lunedì 27 marzo 2017

RICORDI. Mus
di Pietro Cazzaniga. 
La giornata era quasi finita e stavamo tornando da una lunga passeggiata mia nonna, il suo cane ed io. Avrò avuto tredici anni. Per prenderci una pausa ci fermammo  ad osservare alcuni laghetti artificiali vicino a un rifugio e io tenevo il cane al guinzaglio: si chiamava Mus, ed era un pinscher nano, il che significa in soldoni avere le fattezze di un dobermann e le dimensioni di una nutria. Ad un tratto lo sentimmo guaire: un gatto più grosso di lui gli stava piantato con le unghie conficcate sul dorso. Mollai il guinzaglio. Mus fece per allontanarsi, mentre il gatto, spaventato dalla nostra reazione se ne fuggì via. Quando lo tirammo in braccio l'occhio sanguinava. Ricordo il viaggio in auto verso il veterinario, la mia mano che gli tratteneva la zampa perché non si grattasse l'occhio infettandolo, e la paura che restasse cieco. Fu una delle prime volte in cui realizzai come gli incidenti dividano la vita in un prima e in un dopo. Fortunatamente la ferita era superficiale e il cane non riportò danni permanenti. Da lì in poi rimase a me una certa diffidenza nei confronti dei gatti e del loro carattere.