DAL MEDICO
Estratto da "Le notti difficili"
Dino Buzzati
[...]Sano, si.. Sanissimo. Però morto. Ti sei adeguato, ti sei integrato, ti sei omogeneizzato[...]
Sono andato dal medico per la visita di controllo semestrale: un'abitudine che ho preso da quando sono diventato quarantenne.
Il mio medico è un vecchio amico, Carlo Trattori, che ormai mi conosce per diritto e per rovescio.
E' un pomeriggio infido e nebbioso d'autunno, tra poco dovrebbe arrivare la sera.
Appena entro, Trattori mi guarda in un certo modo, e sorride:
«Ma tu stai magnificamente, stai. Non ti si riconoscerebbe, a pensare che faccia tirata avevi, solo un paio d'anni fa».
«E' vero. Non mi ricordo d'essere mai stato bene come adesso».
Di solito si va dal medico perché si sta male. Oggi sono venuto dal medico perché sto bene, benissimo. E ne provo una soddisfazione nuova, quasi vendicativa, di fronte a Trattori che mi ha sempre conosciuto come un nevrotico, un ansioso, affetto dalle principali angosce del secolo.
Ora invece sto bene. Da qualche mese in qua, di bene in meglio. Né mai più mi capitano, al risveglio del mattino, filtrando fra le stecche delle persiane la grigia funesta luce dell'alba metropolitana, propositi suicidi.
«C'è bisogno di visitarti»? dice Trattori. «Stavolta mangerò il pane a ufo, alla tua faccia».
«Be', già che sono venuto..».
Mi spoglio, mi stendo sul lettuccio, lui misura la pressione~ ascolta cuore e polmoni~ tenta i riflessi. Non parla. «E allora»? chiedo io.
Trattori alza le spalle, manco si degna di rispondere.
Però mi guarda, mi osserva come se non conoscesse la mia faccia a memoria.
Finalmente:
«Piuttosto dimmi. Le tue fisime, le tue classiche fisime? Gli incubi? Le ossessioni? Mai conosciuto uno più tormentato di te. Non vorrai mica farmi credere..».
Faccio un gesto categorico.
«Piazza pulita. Sai quello che si dice niente? Neanche il ricordo. Come se fossi diventato un altro».
«Come se fossi diventato un altro...» fa eco Trattori, scandendo le sillabe, pensieroso. La caligine, di fuori, si è infittita. Benché non siano ancora le cinque sta facendosi buio lentamente.
«Ti ricordi» dico «quando all'una, alle due di notte venivo a sfogarmi da te? E tu stavi ad ascoltarmi anche se cascavi dal sonno? A ripensarci mi vergogno. Che idiota ero, solo adesso lo capisco, che formidabile idiota».
«Mah, chissà».
«Che cosa vorresti dire»?
«Niente. Piuttosto rispondi sinceramente: sei più felice adesso o prima»?
«Felice! Che parola grossa».
«Be', diciamo soddisfatto, contento, sereno».
«Ma certo, molto più sereno adesso».
«Dicevi sempre che in famiglia, sul lavoro, tra la gente, ti sentivi sempre isolato, estraniato? E' dunque finita la tua bella alienazione»?
«Proprio così. Per la prima volta, come dire?... ecco, mi sento finalmente inserito nella società».
«Caspita. Complimenti. E da qui un senso di sicurezza, vero?, di coscienza appagata»?
«Mi prendi in giro?
«Neppure per idea. E dimmi: fai una vita più regolata di prima»?
«Non saprei. Forse si.
«Vedi la televisione»?
«Be', quasi tutte le sere. Irma e io non usciamo quasi mai».
«Ti interessi allo sport»?
«Riderai se ti dico che sto cominciando a diventare tifoso».
«E per chi tieni»?
«Per l'inter, naturalmente».
«E di che partito sei?
«Partito come»?
«Partito politico, no»?
Mi alzo, mi avvicino, gli sussurro una parola in un orecchio.
Lui: «Quanti misteri. Come se non lo si sapesse in giro.
«Perché? Ti scandalizzi»?
«Per carità. E' una cosa ormai normale tra i borghesi.
E l'auto? Ti piace guidare»?
«Non mi riconosceresti più. Lo sai che lumacone ero una volta. Bene, la settimana scorsa, quattro ore e dieci da Roma a Milano. Cronometrato... Ma si può sapere il perché di tutto questo interrogatorio?
Trattori si toglie gli occhiali. I gomiti appoggiati al piano della scrivania, congiunge le dita delle due mani aperte.
«Vuoi sapere quello che ti è successo»?
Io lo guardo interdetto. Che, senza parere Trattori abbia notato i sintomi di una orrenda malattia?
«Quello che mi è successo? Non capisco. Mi hai trovato qualche cosa»?
«Una cosa semplicissima. Sei morto».
Trattori non è un tipo facile agli scherzi, soprattutto nel suo studio di medico.
«Morto»? balbettai io. «Morto come?
Una malattia incurabile»?
«Macché malattia. Non ho detto che tu debba morire. Ho detto soltanto che sei morto».
«Che discorsi. Se tu stesso poco fa dicevi che sono il ritratto della salute»?
«Sano, si.. Sanissimo. Però morto. Ti sei adeguato, ti sei integrato, ti sei omogeneizzato, ti sei inserito anima e corpo nella compagine sociale, hai trovato l'equilìbrio, la tranquillità, la sicurezza. E sei un cadavere».
«Ah, meno male. Tutto un traslato, una metafora.
Mi avevi fatto prendere una di quelle paure»!
«Mica tanto traslato. La morte fisica è un fenomeno eterno e dopo tutto eccessivamente banale. Ma c'è un'altra morte, che qualche volta è ancora peggio. Il cedimento della
personalità, la assuefazione mimetica, la capitolazione
all'ambiente, la rinuncia a se stessi... Ma guardati in giro. Ma parla con la gente. Ma non ti accorgi che sono morti almeno il sessanta per cento? E di anno in anno il numero cresce. Spenti, piallati, asserviti.
Tutti che desiderano le stesse cose, che fanno gli stessi discorsi, tutti che pensano le stesse identiche cose.
Schifosa civiltà di massa».
«Storie. Adesso, che non ho più gli incubi di una volta, mi sento molto più vivo. Molto pìu vivo adesso quando assisto a una bella partita di calcio, o quando schiaccio l'acceleratore fino in fondo».
«Povero Enrico. E benedette le tue angosce di una volta».
Ne ho abbastanza. Trattori è riuscito a darmi veramente sui nervi.
«E allora, se sono morto, come spieghi che non ho mai venduto tante mie sculture come in questo ultimo anno? Se fossi rammollito come dici...
«Non rammollito. Morto. Ci sono oggi nazioni immense, tutte fatte di morti.
Centinaia di milioni di cadaveri. E lavorano, costruiscono inventano, si danno terribilmente da fare, sono felici e contenti. Ma sono dei poveri morti.
Fatta eccezione per una minoranza microscopica che gli fa fare quello che vuole, amare quello che vuole, credere in quello che vuole.
Come gli zombi delle Antille, i cadaveri resuscitati dagli stregòni e mandati a lavorare nei campi. E in quanto alle tue sculture, è proprio il successo che hai e che una volta non avevi, a dimostrare che sei morto.
Ti sei conformato, ti sei
dimensionato, ti sei aggiornato, ti sei messo al passo, ti sei tagliato le spine, hai ammainato le bandiere~ hai dato le dimissioni da pazzo, da ribelle, da illuso. E perciò adesso piaci al grande pubblico, il grande pubblico dei morti».
Scatto in piedi. Non so più resistere.
«E allora tu»? gli chiedo imbestialito.
«Come mai di te non parli?
«Io»? scuote il capo. «Anch'io, naturalmente. Morto. Da parecchi anni.
Come resistere, in una città come questa? Cadavere anch'io. Solo mi è rimasto uno spiraglio.., per un puntiglio professionale forse... uno spiraglio da cui riesco ancora a vedere.
Ora si è fatta veramente notte. E la bella caligine industriale ha il colore del piombo. Attraverso i vetri, la casa di faccia si riesce a distinguere appena.