LA TEMPESTA
William Shakespeare
Introduzione
A differenza delle precedenti commedie romanzesche, Shakespeare non mette sulla scena gli avvenimenti come accadono nel tempo e nello spazio: ne La Tempesta la storia/avventura è già finita; tutta l’azione è concentrata nello spazio di due ore - il “tempo reale” di durata di una rappresentazione scenica. Quello che è successo prima ce lo fanno sapere i personaggi: Prospero racconterà a Miranda la vicenda dell’usurpazione, della sua cacciata da Milano, del viaggio in mare e dell’approdo all’isola; Ariele rinfaccerà ad Alonso, Sebastian e Antonio i loro “peccati” contro Prospero; Calibano ricorderà quando sua madre e lui erano i soli padroni dell’isola; Gonzalo ci farà sapere del matrimonio della figlia del re di Napoli, Claribella, con il re di Tunisi. La Tempesta, insomma, è tutta una retrospettiva. E non è difficile vedere in essa - come lo fa ormai universalmente la critica - una retrospettiva allegorica che il poeta fa di se stesso e della sua arte.Quando scrive La Tempesta Shakespeare ha 47 anni. Il ciclo delle grandi tragedie è concluso; la fama e l’agiatezza sono raggiunte. L’estro è quasi esaurito, l’animo stanco pensa al ritorno fra opere serene a Stratford. Ma la magia della storia è sempre grande. È come se con questa opera egli prendesse congedo dal palcoscenico; prima di farlo e di ritirarsi in eterno silenzio si volge indietro e compendia se stesso e il proprio cammino artistico nell’immagine di Prospero, il mago “bianco” che ha tenuto sotto il potere magico del suo genio la materia tragica, e alla fine, gettando la bacchetta mette così fine al mondo magico.
LA TEMPESTA
PERSONAGGI
Alonso (Alonso), re di Napoli
Sebastiano (Sebastian), suo fratello
Prospero, il vero duca di Milano (il protagonista della storia)
Antonio, suo fratello, l'usurpatore del titolo di duca di Milano
Ferdinando (Ferdinand), figlio del re di Napoli
Gonzalo, un onesto consigliere anziano
Adriano (Adrian) e Francesco (Francisco), due lord
Calibano (Caliban), uno schiavo selvaggio e deforme. Il nome ricorda la parola inglese "Caribbean" "caraibico", e, dato il meno rigido spelling del XVII secolo, un anagramma di cannibal (cannibale), termini entrambi provenienti dalla stessa parola. Tutt'e due le implicazioni suggeriscono che è il rappresentante dei nativi del Nuovo Mondo, e un riferimento ad una delle fonti di Shakespeare, Des Cannibales (Sui cannibali) di Montaigne.
Trinculo, un buffone. Il nome è collegato al verbo italiano trincare, che ancora ogni tanto si sente; appropriato, dato che è uno dei due ubriaconi della commedia. Stefano (Stephano, alle volte Stefano), un cantiniere ubriaco. Stefano significa corona in greco: un nome appropriato, dato che l'opera è incentrata sulla nozione di regalità, e che questo personaggio è usato per parodiarla. Shakespeare potrebbe anche averlo chiamato Stefano per suggerire una filastrocca popolare, cui allude Trinculo ed è cantata nell' Othello, che comincia così: "King Stephen was an a worthy peer His breeches cost him but a crown" "Re Stefano era un degno lord le sue natiche gli costarono solo la corona". Il parallelo è ironico poiché l'ambizione di Stefano di comandare sull'isola è fermata quando questi comincia a rubare vestiti (le sue natiche gli costano la sua corona). Allo stesso modo, Prospero perse la sua corona quando volse la sua attenzione verso la sua arte, simboleggiata da un mantello. Capitano (Master) di una nave
Boatswain, nostromo
Marinai
Miranda, figlia di Prospero, spesso chiamata "una meraviglia" ("a wonder"). Il nome viene dalla radice latina mira, meravigliarsi.Tradotto significa "cosa da ammirare, che destano ammirazione". Tutte le altre parole nell'opera con la stessa radice (admired, miracle, ecc.) possono essere riferite a Miranda.
Ariel, uno spirito dell'aria. Il nome ricorda certamente l'elemento dell'aria, opponendo direttamente il personaggio a Calibano, chiamato tu terra ("thou earth") da Prospero. In ebraico il nome significa leone di Dio. È pertanto interessante che la voce di Ariel è scambiata una volta per il ruggito di leoni.
IrisCerere (Ceres)
Giunone (Juno)
Ninfe(Nymphs)
Mietitori
Spiriti Menzionati ma mai visti:Sycorax, una strega, e madre di Caliban.Il nome include il greco corax (da cui corvus corax, una specie di corvo), animale con cui questa è frequentemente collegata nel dramma.Le due sillabe, prese separatamente, suonano come sick (malato) e wracks (danni): in effetti, due degli effetti più pericolosi della magia di Prospero sono proprio il malessere ed il danneggiamento delle persone.
Clarabella, figlia di Alonso.Il suo nome deriva dal francese clair et belle: chiara e bella - parole che possono solo descrivere note musicali, l'atmosfera e masse d'acqua. Lei è, quindi, il simbolo opposto alla tempesta del titolo, che sconvolge l'atmosfera, disturba il mare e crea suoni dissonanti e, perciò, scompare dall'azione del dramma dopo l'inizio della tempesta stessa.
LA TEMPESTA - 1611/1612
ATTO PRIMO - SCENA PRIMA
Su una nave in mare.
Si ode un rumore tempestoso di tuoni e fulmini. Entrano il Capitano e il Nostromo. CAPITANO Nostromo! NOSTROMO Sono qui, capitano: che c'è? CAPITANO Bravo. Chiama i marinai - su, presto, datti da fare o finiremo in secca. Muoversi, muoversi!
Esce.
Entrano Marinai. NOSTROMO Su, cuori miei! Animo, ragazzi, animo! Svelti, svelti! Imbrigliate la gabbia! Pronti al fischio del capitano. E tu soffia fino a scoppiare, purché ci lasci spazio per la manovra! Entrano Alonso, Sebastiano, Antonio, Ferdinando, Gonzalo e altri. ALONSO Buon nostromo, mi raccomando. Dov'è il capitano? Sta attento alla ciurma. NOSTROMO Vi prego, ora, tornate giù. ANTONIO Dov'è il capitano, nostromo? NOSTROMO Non lo sentite? Qui date fastidio - tornatevene in cabina. Così date una mano alla burrasca. GONZALO Su, sii buono, calmati. NOSTROMO Quando si calma il mare. Via di qui! A questi cavalloni urlanti che importa del nome di Re? In cabina! Silenzio! Non seccateci più. GONZALO Va bene, ma rammenta chi hai a bordo.
NOSTROMO
Nessuno che ami più di me stesso. Voi siete un consigliere: ebbene, se riuscite a ordinare il silenzio agli elementi e a farli stare subito tranquilli, noi non tocchiamo più una fune. Avanti, usate la vostra autorità. Se non ci riuscite, ringraziate il Cielo per aver vissuto tanto tempo e preparatevi in cabina al disastro, se è destino. Forza, ragazzi! E voi fuori dai piedi, dico. Esce. GONZALO Costui mi conforta assai - su di lui non c'è nessun segno di futuro annegamento. Ha l'aria di chi deve finire sulla forca. Orsù, Fato benigno, tieni duro col capestro: rendi la corda del suo destino la nostra gomena di salvezza, perché quella che abbiamo ci serve a poco. Se non è nato per essere impiccato, siamo nei guai.
Escono.
Rientra il Nostromo. NOSTROMO Calate l'albero! Presto! Più giù, più giù! Venite all'orza e date la vela maestra!
Un grido dall'interno.
Al diavolo queste urla! Fanno più strepito di noi e dell'uragano.
Rientrano Sebastiano, Antonio e Gonzalo. Ancora voi? Che ci fate, qui? Dobbiamo lasciar perdere tutto e annegare? Avete intenzione di colare a picco? SEBASTIANO Ti venga un cancro in gola, cane urlante, miscredente, senza cuore! NOSTROMO Lavorate voi, allora. ANTONIO Ti possano impiccare, bastardo! Ti possano impiccare, te e i tuoi schiamazzi, figlio di puttana insolente! Sei tu che hai paura di annegare, non noi. GONZALO Garantisco io che non annegherà, anche se la nostra nave fosse un guscio di noce e facesse acqua come una puttana sfondata. NOSTROMO Serrate, serrate! Abbassate le vele - andiamo al largo! Serrate! Entrano Marinai, inzuppati d'acqua. MARINAI Siamo perduti! Preghiamo, preghiamo! Siamo perduti! Tutti! NOSTROMO Come! E con la gola secca? GONZALO Il Re e il Principe pregano. Uniamoci a loro. La loro sorte è anche la nostra. SEBASTIANO Sono fuori di me. ANTONIO Sono stati questi ubriaconi a truffarci la vita. Questo farabutto sboccato... Potessi annegare lentamente Sciacquato da dieci maree! GONZALO Eppure finirà sulla forca. Anche se ogni goccia giurasse il contrario. E si allargasse all'infinito per inghiottirlo.
Suoni confusi all'interno:
"Pietà di noi"
"Andiamo a pezzi, andiamo a pezzi"
"Addio, moglie mia, addio, figli miei!" "Addio, fratello!" "A pezzi, a pezzi!" ANTONIO Andiamo dal Re per affondare tutti insieme. SEBASTIANO Andiamo a dirgli addio.
Escono Antonio e Sebastiano.
GONZALO Darei mille iugeri di mare per un acro di terreno sterile, coperto di eriche, ginestre, sterpi, qualsiasi cosa. Sia fatta la volontà del Cielo! Però avrei preferito una morte asciutta.
Escono.
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LA TEMPESTA - 1611/1612
ATTO PRIMO - SCENA SECONDA
L'isola. Davanti alla grotta di Prospero.
Entrano Prospero e Miranda. MIRANDA Se con la vostra Arte, mio carissimo padre, avete gettato le acque selvagge in questo fragore, ora calmatele.Sembra che il cielo voglia rovesciare fetida pece ma il mare montando fino alle guance delle nubi spegne il fuoco. Oh, come ho sofferto con quelli che vidi soffrire! Una splendida nave (che certo aveva dentro nobili creature) tutta a pezzi. Ah, come quel gridare mi ha battuto sul cuore. Povere anime, tutte perdute. Se avessi avuto il potere di un dio avrei sprofondato il mare nella terra prima che s'ingoiasse il bel veliero con il suo carico di umani. PROSPERO Calma. Non aver più paura. Di' al tuo cuore pietoso che non è stato fatto nessun male. MIRANDA Oh, giorno di dolore! PROSPERO Nessun male. Nulla ho fatto se non per il tuo bene, per te, unica mia, per te, mia figlia, che non conosci chi sei, né di dove io venga, né che sono molto più di Prospero, padrone di una poverissima grotta e tuo non meno misero padre. MIRANDA Non ho mai pensato a conoscere di più. PROSPERO È tempo invece che io ti dica di più. La tua mano mi aiuti a deporre questo mantello di magia. Così.
(Depone il manto.)
Là, mia Arte, riposa. E tu asciuga gli occhi: sii serena.
Lo spettacolo orrendo del naufragio che in te ha toccato l'essenza della pietà l'ho concertato io con tale sapienza e misura dell'Arte che non c'è un'anima... no, nemmeno un capello fu strappato a coloro che tu udisti, dalla nave, gridare, a coloro che tu vedesti affondare. Siedi: ora devi sapere di più. MIRANDA Molte volte avete cominciato a dirmi chi sono ma poi vi arrestavate lasciandomi con un'inutile domanda e concludendo: "Aspetta, ancora no". PROSPERO Ma adesso l'ora è giunta. Ed è l'attimo stesso che ti impone di prestarmi orecchio. Ubbidisci. Sta attenta. Riesci a ricordare un tempo prima del nostro arrivo a questa grotta? Credo di no, perché allora non avevi tre anni. MIRANDA Certo che posso, padre. PROSPERO E che ricordi? Un'altra casa, o persona? Dammi l'immagine di qualsiasi cosa che sia rimasta nella tua memoria. MIRANDA È molto lontana - simile a un sogno, più che una certezza garantita dalla memoria.
Una volta non avevo quattro o cinque donne intorno a me?
PROSPERO Le avevi, Miranda, anche di più. Ma come può, questo, vivere ancora nella tua mente? Che altro vedi, indietro, nel buio, nell'abisso del tempo? Se hai un ricordo di prima che arrivassi qui forse puoi anche ricordare come ci arrivasti. MIRANDA No, questo no. PROSPERO Dodici anni fa, Miranda, dodici anni fa tuo padre era il Duca di Milano e principe potente. MIRANDA Signore, non siete voi mio padre? PROSPERO Tua madre era un modello di virtù e diceva che tu eri mia figlia; e tuo padre era il Duca di Milano; e la sua unica erede e principessa era di stirpe non meno illustre. MIRANDA O cielo! E quale vile trama ci costrinse a partire? O è stato un bene, invece? PROSPERO L'uno e l'altro, figliola, l'uno e l'altro. Per una vile trama, come dici, fummo strappati di lì, ma giungere qui è stato un bene. MIRANDA Il cuore mi sanguina, se penso a tutti gli affanni che vi ho dato, di cui non ho memoria. Vi prego, avanti! PROSPERO Mio fratello - e tuo zio, di nome Antonio - (Ah, dimmi se un fratello può essere tanto malvagio!) lui che dopo di te io amavo più d'ogni altro al mondo, e al quale lasciai la guida del mio stato, che allora era la prima di tutte le Signorie, e Prospero il primo Duca, celebrato per dignità, senza confronti nelle Arti liberali... E poiché queste erano l'unica mia cura affidai il governo a mio fratello e mi estraniai dal mio ruolo, trasportato, rapito in studi segreti. Tuo zio, falso... mi stai ascoltando? MIRANDA Con la massima attenzione, signore, PROSPERO Avendo perfettamente appreso come concedere favori e come negarli, chi promuovere, e chi punire per eccesso di ambizione, ricreò - si può dire - le creature che erano state mie. O le sostituì, o ne formò di nuove.
E, possedendo la chiave sia del governo sia dei governanti, accordò tutti i cuori dello stato alla musica più gradita al suo orecchio. E così divenne l'edera che nascondeva il mio tronco di principe succhiandone il vigore. Ma tu ascolti?
MIRANDA Oh sì, buon signore! PROSPERO Allora ascolta bene. Io, così trascurando ogni fine mondano, consacratomi in solitudine ad educare la mia mente, a studiare cose al di là di ogni comprensione del volgo, destai nel mio falso fratello una natura malvagia. E la mia fiducia, come un buon genitore, generò in lui una doppiezza contraria grande quanto la mia fiducia stessa che era davvero senza limiti, una fiducia senza confini! E lui, ormai padrone non solo dei miei beni ma di quant'altro il mio potere era in grado di esigere, come chi, a forza di mentire, induce la propria memoria a peccare talmente contro il vero da credere alla sua stessa menzogna... Lui credette d'essere realmente il Duca, dato che mi sostituiva, ed eseguiva gli atti esterni della regalità, con ogni prerogativa... Così, crescendo la sua ambizione... Mi senti? MIRANDA Il vostro racconto, signore, guarirebbe dalla sordità. PROSPERO Affinché non vi fosse più uno schermo tra la parte che recitava e chi sostituiva in quella parte, doveva per forza diventare il vero Duca di Milano... Io, poveruomo, la mia biblioteca era un ducato già fin troppo vasto... lui, mi crede ormai incapace di governo temporale, s'accorda, nella sua sete di potere, col re di Napoli, s'impegna a pagargli un tributo annuo, a fargli omaggio, a rendere la sua più piccola corona suddita di quella grande di lui, costringendo il Ducato, fin qui mai sottomesso - Ah! povera Milano! - al più ignobile inchino. MIRANDA O Cielo! PROSPERO Pensa adesso al patto e alle sue conseguenze e poi dimmi se quello era un fratello. MIRANDA Peccherei se giudicassi men che nobilmente vostra madre. Ventri onesti hanno generato cattivi figli. PROSPERO E ora i termini del patto. Questo Re di Napoli, mio nemico inveterato, accoglie la richiesta di mio fratello e promette in cambio dell'omaggio e di non so quale tributo di estirpare immediatamente dal Ducato me e i miei, e consegnare la bella Milano, con tutti gli onori, a mio fratello. E a questo fine, assoldata una schiera di traditori, in una mezzanotte predestinata Antonio aprì le porte di Milano e, in un'oscurità di morte, i suoi sicari trascinarono via me e te. E tu piangevi. MIRANDA Ahimè, pietà. Per quel pianto di allora che non ricordo ora piango di nuovo. È un racconto che mi torce gli occhi. PROSPERO Ascolta ancora un po' e ti condurrò all'azione che ci aspetta ora, senza la quale questa storia non avrebbe scopo. MIRANDA Ma perché non ci uccisero subito? PROSPERO Domanda giusta, ragazza mia: è il mio stesso racconto a provocarla. Ebbene, cara, il mio popolo mi amava ancora tanto che non osarono farlo, né suggellare l'impresa con un marchio di sangue. Preferirono dipingere i loro infami disegni con colori più tenui. In breve, ci caricarono di fretta su una barca, ci trasportarono per qualche lega in alto mare.
Qui avevano apprestato la carcassa marcita di un vascello, senza sartie, albero, vela. Persino i topi, istintivamente, l'hanno abbandonata. E qui ci lasciano a gridare al mare che ci ruggiva contro, a sospirare ai venti, la cui pietà, ricambiando i sospiri, ci faceva soffrire per troppo amore.
MIRANDA Ahimè, che peso sono stata per voi! PROSPERO Oh no! Eri un angelo - proprio tu mi hai salvato. Mentre io coprivo il mare di gocce amarissime e gemevo sotto il mio peso, tu sorridevi con una forza che ti infondeva il cielo. Tu mi hai dato il coraggio di sopportare il futuro. MIRANDA In che modo approdammo? PROSPERO Divina Provvidenza. Avevamo cibo e acqua che un nobile napoletano, Gonzalo, al quale era affidato il comando dell'impresa, ci diede, per spirito di carità, insieme a ricche vesti, lini, drappi e altre cose necessarie che ci furono poi di grande aiuto. E non solo. Sapendo come amavo i miei libri fu così umano da portarmi, dalla mia biblioteca, quelli che sono per me più preziosi del mio ducato. MIRANDA Come vorrei conoscere quell'uomo! PROSPERO Ora io mi alzo. Tu, quieta, riposa, e ascolta la fine della nostra odissea. Arrivammo a quest'isola: e qui io sono stato il tuo maestro di scuola. Hai imparato più di altre principesse c he hanno più tempo per le ore frivole ma precettori meno affettuosi. MIRANDA Il Cielo ve ne renda grazie. Ma ditemi - È un pensiero che continua a battermi dentro - perché avete sollevato il mare? PROSPERO Sappi anche questo. Per uno strano caso, la Fortuna generosa (Ora mia amata signora) ha portato su questa stessa spiaggia i miei nemici, e con la mia scienza del futuro scopro che il mio zenith dipende da una stella di buon auspicio, la cui influenza non devo ignorare ma invece afferrare subito, perché altrimenti le mie fortune declineranno per sempre. Ma ora non domandare più. Stai avanzando nel sonno. È un sonno buono. Lasciati andare, so che non hai scelta.
Miranda si addormenta.
Avanti, servo, vieni. Avanti! Eccomi, sono pronto, ora. Qui vicino, mio Ariel. Vieni!
Entra Ariel. ARIEL Ehilà, gran maestro! Mio venerabile signore, salve! Eccomi qua per eseguire quello che piace a te. Si tratti di volare, nuotare, tuffarsi nel fuoco, cavalcare i ricci delle nubi, al tuo comando imperioso si piega Ariel con tutti i suoi aiuti. PROSPERO Spirito, hai inscenato a dovere la tempesta che ti avevo ordinato? ARIEL Punto per punto. Sono salito a bordo della nave del re e ora a prua ora a poppa, ora sul ponte, in ogni cabina, ho fiammeggiato terrore: a volte mi dividevo e bruciavo in molti luoghi contemporaneamente: Sull'albero maestro, sulle antenne e il bompresso, ardevo come fiamme diverse e poi mi radunavo e riunivo di nuovo. I lampi di Giove, messaggeri dei tremendi tuoni, non erano più rapidi di me, né come me veloci più della vista. Il fuoco e gli scoppi di sulfureo fragore sembravano assediare il possente Nettuno e far tremare le sue onde superbe. Proprio così, e scuotere il suo terribile tridente. PROSPERO Mio prode spirito! E chi, in questo finimondo, fu tanto saldo, tanto costante, da non farsi infettare la ragione? ARIEL Non c'era anima che non fosse presa dalla mattana e non facesse scene di tragedia. Tutti, tranne i marinai, si gettarono nel pelago schiumante e abbandonarono il vascello che ardeva tutto delle mie fiamme. L'infante del Re, Ferdinando, con i capelli dritti - Erano stecchi, non capelli! - fu il primo a saltare, gridando, "L'inferno è vuoto, e tutti i diavoli sono qui!"
PROSPERO
E bravo il mio spirito! Ma non eravate vicini alla riva? ARIEL Attaccati, padrone. PROSPERO E dimmi, Ariel, sono davvero salvi tutti? ARIEL Nemmeno un capello si è perduto. E sugli abiti che li tenevano a galla non c'è nemmeno una macchia. Sono più nuovi di prima. Come mi avevi ordinato, li ho sparpagliati, in plotoni, per tutta l'isola. Il figlio del Re l'ho sbarcato da solo e l'ho lasciato a rinfrescare l'aria coi sospiri in un angolo remoto dove se ne sta seduto con le braccia conserte, malinconicamente - così. PROSPERO E la nave del Re, e i marinai, dove li hai sistemati? E il resto della flotta? ARIEL All'ancora, la nave del Re. Nella baia profonda in cui tu una volta mi evocasti, a mezzanotte, perché ti procurassi rugiada dalle Bermude tormentate dai venti. Ecco dov'è nascosta. I marinai, li ho stivati tutti sotto i boccaporti e li ho messi a dormire aggiungendo un incanto alla fatica. In quanto al resto della flotta, tutte le navi che avevo disperso si sono riunite di nuovo e solcano le onde del Mediterraneo tornando tristemente verso Napoli. Credono di aver visto naufragare l a nave del Re, e annegare il corpo di Sua Maestà. PROSPERO Ariel, hai eseguito perfettamente la tua parte. Ma c'è altro lavoro. Che ore sono? ARIEL Metà del giorno è passata. PROSPERO Di due clessidre almeno. Il tempo tra adesso e le sei dev'essere speso da entrambi nel modo più proficuo. ARIEL Ancora lavoro?
Dal momento che mi assegni altre fatiche lascia che ti ricordi ciò che hai promesso e che tu non hai eseguito affatto!
PROSPERO Come? Fai i capricci? E che pretendi? ARIEL La mia libertà. PROSPERO Prima del tempo stabilito? Mai. ARIEL Ricorda, ti prego, che ti ho reso degni servigi, non ti ho mai mentito, non ho commesso errori, ti ho servito sempre senza brontolare e di buon grado. E tu hai promesso di condonarmi un anno intero. PROSPERO Dimentichi da quale tormento ti ho liberato? ARIEL No. PROSPERO Invece sì, e credi che sia gran cosa calpestare il fango del fondo salato, correre sull'aspro vento del Nord, lavorare per me nelle vene della terra quando è indurita dal gelo. ARIEL Nossignore. PROSPERO Menti, cosa malvagia. Hai scordato la turpe strega Sycorax che per vecchiaia e perfidia s'era incurvata tutta come un cerchio? L'hai scordata? ARIEL Nossignore. PROSPERO Sì, invece. Dov'era nata? Parla, rispondi. ARIEL In Algeri, padrone. PROSPERO Ah, davvero? Una volta al mese devo ricordarti quello che sei stato, visto che lo dimentichi. Sycorax, questa strega maledetta, per i suoi innumerevoli misfatti e le stregonerie tremende ed inaudite, venne bandita, come sai, da Algeri. Per un'unica cosa che fece le risparmiarono la vita. Non è così? ARIEL Sissignore. PROSPERO Questa cagna dagli occhi bui fu sbarcata qui incinta e qui lasciata dai marinai. Tu, mio schiavo, eri allora - sei stato tu a raccontarmelo - al suo servizio. E poiché eri uno spirito troppo delicato per eseguire ordini così bassi e odiosi, quando ti rifiutasti di obbedire alla sua autorità, lei, con l'aiuto dei suoi ministri più potenti e in preda a implacabile furia, ti confinò nella spaccatura di un pino. E in questa morsa dolorosamente rimanesti imprigionato una dozzina d'anni. Nel frattempo lei moriva, lasciandoti là dentro, dove tu urlavi lamenti rapidi come pale di mulino. Quest'isola, allora - all'infuori del figlio che lei depose sullo strame, un nato di strega tutto una macchia - non era onorata da alcuna forma umana. ARIEL Sì, suo figlio Caliban. PROSPERO Appunto, stupido! Sto parlando di lui, di quel Caliban che è ora al mio servizio.
Tu sai bene in quale tormento ti trovai. I tuoi lamenti facevano piangere i lupi e penetravano il petto degli orsi sempre irosi. Era una pena da infliggere ai dannati e che Sycorax non poteva più revocare.
Quando arrivai qui e ti udii, fu la mia Arte che fece spalancare la bocca del pino e ti permise di uscire. ARIEL Grazie, padrone. PROSPERO Se mai ti provi a brontolare ancora spacco una quercia e ti rinserro nelle sue viscere nodose a urlare per altri dodici inverni. ARIEL Perdono, padrone. Ubbidirò agli ordini e prometto che spiriterò da bravo. PROSPERO Fa così, e fra due giorni sarai libero. ARIEL Viva, mio nobile padrone! E cosa devo fare? Dimmi, cosa devo fare? PROSPERO Diventa una Ninfa del mare: visibile solo a te stesso e a me, invisibile a ogni altra pupilla. Va, rivesti questa forma e torna qui. lavora presto e bene.
Esce Ariel.
Svegliati, cuore mio, svegliati! Hai dormito profondo. Sveglia.
MIRANDA La stranezza del vostro racconto mi ha dato sonnolenza. PROSPERO Su, scuotila via. Andiamo da Caliban, il mio schiavo, che non ci dà mai una risposta civile. MIRANDA È un selvaggio, padre, e non voglio vederlo. PROSPERO Sia come sia, non possiamo farne a meno. Ci accende il fuoco, ci procura la legna e fa cose che ci arrecano profitto. Ehi, tu, schiavo! Caliban, tu, fango, parla! CALIBAN (Dall'interno) La legna basta, dentro. PROSPERO Vieni fuori, dico! C'è altro lavoro per te. Ti muovi, tartaruga? E allora? Rientra Ariel in forma di Ninfa marina. Magnifica entrata! Mio geniale Ariel, una parola all'orecchio. ARIEL Sarà fatto, signore.
Esce.
PROSPERO E tu, schiavo velenoso, generato dal demonio in coppia con tua madre scellerata, fuori immediatamente! Entra Caliban. CALIBAN Addosso a tutti e due cadano gocce di brina maligna come quella che mia madre da una palude marcia con penna di corvo raccoglieva! Che un vento di scirocco possa soffiare su di voi e riempirvi di piaghe! PROSPERO Per questo, ti assicuro, stanotte avrai crampi e fitte nei fianchi da toglierti il fiato. Spiriti malvagi in forma di porcospini verranno nella vastità della notte a tormentarti, ti copriranno di buchi più fitti delle celle di un alveare.
E ogni puntura sarà più dolorosa di quella delle api.
CALIBAN Prima devo mangiare. Quest'isola è mia. Mi venne da Sycorax, mia madre. E tu me l'hai presa. Appena arrivato mi accarezzavi e mi tenevi nel cuore, mi davi acqua con dentro i mirtilli e mi insegnavi a nominare la luce più grande e quella più piccola che bruciano di giorno e di notte. Allora ti amavo, e ti mostravo tutte le qualità dell'isola, le sorgenti d'acqua dolce, i fossi d'acqua salata, i luoghi sterili e quelli fertili... Maledetto me per averlo fatto! Che tutti gli incantesimi di Sycorax, rospi, scarafaggi, pipistrelli, vi cadano addosso! Perché ora io sono tutti i sudditi che avete, io che prima ero il mio proprio Re. E voi mi stipate in questa dura roccia. Da tutto il resto dell'isola mi avete escluso. PROSPERO Tu, schiavo bugiardo, che solo la frusta commuove, mai la dolcezza! Io ti ho trattato, letame che sei, con cura umana. Ti ho dato una casa nella mia stessa grotta finché un giorno hai tentato di violare l'onore di mia figlia! CALIBAN Oh! Magari l'avessi fatto. Tu me l'hai impedito, avrei popolato quest'isola di tanti Calibani. MIRANDA Odioso schiavo, su cui nessuna impronta di bontà potrà fermarsi: solamente di male sei capace. lo ho avuto pietà di te. Mi sono sforzata di farti parlare e ogni ora ti insegnavo una cosa o l'altra. Quando tu, selvaggio, non conoscevi ciò che pensavi ma balbettavi come un bruto, io ho dato alle tue intenzioni parole che te le fecero conoscere.
Ma la tua razza abbietta, anche se imparavi, aveva in sé qualcosa che le nature buone non possono tollerare.
E perciò giustamente sei stato confinato in questa roccia, tu che meritavi assai più di una prigione.
CALIBAN Mi avete insegnato a parlare come voi: e quel che ho guadagnato e questo: ora so maledire.
Vi roda la peste rossa per avermi insegnato la vostra lingua!
PROSPERO Via di qui, figlio di strega! Portaci legna da ardere e fa presto. Ti aspetta altro lavoro. Scrolli le spalle, canaglia? Se trascuri o fai malvolentieri ciò che ti ordino ti tormenterò coi crampi dei vecchi, riempirò tutte le tue ossa di dolori, ti farò urlare in modo tale che alle tue grida tremeranno le belve. CALIBAN Ti prego, no.(A parte) Devo ubbidire: la sua Arte è così potente da piegare Setebos, e dio di mia madre, e farne un suo vassallo. PROSPERO Bene, schiavo! Via di qui!
Esce Caliban.
Rientra Ariel, invisibile, suonando e cantando.
Lo segue Ferdinando.
Canto di Ariel.Su queste sabbie dorate Danzate e le mani intrecciate. Dopo un bacio e un inchino Ecco calmate le acque infuriate. Leggeri i piedi posate E cantate, dolci spiriti, il ritornello: dai, dai! Ritornello
Bau, bau.
ARIEL I cani da guardia, abbaiano. Ritornello
Bau, bau!
ARIEL Dai, dai! E adesso sento il gallo cantare a squarciagola: Chicchirichì. Ritornello
Chicchirichì.
FERDINANDO Dove può essere questa musica? Nell'aria o sulla terra? Non suona più: certo è al seguito di qualche nume dell'isola.
Seduto su una riva mentre piangevo ancora il naufragio del Re mio padre questa musica mi strisciò accanto sulle acque placando la loro furia e la mia angoscia con la sua dolce melodia.
L'ho seguita, o, piuttosto, mi ha trascinato qui. Ma è svanita. Ecco, no, ricomincia. Canto di Ariel ARIEL A cinque tese sott'acqua tuo padre giace.Già corallo son le sue ossa Ed i suoi occhi perle. Tutto ciò che di lui deve perire Subisce una metamorfosi marina In qualche cosa di ricco e di strano. Ad ogni ora le ninfe del mare Una campana fanno rintoccare. Ritornello
Din-don!
ARIEL Ecco, la sento: Din! Don! FERDINANDO La canzone ricorda mio padre annegato. No, non è cosa umana, né suono che possiede la terra.
Ora lo sento sopra di me.
PROSPERO Spalanca il frangiato Sipario dei tuoi occhi e dimmi Cosa vedi laggiù. MIRANDA Che cos'è, uno spirito? Mio Dio, come si guarda intorno! Che splendida figura, padre. Ma è uno spirito.
PROSPERO
No, piccola. Mangia e dorme e ha gli stessi sensi che abbiamo noi, proprio gli stessi. Il giovane che tu vedi è scampato al naufragio e se non fosse stato appena toccato dal dolore (cancro della bellezza) potresti dire che è un bell'uomo. Ha perso i suoi compagni e vaga in giro per ritrovarli. MIRANDA Io dico che è una cosa divina perché mai in natura ho visto nulla di più perfetto. PROSPERO (a parte) Tutto procede come l'animo mio suggerisce. Spirito, gentile spirito, due giorni ancora e ti libererò, per questo. FERDINANDO Tu sei certo la dea, che queste note accompagnano. Ti prego, dimmi se quest'isola è la tua dimora e insegnami come posso viverci anch'io. Ma la mia prima e ultima domanda, è: o meraviglia, sei tu fanciulla o no? MIRANDA Meraviglia no, signore, fanciulla sì, certamente. FERDINANDO La mia lingua! Cielo! Sarei il primo tra coloro che parlano questa lingua se mi trovassi là dove è parlata. PROSPERO Come? Il primo? Cosa saresti se ti sentisse il Re di Napoli? FERDINANDO Quello che sono, un uomo come gli altri, e solo, che si stupisce di sentirti parlare di Napoli. Il Re mi ascolta e proprio per questo io piango: Napoli sono io, che con questi occhi, mai da allora asciutti, ho visto il Re mio padre naufragare. MIRANDA Oh no! Per pietà! FERDINANDO Sì, in fede mia, con tutta la sua corte e, fra gli altri, il Duca di Milano col suo nobile figlio. PROSPERO (a parte) Il Duca di Milano e la sua ancor più nobile figlia potrebbero smentirti, se fosse il caso. Si sono scambiati gli occhi al primo sguardo. Mio delicato Ariel, sarai libero, per questo.
(A Ferdinando) Una parola, signore. Temo che ci sia un equivoco. Una parola.
MIRANDA Perché mio padre parla in modo così scortese? È il terzo uomo che vedo. Il primo per il quale sospiro. La pietà lo induca a farmi seguire il mio destino. FERDINANDO Se sei vergine, e se il tuo affetto non si posa altrove, ti farò Regina di Napoli. PROSPERO Calma, signore. Ancora una parola.(A parte) Sono l'una dell'altro. Ma corrono un po' troppo e devo ostacolarli.
Una vittoria troppo facile toglie valore al premio.(A Ferdinando) Ancora una parola. Ti ordino di ascoltarmi: tu qui usurpi il titolo che non hai e sei sbarcato su quest'isola da spia, per sottrarla a me, suo signore.
FERDINANDO No, come è vero che sono un uomo. MIRANDA In un simile tempio non può albergare nulla di male! E se lo spirito del male avesse una dimora così bella le creature del bene farebbero a gara per abitare con lui. PROSPERO Seguimi. E tu non parlare a sua difesa: è un traditore. Vieni. Ti legherò il collo e i piedi, berrai acqua di mare.
Il tuo cibo saranno molluschi d'acqua dolce, radici secche e i gusci dove si cullano le ghiande. Seguimi.
FERDINANDO No. Lotterò contro questa violenza fino a che il mio nemico non si dimostrerà il più forte! Estrae la spada ma un incantesimo lo immobilizza. MIRANDA Caro padre, attento a giudicarlo così sommariamente: è un cavaliere, e non ha paura. PROSPERO Dico! Il mio piede mi fa da tutore? E tu, spia, rinfodera la spada! Fingi di colpire ma non osi. La sua coscienza è posseduta dalla colpa. Abbassa la guardia. Con questa verga ti posso disarmare quando voglio e farti cadere l'arnese. MIRANDA Vi scongiuro, padre! PROSPERO Via di qui! Non aggrapparti alle mie vesti. MIRANDA Pietà, signore. Garantisco per lui. PROSPERO Silenzio! Un'altra parola e avrai la mia collera se non il mio odio. Ma come! Fai l'avvocato di un impostore? Basta! Tu credi che non ci siano altre forme oltre la sua perché hai visto soltanto Caliban e lui: sciocca! In confronto a tanti uomini lui è un Caliban e angeli gli altri. MIRANDA I miei sentimenti, allora, sono i più umili: non ambisco vedere un uomo più bello. PROSPERO Su, ubbidisci: i tuoi muscoli sono tornati all'infanzia e non hanno più forza. FERDINANDO È così. Il mio vigore, come in un sogno, è, tutto inceppato. Eppure la perdita di mio padre, la spossatezza che sento, il naufragio di tutti i miei amici, le minacce di quest'uomo che mi tiene prigioniero, sarebbero cose lievi se dalla mia prigione potessi, una volta al giorno, contemplare questa fanciulla: gli uomini liberi usino pure tutti gli angoli della terra, in una prigione come questa io ho abbastanza mondo. PROSPERO
(a parte) Funziona.(A Ferdinando) Avanti, tu!(ad Ariel) Hai lavorato bene, mio finissimo Ariel! Seguimi. Ascolta ciò che devi ancora fare per me.
MIRANDA Coraggio. Mio padre è migliore delle sue parole. Ciò che ha detto è inconsueto, in lui. PROSPERO Sarai libero come i venti di montagna: ma prima esegui i miei ordini esattamente. ARIEL Parola per parola. PROSPERO Avanti, seguimi! E tu non difenderlo. |
LA TEMPESTA - 1611/1612
ATTO SECONDO - SCENA PRIMA
Un'altra parte dell'isola.
Entrano Alonso, Sebastiano, Antonio, Gonzalo, Adriano, Francesco e altri. GONZALO Vi scongiuro, mio sire, siate allegro. Anche voi avete, come noi tutti, un motivo di gioia. Essere scampati vale assai più di ciò che si è perduto. Il nostro dolore è cosa normale. Ogni giorno, mogli di marinai, padroni di mercantili, i mercanti stessi soffrono quel che soffriamo noi. Ma di un tale miracolo, della nostra salvezza, voglio dire, quasi nessuno può vantarsi, tra milioni. E perciò saggiamente, buon signore, bilanciate il dolore col conforto. ALONSO Ti prego, taci. SEBASTIANO (a parte ad Antonio) Riceve il suo conforto come una minestra raffreddata. ANTONIO (a parte a Sebastiano) Ma se credi che il buon. pastore lo molli tanto presto... SEBASTIANO (a parte ad Antonio) Guarda, sta caricando la sveglia del suo ingegno, tra poco attacca a suonare. GONZALO Mio Sire... SEBASTIANO E uno; tieni il conto. GONZALO Chi dà albergo ad ogni male che viene riceve in cambio... SEBASTIANO Dell'oro.
GONZALO
Dolore, sì. Avete parlato più a proposito del voluto. SEBASTIANO E voi avete capito meglio del previsto. GONZALO Perciò, mio sire... ANTONIO Accidenti, come scialacqua con la lingua! ALONSO Risparmiala, ti prego. GONZALO Va bene, ho finito. Cionondimeno... SEBASTIANO Seguita a parlare. ANTONIO Facciamo una scommessa. Fra lui e Adriano, chi farà per primo chicchirichì? SEBASTIANO Il gallinaccio. ANTONIO Il galletto. SEBASTIANO È andata. E la posta? ANTONIO Chi vince si fa una risata. SEBASTIANO Ci sto. ADRIANO Quest'isola, sebbene appaia deserta... ANTONIO Ah, ah, ah! SEBASTIANO Eccoti pagato. ADRIANO Inabitabile e quasi inaccessibile... SEBASTIANO Cionondimeno. ADRIANO Cionondimeno ANTONIO Questo non poteva mancare. ADRIANO Il clima, qui, dev'essere delicato, sottile, pieno d'una certa qual sua grazia. ANTONIO Grazia era una fanciulla delicata. SEBASTIANO E sottile, sì, come lui ha dottamente esposto. ADRIANO L'aria, qui, respira dolcemente su di noi. SEBASTIANO Come se avesse un paio di polmoni, e marci per giunta. ANTONIO O profumasse di palude. GONZALO Qui fiorisce tutto ciò che è propizio alla vita. ANTONIO Giusto, tranne i mezzi per vivere. SEBASTIANO Di questi non ce n'è nessuno... o quasi. GONZALO L'erba, com'è lussureggiante e vigorosa! E com'è verde! ANTONIO Tutta terra bruciata. SEBASTIANO Con una puntina di verde su. ANTONIO In fondo non sbaglia troppo. SEBASTIANO No, sbaglia solo completamente. GONZALO Ma l'autentica rarità, quella che va al di là di ogni fede. SEBASTIANO Come molte rarità consacrate. GONZALO È che i nostri abiti, pur immersi come sono stati nel mare, mantengono, ciononostante, la loro freschezza e lucentezza, quasi fossero stati tinti di fresco piuttosto che macchiati dall'acqua salata. ANTONIO Se una delle sue tasche potesse parlare gli darebbe del bugiardo. SEBASTIANO Sì, oppure s'intascherebbe come un ladro il suo bel rapporto. GONZALO A me pare che i nostri abiti siano nuovi come quando li indossammo la prima volta in Africa, al matrimonio della graziosa figlia del Re, Claribella, con il Re di Tunisi. SEBASTIANO Bel matrimonio, quello, e nel viaggio di ritorno stiamo veramente prosperando. ADRIANO Tunisi non fu mai adornata da un tale modello di Regina! GONZALO No, dal tempo della vedova Didone. ANTONIO La vedova! Accidenti, e da dove spunta questa "vedova"? La vedova Didone! SEBASTIANO Come te la prendi! E se avesse detto "il vedovo Enea"? ADRIANO La vedova Didone, dicevate? Però ora che ci penso era di Cartagine, non di Tunisi. GONZALO La Tunisi di oggi, signore, era la Cartagine di ieri. ADRIANO Cartagine? GONZALO Ve lo garantisco, Cartagine. ANTONIO La sua parola è potente come l'arpa miracolosa. SEBASTIANO Sì, ha fatto sorgere dal nulla le mura e anche le case. ANTONIO E che farà mai di impossibile, la prossima volta? SEBASTIANO Si porta a casa quest'isola in una tasca e la dà a suo figlio al posto della mela. ANTONIO Poi sparge i semi in mare e fa nascere altre isole. GONZALO Io... ANTONIO Era ora. GONZALO Stavamo dicendo, sire, che i nostri abiti sembrano nuovi come quando eravamo al matrimonio di vostra figlia, che è ora Regina di Tunisi. ANTONIO E la più rara che mai vi giunse. SEBASTIANO Con l'eccezione, di grazia, della vedova Didone! ANTONIO Già, la vedova! Ma sì, la vedova Didone! GONZALO Il mio farsetto, sire, non è nuovo come il primo giorno che l'ho indossato? In un certo qual modo, voglio dire. ANTONIO Pescato bene, quel certo qual modo. GONZALO Come quando l'ho indossato al matrimonio di vostra figlia? ALONSO Basta! Ho le orecchie inzeppate di parole fino alla nausea. Non avessi mai fatto sposare mia figlia laggiù. Tornando di lì si è perduto mio figlio e si è perduta, per me, anche lei, tanto lontana dall'Italia che non potrò più rivederla.
O tu, mio erede di Napoli e Milano, a quale strano pesce hai servito da pasto?
FRANCESCO Può darsi che sia vivo, signore. L'ho visto frustare i marosi e cavalcare sulle loro groppe; calpestava l'acqua nemica e la scansava, rompeva col petto l'onda più gonfia che lo assaliva; teneva il capo fiero alto sulle acque agitate e remando con le braccia robuste muoveva con colpi vigorosi verso la riva che s'inchinava sulla sua base corrosa dalle maree come curvandosi per salvarlo. Non dubito che sia giunto vivo a terra. ALONSO No, no, è annegato. SEBASTIANO Ringraziate voi stesso per questa grande perdita, signore, voi che non avete voluto far felice l'Europa con vostra figlia e l'avete accoppiata a un Africano.
In Africa lei è bandita dai vostri occhi, e voi avete un ottimo motivo per versare lacrime.
ALONSO Ti prego, taci. SEBASTIANO Tutti noi ci siamo inginocchiati ai vostri piedi e in ogni maniera vi abbiamo scongiurato. Lei stessa, la bella creatura, non sapeva quale piatto della bilancia far pesare, se l'obbedienza o il rifiuto. Vostro figlio, temo, lo abbiamo perduto per sempre. A Milano e a Napoli ci sono più vedove prodotte da questa impresa di quanti uomini riporteremo indietro a consolarle. Solo vostra è la colpa. ALONSO E mia la perdita più grave. GONZALO La vostra verità, signor Sebastiano, manca di dolcezza, e non la dite nel momento giusto. Irritate la ferita invece di medicarla. SEBASTIANO Ben detto! ANTONIO E da perfetto chirurgo! GONZALO Quando voi siete annuvolato, sire, per tutti noi è tempo cupo. SEBASTIANO Tempo da gufo? ANTONIO Proprio da gufo. GONZALO Se quest'isola, sire, fosse una mia piantagione... ANTONIO Ci pianterebbe ortiche. SEBASTIANO O camomilla, o malva. GONZALO E se io fossi il Re, sapete cosa farei? SEBASTIANO Fareste a meno di sbronzarvi per mancanza di vino. GONZALO Nel mio stato governerei eseguendo tutto contrariamente agli usi. Non ammetterei nessun genere di commercio.
Di magistrati, neanche il nome. Le lettere, sconosciute. Ricchezze, povertà, qualunque servitù, più niente.
Contratti, successioni, confini, delimitazioni di terre, colture, vigneti: niente.
Non uso di metallo, non grano, non vino, non olio. Niente lavoro. Gli uomini, tutti in ozio, tutti. E anche le donne ma innocenti e pure. Sovranità, nessuna. SEBASTIANO Però lui farebbe il Re! ANTONIO La parte finale della sua costituzione s'è scordata l'inizio. GONZALO Tutto in comune. dev'essere la Natura a produrre, senza fatica o sudore. Tradimenti, ribellioni, spade, picche, coltelli, armi da fuoco e ogni specie di macchine: tutti aboliti. La Natura dev'essere a offrire, spontaneamente, abbondanza di messi, e di ogni bene, con cui nutrire il mio popolo innocente. SEBASTIANO E niente matrimonio, tra i suoi sudditi? ANTONIO Niente, caro mio. Tutti disoccupati, puttane e delinquenti. GONZALO Sarei un principe così perfetto, sire, da superare l'Età dell'Oro. SEBASTIANO Dio salvi Sua Maestà! ANTONIO Lunga vita a Gonzalo! GONZALO E poi... mi seguite, sire? ALONSO Basta, ti prego: queste parole non mi dicono niente. GONZALO Lo credo, Altezza... A mio discorso l'ho fatto per offrire un pretesto a questi signori, che sono di polmoni così sensibili e vivaci da mettersi a ridere per niente. ANTONIO Ma era di voi che ridevamo. GONZALO Appunto. E poiché al vostro confronto io sono niente in questo genere di buffonate, potete seguitare a ridere di niente! ANTONIO Bel colpo! SEBASTIANO Sì, ma è arrivato un po' di piatto. GONZALO Voi siete gentiluomini di forte tempra, sareste capaci di strappare la luna alla sua orbita, se continuasse a starci dentro cinque settimane di seguito senza mai cambiare. Entra Ariel, invisibile, suonando musica solenne. SEBASTIANO Certo, e poi la usiamo per andare a caccia di gufi. ANTONIO Su, su, mio buon signore, non adiratevi. GONZALO No, ve lo garantisco, non rischierò così la mia reputazione. Volete farmi la ninnananna con un bel paio di risate? Sento un gran peso. ANTONIO Mettetevi a letto e ascoltateci.
S'addormentano tutti tranne Alonso, Sebastiano e Antonio.
ALONSO Come! Tutti già addormentati!
Ah, se i miei occhi chiudessero, con se stessi, i miei pensieri, li sento disposti al sonno.
SEBASTIANO Vi prego, signore, non rifiutate questa ricca offerta, è raro che sia fatta al dolore, ma quando viene è un conforto. ANTONIO Mentre voi riposate, Maestà, noi due veglieremo sulla vostra sicurezza. ALONSO Grazie ... che stanchezza incredibile!
Alonso si addormenta.
Esce Ariel.
SEBASTIANO Quale strano torpore li possiede! ANTONIO È la qualità del clima. SEBASTIANO Ma allora perché non abbassa le palpebre anche a noi? Io non ho sonno. ANTONIO Nemmeno io, i miei sensi sono svegli. Costoro sono caduti tutti insieme, come per un accordo. Sono piombati a terra come schiantati dal fulmine. Cosa non si potrebbe, degno Sebastiano... Cosa non si potrebbe? Basta. E tuttavia mi sembra di vedere sul tuo viso ciò che dovresti essere: l'occasione ti chiama e la mia accesa fantasia vede una corona cadere sul tuo capo. SEBASTIANO Ma che dici? Sei sveglio? ANTONIO Non mi senti parlare? SEBASTIANO Sì, ma è certo il linguaggio del sonno e tu parli mentre dormi. Cos'è che hai detto? Strano riposo, dormire ad occhi aperti, stare in piedi, parlare, muoversi, e tutto nel sonno più profondo. ANTONIO Nobile Sebastiano, sei tu che lasci dormire... morire, anzi, la tua fortuna e chiudi gli occhi mentre sei sveglio. SEBASTIANO Stai russando: ma in questi suoni c'è un significato. ANTONIO Io sono più serio del solito: devi esserlo anche tu. Dammi ascolto e arriverai tre volte più in alto. SEBASTIANO Ah, ma io sono acqua ferma. ANTONIO Ti insegnerò io a salire. SEBASTIANO Te ne prego: un'indolenza ereditaria mi risucchia sempre in basso. ANTONIO Oh, se tu solo sapessi fino a che punto accarezzi il progetto mentre ci ridi sopra! E come, mentre lo spogli, lo copri di vestiti! Chi nuota in acque basse spesso finisce a fondo solo per indolenza o paura. SEBASTIANO Continua, per favore: la tua faccia stravolta annuncia che qualche cosa sta venendo alla luce: e il parto è faticoso. ANTONIO Ecco, allora. Sebbene questo signore dalla memoria corta, proprio questo, che ne lascerà altrettanto poca quando sarà sotterrato, abbia quasi persuaso il Re che suo figlio è vivo - perché è uno spirito persuasivo, lui, la sua sola funzione essendo quella di persuadere - tuttavia è tanto assurdo che egli non sia annegato quanto che quest'uomo addormentato stia nuotando. SEBASTIANO Non ho nessuna speranza che non sia annegato. ANTONIO Oh, questa tua "nessuna speranza" racchiude una speranza immensa."Nessuna speranza" significa una speranza così ricca che nemmeno l'ambizione può guardare più in alto. E anzi dubita di ciò che ha già scoperto. Convieni con me che Ferdinando è annegato? SEBASTIANO Sì, è morto. ANTONIO E allora, dimmi, chi è l'erede più prossimo del Re di Napoli? SEBASTIANO Claribella. ANTONIO La Regina di Tunisi. Quella che abita dieci leghe più lontano di una vita d'uomo, quella che non può ricevere un messaggio da Napoli - a meno che non glielo porti il sole (L'uomo della luna sarebbe troppo lento) - prima che il mento di un neonato sia coperto di peli e pronto per il rasoio. Quella che abbiamo lasciato per venire tutti inghiottiti dal mare, tranne alcuni, gettati a riva dal destino per recitare un dramma di cui il passato è il prologo mentre il futuro è affidato alla tua azione e alla mia? SEBASTIANO Ma che roba è? Che vuoi dire? È vero, la figlia di mio fratello è Regina di Tunisi ed è l'erede del Re di Napoli. Tra le due regioni c'è un certo spazio. ANTONIO Uno spazio ogni cubito del quale sembra gridare:
"In che modo questa Claribella Può misurarci fino a Napoli? Resti a Tunisi! Si svegli Sebastiano!"
Immagina che il sonno che li ha presi fosse morte: ebbene, non starebbero peggio di come stanno ora. Esistono uomini in grado di governare Napoli come costui che dorme, signori che sanno predicare lo stesso vaniloquio di questo Gonzalo; anch'io sarei capace di fare la cornacchia e di gracchiare con la sua profondità. Oh, se anche in te vivessero i miei pensieri! Che sonno sarebbe questo per la tua ascesa! Mi capisci? SEBASTIANO Credo di sì. ANTONIO E come gradisci la tua buona fortuna? SEBASTIANO Tu hai spodestato, ricordo, tuo fratello Prospero. ANTONIO È vero: e guarda come quegli abiti mi stanno bene addosso. Molto meglio di prima. Allora i servi di mio fratello erano miei uguali; ora, appartengono a me. SEBASTIANO Ma la tua coscienza? ANTONIO E dove sta di casa, costei? Se fosse un gelone Mi farebbe almeno portare le pantofole ma io non sento nel petto questa divinità. Anche venti coscienze messe tra me e Milano dovrebbero gelare e poi sciogliersi prima di infastidirmi. Guarda tuo fratello: certo non varrebbe più della terra dove giace se fosse quello cui somiglia, e cioè un morto che io, con questa lama obbediente, con soli tre pollici, posso mettere a letto per sempre. Mentre tu, allo stesso modo, puoi fornire un sonno perpetuo a questo vecchio rottame, a questo Sor Prudenzio, tanto perché non ci faccia la predica per la nostra azione. In quanto a tutto il resto, trangugeranno le nostre istruzioni come il gatto lecca il suo latte, ripeteranno l'ora che vorremo noi come quella più adatta a qualsiasi azione. SEBASTIANO Il tuo caso, amico mio, sarà il mio esempio. Come tu ti sei preso Milano io mi prenderò Napoli. Sguaina la spada: un solo colpo ti libererà del tributo che paghi ed io, il Re, ti donerò il mio affetto. ANTONIO Sguainiamola insieme, e quando io alzerò la mano, tu fa lo stesso e lasciala cadere su Gonzalo. SEBASTIANO Una parola ancora. (Parlano in disparte.) Rientra Ariel, invisibile, con musica e canti. ARIEL Il mio padrone, con la sua Arte, prevede il pericolo in cui tu, suo amico, ti trovi! E affinché il suo piano non fallisca mi manda qui per mantenere tutti in vita.
Canta all'orecchio di Gonzalo.
Mentre giaci qui russando, La congiura ad occhi aperti ne approfitta. Se la vita ti sta a cuore, scuoti il sonno e sta all'erta.Sveglia, sveglia! ANTONIO Presto, allora, tutti e due. GONZALO (svegliandosi) Angeli del Bene, salvate il Re!
Gli altri si svegliano.
ALONSO Ehi, che succede? Come, già svegli? E perché queste spade? Perché questo sguardo minaccioso? GONZALO Che succede? SEBASTIANO Stavamo qui ad assicurarvi il riposo e all'improvviso abbiamo sentito echeggiare un boato, come di tori, o meglio di leoni: non vi ha svegliato? A me ha schiantato l'orecchio. ALONSO Io non ho sentito niente. ANTONIO Oh, avrebbe atterrito l'orecchio di un mostro! Un vero terremoto! Sì, era il ruggito di un'orda intera di leoni. ALONSO Tu l'hai sentito, Gonzalo? GONZALO Sul mio onore, sire, io ho sentito un ronzio, e anche strano, che mi ha svegliato. Vi ho scosso, sire, e ho gridato: e mentre gli occhi mi si aprivano li ho visti con le spade sguainate. Un rumore c'è stato, è vero. Meglio far buona guardia oppure lasciare questo posto. Sguainiamo le spade anche noi. ALONSO Andiamo via di qui e seguitiamo a cercare il mio povero figlio. GONZALO Il cielo lo tenga lontano da queste belve perché certo è sull'isola. ALONSO Avanti, andiamo. ARIEL Prospero, il mio signore, saprà ciò che ho fatto. E quindi, o Re, va sicuro in cerca di tuo figlio.
Escono.
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LA TEMPESTA - 1611/1612
ATTO SECONDO - SCENA SECONDA
Un'altra parte dell'isola.
Entra Caliban con un carico di legna.
Si sente un rumore di tuono.
CALIBAN
Tutte le infezioni che il sole succhia da paludi, da stagni, da pantani, su Prospero cadano e lo riducano pezzo per pezzo a una sola piaga!
I suoi spiriti mi ascoltano ma io debbo maledire.
Loro non mi pungeranno. Non mi spaventeranno con visioni. Non mi getteranno nel fango. Non mi faranno smarrire la strada fiammeggiando nel buio se non lo ordina lui.
Ma basta un niente per scatenarmeli contro: scimmie urlanti che mi fanno smorfie e mi mordono: porcospini a palla sul sentiero pronti a scattare gli aghi sotto i miei piedi nudi, vipere che mi accerchiano fischiando con lingue forcute e mi fanno impazzire.
Entra Trinculo.
Eccolo, eccolo! Ecco uno dei suoi spiriti che viene a tormentarmi perché sono in ritardo con la legna.
Mi stendo per terra: forse non mi vedrà.
TRINCULO
Qui bolle un altro temporale e non c'è manco un cespuglio o una macchia per ripararmi.
Sentilo come fa la serenata nel vento!
E quella nuvolaccia nera, quella grossa, laggiù, sembra una damigiana fetente che si vuole svuotare sulla terra.
Se tuona come prima dove mi nascondo? Quella nuvola maledetta, quella rovescia giù secchi interi.
Gesù, e questo che è? Un uomo o un pesce? Defunto o vivente? È un pesce: puzza come un pesce - una puzza di pesce vecchissimo – una specie di baccalà andato a male e nemmeno tanto fresco.
Proprio uno strano pesce! Se lavoravo ancora in Inghilterra e avevo questo pesce sul cartellone, la domenica qualsiasi fesso pagherebbe uno scudo d'argento per vederlo.
Laggiù questo mostro farebbe la fortuna di un uomo; laggiù magari non danno un soldo bucato a un povero zoppo, ma ne cavano dieci per vedere un indiano morto.
Ma questo ha le gambe da cristiano! E le pinne sembrano braccia! Sul mio onore, questo è caldo.
Ah, vuol dire che devo cambiare opinione, quella di prima non vale più: questo non è un pesce ma un isolano fulminato.
Tuoni.
Maria Vergine, ecco di nuovo il temporale!
Io mi ficco sotto la gabbana del mostro; altro riparo non ne vedo, qua intorno.
Quando cadi in disgrazia, ti trovi dentro al letto una strana compagnia! Seppelliamoci qua sotto finché il temporale non si è scolato l'ultima goccia!
Entra Stefano cantando, con una bottiglia in mano.
STEFANO
Non tornerò più sul mare, sul mare.
Morirò qui sulla riva.
Questa è una canzone un po' svergognata per un funerale! Ma consoliamoci col messale.
Beve.
Canta:
Il nostromo e il mozzo, il rematore ed io,
Il cannoniere e il servente,
amavamo Mall e Meg, Margery e Marian.
Ma nessuno amava Kate perché Kate aveva la lingua tagliente
E diceva ai marinai: vatti a impiccare!
Non le piaceva l'odore di catrame e pece
Ma un sarto poteva grattarla dove le prudeva.
E allora in mare, ragazzi, S'impicchi lei!
E anche questa è una canzone un po' svergognata, ma ecco la mia consolazione.
Beve.
CALIBAN
Non tormentarmi - ahi!
STEFANO
Che succede? I diavoli spasseggiano? Truccati da selvaggi e da indiani?
Ma io non sono scampato al naufragio per farmi spaventare dalle vostre quattro gambe - dice il proverbio che nessun nato da donna che cammina a quattro gambe farà indietreggiare nessuno – e così sia, finché Stefano ha due busi per respirare.
CALIBAN
Lo spirito mi tormenta - ah!
STEFANO
Secondo me, questo è qualche mostro dell'isola a quattro gambe che s'è presa la terzana.
Dove diavolo avrà imparato la nostra lingua? Lo voglio ristorare un po', non fosse altro che per questo.
Se riesco a guarirlo e a domarlo e ad arrivare a Napoli con lui, questo è un regalo degno di qualsiasi imperatore calzato e vestito!
CALIBAN
Non tormentarmi, ti prego - farò più presto con la legna!
STEFANO
Ora ha un attacco e straparla. Gli faccio assaggiare la bottiglia: se non ha mai bevuto vino, l'attacco gli passa.
Se riesco a guarirlo e a domarlo, posso chiedere un capitale; chi lo compra si può sempre rifare come vuole.
CALIBAN
Finora non mi hai fatto troppo male, ma lo farai subito, lo sento da come tremi. Prospero sta lavorando, su di te.
STEFANO
Avanti, girati - apri la bocca – qui c'è qualcosa che fa risuscitare i morti.
Apri 'sta bocca - con questo il tremasso ti va via, te lo dico io. Fidati degli amici – verzi le ganasce un'altra volta, su.
TRINCULO
Ma questa voce io la conosco... dovrebbe essere... ma no, quello è affogato e questi sono fantasmi.
Mamma mia, proteggimi!
STEFANO
Quattro gambe e due voci, un mostro delicato!
Si vede che la voce davanti gli serve per parlare bene degli amici e quella del drio per dire cattive parole e sputare veleno. Ora lo battezzo di nuovo e la febbre gli passa. Avanti - amen! Ora te ne verso un po' nell'altra bocca.
TRINCULO
Stefano!
STEFANO
Ehilà! L'altra bocca chiama me? Ma allora questo non è più un mostro, l'è un diavol!
Stefano, gambe in spalle e via; dice il proverbio: magna assai mal chi a la tavola del diavol vuol magnare!
TRINCULO
Stefano! Se sei Stefano tocca e parla perché io sono Trinculo! Non ti spaventare, sono il tuo buon amico Trinculo.
STEFANO
Se sei Trinculo, alzati e cammina. Aspetta, ti tiro io per le gambe più corte.
Se esistono gambe di Trinculo, sono queste. Sì, sei proprio Trinculo.
Ma com'è che sei diventato lo stronzo di questo aborto di luna piena? È capace di cagare dei Trinculi?
TRINCULO
Lo credevo morto ammazzato da un colpo di fulmine.
Ma tu non sei affogato, Stefano? Fammi la grazia, dimmi che non sei affogato. Il temporale è finito?
Mi sono nascosto sotto la gabbana dell'aborto di luna per paura del temporale.
Ma tu sei vivo, Stefano? O Stefano, due Napoletani salvati dalle acque!
STEFANO
Prego, non girarmi intorno, sono debole di stomaco.
CALIBAN (a parte)
Ah, che belle creature, se non sono spiriti. Che splendido dio, ha un liquore celestiale. Mi inginocchio ai suoi piedi.
STEFANO
Come sei scampato? In che modo sei arrivato fin qua? Giura su questa bottiglia e dimmi in che modo sei arrivato fin qua. Io sono scampato sopra un barile di vin di Spagna che i marinai avevano buttato giù di bordo.
Lo giuro su questa sacra bottiglia, fatta con le mie proprie mani, con la scorza di un albero, dopo che m'hanno sbattuto a riva!
CALIBAN
Giuro, su questa bottiglia, d'essere tuo suddito fedele; quel liquore non è terreno.
STEFANO
Qua, giura, e dimmi come sei scampato.
TRINCULO
Nuotando fino alla riva come un'anitra, fratello: io nuoto come un'anitra, lo giuro.
STEFANO
Qua, un altro bacio al messale. Ma ricorda: nuoti come un'anitra, ma sempre oca rimani.
TRINCULO
O Stefano, ne tieni ancora?
STEFANO
Un barile intero, carissimo. La mia cantina è in una grotta sul mare e lì ho nascosto tutta la vinassa.
E allora, aborto di luna, la febbre come va?
CALIBAN
Non sei caduto dal cielo?
STEFANO
Sono caduto dalla luna, te lo assicuro: una volta ero l'uomo della luna.
CALIBAN
Ti ho visto, lassù. Sempre la mia padrona ti indicava a me col cane e la fascina, e io ti adoro.
STEFANO
Avanti, giura - bacia il messale! Tra poco ce ne metto ancora, giura.
TRINCULO
Per la sacra luce, questo è un mostro cretino. E io che ho avuto paura di lui! Un mostro deficiente!
Ti ha visto sulla luna! Un mostro che le beve tutte, un mostro scemo. Ehi, mostro, ti sei fatto una bella bevuta, eh?
CALIBAN
Ti mostrerò ogni zolla fertile dell'isola, e ti bacerò il piede: ti prego, sii il mio dio.
TRINCULO
Sole mio, un mostro subdolo e bevuto! Questo, se il suo dio si addormenta, gli fotte la bottiglia.
CALIBAN
Ti bacerò il piede. Giurerò di essere tuo suddito.
STEFANO
Avanti, allora: a terra, e giura.
TRINCULO
C'è da schiattare dalle risate a vedere questo mostro dalla testa di cane.
Un mostro scostumato! Quasi quasi adesso gli do una bastonata.
STEFANO
Avanti, bacia.
TRINCULO
Ma 'sto povero mostro è ubriaco. Un mostro abominevole!
CALIBAN
Ti indicherò le sorgenti più ricche, per te raccoglierò le bacche e andrò a pescare, a te procurerò la legna che ti occorre. E peste sul tiranno che servo! Nemmeno un ceppo, a lui. Seguirò solo te, uomo meraviglioso!
TRINCULO
Un mostro ridicolo, se trova meraviglioso un povero ubriacone!
CALIBAN
Ti prego, lascia che ti conduca dove crescono le mele.
Con le mie unghie affilate ti scaverò noci di terra.
Ti mostrerò il nido della ghiandaia.
Ti insegnerò a intrappolare l'agile scimmietta.
Ti condurrò dove c'è ricchezza di nocciole, e qualche volta ti porterò giovani gabbiani dalle rocce. Verrai con me?
STEFANO
Per favore, facci strada senza altre chiacchiere. Trinculo, il Re e tutto il resto della compagnia essendo affogati, noi siamo i signori, qui.
Custodisci la bottiglia, amico Trinculo, tra poco la riempiremo di nuovo.
CALIBAN (Cantando ubriaco)
Addio, padrone, addio!
TRINCULO
Un mostro urlante - un mostro ubriaco!
CALIBAN
Non farò più chiuse per i pesci,
né porterò legna su richiesta,
non raschierò più taglieri, non laverò più piatti.
Ban, ban, Cacaliban ha un nuovo padrone.
E tu un uomo nuovo vatti a cercar!
Libertà, salute! Salute, libertà!
Libertà! Viva la libertà!
STEFANO
O prode mostro! Guidaci tu!
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LA TEMPESTA - 1611/1612
ATTO TERZO - SCENA PRIMA
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