domenica 17 novembre 2019


MADRE NOTTE
Kurt Vonnegut


 Questo è l'unico dei miei racconti di cui conosca la morale. Non è una morale meravigliosa, non credo; si dà soltanto il caso ch'io sappia di quale morale si tratti: noi siamo quel che facciamo finta di essere, sicché dobbiamo stare molto attenti a quel che facciamo finta di essere.
La mia esperienza personale con i traffici e gli imbrogli dei nazisti è stata molto limitata. A Indianapolis, la mia città natale, c'era,negli anni trenta, qualche spregevole e chiassoso fascista d'origine americana; mi ricordo che qualcuno mi passò sottobanco una copia di The Protocols of the Elders of Zion[1]che avrebbe dovuto essere il piano segreto degli ebrei per la conquista del mondo. E mi ricordo di aver riso alle spalle di una mia zia che per sposare un tedesco della Germania dovette scrivere a Indianapolis per ottenere testimonianza che nelle sue vene non scorreva sangue ebraico. Il sindaco di Indianapolis la conosceva fin dai tempi del liceo e della scuola di ballo e si divertì a riempire di nastri e di sigilli ufficiali i documenti richiesti dai tedeschi, tanto che finirono per sembrare dei trattati di pace del diciottesimo secolo.
Dopo un po' venne la guerra e io mi ci trovai dentro; fui preso prigioniero ed ebbi modo di vedere un po' di Germania, dall'interno; intanto la guerra continuava. Ero soldato semplice, esploratore di battaglione,e secondo la convenzione di Ginevra dovevo lavorare per il mantenimento, il che fu un bene, non un male. Non dovetti starmene sempre chiuso in qualche prigione isolata in mezzo alla campagna. Potei andare in una città, Dresda, e vedere la gente e quel che faceva.
Nella mia squadra di lavoro eravamo circa un centinaio di persone; fummo destinati a una fabbrica che produceva uno sciroppo di malto arricchito di vitamine, per donne incinte. Sapeva di miele diluito mischiato al fumo del noce americano. Era buono. Vorrei averne un po' adesso. La città era graziosa, tutta ricamata, come Parigi, e la guerra non l'aveva neppures fiorata. Si trattava probabilmente di una città "aperta", che non poteva essere attaccata, visto che non ospitava né centri di raccolta delle truppe, né industrie militari.
Tuttavia la notte del 13 febbraio 1945, circa ventunanni fa, potenti esplosivi furono sganciati su Dresda da apparecchi inglesi e americani. Non c'erano obiettivi particolari per le bombe. La speranza era di appiccare il fuoco un po' dappertutto e di costringere i pompieri a starsene rintanati sottoterra.
Poi sui fuochi avviati furono rovesciate centinaia dimigliaia di piccole bombe incendiarie, come semi su di una zolla appena rivoltata. Altre bombe furono sganciate per trattenere i pompieri nelle loro tane, e i fuochi poterono ingrandirsi e unirsi l'uno all'altro, e diventare una sola apocalittica fiammata. E in un attimo: tempesta di fuoco. Tra parentesi, fu il più colossale massacro di tutta la storia d'Europa. Ah sì, e allora?
Noi non riuscimmo a vedere il fuoco. Eravamo in un fresco deposito di carne, sotto il mattatoio, insieme con i nostri sei custodie file e file di mucche, maiali, cavalli, pecore, macellati e squartati. Sentivamo le bombe che saltavano qua e là sopra di noi. Di tanto in tanto cadeva una lieve pioggerella di calcina. Se fossimo saliti a dare un'occhiata, ci saremmo trasformati in altrettanti oggetti caratteristici degli incendi; pezzi accartocciati di legna da ardere lunghi settanta, ottanta centimetri... esseri umani assurdamente piccoli, o, se preferite, colossali cavallettearrostite.
La fabbrica di sciroppo di malto era sparita. Tutto era sparito, tranne le cantine dove centotrentacinquemila Hansel e Gretel erano stati cotti al forno come altrettanti omini di pan di zenzero. Sicché fummo messi a lavorare come minatori di cadaveri; sfondavamo i rifugi e ne tiravamo fuori i corpi. Ebbi occasione di vedere tedeschi di tutte le età, così come la morte li aveva trovati, di solito con in grembo gli oggetti preziosi. A volte i parenti venivano a vederci scavare. Anche loro erano interessanti.
Questo per ciò che riguarda i miei rapporti con i nazisti.
Suppongo che se fossi nato in Germania, sarei stato nazista, e avrei massacrato ebrei, zingari e polacchi, lasciando sporgere i loro stivali dai cumuli di neve, riscaldandomi all'idea della mia segreta virtù. Così è la vita.
C’è un'altra morale, evidente, in fondo a questo racconto, ora che ci penso: quando sei morto, sei morto.
E ancora un'altra me ne viene in mente adesso: fai all'amore quando puoi. Ti fa bene.
Iowa City, 1966


Nel preparare l'edizione americana delle confessionidi Howard W. Campbell, jr., mi sono accorto di maneggiare scritti che non sonointesi soltanto a informare, o a ingannare, a seconda dei casi. Campbell erauno scrittore, oltre che una persona accusata di crimini estremamente gravi,un ex commediografo che godeva di una certa stima. Dire che era uno scrittoreequivale a sostenere che le esigenze della sua arte sarebbero bastate, da sole,a fare di lui un bugiardo, cioè a farlo mentire senza vedere, in questapratica, alcunché di male. Dicendo poi che era un commediografo siamo sicuri didare al lettore un ammonimento anche più decisivo, perché nessuno può esserepiù impostore di un uomo che deformi la vita e i suoi sentimenti, le suepassioni, in qualcosa di così grottescamente artificioso come il teatro.
Detto questo sul mentire, affermerò che le bugieraccontate per ottenere effetti artistici - a teatro, per esempio, o nelleconfessioni di Campbell, forse - possono essere, a un livello più alto, la piùseducente forma di verità.
Non m'importa di dimostrare questo assunto. Il miocompito come curatore dell'opera esclude ogni spirito polemico. Devo soltantotrasmettere ad altri, e nel modo più soddisfacente, le confessioni di Campbell.
Di libertà, per quanto riguarda il testo, me ne sonoconcesse molto poche. Ho corretto alcune grafie e ho tolto qualche puntoesclamativo. I corsivi però sono tutti miei.
In parecchi casi ho mutato i nomi, per risparmiareimbarazzi, o cose anche peggiori, a persone innocenti che ancora vivono. Inomi Bernard B. O'Hare, Harold J. Sparrow, e dottor Abraham Epstein, peresempio, sono inventati, almeno per quanto riguarda questa storia. Sono ancheinventati il numero della piastrina di Sparrow e il nome che ho dato, neltesto, a una sezione dell'Associazione ex combattenti: a Brookline non c'ènessuna sezione dell'Associazione suddetta intitolata a Francis X. Donovan.
C’è un punto in cui, più che di quella di Howard Campbell,jr., si potrebbe dubitare della mia precisione. Questo punto è il capitoloventiduesimo, laddove Campbell cita tre sue poesie, scritte in tedesco. Questepoesie, trascritte da Campbell a memoria, sono così confuse e farcite di variantiche, più spesso che no, non si riesce a leggerle. Campbell era orgoglioso dipotersi considerare uno scrittore di lingua tedesca, mentre di esser bravo ininglese non gli importava gran che. Nel tentativo di giustificare questo suoorgoglio, continuò fino all'ultimo a rivedere le sue poesie, ma, a quantopare, non riuscì mai ad attingere una forma che lo soddisfacesse pienamente.
Cosicché, in questa edizione, per poter dare un'ideadi quel che dovevano essere le poesie in tedesco, ho dovuto affidare aqualcuno il delicato compito di restaurarle. La persona che ha eseguito questolavoro, che, per così dire, ha ricomposto dei vasi da dei semplici cocci, è lasignora Bowley, di Cotuit, Massachusetts, sensibile linguista e poetessa piùche rispettabile lei stessa.
Solo in due posti ho fatto dei tagli di qualcheconsistenza. Uno al capitolo trentanovesimo, perché così ha insistitol'avvocato del mio editore. Nella stesura originale di quel capitolo, Campbellpresenta una delle Guardie di ferro dei figli bianchi della costituzioneamericana[2] che urla a un G-man: "Io sono un americanomigliore di te! Mio padre ha
ideato la 'giornata del cittadino americano'". Itestimoni sono d'accordo nell'affermare che tale rivendicazione fueffettivamente fatta, ma sostengono che fosse senza alcun fondamento, campatain aria. L'avvocato è del parere che riprodurre la rivendicazione nel testosarebbe come calunniare quelle persone che effettivamente idearono la"giornata del cittadino americano".
Tra parentesi: stando alle testimonianze Campbell, nelriprodurre i discorsi altrui, tocca un vertice di fedeltà proprio in questocapitolo.
L'unico altro taglio che mi sono permesso riguarda ilcapitolo ventitreesimo che, nell'originale, era decisamente pornografico. Io,dico la verità, non mi sarei sentito affatto disonorato a pubblicareintegralmente il capitolo, ma è stato Campbell stesso, nel corso dellanarrazione, a formulare la richiesta che qualche curatore operasse questaevirazione.
Il titolo del libro è di Campbell. L'ha preso da undiscorso di Mefistofele nel Faustdi Goethe.

[...] io sono una parte della parte che inprincipio era tutto, una parte delle tenebre che generarono la luce,l'orgogliosa luce che ora contende alla madre notte l'antico rango e lo spazio.Eppure non le riesce perché essa, per quanto tenda e operi, resta imprigionataentro i corpi. Dai corpi emana essa e li fa belli ed ogni corpo ne intercettail passare. Così, lo spero, non durerà a lungo e se ne andrà, coi corpi, inrovina[3].
Anche la dedica del libro è di Campbell. In uncapitolo che in seguito eliminò, Campbell scriveva di questa dedica quel chesegue:
Prima di capire che tipo di libro sarebbevenuto fuori, scrissi la dedica Mata Hari. Che si prostituì per servire la causa dellospionaggio. Come me.
Adesso che il libro comincia a prender forma,vorrei dedicarlo a qualcuno di meno esotico, meno fantastico, più vicino anoi... Qualcuno che non fosse così scopertamente una creatura del film muto.
Preferireidedicarlo a qualcuno dall'aria più familiare, maschio o femmina, qualcuno notoa tutti come una persona che faceva del male dicendo tra sé: "Un'animabuona, la mia vera natura, un altro me stesso fabbricato in paradiso, ènascosto nelle mie viscere".
Mivengono in mente un mucchio di esempi, potrei snocciolarvene quanti ne volete,come nelle canzonette di Gilbert e Sullivan[4]. Ma unnome singolo a cui ragionevolmente dedicare questo libro non riesco atrovarlo... a parte il mio stesso nome. Concedetemi quindi che mi tributiquest'onore: Questo libro è ridedicato a Howard W. Campbell, jr., un uomo cheservì troppo scopertamente il male, e troppo segretamente il bene, il criminedel suo tempo.
 KurtVonnegut, jr.


[1] Letteralmente: Protocolli degli anziani di Sion. Raccolta di scritti apocrifi compilati da un gruppo di reazionari russi nel 1903 e messi in circolazione da propagandisti antisemiti come i verbali di certe riunioni tenute a Basilea nel 1897 in cui ebrei e massoni - si diceva - avevano formulato un piano per la distruzione della civiltà cristiana.
[2] Il nome di questa organizzazione è modellato, con evidente ironia, su quello di certe associazioni veramente esistenti tra cui la più famosa è quella delle Figlie della rivoluzione americana, di cui fa parte soltanto una stretta oligarchia femminile che può vantare ascendenti americani fin dai tempi della guerra d'indipendenza.
[3] Traduzione di Giovanni V. Amoretti, Feltrinelli, Milano 1965, p. 69.
[4] Due celebri autori di commedie musicali della seconda metà del diciannovesimo secolo.

 LE CONFESSIONI DI HOWARD W.CAMPBELL, JR
Esiste un uomo, dall'anima tanto ottenebrata che non abbia mai detto a se stesso "Questa è la mia terra, la terra natia!", il cui cuore non abbia mai palpitato al momento di volgere le sue orme verso la patria dopo aver errato per contrade straniere?
SIR WALTER SCOTT

Mi chiamo Howard W. Campbell, jr.
Ho fama di nazista, sono americano di nascita e apolideper inclinazione naturale. L'anno in cui scrivo è il 1961.
Voglio dedicare questo mio libro al signor Tuvia Friedmann,direttore dell'Istituto per la documentazione dei crimini di guerra, di Haifa,e a chiunque altro possa interessare.
Perché al signor Friedmann dovrebbe importargliqualcosa di questo libro?
Perché sull'uomo che lo sta scrivendo grava il sospettoche sia stato un criminale di guerra. Il signor Friedmann è uno specialista diquesti casi. E ha manifestato più che un desiderio, l'impaziente ardore diavere qualsiasi scritto con cui volessi prendermi la briga di arricchire il suoarchivio di barbarie naziste. La sua smania di averlo è tale che mi mette adisposizione una macchina per scrivere, un servizio gratuito di assistenzastenografica e la collaborazione di assistenti che rintracceranno qualunquecosa mi occorra per far sì che il racconto riesca completo e senza inesattezze.
Mi trovo al fresco.
Dietro le sbarre di una graziosa e nuovissima prigionedella vecchia Gerusalemme.
Sono in attesa di essere processato dalla Repubblicadi Israele per i miei crimini di guerra.
È curiosa la macchina per scrivere che mi ha dato ilsignor Friedmann... proprio adatta al mio caso. È chiaro che fu fabbricata inGermania durante la Seconda guerra mondiale. Come faccio a saperlo?Semplicissimo: ti fa trovare sotto i polpastrelli delle dita un tasto chenessuna macchina per scrivere ha mai avuto prima del terzo Reich, e che dopo dilui non si troverà più su nessun'altra macchina.
Imprime sulla carta una coppia di fulmini, il simbolodelle temutissime ss,la Schutzstaffel, l'ala piùfanatica del nazismo.
In Germania ho adoperato una macchina per scriverecome questa per tutta la durata della guerra. Tutte le volte che mi capitava diparlare della Schutzstaffel, il che facevo spesso e con entusiasmo, nonl'abbreviavo mai in ss, ma battevo sul tasto ben più terribile e magico dellacoppia di fulmini.
Storia antica.
Sono circondato dalla storia antica. Benché la cellain cui marcisco sia nuova, mi dicono che alcune delle pietre che la compongonofurono tagliate ai tempi di re Salomone.
E a volte, quando guardo fuori dalla finestra dellamia cella e vedo l'allegra e chiassosa gioventù di questa Repubblica d'Israeleappena nata, mi pare che anche i miei crimini di guerra siano antichi come levecchie pietre grigie di Salomone.
Quanto tempo è passato da quella Seconda guerra mondiale!Quanto tempo dai crimini che ho commesso!
Parrebbe quasi tutto dimenticato, persino dagliebrei... i giovani, voglio dire.
Uno degli ebrei che mi sorveglia non sa nulla diquella guerra. Non gliene importa. Si chiama Arnold Marx. Ha i capelli rossirossi. Ha solo diciott'anni, il che vuol dire che, quando Hitler morì, ne avevatre e che non era nemmeno venuto al mondo quando cominciò la mia carriera dicriminale di guerra.
Monta la guardia dalle sei di mattina fino amezzogiorno.
Arnold è nato in Israele. E non ne è mai uscito.
Sua madre e suo padre abbandonarono la Germania pocodopo il 1930. Suo nonno, mi ha detto Arnold, si guadagnò una croce di ferronella Prima guerra mondiale.
Arnold studia legge. Ma il suo hobby, e quello di suopadre, un armaiolo, è l'archeologia. Padre e figlio passano la maggior partedel tempo libero a scavare le rovine di Hazor. Ciò avviene sotto la direzionedi Ygael Yadin, che fu capo di stato maggiore dell'esercito israeliano durantela guerra contro gli stati arabi.
Hazor, mi ha detto Arnold, era una città canaanitadella Palestina settentrionale che esisteva già almeno millenovecento anniprima di Cristo. Circa millequattrocento anni prima di Cristo, mi ha dettoArnold, un esercito israelita si impadronì di Hazor, ammazzò tutti i quarantamilaabitanti e appiccò il fuoco alla città radendola al suolo.
"Salomone la ricostruì," aggiunse Arnold,"ma nel 732 a.C. Tiglatpileser III la incendiò di nuovo."
"Chi?" chiesi io.
"Tiglatpileser III," rispose Arnold."L'assiro," puntualizzò dando un colpetto d'intesa alla mia memoria.
"Ah," dissi io. "Quel Tiglatpileserlì."
"Sembrerebbe quasi che non l'abbia mai sentitonominare," disse Arnold.
"Infatti," dissi. E mi strinsi umilmentenelle spalle. "Immagino che sia piuttosto grave."
"Be'..." disse Arnold, aggrottando lesopracciglia come un maestro di scuola, "direi proprio che si tratta diqualcuno che tutti dovrebbero conoscere. Con ogni probabilità è l'uomo piùimportante che gli Assiri abbiano mai prodotto."
"Ah," dissi.
"Le porterò un libro su di lui, se leinteressa," disse lui.
"Molto gentile da parte sua," risposi."Forse, più avanti, avrò tempo di pensare agli Assiri importanti. Adessoho già la mente piena di tedeschi importanti."
"Chi, per esempio?" chiese lui.
"Be', di questi tempi ho pensato molto al miovecchio capo, Paul Joseph Goebbels."
Arnold mi guardò senza espressione. "Chi?"
Mi sembrò che la polvere della Terra Santa, penetrandoda ogni fessura, avanzasse per seppellirmi, e sentii quanto sarebbe statapesante la coperta di polvere e macerie che un giorno mi sarei trovato addosso.Era come se sopra di me ci fossero dieci o dodici metri di città distrutte; esotto, qualche mucchio d'ossa e di ciottoli, un tempio o due... e poi...
Tiglatpileser III.

La guardia che dà il cambio ad Arnold Marx a mezzogiornoha pressappoco la mia stessa età, cioè quarantotto anni. Lui la guerra se laricorda, eccome, anche se non gli piace ripensarci.
Si chiama Andor Gutman. Andor è un ebreo estone, sempremezzo addormentato e non molto intelligente. È stato due anni al campo disterminio di Auschwitz. Stando a quel che dice, ma ne parla sempre controvoglia, c’è mancato un pelo che nonfinisse dentro il fumaiolo di un crematorio: "M'avevano appena assegnatoal Sonderkommando," mi ha detto, "quando arrivò l'ordine di Himmlerdi chiudere i forni".
Sonderkommando vuol dire battaglione speciale. AdAuschwitz poi era speciale davvero... era composto di prigionieri il cuicompito era quello di guidare i condannati alle camere a gas, e poi di estrarnei cadaveri. Quando il lavoro era terminato, i componenti del Sonderkommando venivanouccisi a loro volta. Il primo compito dei loro successori consisteva nellosbarazzarsi delle loro spoglie.
Gutman mi confidò che molti si offrivano spontaneamentedi far parte del Sonderkommando.
"Perché?" gli chiesi.
"Se ci scrivesse su un libro," disse,"e riuscisse a trovare la risposta a questa domanda, questo 'perché'...allora sì che potrebbe dire di aver scritto un gran libro."
"E lei la conosce la risposta?" dissi.
"No," disse. "Proprio per questopagherei non so che cosa per un libro che me la desse."
"Nessuna idea?"
"No," disse guardandomi dritto negli occhi,"benché sia anch'io uno di quelli che si offrirono volontari."
Si allontanò per un poco, dopo questa confessione. Epensò ad Auschwitz, la cosa cui meno gli piaceva pensare. Poi tornò e mi disse:"C'erano altoparlanti dappertutto e non tacevano mai a lungo.Trasmettevano sempre un sacco di musica. Quelli che se ne intendevano,dicevano che era quasi sempre molto buona... a volte la migliore".
"Interessante," dissi.
"Ma niente musica scritta da ebrei," disse."Quella era proibita."
"Naturalmente," dissi.
"E la musica si fermava sempre a metà,"disse, "e allora trasmettevano qualche comunicato. Tutto il giorno, musicae comunicati, musica e comunicati."
"Molto moderno," dissi.
Chiuse gli occhi, si sforzò di ricordare. "Unodei comunicati era come una cantilena, una filastrocca. Veniva trasmesso nonso quante volte al giorno. Era la chiamata del Sonderkommando."
"Ovverosia?" dissi io.
"Leichenträger zur Wache, "cantilenò, con gli occhi sempre chiusi.
Traduzione: "Portacadaveri al corpo diguardia". In un istituto il cui scopo era di sterminare milioni di esseriumani, doveva essere un richiamo piuttosto comune, ragionevolmenteaccettabile.
"Dopo due anni che uno sentiva lo stessocomunicato trasmesso tra due brani di musica," mi disse Gutman, "fareil portacadaveri sembrò tutto a un tratto un lavoro magnifico."
"Me lo immagino," dissi.
"Davvero?" disse. Scosse la testa. "Ionon ci riesco," disse. "Me ne vergognerò sempre. Offrirmi volontarioper il Sonderkommando... c'è veramente da vergognarsene."
"Non credo," dissi.
"Io invece credo di sì," disse. "Vergognoso,"disse. "Non voglio riparlarne mai più."




Arpad Kovacs è la guardia che ogni sera alle sei dà ilcambio ad Andor Gutman. Arpad è una specie di candela romana, un tipo chiassosoe allegro.
Ieri sera quando montò di guardia mi chiese che gli facessivedere quel che avevo scritto. Gli passai le poche pagine che avevo e Arpadcominciò a camminare su e giù per il corridoio, agitando i fogli e facendostravaganti elogi al loro contenuto.
Non li aveva neanche letti. Li lodava per quel cheimmaginava contenessero.
"Dagli addosso a quei bastardi sempre disposti asottomettersi," mi disse ieri sera. "Cantagliele a quelle mattonellepresuntuose!"
Per mattonelle lui intende tutti quelli che non hannofatto nulla per salvare la propria o l'altrui pelle quando i nazistis'impadronirono del potere, quelli che accettarono senza ribellarsi di andarea finire nelle camere a gas, visto e considerato che quello era il posto dove inazisti volevano che andassero. Una mattonella, naturalmente, è un bloccorettangolare di polvere di carbone compressa, il non plus ultra dellacomodità, quando si presenta il problema del trasporto, dell'immagazzinaggio edella stessa combustione.
Arpad, dovendo risolvere la sua situazione di ebreo nell'Ungheriaoccupata dai nazisti, non diventò una mattonella. Al contrario, si procurò deifalsi documenti e si arruolò nelle ss ungheresi.
Questo fatto spiega in qualche modo la simpatia cheprova per me. "Vedi un po' che cosa non è capace di fare un uomo, persalvare la pelle! Cosa c'è di tanto nobile nel fare la mattonella?" mi hadetto ieri sera.
"Hai mai sentito qualcuna delle mietrasmissioni?" gli ho chiesto. Il mezzo di cui mi sono servito per i mieicrimini di guerra sono state le trasmissioni radiofoniche. Ero uno che facevapropaganda alla radio, un astuto e odioso antisemita.
"No," ha risposto.
Allora gli ho fatto vedere il testo di unatrasmissione, testo fornitomi dall'Istituto di Haifa. "Leggilo," gliho detto.
"Non ce n’èbisogno," ha risposto. "A quei tempi non si faceva che ripetere tuttiquanti le stesse cose, migliaia e migliaia di volte."
"Leggilo lo stesso... per favore," gli hodetto.
Allora lo lesse, e la sua faccia diventava sempre piùaspra, man mano che procedeva. Me lo restituì. "Mi hai deluso,"disse.
"Oh?" dissi.
"È così debole!" disse. "Non ha nerbo,non ha pepe, è sciapo! Credevo che fossi un maestro dell'invettivarazzista!" "Non lo sono?"
"Se qualcuno del mio plotone di ss avesse parlato degli ebrei in termini così cordiali,avrei dovuto fucilarlo per tradimento! Goebbels avrebbe dovuto licenziarti eassumere me come sferza radiofonica contro gli ebrei. Io avrei riempito divesciche la pelle del mondo!"
"Tu hai fatto la tua parte con quel tuo plotonedi ss,"dissi.
Ricordando i giorni in cui era stato una ss, Arpad diventò raggiante. "Io sì che ero unariano!" disse.
"Nessuno ha mai avuto dei sospetti?" chiesi.
"Come avrebbero potuto?" disse. "Ero unariano così puro e terribile che mi hanno messo addirittura in un distaccamentospeciale. Dovevamo scoprire come facevano gli ebrei a sapere sempre inanticipo quel che avrebbero fatto le ss. C'era una falla da qualche parte. E noi dovevamotamponarla." Sembrava che il ricordo lo amareggiasse, lo offendesseaddirittura, quasi che fosse stato lui stesso quella falla.
"E il distaccamento riuscì a compiere la propriamissione?" dissi.
"Sono felice di poter affermare," disseArpad, "che quattordici ss furono fucilate dietro nostro suggerimento.Adolf Eichmann in persona venne a congratularsi con noi."
"Allora tu l'hai incontrato?" dissi.
"Sì..." disseArpad, "e mi dispiace che a quell'epoca non sapevo quanto fosseimportante." "Perché?"

"L'avrei ucciso," disse Arpad.



Anche Bernard Mengel, un ebreo polacco che monta laguardia da mezzanotte alle sei di mattina, è un uomo della mia età. Una volta,durante la Seconda guerra mondiale, riuscì a salvare la pelle fingendo cosìbene di essere morto che un soldato tedesco gli strappò tre denti senza neppursospettare che Mengel non fosse un cadavere.
Il soldato voleva le sue tre capsule d'oro.
Le ebbe.
Mengel mi dice che soffio e mi agito e parlo tutta lanotte.
"Lei, che io sappia, è l'unica persona," miha detto Mengel stamattina, "a cui morda la coscienza per quel che ha fattodurante la guerra. Tutti gli altri, non importa da che parte stessero, enemmeno quel che hanno fatto, sono convinti che chiunque al posto loro nonavrebbe agito diversamente."
"Cosa le fa pensare che io abbia la coscienzasporca?" ho detto.
"Il modo come dorme... il modo come sogna,"ha detto. "Nemmeno Höss dormiva così. Anzi lui ha continuato a dormirecome un santo fino alla fine."
Mengel si riferiva a Rudolf Franz Höss, il comandantedel campo di sterminio di Auschwitz. Affidati alle sue tenere cure, sono statiasfissiati milioni (alla lettera) di ebrei. Mengel sa qualcosa di Höss. Primadi emigrare in Israele nel 1947, Mengel dette una mano a impiccare Höss.
Lo fece senza tante cerimonie. Gli bastarono le suegrosse mani pesanti.
"Quando Höss fu impiccato," mi ha detto,"la cinghia che aveva intorno alle caviglie... sono stato io a metterglielae a stringerla."
"È rimasto molto soddisfatto?" ho detto.
"No," ha detto. "Anch'io, più o meno,ero come tutti gli altri scampati alla guerra."
"Che vuol dire?" ho chiesto.
"Che ero diventato insensibile a tutto," hadetto Mengel: "Il lavoro era lavoro e basta, e non ce n'era neanche unoche fosse meglio o peggio di qualche altro."
"Quando finimmo di impiccare Höss," haproseguito Mengel, "riposi gli abiti per andarmene a casa. La molla della valigia era rotta, e così la chiusi con una grossa cinghia di cuoio. In un'ora,due volte lo stesso lavoro... una volta su Höss e una volta sulla mia valigia.E tutte e due le volte provai su per giù la stessa emozione."


Colmata l'ultima misura…


Conoscevo anch'io Rudolf Höss, comandante di Auschwitz.
L'avevo incontrato a una festa dell'ultimo dell'anno a Varsavia, durante la
guerra... all'inizio del 1944.
Höss aveva sentito dire che ero uno scrittore e, alla
festa, mi prese da parte per dirmi che anche a lui sarebbe piaciuto saper
scrivere.
"Quanto invidio quelli che sanno creare..."
mi disse. "La facoltà di creare è un dono degli dei."
Höss mi disse che aveva da raccontare delle storie
meravigliose. Mi disse anche che erano tutte vere, ma così straordinarie che
la gente non ci avrebbe creduto.
Höss non poteva raccontarmele, finché non avessimo
vinto la guerra. Dopo la guerra, disse, avremmo potuto collaborare.
"A raccontare riesco," disse, "a
scrivere no." E mi guardò con gli occhi di chi cerca comprensione.
"Quando mi metto al tavolino per scrivere," disse, "mi
irrigidisco."
Come mai ero a Varsavia?
C'ero andato per ordine del mio capo, il Reichsleiter dottor
Paul Joseph Goebbels, ministro di Germania per la Cultura popolare e la
Propaganda. Avevo una discreta dose di ingegno come drammaturgo e il dottor
Goebbels voleva che la mettessi in pratica. Il dottor Goebbels voleva che scrivessi
una specie di sacra rappresentazione per onorare i soldati tedeschi che
avevano colmato la loro ultima misura di devozione - in altre parole, che erano
morti - nel reprimere l'insurrezione degli ebrei nel ghetto di Varsavia.
Il dottor Goebbels sognava di metterla in scena ogni
anno, dopo la guerra, e di utilizzare come scenario, invariabile, le rovine
stesse del ghetto.
"Dovranno esserci degli ebrei nella
rappresentazione?" gli chiesi.
"Certamente," disse. "A migliaia."
"Posso chiederle, signore," dissi io,
"dove pensa di trovare degli ebrei, dopo la guerra?"
Intuì lo spirito della mia battuta. "Domanda più
che giusta," disse ridacchiando. "La gireremo a Höss," disse.
"A chi?" dissi. Non ero ancora stato a
Varsavia, non avevo ancora incontrato Fratello Höss.
"Lui dirige una piccola casa di cura per ebrei,
in Polonia," disse Goebbels. "Dobbiamo chiedergli a tutti i costi di
salvarcene qualcuno."
Devo aggiungere anche questa orrenda rappresentazione
ai miei crimini di guerra? No, grazie a Dio. Non riuscii mai a spingermi oltre il titolo provvisorio: Colmata l'ultima misura.
Sono comunque disposto ad ammettere che l'avrei
probabilmente scritta, se solo avessi avuto abbastanza tempo, se cioè i miei
capi mi avessero sollecitato di più.
Oggi come oggi, sono disposto ad ammettere qualsiasi
cosa.
A proposito di questa rappresentazione: un risultato
ci fu, molto particolare. Goebbels e poi lo stesso Hitler si interessarono al discorso di Gettysburg di Abraham Lincoln[5].
Goebbels mi domandò dove avessi pescato il titolo, e io gli tradussi tutto il discorso di Gettysburg, che lo contiene.
Lo lesse, senza smettere un attimo di muovere le labbra.
"Sa una cosa," mi disse, "questo è un ottimo esempio di
propaganda. Non si è mai abbastanza moderni, mai così avanti sul passato, come
ci illudiamo di essere."
"Dalle mie parti è un discorso molto

famoso," dissi.

A proposito del mio purgatorio a New York: ci restaiper quindici anni.
Scomparvi dalla Germania alla fine della Seconda guerramondiale. E spuntai fuori, senza che nessuno mi riconoscesse, al GreenwichVillage. Affittai un deprimente appartamento all'ultimo piano pieno di topiche squittivano e girovagavano nei muri. Continuai ad abitare in quell'appartamentofino a un mese fa, quando mi portarono in Israele per processarmi.
Una cosa piacevole di quell'appartamento infestato daitopi: la finestra che dava sul retro dominava un piccolo parco privato, unpiccolo Eden formato da cortili congiunti. Quel parco, quell'Eden era completamenteisolato da un giro di case che lo proteggevano come una muraglia.
Era abbastanza grande perché i bambini ci giocassero anascondersi.
Da quel cortile si alzava spesso un grido, il grido diun bambino che mi costringeva a smettere quel che stavo facendo e adascoltare. Era il grido dolcemente triste che indicava la fine del gioco anascondersi; quelli che ancora se ne stavano acquattati potevano venir fuori,era tempo di andare a casa.
Il grido era questo: "Fuori tutti!".
E io che mi nascondevo a molte persone che forse volevanofarmi del male o uccidermi, sentivo spesso un gran desiderio che qualcunolanciasse quel grido per me, che ponesse fine al mio continuo giocare anascondermi con un dolce e triste...
"Fuori tutti!"

Io, Howard W. Campbell, jr, nacqui a Schenectady, nellostato di New York, il 16 febbraio 1912. Mio padre, che era figlio di un pastorebattista ed era cresciuto nel Tennessee, era ingegnere e lavorava nel Repartoassistenza tecnica della General Electric.
Il lavoro svolto dal Reparto assistenza tecnicaconsisteva nell'istallare, mantenere in ordine e riparare gli impianti perl'industria pesante venduti dalla General Electric in tutto il mondo. Miopadre, che da principio viaggiava solo negli Stati Uniti, non era quasi mai acasa. Il suo lavoro richiedeva un tale multiforme impiego di abilità tecnica,che non gli restava tempo né fantasia per nessun'altra attività. L'uomo era illavoro e il lavoro era l'uomo.
L'unico libro non tecnico che gli abbia mai visto perle mani è una storia illustrata della Prima guerra mondiale: un grosso volumecon delle fotografie alte un buon trenta centimetri e larghe anche mezzo metro.Sembrava che mio padre non si stancasse mai di guardare quel libro, benché in guerra lui non ci fosse stato.
Non mi confidò mai che significato avesse, per lui,quel libro, né io glielo chiesi. In proposito mi disse solo che non era unlibro per ragazzi e che non dovevo guardarlo.
Sicché, logicamente, lo guardavo tutte le volte che mitrovavo a casa da solo. C'erano fotografie di uomini infilzati sul filospinato, donne mutilate, corpi accatastati come assi di legno... Tutto ilsolito repertorio delle guerre mondiali.
Mia madre, da signorina, si chiamava Virginia Crockered era figlia di un fotografo ritrattista di Indianapolis. Donna di casa evioloncellista per diletto. Suonava il violoncello nella Schenectady SymphonyOrchestra e sognava che diventassi anch'io un violoncellista.
La mia carriera come violoncellista si risolse subitoin un disastro perché, come mio padre, non ho orecchio.
Non avevo né fratelli né sorelle, e mio padre a casalo si vedeva pochissimo. Così per parecchi anni fui quasi l'unico compagno dimia madre. Era una bella donna, piena di talento, ma d'istinti morbosi. Credoche fosse quasi sempre ubriaca. Mi ricordo che una volta sparse su un piattinoun miscuglio di alcol denaturato e sale da cucina. Mise il piattino sul tavolodella cucina, spense tutte le luci, e mi fece sedere davanti a lei, dall'altraparte del tavolo.
E poi intinse un fiammifero acceso nella mistura. Sisprigionò una fiamma d'un giallo quasi puro, una fiamma di sodio; attraverso diessa mia madre mi apparve come un cadavere e anch'io dovetti apparire a leicome tale.
"Ecco..." disse. "Questo sarà il nostroaspetto dopo morti."
Questo bizzarro esperimento spaventò non soltanto me,ma anche lei. Mia madre si spaventò della sua stessa bizzarria, e da quelmomento io cessai di essere suo compagno. Da quel momento in poi non mi rivolsequasi più la parola... mi escluse completamente, per paura, sono certo, di fareo di dire qualcosa di ancora più pazzo.
Tutto ciò accadde a Schenectady, prima che compissi idieci anni.
Nel 1923, avevo allora undici anni, la GeneralElectric trasferì mio padre a Berlino. Da allora in poi, la mia educazione, imiei amici, la mia lingua principale furono tedeschi.
Col passare del tempo divenni un drammaturgo di linguatedesca, e presi in moglie una tedesca, l'attrice Helga Noth. Helga Noth era lamaggiore delle due figlie di Werner Noth, capo della polizia di Berlino.
Mio padre e mia madre lasciarono la Germania nel 1939,quando scoppiò la guerra.
Mia moglie e io restammo.
Fino alla fine della guerra nel 1945 mi guadagnai davivere come scrittore e facendo trasmissioni in lingua inglese di propagandanazista. Ero l'esperto di problemi americani presso il ministero della Culturapopolare e della Propaganda.
Verso la fine delle ostilità, mi trovai tra i priminella lista dei criminali di guerra, grazie soprattutto al fatto che le mieoffese erano così oscenamente pubbliche.
Fui preso prigioniero vicino a Hersfeld da un certo tenenteBernard B. O'Hare della terza armata, il 12 aprile 1945. Stavo in sella a unamotocicletta e non ero armato. Benché autorizzato a vestire l'uniforme - me nespettava una blu e oro - in quel momento non ne indossavo alcuna. Ero inborghese: un abito di saia blu e un pastrano mangiato dalle tarme, con ilcollo di pelliccia.
Era successo che due giorni prima la terza armata avevaoccupato Ohrdruf, il primo campo di sterminio che capitò sotto gli occhi degliamericani. Io fui portato lì e costretto a guardarlo da cima a fondo... lefosse comuni, le forche, la pedana di flagellazione... e i mucchi di morti sbudellati,scabbiosi, deformi.
L'intenzione era quella di mostrarmi le conseguenze diquel che avevo fatto.
Le forche di Ohrdruf potevano impiccare anche seipersone alla volta. Quando le vidi io, a ognuno dei cappi era appeso ilcadavere di una guardia del campo.
Era logico pensare che anch'io vi sarei stato appesomolto presto.
E io, logicamente, lo pensavo, per cui cercai ditrovare attraente la pace delle sei guardie appese alle corde. Erano morti allasvelta.
Mi fecero una fotografia mentre contemplavo le forche.Il tenente O'Hare stava in piedi dietro di me, magro come un cucciolo di lupo epieno di odio come un serpente a sonagli.
La fotografia finì sulla copertina di "Life"e ci mancò poco che vincesse un premio Pulitzer.