e vi posso dire fin d’ora che una donna come lei avrebbe meritato un ascensore. Dovevo avere tre anni quando ho visto Madame Rosa per la prima volta. Prima non si ha memoria e si vive nell’ignoranza. La mia ignoranza è finita verso i tre o i quattro anni e certe volte ne sento la mancanza. C’erano molti altri ebrei, arabi e neri a Belleville, ma Madame Rosa era l’unica che si doveva arrampicare fino al sesto piano. Diceva che un giorno o l’altro ci sarebbe morta per quella scala, e tutti i marmocchi si mettevano a piangere, perché si fa sempre così quando muore qualcuno. Eravamo sei o sette là dentro, e qualche volta anche di più. All’inizio non sapevo che Madame Rosa si occupava di me soltanto per riscuotere un vaglia alla fine del mese. Quando sono venuto a saperlo avevo già sei o sette anni e per me è stato un colpo sapere che ero a pagamento. Credevo che Madame Rosa mi volesse bene gratis e che ci fosse qualcosa tra noi due. Ci ho pianto su per una notte intera ed è stato il mio primo grande dolore. Madame Rosa si è accorta che ero triste e mi ha spiegato che la famiglia non significa niente e che ci sono perfino di quelli che vanno in vacanza abbandonando il loro cane legato a un albero e che ogni anno ci sono tremila cani che muoiono così senza l’affetto dei loro cari. Mi ha preso sulle ginocchia e mi ha giurato che io ero la cosa più cara che aveva al mondo, ma io ho pensato subito al vaglia e sono scappato via piangendo. Sono sceso di sotto nel caffè del signor Driss e mi sono seduto di fronte al signor Hamil, che ha fatto il venditore ambulante di tappeti per tutta la Francia e ne ha viste di cotte e di crude. Il signor Hamil ha dei begli occhi che dispensano del bene tutto intorno. Era già molto vecchio quando l’ho conosciuto e dopo ha sempre continuato a invecchiare. «Signor Hamil, perché sorridete sempre?» «In questo modo ringrazio ogni giorno Dio per la mia buona memoria, piccolo Momò». Io mi chiamo Mohammed, ma mi chiamano tutti Momò per far prima. «Sessant’anni fa, quand’ero giovane, ho incontrato una ragazza che mi ha amato e che ho amato anch’io. È andata avanti per otto mesi, poi lei ha cambiato casa, e io me ne ricordo ancora sessant’anni dopo. Le dicevo: “Non ti dimenticherò”. Passavano gli anni e io non la dimenticavo. Certe volte avevo paura perché avevo ancora molta vita davanti a me, e che promessa potevo mai fare a me stesso, io, povero uomo, se è Dio che tiene in mano la gomma da cancellare? Adesso però sono tranquillo. Non dimenticherò Djamila. Mi resta poco tempo, morirò prima». Ho pensato a Madame Rosa, ho esitato un po’ e poi ho domandato: «Signor Hamil, si può vivere senza amore?» Non ha risposto. Ha bevuto un po’ di tè alla menta che fa bene alla salute. Da un po’ di tempo il signor Hamil portava sempre una jellaba grigia, per non farsi trovare in giacchetta al momento della chiamata. Mi ha guardato ed è rimasto in silenzio. Doveva pensare che ero ancora vietato ai minori e che c’erano delle cose che non dovevo sapere. A quel tempo dovevo avere sette anni o forse otto, non ve lo posso dire con precisione perché non sono stato datato, come saprete quando ci conosceremo meglio, se trovate che ne vale la pena. «Signor Hamil, perché non mi rispondete?» «Sei molto giovane, e quando si è molto giovani ci sono delle cose che è meglio non sapere». «Signor Hamil, si può vivere senza amore?» «Sì», ha detto, e ha abbassato la testa come se si vergognasse. Mi sono messo a piangere. Per molto tempo non ho saputo che ero arabo perché non c’era nessuno che mi insultava. L’ho saputo soltanto a scuola. Ma non facevo mai a botte, fa sempre male picchiare qualcuno. Madame Rosa era nata in Polonia come ebrea, ma aveva fatto la vita in Marocco e in Algeria e sapeva l’arabo quanto voi e me. Per lo stesso motivo sapeva anche l’ebreo e spesso ci parlavamo in questa lingua. La maggior parte degli altri inquilini dello stabile erano neri. Ci sono tre pensionati neri in rue Bisson e altri due dove vivono in tribù, come fanno in Africa. Ci sono soprattutto i Sarakollé, che sono i più numerosi, e i Toucouleurs, che sono un bel mucchio anche loro. In rue Bisson ci sono molte altre tribù ma non ho tempo per nominarle tutte. Il resto di rue e di boulevard de Belleville è soprattutto ebreo e arabo e continua così fino alla Goute d’Or; dopo incominciano i quartieri francesi. All’inizio non lo sapevo di essere senza madre e non sapevo nemmeno che ce ne volesse una. Madame Rosa evitava di parlarne per non darmi dei pensieri. Non lo so perché sono nato e come sia successo esattamente. Il mio compagno il Mahoute, che ha parecchi anni più di me, mi ha detto che dipende dalle condizioni igieniche. Lui è nato nella Casbah di Algeri ed è venuto in Francia soltanto dopo. Igiene nella Casbah non ce n’era ancora e lui era nato perché non c’erano bidè né acqua potabile né niente. Queste cose il Mahoute le ha imparate più tardi, quando suo padre ha cercato di giustificarsi e gli ha giurato che non c’era stata cattiva volontà da parte di nessuno. Il Mahoute mi ha detto che le donne che fanno la vita adesso per l’igiene ci hanno una pillola, ma lui era nato troppo presto. Da noi c’erano parecchie madri, che venivano una o due volte la settimana, ma sempre per gli altri. Da Madame Rosa eravamo quasi tutti figli di puttane; quando andavano per qualche mese a battere in provincia, venivano a trovare i loro marmocchi prima e dopo. È stato così che ho incominciato ad avere dei problemi con mia madre. Mi sembrava che tutti quanti ne avessero una fuori che me. Ho incominciato ad avere dei crampi allo stomaco e delle convulsioni per farla venire. Sul marciapiede di fronte c’era un marmocchio che aveva un pallone e che mi aveva detto che sua madre veniva sempre quando lui aveva mal di pancia. Ho avuto mal di pancia ma non è servito a niente e poi ho avuto le convulsioni, ma sempre per niente. Per dare più nell’occhio ho perfino cagato dappertutto nell’appartamento. Niente. Mia madre non è venuta e Madame Rosa mi ha chiamato culo d’arabo per la prima volta, perché non era francese. Io le urlavo che volevo vedere mia madre e per settimane ho continuato a cagare dappertutto per vendicarmi. Alla fine Madame Rosa mi ha detto che se continuavo così mi mandava al brefotrofio e qui ho avuto paura, perché il brefotrofio è la prima cosa che si insegna ai bambini. Ho continuato a cagare per principio ma non poteva continuare così. Allora eravamo sette figli di puttane in pensione da Madame Rosa e si sono messi tutti quanti a fare a chi cagava di più, perché non c’è niente di più conformista dei marmocchi e là dentro c’era dappertutto tanta di quella cacca che io passavo inosservato. Madame Rosa era già vecchia e stanca di suo e ci restava malissimo perché era già stata perseguitata come ebrea. Si arrampicava fino al sesto piano parecchie volte al giorno coi suoi novantacinque chili e le sue due povere gambe e quando entrava e sentiva la puzza di cacca si lasciava cadere con tutti i pacchi e pacchetti sulla poltrona e si metteva a piangere, perché bisogna capirla. I francesi sono cinquanta milioni di abitanti e lei diceva che se tutti avessero fatto come noi perfino i tedeschi non avrebbero resistito, avrebbero tagliato la corda. Madame Rosa aveva conosciuto bene la Germania durante la guerra ma era ritornata. Entrava, sentiva la puzza e si metteva a sbraitare: «È Auschwitz! È Auschwitz!» perché era stata deportata ad Auschwitz per gli ebrei. Ma sotto l’aspetto razzista era sempre molto corretta. Per esempio chiamava “sporco arabo” un piccolo Moïse che stava con noi, ma non me. A quel tempo non mi rendevo conto che malgrado il suo peso aveva delle delicatezze. Alla fine ho lasciato perdere, perché non serviva a niente e mia madre non veniva lo stesso, ma ho continuato ad avere dei crampi e delle convulsioni per molto tempo e anche adesso certe volte mi prende alla pancia. In seguito ho cercato di farmi notare diversamente. Ho incominciato a rubacchiare nei negozi, un pomodoro o un melone dai cesti della vetrina. Aspettavo sempre che qualcuno guardasse, perché se ne accorgessero. Quando il padrone usciva e mi dava uno schiaffo io mi mettevo a strillare, ma c’era comunque qualcuno che s’interessava a me. Una volta, davanti a una drogheria, ho rubato un uovo e la padrona mi ha visto. Preferivo rubare dove c’era una donna, perché l’unica cosa che ero sicuro era che mia madre era una donna, non può essere diversamente. Ho preso un uovo e me lo sono messo in tasca. È venuta la padrona e io mi aspettavo che mi desse uno schiaffo per farmi ben notare. Invece mi si è accoccolata vicino e mi ha accarezzato la testa. Mi ha perfino detto: «Come sei carino!» Sul primo momento ho pensato che volesse riavere il suo uovo con le buone e l’ho tenuto stretto nella mano, in fondo alla tasca. Bastava soltanto che mi desse uno schiaffo per punirmi, è questo che deve fare una madre quando si accorge di te. Invece si è alzata, è andata dietro al banco e mi ha dato un altro uovo. Poi mi ha baciato. Ho avuto un momento di speranza che non vi posso descrivere perché non è possibile. Sono rimasto tutta la mattina davanti al negozio ad aspettare. Non so mica che cosa aspettavo. Di tanto in tanto la buona donna mi sorrideva e io rimanevo là col mio uovo in mano. Avevo sei anni poco più poco meno e credevo che fosse un grande amore mentre era soltanto un uovo. Sono tornato a casa e ho avuto mal di pancia tutto il giorno. Madame Rosa era alla polizia per una falsa testimonianza che le aveva chiesto Madame Lola. Madame Lola era un travestito del quarto piano che lavorava al Bois de Boulogne e che prima di fare il gran salto era stato campione di boxe nel Senegal e aveva accoppato un cliente al Bois che come sadico era cascato male, perché non poteva mica saperlo. Madame Rosa era andata a testimoniare che proprio quella sera era stata al cinema con Madame Lola e che dopo avevano guardato la televisione insieme. Vi parlerò ancora più a lungo di Madame Lola, era veramente una persona come non ce n’è. Mi piaceva per questo. _______ I bambini sono tutti quanti molto contagiosi. Quando ce n’è uno, subito arrivano gli altri. Allora eravamo in sette da Madame Rosa, due dei quali a giornata, che il signor Moussa, lo spazzino che tutti conoscono, depositava alle sei del mattino al momento delle immondizie, in assenza di sua moglie che era morta di qualcosa. Nel pomeriggio li riprendeva e se ne occupava lui. C’erano Moïse che era ancora più piccolo di me, Banania che si sbellicava sempre perché era nato di buon umore, Michel che aveva avuto dei genitori vietnamiti e che da un anno Madame Rosa non voleva tenere un minuto di più perché non la pagavano. Questa ebrea era una brava donna, ma a tutto c’è un limite. Il più delle volte succedeva che le donne che facevano la vita andavano dove c’era più domanda e si guadagnava di più e affidavano il loro bambino a Madame Rosa e non tornavano più. Partivano e chi s’è visto s’è visto. Sono le solite storie di bambini che non avevano potuto farsi abortire in tempo e che non erano necessari. Qualche volta Madame Rosa li sistemava in famiglie che si sentivano sole e che ne avevano bisogno, ma era difficile perché ci sono delle leggi. Quando una donna è costretta a fare la vita, non ha diritto di avere la patria potestà, è la prostituzione che lo richiede. Allora ha paura di perdere i suoi diritti e nasconde il suo marmocchio perché non lo affidino a qualcuno. Lo mette in custodia da gente che conosce e dove c’è discrezione assicurata. Non vi posso dire quanti figli di puttane ho visto passare da Madame Rosa, ma ce n’erano pochi come me che stavano lì in via definitiva. I più fedeli dopo di me erano Moïse, Banania e il Vietnamita, che alla fine è stato preso da un ristorante in rue Monsieur le Prince e che se adesso lo incontrassi non lo riconoscerei più dopo tanto tempo. Quando ho incominciato a chiedere di mia madre, Madame Rosa mi ha trattato da bambino incontentabile; tutti gli arabi sono uguali – ha detto – gli dai una mano e loro vogliono tutto il braccio. In fondo Madame Rosa non era così, lo diceva soltanto a causa dei pregiudizi e io sapevo di essere il suo preferito. Quando strillavo, si mettevano a strillare anche gli altri e Madame Rosa si è trovata con sette bambini che volevano la mamma e che facevano a gara a chi strilla di più e ha avuto una vera e propria crisi di isteria collettiva. Si strappava i pochi capelli che le erano rimasti e per l’ingratitudine le scendevano giù le lacrime. Si è nascosta il viso tra le mani e ha continuato a piangere, ma quella è un’età spietata. C’era anche dell’intonaco che cadeva dal muro ma mica perché Madame Rosa piangeva, si trattava solo di danni materiali. Madame Rosa aveva dei capelli grigi che cadevano anche loro perché non ce la facevano più. Aveva paura di diventare calva, è una cosa terribile per una donna che ha più ben poco d’altro. Aveva chiappe e seni più di chiunque altro e quando si guardava nello specchio si faceva dei gran sorrisi, come se cercasse di piacersi. Alla domenica si vestiva da capo a piedi, si metteva la parrucca rossa e si andava a sedere nei giardinetti Beaulieu e stava lì per ore e ore con eleganza. Si truccava parecchie volte al giorno ma cosa ci volete fare; con la parrucca e il trucco si notava di meno e poi lei metteva sempre dei fiori nell’appartamento per circondarsi di qualcosa di carino. Quando si è calmata, Madame Rosa mi ha portato nel gabinetto e mi ha trattato da sobillatore e mi ha detto che i sobillatori li mettevano sempre in prigione. Mi ha spiegato che mia madre vedeva tutto quello che facevo e che se un giorno volevo ritrovarla dovevo fare una vita pulita e onesta, senza delinquenza minorile. Il gabinetto era piccolissimo e Madame Rosa non ci stava tutta quanta a causa della sua mole ed era perfino curioso quanta ce ne fosse per una persona sola. Credo che là dentro dovesse sentirsi ancora più sola. Quando per uno di noi finivano di arrivare i vaglia, Madame Rosa non sbatteva fuori il colpevole. Era il caso del piccolo Banania, suo padre era ignoto e non gli si poteva fare nessuna colpa; sua madre mandava un po’ di denaro ogni sei mesi, quando andava bene. Madame Rosa sbraitava a Banania, ma lui se ne fregava perché aveva solo tre anni e dei sorrisi. Penso che Madame Rosa avrebbe anche messo Banania al brefotrofio, ma non il suo sorriso e siccome non si poteva dare l’uno senza l’altro, era costretta a tenerseli tutti e due. Toccava a me portare Banania nei pensionati africani di rue Bisson perché vedesse del nero, Madame Rosa ci teneva molto. «Bisogna che veda del nero, se no, più tardi, non lega con loro». Così prendevo Banania e lo portavo lì vicino. Lo accoglievano molto bene, perché è gente che ha lasciato la famiglia in Africa e un bambino fa sempre pensare a un altro. Madame Rosa non sapeva affatto se Banania, che si chiamava Touré, era un maliano o un senegalese o un guineano o altro; sua madre, prima di partire per un casino di Abidjan, batteva in rue Saint-Denis e nel mestiere sono cose che non si possono mai sapere. Anche Moïse era molto irregolare, ma qui Madame Rosa aveva le mani legate perché, tra ebrei, di brefotrofio non era nemmeno il caso di parlarne. Per me il vaglia di trecento franchi arrivava ogni primo del mese e stavo in una botte di ferro. Credo che Moïse avesse una madre che si vergognava, i suoi genitori non sapevano niente e lei era di buona famiglia e poi Moïse era biondo con gli occhi azzurri e non aveva il naso segnaletico e queste erano delle confessioni spontanee, bastava guardarlo. I miei trecento franchi al mese pagati sull’unghia incutevano a Madame Rosa del rispetto nei miei confronti. Andavo per i dieci anni, avevo anche delle turbe di precocità, perché agli arabi comincia a tirare prima degli altri. Sapevo dunque di rappresentare per Madame Rosa qualcosa di solido e che ci avrebbe pensato due volte prima di cacciare il lupo fuori dal bosco. È proprio quello che è successo nel gabinetto quando avevo sei anni. Mi direte che confondo gli anni, ma non è vero, e quando ne avrò voglia vi spiegherò come ho fatto a invecchiare di colpo. «Ascolta, Momò, tu sei il più grande, devi dare l’esempio: non devi più fare casino con tua madre. Avete la fortuna di non conoscere le vostre madri, perché alla vostra età c’è ancora la sensibilità, e loro sono delle puttane spudorate, roba da non crederci. Tu lo sai che cos’è una puttana?» «È una che si guadagna da vivere col culo». «Mi domando dove hai imparato delle mostruosità di questo genere, ma c’è molto di vero in quello che dici». «Anche voi, Madame Rosa, vi siete guadagnata da vivere col culo quando eravate giovane e bella?» Ha sorriso, le faceva piacere sentir dire che era stata giovane e bella. «Sei un bravo bambino, Momò, ma non ti agitare. Aiutami. Io sono vecchia e malata. Da quando sono tornata da Auschwitz non ho avuto altro che fastidi». Era così triste che non si vedeva neanche che era brutta. Le ho messo le braccia intorno al collo e l’ho baciata. Per strada dicevano che era una donna senza cuore, ma è anche vero che non c’era nessuno che s’interessava di lei. Aveva tenuto duro senza cuore per sessantacinque anni e c’erano dei momenti in cui bisognava perdonarla. Piangeva tanto che mi è venuta voglia di pisciare. «Scusate, Madame Rosa, ho voglia di pisciare». Dopo, le ho detto: «Madame Rosa, per mia madre d’accordo, capisco che non è possibile, ma in cambio non potrei tenere un cane?» «Cosa? Cosa? Credi che ci sia posto per un cane qui dentro? E che cosa gli do da mangiare? Chi gli manda i vaglia?» Ma non ha detto niente quando ho rubato un barboncino grigio tutto riccio al canile di rue Calefeutre e l’ho portato a casa. Sono entrato nel canile, ho chiesto se potevo accarezzare il barbone e la proprietaria mi ha dato il cane quando l’ho guardata come so fare io. L’ho preso, l’ho accarezzato e poi me la sono data a gambe come un razzo. Se c’è una cosa che so fare è correre. Non se ne può mica fare a meno nella vita. _______ Mi sono messo in un bel guaio con questo cane. Ho preso a volergli bene come non si deve. Anche gli altri però, eccetto forse Banania che se ne fregava completamente, era già felice così, senza motivo: non ho mai visto un nero felice per qualche buon motivo. Tenevo sempre il cane in braccio e non riuscivo a trovargli un nome. Ogni volta che pensavo a Tarzan o a Zorro sentivo che da qualche parte c’era un nome che non aveva ancora nessuno e che aspettava. Alla fine ho scelto Super ma con riserva, lasciandomi la possibilità di cambiare se avessi trovato qualcosa di più bello. Dentro di me avevo un accumulo di eccessi e ho dato tutto a Super. Non so mica cosa avrei fatto senza di lui, forse sarei finito in galera. Quando lo portavo a spasso mi sentivo qualcuno perché ero tutto ciò che lui aveva al mondo. Lo amavo a un punto tale che l’ho perfino dato via. Avevo già nove anni o poco meno e quella è un’età in cui si pensa già, eccetto forse quando si è felici. Bisogna anche dire senza offendere nessuno che da Madame Rosa era una vita triste, anche quando ci si è fatta l’abitudine. Allora quando Super ha incominciato a crescere per me dal punto di vista sentimentale, ho voluto dargli una sistemazione; è la stessa cosa che avrei fatto per me, se fosse stato possibile. Vi farò notare che non si trattava nemmeno di uno qualunque, ma di un barbone. C’è stata una donna che ha detto: «Oh, che bel cagnolino» e mi ha chiesto se era mio e se era in vendita. Ero vestito alla bell’e meglio, non ho la faccia di uno di queste parti e lei capiva che si trattava di un cane di un’altra specie. Le ho venduto Super per cinquecento franchi ed era veramente un affare. Ho chiesto cinquecento franchi alla comare perché volevo essere sicuro che avesse i mezzi. Sono capitato bene, aveva perfino una macchina con autista e ci ha subito messo dentro Super, nel caso avessi dei genitori che venissero a protestare. Ebbene, adesso ve lo dirò tanto non mi crederete. Ho preso i cinquecento franchi e li ho buttati in un tombino. Poi mi sono seduto su un marciapiede e ho frignato come un vitello coi pugni sugli occhi ma ero felice. Da Madame Rosa non c’era sicurezza ed eravamo tutti attaccati a un filo, con la vecchia malata, senza soldi e il brefotrofio in agguato e non era mica vita per un cane. Quando sono tornato a casa e le ho detto che avevo venduto Super per cinquecento franchi e avevo buttato i soldi in un tombino, Madame Rosa ha avuto una fifa blu, mi ha guardato ed è corsa a chiudersi a doppia mandata nel suo stambugio. Dopo cose del genere si chiudeva sempre dentro per dormire, casomai le volessi di nuovo tagliare la gola. Gli altri marmocchi hanno fatto un casino del diavolo quando l’hanno saputo, perché non volevano veramente bene a Super, lo facevano solo per gioco. Allora eravamo un mucchio, sette o otto. C’era Salima, che sua madre era riuscita a mettere in salvo quando i vicini l’hanno denunciata come puttana da marciapiede e ha avuto un sopralluogo dell’Assistenza Sociale per indegnità. Ha piantato il cliente a metà ed è riuscita a far uscire Salima, che stava in cucina, dalla finestra del pianterreno e l’ha nascosta per tutta la notte nel bidone della spazzatura. Alla mattina è arrivata da Madame Rosa con la marmocchia che puzzava di immondizia in uno stato d’isteria. C’era anche di passaggio Antoine, che era un vero francese ed era l’unico di razza, e noi lo guardavamo tutti attentamente per vedere come era fatto. Ma aveva soltanto due anni e non si vedeva un granché. E poi non ricordo più chi, c’era un avvicendamento continuo con le madri che si venivano a riprendere i loro marmocchi. Madame Rosa diceva che le donne che fanno la vita non hanno abbastanza sostegno morale, perché spesso i prossineti non fanno più il loro mestiere come si deve. Loro hanno bisogno dei loro bambini per avere una ragione di vivere. Spesso tornavano quando avevano un po’ di tempo o quando avevano una malattia e se ne andavano in campagna col loro moccioso per approfittarne. Non ho mai capito perché non permettono alle puttane registrate di allevare i loro figli; le altre non hanno problemi. Madame Rosa pensava che dipendesse dall’importanza che ha il culo in Francia, che negli altri posti non ce l’ha; qui la cosa ha delle proporzioni che non si possono immaginare se uno non ha visto. Madame Rosa diceva che il culo in Francia è la cosa più importante insieme a Luigi XIV ed è per questo che le prostitute, come le chiamano loro, sono perseguitate, perché le donne oneste lo vogliono tutto quanto per sé. Ho visto io in casa nostra delle madri piangere: le avevano denunciate alla polizia in quanto si tenevano il marmocchio col mestiere che facevano e morivano di paura. Madame Rosa le rassicurava, gli spiegava che c’era un commissario di polizia che era anche lui figlio di puttana e che la proteggeva e che conosceva un ebreo che le faceva delle carte false che nessuno se ne poteva accorgere tanto erano autentiche. Non ho mai visto questo ebreo, perché Madame Rosa lo teneva nascosto. Si erano conosciuti nella comunità ebrea in Germania dove non li avevano sterminati per sbaglio e avevano giurato che non si sarebbero fatti prendere più. L’ebreo stava in qualche posto nel quartiere francese e lavorava come un matto a fare carte false. Era per merito suo che Madame Rosa aveva dei documenti che provavano che era un’altra, come tutti quanti. Diceva che con quelli nemmeno gli israeliani avrebbero potuto provare nulla contro di lei. Certo, su questo punto non era mai del tutto tranquilla perché per questo bisogna essere morti. Nella vita fifa se ne ha sempre. Vi dicevo dunque che i marmocchi hanno strillato per ore quando ho dato via Super per garantirgli un avvenire che da noi non c’era, eccetto Banania, che era contentissimo come sempre. Ve lo dico io, quel birbante non era di questo mondo, aveva già quattro anni ed era ancora contento. L’indomani, la prima cosa che ha fatto Madame Rosa è stata di portarmi dal dottor Katz per vedere se non mi mancava qualche rotella. Madame Rosa mi voleva far fare un prelievo e cercare se, essendo arabo, non ero sifilitico, ma il dottor Katz è andato così in bestia che gli tremava la barba, perché ho dimenticato di dirvelo che aveva la barba. Gliene ha dette quattro sul muso proprio per bene e le ha gridato che erano tutte dicerie di Orléans. Le dicerie di Orléans era quando gli ebrei del ramo abbigliamento non drogavano le donne bianche per spedirle nei casini e tutti ce l’avevano con loro; fanno sempre parlare di loro per niente 1. Madame Rosa era ancora tutta scossa. «Cos’è successo esattamente?» «Ha preso cinquecento franchi e li ha buttati in un tombino». «È la sua prima crisi di violenza?» Madame Rosa mi guardava senza rispondere e io ero molto triste. Non mi è mai piaciuto dare dispiaceri alla gente, sono filosofo. Dietro al dottor Katz c’era una barca a vela su un caminetto con delle ali tutte bianche e, siccome ero infelice, me ne volevo andare lontano, lontano da me, e mi sono messo a farla volare, sono salito a bordo e ho attraversato gli oceani con mano sicura. Dev’essere proprio a bordo del veliero del dottor Katz che sono andato lontano per la prima volta. Fino allora non posso veramente dire di essere stato un bambino. Anche adesso, quando voglio, posso salire a bordo del veliero del dottor Katz e andare lontano senza nessun altro a bordo. Non ne ho mai parlato a nessuno e facevo sempre finta di essere lì. «Dottore, la prego di esaminare bene questo bambino. Lei mi ha proibito le emozioni a causa del mio cuore, e lui ha venduto ciò che aveva di più caro al mondo e ha buttato cinquecento franchi nel tombino. Nemmeno ad Auschwitz facevano così». Il dottor Katz era ben noto agli ebrei e agli arabi nei paraggi di rue Bisson per la sua carità cristiana e curava tutti quanti dalla mattina alla sera e anche più tardi. Di lui ho un buonissimo ricordo, era l’unico posto dove sentivo parlare di me e dove mi esaminavano come se si trattasse di qualcosa d’importante. Ci venivo spesso da solo, non perché ero malato, ma per sedermi nella sala d’aspetto. Ci stavo un bel po’. Lui lo capiva che stavo lì per niente e che occupavo una sedia quando c’era tanta di quella miseria al mondo, ma mi sorrideva sempre gentilmente e non si arrabbiava. Spesso guardandolo pensavo che se avessi avuto un padre avrei scelto proprio il dottor Katz. «Amava questo cane come non si è mai visto, se lo teneva in braccio anche per dormire e cosa mi fa? Lo vende e butta via i soldi. Non è mica un bambino come gli altri, dottore. Ho paura che nella sua famiglia ci sia qualche caso di pazzia improvvisa». «Le posso assicurare che non succederà niente, assolutamente niente, Madame Rosa». Mi sono messo a piangere. Lo sapevo bene che non sarebbe successo niente, però era la prima volta che lo sentivo dire apertamente. «Non è il caso di piangere, piccolo Mohammed. Ma se ti fa bene piangi pure. Piange molto?» «Mai», ha detto Madame Rosa. «Mai piange questo bambino, eppure Dio sa quanto soffro». «Ebbene, vede che adesso va meglio», ha detto il dottore. «Piange. Si sviluppa normalmente. Ha fatto bene a portarlo, Madame Rosa, le prescriverò dei tranquillanti. È solo ansietà, la sua». «Quando ci si occupa dei bambini, ce ne vuole dell’ansietà, se no diventano dei teppisti». Andando via, abbiamo camminato dandoci la mano; a Madame Rosa piace farsi vedere in compagnia. Ci mette sempre un sacco di tempo a vestirsi per uscire, perché è stata una donna e qualcosa gliene è rimasto. Si trucca molto, ma alla sua età non serve più a niente volersi nascondere. Ha una faccia da vecchia rana ebrea con gli occhiali e l’asma. Quando sale le scale con la spesa si ferma in continuazione e dice che un giorno o l’altro cadrà morta a metà scala, come se fosse tanto importante arrivare in cima al sesto piano. 1 Allusione a una leggenda metropolitana di quegli anni: nel 1968 alcuni negozianti ebrei di Orléans erano stati calunniosamente accusati dall’opinione pubblica locale di praticare la tratta delle bianche (N.d.T.). _______ A casa abbiamo trovato il signor N’Da Amédée, il ruffiano che chiamano anche prossineta. Se siete pratici della zona, saprete che c’è sempre un mucchio di autoctoni, che vengono tutti dall’Africa, come dice la parola. Vivono in case che si chiamano catapecchie e che non hanno i generi di prima necessità, come l’igiene e il riscaldamento della città di Parigi, che non arriva fin laggiù. In certune, di neri ce ne stanno anche centoventi, otto per stanza e un solo WC di sotto, e per questo si riversano dappertutto perché sono cose che non possono aspettare. Prima c’erano delle bidonville, ma la Francia le ha fatte demolire perché non si vedessero. Madame Rosa raccontava che a Aubervilliers c’era una catapecchia dove asfissiavano i senegalesi con le stufe a carbone mettendoli in una stanza con le finestre chiuse e l’indomani erano morti. Soffocavano per gli influssi malefici che uscivano dalla stufa mentre dormivano il sonno del giusto. Ci andavo spesso a trovarli vicino a rue Bisson e mi accoglievano sempre bene. La maggior parte erano musulmani come me, ma non è questo il motivo. Penso che gli facesse piacere vedere un marmocchio di nove anni che non aveva ancora nessuna idea in testa. I vecchi in testa ci hanno sempre delle idee. Per esempio, non è mica vero che i neri sono tutti uguali. Madame Sambor, che faceva da mangiare per loro, non assomigliava affatto al signor Dia, quando uno ha fatto l’occhio all’oscurità. Col signor Dia non c’era da scherzare. Aveva degli occhi come se volesse far paura. Leggeva sempre. Aveva anche un rasoio lungo così che se si schiacciava un aggeggio restava aperto. Se ne serviva per farsi la barba, ma accidenti! Erano in cinquanta in quella comunità e gli altri gli obbedivano tutti. Quando non leggeva faceva degli esercizi per terra per essere il più forte. Era molto robusto ma non gli bastava mai. Io non capivo perché un signore che era già così tarchiato faceva tanti sforzi per diventarlo ancora di più. Non gli ho mai chiesto niente, ma penso che non si sentiva abbastanza robusto per tutto quello che voleva fare. Anch’io qualche volta vorrei scoppiare per la voglia che ho di essere forte. Mi capita perfino di sognare di essere un poliziotto e di non avere più paura di niente. Passavo il tempo a gironzolare intorno al commissariato di rue Deudon ma senza speranza, lo sapevo bene che a nove anni non è possibile, ero ancora troppo minorenne. Sognavo di essere un poliziotto perché loro hanno la forza di sicurezza. Credevo che fossero la cosa più forte che c’è, non lo sapevo che esistevano i commissari di polizia, pensavo che la cosa finisse lì. Soltanto più tardi ho saputo che c’era ancora di meglio, ma non mi sono mai potuto elevare fino al questore, superava la mia immaginazione. Dovevo avere, che so, otto, nove o dieci anni e avevo una fifa matta di trovarmi senza nessuno al mondo. Più Madame Rosa faceva fatica a salire i sei piani e più stava seduta dopo, più mi sentivo una nullità e avevo paura. C’era anche la faccenda della mia data di nascita che mi scocciava, soprattutto quando mi hanno mandato via da scuola dicendo che ero troppo giovane per la mia età. Comunque, non aveva importanza, il certificato che dimostrava che ero nato e che ero in regola era falso. Come vi ho già detto, Madame Rosa in casa ne aveva parecchi e poteva perfino dimostrare di non essere mai stata ebrea da parecchie generazioni, nel caso che la polizia facesse delle perquisizioni per trovarla. Si era protetta da tutte le parti dopo che era stata arrestata dalla polizia francese che riforniva i tedeschi e messa in un velodromo per ebrei 2. Dopo l’hanno messa in una comunità ebrea in Germania dove i deportati venivano bruciati. Lei aveva continuamente paura, ma non come tutti gli altri: lei ne aveva ancora di più! Una notte l’ho sentita che urlava nel sogno, mi sono svegliato e mi sono accorto che si alzava. C’erano due stanze e una se la teneva per lei sola, eccetto quando c’era ressa, perché allora io e Moïse dormivamo con lei. Era proprio una di quelle notti, ma Moïse non c’era, c’era una famiglia ebrea senza figli che s’interessava a lui e se lo era preso in osservazione, per vedere se andava bene da adottare. Tornava a casa sfinito per tutti gli sforzi che faceva per piacergli. Avevano una drogheria kasher in rue Tienné.

Quando Madame Rosa ha urlato, io mi sono svegliato. Lei ha acceso la luce e io ho aperto un occhio. La testa le tremava e sembrava che vedesse qualcosa. Poi è scesa dal letto, si è messa la vestaglia e ha preso una chiave che teneva nascosta sotto l'armadio. Quando si china ha un culo ancora più grosso del solito.

E andata per le scale ed è scesa giù. L'ho seguita, perché avevo tanta di quella paura che non osavo stare solo.

Madame Rosa scendeva le scale un po' alla luce e un po' al buio; da noi l'interruttore automatico dura poco per ragioni economiche; l'amministratore è un porco. Una volta, quando è venuto buio, ho riacceso io come uno stupido e Madame Rosa, che stava un piano più sotto, ha lanciato un grido, ha creduto che ci fosse una presenza umana. Ha guardato prima in su e poi in giù e poi ha ricominciato a scendere e io dietro, ma non toccavo più l'interruttore, con quello ci facevamo paura l'uno con l'altra. Non avevo la minima idea di quello che stava succedendo, meno ancora del solito, e questo fa ancora più paura. Mi tremavano le ginocchia ed era una cosa terribile vedere questa ebrea che scendeva di piano in piano con delle astuzie da Sioux, come se fosse pieno di nemici o peggio ancora.

Quando è arrivata al pianterreno, Madame Rosa non è uscita per la strada, ha girato a sinistra, verso la scala della cantina dove non c'è luce e c'è buio anche d'estate. Madame Rosa ci proibiva di andare in quel posto perché è sempre lì che strangolano i bambini. Quando Madame Rosa ha preso questa scala, ho creduto veramente che fosse finita, era diventata scema e volevo correre a svegliare il dottor Katz. Ma sul momento avevo tanta di quella paura che preferivo restare ancora li e non muovermi, ero sicuro che se mi muovevo avrebbero urlato e mi sarebbero saltati addosso da tutte le parti, con dei mostri che di colpo sarebbero venuti fuori invece di restare nascosti come facevano da quando ero nato. A quel punto ho visto della luce che veniva dalla cantina e mi sono un po' rassicurato. E raro che i mostri accendano la luce, in genere gli fa più bene il buio.

Sono sceso nel corridoio che puzzava di piscio e anche di peggio, perché nella comunità nera lì vicino ci avevano un unico WC in cento e la facevano dove potevano. La cantina era divisa in tante parti e una delle porte era aperta. Quella dove era entrata Madame Rosa e da dove usciva la luce. Ho guardato.

In mezzo c'era una poltrona rossa completamente sfondata, bisunta e senza una gamba, e Madame Rosa ci stava seduta sopra. I muri erano delle pietre che sporgevano come denti e sembrava che ridessero. Sopra un comò c'era un candeliere con i bracci ebrei e una candela accesa. Con mia grande sorpresa c'era un letto buono da buttar via, ma con materasso, coperte e cuscini. C'erano anche dei sacchi di patate, uno scaldino, delle latte e delle scatolette di sardine. Ero così stupito da non avere più paura, ma ero a culo nudo e cominciavo a sentir freddo.

Madame Rosa è rimasta per un po' in quella poltrona scalcinata e sorrideva di piacere. Aveva un'aria furba e quasi di vittoria. Era come se avesse fatto qualcosa di molto astuto e di formidabile. Poi si è alzata. In un cantone c'era una scopa e si è messa a spazzare la cantina. Non bisognava farlo, si faceva polvere e la polvere, per la sua asma, non c'era niente di peggio. Ha incominciato subito a far fatica a respirare e a fischiare dai bronchi, ma ha continuato a spazzare e non c'era nessuno per dirglielo eccetto me, se ne fregavano tutti. È vero che la pagavano per occuparsi di me e l'unica cosa che avevamo in comune era che non avevamo niente e nessuno, ma non c'era di peggio della polvere per la sua asma. Poi ha posato la scopa e ha cercato di spegnere la candela soffiandoci sopra, ma non aveva fiato abbastanza, malgrado le sue dimensioni. Si è bagnata le dita con la lingua e l'ha spenta così . Me la sono filata subito, sapevo che aveva finito e che risaliva su.

Be', io non ci capivo niente, era soltanto una stranezza di più. Non lo sapevo proprio perché le dava tanta soddisfazione scendere sei piani e rotti nel mezzo della notte per sedersi nella sua cantina con un'aria furba.

Quando è risalita non aveva più paura e nemmeno io, perché è contagiosa. Abbiamo dormito il sonno del giusto uno vicino all'altra. Ci ho riflettuto sopra un bel po' e credo che il signor Hamil abbia torto quando dice così . Io credo che sono gli ingiusti quelli che dormono meglio, perché se ne fregano, mentre i giusti non possono chiudere occhio e si fanno il sangue marcio per tutto. Se no non sarebbero giusti. Il signor Hamil usa sempre delle espressioni ricercate, come "date retta alla mia vecchia esperienza" o "come ho avuto l'onore di dirvi" e tante altre che mi piacciono un sacco e che mi fanno pensare a lui. Era un uomo che meglio non ce ne può essere. Mi insegnava a scrivere "la lingua dei miei avi", e diceva sempre "avi", perché dei miei genitori non voleva nemmeno parlarne. Mi faceva leggere il Corano, perché Madame Rosa diceva che per gli arabi andava bene. Quando le ho chiesto come faceva a sapere che mi chiamavo Moham med e che ero un buon musulmano se non avevo né padre né madre e non c'era nessun documento che lo dimostrava, si è arrabbiata e mi ha detto che un giorno quando sarei stato grande e grosso mi avrebbe spiegato tutte queste cose, ma che non mi voleva provocare uno shock terribile finché ero ancora sensibile. Diceva sempre che la prima cosa da rispettare nei bambini è la sensibilità. Eppure non mi interessava niente sapere che mia madre faceva la vita e se l'avessi conosciuta le avrei voluto bene, mi sarei occupato di lei e sarei stato per lei un buon prossineta, come il signor N'Da Amé dée, di cui avrò l'onore. Ero contentissimo di avere Madame Rosa, ma se avessi potuto avere qualcosa di meglio e di più personale non avrei mica detto di no. Avrei potuto continuare a occuparmi di Madame Rosa anche se avessi avuto una madre da badare. Il signor NDa di donne da proteggere ne ha parecchie.

Se Madame Rosa sapeva che ero Mohammed e musulmano, vuol dire che avevo delle origini e non ero senza niente. Io volevo sapere dov'era e perché non mi veniva a trovare. Allora però Madame Rosa si metteva a piangere e diceva che ero un ingrato, che non le volevo neanche un po' di bene e che desideravo qualcun altro. Lasciavo perdere. Be', io sapevo che quando una donna fa la vita c'è sempre un mistero quando ha un marmocchio che non ha potuto interrompere a tempo per colpa "dell'igiene", e così nascono quelli che in francese si chiamano figli di puttana, ma era buffo che Madame Rosa fosse certa e sicura che io ero Mohammed e musulmano. Non se lo era certo inventato per farmi piacere. Una volta ne parlai al signor Hamil mentre mi raccontava la vita di Sidi Abderrahmàn, che è il patrono di Algeri.

Il signor Hamil proviene da Algeri, dove è stato trent'anni fa in pellegrinaggio alla Mecca. Sidi Abderrahmàn di Algeri è dunque il suo santo preferito perché, come dice lui, a certe cose si resta attaccati. Ma possiede anche un tappeto che rappresenta l'altro suo compatriota, Sidi Ouali Dada, che sta sempre seduto sul suo tappeto da preghiera trainato dai pesci. Può sembrare poco serio che dei pesci trascinino un tappeto per aria, ma è la religione che vuole così .

"Signor Hamil, com'è che mi conoscono tutti come Mohammed e musulmano se non c'è niente che lo dimostra?"

Il signor Hamil alza sempre una mano per dire sia fatta la volontà di Dio.

"Madame Rosa ti ha preso quando eri piccolissimo e non ha un registro di nascita. Da allora ha accolto e visto andar via tanti bambini, mio piccolo Mohammed. Lei ha il segreto professionale, perché ci sono delle signore che pretendono la discrezione. Ti ha segnato come Mohammed e quindi come musulmano, e poi l'autore dei tuoi giorni non ha più dato segno di vita. L'unico segno di vita che ha dato sei tu, mio piccolo Mohammed. E tu sei un bel bambino. Bisogna pensare che tuo padre sia stato ucciso durante la guerra d'Algeria, è una cosa bella e importante. È un eroe dell'indipendenza".

"Signor Hamil, io avrei preferito avere un padre invece che avere un eroe. Avrebbe fatto meglio a essere un buon prossineta e a occuparsi di mia madre".

"Non devi dire queste cose, mio piccolo Mohammed, bisogna pensare anche agli iugoslavi e ai corsi, danno sempre la colpa di tutto a noi. È difficile tirare su un bambino in questo quartiere".

Ma avevo l'impressione che il signor Hamil sapesse qualcosa che non mi diceva. Era un uomo molto in gamba e se non avesse fatto per tutta la vita il venditore ambulante di tappeti, sarebbe stato uno che conta e forse se ne sarebbe stato anche lui seduto su un tappeto volante trainato dai pesci, come l'altro santo del Maghreb, Sidi Ouali Dada.

"E perché non mi hanno voluto a scuola, signor Hamil? Madame Rosa mi ha detto perché ero troppo giovane per la mia età, poi che ero troppo vecchio per la mia età e poi che non avevo l'età giusta e mi ha portato dal dottor Katz, che le ha detto che potrei essere molto diverso, come un grande poeta".

Il signor Hamil sembrava tutto rattristato. Erano i suoi occhi che davano questa impressione. E sempre negli occhi che la gente è più triste.

"Tu sei un bambino molto sensibile, mio piccolo Mohammed. È questo che ti rende un po' diverso dagli altri..."

Sorrideva.

"Non è certo la sensibilità che uccide la gente al giorno d'oggi".

Parlavamo arabo e queste cose in francese non si possono dire altrettanto bene.

"Forse mio padre era un grande bandito, signor Hamil, e tutti hanno paura perfino di parlarne?"

"No, no, no davvero, Mohammed. Non ho mai sentito niente del genere".

"E che cosa avete sentito, signor Hamil?"

Abbassava gli occhi e sospirava.

"Niente".

"Niente?"

"Niente".

Sempre la stessa cosa con me. Niente.

La lezione era finita e il signor Hamil si è messo a parlarmi di Nizza, che è il mio racconto preferito. Quando parla dei pagliacci che ballano per le strade e degli allegri giganti che stanno sui carri, mi sento come a casa mia. Mi piacciono anche i boschi di mimosa che sono laggiù e le palme, e ci sono degli uccelli bianchissimi che battono le ali come per applaudire da tanto sono felici. Un giorno avevo convinto Moise e un altro tizio che si chiamava in un altro modo ad andare a piedi a Nizza e a vivere laggiù nel bosco di mimosa dei prodotti della nostra caccia. Una mattina siamo partiti e siamo arrivati fino a place Pigalle, ma lì abbiamo avuto paura perché eravamo lontani da casa e siamo tornati indietro. Madame Rosa ha creduto di diventare matta, ma dice sempre così per esprimersi.

Dunque, come ho già avuto l'onore di dirvi, quando sono ritornato con Madame Rosa dopo quella visita dal dottor Katz, abbiamo trovato in casa il signor N'Da Amédée, che è l'uomo più elegante che si possa immaginare. È il più grande prossineta e ruffiano di tutti i neri di Parigi e viene a trovare Madame Rosa per farsi scrivere delle lettere alla sua famiglia. Non lo vuole far sapere a nessun altro che non sa scrivere. Aveva un vestito di seta rosa che era un piacere toccare e un cappello rosa con una camicia rosa. Anche la cravatta era rosa e tutto l'insieme si faceva notare. Veniva dal Niger che è uno dei tanti paesi che ci sono in Africa e si era fatto da sé. Lo ripeteva continuamente: "Mi sono fatto da me", col suo vestito e gli anelli diamantati alle dita. Ce ne aveva uno per dito e quando l'hanno ammazzato nella Senna, gli hanno tagliato le dita per prendersi gli anelli perché era un regolamento di conti. Queste cose ve le dico subito per risparmiarvi delle emozioni dopo. Da vivo aveva i migliori venticinque metri di marciapiede a Pigalle e andava dalla manicure a farsi le unghie, che erano rosa anche loro. Aveva anche un gilè, ma me lo sono dimenticato. Si toccava in continuazione i baffi con la punta delle dita, piano piano, come se volesse essere gentile con loro. Portava sempre un regalino da mangiare a Madame Rosa, che però preferiva il profumo perché aveva paura di diventare ancora più grassa. Anche molto tempo dopo non l'ho mai sentita puzzare. Come regalo dunque il profumo era quanto di più indicato per Madame Rosa e ne aveva flaconi su flaconi, ma non ho mai capito perché se lo mettesse soprattutto dietro le orecchie, come il prezzemolo nei vitelli. Questo nero di cui vi parlo, il signor N'Da Amédée, era in realtà analfabeta perché era diventato qualcuno troppo presto per andare a scuola. Non starò a rifarvi tutta la storia, ma i neri hanno sofferto molto e bisogna capirli se si può. Perciò il signor N'Da Amédée si faceva scrivere da Madame Rosa delle lettere che mandava nel Niger ai suoi genitori di cui conosceva il nome. Per loro laggiù il razzismo è stato terribile finché c'è stata la rivoluzione e hanno avuto un regime e hanno finito di soffrire. Io non ho mai avuto da lamentarmi del razzismo, così non so che cosa mi posso aspettare. Comunque i neri devono pure avere qualche altro difetto.

Il signor N'Da Amédée si sedeva sul letto dove dormivamo quando non eravamo più di tre o quattro; se eravamo di più, andavamo a dormire con Madame Rosa. Oppure metteva un piede sul letto e restava in piedi per spiegare a Madame Rosa che cosa doveva dire per lettera ai suoi genitori. Quando parlava, il signor N'Da Amédée faceva dei gesti e si commuoveva e finiva anche per arrabbiarsi seriamente e andava in collera, non perché era infuriato ma perché voleva dire ai suoi genitori molte più cose di quelle che gli potevano fornire le sue risorse di bassa forza. Incominciava sempre con caro e venerato padre e poi andava in bestia perché era pieno di cose meravigliose che non trovavano l'espressione e gli restavano nel cuore. Gli mancavano le risorse, mentre ci sarebbero voluti oro e diamanti per ogni parola. Madame Rosa gli scriveva delle lettere nelle quali lui faceva degli studi da autodidatta per diventare appaltatore di lavori pubblici, costruire delle dighe ed essere un benefattore per il suo paese.