MAIGRET E L'AFFITTACAMERE
Georges Simenon
1
Come Maigret trascorse una
serata da scapolo e la concluse
all’ospedale Cochin
«Che ne direbbe di venire a mangiare qualcosa da noi, così,
senza cerimonie?». Il buon Lucas aveva probabilmente aggiunto: «Mia moglie ne sarebbe felicissima, glielo assicuro».
Povero Lucas! Non era vero. Sua moglie, che si agitava per un nonnulla e considerava un martirio avere ospiti a cena, l’avrebbe sicuramente subissato di rimproveri.
Avevano lasciato insieme il Quai des Orfèvres verso le sette, mentre il sole splendeva ancora, si erano diretti verso la Brasserie Dauphine e si erano sistemati nel loro angolo. Avevano bevuto un primo aperitivo con lo sguardo fisso nel vuoto di chi ha appena finito di lavorare. Poi, pensando ad altro, Maigret aveva fatto tintinnare una moneta sul piattino per richiamare l’attenzione del cameriere e chiedergli il bis.
Sono cose senza importanza, è chiaro. Cose che assumono proporzioni esagerate quando le si esprime, ma che in realtà sono molto più sottili. Eppure Maigret era convinto che Lucas avesse pensato:
«Se il capo prende un altro
bicchiere è perché sua moglie è via».
Due giorni prima, infatti, la signora Maigret era stata chiamata in Alsazia al capezzale della sorella che doveva essere operata. Chissà, forse Lucas lo credeva disorientato, o infelice… In ogni caso, in quell’invito c’era un’insistenza involontariamente un po’ troppo affettuosa. E poi quel suo modo di guardarlo: come se lo compatisse. O erano solo sue fantasie? Ironia della sorte, da due giorni nessun caso lo tratteneva in ufficio dopo le sette di sera. Avrebbe
addirittura potuto andarsene alle sei, mentre di solito era un miracolo se riusciva ad arrivare a casa in tempo per la cena.
«No. Ne approfitto per andare al cinema» aveva risposto.
E aveva detto «approfitto» senza volerlo, senza averlo affatto pensato. Lui e Lucas si erano lasciati in place du Chatelet. L’ispettore si era precipitato giù per le scale del
métro, mentre Maigret era rimasto lì impalato in mezzo al marciapiede, indeciso sul da farsi. Il cielo era rosa, e anche le strade sembravano tingersi di rosa. Era una delle prime sere in cui nell’aria si sentiva la primavera, e i tavolini all’aperto dei bar erano pieni di gente. Cosa aveva voglia di mangiare? Dal momento che era solo e poteva andare ovunque volesse, si pose seriamente la questione, passando in rassegna i diversi ristoranti che lo tentavano, come per una serata speciale. Prima fece qualche passo verso place de la Concorde, ma ebbe un rimorso, perché si stava allontanando da casa senza motivo. Vide nella vetrina di una salumeria delle lumache
cucinate in una salsina di burro e prezzemolo che sembravano davvero appetitose.
A sua moglie le lumache non piacevano e lui le mangiava di rado. Decise quindi di concedersele quella sera, di «approfittarne» insomma, ritornò sui suoi passi: c’era un
ristorante vicino alla Bastille la cui specialità erano proprio le lumache.
«È solo, commissario?».
Il cameriere, che lo conosceva
bene, lo guardò con un certo stupore e un pizzico di rimprovero. Essendo da solo non gli si poteva certo dare
un buon tavolo, e infatti lo fecero accomodare in una specie di corridoio, contro una colonna. In realtà non si era ripromesso niente di straordinario. Non era neanche vero che gli sarebbe
piaciuto andare al cinema. Non sapeva che farsene di quel suo corpaccione. Eppure era vagamente deluso.
«Che vino le porto?».
Non osò ordinarne uno troppo
costoso, sempre per non dare
l’impressione di approfittarne.
E tre quarti d’ora più tardi, quando i lampioni brillavano già nella sera azzurrina, si ritrovò di nuovo da solo in place de la Bastille. Era troppo presto per andare a letto. In ufficio aveva avuto il tempo di leggere il giornale della sera, e preferiva non incominciare un libro che l’avrebbe tenuto sveglio fino a notte inoltrata. Optò per un cinema e s’incamminò lungo i Grands Boulevards. Si fermò un paio di volte a dare un’occhiata alle locandine, ma nessuna lo invogliò. Una donna lo guardò con insistenza e lui quasi arrossì, pensando che avesse indovinato che era momentaneamente scapolo.
Si aspettava forse anche lei che ne approfittasse? La donna lo superò, si voltò e, dall’imbarazzo crescente del commissario, si convinse di avere a che fare con un cliente timido. Passandogli accanto gli mormorò qualche parola, e per liberarsene Maigret fu costretto a cambiare marciapiede. Perfino andare al cinema, così, da solo, diventava un gesto colpevole. In ogni caso si sentiva un po’ ridicolo. Allora si infilò in un bar e buttò giù un calvados. Anche lì una donna gli rivolse un sorriso ammiccante. Aveva bevuto al bancone di un bar migliaia di volte e mai aveva provato quella sensazione.
Per trovare un po’ di pace scelse una piccola sala seminterrata dove si proiettavano solo cinegiornali.
Alle dieci e mezzo era di nuovo fuori che gironzolava. Si fermò al bar di prima e, come fosse già un’abitudine, bevve un altro calvados; poi, riempiendosi la pipa, si avviò a passi lenti verso boulevard Richard-Lenoir.
Per tutta la sera si era sentito
fuori posto e, sebbene non avesse fatto nulla di male, in un angolino della sua coscienza c’era una specie di rimorso. Salendo le scale, tirò fuori la chiave dalla tasca. Da sotto la porta non filtrava luce e non c’era nessun profumo di cucina ad accoglierlo. Dovette girare da solo gli interruttori. Passando davanti alla credenza decise di servirsi un bicchierino, cosa che quella sera poteva fare senza aver prima scambiato un’occhiata con sua moglie.
Aveva iniziato a spogliarsi quando si accorse di non aver tirato le tende; si avvicinò alla finestra e, proprio mentre si stava togliendo le bretelle, squillò il telefono. Nello stesso istante ebbe la certezza che era accaduto qualcosa di spiacevole, e questo spiegava il suo malessere della serata.
«Pronto!…».
Sua cognata non era morta, visto che all’altro capo del filo non c’era sua moglie e la chiamata veniva da Parigi.
«È lei, capo?».
La Polizia giudiziaria, quindi.
Riconobbe la voce di Torrence, che al telefono squillava come una tromba.
«Meno male che è tornato a
casa. È la quarta volta che provo. Ho chiamato Lucas e mi ha detto che era andato al cinema, ma come facevo a…».
Il povero Torrence, sconvolto, non sapeva da che parte cominciare.
«Si tratta di Janvier…».
Maigret, quasi senza volerlo, fece la voce burbera:
«Che vuole Janvier?».
«Lo hanno appena portato al Cochin. Si è beccato una pallottola in pieno petto».
«Cosa?…».
«A quest’ora dev’essere sotto i ferri».
«Dove sei?».
«Al Quai. Qualcuno doveva pur rimanere qui. In rue Lhomond ho fatto il necessario. Lucas ha preso un taxi ed è corso all’ospedale. Ho anche avvertito la signora Janvier, che ormai sarà arrivata».
«Ci vado subito».
Stava per riagganciare e con una mano già si rimetteva le bretelle, quando gli venne in mente di chiedere:
«È stato Paulus?».
«Non lo sappiamo. Janvier era
da solo in strada. Aveva cominciato il turno alle sette. Lapointe doveva dargli il cambio alle sette del mattino».
«Hai mandato qualcuno alla pensione?».
«Sì. Sono ancora là. Mi tengono aggiornato per telefono. Non hanno trovato niente».
Maigret fu costretto ad arrivare fino in boulevard Voltaire per trovare un taxi. Rue Saint-Jacques era pressoché deserta, rischiarata solo dalle luci di qualche bistrot. Giunto al Cochin, entrò a precipizio e nell’androne fu investito dall’odore tipico di tutti gli ospedali in cui era stato in vita sua. Perché circondare di un’atmosfera così lugubre, così tetra, i malati, i feriti, le persone che si cerca di tener in vita e quelle che stanno morendo? Perché quella luce al tempo stesso tenue e cruda che esiste solo lì e in certi uffici amministrativi? E perché, fin dall’ingresso, si viene accolti da personaggi dall’aspetto arcigno?
Poco mancò che gli chiedessero di esibire un
documento. L’interno di guardia sembrava un ragazzino e portava disinvoltamente la bustina bianca sulle ventitré.
«Padiglione C. La faccio accompagnare…».
Ribolliva d’impazienza. Era in collera contro tutti, e
adesso ce l’aveva con l’infermiera che lo guidava per via del suo rossetto e dei suoi capelli arricciati.
Corsie debolmenteilluminate, scale e, in fondo a un lungo corridoio, tre sagome. Il tratto che lo separava da esse pareva interminabile e il pavimento più liscio che nel resto dell’ospedale.
Il piccolo Lucas fece qualche passo verso di lui con l’andatura sbilenca di un cane bastonato.
«Sembra che se la
caverà» disse subito sottovoce. «È in sala operatoria già da tre quarti d’ora».
La signora Janvier, gli occhi rossi e il cappellino tutto storto, gli rivolse uno sguardo supplichevole, come se lui potesse farci qualcosa, e improvvisamente scoppiò in singhiozzi nel fazzoletto.
Maigret non conosceva il terzo personaggio, un uomo con lunghi baffi che si
teneva disparte. discretamente in
«È un vicino» gli
spiegò Lucas. «La signora
Janvier non poteva lasciare
i bambini a casa da
soli; ha chiamato una vicina, e il marito si è offerto di accompagnarla».
L’uomo, che aveva sentito,
salutò e sorrise a Lucas per ringraziarlo.
«Cosa dice il chirurgo?».
Erano davanti alla porta della sala operatoria e parlavano a bassa voce.
All’altro capo del corridoio, delle infermiere costantemente indaffarate andavano avanti e indietro in continuazione come formiche.
«Il proiettile non ha colpito il cuore, ma si è conficcato nel polmone destro».
«Janvier ha detto qualcosa?».
«No. Quando la
volante è arrivata in rue Lhomond, era privo di sensi».
«Crede che si salverà,
signor commissario?» chiese
la signora Janvier, che era
visibilmente incinta e aveva le
lentiggini sotto gli occhi.
«Non c’è motivo di pensare il contrario».
«Vede che avevo ragione di stare in pena ogni volta
che passava la notte fuori?».
Abitavano in periferia, in un villino che Janvier aveva fatto costruire tre anni
prima, pensando alla
difficoltà di crescere i
bambini in un appartamento
a Parigi. Era
orgogliosissimo giardino. del suo
Scambiarono qualche altra frase smozzicata, senza convinzione, lanciando sguardi
ansiosi alla porta che continuava a rimanere
chiusa. Maigret aveva tirato fuori la pipa dalla tasca, poi, ricordandosi che era vietato fumare, l’aveva rimessa via. Ne sentiva il bisogno, e fu sul punto di scendere in
cortile a tirare qualche boccata.
Non voleva domandare a Lucas cos’era successo
davanti alla signora Janvier, ma non poteva neanche andarsene. A parte Lucas il suo braccio destro -, Janvier era sempre stato il suo ispettore preferito. Lavorava con lui da
quand’era ragazzino, come ora
Lapointe, e a Maigret capitava ancora di
chiamarlo il
Janvier. piccolo
Finalmente la porta si
aprì. Ma era solo
un’infermiera dai capelli rossi
che si precipitò verso un’altra porta senza degnarli di uno sguardo, e ritornò indietro con in mano un oggetto che non riuscirono a distinguere. Non avevano potuto fermarla mentre passava per chiederle come andava
l’operazione, ma tutti e
quattro, guardandola in faccia, erano rimasti
delusi di leggervi solo l’aria
indaffarata di chi lavorando. sta
«Credo che se gli
capitasse una disgrazia
morirei anch’io» disse la
signora Janvier, la quale,
pur avendo una sedia a disposizione, restava in piedi come loro, barcollando,
per paura di perdere un solo secondo ad alzarsi
quando, da un momento
all’altro, la porta si sarebbe aperta una volta per tutte.
Si udì un rumore, poi i due battenti si spalancarono. Videro una barella. Maigret afferrò
il braccio della signora Janvier per impedirle di precipitarsi dentro. Per un attimo il cuore gli balzò in gola, perché da lontano gli era parso di scorgere il volto di Janvier coperto da un lenzuolo.
Ma quando la
barella arrivò alla loro altezza, si rese conto di aver visto male.
«Albert…» gridò sua moglie trattenendo un singhiozzo.
«Ssst…» fece il chirurgo che si avvicinava togliendosi i guanti di gomma.
Janvier aveva gli occhi aperti e sembrò riconoscerli,
perché le sue labbra abbozzarono un sorriso.
Lo portarono verso una delle
camere. Sua moglie lo
seguì insieme a Lucas e al vicino, mentre il commissario si intratteneva con il medico nel vano di una finestra.
«Se la caverà?».
«Direi che è fuori
pericolo. Come per tutte le ferite ai polmoni la convalescenza sarà lunga,e
bisognerà prendere qualche precauzione, ma di fatto non corre alcun rischio».
«Ha estratto il proiettile?».
Il chirurgo rientrò un
momento in sala operatoria
e tornò con un batuffolo
di cotone macchiato di
sangue che conteneva un
pezzetto di piombo.
«Questo lo tengo io» disse Maigret. «Le manderò la
liberatoria più tardi. Ha per caso parlato?».
«No. Sotto l’effetto
dell’anestesia ha balbettato
poche parole in modo
confuso, ma ero troppo
impegnato per attenzione». prestargli
«Quando potrò fargli
qualche domanda?».
«Non appena si
ripreso dallo choc, sarà
probabilmente domani verso
mezzogiorno. Quella è
la moglie? Le dica di non
stare in pensiero. E che non cerchi di vederlo prima di
domani. Secondo le sue
istruzioni gli abbiamo assegnato una camera singola e un’infermiera. La prego di scusarmi, ma ricomincio a operare alle sette del mattino».
La signora Janvier insistette per vedere il
marito a letto, e li
fecero attendere in corridoio finché non lo ebbero sistemato, poi li autorizzarono a dare soltanto un’occhiata.
La moglie dell’ispettore fece qualche raccomandazione sottovoce all’infermiera, che dimostrava circa cinquant’anni e aveva l’aria di un travestito.
Una volta fuori, non sapevano che fare. Non c’erano taxi in vista. «Stia tranquilla, va tutto bene,» la rassicurò Maigret
«glielo garantisco. Il dottore
non è affatto preoccupato.
Torni domani verso
mezzogiorno, non prima.
Mi terrò costantemente
informato e le comunicherò
le novità per telefono.
Pensi ai bambini…».
Dovettero arrivare fino a rue Gay-Lussac per trovare un’auto, e l’uomo con i baffi fece in
modo di scambiare due parole in disparte con
Maigret.
«Non si preoccupi per lei. Conti pure su me e mia moglie». Soltanto quando rimase solo con Lucas sul marciapiede Maigret si
chiese se la signora
Janvier avesse abbastanza denaro. Erano alla fine del mese. Non voleva che fosse
costretta ogni giorno a
prendere il treno e il
métro. I taxi sono cari.
Avrebbe provveduto l’indomani
stesso.
Girandosi finalmente verso Lucas, accese la pipa che teneva in mano da un pezzo e chiese:
«Che ne pensi?».
Erano a due passi da rue Lhomond, e si
diressero verso la pensione della
signorina Clément.
La via, a quell’ora
deserta, aveva un aspetto
ancora più provinciale del
solito con le casette a
uno o due piani incastrate
tra i condomini. La pensione
della signorina Clément era
una di queste, con i
tre gradini all’ingresso e una targhetta di fianco alla porta che diceva:
CAMERE AMMOBILIATE IN
AFFITTO
Due agenti del V
arrondissement, che stavano chiacchierando vicino al portone, salutarono il commissario.
C’era luce al di
della porta, così come alle sopra
finestre di destra e
a quelle del secondo piano.
Maigret non ebbe bisogno
di suonare. Evidentemente
li avevano visti arrivare,
dato che la porta si aprì
e il commissario si trovò
di fronte l’ispettore Vacher
che lo guardava con aria interrogativa.
«Se la caverà» lo rassicurò.
E una voce di donna,
nella stanza a destra, esclamò:
«Cosa le avevo detto?».
Era una voce bizzarra, allegra e infantile insieme. Una donna molto alta e molto grassa comparve nel vano della porta e gli tese cordialmente la mano:
«Lieta di conoscerla, commissario».
Era come un enorme
neonato, aveva la pelle rosea, formeindecise, due occhioni azzurri, i capelli
biondissimi e un vestito
color confetto. A vederla
si sarebbe detto che non
era successo niente di
grave, che tutto andava per il meglio nel migliore dei mondi.
Li accolse in un
salottino intimo e
confortevole. Su un tavolo erano posati tre bicchieri da liquore.
«Sono la signorina Clément. Sono riuscita a far andare a letto i miei inquilini. Ma naturalmente posso chiamarli quando vuole. E così il suo ispettore non è morto?».
«La pallottola gli ha perforato il polmone destro».
«Oggigiorno i chirurghi sistemano queste cose in un batter d’occhio».
Maigret era sbalordito. Per una volta si era fatto
un’idea completamente diversa sia della pensione sia della proprietaria.
Vauquelin e Vacher, i due ispettori che
Torrence aveva inviato sul luogo appena saputo dell’attentato, sembravano divertiti nel
vederlo tanto meravigliato;
Vauquelin, che lo conosceva meglio di Vacher, gli
lanciava addirittura delle strizzatine d’occhio indicandogli la cicciona.
Doveva avere fra i quaranta e i quarantacinque anni, anche se apparentemente era senza età. Proprio come la si sarebbe detta senza peso, malgrado la stazza
impressionante. Ed era così
piena di vitalità che, nonostante la situazione drammatica, ci
si aspettava di vederla scoppiare in un’allegra risata da un momento all’altro.
Quello era un caso di cui Maigret non si era occupato molto in prima persona. Non aveva neanche fatto un sopralluogo, ma aveva lavorato sui referti
dall’ufficio, lasciando la responsabilità delle operazioni
a Janvier, che ne era stato felicissimo.
Nessuno, al Quai, si sarebbe mai immaginato che quel caso, chiamato «il caso della Cigogne», presentasse il minimo pericolo.
Cinque giorni prima, verso
le due e mezzo di
notte, due uomini avevano fatto
irruzione alla
Cigogne, un piccolo
locale notturno in rue Campagne-
Première a Montparnasse, mentre stava chiudendo.
Avevano il volto coperto da una benda nera e uno
dei due impugnava una pistola.
A quell’ora nel locale erano rimasti solo il proprietario, un ragazzo di nome Angelo e la
signora dei bagni,che si stava sistemando il cappellino davanti allo specchio.
«La cassa!» aveva
ordinato uno degli uomini mascherati.
Senza opporre resistenza il gestore aveva spinto sul bancone l’incasso della serata,
e pochi secondi dopo i
ladri si erano già dileguati a bordo di un’auto scura.
L’indomani mattina era stato Maigret a interrogare la signora dei bagni, una grassottella ancora piuttosto piacente.
«È sicura di averlo riconosciuto?».
«Non l’ho visto in
faccia, se è questo che
intende. Ma ho visto bene
il filo dei pantaloni e
ho riconosciuto la stoffa».
Un dettaglio stupido, in realtà. Due ore prima del furto, uno dei clienti che
stavano al bancone era andato in bagno per
lavarsi le mani e una pettinata. darsi
«Sa come succede. A
volte lo sguardo cade su un
punto qualsiasi senza che uno
nemmeno se ne renda conto. Nel tendergli l’asciugamano ho notato un filo bianco tirato nei pantaloni, all’altezza del ginocchio sinistro. Era lungo almeno dieci centimetri e
formava una specie di
disegno. Ho addirittura
pensato profilo». che sembrava un
Era stata lì lì per
levarglielo, e non lo aveva fatto
solo perché proprio in quel
momento il giovanotto uscito. era
Perché si trattava un uomo giovane. Un di
ragazzino, diceva lei. Negli
ultimi tempi l’aveva visto diverse volte al bar. Là,
una sera, aveva conosciuto una
ragazza che frequentava assiduamente La Cigogne e
se n’era andato via con lei.
«Te ne occupi tu,
Janvier?».
Non più di tre ore
dopo uno dei ladri era già
stato identificato. A Janvier era bastato rintracciare la ragazza, una certa Lucette, che viveva
in un albergo quartiere. del
«Ha passato notte con me».
«Da lui?». tutta la
«No. Qui. È rimasto
stupefatto quando gli ho
detto che sono di Limoges,
perché anche lui è nato lì e i suoi genitori ci vivono ancora. Si chiama Paulus. Gli davo a
malapena diciott’anni, invece
ne ha diciannove e mezzo».
La faccenda avrebbe potuto richiedere ancora tempo se nei registri degli affittacamere Janvier non avesse trovato il nome di Emile Paulus, di
Limoges, domiciliato da quattro mesi in una pensione di rue Lhomond.
Dalla signorina Clément. «Midà un mandato, capo?».
Janvier aveva preso qualche
agente con sé. Maigret
si ricordava che erano circa le undici di mattina e c’era il sole. Due ore dopo era tornato e aveva posato
sulla scrivania del
commissario una busta che
conteneva delle banconote, una pistola giocattolo e un pezzo di stoffa nera.
«È proprio Paulus».
«I soldi ci sono tutti?».
«No. Solo la metà. I soci devono aver diviso.
Ma lì dentro ci sono tre biglietti da un dollaro.
Sono andato a interrogare il proprietario della Cigogne:
mi ha confermato che quella
sera un americano l’aveva
pagato in dollari».
«E Paulus?».
«Il suo letto era disfatto,
ma in camera non c’era. La
signorina Clément,
l’affittacamere, non l’ha visto
andar via e suppone che
sia uscito verso le dieci di mattina come al solito».
«Hai lasciato qualcuno sul posto?».
«Sì. Gli stiamo
tendendo una trappola».
La sorveglianza andava avanti già da quattro giorni, senza risultato.
Maigret non se ne
occupava, leggeva sul rapporto il nome dell’ispettore di guardia puntualmente seguito dalla nota «niente da segnalare».
La stampa non aveva fatto parola della scoperta della polizia. Paulus non si era portato via i bagagli
e sembrava probabile che tornasse a riprendersi la
piccola fortuna chiusa in valigia.
«Tu sei stato di guardia, Vacher?».
«Sì, un paio di volte».
«E come funzionava?».
«Mi pare che il
primo giorno Janvier sia rimasto nella pensione ad aspettare Paulus nella sua camera».
Gettò un’occhiata alla corpulenta signorina Clément.
«Deve aver sentito puzza di bruciato. Può darsi che
il ragazzo sia stato
avvertito prima di salire le scale».
«Allora?».
«All’esterno ci siamo dati
il cambio. A me non è
mai toccato il turno di
notte. Durante il giorno era facile e gradevole. C’è un piccolo bistrot proprio a due passi, dall’altra parte della strada, con due
tavolini tondi fuori. Fanno
anche da mangiare e devo dire che la cucina non è niente male».
«La pensione è stata perquisita il primo giorno?».
Fu la signorina Clément a rispondere in tono allegro, quasi si trattasse di una piacevole avventura:
«Da cima a fondo,
commissario. E come se non bastasse l’ispettore Janvier è
tornato a trovarmi almeno una decina di volte. C’era qualcosa che non gli
quadrava, non mi chieda cosa.
È rimasto lassù delle ore,
a camminare in lungo e
in largo per la camera. Altre
volte veniva a sedersi qui
a chiacchierare con me. Ormai conosce la storia di tutti i miei inquilini».
«Cos’è successo esattamente stasera? Lei
sapeva che Janvier fuori?».
«Sapevo che c’era un era là
poliziotto di guardia, ma sapevo che era lui».
«È riuscita a vederlo?». non
«Ho dato un’occhiata verso le nove e mezzo, prima di andare a dormire. Ho visto qualcuno che camminava avanti e indietro lungo il marciapiede, ma il lampione è troppo lontano perché potessi riconoscerlo. Me ne sono tornata in camera».
Poco mancò che gli chiedessero di esibire un
documento. L’interno di guardia sembrava un ragazzino e portava disinvoltamente la bustina bianca sulle ventitré.
«Padiglione C. La faccio accompagnare…».
Ribolliva d’impazienza. Era in collera contro tutti, e
adesso ce l’aveva con l’infermiera che lo guidava per via del suo rossetto e dei suoi capelli arricciati.
Corsie debolmenteilluminate, scale e, in fondo a un lungo corridoio, tre sagome. Il tratto che lo separava da esse pareva interminabile e il pavimento più liscio che nel resto dell’ospedale.
Il piccolo Lucas fece qualche passo verso di lui con l’andatura sbilenca di un cane bastonato.
«Sembra che se la
caverà» disse subito sottovoce. «È in sala operatoria già da tre quarti d’ora».
La signora Janvier, gli occhi rossi e il cappellino tutto storto, gli rivolse uno sguardo supplichevole, come se lui potesse farci qualcosa, e improvvisamente scoppiò in singhiozzi nel fazzoletto.
Maigret non conosceva il terzo personaggio, un uomo con lunghi baffi che si
teneva disparte. discretamente in
«È un vicino» gli
spiegò Lucas. «La signora
Janvier non poteva lasciare
i bambini a casa da
soli; ha chiamato una vicina, e il marito si è offerto di accompagnarla».
L’uomo, che aveva sentito,
salutò e sorrise a Lucas per ringraziarlo.
«Cosa dice il chirurgo?».
Erano davanti alla porta della sala operatoria e parlavano a bassa voce.
All’altro capo del corridoio, delle infermiere costantemente indaffarate andavano avanti e indietro in continuazione come formiche.
«Il proiettile non ha colpito il cuore, ma si è conficcato nel polmone destro».
«Janvier ha detto qualcosa?».
«No. Quando la
volante è arrivata in rue Lhomond, era privo di sensi».
«Crede che si salverà,
signor commissario?» chiese
la signora Janvier, che era
visibilmente incinta e aveva le
lentiggini sotto gli occhi.
«Non c’è motivo di pensare il contrario».
«Vede che avevo ragione di stare in pena ogni volta
che passava la notte fuori?».
Abitavano in periferia, in un villino che Janvier aveva fatto costruire tre anni
prima, pensando alla
difficoltà di crescere i
bambini in un appartamento
a Parigi. Era
orgogliosissimo giardino. del suo
Scambiarono qualche altra frase smozzicata, senza convinzione, lanciando sguardi
ansiosi alla porta che continuava a rimanere
chiusa. Maigret aveva tirato fuori la pipa dalla tasca, poi, ricordandosi che era vietato fumare, l’aveva rimessa via. Ne sentiva il bisogno, e fu sul punto di scendere in
cortile a tirare qualche boccata.
Non voleva domandare a Lucas cos’era successo
davanti alla signora Janvier, ma non poteva neanche andarsene. A parte Lucas il suo braccio destro -, Janvier era sempre stato il suo ispettore preferito. Lavorava con lui da
quand’era ragazzino, come ora
Lapointe, e a Maigret capitava ancora di
chiamarlo il
Janvier. piccolo
Finalmente la porta si
aprì. Ma era solo
un’infermiera dai capelli rossi
che si precipitò verso un’altra porta senza degnarli di uno sguardo, e ritornò indietro con in mano un oggetto che non riuscirono a distinguere. Non avevano potuto fermarla mentre passava per chiederle come andava
l’operazione, ma tutti e
quattro, guardandola in faccia, erano rimasti
delusi di leggervi solo l’aria
indaffarata di chi lavorando. sta
«Credo che se gli
capitasse una disgrazia
morirei anch’io» disse la
signora Janvier, la quale,
pur avendo una sedia a disposizione, restava in piedi come loro, barcollando,
per paura di perdere un solo secondo ad alzarsi
quando, da un momento
all’altro, la porta si sarebbe aperta una volta per tutte.
Si udì un rumore, poi i due battenti si spalancarono. Videro una barella. Maigret afferrò
il braccio della signora Janvier per impedirle di precipitarsi dentro. Per un attimo il cuore gli balzò in gola, perché da lontano gli era parso di scorgere il volto di Janvier coperto da un lenzuolo.
Ma quando la
barella arrivò alla loro altezza, si rese conto di aver visto male.
«Albert…» gridò sua moglie trattenendo un singhiozzo.
«Ssst…» fece il chirurgo che si avvicinava togliendosi i guanti di gomma.
Janvier aveva gli occhi aperti e sembrò riconoscerli,
perché le sue labbra abbozzarono un sorriso.
Lo portarono verso una delle
camere. Sua moglie lo
seguì insieme a Lucas e al vicino, mentre il commissario si intratteneva con il medico nel vano di una finestra.
«Se la caverà?».
«Direi che è fuori
pericolo. Come per tutte le ferite ai polmoni la convalescenza sarà lunga,e
bisognerà prendere qualche precauzione, ma di fatto non corre alcun rischio».
«Ha estratto il proiettile?».
Il chirurgo rientrò un
momento in sala operatoria
e tornò con un batuffolo
di cotone macchiato di
sangue che conteneva un
pezzetto di piombo.
«Questo lo tengo io» disse Maigret. «Le manderò la
liberatoria più tardi. Ha per caso parlato?».
«No. Sotto l’effetto
dell’anestesia ha balbettato
poche parole in modo
confuso, ma ero troppo
impegnato per attenzione». prestargli
«Quando potrò fargli
qualche domanda?».
«Non appena si
ripreso dallo choc, sarà
probabilmente domani verso
mezzogiorno. Quella è
la moglie? Le dica di non
stare in pensiero. E che non cerchi di vederlo prima di
domani. Secondo le sue
istruzioni gli abbiamo assegnato una camera singola e un’infermiera. La prego di scusarmi, ma ricomincio a operare alle sette del mattino».
La signora Janvier insistette per vedere il
marito a letto, e li
fecero attendere in corridoio finché non lo ebbero sistemato, poi li autorizzarono a dare soltanto un’occhiata.
La moglie dell’ispettore fece qualche raccomandazione sottovoce all’infermiera, che dimostrava circa cinquant’anni e aveva l’aria di un travestito.
Una volta fuori, non sapevano che fare. Non c’erano taxi in vista. «Stia tranquilla, va tutto bene,» la rassicurò Maigret
«glielo garantisco. Il dottore
non è affatto preoccupato.
Torni domani verso
mezzogiorno, non prima.
Mi terrò costantemente
informato e le comunicherò
le novità per telefono.
Pensi ai bambini…».
Dovettero arrivare fino a rue Gay-Lussac per trovare un’auto, e l’uomo con i baffi fece in
modo di scambiare due parole in disparte con
Maigret.
«Non si preoccupi per lei. Conti pure su me e mia moglie». Soltanto quando rimase solo con Lucas sul marciapiede Maigret si
chiese se la signora
Janvier avesse abbastanza denaro. Erano alla fine del mese. Non voleva che fosse
costretta ogni giorno a
prendere il treno e il
métro. I taxi sono cari.
Avrebbe provveduto l’indomani
stesso.
Girandosi finalmente verso Lucas, accese la pipa che teneva in mano da un pezzo e chiese:
«Che ne pensi?».
Erano a due passi da rue Lhomond, e si
diressero verso la pensione della
signorina Clément.
La via, a quell’ora
deserta, aveva un aspetto
ancora più provinciale del
solito con le casette a
uno o due piani incastrate
tra i condomini. La pensione
della signorina Clément era
una di queste, con i
tre gradini all’ingresso e una targhetta di fianco alla porta che diceva:
CAMERE AMMOBILIATE IN
AFFITTO
Due agenti del V
arrondissement, che stavano chiacchierando vicino al portone, salutarono il commissario.
C’era luce al di
della porta, così come alle sopra
finestre di destra e
a quelle del secondo piano.
Maigret non ebbe bisogno
di suonare. Evidentemente
li avevano visti arrivare,
dato che la porta si aprì
e il commissario si trovò
di fronte l’ispettore Vacher
che lo guardava con aria interrogativa.
«Se la caverà» lo rassicurò.
E una voce di donna,
nella stanza a destra, esclamò:
«Cosa le avevo detto?».
Era una voce bizzarra, allegra e infantile insieme. Una donna molto alta e molto grassa comparve nel vano della porta e gli tese cordialmente la mano:
«Lieta di conoscerla, commissario».
Era come un enorme
neonato, aveva la pelle rosea, formeindecise, due occhioni azzurri, i capelli
biondissimi e un vestito
color confetto. A vederla
si sarebbe detto che non
era successo niente di
grave, che tutto andava per il meglio nel migliore dei mondi.
Li accolse in un
salottino intimo e
confortevole. Su un tavolo erano posati tre bicchieri da liquore.
«Sono la signorina Clément. Sono riuscita a far andare a letto i miei inquilini. Ma naturalmente posso chiamarli quando vuole. E così il suo ispettore non è morto?».
«La pallottola gli ha perforato il polmone destro».
«Oggigiorno i chirurghi sistemano queste cose in un batter d’occhio».
Maigret era sbalordito. Per una volta si era fatto
un’idea completamente diversa sia della pensione sia della proprietaria.
Vauquelin e Vacher, i due ispettori che
Torrence aveva inviato sul luogo appena saputo dell’attentato, sembravano divertiti nel
vederlo tanto meravigliato;
Vauquelin, che lo conosceva meglio di Vacher, gli
lanciava addirittura delle strizzatine d’occhio indicandogli la cicciona.
Doveva avere fra i quaranta e i quarantacinque anni, anche se apparentemente era senza età. Proprio come la si sarebbe detta senza peso, malgrado la stazza
impressionante. Ed era così
piena di vitalità che, nonostante la situazione drammatica, ci
si aspettava di vederla scoppiare in un’allegra risata da un momento all’altro.
Quello era un caso di cui Maigret non si era occupato molto in prima persona. Non aveva neanche fatto un sopralluogo, ma aveva lavorato sui referti
dall’ufficio, lasciando la responsabilità delle operazioni
a Janvier, che ne era stato felicissimo.
Nessuno, al Quai, si sarebbe mai immaginato che quel caso, chiamato «il caso della Cigogne», presentasse il minimo pericolo.
Cinque giorni prima, verso
le due e mezzo di
notte, due uomini avevano fatto
irruzione alla
Cigogne, un piccolo
locale notturno in rue Campagne-
Première a Montparnasse, mentre stava chiudendo.
Avevano il volto coperto da una benda nera e uno
dei due impugnava una pistola.
A quell’ora nel locale erano rimasti solo il proprietario, un ragazzo di nome Angelo e la
signora dei bagni,che si stava sistemando il cappellino davanti allo specchio.
«La cassa!» aveva
ordinato uno degli uomini mascherati.
Senza opporre resistenza il gestore aveva spinto sul bancone l’incasso della serata,
e pochi secondi dopo i
ladri si erano già dileguati a bordo di un’auto scura.
L’indomani mattina era stato Maigret a interrogare la signora dei bagni, una grassottella ancora piuttosto piacente.
«È sicura di averlo riconosciuto?».
«Non l’ho visto in
faccia, se è questo che
intende. Ma ho visto bene
il filo dei pantaloni e
ho riconosciuto la stoffa».
Un dettaglio stupido, in realtà. Due ore prima del furto, uno dei clienti che
stavano al bancone era andato in bagno per
lavarsi le mani e una pettinata. darsi
«Sa come succede. A
volte lo sguardo cade su un
punto qualsiasi senza che uno
nemmeno se ne renda conto. Nel tendergli l’asciugamano ho notato un filo bianco tirato nei pantaloni, all’altezza del ginocchio sinistro. Era lungo almeno dieci centimetri e
formava una specie di
disegno. Ho addirittura
pensato profilo». che sembrava un
Era stata lì lì per
levarglielo, e non lo aveva fatto
solo perché proprio in quel
momento il giovanotto uscito. era
Perché si trattava un uomo giovane. Un di
ragazzino, diceva lei. Negli
ultimi tempi l’aveva visto diverse volte al bar. Là,
una sera, aveva conosciuto una
ragazza che frequentava assiduamente La Cigogne e
se n’era andato via con lei.
«Te ne occupi tu,
Janvier?».
Non più di tre ore
dopo uno dei ladri era già
stato identificato. A Janvier era bastato rintracciare la ragazza, una certa Lucette, che viveva
in un albergo quartiere. del
«Ha passato notte con me».
«Da lui?». tutta la
«No. Qui. È rimasto
stupefatto quando gli ho
detto che sono di Limoges,
perché anche lui è nato lì e i suoi genitori ci vivono ancora. Si chiama Paulus. Gli davo a
malapena diciott’anni, invece
ne ha diciannove e mezzo».
La faccenda avrebbe potuto richiedere ancora tempo se nei registri degli affittacamere Janvier non avesse trovato il nome di Emile Paulus, di
Limoges, domiciliato da quattro mesi in una pensione di rue Lhomond.
Dalla signorina Clément. «Midà un mandato, capo?».
Janvier aveva preso qualche
agente con sé. Maigret
si ricordava che erano circa le undici di mattina e c’era il sole. Due ore dopo era tornato e aveva posato
sulla scrivania del
commissario una busta che
conteneva delle banconote, una pistola giocattolo e un pezzo di stoffa nera.
«È proprio Paulus».
«I soldi ci sono tutti?».
«No. Solo la metà. I soci devono aver diviso.
Ma lì dentro ci sono tre biglietti da un dollaro.
Sono andato a interrogare il proprietario della Cigogne:
mi ha confermato che quella
sera un americano l’aveva
pagato in dollari».
«E Paulus?».
«Il suo letto era disfatto,
ma in camera non c’era. La
signorina Clément,
l’affittacamere, non l’ha visto
andar via e suppone che
sia uscito verso le dieci di mattina come al solito».
«Hai lasciato qualcuno sul posto?».
«Sì. Gli stiamo
tendendo una trappola».
La sorveglianza andava avanti già da quattro giorni, senza risultato.
Maigret non se ne
occupava, leggeva sul rapporto il nome dell’ispettore di guardia puntualmente seguito dalla nota «niente da segnalare».
La stampa non aveva fatto parola della scoperta della polizia. Paulus non si era portato via i bagagli
e sembrava probabile che tornasse a riprendersi la
piccola fortuna chiusa in valigia.
«Tu sei stato di guardia, Vacher?».
«Sì, un paio di volte».
«E come funzionava?».
«Mi pare che il
primo giorno Janvier sia rimasto nella pensione ad aspettare Paulus nella sua camera».
Gettò un’occhiata alla corpulenta signorina Clément.
«Deve aver sentito puzza di bruciato. Può darsi che
il ragazzo sia stato
avvertito prima di salire le scale».
«Allora?».
«All’esterno ci siamo dati
il cambio. A me non è
mai toccato il turno di
notte. Durante il giorno era facile e gradevole. C’è un piccolo bistrot proprio a due passi, dall’altra parte della strada, con due
tavolini tondi fuori. Fanno
anche da mangiare e devo dire che la cucina non è niente male».
«La pensione è stata perquisita il primo giorno?».
Fu la signorina Clément a rispondere in tono allegro, quasi si trattasse di una piacevole avventura:
«Da cima a fondo,
commissario. E come se non bastasse l’ispettore Janvier è
tornato a trovarmi almeno una decina di volte. C’era qualcosa che non gli
quadrava, non mi chieda cosa.
È rimasto lassù delle ore,
a camminare in lungo e
in largo per la camera. Altre
volte veniva a sedersi qui
a chiacchierare con me. Ormai conosce la storia di tutti i miei inquilini».
«Cos’è successo esattamente stasera? Lei
sapeva che Janvier fuori?».
«Sapevo che c’era un era là
poliziotto di guardia, ma sapevo che era lui».
«È riuscita a vederlo?». non
«Ho dato un’occhiata verso le nove e mezzo, prima di andare a dormire. Ho visto qualcuno che camminava avanti e indietro lungo il marciapiede, ma il lampione è troppo lontano perché potessi riconoscerlo. Me ne sono tornata in camera».