mercoledì 9 maggio 2018


TODO MODO 
Leonardo Sciascia
Sciascia in questo romanzo riesce a tradurre in forma di allegoria grottesca la complessa situazione politica italiana fornendo, in forma di finzione, una chiave di lettura della realtà che, rileggendola, ci appare ancora oggi come una profezia che anticipa quell'evento tremendo della prigionia e morte di Aldo Moro.


[...]«Ma la giustizia, la colpa, l’espiazione...». «No». Fermamente. Poi, come estraendo le parole da una remota lontananza, in uno stato di divinazione «Veda: credere che Cristo abbia voluto fermare il male è l’errore più vecchio e più diffuso del mondo cristiano. “Dio non esiste, dunque nulla ci è permesso”. Queste grandi parole, nessuno ha mai veramente tentato di rovesciarle: piccola, ovvia, banale operazione. “Dio esiste, dunque tutto ci è permesso”. Nessuno, dico, tranne Cristo. E nella sua vera essenza, questo è il cristianesimo: che tutto ci è permesso. Il delitto, il dolore, la morte: crede sarebbero possibili, se Dio non ci fosse?». «Dunque il trionfo del male…». «Non il male, non il trionfo del male: bisognerebbe decollare da queste parole, dalle parole... Eppure non abbiamo che parole... Bisognerebbe entrare nell’inesprimibile senza sentire la necessità di esprimerlo... Ma lei, capisco, non sa che farsene dell’inesprimibile; e dunque scendiamo... Scendiamo, ecco, alle antiche accuse, alle antiche difese. A Tertulliano, per esempio, che tanto disperatamente quanto inutilmente tentò di difendere i cristiani dall’accusa di essere totalmente sterili nella vita pubblica: “Pratichiamo anche noi il foro, i mercati, i bagni, i negozi, i magazzini, gli alberghi e ogni altro vostro commercio; con voi coabitiamo nel secolo...”. Giustissimo: solo che per noi il secolo, il mondo, è ben altra cosa. È l’orlo dell’abisso: dentro di noi, fuori di noi. L’abisso che invoca l’abisso. Il terrore che invoca il terrore. Perciò voi, giustamente, ci temete: e aveva torto Tertulliano a chiedersi di non temerci, a rassicurarvi; mentre aveva ragione a concludere che nella misura in cui voi ci condannate, Dio ci assolve». «Voi chi?». «Voi che vedete il secolo, il mondo, regolato dal foro; e il foro da Dio, anche se chiamate Dio con altri nomi». «E scendendo ancora, lei che cosa mi dirà? Che di questo omicidio accaduto qui, tra i suoi ospiti; del fatto che uno dei suoi ospiti è stato ammazzato e che un altro, assassino, molto probabilmente non pagherà, a lei uon importa nulla... Mi dirà questo?». «Potrei anche dirglielo. Ma sto soffrendo». «E perché?». «Perché c’è una parte di me ancora esposta, ancora scoperta; ancora vulnerabile, se vuole». «E non è la parte migliore, mi pare di capire». «Ecco che lei torna alle parole che decidono, alle parole che dividono: migliore, peggiore; giusto, ingiusto; bianco, nero. E tutto invece non è che una caduta, una lunga caduta: come nei sogni...». L’ultima parola restò come imbevuta dall’aria, dagli alberi, da me stesso: sicché quando mi ritrovai solo, seduto su quella pietra rotonda, intorpidito, mi parve di essere stato colto per un momento dal sonno e di aver sognato; e forse più che per un momento. Mi alzai e mi incamminai verso l’albergo. E già prima di arrivarci, dai rumori, dalle voci, capii che qualcosa di nuovo era accaduto. [...]