martedì 8 maggio 2018



CI FABBRICHIAMO STORIE

"......Ci fabbrichiamo storie con un capo e una coda, con una logica inventata per dare una parvenza di senso alla vita." Jo Nesbø. “Sole di mezzanotte.” 


Da dove vogliamo cominciare questo racconto? Mi piacerebbe poter dire dal principio. Ma il fatto è che non so dove inizi. Come tutti, non conosco i reali rapporti di causa ed effetto della mia vita. Forse comincia dal momento in cui capii di essere solo il quarto calciatore piú bravo della classe? O da quando Basse, mio nonno, mi mostrò i disegni – fatti da lui – della Sagrada Família? O quando presi la prima boccata da una sigaretta ascoltando per la prima volta un pezzo dei Grateful Dead? O quando studiavo Kant all’università e credevo di averlo capito? O quando vendetti il primo tocchetto di hashish? Oppure ebbe inizio quando baciai Bobby – che in realtà è una ragazza – o quando vidi per la prima volta quella minuscola creatura tutta rughe che poi si sarebbe chiamata Anna urlarmi contro a squarciagola? O forse quando, avvolto nel puzzo del retrobottega del Pescatore, lui mi disse cosa voleva farmi fare? Non lo so. Ci fabbrichiamo storie con un capo e una coda, con una logica inventata per dare una parvenza di senso alla vita.

Perciò, tanto vale che cominci da qui, in mezzo alla confusione, in un luogo e in un momento in cui il destino sembrava prendersi una pausa, trattenere il respiro. Da quando, per un attimo, pensai di essere in viaggio e allo stesso tempo giunto a destinazione.
Scesi dall’autobus a notte fonda. Strinsi le palpebre per riparare gli occhi dal sole che a nord arrancava sopra un’isola al largo. Rosso e spento. Come me. Dietro, altro mare. E dietro ancora, il Polo nord. Magari lassú non mi avrebbero trovato.
Mi guardai intorno. Negli altri tre punti cardinali basse colline digradavano verso di me. Erica rossa e verde, roccia e rari gruppi di betulle stentate. A est la terra si gettava in mare piatta e pietrosa, mentre a sudovest sembrava tagliata con un coltello nel punto d’incontro. Circa cento metri sopra quella distesa d’acqua immobile partiva un vasto tavolato che si addentrava verso l’interno. L’altopiano del Finnmark. Ecco, come diceva mio nonno, quello era il limite.
Uno sterrato dal fondo indurito conduceva a un grappolo di case basse.
Solo il campanile della chiesa svettava leggermente. Mi ero svegliato sull’autobus mentre superavamo un cartello con la scritta «Kåsund», giú vicino al lago, accanto al ponte di legno. Mi ero detto: «Perché no?».
Jo Nesbø. “Sole di mezzanotte.”