Giacomo Nalin
17 dicembre, 2024
Durante il trascorrere degli anni, ho notato un costante venire meno, da parte delle persone, della volontà se non della capacità di indignarsi. Probabilmente, una grande parte della responsabilità la gioca la percezione dell’inutilità degli strumenti di democrazia diretta, un elemento ben riflesso nei dati sull’astensionismo odierno. Questo fenomeno è sintomo di un radicato sentimento di impotenza e frustrazione tra la popolazione, accentuato anche dalla non volontà, ormai evidente, di formare e selezionare una classe dirigente e politica all’altezza di guidare un paese importante come l’Italia.
Negli anni, l’accumularsi di questi sentimenti ha portato a un inevitabile conformismo, il più delle volte “indotto” (per assenza di alternative), quando non subito passivamente. L’esperienza quotidiana di molti di noi sarà stata sicuramente quella di vedersi circondati da colleghi, amici o conoscenti totalmente incapaci di prendere posizione in merito agli accadimenti del mondo, siano essi vicini o lontani, locali o globali. Quando ciò avviene, è estremamente difficile trovare un commento che non sia apologetico della narrazione alla quale si è sovraesposti continuamente. In effetti, anche quando una persona esprime un parere, molto spesso questo non è solo conforme alla narrazione dominante, ma risulta anche non costruttivo, orientato più a rinforzare divisioni preesistenti che a stimolare un vero dibattito. Questo fenomeno è alimentato dalla stessa narrazione dominante, che si fonda sul principio del "divide et impera", creando fazioni contrapposte che vedono ogni discussione come una partita da vincere piuttosto che un’opportunità di crescita collettiva.
Manca un sano e robusto anticonformismo, inteso non come una semplice variante morale e di costume del dissenso di matrice politica, ideologica e individualista, ma come una prassi di riappropriazione del senso di collettività contro il dominio imposto dalla società dell’apparenza.
Di più: manca una vera e propria controcultura popolare, un tempo facilitata dal sistema educativo universitario, che ora ne è palesemente incapace (eufemismo). Una controcultura capace di generare un pensiero popolare e alternativo che consenta di riappropriarsi della narrazione del reale.
Un esempio emblematico del passato può essere rintracciato nel movimento di contestazione degli anni ’60 e ’70, in cui università e media fungevano da centri di elaborazione e diffusione di una visione critica della società, non limitandosi alla sola denuncia dei suoi limiti, ma arrivando spesso a proporre modelli alternativi, più giusti, partecipativi e orientati al bene comune.
Oggi, nel mundus inversus nel quale ci siamo abituati a vivere, a capo chino, la sottomissione si realizza principalmente attraverso la repressione sistematica di ogni narrazione divergente rispetto a quella dominante. Questa repressione, efficace e subdola, viene alimentata da una rete mediatica centralizzata e pervasiva, che plasma il consenso senza far percepire la coercizione diretta. In questa iper-connessione globale, il conformismo, mascherato da pluralismo (di consumo), domina il dibattito pubblico.
La constatazione è tanto più sorprendente se si considera da chi proviene uno dei messaggi più antisistema che mi sia capitato di sentire recentemente: Benedetto XVI.
Non sono una persona religiosa praticante, e questo articolo non ha – e non pretende avere – nessuna funzione apologetica. Tuttavia, parole come quelle rivolte da Benedetto XVI risuonano sorprendentemente controcorrente, rispetto al coro assordante di chi, da ogni pulpito mediatico, sembra piuttosto incoraggiarci a conformarci: comprare, consumare, adeguarci, allinearci.
In un incontro con i giovani a Frascati, il 1° settembre 2012, Benedetto XVI ha esortato:
"Non conformatevi al mondo, diffidate dallo strapotere della finanza e dei media."
Finanza e mezzi di comunicazione sono, per lui, le forze più pericolose in questo processo: strumenti che alimentano un conformismo travestito da libertà, ma che in realtà spingono verso l’omologazione e l’alienazione. Lezioni di anticonformismo da un Papa considerato un conservatore.
Non conformarsi al mondo
Il Pontefice commenta la lettera di San Paolo ai Romani:
“Nolite conformari huic saeculo, sed transformamini renovatione mentis vestrae.”
(Non conformatevi a questo mondo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente – Romani 12,2)
Questa esortazione affronta alcuni punti cruciali:
Un non conformismo del cristiano
Non è fuga dal mondo, ma la capacità della persona di trasformare sé stessa per trasformare il mondo.
Il concetto di Cosmos hutos e il potere della finanza e dei media
Dio ha creato il mondo come risposta al Suo amore, ma il mondo è anche sotto il potere del male, riflesso del peccato originale. Oggi, questo male si manifesta principalmente in due grandi poteri: la finanza e i media.
La finanza, da strumento per il benessere, diventa un idolo (il Mamon biblico) che opprime l’uomo: l’avere e l’apparire dominano, schiavizzando l’umanità.
“Non potete servire a Dio e a Mammona” (Mt 6,24; Lc 16,13).
Il crisitano è chiamato a non sottomettersi, ma a usare la finanza come mezzo per il benessere.
I media, invece, spesso superano il loro scopo informativo e si trasformano in dominio: l’apparenza sovrasta la realtà e diventa più importante. L’uomo non segue più la verità del suo essere, ma cerca di apparire conforme a questa realtà.
Il Papa esorta i credenti:
A non cercare l’approvazione altrui a qualsiasi costo.
A non sottomettersi al dominio delle apparenze.
A contrastare un mondo virtuale che, con la potenza dei suoi strumenti, spesso offusca quello reale.
Dobbiamo ritrovare il coraggio di pensare, di dubitare, di interrogarci su come funzionano le cose.
In questo processo è utile anche ascoltare voci che, pur provenendo da contesti inaspettati, possono stimolare un nuovo modo di vedere il mondo.
Quando un Papa parla di diffidare del potere dei media e della finanza, offre uno spunto che va ben oltre la religione. Sta richiamando tutti – credenti e no – a una responsabilità comune: resistere all’appiattimento del pensiero, non accettare la realtà così com’è solo perché ci viene presentata come inevitabile.
La perplessità, dunque, è questa: come mai, con tutti gli strumenti di cui disponiamo per informarci e per esprimerci, sento uno dei messaggi più profondi e antisistema provenire proprio da un Papa?
Forse perché, in un mondo che urla, il silenzio del pensiero è diventato una rarità.
E forse è il momento di riappropriarci della nostra capacità di riflettere, di criticare, di costruire un’alternativa.
“Non conformatevi al mondo”, dunque.
Più che un invito religioso, un monito culturale, civile, umano. Ed è una sfida che vale la pena raccogliere.
Considerazione personale
Desidero precisare che non condivido pienamente alcuni aspetti delle parole di Benedetto XVI. Ad esempio, ritengo che "economia" sarebbe stato un termine più appropriato di "finanza", evitando ambiguità e connotazioni politiche.
Nonostante questa riserva, ho scelto di riportare fedelmente le sue parole, perché offrono una prospettiva che, pur non sempre condivisibile, stimola una riflessione importante.