domenica 11 luglio 2021

A PROPOSITO DI NIETZSCHE Meotti Sofri Camurri


A PROPOSITO DI NIETZSCHE  

Meotti, Sofri, Camurri.

 “I cattivi allievi di Nietzsche sono all'origine della decostruzione dell'occidente”

Giulio Meotti

Intervista a Pierre-André Taguieff, autore di un nuovo libro sul filosofo tedesco

Sotto il nome di Friedrich Nietzsche troviamo tutto e il contrario di tutto. Per più di un secolo il filosofo tedesco non ha smesso di essere reinventato, ricostruito, ristudiato, reinterpretato. Ha attratto reazionari e rivoluzionari, antiborghesi e filocapitalisti, moralisti e immoralisti, antimoderni e ipermoderni. Nel suo ultimo libro, Dans Les nietzschéens et leurs ennemis (Cerf), il celebre storico delle idee Pierre-André Taguieff li passa in rassegna, da Paul Valéry a Peter Sloterdijk, da Thomas Mann ad Albert Camus, da Stefan Zweig a Michel Foucault, da Gorki ad Althusser. Taguieff non è “contro” o “con” Nietzsche, ma “contro e con” lui. La tesi nuova di Taguieff è che Nietzsche, o meglio i suoi epigoni, è il padre dell’attuale ondata di decostruzione che martella oggi in occidente. “L’ideologia della decostruzione è stata formata dalle letture francesi di Nietzsche e in particolare di Heidegger durante gli anni Sessanta e Settanta”, dice Taguieff al Foglio. “La parola ‘decostruzione’ è stata coniata da Gérard Granel per tradurre il termine polisemico usato da Heidegger: ‘abbau’. Fu subito rilevata da Jacques Derrida, che ne fece una bandiera. Fu durante il famoso Congresso di Baltimora tenutosi dal 18 al 21 ottobre 1966, inaugurato con un tributo all’eredità nicciana, che nacque il poststrutturalismo, che doveva essere incarnato da Derrida”.

Una nuova interpretazione dei testi filosofici: “Non cercare di comprenderli attraverso i commenti, ma di scoprire cosa sarebbe nascosto dietro gli imponenti edifici concettuali. Nelle loro pubblicazioni degli anni Sessanta, Jacques Derrida e Michel Foucault legittimarono e banalizzarono la pratica della decostruzione, accompagnati da Gilles Deleuze e Jean-François Lyotard. Con il suo ‘Nietzsche and Philosophy’, pubblicato nel 1962, Deleuze riaccende l’interesse per il pensiero nicciano, definito una macchina da guerra contro la dialettica socratica, il pensiero cristiano e la filosofia hegeliana della storia. La decostruzione delle ‘grandi narrazioni’, che deve molto a Nietzsche, è all’origine del pensiero postmoderno, fondamentalmente relativistico. Ma, a partire dagli anni Ottanta, nei campus americani abbiamo assistito all’ampliamento del campo della decostruzione: i decostruttori hanno attaccato la civiltà europea o occidentale, ridotte a una produzione della presunta ‘razza bianca’ patriarcale, etero, imperialista e razzista. Dopo la decostruzione del ‘logocentrismo’ da parte dei seguaci di Heidegger e di un Nietzsche heideggerianizzato, seguita da quella del ‘fallocentrismo’ sotto la pressione delle femministe radicali, attraverso quella del ‘fallogocentrismo’ (Derrida), i decostruttori sono venuti da lì. Per attaccare il ‘leucocentrismo’ (da leukós, bianco), denunciano il ‘privilegio bianco’. Siamo qui molto lontani da Nietzsche, ma dobbiamo comunque riconoscere nelle illusioni ideologiche decoloniali le tracce di un’eredità falsificata dell’ultima filosofia di Nietzsche, quando quest’ultima invitava i suoi lettori a fare filosofia ‘a colpi di martello’. Ma né il ‘rovesciamento del platonismo’ né il suo desiderio di porre fine all’eredità cristiana implicavano per Nietzsche la distruzione del ‘pensiero bianco’. Troviamo nel niccianesimo politico di estrema sinistra degli anni Sessanta e Settanta un grande tema decostruzionista: far sparire, mettere a morte, non solo il soggetto o la coscienza, ma anche il reale e la verità. C’è tra i teorici della decostruzione, postmoderni o poststrutturalisti, un ‘nuovo fascino per il sovversivo’ come ha sottolineato Karl-Otto Apel, così come un giubilo per ‘l’autodistruzione della ragione’ nell’eredità del pensiero nicciano. E’ questo gusto per il ‘radicalismo’ nella critica della razionalità e della verità che i decostruzionisti contemporanei credevano di trovare in un Nietzsche che denuncia la verità come somma di errori utili o illusioni dannose”.

La decostruzione si trasforma. “Diventa così un rito ossessivo, senza altra finalità se non la sua indefinita ripetizione ed estensione. I pensatori postmoderni più radicali, trascinati dallo spirito di provocazione, hanno così intrapreso una crociata irrazionalista, conseguenza insoddisfatta del relativismo cognitivo, culturale e morale presupposto dalle loro analisi e dalle loro posizioni. Anche se si sono dati il compito di privare la militanza delle sue basi ‘metafisiche’ – le ‘grandi narrazioni’ della liberazione – rimangono attivisti, ma la loro causa si riduce al progetto di decostruire, cioè di distruggere tutto. Le eredità del pensiero europeo, a partire dalla ricerca della verità attraverso la conoscenza razionale”.

Esiste un legame tra decostruzione e valutazione positiva della decadenza. “Decostruire è distruggere e spingere per distruggere. E’ incoraggiare e radicalizzare la distruzione di tutte le tradizioni e sistemi. In ‘Così parlò Zarathustra’, Nietzsche è molto esplicito: ‘Fratelli miei, forse sono crudele? Ma io dico: a ciò che sta cadendo si deve dare anche una spinta! Tutto quanto è dell’oggi – cade, decade: e chi può aver voglia di trattenerlo! Ma io – io ‘voglio’ anche dargli una spinta!’. Questo è un nuovo modo di pensare alla decadenza come a un processo globale che si fonde con la storia della civiltà occidentale. Da questa prospettiva decostruzionista e ‘sovversiva’, se giudichiamo che c’è decadenza, dobbiamo accelerarne il movimento. Ma questo tema non è affatto fissato nell’estrema sinistra intellettuale. Pensatori di tutti gli orientamenti politici che affermano di essere Nietzsche rientrano nel vecchio ritornello: ‘Viva la decadenza!’. La sensazione di assistere alla decadenza finale e di sperimentare il collasso di un mondo non porta necessariamente alla disperazione. La visione morale della decadenza viene abbandonata, a favore di una visione estetica e vitalista. L’estetizzazione del declino o della decadenza porta regolarmente alla contemplazione di una ‘gioiosa apocalisse’, il prodotto di una festosa trasfigurazione del taedium vitae. Va ricordato come lo stesso Nietzsche celebrò nel 1884, con lirismo, la contemplazione estetica dell’agonia europea: ‘Un mondo che crolla è un piacere non solo per chi guarda, ma anche per il distruttore. L’Europa è un mondo che crolla’. Accentuare e accelerare il movimento di decadenza, e goderne: questo è uno dei temi nietzscheani che si ritrovano negli autori più disparati. Questo programma consiste nel passare, in termini nicciani, dal ‘nichilismo passivo’ al ‘nichilismo attivo’. La svalutazione di tutti i valori non è sufficiente, dobbiamo trattarli come chimere dannose e sradicarle. In altre parole, la morte di Dio, quella del Dio  cristiano, non è sufficiente.

Dobbiamo eliminare ogni traccia di credenze monoteiste, distruggere tutte le nozioni che ne derivano per effetto della secolarizzazione. In un testo pubblicato nel 1976, ‘Piccola messa in prospettiva della decadenza e di alcune lotte minoritarie da condurre’, in cui delinea una politica ‘nietzscheana’, Lyotard chiede una radicalizzazione della decadenza: ‘Ecco una linea politica:  aggravare e accelerare la decadenza. Assumi la prospettiva del nichilismo attivo, non fermarti alla semplice osservazione della distruzione dei valori: metti  mano alla distruzione, lotta contro la restaurazione dei valori. Camminiamo veloci e lontani in questa direzione, siate intraprendenti nella decadenza, accettiamo di distruggere la fede nella verità in tutte le sue forme’. Questo per attaccare direttamente i fondamenti della tradizione razionalista occidentale, ma anche, più in generale, per chiedere la distruzione di tutti i valori (il vero, il buono, il giusto, ecc), assumendo così il nichilismo, trasformato in un tipo di politica estetizzata. Questo neo-niccianesimo consiste nel prendere atto del nichilismo e radicalizzarlo, credendo che l’autotrascendenza del nichilismo sia possibile e che costituisca un nuovo metodo di salvezza. Ma questa convinzione mostra che i decostruzionisti rimangono dialettici senza saperlo”.

In che modo Nietzsche ha influenzato l’attuale relativismo occidentale? “Dobbiamo partire dalla ‘prospettiva’ di Nietzsche, che è un pluralismo radicale o un relativismo generalizzato, attinente alla conoscenza oltre che ai valori. La tesi fondamentale di Nietzsche è che ‘non ci sono fatti, solo interpretazioni’. Da qui la moltiplicazione dei ‘punti di vista’ e delle interpretazioni, che si riducono a diverse espressioni della volontà di potenza. Questa teoria pluralista della conoscenza implica una visione pluralista dell’interpretazione dei fenomeni. Ne consegue che il mondo è un caos, un insieme di forze antagoniste prive di significato e finalità globali, un ‘caosmo’ che solo il pensiero tragico può comprendere. Da qui la chiamata a creare nuovi valori e a dare un significato  a ciò che non ha senso in sé. Questo per erigere il soggetto onnipotente che valuta e dà significato come sostituto del dio creatore. Il dichiarato antimoderno che è Nietzsche non sfugge al soggettivismo, nel quale rimane intrappolato nel cerchio delle evidenze fondamentali della modernità. In ‘Così parlò Zarathustra’, il filosofo pone il problema dei valori riducendolo a quello del soggetto che valuta. Il soggetto inseparabilmente valutatore e creatore non è solo presupposto dall’esistenza di valori, ma è il più prezioso. L’atto di valutare incarna il valore supremo. Questa è l’evidenza con cui si può riassumere il soggettivismo dei moderni. Non basta rifiutare con rabbia il mondo moderno per sfuggire ai presupposti della modernità. Negli anni Sessanta, Nietzsche fu integrato nella celebre triade dei grandi ‘maestri del sospetto’, come testimonia il titolo stesso della conferenza di Michel Foucault a Royaumont nel luglio 1964: ‘Nietzsche, Freud, Marx’. Il pensatore ‘maledetto’ divenne  un pensatore alla moda, a costo di una deplorevole confusione: non c’è davvero niente in comune tra il teorico del comunismo  e il nemico assoluto di tutto il socialismo che era Nietzsche. Inoltre Foucault, il filosofo che diceva di ‘fare la storia’ e non più la filosofia, divenuto famoso nel 1966 con ‘Le parole e le cose’, mise le cose in chiaro in un’intervista pubblicata nel giugno 1967: ‘La mia archeologia deve più alla genealogia nicciana che allo strutturalismo vero e proprio’. Nietzsche aveva cercato di pensare al nichilismo interrogandosi sui mezzi per superarlo. Nei pensatori postmoderni, in particolare Jean Baudrillard, c’è un tentativo di trasfigurare il nichilismo, per renderlo non solo accettabile, ma desiderabile. Se il mondo è un caos incomprensibile, non dobbiamo cercare di trovarvi un ordine intelligibile: ‘La regola assoluta del pensiero è rendere il mondo come ci è stato dato – inintelligibile – e se possibile un po’ più inintelligibile. Un po ‘più enigmatico’”.

C’è stato dunque un tradimento del pensiero nicciano. “Nietzsche ha cercato e creduto di trovare una via d’uscita dal nichilismo, dopo averlo vissuto e attraversato. E’ per rispondere al tragico senza sprofondare nelle illusioni offerte dalla dialettica (socratica o hegeliana) che Nietzsche propone di ricorrere all’arte, che afferma e magnifica la vita. In un frammento postumo del maggio-giugno 1888, Nietzsche espone perfettamente la sua ultima concezione dell’arte, come rimedio potente e unico contro il nichilismo in tutte le sue forme: ‘Arte, e nient’altro che arte! E’ lei sola che rende possibile la vita’. Ne ‘La nascita della tragedia’ (1872), Nietzsche postula che ‘il mondo può essere giustificato solo come fenomeno estetico’. Ecco perché Nietzsche, in un frammento postumo del maggio-giugno 1888, non nasconde il suo ‘istinto religioso’, segnando così le distanze dagli atei ‘liberi pensatori’ del suo tempo: ‘E quanti nuovi dei sono ancora possibili!’”. E anche qui, a giudicare dall’Europa post-crollo, potrebbe aver visto giusto.  



"Non esistono fatti, solo interpretazioni", applicato alla Costituzione

Adriano Sofri

Il proclama di Nietzsche mantiene ancora oggi la sua forza, costringendoci a interrogarci. Del resto niente è immutabile: in America la Corte Suprema interpreta le leggi con lo scorrere del tempo. Ma per un ascoltatore ingenuo, il messaggio è micidiale

Caro Edoardo Camurri, mercoledì pomeriggio ho guardato la puntata del tuo “Maestri” dedicata all’educazione civica. Fra i maestri dei maestri da te amati c’è Friedrich Nietzsche, che tirava su e giù i baffi approvando severamente. In un capitolo, Nicolò Zanon, costituzionalista e giudice costituzionale, ha spiegato la gara fra la Costituzione, che aspira alla immutabilità, e il tempo che la insidia, qualcosa come la corsa di Achille e la tartaruga, e i congegni attraverso cui adeguare l’una all’altro, come avviene in America attraverso le interpretazioni della Corte Suprema. E’ qui che hai citato il celebre proclama di Nietzsche, “non ci sono fatti, solo interpretazioni”. Ho avuto un riflesso d’ordine: che cosa può ricavare da quella sentenza un ascoltatore o un’ascoltatrice “ingenua”, che la senta per così dire per la prima volta? Io, che sapevo poche cose e le vado dimenticando, l’ho ascoltata quasi come se fosse la prima volta. Allora ho dato un’occhiata in rete per vedere a che punto eravamo con l’interpretazione di quella interpretazione, attratto e insieme scoraggiato dalla mole e dalla complicazione: versioni linguistiche e morali, confronto fra filosofi analitici e continentali, prospettivismo (“tutta questione di punti di vista?”…), nichilismo, relativismo assoluto o relativo, realismo forte o no.

In una precisazione circa il suo “nuovo realismo”, Maurizio Ferraris ha scritto: “E se quella tesi consistesse essenzialmente nella sua caricatura? Se non avesse altro valore che non quello caricaturale? Perché: che significato può avere ‘non ci sono fatti, solo interpretazioni’, se non quello di svuotare qualunque argomento e di trasformare il pensiero in una mascherata?”. Poco dopo, tu avevi interrogato Stefania Giannini, già ministra dell’Istruzione e oggi vicepresidente dell’Unesco, a proposito dell’idea nicciana della cultura come maschera della violenza. Ha risposto che la maschera nasconde, la cultura disvela. Ogni immersione, anche la più breve e improvvisata, in Google, riserva grate sorprese. Così mi sono imbattuto in un tuo articolo per il Corriere del 2012 che muove proprio da lì: “Non ci sono fatti, solo interpretazioni. Anche questa è un’interpretazione”, e continua illustrando la divergenza fra Vattimo e Ferraris, con una tua inclinazione finale a sbigottirti di certi approdi politici di Vattimo e a diffidare di un proposito di “liberarsi dalla realtà, finendo con il diventare vittime della propaganda”.

Affascinante materia, di sempre nuova attualità. La suggestione di una gnoseologia Moral fluid, per così dire. O casi di vita urgenti, come le infamie di Bolzaneto, che essendo fatti non interpretati da una legge quali torture, mandano indenni i loro autori, e a Capua Vetere, intervenuta finalmente una legge, possono essere perseguiti come tortura. O, variato in “non esistono fatti, solo percezioni”, pensa soltanto a questo altro brano: “Tutto ha il suo tempo. Allorché l’uomo dette un genere maschile o femminile a tutte le cose, non pensava di giocare, ma di avere acquisito una profonda penetrazione; assai in ritardo, e forse ancora oggi non del tutto, egli ha confessato a se stesso l’immensa importanza di questo errore. Similmente, l’uomo ha attribuito a tutto quanto esiste un rapporto con la morale e ha appeso alle spalle del mondo un significato etico. Ciò finirà per avere altrettanto valore, e non più, di quanto abbia oggi la credenza del genere maschile o femminile del sole”. Per un paragrafo dal titoletto: Nietzsche e lo schwa.

Insomma, tutto questo per dire che estratto da dove felicemente luccica, il decreto di Nietzsche, “non esistono fatti, solo interpretazioni”, è un messaggio micidiale. Applicato alla Costituzione, permetterebbe ad Achille di posarle il piede veloce sul collo, e impedirle di respirare. Magari ne riparliamo. Quanto ai complimenti per il programma, mi metto disciplinatamente in fila dietro Aldo Grasso.

Evocare Nietzsche
Di Edoardo Camurri

Uno spettro si aggira per la modernità, ed è il suo. Camurri risponde a Sofri

Caro Adriano, grazie per la tua Piccola posta e grazie per aver avvertito quel che ho provato a fare nel corso della trasmissione. Provo a riassumere così, tentando di risponderti: ho voluto fare apparire un fantasma, un mostro, un’ombra davanti a discorsi che altrimenti, nella consuetudine del racconto pubblico, rischiano di essere semplicemente edificanti e quindi di essere liquidati un po’ troppo facilmente come necessari esercizi civili e morali sufficienti a se stessi; un’abitudine che corre sempre il rischio di svolgersi – come è proprio dell’abitudine – con una ingenuità e uno spavento che, di per sé, paradossalmente, ha molto poco di civile e di morale; insomma come esorcismi e non, come piace a me, come evocazioni. Un po’ come hai fatto tu, magistralmente e dolcemente, quando hai scritto qui un pezzo che ho incorniciato, la Piccola posta in cui, dinanzi all’orrore di Santa Maria Capua Vetere, ti sei posto dalla parte non solo dei detenuti ma anche, con una profondità che fa precipitare in una mossa l’abitudine delle opinioni ben educate, dalla parte degli agenti picchiatori per la ragione venerabile che non farlo significherebbe ignorare tutto quel che sappiamo e sentiamo, persino abissalmente, di noi stessi in quanto umani. Il fantasma di cui ti sto parlando è proprio quel famoso frammento di Nietzsche che hai commentato: “Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”. E’ un’affermazione mostruosa innanzitutto per la sua formulazione logica: se la pensiamo come fatto smette di essere un’interpretazione e si nega da sola, mentre se la pensiamo come interpretazione si svuota di ogni pretesa e si sgretola tra i nostri pensieri con la stessa consistenza di un sogno.

Il frammento di Nietzsche –  allievo di Dioniso, cioè il liberatore e il sovrano delle metamorfosi – proviene dunque da un altro mondo e, quando appare nel nostro, agisce contro le nostre abitudini concettuali e le nostre sicurezze. Uno spettro si aggira dunque nella nostra postmodernità, e questo spettro è Nietzsche.

Quando lo evochiamo, a volte mi sembra di ascoltare il sussurro di queste domande nietzschiane: ogni volta che noi lottiamo, agiamo e pensiamo in conformità ad alcuni valori, possiamo pretendere per loro un fondamento di verità oggettiva e fattuale oppure dobbiamo ammettere che non c’è altro fondamento che questo abisso? E se non è possibile trovare un fondamento (Vattimo, in piemontese, a lezione ci diceva: “l’Essere è camolato”, cioè il fondamento è tarmato), che cosa troviamo nell’abisso se non una decisione – nietzschianamente, una risposta a un impulso esterno – di cui non possiamo dire altro che sia un’interpretazione? E allora, se non ci sono fatti ma solo interpretazioni, è destino che vincano i più forti, i più spregiudicati frequentatori di mostri, i fondatori delle nobili menzogne ammantate di verità, i maghi delle interpretazioni fraudolente e delle post verità, oppure frequentare l’abisso è un’opportunità anche per i deboli (perdona la sciatta terminologia nietzschiana) di provare ad agire e a pensare diversamente e magari di trovare un sentiero di liberazione?

Forse i forti edificano e utilizzano i fatti perché i deboli non hanno ancora la forza di sostenere il peso delle interpretazioni, e allora – ultima domanda – perché continuare a farsi bastare gli esorcismi? Non sarebbe invece arrivato il momento di provare a fare anche qualche evocazione spettrale?

Edoardo Camurri