giovedì 8 maggio 2025

Perché la democrazia liberale è in affanno? Claudio Monnini

 


Perché la democrazia liberale è in affanno?

Claudio Monnini

Nell’ambito del dibattito promosso da InOltre sul “paradosso della tolleranza”, riceviamo e volentieri pubblichiamo.

La questione è complessa ma antica. Il problema di noi intellettuali liberal (mi ci metto anch’io), è che, per snobismo, non frequentiamo la “working class” e non ne sappiamo interpretare il “sentiment”. Io che un po’ la frequento, anche perché sono architetto e ho un rapporto serrato con ogni tipo di maestranza, mi sono fatto un’idea piuttosto chiara, al netto del progetto politico di Bannon, ben riuscito, che da 12 anni teorizza l’inasprimento della tensione sociale per governare il conflitto, cioè, per far comandare l’estrema destra a livello globale.

E’ abbastanza facile, per una persona che ha studiato poco, abboccare alle logiche manichee del “pane al pane vino al vino”. E’ totalmente impossibile invece cogliere le sottigliezze e le sfumature di un gergo che paradossalmente, con l’obiettivo di essere inclusivo, esclude paternalisticamente quanti hanno solo la terza media, perché si sofferma su questioni filosofiche e linguistiche molto autoreferenziali.

Questioni come lo Schwa, rendono incomprensibile il linguaggio della sinistra, che invece di essere inclusivo finisce con l’essere elitario ed esclusivo: come può un immigrato magari di lingua madre araba o spagnola capire o pronunciare un carattere che anche per un italiano e difficile pronunciare? Eppure queste persone sono quelle che la sinistra dovrebbe attrarre.

La sinistra liberale dovrebbe affrontare il problema dell’insicurezza sociale, invece non è assolutamente rassicurante. Per questo la classe operaia si volta a destra, dove vengono proposte soluzioni, totalmente fake, ma che sembrano semplici: l’immigrato ti ruba il lavoro, c’è la minaccia della “cultura gender” e vogliono che diventi gay, chiudiamoci al commercio globale e teniamoci le risorse in casa che diventiamo più ricchi.

Sono tesi totalmente sbagliate, ma sostenute da una narrazione semplice, lineare, che andrebbe considerata con pragmatismo, invece che rifiutata. E forse, per farsi comprendere, oltre al discorso dell’inclusione, che ai più suona come una forma di buonismo disneyano, dovremmo far capire le conseguenze pratiche dell’esclusione: abbiamo bisogno degli infermieri, delle badanti per gli anziani, di bambini stranieri per non chiudere le scuole nei piccoli centri, di contadini, di muratori, di molti nuovi lavoratori che paghino le pensioni a un terzo degli italiani, e spiegare che un paese in cui tutti vogliono immigrare è un paese che funziona, cioè un paese avanzato, mentre un paese da cui si emigra è un paese fallimentare, è il terzo mondo, cosiddetto: è semplice chiaro, spiegato così.

Il problema del consenso è il “come”, non il “cosa”, si dice, come spiegano le neuro-scienze. E la comunicazione non è un accessorio secondario.