LA NOSTRA BARRICATA CONTRO L'ANTISEMITISMO
Filippo Piperno
La nostra barricata contro l’antisemitismo che non accetta patenti da nessuno
Benjamin Netanyahu avrebbe dovuto dimettersi alle prime luci dell’alba dell’8 ottobre 2023.
Perché, in qualità di primo ministro d’Israele, aveva (ha ed avrà per sempre) la responsabilità oggettiva di aver mancato nell’unico vera missione per cui lo Stato d’Israele è nato: proteggere l’incolumità e la vita degli ebrei nel mondo.
Nel 1974 Golda Meir e il ministro della Difesa Moshe Dayan, che a differenza di Netanyahu hanno fatto la storia d’Israele, si dimisero per le scorie lasciate dalle gravi mancanze e dai troppi errori commessi durante la guerra del Kippur. Questo, nonostante i laburisti avessero vinto le elezioni del dicembre 1973.
Netanyahu non si è dimesso perché, al pari del suo sodale politico Donald Trump, è un potenziale eversore che teme, a ragione, per la sua libertà personale nel caso in cui lasciasse il suo ufficio di primo ministro.
I connotati politici e morali di Netanyahu gli comportano un’ulteriore gravissima colpa che è sotto gli occhi di chi conserva ancora un po’ di buon senso e senso della misura: sta disintegrando il fronte, già esiguo, di chi ha a cuore la sopravvivenza dello Stato d’Israele.
Solo per questo, se Netanyahu avesse avuto a cuore le sorti d’Israele e di quell’esiguo fronte che ancora lo sostiene più dei propri interessi personali, si sarebbe dovuto fare da parte. Ma Netanyahu non è un uomo d’onore.
Beninteso, la distanza che ci separa da Netanyahu non è una clausola di stile né un pedaggio da pagare per difendere Israele. La distanza che ci separa da Netanyahu è la stessa distanza che ci separa da Donald Trump e da tutti i loro sodali politici. In questa piccola rivista d’opinione, sia ben chiaro, non si concede a nessuno il diritto di elargire patenti di nessun tipo. Da una parte e dall’altra.
Anche perché, se qualcuno pensa che non vi sarebbe stata una guerra a Gaza, qualora Netanyahu si fosse dimesso l’8 ottobre 2023, starebbe commettendo un grossolano errore.
Come ha efficacemente scritto Gérard Biard, caporedattore di Charlie Hebdo, nel suo editoriale di questa settimana, “l’attacco di Hamas del 7 ottobre è stato uno shock assoluto. Per la sua portata, per la sua crudeltà, per ciò che rivelava di un progetto dichiarato: non la fine dell’occupazione, ma la fine di Israele. Civili massacrati, bambini presi in ostaggio, famiglie distrutte. Quel giorno è stata assassinata l’idea stessa di coesistenza”.
Se non si comprende questo disegno, e non si comprende quindi il devastante impatto emotivo del 7 ottobre sulla società israeliana, non si comprende tutto quello che ne è conseguito. Ed è molto probabile, se non certo, che qualsiasi altro primo ministro israeliano avrebbe agito in modo non molto dissimile dall’obiettivo di sgominare una volta per tutte l’organizzazione terroristica di Hamas. Accettando, per le particolari caratteristiche che una guerra senza quartiere nello scenario di Gaza comporta, di correre il rischio di coinvolgere un numero elevato di vittime civili.
Un rischio lucidamente calcolato e pianificato da Hamas, un’organizzazione criminale che in vent’anni di potere ha utilizzato i molti miliardi di dollari ricevuti in aiuti umanitari per progettare ed attuare il massacro del 7 ottobre. Un’organizzazione criminale e sciacalla che considera, senza alcuna remora, i propri concittadini alla stregua di utili candidati al martirio, da sbattere in prima pagina sui compiacenti media occidentali per aumentare la pressione internazionale su Israele. Questa, insieme alla conseguente distruzione di Gaza, è l’unica eredità di Hamas degna di nota che verrà ricordata dai libri di storia.
È ben vero che Netanyahu e i suoi sodali politici, ultrareligiosi ed estremisti, hanno consapevolmente e colpevolmente derubricato la questione palestinese a problema di “ordine pubblico” e non hanno fermato – come cercò di fare finanche il “falco” Sharon – quelli che nella società israeliana miravano ad un’esasperazione del conflitto con i palestinesi.
Ma il contesto in cui si collocano queste scellerate scelte politiche, comunque adottate nell’ambito di un processo democratico di formazione di decisioni reversibili, è quello che vede, dall’altro lato della barricata, Hamas condurre i palestinesi, con l’appoggio finanziario, militare e morale dell’Iran e di qualche emiro, a perseguire l’unico obiettivo della distruzione e cancellazione dell’”Entità sionista” dal fiume al mare.
Questo obiettivo incendiario ed irresponsabile non poteva che generare morti innocenti, distruzione e macerie. E, allo stato attuale delle cose, null’altro di molto diverso è alle viste.
Nell’anno e mezzo trascorso dal 7 ottobre 2023, il piccolo punto di osservazione d’InOltre si è però concentrato su un’altra conseguenza, efficacemente pianificata dalla propaganda di Hamas, che questo conflitto all’ultimo sangue ha recato con sé: la più grande e diffusa ondata di odio antiebraico che si ricordi dagli anni Trenta del secolo scorso.
E non stiamo affermando che il conflitto israelo-palestinese si condensi o si esaurisca esclusivamente in questo. Sarebbe una pretesa insostenibile. Stiamo affermando che questo è il nostro punto di vista in base alla nostra sensibilità, alla dislocazione del nostro osservatorio, alla realtà concreta che ci troviamo a vivere ogni giorno.
Perché, se gli israeliani hanno il diritto legittimo di cercare di salvare la propria esistenza, se i palestinesi hanno legittimamente deciso di affidarsi alle mani sanguinarie di Hamas nella tragica illusione di salvaguardare così la loro causa territoriale, ci sembra giusto considerare anche la causa dei milioni di ebrei, e di una minoranza di persone non ebree che solidarizzano con essi, che sono divenuti tutti, loro malgrado, altre vittime collaterali di questo interminabile e sanguinoso conflitto.
Il compito morale e civile che InOltre si è dato consiste nel denunciare senza tregua chi ha trovato in quel conflitto un comodo paravento per dissotterrare l’ascia dei propri pregiudizi antiebraici.
Quelli che bestemmiano senza pudore né ritegno la parola Genocidio, quelli che s’indignano solo per Israele, quelli che hanno pensato e detto che il 7 ottobre “non veniva dal nulla”, quelli che usano deliberatamente e senza riserve la propaganda di Hamas, quelli che assaltano le sinagoghe, quelli che profanano i cimiteri ebraici, quelli che costringono gli ebrei nel mondo a celare e dissimulare il proprio ebraismo, quelli che negano alla Brigata ebraica il proprio sacrosanto diritto a sfilare con orgoglio il 25 aprile.
Quelli che si nascondono dietro la foglia di fico dell’antisionismo “lecito” a fronte dell’antisemitismo “proibito” (mostrando di non sapere nulla né dell’uno né dell’altro). Quelli, ancora, che passano disinvoltamente dalle bolse ed ipocrite contrizioni routinarie del “Giorno della memoria” ad osceni ed irresponsabili parallelismi tra Gaza ed Auschwitz.
Quelli che non hanno riempito piazze ribollenti di sdegno, per dirne solo una, quando Assad gassava i suoi cittadini e che, anche dopo le peggiori stragi russe in Ucraina, hanno irenicamente manifestato per la “pace”, e non contro il responsabile del martirio ucraino, mentre oggi, quando c’è di mezzo Israele, puntano l’indice vibrante di sdegno, fanno nomi e cognomi.
Perché’, come abbiamo ormai imparato da un pezzo, le “guerre di Israele” (peraltro tutte difensive) hanno sempre qualcosa di “speciale”, a titolo di aggravante beninteso, così come le vittime di Israele hanno sempre qualcosa di “speciale”, sono sempre più vittime delle vittime di ogni altra guerra, strumentalizzate senza ritegno con un criminalizzante conteggio quotidiano, inverificato ed inverificabile, ma idoneo a far montare l’odio verso Israele.
Ecco.
In questa battaglia che – per parafrasare ancora Biard – non dice più: «giustizia per i palestinesi» ma «vergogna eterna per gli israeliani» — e, per ignobile estensione, per gli ebrei nel loro insieme, InOltre farà la sua parte per combattere questa ennesimo capitolo del bimillenario odio nei confronti degli ebrei. Senza cedere mai di un solo millimetro e con buona pace di quelli che “e allora Netanyahu?”.
*Un grazie per il suo contributo a Giulio Massa