giovedì 7 novembre 2019



LORD  JIM

Joseph Conrad

NOTA DELL'AUTORE

            Quando questo romanzo apparve per la prima volta in volume si formò l'opinione che mi fossi fatto prendere la mano dalla storia. Qualche recensore sostenne che l'opera, iniziata come racconto, era sfuggita al controllo dell'autore. Uno o due commentatori credettero addirittura di scorgere prove interne a sostegno di tale tesi, e ne parvero divertiti. Alcuni indicarono i limiti della forma di narrazione usata, affermando che nessuno avrebbe potuto parlare per tutto quel tempo, e che nessuno, d'altro canto, avrebbe avuto la forza di rimanere in ascolto per un periodo altrettanto lungo. Era, così dissero, poco credibile.
            Dopo averci riflettuto per circa sedici anni, credo di poter dire che queste osservazioni non erano giuste. Si sa di uomini che, sia ai tropici sia nella zona temperata, sono rimasti alzati tutta la notte a "farsi una chiacchierata". E questa è proprio una di siffatte chiacchierate, intervallata da interruzioni per dare un po' di respiro; quanto alla resistenza degli ascoltatori, si deve accettare come dato di fatto che la storia fosse interessante. È questo l'assunto di partenza. Se non l'avessi trovata interessante non avrei mai potuto cominciare a scriverla. Per ciò che riguarda la resistenza fisica del narratore, sappiamo tutti che alcuni discorsi in Parlamento hanno avuto una durata più vicina alle sei ore che alle tre, mentre tutta la parte del libro che copre il racconto di Marlow può essere letta ad alta voce, direi, in meno di tre ore. Inoltre - quantunque io abbia rigorosamente escluso dalla vicenda particolari così insignificanti - possiamo presumere che ci fossero rinfreschi nel corso della notte, o almeno qualche bicchiere di acqua minerale che consentisse al narratore di continuare.
            A dir la verità, devo ammettere che inizialmente avevo pensato a un racconto breve sul solo episodio della nave dei pellegrini e niente altro. E si trattava di un'idea valida. Tuttavia, dopo averne scritte alcune pagine, non ne fui soddisfatto per qualche motivo che adesso non ricordo, e per un po' di tempo le accantonai, togliendole dal cassetto solo dopo che il compianto William Blackwood mi chiese di mandargli qualcosa per la sua rivista.
            Fu solo allora che mi accorsi come quell'episodio fosse un buon punto di partenza per una narrazione libera e ricca di divagazioni, e come fosse, inoltre, un evento che poteva comprensibilmente gettare un'ombra sul "sentimento dell'esistenza" di un personaggio semplice e sensibile. Ma tutti questi umori e moti dello spirito erano alquanto oscuri allora, e non mi appaiono più chiari adesso, a distanza di tanti anni. I pochi fogli che avevo messo da parte ebbero non poca importanza nella scelta dell'argomento, ma tutto fu riscritto con grande attenzione. Accingendomi a questo compito sapevo che sarebbe stato un libro lungo, anche se non prevedevo che sarebbe stato distribuito in tredici numeri del Maga. A volte mi è stato chiesto se questo fosse il mio libro preferito. Detesto i favoritismi, sia nella vita pubblica, sia nella sfera privata, e persino nei delicati rapporti fra l'autore e le sue opere. Non voglio farne per principio, ma non arrivo al punto di rammaricarmi o dolermi per la preferenza che alcuni accordano al mio Lord Jim. Non dirò neppure che "mi riesce difficile capire...". No! Tuttavia una volta mi capitò di provare sorpresa e imbarazzo.
            Di ritorno dall'Italia, un amico mi disse di avere parlato con una signora cui il libro non era piaciuto. Naturalmente non ne fui contento, ma ciò che più mi colpì fu il motivo di tale insoddisfazione. «Vede», disse costei, «è tutto così morboso».
            Tale dichiarazione mi fornì lo spunto per un'ora di preoccupate riflessioni, e infine giunsi alla conclusione che, a parte la naturale estraneità del tema alla sensibilità femminile, quella signora non poteva essere italiana. E forse non era neppure europea. In ogni caso nessun latino avrebbe percepito alcunché di morboso nell'acuta coscienza dell'onore perduto. Questa può essere giusta o sbagliata; oppure si può condannarla come artificiosa; e forse il mio Jim è anche un tipo fuori del comune. Ma posso con certezza assicurare i miei lettori che il personaggio non è il prodotto di una fredda perversione intellettuale. E non è neppure una figura tipica del brumoso Nord. In un'assolata mattina, lungo una strada orientale, vidi passare la sua forma - piena di fascino - densa di significato - oppressa da una nube - in un silenzio perfetto. Era quello che doveva essere. Spettava a me, con tutta la simpatia di cui ero capace, cercare le parole adatte a descrivere ciò che lui rappresentava. Era "uno di noi".
            J.C.

1917

CAPITOLO 1.
            Aveva una statura appena al di sotto del metro e ottanta, era di corporatura possente, e avanzava diritto verso di voi con le spalle leggermente curve, la testa protesa in avanti e uno sguardo fisso di sottecchi, che faceva pensare a quello di un toro che si prepara a caricare. Aveva una voce profonda e forte, e il suo comportamento palesava, pur senza alcuna forma di aggressività, una sorta di ostinata riaffermazione del proprio buon diritto. Tutto ciò appariva come una necessità, ed era apparentemente diretto a se stesso non meno che a chiunque altro. Il suo aspetto era impeccabile: vestito sempre di un bianco immacolato, dal cappello alle scarpe, era molto popolare nei vari porti d'Oriente in cui si guadagnava da vivere come procacciatore d'affari per conto di ditte di forniture navali.
            Per diventare procacciatori di forniture navali non occorre sostenere esami d'ogni sorta al mondo, ma si deve possedere l'Abilità in astratto e dimostrarla nel concreto. Tale attività consisteva nell'arrivare, con una barca a vela, a vapore o a remi, al fianco di tutte le navi sul punto di gettare l'ancora prima degli altri procacciatori, nel salutare il capitano con cordialità, nel ficcargli in mano un cartoncino - il biglietto da visita della ditta di forniture navali - e infine, la prima volta in cui scende a terra, nel pilotarlo con sicurezza ma senza ostentazione fino a un vasto emporio simile a una caverna, pieno delle cose che si mangiano e bevono a bordo di una nave; dove si può trovare tutto ciò che serve per renderla bella e atta alla navigazione, dai diversi tipi di ganci per la catena dell'ancora al campionario di lamine d'oro per gli intagli incisi a poppa; e dove il comandante è ricevuto come un fratello da un fornitore marittimo che non ha mai visto prima. C'è un salottino fresco, ci sono poltrone, bottiglie, sigari, l'occorrente per scrivere, una copia del regolamento portuale e un'accoglienza così calorosa da togliere dal cuore di un marinaio tutta la salsedine accumulatasi in tre mesi di navigazione. I rapporti così stabiliti vengono mantenuti, finché la nave rimane in porto, attraverso le visite quotidiane del procacciatore. Verso il capitano egli ha la fedeltà dell'amico e le attenzioni del figlio, oltre alla pazienza di Giobbe, alla devozione disinteressata della donna e alla giovialità del buon compagno. Più tardi arriverà il conto. È un mestiere bellissimo e umano. Ed è per questo che i buoni procacciatori d'affari scarseggiano. Quando uno di loro, oltre a possedere in astratto l'Abilità richiesta per esercitare questo mestiere, ha anche il vantaggio di aver prestato servizio sulle navi, il suo padrone è disposto a pagarlo bene e a trattarlo con deferenza. Jim ebbe sempre buone paghe e principali pronti ad assecondarne gli estri e i capricci. Ciò nonostante, dando prova di profonda ingratitudine, spesso piantava il lavoro e partiva. Ai suoi padroni, i motivi che adduceva parevano naturalmente inadeguati. «Maledetto stupido!», gli ringhiavano dietro non appena aveva girato le spalle. Questa era la loro reazione alla sua squisita sensibilità.
            Per i bianchi che lavoravano nei porti e per i capitani delle navi lui era solo Jim - null'altro. Naturalmente aveva anche un cognome, ma faceva di tutto per evitare che fosse pronunciato. Questa corazza di riserbo, che in realtà presentava larghe crepe, non aveva lo scopo di proteggere una personalità, ma di nascondere un fatto. E quando questo filtrava egli lasciava improvvisamente il porto nel quale si trovava e andava in un altro - di solito più ad est del precedente. Rimaneva nei porti perché era un marinaio che aveva abbandonato la navigazione e perché possedeva l'Abilità in astratto, che avrebbe potuto sfruttare solo per il mestiere di procacciatore d'affari per conto di ditte di forniture navali. Si ritirava in buon ordine sempre più verso levante, e il fatto lo seguiva, casualmente ma inevitabilmente. E così, nel corso degli anni, lo conobbero successivamente a Bombay, a Calcutta, a Rangoon, a Penang, a Batavia - e in ognuna di queste località era solo Jim, il procacciatore di forniture navali. In seguito, quando la sua acuta percezione dell'intollerabile lo allontanò per sempre dai porti e dai bianchi spingendolo all'interno della foresta vergine, i malesi del villaggio in mezzo alla giungla in cui aveva deciso di celare il suo inconfessabile segreto aggiunsero una parola al monosillabo del suo incognito. Lo chiamarono Tuan Jim: come dire, ovvero, Lord Jim.
            Aveva trascorso i primi anni della sua vita in una parrocchia anglicana. Molti comandanti di importanti navi mercantili provengono da queste dimore della fede e della pietà religiosa. Il padre di Jim aveva quel tanto di conoscenza dell'Inconoscibile che bastava a promuovere la virtù nelle case dei contadini senza turbare la tranquillità spirituale di coloro cui la Provvidenza aveva concesso di vivere nelle ville signorili. La chiesetta sulla collina aveva il colore grigio e muschioso di una roccia vista attraverso una frastagliata cortina di foglie. Era lì da secoli, ma gli alberi che la circondavano ne ricordavano probabilmente la posa della prima pietra. Sotto, la facciata rossa del rettorato spiccava con la sua tinta vivace in mezzo a prati erbosi, aiuole e abeti, cui si aggiungevano un frutteto dietro la casa, un cortile lastricato alla sua sinistra e il vetro spiovente del tetto delle serre appoggiate a un muro di mattoni. Quel beneficio apparteneva alla famiglia da generazioni, ma Jim era uno dei cinque figli maschi, e quando, dopo alcune letture estive d'evasione, emerse con chiarezza la sua vocazione per il mare, fu subito mandato a una "nave-scuola per ufficiali della marina mercantile".
            Qui imparò un po' di trigonometria e come incrociare i pennoni dei velacci. Era generalmente benvoluto. Durante la navigazione occupava il posto di terzo ufficiale ed era il capovoga della prima lancia di bordo. La sua testa eretta e il suo splendido fisico spiccavano eleganti sull'alberatura. La sua posizione era sulla coffa di trinchetto, da cui spesso osservava, con la superiorità dell'uomo destinato a distinguersi nei pericoli, la pacifica moltitudine dei tetti tagliati in due dalla corrente scura del fiume, mentre, isolate ai margini della pianura circostante, le ciminiere delle fabbriche si levavano diritte contro un cielo grigio, esili come matite, che come vulcani eruttavano sbuffi di fumo. Vedeva le grosse navi che si allontanavano, i panciuti traghetti in continuo movimento, le imbarcazioni piccole che fluttuavano remote ai suoi piedi, con lo splendore velato del mare in lontananza e la speranza di una vita esaltante nel mondo dell'avventura.
            Sotto coperta, nella babele di centinaia di voci, si lasciava trasportare dalle fantasticherie e riviveva nella mente le imprese della letteratura d'evasione. Si vedeva impegnato a salvare persone da navi che affondavano, a segare alberi durante gli uragani, a nuotare sulla cresta di un'onda con l'aiuto di una sagola; oppure si immaginava camminare seminudo e scalzo, unico superstite di un naufragio, su scogli battuti dai venti alla ricerca di crostacei per sfamarsi. Affrontava selvaggi su spiagge tropicali, soffocava ammutinamenti in alto mare e sollevava gli spiriti di uomini in preda alla disperazione su piccole scialuppe sballottate nell'oceano - costante esempio di attaccamento al dovere, intrepido come un eroe da romanzo.
            «C'è qualcosa. Vieni».
            Balzò in piedi. I ragazzi salivano precipitosamente sulle scalette. Sopra coperta si potevano sentire grida e scalpiccio di piedi, e quando poté uscire dal boccaporto si arrestò di colpo, come folgorato.
            Era il crepuscolo di una giornata invernale. Il forte vento che aveva cominciato a soffiare a mezzogiorno si era raffreddato, fermando il traffico sul fiume, e ora infuriava con la violenza di un uragano a raffiche intermittenti che ululavano come salve di cannoni rimbombanti sulla distesa dell'oceano. La pioggia cadeva obliquamente con rovesci improvvisi che si scatenavano a ondate, e fra l'una e l'altra Jim scorse il minaccioso montare della marea, le piccole imbarcazioni ormeggiate alla rinfusa, gli immobili edifici che sbucavano fra le nuvole di nebbia, il beccheggio dei pesanti traghetti all'ancora, i larghi pontili che si sollevavano e si abbassavano avvolti dalla schiuma. Una nuova raffica parve spazzare via tutto. L'acqua battente riempiva l'aria. C'era una feroce determinazione nella burrasca, una decisione implacabile nello stridere del vento e nel brutale tumulto della terra e del cielo, che parevano diretti contro di lui e gli fecero trattenere il respiro per la paura. Rimase immobile. Gli sembrò di ruotare nelle spire di un vortice.
            Si sentì urtare da ogni parte. «Armate la lancia!». Alcuni ragazzi lo superarono di corsa. Mentre rientrava per ripararsi una nave cabotiera aveva urtato una goletta all'ancora, e l'incidente era stato notato da uno degli istruttori della nave-scuola. Una folla di ragazzi si affacciò alle murate, si raccolse attorno alle gru. «Collisione. Proprio davanti a noi. L'ha vista il signor Symons». Uno spintone lo mandò quasi a sbattere contro un albero di mezzana, ed egli si aggrappò ad una cima. La vecchia nave-scuola incatenata agli ormeggi vibrava tutta, piegando leggermente la prua nella direzione del vento e modulando, sulle corde del suo ridotto sartiame, in un basso e profondo ronzio, il canto ansimante della sua giovinezza in mare. «Calate in acqua!». Vide l'imbarcazione piena di uomini scendere rapidamente oltre la murata, e le corse dietro. Udì un tonfo. «Mollate i tiranti!». Si sporse. Lungo le fiancate il fiume ribolliva in due scie piene di schiuma. Nell'incombente oscurità si scorgeva la lancia stregata dal vento e dalla marea, che la tenevano legata, sballottandola davanti alla nave. Percepì debolmente il suono di una voce che urlava: «Continuate a remare, mocciosi, se volete salvare qualcuno! Continuate a remare!». E improvvisamente la prua si impennò, e balzando sopra un'onda a remi alzati, la lancia ruppe l'incantesimo del vento e della marea.
            Jim si senti afferrare una spalla. «Troppo tardi, giovanotto». Il capitano della nave frenò con una mano quel ragazzo che sembrava sul punto di saltare in acqua, e Jim alzò verso di lui uno sguardo dolorosamente consapevole della sconfitta. Il capitano gli sorrise comprensivo. «Andrà meglio un'altra volta. Così imparerai ad essere più sveglio».
            Urla di gioia salutarono il ritorno della lancia. Arrivò danzando mezzo piena d'acqua, con due uomini esausti, a bagno sulle tavole del fondo. Il turbinio e la minaccia del vento apparivano ora a Jim del tutto disprezzabili, ed egli sentiva crescere in sé il rammarico per aver provato timore di fronte a quel pericolo da quattro soldi. Ora sapeva cosa pensarne. Gli parve che quella tempesta fosse ben poca cosa. Lui avrebbe affrontato pericoli molto più grandi. L'avrebbe fatto, certo, e meglio di chiunque altro. Non sentiva più un briciolo di paura. Ciò nonostante, la sera stette a rimuginare in disparte, mentre il capovoga della lancia - un ragazzo con un viso di fanciulla e grandi occhi grigi - fu l'eroe di sottocoperta. Tutti si affollavano intorno a lui tempestandolo di domande. E lui raccontava: «Ho visto appena la testa che faceva su e giù nell'acqua e mi sono precipitato con l'alighiero. L'ho preso per i calzoni e sono quasi caduto in acqua, come credo che mi sarebbe successo, solo che il vecchio Symons ha lasciato andare il timone e mi ha afferrato le gambe - e la barca si è riempita quasi tutta. Il vecchio Symons è in gamba. Non me ne importa niente, se gli piace fare il duro con noi. Ha continuato a imprecare contro di me per tutto il tempo che mi ha tenuto le gambe, ma era solo il suo modo per dirmi di non mollare l'alighiero. Il vecchio Symons è un tipo che si scalda facilmente, non vi pare? No - non il biondino - l'altro, quello grosso con la barba. Quando l'abbiamo tirato su si lamentava: "Oh, la gamba! Oh, la gamba!", e strabuzzava gli occhi. Ve l'immaginate un tipo così grosso che sviene come una donna? Voi sverreste per un colpo di mezzomarinaio? - Io no. Gli è entrato nella gamba tanto così». Mostrò l'alighiero, che aveva portato sotto proprio a questo scopo, suscitando l'ammirazione generale. «No, stupido! Non era la carne a trattenerlo - era la stoffa dei calzoni. Un bel po' di sangue, naturalmente».
            Jim pensò che fosse una patetica esibizione di vanità. La tempesta aveva fornito l'occasione per un atto di eroismo tanto fasullo quanto il suo terrificante aspetto. Provava irritazione per quel brutale sommovimento degli elementi che lo aveva colto di sorpresa e aveva frustrato il suo animo generosamente proteso a imprese rischiose. In cambio, era quasi soddisfatto di non essere salito sulla lancia, perché non facendolo aveva imparato qualcosa. In tal modo aveva avuto un'esperienza migliore di quella dei ragazzi che avevano agito. Quando tutti avessero esitato, allora - ne aveva la certezza - lui solo avrebbe saputo come comportarsi davanti a quella falsa minaccia dei venti e dei mari. Sapeva cosa pensarne. Visti spassionatamente, si trattava di pericoli di poco conto. Dentro di sé non avvertiva alcuna traccia di emozione, e la conseguenza definitiva di un evento così straordinario fu che, inosservato e in disparte dalla turba rumorosa di quei ragazzi, esultò con rinnovata certezza nella sua sete di avventura e nel sentimento del suo multiforme coraggio.
           
           
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            Dopo due anni di addestramento ebbe il suo primo imbarco, ed entrando in regioni così familiari alla sua immaginazione scoprì che erano stranamente povere di avventure. Fece molti viaggi. Conobbe la magica monotonia dell'esistenza fra il cielo e l'oceano; dovette sopportare le critiche degli uomini, il rigore del mare e la prosaica durezza delle fatiche quotidiane che danno il pane - e il cui solo premio è la soddisfazione per il lavoro ben fatto. Questo premio gli mancò. E tuttavia non poteva tornare indietro, perché non c'è nulla che esalti, deluda e avvinca più della vita di mare. Inoltre, aveva davanti a sé buone prospettive. Era cortese, equilibrato, docile, e sapeva bene quali fossero i suoi compiti; con il passare del tempo diventò, ancora molto giovane, primo ufficiale di una bella nave, senza che neppure una volta fosse stato messo alla prova da quegli eventi del mare che mostrano in piena luce il vero valore di un uomo, lo spessore del suo carattere, la solidità della sua tempra; che rivelano la sua capacità di resistenza e la segreta verità oltre le apparenze, non solo agli altri ma anche a lui stesso.
            Solo una volta in tutto questo tempo ebbe una visione dell'estrema serietà della furia del mare. È una verità molto meno evidente di quanto la gente possa pensare. Ci sono molti gradi di rischio nelle tempeste e nelle avventure, e solo di tanto in tanto emerge, dalla superficie dei fatti, una sinistra intenzionalità di violenza - quel qualcosa di indefìnibile che si impone alla mente e al cuore dell'uomo e gli fa capire che questo concatenamento di incidenti, questa furia degli elementi, sono diretti deliberatamente contro di lui, con uno scopo maligno, con una virulenza incontrollabile, con una crudeltà senza limiti, che vuole strappargli la speranza e la paura, il dolore della fatica e la bramosia del riposo: e questo significa frantumare, distruggere, annientare tutto ciò che egli ha visto, conosciuto, amato, goduto o odiato; tutto ciò che non ha prezzo e che è necessario - la luce del sole, i ricordi, il futuro, - e questo significa spazzar via del tutto dai suoi occhi questo prezioso mondo, con il semplice e terribile atto di togliergli la vita.
            Colpito dalla caduta di un'antenna all'inizio di una settimana di cui in seguito il suo capitano scozzese soleva dire: «Accidenti! È un miracolo che la nave ce l'abbia fatta!», Jim passò diversi giorni supino, immobile, intontito, disperato e tormentato come se si trovasse sul fondo di un abisso di inquietudine. Di come sarebbe andata a finire non si preoccupava, e nei momenti di lucidità sopravvalutava questa indifferenza. Quando non lo si vede, il pericolo ha la vaga indeterminatezza del pensiero umano. La paura diventa una sensazione indistinta; e l'Immaginazione, la grande nemica dell'uomo e la madre di tutti i terrori, si perde, priva di stimoli, nel grigiore delle emozioni passate. Jim non vedeva altro che il disordine della sua ondeggiante cabina. Giaceva lì, ben rinchiuso in quella sua piccola devastazione, contento in cuor suo di non dover salire sul ponte. Tuttavia, di tanto in tanto, un incontrollabile trasalimento di angoscia lo scuoteva fisicamente, facendolo ansimare e dimenare fra le lenzuola, e allora l'ottusa brutalità di un'esistenza vulnerabile alle fitte di simili sensazioni lo riempiva di un desiderio disperato di fuggire ad ogni costo. Poi tornò il bel tempo, e a quell'episodio non pensò più.
            Tuttavia era rimasto zoppo, e quando la nave arrivò in un porto dell'Oriente dovette andare in ospedale. La sua ripresa fu lenta, e ripartirono senza di lui.
            C'erano solo altri due pazienti nella corsia dei bianchi: il commissario di bordo di una cannoniera, che si era rotto la gamba cadendo da un boccaporto; e una specie di appaltatore delle ferrovie di una provincia vicina, afflitto da una misteriosa malattia tropicale, che reputava il medico un somaro e si dava a orge segrete con una specialità farmaceutica che il suo domestico tamil gli portava clandestinamente con incrollabile devozione. Costoro si raccontavano la storia della loro vita e giocavano un po' a carte, oppure sonnecchiavano in pigiama, rimanendo sdraiati in poltrona per l'intera giornata senza dire una parola. L'ospedale si trovava su una collina, e una brezza leggera che entrava dalle finestre, sempre spalancate, portava nella nuda stanza la dolcezza del cielo, il languore della terra, l'ammaliante respiro delle acque orientali. Tutto questo recava con sé profumi, suggestioni di un riposo senza fine, il dono di sogni eterni. Ogni giorno Jim guardava, al di là dei cespugli dei giardini, dei tetti della città, delle cime delle palme che crescevano sulla spiaggia, verso quella rada che è la via principale per l'Est, - verso quella rada punteggiata da isolette inghirlandate, investita da una festosa luce solare, in cui le navi sembrano giocattoli e il fervore delle attività ricorda un corteo di festa, con la perpetua serenità del cielo orientale lassù sopra la testa, e la sorridente placidità delle acque orientali padrone dello spazio fino all'orizzonte.
            Non appena poté camminare senza bastone scese in città alla ricerca di un'opportunità per tornare in patria. In quel momento non c'era nulla, e nell'attesa frequentò naturalmente quelli del porto che esercitavano la sua stessa professione. Ce n'erano di due tipi. Alcuni, che erano una minoranza e si facevano vedere assai di rado, conducevano una vita misteriosa, avevano conservato un'energia intatta, una collera da bucaniere e occhi di sognatore. Sembravano vivere in un folle labirinto di progetti, speranze, pericoli, imprese, fuori dal mondo civile, nei recessi più remoti del mare; e la loro morte pareva essere il solo evento della loro straordinaria esistenza di cui si potesse avere una ragionevole certezza. La maggioranza era invece formata da uomini che, come lui, capitati lì per qualche incidente, vi erano rimasti come ufficiali di navi locali. Costoro inorridivano, adesso, alla prospettiva di imbarcarsi sulle navi inglesi, dove le condizioni erano peggiori, l'idea del dovere più dura e i viaggi esposti ai pericoli degli oceani tempestosi. Avevano trovato una sintonia con l'eterna pace del mare e del cielo dell'Oriente. Amavano i viaggi brevi, le comode sedie a sdraio, i grossi equipaggi indigeni e il prestigio che veniva dall'essere bianchi. Rabbrividivano al pensiero di dover lavorare molto, e conducevano una vita facile e precaria, sempre prossimi al licenziamento, sempre prossimi a un ingaggio, al servizio di cinesi, arabi, meticci - sarebbero entrati al servizio del diavolo stesso se avesse assicurato loro un lavoro poco pesante. Nei loro discorsi parlavano in continuazione di colpi di fortuna; come tizio avesse preso il comando di una nave sulle coste della Cina - una cosa semplice; come questo avesse avuto un posto facile in qualche punto del Giappone, e come quello stesse benissimo nella marina siamese; e in tutto ciò che dicevano - nelle loro azioni, nei loro sguardi, nelle loro persone - si poteva scorgere un'unica debolezza: il desiderio di trascorrere, gironzolando, un'esistenza sicura e tranquilla. A Jim quella massa di marinai pettegoli, dal punto di vista marinaresco, sembrò inizialmente più irreale di una folla di ombre. In seguito, però, scoprì che quegli uomini avevano un certo fascino, perché sembrava che riuscissero a guadagnare bene con una razione così modesta di fatica e di rischio. E, con il passare del tempo, accanto al disprezzo sorse in lui un altro sentimento; e rinunciando improvvisamente all'idea di tornare a casa assunse un incarico di primo ufficiale sul Patna.
            Il Patna era un bastimento a vapore locale vecchio come il mondo, sottile come un levriero e mangiato dalla ruggine più di una cisterna in disarmo. Il proprietario era un cinese, ma era stato noleggiato da un arabo, e aveva come comandante una specie di rinnegato tedesco del Nuovo Galles del Sud molto ansioso di condannare pubblicamente il suo paese nativo, ma che brutalizzava, evidentemente facendosi forte della vittoriosa politica di Bismarck, tutti coloro che non gli incutevano paura, e che univa a un'aria "ferro e sangue" un naso paonazzo e baffi rossi. Sulla nave, verniciata di fresco all'esterno e imbiancata all'interno, e ferma all'ancora lungo un pontile di legno con le caldaie già accese, furono caricati circa ottocento pellegrini.
            Sciamarono a bordo da tre passerelle con il fervore della fede e la speranza del paradiso, sciamarono a bordo con un calpestio incessante, con un fruscio dei piedi nudi, senza una parola, senza un mormorio, senza uno sguardo volto all'indietro; e quando ebbero oltrepassato le murate si sparsero in ogni parte del ponte, invasero la prua e la poppa, scesero a frotte dai boccaporti spalancati, riempirono i recessi più interni della nave, come acqua che riempie una cisterna, come acqua che scorre in ogni angolo e fessura, come acqua che sale silenziosa fino all'orlo. Ottocento uomini e donne pieni di fede e di speranze, di affetti e di ricordi, che erano affluiti lì dal nord e dal sud e dalle estreme località dell'Oriente dopo aver percorso i sentieri della giungla, dopo aver disceso i fiumi, costeggiato le secche sui praho, dopo essere passati su canoe da un'isola all'altra, dopo aver sofferto, dopo aver fatto strani incontri, assaliti da strane paure, spinti da un solo desiderio. Venivano da capanne solitarie in luoghi sperduti, da popolosi campong, da villaggi sul mare. Al richiamo di un'idea avevano lasciato le loro foreste, le loro radure, la protezione dei loro capi, la loro prosperità, la loro povertà, i luoghi della loro giovinezza e le tombe dei loro padri. Arrivavano coperti di polvere, di sudore, di sudicio e di stracci - uomini forti alla testa di gruppi familiari, vecchi macilenti che avanzavano stancamente senza speranza di ritorno, ragazzi che volgevano attorno curiosi occhi impavidi, fanciulle vergognose dai lunghi capelli arruffati, timide donne imbacuccate che stringevano al seno i bambini addormentati avvolti nei lembi degli scialli sudici, pellegrini ignari di un'impegnativa fede.
            «Gvarda qvesti, semprano pestie», disse il comandante tedesco al suo nuovo primo ufficiale.
            Il capogruppo della pia comitiva, un arabo, salì per ultimo. Camminava lentamente, bello e grave con la sua veste bianca e il suo grande turbante. Lo seguiva una fila di servi carichi del suo bagaglio; il Patna mollò gli ormeggi e si staccò dal molo.
            Passò in mezzo a due isolette, traversò in diagonale le acque dove erano ancorate le navi a vela, percorse un semicerchio all'ombra di una collina, quindi si avvicinò a un gruppo di scogli spumeggianti. L'arabo, in piedi a poppa, recitò ad alta voce la preghiera dei naviganti. Invocò il favore dell'Altissimo su quel viaggio, implorò la Sua benedizione sulle fatiche degli uomini e sui segreti disegni dei loro cuori; nel crepuscolo il piroscafo fendeva con il rombo delle caldaie la placida acqua dello Stretto; e dietro di esso, la luce ruotante di un faro, piantato da infedeli su una secca traditrice, sembrava ammiccare con il suo occhio fiammeggiante, come per deridere quella missione di fede.
            La nave si lasciò dietro lo Stretto, attraversò la baia e prosegui al di là del passaggio del "Primo Parallelo". Fece rotta direttamente per il Mar Rosso sotto un cielo bruciante e privo di nuvole, avvolto in uno splendore di luce così forte che soffocava ogni pensiero, opprimeva il cuore, inaridiva ogni impulso di forza e di energia. E sotto lo splendore sinistro di quel cielo, il mare, azzurro e profondo, appariva fermo, senza un movimento, senza un mormorio, senza un'increspatura - viscoso, stagnante, morto. Con un fruscio leggero il Patna passò su quella piana liscia e luminosa lasciando dietro di sé un nastro nero di fumo nell'aria e un nastro bianco di schiuma che spariva subito nell'acqua, come il fantasma di una scia tracciata da un piroscafo fantasma su di un mare senza vita.
            Come se volesse adeguare le sue rivoluzioni al procedere del pellegrinaggio, il sole sorgeva ogni mattina, con una silenziosa esplosione di luce, esattamente alla stessa distanza dalla poppa della nave, la raggiungeva a mezzogiorno per riversare il fuoco concentrato dei suoi raggi sui pii disegni di quegli uomini, la superava scivolando per iniziare la sua discesa e si immergeva misteriosamente nel mare una sera dopo l'altra, sempre alla stessa distanza dalla sua avanzante prua. I cinque bianchi di bordo vivevano a mezza nave, isolati dal carico umano. I tendoni coprivano il ponte con un tetto bianco da prua a poppa, e solo un debole ronzio, un sommesso mormorio di voci tristi rivelava la presenza di una massa di persone sull'oceano fiammeggiante. Così erano quelle giornate, immobili, calde e pesanti, e sparivano una ad una nel passato come cadendo in un abisso apertosi per sempre nella scia della nave; e la nave, solitaria sotto uno sbuffo di fumo, avanzava diritta con la sua sagoma nera e infuocata in una luminosa immensità, come incendiata da una fiamma scagliatale addosso da un cielo senza pietà.
            Le notti scendevano sulla nave come una benedizione.
           
           
CAPITOLO 3     (Torna all'indice)



            Il mondo era pervaso da una meravigliosa quiete e le stelle, insieme con la serenità dei loro raggi, parevano diffondere sulla terra la promessa di una sicurezza perpetua. La luna nuova splendeva bassa a occidente e assomigliava, con la sua falce, a un esile truciolo caduto da una tavola d'oro, mentre il Mare Arabico, liscio e fresco come una lastra di ghiaccio, stendeva la sua perfetta superficie fino al cerchio perfetto di un orizzonte buio. L'elica girava senza intoppi, come se il suo battito facesse parte del piano di un universo sicuro; a ciascuna fiancata del Patna due profondi solchi d'acqua, immutabili e scuri su quel riflesso uniforme, racchiudevano, all'interno delle due scie diritte e divergenti, qualche bianco mulinello di schiuma che si dissolveva in un sibilo leggero, qualche piccola onda, qualche increspatura, qualche ondulazione che, allontanandosi, agitava la superficie del mare per un istante dopo il passaggio della nave, si muoveva con un impercettibile sciabordio e si calmava infine nella quiete circolare dell'acqua e del cielo, al cui centro rimaneva sempre il punto nero dello scafo che avanzava.
            Sul ponte Jim era pervaso da quel messaggio immenso di sicurezza e di pace senza fine che si poteva leggere nell'aspetto silenzioso della natura come la certezza dell'amore e della protezione nella placida tenerezza del viso materno. Sotto i tendoni, abbandonati alla saggezza dei bianchi e al loro coraggio, fiduciosi della forza degli infedeli e della ferrea possanza delle loro navi da guerra, quei pellegrini di un'impegnativa fede dormivano su stuoie, su coperte, sulle nude tavole, su ogni ponte, in tutti gli angoli bui, avvolti in panni colorati, imbacuccati in sudici stracci, con la testa reclinata su piccoli fagotti, con la faccia appoggiata sugli avambracci piegati: gli uomini, le donne, i bambini; vecchi con giovani, decrepiti con vigorosi - tutti uguali davanti al sonno, fratello della morte.
            Una bava di vento, che soffiava da prua a causa della velocità della nave, spirava costantemente su quella lunga tenebra fra gli alti parapetti delle murate, passava sulle file dei corpi allineati; qualche debole fiammella ardeva in globi appesi qua e là alle traverse delle tende, e negli indistinti cerchi di luce che scendeva, oscillando leggermente per l'incessante vibrazione della nave, apparivano un mento girato verso l'alto, due palpebre chiuse, una mano bruna con anelli d'argento, un magro arto avvolto in una coperta stracciata, una testa volta all'indietro, un piede nudo, una gola scoperta e protesa come se si offrisse al coltello. I più benestanti avevano formato per sé e per le proprie famiglie dei ripari con pesanti casse e stuoie polverose; i poveri riposavano a fianco a fianco tenendo sotto la testa tutti i loro averi avvolti in uno straccio; i vecchi che non avevano nessuno dormivano con le gambe piegate sul tappeto da preghiera, con le mani sulle orecchie e i gomiti ai lati del viso; un padre, con le spalle alzate e la fronte appoggiata alle ginocchia, sonnecchiava tristemente accanto a un ragazzo che dormiva supino con i capelli arruffati e un braccio steso prepotentemente; una donna, coperta dalla testa ai piedi come un cadavere con un pezzo di lenzuolo bianco, teneva un bambino nudo nel cavo di ciascun braccio; i bagagli dell'arabo, accatastati proprio a poppa, formavano una pesante massa di linee irregolari, con una lampada da marina che dondolava su di loro, e dietro una grande confusione di vaghe forme: riflessi di panciuti boccali di ottone, l'appoggiapiedi di una sedia a sdraio, punte di lance, il fodero diritto di una vecchia spada appoggiata a un mucchio di guanciali, il beccuccio di una caffettiera di latta. Sul coronamento, il solcometro emetteva periodicamente un tintinnio ad ogni miglio percorso in quella missione di fede. Al di sopra della massa dei dormienti, a volte galleggiava un debole e paziente sospiro, segnale di un sogno inquieto; ma dalle profondità della nave uscivano all'improvviso brevi rumori metallici, l'aspro stridore di una pala, lo sbattere violento della porta di una fornace, che esplodevano brutali, come se gli uomini che maneggiavano quelle cose segrete lì sotto avessero il petto colmo di collera rabbiosa: mentre l'alto e snello scafo continuava regolarmente ad avanzare, senza un'inclinazione dei suoi alberi spogli, continuando a fendere la grande calma delle acque sotto l'inaccessibile serenità del cielo.
            Jim camminava al traverso e in quel vasto silenzio sentiva fortissimo il suono dei suoi passi, come riverberato dalle stelle vigili: i suoi occhi che vagavano lungo la linea dell'orizzonte sembravano scrutare avidamente l'irraggiungibile e non vedere l'ombra dell'evento prossimo. La sola ombra sul mare era quella del fumo nero, che usciva denso dal fumaiolo in un immenso pennacchio, la cui estremità si dissolveva continuamente nell'aria. Due malesi, silenziosi e quasi immobili, erano impegnati ognuno ad un lato della ruota del timone, il cui bordo di ottone brillava irregolare nell'ovale di luce che usciva dalla chiesuola. Di tanto in tanto le dita nere di una mano apparivano nella parte illuminata mentre afferravano e lasciavano ritmicamente le caviglie della ruota; gli anelli della catena cigolavano pesantemente nelle scanalature del tamburo. Jim diede un'occhiata alla bussola, un'occhiata all'irraggiungibile orizzonte, si stiracchiò fino a quando le giunture non scricchiolarono alla lenta torsione del corpo, in un eccesso di benessere; e quasi reso audace dall'aspetto invincibile di quella pace, provò una profonda indifferenza per tutto ciò che potesse capitargli da allora sino alla fine dei suoi giorni. Ogni tanto guardava pigramente la carta nautica attaccata con quattro puntine da disegno su una bassa tavola a tre gambe dietro la cassa dell'agghiaccio. Quel foglio di carta che disegnava le profondità del mare presentava una superficie lucida ai raggi di una lampada ad occhio di bue appesa a un braccio, una superficie piatta e liscia come la baluginante distesa delle acque. Su di essa erano posate due parallele con un paio di compassi a punte fisse; la posizione della nave al mezzogiorno precedente era segnata con una piccola croce nera, e la riga diritta, tracciata con mano sicura fino a Perim, segnava la rotta della nave - la via delle anime verso i luoghi santi, la promessa della salvezza, la ricompensa della vita eterna - mentre la costa della Somalia era sfiorata dalla punta aguzza di una matita, rotonda e immobile come l'albero caduto di una nave che galleggia nell'acqua calma di un bacino riparato. «Come va diritta e tranquilla», pensò Jim con ammirazione, con una specie di gratitudine per questa suprema pace del mare e del cielo. In momenti come questi i suoi pensieri erano pieni di atti di valore: amava questi sogni e le vittorie nelle sue imprese immaginarie. Erano la cosa migliore della sua vita, la sua verità segreta, il suo mondo nascosto. Avevano la ricchezza della virilità, il fascino di una vaga realtà, gli marciavano davanti al passo degli eroi; la sua anima ne era rapita, era inebriata dal filtro divino di una fiducia illimitata in se stessa. Non c'era nulla che lui non potesse affrontare. Era così soddisfatto di quell'idea che sorrise, continuando meccanicamente a guardare davanti a sé; e quando gli capitò di volgere gli occhi indietro vide la striscia bianca della scia disegnata dalla chiglia della nave perfettamente diritta sul mare, proprio come la linea nera tracciata dalla matita sulla carta nautica.
            I secchi per la cenere andavano su e giù per i ventilatori della sala caldaie con grande fracasso, e questo sbatacchiare lo avvertì che si avvicinava la fine del suo turno. Sospirò per la soddisfazione, pur nel rammarico di dover abbandonare quella serenità che alimentava il fantasticare avventuroso dei suoi pensieri. Aveva anche un po' sonno e sentiva un piacevole languore attraversargli le membra, come se tutto il sangue gli si fosse trasformato in latte caldo. Il capitano era salito senza fare rumore, in pigiama e con la giacca da notte completamente aperta. Rosso in faccia, ancora semiaddormentato, con l'occhio sinistro in parte chiuso e il destro aperto in uno sguardo vitreo e istupidito, chinò la grossa testa sulla carta e si grattò un fianco con aria assonnata. C'era qualcosa di sconcio nella vista di quella carne nuda. Il suo petto scoperto luccicava molle e unto, come se dormendo avesse eliminato il grasso attraverso il sudore. Fece un'osservazione professionale con una voce aspra e spenta che assomigliava al grattare di una raspa sul bordo di un'asse di legno; la piega del suo doppio mento pendeva come una borsa issata proprio sotto la curva della mascella. Jim trasalì e rispose con grande deferenza, ma quella figura odiosa e flaccida, vista come per la prima volta in un lampo rivelatore, si fissò nella sua memoria per sempre come l'incarnazione di tutta la bassezza e l'abiezione che si annidano nel mondo che amiamo: nei nostri stessi cuori cui affidiamo la nostra salvezza, negli uomini che si trovano intorno a noi, nelle visioni che ci riempiono gli occhi, nei suoni che ci riempiono le orecchie e nell'aria che ci riempie i polmoni.
            Declinando lentamente, il sottile truciolo d'oro della luna si era perso nella buia superficie delle acque, e l'eternità oltre il cielo sembrava essersi avvicinata alla terra, ora che le stelle brillavano di luce più viva e la volta semitrasparente del cielo copriva di uno splendore più cupo il disco piatto e opaco del mare. La nave si muoveva così dolcemente che il suo avanzare non era percepibile ai sensi dell'uomo, come se fosse stata un affollato pianeta che correva negli spazi neri dell'etere al di là del brulicare dei soli, nelle calme e terribili solitudini che attendono il soffio di creazioni future. «Giù c'è un caldo insopportabile», disse una voce.
            Jim sorrise senza girarsi. La larga schiena del capitano rimase immobile: era abitudine di quel rinnegato ignorare volutamente l'esistenza altrui se non quando decideva di aggredire l'interlocutore con uno sguardo feroce che precedeva un torrente di violenti ingiurie sgorganti come da una fogna sovraccarica. Ora emise solo un secco grugnito; alla testa della scaletta delponte il secondo motorista proseguiva imperterrito i suoi lamenti, fregandosi le umide palme delle mani in uno straccio sudicio. I marinai se la passavano bene di sopra, ma gli venisse un accidente se capiva a che cosa fossero utili. I poveri motoristi dovevano comunque mandare avanti la nave, e avrebbero potuto far benissimo anche il resto; perdio, loro... «Piantala», ringhiò secco il tedesco. «Sì! Piantala - e quando c'è qualcosa che va storto correte da noi, vero?», continuò l'altro. Ormai era quasi cotto al punto giusto; ora sapeva che cosa l'aspettava se andava avanti con la sua vita di peccatore, perché in quei tre giorni aveva visto il posto dove vanno i cattivi quando muoiono - perdio, eccome se l'aveva visto - e come se non bastasse c'era da restare sordi per il rumore infernale che c'era lì sotto. Quel maledetto ammasso di rottami, marcio e carico di vapore, sferragliava e cigolava giù alle macchine come un verricello vecchio; anzi, ancora di più; e perché lui rischiasse la vita ogni giorno e ogni notte che Dio mandava fra quegli scarti da cantiere di demolizione, che girava a cinquantasette giri, era più di quanto lui potesse dire. Doveva essere un bell'imprudente, lui, perdio. Lui... «Dove hai trovato da bere?», gli chiese il tedesco con voce dura, rimanendo immobile alla luce della chiesuola, come la goffa effigie di un uomo ritagliata da un blocco di grasso. Jim continuava a sorridere all'orizzonte che arretrava; il suo cuore era traboccante di impulsi generosi, i pensieri compiaciuti della propria superiorità. «Da bere!», ripeté il motorista con un'aria di benevolo disprezzo; si aggrappava alla ringhiera con entrambe le mani, figura indistinta dalle gambe molli. «Non certo da lei, capitano. Lei è troppo avaro, perdio. Lei lascerebbe morire un povero ragazzo piuttosto che offrirgli una goccia di schnapps. È quella che voi tedeschi chiamate economia. Lesinate sugli spiccioli e poi sprecate i soldi». Divenne sentimentale. Il primo motorista gli aveva concesso un buon cicchetto verso le dieci - «solo uno, Dio mi scampi!» - era bravo, quel vecchio capo; ma quanto a tirar fuori quel vecchio imbroglione dalla sua cuccetta - non ci si riusciva neanche con gli argani. Neanche così. E comunque non questa sera. Dormiva tranquillo come un bambino, con una bottiglia di brandy di prima qualità sotto il guanciale. Dalla rauca gola del comandante del Patna uscì un brontolio sommesso, in cui svolazzava qua e là la parola schwein, come una piuma capricciosa mossa da un soffio di vento. Il capitano e il primo motorista erano vecchi amici da parecchi anni - al servizio dello stesso padrone, un cinese astuto e gioviale che portava occhialini con la montatura di corno e strisce di seta rossa intrecciate ai venerabili capelli grigi del codino. L'opinione della gente di mare nel porto di appartenenza del Patna era che nel campo dell'imbroglio più sfrontato quei due "insieme ne avevano combinate di tutti i colori". Esteriormente erano diversissimi: uno aveva uno sguardo ottuso, malevolo e un corpo grasso e flaccido; l'altro era magro, angoloso, e aveva una faccia lunga e ossuta come il muso di un vecchio cavallo, con guance infossate, tempie infossate e uno sguardo opaco e indifferente negli occhi infossati. Era rimasto in secca in qualche punto dell'Oriente - Canton, Shanghai, o forse Yokohama; neppure lui si curava ormai di ricordare il posto esatto o la causa del naufragio. Solo per compassione della sua giovane età era stato tranquillamente mandato fuori a calci dalla nave venti o più anni prima, e le cose gli sarebbero potute andare tanto peggio, che nel ricordo quell'episodio gli sembrava solo parzialmente una disgrazia. In seguito, grazie all'espansione della navigazione in quei mari e all'iniziale scarsità di uomini della sua professione, era riuscito a "rimettersi in piedi" in una maniera o nell'altra. E ci teneva a far sapere agli estranei, con la sua voce bassa e lamentosa, che "da quelle parti ci stava da una vita". Quando si muoveva sembrava uno scheletro ricoperto da vestiti enormi; la sua andatura era quella di un vagabondo e in questo modo girava nell'osteriggio della sala macchine, fumando senza gusto tabacco adulterato da un fornello d'ottone collegato a una canna di ciliegio lunga più di un metro, con la gravità idiota del pensatore che sta elaborando un sistema filosofico partendo da un vago briciolo di verità. Di solito era tutt'altro che generoso con la sua riserva privata di liquori, ma quella notte era venuto meno ai suoi principi, così che il suo secondo motorista, un ragazzo di Wapping semideficiente, grazie all'offerta inaspettata e alla forza del liquore, era diventato allegro, ciarliero e persino sfacciato. La furia del tedesco del Nuovo Galles del Sud era al massimo; sbuffava come una ciminiera e Jim, un po' divertito dalla scena, aspettava con impazienza il momento in cui sarebbe potuto scendere: gli ultimi dieci minuti del turno erano irritanti come un cannone di cui si attende lo scoppio; quegli uomini non appartenevano al mondo eroico dell'avventura, ma non erano cattivi. Persino il capitano... Davanti a quella massa di carne ansimante che emetteva muggiti gorgoglianti e un fangoso torrente di espressioni indecenti si sentiva rivoltare lo stomaco, ma era colto da un torpore troppo piacevole per detestare vivamente qualcuno. La qualità di costoro non importava; lui viveva con loro, spalla a spalla, ma essi non potevano toccarlo; respiravano la stessa aria, ma egli era diverso... Il capitano avrebbe aggredito il motorista?... La vita era semplice e lui era troppo sicuro di sé troppo sicuro di sé per... La linea di confine tra le sue meditazioni e un sonno furtivo era ormai più sottile del filo di una ragnatela.
            Cambiando argomento di punto in bianco, il secondo motorista stava ora parlando delle proprie finanze e del proprio coraggio.
            «Chi è ubriaco? Io? Proprio no, capitano! Questo non è giusto. Ormai dovrebbe sapere che, con la sua generosità nell'offrire da bere, il primo motorista non farebbe ubriacare neanche un passero, perdio. Io per il bere non ho mai avuto guai in vita mia; la roba che farà ubriacare me non l'hanno ancora fabbricata: potrei bere fuoco liquido, altro che il suo whisky! e avere la testa fredda come un pezzo di ghiaccio. Se pensassi di essere sbronzo salterei in mare - la farei finita, perdio. Sicuro! Senza pensarci! Ma io non voglio andarmene dal ponte. Dove pensa che vada a prendere una boccata d'aria in una notte come questa, eh? Sopra coperta in mezzo a quegli straccioni? Sarà difficile! E io non ho proprio paura di lei».
            Il tedesco alzò al cielo due grossi pugni e li agitò senza dire una parola.
            «Io non so che cosa sia la paura», continuò il motorista con l'entusiasmo che viene da una sincera convinzione. «Non mi spaventa fare tutto il lavoro peggiore su questa nave schifosa, perdio! E le va di lusso che ci siamo noi, che non abbiamo paura neanche del diavolo - è un bene per lei e per questa barcaccia, con i suoi piatti che sembrano cartone da imballaggio - cartone da imballaggio, povero me! A lei va bene - lei ci guadagna dei bei soldi, in un modo o nell'altro; ma io, io, che cosa ci ricavo? Centocinquanta pidocchiosi dollari al mese e va' con Dio! Le chiedo rispettosamente - rispettosamente, beninteso - chi non manderebbe al diavolo un posto dannato come questo? È pericoloso, accidenti se lo è! Ma io sono di quelli che non hanno paura neanche del diavolo...».
            Lasciò andare la ringhiera e fece ampi gesti nell'aria come per dimostrare forma e dimensioni del suo valore; lanciando verso il mare lunghi squittii con la sua voce sottile camminò ripetutamente avanti e indietro in punta di piedi, per dare più enfasi alle sue parole; quindi piombò di colpo a terra a testa in avanti come se lo avessero colpito da dietro con una clava. Nel cadere disse: «Maledizione!». Il suo grido fu seguito da un istante di silenzio: Jim e il capitano barcollarono in avanti nello stesso momento e, riprendendosi, si rizzarono a guardare con attenzione, sorpresi, la tranquilla superficie del mare. Poi alzarono gli occhi in alto, verso le stelle.
            Che cosa era avvenuto? Il battito ansimante delle macchine continuava. La terra aveva forse arrestato il suo corso? Non riuscivano a capire; e all'improvviso quel mare calmo, quel cielo senza una nube, apparvero straordinariamente minacciosi nella loro immobilità, come sospesi sull'orlo del precipizio di una catastrofe. Il motorista si rimise in piedi per crollare di nuovo come un mucchio d'ossa. E quel mucchio disse: «Che cosa c'è?», con la voce ovattata di chi è afflitto da un profondo dolore. Un debole rumore, come di un tuono, di un tuono a una grande distanza che non è quasi neanche un suono ed è poco più di una vibrazione, passò lentamente su di loro, e la nave tremò in risposta, come se quel brontolio provenisse dalle acque profonde. Gli occhi dei due malesi alla ruota sfavillarono verso i due bianchi, ma le loro mani scure rimasero ferme sulle caviglie del timone. Nel suo procedere, l'affilato scafo parve lievitare a poco a poco di qualche centimetro in tutta la sua lunghezza, come se fosse diventato malleabile, per poi ridiscendere, tornando alla precedente rigidità e continuando a fendere la superficie liscia del mare. Si arrestarono le vibrazioni, e il debole rumore di tuono cessò di colpo, come se la nave avesse oltrepassato una stretta striscia d'acqua vibrante e d'aria piena di mormorii.
           
           
CAPITOLO 4     (Torna all'indice)



            Circa un mese dopo, quando Jim, rispondendo a domande specifiche, cercò di riferire onestamente la verità della sua esperienza, egli disse, parlando della nave: «Passò sopra alla cosa, qualunque essa fosse, con la massima facilità, come un serpente che striscia su un bastone». Era un paragone felice: l'interrogatorio mirava all'accertamento dei fatti, e l'inchiesta ufficiale era condotta presso il tribunale di primo grado di un porto orientale. Era in piedi sulla pedana rialzata dei testimoni, con le guance in fiamme nonostante gli alti e freschi muri dell'aula: le grandi pale dei punkah oscillavano piano avanti e indietro sopra la sua testa, mentre da sotto lo fissavano molti occhi, occhi che appartenevano a visi scuri, a visi bianchi, a visi rossi, a visi attenti, affascinati, come se tutte quelle persone sedute in file ordinate su strette panche fossero state avvinte dall'incanto della sua voce. Era un tono molto alto, e risuonava in maniera allarmante anche alle sue orecchie, ed era l'unico rumore al mondo che si potesse udire, perché i quesiti terribilmente precisi che gli estorcevano quelle risposte sembravano prendergli forma nell'angoscia e nel dolore del petto - gli arrivavano addosso improvvisi e silenziosi come gli spietati interrogativi della coscienza. Fuori dal tribunale il sole era cocente - mentre all'interno c'era il vento dei grandi punkah, che faceva rabbrividire, la vergogna che faceva avvampare, gli occhi attenti che trafiggevano come lame. Il viso del presidente del tribunale, perfettamente rasato e impenetrabile, lo fissava pallidissimo in mezzo alle facce rosse dei due periti nautici. La luce di un'ampia finestra sotto il soffitto cadeva dall'alto sulla testa e sulle spalle dei tre uomini, che spiccavano nettamente nella penombra della grande aula, in cui il pubblico sembrava composto da ombre che guardavano. Volevano fatti. Fatti! Esigevano fatti da lui, come se i fatti potessero spiegare alcunché!
            «Avendo concluso che avevate urtato contro qualcosa che galleggiava appena sotto la superficie, per esempio un relitto pieno d'acqua, le fu ordinato dal capitano di andare a prua ad accertare se ci fossero danni. Lei pensava che fosse avvenuto proprio questo, a giudicare dalla violenza del colpo?», chiese il perito seduto a sinistra. Aveva un filo sottile di barba, zigomi sporgenti e, con i gomiti sul tavolo e intrecciate le mani vigorose davanti al viso, guardava Jim con i suoi pensosi occhi azzurri; l'altro, un uomo pesante e dall'aria sprezzante che si era appoggiato allo schienale della sedia con il braccio sinistro disteso in avanti, tambureggiava su una carta assorbente con la punta delle dita; al centro, il magistrato, con la schiena eretta sulla sua spaziosa sedia con braccioli e la testa leggermente inclinata da una parte, teneva le braccia conserte; in un vaso di vetro accanto alla boccetta dell'inchiostro vi erano dei fiori.
            «No», disse Jim. «Mi fu detto di non avvertire nessuno per evitare che ci fosse panico. Pensai che fosse una precauzione ragionevole. Presi una delle lampade appese sotto i tendoni e andai a prua. Aperto il boccaporto della paratia, sentii rumore d'acqua. Abbassai la lampada per tutta la lunghezza della cima e vidi che il vano della prua era già pieno d'acqua per metà. Allora capii che ci doveva essere una falla al di sotto della linea di galleggiamento». Fece una pausa.
            «Sì», disse il perito più grosso, sorridendo in modo vago alla carta assorbente; continuava a giocherellare con le dita, picchiettando la carta senza fare rumore.
            «In quel momento non pensai al pericolo. Forse rimasi un po' sorpreso: tutto avvenne in una maniera così tranquilla e inattesa. Sapevo che nella nave non c'era nessun'altra paratia, tranne quella che separava il vano di prua dalla stiva. Tornai ad avvertire il capitano. Incontrai il secondo motorista, che si stava rialzando ai piedi della scaletta del ponte. Sembrava scosso; mi disse che doveva essersi rotto il braccio sinistro; scendendo era scivolato dall'ultimo gradino in alto mentre io ero a prua. Esclamò: "Mio Dio! Quella paratia marcia cederà in un attimo, e questa dannata barca ci sprofonderà sotto i piedi come un pezzo di piombo". Mi spinse con il braccio destro e salì di corsa la scaletta prima di me, urlando mentre si arrampicava. Teneva il braccio sinistro ciondoloni. Lo seguii in tempo per vedere il capitano scagliarsi contro di lui e farlo cadere disteso sulla schiena. Poi gli si buttò addosso: smise di colpirlo e gli parlò con voce bassa ma irata. Immagino che gli chiedesse perché diavolo non andasse a fermare le macchine invece di stare a piagnucolare sul ponte. Sentii che gli diceva: "Alzati! Corri! Vola!". E bestemmiò anche. Il motorista scivolò giù per la scaletta di dritta, e superando l'osteriggio si precipitò alla cappa di boccaporto della sala macchine, che era a sinistra. Correva e si lamentava...».
            Parlava lentamente; ricordò tutto subito e con grande precisione; avrebbe potuto riprodurre alla perfezione il lamento del motorista a beneficio di quegli uomini che volevano fatti. Dopo un primo moto di ribellione era arrivato alla conclusione che solo una deposizione meticolosa avrebbe potuto rivelare il vero orrore che stava dietro alla faccia spaventosa delle cose. I fatti che quegli uomini erano così ansiosi di conoscere erano apparsi visibili, tangibili, evidenti ai sensi, occupavano un loro preciso posto nello spazio e nel tempo, che richiese, per concretizzarsi, una nave a vapore di millequattrocento tonnellate e ventisette minuti d'orologio; tutto ciò formava un complesso che aveva caratteristiche proprie, sfumature d'espressione, un aspetto complicato che poteva essere ricordato visivamente, e inoltre qualcosa d'altro, qualcosa di invisibile, uno spirito di perdizione che comandava e aleggiava in tutto ciò, come un'anima maligna in un corpo detestabile. Era ansioso di chiarire questo punto. Quella non era una faccenda ordinaria; in essa ogni cosa era della massima importanza, e fortunatamente lui ricordava tutto. Voleva continuare a parlare a beneficio della verità, forse anche a beneficio di se stesso; e pur facendolo con grande sicurezza, la sua mente volava ossessivamente a quel limitato cerchio di fatti che erano emersi all'improvviso tutt'intorno a lui per separarlo dal resto dei suoi simili: era come un animale che, trovatosi imprigionato in un recinto chiuso da un alto steccato, seguita a girare intorno disperatamente per tutta la notte per trovare un punto debole, una fessura, un appoggio su cui arrampicarsi, un varco in cui introdursi e dal quale scappare. Questo assillante lavorio del suo cervello lo faceva talvolta esitare nel parlare...
            «Il capitano continuava a muoversi qua e là sul ponte; sembrava abbastanza calmo, ma inciampò ripetutamente; e una volta, mentre gli stavo parlando, mi sbatté addosso come se fosse diventato completamente cieco. Non dava risposte precise a quanto gli dicevo. Borbottava fra sé; tutto quello che sentii fu qualche frase come "maledetto vapore!" e "infernale vapore!" - qualcosa sul vapore. Io pensavo...».
            Si stava addentrando in particolari insignificanti; una domanda specifica gli troncò la parola, come uno spasmo doloroso lo fece sentire stanco e scoraggiato. Ci stava arrivando, ci stava arrivando - e ora, interrotto, dovette rispondere con un sì o con un no. Disse la verità, con un secco «Sì»; il suo volto chiaro, l'aitante persona, gli occhi mesti e giovani, egli stava eretto al banco mentre nell'anima sentiva un atroce tormento. Fu costretto a rispondere a un'altra domanda altrettanto precisa e altrettanto inutile; quindi rimase di nuovo in attesa. Come se avesse mangiato della polvere, si sentì la bocca arida e vuota, e subito dopo salata e amara, come dopo un sorso di acqua di mare. Si asciugò la fronte sudata, si passò la lingua sulle labbra riarse, sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Il perito più robusto aveva abbassato le palpebre, e continuava a tamburellare con le dita senza far rumore, con tetra noncuranza; al di sopra delle mani bruciate dal sole e delle dita allacciate, gli occhi dell'altro sembravano ardere di simpatia; il magistrato si era chinato in avanti, avvicinando ai fiori la pallida faccia; quindi, piegandosi lateralmente sul bracciolo della sedia, appoggiò la tempia al palmo della mano. L'aria creata dai punkah mulinava sulle teste dei presenti, sugli indigeni dai visi scuri, avvolti in voluminosi drappeggi, sugli accaldati europei seduti uno vicino all'altro, con sahariane che sembravano incollate alla pelle e tondi cappelli di sughero appoggiati sulle ginocchia; e tutt'intorno, scivolando silenziosi lungo le pareti, i commessi del tribunale, rivestiti da lunghi abiti bianchi abbottonati fino al collo, con fascia rossa e turbante rosso sulla testa, si spostavano rapidi qua e là a piedi nudi, silenziosi come fantasmi e attenti come cani da caccia.
            Fra una risposta e l'altra, gli occhi di Jim si soffermarono su un bianco che sedeva staccato dagli altri, stanco e rabbuiato in viso, ma con occhi calmi che guardavano diritto davanti a loro e avevano un'espressione schietta e interessata. Jim rispose a un'altra domanda ed ebbe la tentazione di gridare: «Ma che c'entra questo? Che c'entra?». Batté leggermente il piede, si morse il labbro e alzò lo sguardo oltre le teste dei presenti. Incontrò gli occhi del bianco. Lo sguardo diretto verso di lui non aveva l'espressione stupita degli altri. Era un atto di volontà intelligente. Nell'intervallo fra due domande Jim si estraniò al punto di riuscire a trovare il tempo di formulare un pensiero. Quest'uomo - questo era il pensiero - mi guarda come se vedesse qualcuno o qualcosa alle mie spalle. Si era già imbattuto in lui - forse in strada. Era certo di non avergli mai parlato. Da giorni, da molti giorni, non parlava con nessuno, ma manteneva un silenzioso, incoerente e interminabile colloquio con se stesso, come un prigioniero solo nella sua cella o un viaggiatore sperduto nel deserto. Anche se in quel momento stava rispondendo a domande che non avevano alcun senso, pur essendo pertinenti, pensava che forse non avrebbe più parlato in vita sua. Il suono delle proprie veritiere dichiarazioni confermò la sua solida opinione che la parola non gli sarebbe più servita. L'uomo, laggiù, sembrava consapevole di questa sua disperata difficoltà. Jim lo guardò e quindi volse risolutamente gli occhi altrove, quasi come per un congedo definitivo.
            E più tardi, molte volte, in remote parti del mondo, Marlow si mostrò disposto a ricordare Jim, a ricordarlo diffusamente, in dettaglio e ad alta voce.
            Magari ciò accadeva dopo cena, in una veranda circondata da una cortina di fronde immobili e incoronata da fiori, nella cupa oscurità picchiettata dalle punte incandescenti dei sigari. Le allungate sagome delle sedie di bambù accoglievano ciascuna un ascoltatore silenzioso. Di quando in quando una fiammella rossa si muoveva improvvisamente, e ingrandendosi illuminava le dita di una languida mano e parte di un volto in profondo riposo, oppure gettava un bagliore cremisi su occhi pensosi, coperti dall'ombra di un frammento di una fronte serena; e alle primissime parole del racconto il corpo di Marlow, perfettamente a suo agio nella sedia, assumeva un'immobilità quasi assoluta, come se il suo spirito fosse volato indietro nel tempo e stesse parlando, attraverso le sue labbra, dal passato.
           
           
CAPITOLO 5     (Torna all'indice)



            «Oh, sì. Assistetti all'inchiesta», diceva, «e ancor oggi non ho smesso di chiedermi perché lo feci. Sono disposto ad ammettere che ognuno di noi ha un angelo custode, se voi mi concedete che ognuno di noi ha anche un demone familiare. Voglio che lo riconosciate perché non mi piace passare per una persona in qualche modo eccezionale, e io so di averlo - questo demone, voglio dire. Non l'ho mai visto, naturalmente, ma mi baso su prove circostanziali. Esso esiste, ed essendo maligno mi indusse a questo genere di cose. Che genere di cose, chiederete? Beh, la faccenda dell'inchiesta, la faccenda del cane giallo - a proposito, avreste mai pensato che un rognoso bastardino indigeno potesse intrufolarsi fra le gambe della gente nella veranda di un'aula di tribunale? - quel genere di cose che in modi indiretti, inattesi, veramente diabolici mi spinge a incontrare persone con punti deboli, persone con punti difficili, persone con segrete malattie dell'anima, per Giove! e scioglie loro la lingua, convincendole a farmi, quando mi vedono, le loro infernali confidenze; come se, ahimè, non avessi anch'io confidenze da fare a me stesso, come se non avessi anch'io - che Dio mi aiuti! - una tale quantità di informazioni riservate su di me da tormentarmi l'anima fino alla fine dei giorni che mi sono stati assegnati. Che cosa abbia fatto per avere questo privilegio, vorrei saperlo. Dichiaro di avere tante preoccupazioni quante ne ha il mio prossimo, e di avere tanti ricordi quanti mediamente ne ha ogni pellegrino di questa valle di lacrime; vedete quindi che non ho requisiti particolari per essere ricettacolo di confessioni. E allora, perché tutto ciò? Non saprei dire. Charley, amico caro, la tua cena era ottima, e per questo motivo tutti qui pensano che una tranquilla partita a carte sia un'occupazione fin troppo faticosa. Si rigirano nelle tue comode sedie e pensano fra sé: "Non agitiamoci. Facciamo parlare Marlow".
            «Parlare! E sia. È abbastanza facile parlare del signor Jim dopo un lauto pasto, a una settantina di metri sul livello del mare, con una scatola di buoni sigari a portata di mano, in una bella serata fresca, con un cielo pieno di stelle che farebbe dimenticare persino ai migliori di noi che siamo qui solo per soffrire e che dobbiamo trovare la strada fra luci incrociate, facendo attenzione a non perdere minuti preziosi e a non fare passi irrimediabili, fiduciosi di venirne fuori bene alla fine - ma non sicurissimi di riuscirci, dopo tutto - e con scarse probabilità di ricevere aiuto da quelli che ci stanno accanto. Naturalmente, qua e là ci sono uomini per i quali tutta la vita non è che un dopocena con un sigaro; comodo, piacevole, vuoto, magari allietato da qualche racconto drammatico da dimenticare prima di arrivare all'epilogo - prima di arrivare all'epilogo - ammesso che un epilogo ci sia.
            «Fu all'inchiesta che il mio sguardo incontrò il suo per la prima volta. Dovete sapere che a queste sedute erano presenti tutti coloro che, in un modo o nell'altro, avevano a che fare con il mare, perché la faccenda aveva avuto un'enorme risonanza per parecchi giorni, fin da quando era arrivato da Aden quel misterioso cablogramma che aveva creato grande scalpore. Dico misterioso, perché in un certo senso lo era, benché comunicasse un nudo fatto, più o meno nudo e brutto di qualunque altro fatto. Al porto non si parlava d'altro. La prima cosa che sentii la mattina attraverso il tramezzo, mentre mi vestivo in cabina, fu il mio dubash parsi che nella dispensa discuteva del Patna con il cambusiere, bevendo una tazza di tè che questi gli aveva concesso come favore. Appena a terra incontrai dei conoscenti e la loro prima frase fu: "Ha mai sentito una cosa come questa?", seguita, a seconda del tipo, da un sorriso cinico, o da uno sguardo triste, oppure da una o due imprecazioni. Uomini che non si conoscevano affatto iniziavano a conversare fra loro solo per poter dire la propria opinione su quella faccenda: qualsiasi stupido perdigiorno cittadino si fermava a bere e a chiacchierare della cosa; se ne sentiva parlare negli uffici del porto, presso i mediatori, gli agenti, dai bianchi, dagli indigeni, dai meticci, addirittura dal barcaiolo mezzo nudo che, salendo, incontravi accovacciato sugli scalini di pietra - per Giove! Si udivano commenti indignati, non poche battute di spirito e discussioni senza fine su cosa ne fosse stato di loro. Tutto questo continuò per un paio di settimane o più, e l'opinione che questa vicenda misteriosa avrebbe finito per trasformarsi in tragedia stava cominciando a prevalere quando, una bella mattina, mentre stavo all'ombra sugli scalini degli uffici portuali, scorsi quattro uomini arrivare verso di me lungo la banchina. Mi chiesi per un po' da dove fosse saltato fuori quello strano gruppo quando, all'improvviso, si può dire, gridai a me stesso: "Sono loro!".
            «Erano proprio loro, certo, tre di aspetto normale e uno di una grassezza molto maggiore di quanto sia permesso ad essere umano, appena sbarcati dopo una buona colazione a bordo di un piroscafo della Dale Line diretto ad est, che era entrato in porto circa un'ora dopo l'alba. Non si poteva sbagliare; riconobbi a prima vista l'ottimo capitano del Patna: l'uomo più grasso di tutta la fascia tropicale che circonda questa nostra vecchia terra. Inoltre, circa nove mesi prima, mi ci ero imbattuto a Samarang. Mentre il suo vapore caricava alla rada, lui passava il tempo a insultare le tiranniche istituzioni dell'Impero tedesco e a riempirsi di birra per tutta la giornata, per giorni e giorni, nel retro dell'emporio di De Jongh, finché persino De Jongh, che nel suo negozio faceva pagare un fiorino per una bottiglia senza neppure batter ciglio, mi chiamò in disparte e mi disse confidenzialmente, avvicinandomi la sua piccola faccia coriacea tutta butterata: "Gli affari sono affari, capitano, ma quest'uomo, beh, mi fa star male. Puah!"
            «Lo osservai dal mio posto all'ombra. Camminava in fretta, leggermente davanti agli altri, e la luce del sole che lo investiva faceva risaltare la sua mole in modo sorprendente. Mi fece pensare a un elefantino ammaestrato che camminava eretto sulle zampe posteriori. Era anche abbigliato in modo vistoso - con un pigiama sudicio a righe verticali verde chiaro e arancione scuro, ai piedi nudi un paio di pianelle di paglia stracciate, e con un vecchio cappello di sughero smesso, sporchissimo e di due misure meno della sua, legato con una corda di manilla alla sommità dell'enorme testa. Capirete che un uomo del genere non trova nulla della propria taglia quando chiede dei vestiti in prestito. Bene. Veniva avanti di gran premura, senza guardare né a destra né a sinistra, e mi passò accanto a meno di un metro, salendo a passi pesanti la scala che portava agli uffici portuali per andare a fare, con animo innocente, la sua deposizione, o il rapporto, o come si voglia chiamarla.
            «Sembra che la prima persona cui si sia rivolto sia stato il comandante vicario della capitaneria di porto. Archie Ruthvel era appena entrato e, come poi ci disse, si accingeva a cominciare la sua faticosa giornata con una lavata di capo al suo impiegato. Alcuni di voi devono averlo conosciuto, questo impiegato, un piccolo meticcio portoghese molto servizievole, con un collo tremendamente magro, sempre pronto a chiedere ai capitani qualche regalo in generi alimentari - un pezzo di maiale salato, un sacchetto di biscotti, qualche patata e così via. Mi ricordo che, dopo un mio viaggio, gli diedi una pecora viva che mi era rimasta fra le provviste per la navigazione: non in cambio di qualche piacere - sapete, non aveva la possibilità di farmene - ma perché quella sua fede infantile nel sacro diritto a ricevere questo tipo di regali mi toccava il cuore. Era una convinzione così forte da apparire quasi bella. La sua razza - o meglio le due razze - e il clima... Comunque, non importa. So dove trovare un amico sincero.
            «Comunque sia, Ruthvel dice che gli stava facendo una ramanzina - sulla moralità ufficiale, immagino - quando sentì alle sue spalle un certo scompiglio, e voltando la testa vide, per ripetere le sue parole, qualcosa di rotondo ed enorme che pareva una botte da zucchero rivestita di flanella a righe, messa in piedi lì, al centro dello spazioso pavimento dell'ufficio. Lui dice di esserne rimasto così sorpreso da non rendersi conto, per parecchio tempo, che quella cosa era viva, e di essersi seduto a domandarsi a quale scopo e in quale modo quell'oggetto fosse stato trasportato lì, davanti alla sua scrivania. Il passaggio che dava sull'anticamera era pieno di gente - inservienti che azionavano punkah, spazzini, agenti indigeni di polizia, il timoniere e l'equipaggio della lancia del porto - e tutti allungavano il collo per guardare, e salivano quasi l'uno sulle spalle dell'altro. Un vero subbuglio. Nel frattempo quel tipo era riuscito ad alzare la mano al cappello e a toglierselo, e accennando un inchino stava avanzando verso Ruthvel, il quale mi disse di essere rimasto così sconvolto da quello spettacolo che per un po' ascoltò, senza riuscire a capire che cosa volesse quell'apparizione. Parlava con voce aspra e lugubre ma senza esitazioni, e dopo qualche minuto Archie cominciò ad intuire che si trattava di uno sviluppo del caso Patna. Archie dice che non appena capì chi si trovava davanti ne fu molto turbato - è così sensibile verso gli altri che in questi casi perde facilmente la bussola - e facendo uno sforzo su se stesso gridò: "Basta così! Io non posso darle ascolto. Lei deve rivolgersi al comandante responsabile. lo non posso assolutamente darle ascolto. Deve vedere il capitano Elliot. Da questa parte. Da questa parte". Balzò in piedi, fece il giro del lungo bancone e si aprì un varco, spinse, tirò; l'altro lo lasciò fare, dapprima sorpreso ma ubbidiente; e solo alla porta dell'ufficio privato una sorta di istinto animale lo fece indietreggiare e sbuffare come un torello impaurito. "Un momento! Che cosa c'è? Mi lasci stare. Un momento!". Archie spalancò la porta senza bussare. "Il comandante dei Patna, signore", urla. "Entri, capitano". E avendo visto il vecchio alzare la testa da certi documenti con un gesto così brusco che gli occhiali a pince-nez gli caddero dal naso, richiuse la porta con forza e fuggì alla sua scrivania dove c'erano alcuni documenti in attesa della sua firma, ma dove, a suo dire, si era creato un tale parapiglia che gli era impossibile concentrarsi, e non riusciva quasi più a ricordarsi come si scrivesse il proprio nome. Archie è il comandante più sensibile dei due emisferi. Ha detto di avere avuto l'impressione di aver gettato un uomo nelle fauci di un leone affamato. Non c'è dubbio che il frastuono fosse altissimo. Lo sentivo fin dal piano di sotto, e ho motivo di credere che si udisse chiaramente per tutto il lungomare fino alla pedana dell'orchestra. Quando cominciava a urlare, il vecchio papà Elliot disponeva di una grande scorta di parole e non guardava in faccia nessuno. Fosse stato anche il Vicegovernatore in persona. Soleva dire: "Ho raggiunto il massimo della carriera, e avrò una discreta pensione. Ho qualche soldo da parte; se a qualcuno non piace più la mia nozione del dovere, posso anche andarmene. Sono vecchio e ho sempre detto come la pensavo. Tutto quello a cui ora tengo è di vedere sposate le mie figlie prima di morire". Su questo punto era un po' fissato. Le sue tre figlie erano assai carine, pur assomigliandogli in modo sorprendente, e nei giorni in cui si svegliava pieno di tetri presagi sulle loro prospettive matrimoniali, tutto l'ufficio glielo leggeva in viso e tremava, perché, così si diceva, avrebbe certamente mangiato qualcuno a colazione. Tuttavia, quella mattina non si mangiò quel rinnegato; piuttosto, se mi è permesso di continuare con la stessa metafora, lo ingoiò dopo averlo fatto a pezzettini e poi, per così dire, lo risputò.
            «E così, dopo solo pochi istanti, rividi quella mole mostruosa scendere in fretta e fermarsi immobile sui gradini esterni. Si era arrestato vicino a me a meditare profondamente: le grandi guance rosse gli tremavano. Si mordeva un dito e dopo un po' mi notò con uno sguardo sghembo e irritato. Gli altri tre che erano sbarcati con lui formavano un gruppetto in attesa a una certa distanza. C'era un tipo piccolo e insignificante dalle guance olivastre, che aveva un braccio al collo, e un individuo allampanato con una giacca di flanella blu scuro, secco come un chiodo e lungo come un manico di scopa, che aveva baffi grigi spioventi e si guardava intorno con un'aria di disinvolta imbecillità. Il terzo era un giovane alto e robusto con spalle larghe, che teneva le mani in tasca e voltava la schiena agli altri due, che sembravano impegnati in una fitta conversazione. Scrutava la distesa vuota del lungomare. Uno sgangherato gharry, tutto impolverato e coperto da veneziane, si fermò a poca distanza dal gruppo, e il conducente, sollevato sul ginocchio sinistro il piede destro, si immerse in un attento esame delle dita. Senza fare alcun movimento, neppure per piegare la testa, il giovane teneva gli occhi fissi alla luce del sole. Fu questo il mio primo incontro con Jim. Pareva indifferente e inavvicinabile come possono esserlo solo i giovani. Restava lì in piedi, con la sua bella figura, con la sua bella faccia, saldo sulle gambe, un ragazzo promettente come raramente se ne vedono; e guardandolo, sapendo tutto ciò che anche lui sapeva e magari qualcosa di più, provai una grande rabbia, come se lo avessi sorpreso a cercare di estorcermi un favore con mezzi fraudolenti. Non era giusto che avesse un aspetto così attraente. Dissi fra me e me - accidenti, se un tipo simile può andare a finire in questo modo... e sentii quasi l'impulso di buttare a terra il cappello e di calpestarlo per la mortificazione, come vidi fare una volta dal capitano di un brigantino italiano perché il suo incompetente secondo aveva combinato un pasticcio con le ancore, cercando di fare un ormeggio volante in una rada piena di navi. Mi domandai, vedendolo apparentemente così disinvolto - è stupido? è insensibile? Sembrava sul punto di mettersi a fischiettare. Badate che non mi importava nulla dell'atteggiamento degli altri due. Le loro persone sembravano adattarsi perfettamente a quella storia che era ormai di pubblico dominio e che sarebbe stata oggetto di un'inchiesta ufficiale. "Quel vecchio pazzo di sopra mi ha chiamato cane", disse il capitano del Patna. Non saprei dire se mi avesse riconosciuto - ma credo di sì; comunque ci guardammo in faccia. Lui era tutto fuoco e fiamme - io sorridevo; cane era l'epiteto più gentile che mi fosse arrivato alle orecchie dalla finestra aperta. "Davvero?", dissi, incapace di tenere a freno la lingua. Annuì, si morse nuovamente il dito, imprecò sottovoce; quindi, alzando la testa e fissandomi con un'impudenza tetra e determinata: "Bah! Il Pacifico è grande, amico mio. Foi, maletetti inglesi, potete fare qvello che volete; io lo so dofe trofano posto per qvelli come me; mi conoscono bene ad Apia, a Honolulu, a...". Si fermò a riflettere, e io potei facilmente immaginarmi che tipi fossero coloro che "lo conoscevano bene" in quelle località. Non nascondo di averne conosciuti anch'io non pochi, di tipi del genere. Ci sono momenti in cui un uomo deve agire come se la vita fosse ugualmente bella, a prescindere dalla compagnia che frequenta. Io ho vissuto momenti di questo genere e, ciò che più conta, non farò finta ora di rinnegare questa necessità in cui mi sono trovato, perché molte di queste persone, così carenti per la loro - la loro - diciamo così - disinvoltura morale, o per altri motivi ugualmente seri, erano due volte più interessanti e venti volte più divertenti del solito commerciante ladro che voi invitate alla vostra tavola senza alcuna reale necessità - per abitudine, per viltà, per bontà d'animo, per cento ragioni pessime e inconfessate.
            «"Foi inglesi siete tutti carogne", proseguì il mio patriottico australiano di Flensburg o di Stettino - ora proprio non ricordo quale degna cittadina sulle rive del Baltico debba rammaricarsi di aver dato i natali a quel mascalzone. "Perché strillate tanto? Eh? Me lo sapete dire? Foi non siete migliori di altri, neanche qvel vecchio trombone che ha fatto tanto chiasso con me". La sua larga carcassa, appoggiata su gambe tremolanti che parevano colonne, tremava a sua volta dalla testa ai piedi. "Ecco qvello che foi inglesi fate sempre - un grosso chiasso per qvalsiasi sciocchezza - solo perché non sono nato nel fostro maletetto paese. Portatemi via la licenza. Prendetevela. Non ho bisogno di licenza. Uomo come me non ha bisogno di verfluchte licenza. Ci sputo sopra". Sputò. "Io voglio cittadino americano diventare", esclamò furibondo e nervosissimo, strisciando i piedi come per liberarsi le caviglie da invisibili e misteriosi ceppi che non gli permettevano di allontanarsi da quel posto. Si era scaldato tanto che il cocuzzolo di quella testa a palla aveva cominciato davvero a fumare. Non c'era nessun recondito motivo che mi impedisse di andar via; ma la curiosità, uno dei sentimenti umani più elementari, mi tratteneva là per vedere quali effetti producesse tutto ciò sul giovane, che con le mani in tasca e la schiena voltata al marciapiede fissava, oltre i prati erbosi del lungomare, il porticato giallo del Malabar Hotel con l'aria di uno che è in attesa di un amico per andare a fare una passeggiata. Dava proprio questa impressione, ed era odiosa. Mi aspettavo di vederlo confuso, mortificato, avvilito, trafitto, contorcersi come uno scarabeo infilzato - e avevo anche quasi paura di vederlo così - se capite ciò che voglio dire. Niente è più terribile che osservare un uomo colto nel mezzo non di un crimine, ma di una debolezza più che criminale. Una saldezza d'animo assai comune ci impedisce di diventare criminali in senso legale; è da queste debolezze che non ci si può salvare - dalle debolezze sconosciute, ma forse sospettate, come in certe parti del mondo si sospetta la presenza di serpenti in ogni cespuglio - da debolezze che possono rimanere annidate in noi, visibili o invisibili, temute o virilmente disprezzate, represse o magari ignorate per più di metà della nostra vita. Cediamo alla tentazione di fare cose per le quali ci coprono di insulti e cose per le quali veniamo condannati alla forca, e tuttavia lo spirito può sopravvivere - sopravvivere alla condanna, sopravvivere al capestro, per Giove! E ci sono cose - che sembrano insignificanfi a volte - che invece segnano la nostra fine assoluta. Osservavo quel giovanotto. Il suo aspetto mi piaceva; conoscevo quell'aspetto; veniva dal posto giusto; era uno di noi. Era l'ultimo rampollo di una razza nient'affatto intelligente o arguta - fatta di uomini e di donne la cui stessa esistenza si fonda sulla religione dell'onestà e sull'istinto del coraggio. Non parlo del coraggio in combattimento, o del coraggio civile o di qualsiasi altro tipo di coraggio. Parlo proprio di quell'abilità innata di guardare in faccia le tentazioni - una dote di natura prevalentemente intellettuale senza essere, lo sa il cielo, una posa - di una capacità di resistenza, non capite?, sgradevole se volete, ma di valore incalcolabile - di una durezza irrazionale e benedetta davanti ai terrori interni ed esterni, davanti alla potenza della natura e alla seducente immoralità degli uomini - sostenuta da una fiducia incrollabile nella forza dei fatti, nel valore dell'esempio, nello stimolo delle idee. Al diavolo le idee! Sono come degli sbandati, come dei vagabondi, che si insinuano in fondo al cervello, e ognuna si impossessa un po' della tua sostanza, ognuna ti sottrae un briciolo di quella fede nelle poche e semplici nozioni a cui ti devi attaccare se vuoi vivere degnamente e morire in pace.
            «Tutto ciò non ha nulla a che vedere direttamente con Jim; solo, egli era, esteriormente, così tipico di quella gente tanto buona e stupida di cui ci piace pensare che marci accanto a noi nella vita, di quella gente che non è turbata, diciamo, dalle bizzarrie dell'intelligenza e dalle perversioni dei nervi. Era il genere di individuo cui affideresti, a giudicare dal suo aspetto, il ponte di comando - in senso professionale e figurato. E parlo con cognizione di causa. Quanti giovanotti ho formato, ai miei tempi, al servizio nella flotta britannica, all'arte del mare, all'arte il cui segreto si potrebbe esprimere in una frase brevissima, e che tuttavia deve essere ribadito ogni giorno nella testa dei giovani, finché non diventa parte integrante di ogni loro pensiero quotidiano e di ogni sogno notturno! Il mare è stato buono con me, ma quando ricordo tutti quei ragazzi che mi sono passati fra le mani, alcuni adulti e alcuni ormai annegati ma tutti ottimi per il mare, anch'io penso di essermi comportato bene con lui. Se dovessi tornare in patria domani, scommetto che nel giro di due giorni qualche giovane e abbronzato primo ufficiale mi fermerebbe all'entrata di un porto e una voce fresca e profonda mi direbbe, dall'alto della sua statura gigantesca: "Non si ricorda di me, signore? Ma come! il piccolo Tal dei Tali. Sulla nave Tal dei Tali. Era il mio primo viaggio". E allora mi tornerebbe alla mente uno sbarbatello impaurito, non più alto dello schienale di questa sedia, con una madre e magari una sorella maggiore sul molo, molto calme ma troppo sconvolte per agitare il fazzoletto verso la nave che scivola via dolcemente fra le punte dei moli: o forse qualche degno padre di mezza età, arrivato di buon'ora col suo ragazzo per vederlo partire, e che rimane a bordo tutta la mattina, apparentemente perché gli interessa l'argano, e che si ferma così a lungo che deve precipitarsi a terra all'ultimo momento, senza nemmeno il tempo di dire addio. E il pilota di poppa che mi dice con la sua voce cantilenante: "La tenga un istante con l'alzaia, signor ufficiale. C'è un signore che vuole andare a terra Su, in piedi, signore. Vuole venire anche lei a Talcahuano? Ora è il momento; su, tranquillo... Bene. Adesso molli ancora a prua". I rimorchiatori, sbuffando come pozzi infernali, aggrediscono con furia l'acqua del fiume sconvolgendola; il signore a riva si pulisce le ginocchia - il buon cambusiere gli ha tirato dietro l'ombrello. Tutto molto a posto. Lui ha offerto al mare il suo piccolo sacrificio e ora può tornare a casa fingendo indifferenza, e dopo poche ore la piccola vittima consenziente soffrirà di un tremendo mal di mare. Poi, quando avrà appreso tutti i piccoli misteri e l'unico grande segreto di quest'arte, sarà pronto a vivere o a morire a seconda di quello che il mare decreterà, e l'uomo che ha avuto mano in questo folle gioco in cui il mare vince ogni partita sarà felice di sentirsi battere sulla schiena da una pesante mano giovanile e di udire la voce cordiale di un cucciolo di mare: "Si ricorda di me, signore? Il piccolo Tal dei Tali".
            «Vi dico che tutto questo è bello; significa che almeno una volta in vita vostra avete lavorato bene. Io ne ho ricevute, di manate sulle spalle, e sono trasalito, perché il colpo era forte, e sono stato euforico per tutto il giorno, e andando a letto mi sono sentito meno solo al mondo per merito di quella botta cordiale. Certo che ricordo il piccolo Tal dei Tali! Ve l'ho detto che so ben giudicare la gente dall'aspetto. Avrei affidato il ponte di comando a quel giovanotto a prima vista, e me ne sarei andato a dormire tranquillo - e, per Giove! sarebbe stata un'imprudenza. Ci sono abissi d'orrore in un pensiero simile. Sembrava perfetto come una sovrana nuova di zecca, ma nel suo metallo c'era una lega infernale. Quanta? Una quantità minima - la minima goccia di una sostanza rara e maledetta; la minima goccia! - ma bastava perché tu - nel vederlo lì con quell'aria noncurante - ti chiedessi se il suo prezioso metallo non fosse altro che volgare ottone.
            «Non riuscivo a crederci. Vi dico che avrei voluto vederlo sulle spine per l'onore della categoria. Gli altri due miserabili scorsero il loro capitano e cominciarono a muoversi lentamente verso di noi. Chiacchieravano fra loro, ma io non me ne curai, come se non li avessi nemmeno visti. Ghignavano fra loro - per quanto ne so avrebbero potuto scambiarsi delle battute di spirito. Vidi che per uno si trattava di un braccio rotto; l'altro, l'individuo allampanato con i baffi grigi, era il primo motorista, e per diversi aspetti era un personaggio famigerato. Erano due nullità. Si avvicinarono. Il capitano abbassò lo sguardo con aria stanca: sembrava affetto da un gonfiore innaturale a causa di qualche terribile malattia, per l'azione misteriosa di un veleno sconosciuto. Alzò la testa, vide davanti a sé i due in attesa, aprì la bocca, contorcendo straordinariamente la sua faccia rigonfia in una smorfia beffarda - immagino per dire loro qualcosa - poi un pensiero parve colpirlo. Stringendo le grosse labbra violacee in un ghigno muto, si diresse risoluto verso il gharry, e cominciò a scuotere impaziente la maniglia della porta con tale cieca brutalità che mi aspettavo da un momento all'altro di vedere rovesciare tutto, la carrozza e il cavallino. Il conducente, svegliato di soprassalto dalla sua contemplazione della pianta del piede e in preda a grande terrore, si era attaccato con tutte e due le mani alla cassetta della vettura, e dall'alto fissava quella mole informe che tentava di entrare a forza. Il minuscolo cocchio oscillava e dondolava tumultuosamente, e tutta la scena, con la nuca cremisi di quel collo abbassato, la smisurata larghezza delle cosce che si tendevano, il cumulo immenso di quella sudicia schiena a strisce verdi e arancio, i comici sforzi di quell'ammasso di carne sordido e ridicolo, era inquietante nella sua spaventosa e buffa improbabilità, come una di quelle visioni allucinate e grottesche che spaventano e affascinano quando si ha la febbre. Scomparve. Mi aspettavo quasi di vedere il tetto aprirsi in due, la scatoletta a ruote spalancarsi come un baccello di cotone maturo - ma si abbassò soltanto con un cigolio di molle compresse, e una veneziana fu bruscamente abbassata. Le spalle del passeggero riapparvero, compresse in quello spazio angusto, e la testa si allungò fuori, enorme e vibrante come un pallone frenato, sudata, furiosa, blaterante. Si sporse verso il gharry-wallah accompagnata dall'agitarsi frenetico di un pugno tondo e rosso come un pezzo di carne cruda. Ruggì al conducente di partire, di andare. Dove? Forse nel Pacifico. Il vetturino fece schioccare la frusta; il cavallino sbuffò, ebbe un'impennata e partì al galoppo. Dove? Ad Apia? A Honolulu? Aveva 6.000 miglia di fascia tropicale in cui scorrazzare, e non sentii l'indirizzo che diede. Un cavallino sbuffante lo consegnò alla "Ewigkeit" in un batter d'occhio, e io non lo rividi più; e soprattutto non ho sentito di nessuno che abbia più avuto sue notizie dopo questa sua dipartita dalle mie conoscenze, seduto in un piccolo gharry sgangherato, scomparso dietro l'angolo in una nuvola di polvere bianca. Partì, fuggì, sparì, scappò via e, per quanto assurdo possa sembrare, sembrò portar con sé quel gharry, perché mai più mi imbattei in un cavallino sauro con un orecchio tagliato e in un indolente vetturino tamil dal piede dolorante. E vero che il Pacifico è grande, ma, che abbia trovato o no in esso un luogo adatto ad esibire i suoi talenti, resta il fatto che era svanito nello spazio, come una strega a cavallo di una scopa. Il marinaio piccolo con il braccio al collo cominciò a correre dietro alla carrozza belando: "Capitano! Senta, Capitano! Sentaaa!...", ma dopo qualche passo si arrestò e tornò lentamente indietro a testa bassa. Al rumore secco delle ruote il giovane si girò, rimanendo dove si trovava. Non fece alcun altro movimento, gesto o segno, e restò fermo nella nuova direzione anche dopo che il gharry era scomparso alla vista.
            «Tutto ciò avvenne in un tempo molto più rapido di quanto non ne occorra a raccontarlo, perché sto cercando di spiegarvi, con un lungo discorso, l'effetto immediato di impressioni visive. Subito dopo giunse sulla scena l'impiegato meticcio, mandato da Archie a cercare di assistere i poveri naufraghi del Patna. Arrivò di gran lena a capo scoperto, lanciando occhiate a destra e a manca, e tutto compreso della sua missione. Pur se questa era ormai fallita per quanto riguardava il personaggio principale, egli si rivolse agli altri con un tono pieno di petulante sussiego, trovandosi subito coinvolto in un violento alterco con il tipo che aveva il braccio al collo e che si dimostrò prontissimo ad attaccar briga. Nessuno gli avrebbe ordinato che cosa doveva fare - "comunque, non costui, perdio". Non si sarebbe fatto spaventare dalle frottole che raccontava quel piccolo impertinente meticcio scribacchino. Non si sarebbe fatto pestare i piedi da "un tipo di quel genere", anche se quella faccenda fosse stata vera "al cento per cento". Urlò il suo desiderio, la sua aspirazione, la sua determinazione ad andare a letto. "Se tu non fossi un maledetto portoghese", lo sentii gridare, "capiresti che il posto che fa per me è l'ospedale". E mise il pugno del suo braccio sano sotto il naso dell'altro. Intanto aveva cominciato a radunarsi parecchia gente; il meticcio, eccitato ma fortemente intenzionato a conservare la propria dignità, cercò di spiegare le proprie intenzioni. Me ne andai senza aspettare la fine.
            «Volle il caso che allora avessi un mio uomo all'ospedale e, andandolo a trovare il giorno prima dell'apertura dell'inchiesta, vidi nella corsia dei bianchi il piccolo marinaio che si rigirava nel letto con il braccio ingessato e in preda alle smanie. Con mia grande sorpresa, l'altro naufrago, l'individuo allampanato con i baffi bianchi spioventi, aveva trovato anche lui la via dell'ospedale. Ricordavo di averlo visto mentre se la filava durante il litigio: camminava trascinando i piedi, ma aveva assunto un'aria tracotante, e cercava soprattutto di non apparire spaventato. A quanto pare non era sconosciuto al porto, e in quella difficile circostanza si diresse senza indugio al bar con sala biliardo di Mariani, vicino al bazar. Quell'incredibile giramondo, Mariani, che aveva conosciuto l'uomo e ne aveva assecondato i vizi in un paio di altri posti, baciò la terra nel rivederlo, e lo rinchiuse con una buona provvista di bottiglie in una camera del piano superiore della sua infame bettola. Sembrava che avesse qualche vago timore per la propria incolumità personale e volesse rimanere nascosto. Tuttavia Mariani mi disse, parecchio tempo dopo (un giorno in cui venne a bordo per sollecitare al mio cambusiere il pagamento di alcuni sigari), che per quell'uomo avrebbe fatto anche di più senza discutere, perché provava per lui una grande gratitudine per qualche favore scellerato ricevuto - così mi parve di capire - molti anni prima. Si batté due volte il petto muscoloso e disse, sgranando i grandi occhi scuri pieni di lacrime: "Antonio non dimentica mai - Antonio non dimentica mai!". La natura precisa di quell'obbligo immorale io non la venni mai a sapere ma, qualunque essa fosse, egli fornì al suo socio ogni mezzo perché potesse rimanere sotto chiave, con una sedia, un tavolo, un materasso in un angolo e uno strato di pezzi di intonaco caduti sul pavimento, in preda a una paura irrazionale, ma consolato dai tonici che Mariani gli aveva dispensato. Andò avanti così fino alla sera del terzo giorno quando, dopo avere emesso alcuni strilli inumani, si trovò costretto a cercare nella fuga la salvezza da un esercito di millepiedi. Spalancata la porta, si precipitò d'un balzo giù per la tenebrosa e angusta scaletta, piombando letteralmente sul petto di Mariani; si tirò su e schizzò in strada correndo come una lepre. Di prima mattina la polizia lo trovò in un mucchio di rifiuti. Dapprima temette che lo stessero portando all'impiccagione e si batté eroicamente per riconquistare la libertà, ma quando mi sedetti accanto al suo letto, erano due giorni che aveva ritrovato la sua tranquillità. Il suo affilato viso abbronzato, dai baffi bianchi, appariva fine e calmo sul guanciale, come la testa di un guerriero stanco della guerra e con un'anima da bambino; c'era però una traccia di terrore spettrale che aleggiava nella luce dei suoi occhi vacui, simile a una qualche forma sconosciuta di terrore accovacciata in silenzio dietro una lastra di vetro. Era così tranquillo che cominciai a nutrire l'illusoria speranza di avere da lui qualche spiegazione, dal suo punto di vista, della famosa faccenda. Perché fossi così ansioso di indagare sui deplorevoli particolari di un fatto che, dopo tutto, mi riguardava solo come membro di un oscuro consesso di uomini legati fra loro da un comune destino di ingrata fatica e dalla fedeltà a certe norme di comportamento, non so spiegarlo. Magari direte che era una curiosità morbosa, ma io ho la netta impressione che fosse il desiderio di trovare qualcosa. Forse, inconsciamente, mi aspettavo di scoprire questo qualcosa, una causa profonda che giustificasse, una pietosa spiegazione, un credibile pretesto. Ora vedo bene che speravo nell'impossibile - speravo di placare quello che è il più ossessivo fantasma creato dall'uomo, la tortura del dubbio che sale come una nebbia, tormentoso e invisibile come un verme e più gelido della certezza della morte - il dubbio che mi veniva dal potere sovrano attribuito a una precisa norma di condotta. È la cosa più dura che ci possa capitare, una cosa che ci fa urlare per il panico e ci spinge a commettere segrete indegnità; è la vera ombra della sventura. Credevo nel miracolo? e perché lo desideravo così ardentemente? Era forse per me stesso che volevo trovare uno straccio di scusa per quel giovanotto che non avevo mai visto prima, ma il cui solo aspetto aggiungeva un tocco personale ai pensieri che mi suggeriva la conoscenza della sua debolezza - e che ne faceva una cosa piena di mistero e di terrore - come l'annuncio di un tragico destino che attende tutti noi - noi che da giovani, molti anni fa, eravamo come lui? Credo che questo fosse il segreto motivo della mia curiosità. Ero alla ricerca, non c'è dubbio, di un miracolo. La sola cosa che, dopo tanto tempo, mi sembra miracolosa è la mia stupidità. Nutrivo certamente la speranza di ottenere da quel confuso e malandato infermo un esorcismo contro il fantasma del dubbio. Dovevo essere anche abbastanza disperato, perché senza por tempo in mezzo, dopo qualche cordialità di circostanza a cui egli rispose subito stancamente come avrebbe fatto qualunque malato, io tirai fuori la parola Patna, avvolgendola in una domanda formulata con grande delicatezza, come fasciata in una sciarpa di seta frusciante. La mia delicatezza era egoista: non volevo spaventarlo; di lui non mi preoccupavo; verso di lui non sentivo rabbia o dispiacere; la sua esperienza non aveva per me alcuna importanza, la sua redenzione non mi avrebbe toccato in alcun modo. Era invecchiato in mezzo a piccole malefatte, e non poteva più ispirare avversione o pietà. Ripetendo Patna? in tono interrogativo, parve fare uno sforzo di memoria; quindi disse: "Giusto. Da queste parti ci sto da una vita. L'ho vista affondare". Ero sul punto di esplodere indignato a una menzogna così stupida, quando lui aggiunse piano: "Era piena di rettili".
            «Mi trattenni. Che cosa aveva voluto dire? L'irrequieto spettro del terrore che si agitava dietro i suoi occhi vitrei parve fermarsi e fissarmi con tristezza. "A metà turno mi hanno buttato fuori dalla cuccetta per vederla affondare", proseguì in tono riflessivo. Tutto a un tratto la sua voce divenne forte e minacciosa. Mi pentii della mia audacia. In tutta la corsia non si vedeva neppure una rassicurante cuffia bianca di infermiera; solo a una certa distanza, in mezzo a una lunga fila di vuoti letti di ferro, un paziente ferito in un incidente marittimo avvenuto nella rada era seduto a letto, bruno e macilento, con una benda bianca posta trasversalmente sulla fronte. All'improvviso, il mio interessante malato allungò bruscamente un braccio sottile come un tentacolo, prendendomi per la spalla. "Solo i miei occhi vedevano bene. Io sono famoso per la mia vista. Immagino che sia per questo che mi hanno convocato. Nessuno di loro fu abbastanza rapido da vederla affondare, ma riuscirono a vedere che era affondata e si misero a cantare tutti insieme - così".... Un ululato lupesco mi penetrò nel profondo dell'anima. "Oh, fatelo smettere", piagnucolò con irritazione l'altro ricoverato. "Ho l'impressione che tu non mi creda", proseguì l'altro con un tono di ineffabile orgoglio. "Ti dico che non c'è nessuno con una vista come la mia in questa parte del Golfo Persico. Guarda sotto il letto".
            «Naturalmente mi chinai subito a guardare. Chi non l'avrebbe fatto? "Che cosa vedi?", mi chiese. "Niente", dissi, vergognandomi tremendamente di me stesso. Mi scrutò la faccia con un'espressione di feroce disprezzo. "L'immaginavo", disse, "ma se guardassi io, qualcosa vedrei - non ci sono occhi come i miei, ti dico". Mi afferrò di nuovo tirandomi verso di sé, come ansioso di liberarsi di una comunicazione riservata. "Milioni di rospi rosa. Non ci sono occhi come i miei. Milioni di rospi rosa. E peggio che veder affondare una nave. Potrei guardare le navi che affondano e fumare la pipa tutto il giorno. Perché non mi restituiscono la pipa? Farei una fumatina guardando questi rospi. La nave ne era piena. Devono essere sorvegliati, capisci?". E mi ammiccava con aria spiritosa. Le gocce di sudore che mi si addensavano sulla faccia gli cadevano addosso, e mi sentivo la giacca d'ordinanza incollata alla schiena bagnata: la brezza pomeridiana soffiò impetuosa fra le file dei letti, le rigide pieghe delle tende si mossero perpendicolarmente, urtando le sbarre di ottone, mentre le coperte dei letti vuoti sventolavano silenziose vicino al pavimento nudo lungo tutto il corridoio, e i brividi mi penetravano fino al midollo. Il dolce vento dei tropici giocava nella spoglia corsia con la stessa forza di una tempesta invernale che soffia contro un vecchio granaio, da noi al nord. "Non gli faccia cominciare la sua solfa, signore", mi urlò da lontano il motorista infortunato, con una voce vibrante di rabbia che risuonò fra le pareti come un tremulo richiamo all'interno di una galleria. Le ferree dita della mano si chiusero sulla mia spalla; mi strizzò l'occhio con aria d'intesa. "La nave ne era piena, capisci, e dovevamo liquidarli in gran segreto", sussurrò parlando a voce rapidissima. "Tutti rosa. Tutti rosa - e grandi come mastini, con un occhio in mezzo alla testa e artigli intorno alle loro boccacce. Uh! Uh!". Scatti frenetici come di scosse galvaniche rivelarono sotto il piatto copriletto i lineamenti di gambe magre e agitate; mollò la mia spalla per afferrare qualcosa nell'aria; il corpo vibrava come la corda tesa di un'arpa appena pizzicata; guardandolo dall'alto, vidi un orrore spettrale filtrare attraverso quegli occhi sbarrati. Improvvisamente i nobili e sereni lineamenti della sua faccia di vecchio soldato si confusero mentre l'osservavo, sconvolti da un'espressione di scaltra riservatezza, di abominevole cautela e disperato terrore. Soffocò un grido - "Sscc...! Che cosa stanno facendo adesso laggiù?", chiese indicando il pavimento con una straordinaria prudenza nella voce e nel gesto, il cui significato, compreso in un livido balenìo della mia mente, mi fece provar nausea della mia intelligenza. "Dormono tutti", risposi avvicinandomi a guardarlo. Ecco. Era questo ciò che voleva sentire; erano proprio queste le parole che lo avrebbero tranquillizzato. Tirò un lungo sospiro. "Sscc ! Piano, con calma. Da queste parti ci sto da una vita. Conosco queste bestie. Una botta in testa al primo che si muove. Ce ne sono troppi e la nave non può rimanere a galla per più di dieci minuti". Ansimò di nuovo. "Svelti", urlò all'improvviso, e continuò sempre a voce altissima: "Sono tutti svegli - sono milioni. Mi camminano sopra! Aspettate! Oh, aspettate! Li schiaccerò a mucchi, come le mosche. Aspettatemi! Aiuto! A-iu-to!". La mia disfatta fu completata da un ululato forte e interminabile. In lontananza vidi il motorista infortunato portarsi sconsolato le mani alla testa fasciata; un infermiere con un camice chiuso fino al mento sbucò all'estremità della corsia, minuscolo come nell'obiettivo di un cannocchiale rovesciato. Dovetti ammettere la mia sconfitta, e senza più trambusto fuggii nel corridoio esterno, uscendo attraverso una delle lunghe finestre. L'ululato mi inseguì come una vendetta. Finii in un pianerottolo deserto, e improvvisamente tutto divenne molto calmo e tranquillo intorno a me, e discesi la nuda e lucente scalinata in un silenzio che mi consentì di riordinare i pensieri sconvolti. Giù incontrai uno dei medici interni, che mi fermò a metà del cortile. "È andato a trovare il suo uomo, capitano? Penso che potremo dimetterlo domani. Comunque questi stupidi non sanno badare a loro stessi. A proposito, abbiamo il primo motorista di quella nave di pellegrini. Un caso strano. Delirium tremens del tipo peggiore. Ha bevuto molto per tre giorni nel bar di quel greco o italiano. Che cosa ci si poteva aspettare? Mi dicono che abbia fatto fuori quattro bottiglie di quel genere di brandy al giorno. Un miracolo, se fosse vero. Deve avere lo stomaco foderato d'acciaio. Di testa, beh, di testa è proprio andato, ma la cosa curiosa è che c'è del metodo nella sua follia. Sto cercando di scoprire che cosa c'è sotto. Alquanto insolito - questo tipo di logica in un caso di delirium come il suo. Normalmente vedono serpenti, ma lui no. Le tradizioni sono in ribasso al giorno d'oggi. Eh! Le sue - diciamo così - visioni sono di batraci. Ah! Ah! No, scherzi a parte, non ricordo di aver mai incontrato un caso di delirio più interessante di questo. Sarebbe dovuto morire, capisce, dopo una bevuta così. Oh! certo, è un soggetto resistente. E in più è ai tropici da ventiquattro anni. Dovrebbe proprio dargli un'occhiata. Un vecchio ubriacone dal nobile aspetto. L'uomo più straordinario che abbia mai incontrato - dal punto di vista medico, naturalmente. Non vuole?".
            «Per tutto quel discorso avevo educatamente mostrato i soliti gentili segni di interesse ma ora, assumendo un'aria di grande rincrescimento, borbottai che purtroppo dovevo scappare e gli strinsi frettolosamente la mano. "Senta", aggiunse mentre mi allontanavo, "lui non è in grado di sostenere un interrogatorio. Pensa che la sua testimonianza sia importante?"
            «"Nient'affatto", gli risposi dall'ingresso.
           
           
CAPITOLO 6     (Torna all'indice)



            «Evidentemente le autorità la pensavano come me. L'inchiesta non fu aggiornata. Fu tenuta nel giorno fissato a termini di legge, e certamente attirò tutto quel pubblico per il suo aspetto umano. Non c'erano dubbi sui fatti - o meglio, sull'unico fatto rilevante. Come il Patna avesse subìto il danno non fu dato sapere: il tribunale riteneva che non fosse possibile accertarlo; d'altronde, fra i presenti pareva che non importasse a nessuno. E tuttavia, come vi ho detto, al processo assistette tutta la gente del porto e vi era una folta rappresentanza di coloro che erano, in un modo o nell'altro, coinvolti nell'attività marittima. Che se ne rendessero conto o no, l'interesse che li richiamava lì era puramente psicologico - la speranza di una qualche rivelazione fondamentale sull'intensità, la potenza, l'orrore delle emozioni umane. Naturalmente nulla di ciò poteva risultare agli atti. La deposizione del solo uomo in grado di sostenere un interrogatorio, e disposto a farlo, continuò a ruotare intorno al fatto ben noto, e l'intrecciarsi delle domande su di esso risultò tanto istruttivo quanto dare colpi di martello a una scatola di ferro per scoprire cosa si trovi al suo interno. In ogni caso, un'indagine ufficiale non poteva essere altro. Il suo fine era quello di accertare il superficiale come della faccenda, e non il suo profondo perché.
            «Di questo il giovanotto avrebbe potuto certamente parlare, ma quantunque fosse proprio questa la cosa che interessava al pubblico, le domande che gli furono poste lo condussero inevitabilmente lontano da quella che sarebbe stata, almeno per me, la sola verità che valesse la pena di conoscere. Ma non si può pretendere che le autorità costituite facciano indagini sulle condizioni dell'anima di un uomo - o forse solo del suo fegato. Loro compito era solo di soffermarsi sulle conseguenze e, francamente, un magistrato inquirente distratto e due periti nautici non servono a molto altro. Non voglio pensare che costoro fossero stupidi. Il presidente era molto paziente. Uno dei due periti era un capitano di nave a vela con una barba rossastra e un animo pio. L'altro era Brierly. Big Brierly. Alcuni di voi devono aver sentito parlare di Big Brierly - il capitano della nave principale della compagnia Blue Star. È lui.
            «Sembrava infastidito a oltranza da quell'onore che gli era stato conferito. In vita sua non aveva mai commesso un errore; non aveva mai avuto un incidente, mai una disavventura, mai un inconveniente nella sua costante ascesa, e sembrava essere uno di quegli individui fortunati che non sanno che cosa sia l'incertezza e men che mai la sfiducia in se stessi. A trentadue anni aveva uno dei migliori comandi della navigazione commerciale con l'Oriente - e soprattutto aveva un'alta opinione di ciò che aveva ottenuto. Al mondo non c'era nulla di meglio, e immagino che se gli aveste chiesto di punto in bianco che cosa pensasse di sé, vi avrebbe risposto che a suo parere non esisteva un comandante migliore di lui. La scelta era caduta sull'uomo giusto. Il resto del genere umano, che non comandava una nave a vapore come l'Ossa, un bastimento tutto in acciaio che faceva sedici nodi, era formato da povere creature. Lui aveva salvato vite in mare, aveva soccorso navi in difficoltà, aveva avuto in dono un cronometro d'oro dagli assicuratori e un binocolo con dedica incisa da qualche governo straniero a ricordo dei servizi prestati. Aveva grande consapevolezza dei propri meriti e dei riconoscimenti ricevuti. A me era abbastanza simpatico, anche se alcune persone che conosco - uomini schivi e modesti - lo trovavano assolutamente insopportabile. Non ho il minimo dubbio che egli si considerasse molto superiore a me - in realtà, anche se tu fossi stato l'Imperatore dell'Est e dell'Ovest, in sua presenza non avresti potuto che sentirti inferiore - ma non riuscivo a nutrire alcun risentimento verso di lui. Egli non mi disprezzava per aver fatto qualcosa che non avrei dovuto fare o per ciò che ero - capite? Per lui ero una nullità, e questo solo perché non ero l'uomo eletto, perché non ero Montague Brierly comandante dell'Ossa, non ero il possessore di un cronometro d'oro con dedica incisa e di un binocolo d'argento che attestava la mia eccellenza di uomo di mare e il mio indomito coraggio; e non avevo un acuto senso dei miei meriti e dei riconoscimenti da me ricevuti, oltre a non essere l'oggetto di adorazione di un segugio nero, il più splendido della sua specie - perché mai vi fu uomo migliore amato da cane migliore. Non c'è dubbio che avere tutto ciò continuamente davanti agli occhi fosse piuttosto esasperante, ma quando riflettevo che condividevo la mia sfortuna con un miliardo e passa di altri esseri umani, trovavo un compenso alla sua paternalistica e sprezzante pietà in una indefinita attrazione che provavo per l'uomo. Non ho mai definito la natura di questa attrazione, ma c'erano momenti in cui lo invidiavo. Le spine dell'esistenza non scalfivano la sua anima appagata più di quanto uno spillo riesca a incidere la lastra liscia di una roccia. In ciò era invidiabile. Mentre lo guardavo, seduto a lato del dimesso magistrato dal viso pallido che presiedeva la commissione d'inchiesta, il suo autocompiacimento presentava a me e al mondo una superficie dura come il granito. Immediatamente dopo si suicidò.
            «Non è sorprendente che il caso di Jim lo annoiasse, ma mentre io pensavo con un certo timore all'immenso disprezzo che provava per il giovane, probabilmente egli era già impegnato in una silenziosa indagine su se stesso. Il verdetto deve essere stato di colpevolezza senza attenuanti, ma il segreto delle prove a suo carico se lo è portato con sé in quell'ultimo salto in mare. Se posso capire qualcosa degli uomini, la causa della sua decisione era certamente di enorme peso, una di quelle bazzecole che suscitano delle idee - che insinuano nella nostra vita pensieri con cui l'uomo non avvezzo a tale compagnia è incapace di convivere. Sono in grado di dire che non era una questione di denaro, di alcol, o di donne. Si gettò in mare dalla nave appena una settimana dopo la fine dell'inchiesta, e meno di tre giorni dopo aver lasciato il porto all'inizio di un nuovo viaggio, come se proprio in quel punto in mezzo all'oceano avesse improvvisamente scoperto le porte dell'altro mondo aperte a riceverlo.
            «E tuttavia non fu un impulso momentaneo. Il suo secondo, un uomo con i capelli grigi, un marinaio di prim'ordine, sempre cordiale con gli estranei, ma che nei rapporti con il suo comandante era l'ufficiale più intrattabile che io abbia mai incontrato, raccontava i fatti con le lacrime agli occhi. Sembra che quando questi arrivò sul ponte quella mattina Brierly fosse impegnato a scrivere nella sala nautica. "Erano le quattro meno dieci", disse, "e naturalmente il turno non era ancora finito. Quando sentì che parlavo sul ponte con il secondo ufficiale mi chiamò. Andai malvolentieri, perché, a dire la verità, Capitano Marlow, non potevo soffrire il Capitano Brierly, e me ne vergogno: non sappiamo mai di quale stoffa sia un uomo. Tanti si erano visti superare da lui, per non parlare di me, e poi aveva un maledetto modo di fare che ti faceva sentire un verme, foss'anche solo il tono con cui ti diceva 'Buon giorno'. Non mi rivolgevo mai a lui, signore, se non per questioni d'ufficio, e anche allora era tanto riuscire a usare un linguaggio cortese". (Qui si vantava. Mi sono spesso chiesto come Brierly potesse sopportare i suoi modi per più di mezzo viaggio). "Avevo moglie e figli", proseguì il secondo, "ed ero nella Compagnia da più di dieci anni, sempre in attesa di un altro comando - che stupido sono stato. Comunque, lui mi dice: 'Venga qui un istante, signor Jones', con quella sua voce tracotante - 'Venga qui un istante, signor Jones'. E io entrai. 'Facciamo il punto', dice lui chinandosi sulla carta con un compasso in mano. Secondo gli ordini questa incombenza spetta, alla fine del proprio turno, all'ufficiale che smonta. Tuttavia non dissi nulla e lo guardai mentre segnava la posizione della nave con una crocetta e scriveva la data e l'ora. Lo rivedo ancora adesso mentre traccia le cifre con quella sua calligrafia ordinata: diciassette, otto, quattro del mattino. L'anno veniva di solito scritto in inchiostro rosso, in cima alla carta. Non usava mai una carta per più di un anno, non era nello stile del Capitano Brierly. Ora quella carta ce l'ho io. Quando ha finito si raddrizza a osservare dall'alto il segno che ha fatto e sorride fra sé, poi mi guarda. 'Altre trentadue miglia così', dice, 'e saremo al largo, e lei potrà cambiare la rotta di venti gradi in direzione sud'.
            «"Passavamo a nord della secca Hector per quel viaggio. Io dissi: 'Bene, signore', ma mi chiedevo perché stesse complicando le cose, visto che comunque dovevo chiamarlo prima di cambiare la rotta. Proprio allora ci furono otto tocchi di campana: andiamo sul ponte, e prima di smontare, il secondo ufficiale dice al suo solito modo: 'Settantuno sul solcometro'. Il Capitano Brierly guarda la bussola e quindi gira gli occhi tutt'intorno. Era una notte chiara e sullo sfondo buio le stelle avevano un risalto straordinario, come nelle notti di gelo alle alte latitudini. Improvvisamente lui dice con una specie di lieve sospiro: 'Vado a poppa, e vi metto io il solcometro a zero, così che non ci siano errori. Altre trentadue miglia con questa rotta e poi sarete al sicuro. Vediamo - l'errore del solcometro significa un aumento del sei per cento; diciamo, dunque, fra trenta al quadrante potrete girare di venti gradi a dritta. Inutile fare delle miglia in più, non vi pare?'. Non gli avevo mai sentito dire tante cose in una volta sola, e fra l'altro mi sembravano cose superflue. Non risposi nulla. Scese per la scaletta e il cane, che gli era sempre alle calcagna dovunque egli andasse, giorno e notte, lo seguì con il muso basso a terra. Sentii il rumore dei tacchi dei suoi stivali sul ponte di poppa; quindi si fermò a parlare con il cane: 'Torna, Rover. Sul ponte, da bravo! Vai, vai'. Poi mi dice a voce alta, invisibile nell'oscurità: 'Chiuda il cane nella sala nautica, signor Jones, per favore'.
            «"Fu l'ultima volta in cui sentii la sua voce, Capitano Marlow. E queste sono anche le ultime parole da lui pronunciate che siano state udite da un essere umano, signore". A questo punto la voce del vecchio diventava incerta. "Aveva paura che la povera bestia saltasse in mare dietro di lui, capisce?", proseguiva con tono alterato. "Sì, Capitano Marlow. Mi fissò il solcometro; e ci mise - lo crederebbe? - ci mise anche una goccia d'olio. Lì, vicino c'era l'oliatore, dove lui l'aveva lasciato. Alle cinque e mezza l'aiutante del nostromo andò a poppa a prendere la manica per lavare; ma si interrompe subito e corre sul ponte - 'Vuole venire a poppa per favore, signor Jones?', dice. 'C'è una cosa strana. Io non voglio toccarla'. Era il cronometro d'oro del Capitano Brierly, appeso accuratamente per la catena al di sotto della ringhiera.
            «"Non appena mi caddero gli occhi su di esso sentii un gran tuffo al cuore, signore, e capii. Le gambe mi divennero molli. Era come se lo avessi visto buttarsi; e potevo anche dire a quale distanza lo avevamo lasciato. Il solcometro del coronamento segnava diciotto miglia e tre quarti, e scoprii che dall'albero maestro erano sparite quattro gallocce di ferro. Se le era messe in tasca per andare a fondo più facilmente, suppongo; ma, Dio! che cosa sono quattro gallocce per un uomo forte come il Capitano Brierly? Forse la fiducia che aveva in se stesso era un po' scossa, alla fine. È stato l'unico segno di nervosismo di tutta la sua vita, penso; ma sono pronto a mettere la mano sul fuoco che, una volta in mare, non ha cercato neppure per un istante di restare a galla, come sono sicuro che, se fosse caduto in acqua accidentalmente, avrebbe avuto l'energia di nuotare per tutto il giorno. Sì, signore. Non c'era nessuno come lui - come gli ho sentito dire io stesso una volta. Durante il turno aveva scritto due lettere, una alla Compagnia e l'altra a me. Mi dava molte istruzioni sul viaggio - e pensare che ero già in mare prima che lui nascesse - e un'infinità di consigli su come regolarmi a Shanghai con quelli della società per mantenere il comando dell'Ossa. Mi scriveva come un padre al figlio prediletto, Capitano Marlow, anche se avevo venticinque anni più di lui e avevo assaggiato l'acqua salata prima che lui si mettesse i calzoni lunghi. Nella lettera agli armatori - l'aveva lasciata aperta perché potessi leggerla - diceva di essere sempre stato leale con loro - fino a quel momento - e che anche allora non tradiva la loro fiducia, visto che lasciava la nave all'uomo di mare più competente che si potesse trovare - alludeva a me, signore, alludeva a me! Chiedeva loro, se l'ultimo atto che aveva commesso in vita sua non fosse stato tale da distruggere tutto il credito che si era conquistato, di considerare il mio fedele servizio e le sue calde raccomandazioni quando si fosse trattato di nominare un successore, data la sua morte. E diverse altre cose di questo tenore, signore. Non credevo ai miei occhi. Mi sentivo molto confuso", proseguì il vecchio in preda a un forte turbamento, togliendosi qualcosa dall'angolo dell'occhio destro con la punta di un dito grosso come una spatola. "Si sarebbe detto, signore, che si era gettato in mare solo per dare a un uomo sfortunato un'ultima possibilità di carriera. Un po' per l'impressione di lui che se n'era andato in questo modo, un po' per l'emozione di essere ormai un uomo arrivato grazie a questa occasione, per una settimana rimasi quasi fuori di me. Ma niente paura. All'Ossa fu trasferito il capitano del Pelion - salì a bordo a Shanghai - un bellimbusto, signore, con un vestito grigio a quadretti e i capelli con la scriminatura nel mezzo. 'Ehm - io sono - ehm - il suo nuovo capitano, signor - signor - ehm - Jones'. Si era messo addosso tanto profumo, Capitano Marlow, che bisognava tapparsi il naso. Suppongo che sia stata l'occhiata che gli diedi a farlo balbettare. Borbottò qualcosa sulla mia naturale delusione - era meglio che sapessi subito che il suo primo ufficiale era stato promosso al comando del Pelion - naturalmente lui non aveva avuto nessuna parte in questa decisione - immaginava che la direzione avesse agito per il meglio - gli dispiaceva... E io gli dico: 'Non badi al vecchio Jones, signore; accidenti all'anima sua, ci è abituato'. Vidi subito che avevo ferito le sue delicate orecchie, e quando ci sedemmo assieme per il primo pasto cominciò a criticare in modo antipatico questo e quello nella nave. Una voce come la sua l'ho sentita solo agli spettacoli in maschera di Punch e Judy. Ho stretto i denti, ho incollato gli occhi al piatto e sono stato zitto finché ho potuto; ma alla fine ho dovuto dire qualcosa. Lui salta in piedi, con le piume tutte arruffate come un galletto da combattimento. 'Vedrà che ha a che fare con una persona molto diversa dal defunto Capitano Brierly'. L'ho già visto', dico io, cupo come un toro, ma fingendo di essere impegnato con la carne. 'Lei è un vecchio furfante, signor - ehm - Jones; e soprattutto è conosciuto come un vecchio furfante in tutto l'ambiente', mi squittisce. I maledetti lavapiatti stavano tutti intorno ad ascoltare, con la bocca spalancata da un orecchio all'altro. 'Sarò un osso duro', rispondo io, 'ma non al punto di tollerare che uno come lei se ne stia seduto sulla sedia del Capitano Brierly'. E metto giù forchetta e coltello. 'Ci vorrebbe sedere lei, su questa sedia - la lingua batte dove il dente duole', dice lui con aria di scherno. Ho lasciato il salone, ho tirato insieme i miei stracci, ed ero sul molo con tutti i bagagli sparsi ai miei piedi prima ancora del ritorno degli stivatori. Sì. A spasso - a terra - dopo dieci anni di servizio e con una povera donna e quattro figli a seimila miglia di distanza che per ogni boccone che mangiavano dipendevano dalla mia mezza paga. Sì, signore! Ho mandato tutto in malora piuttosto che sentir offendere il Capitano Brierly. Lui mi lasciò il suo binocolo notturno - eccolo qua; e mi pregò di prendermi cura del cane - ecco qua anche lui. Ciao, Rover, povera bestia. Dov'è il capitano, Rover?". Il cane ci guardò con i suoi tristi occhi gialli, abbaiò desolato e s'infilò sotto il tavolo.
            «Tutto questo accadde più di due anni dopo, a bordo di quel rudere galleggiante che era il Fire Queen, di cui questo Jones aveva ricevuto il comando - fra l'altro, in modo abbastanza curioso - da Matherson - generalmente lo chiamano Matherson il matto - lo stesso che bazzicava per Hai-phong, vi ricordate? prima dell'occupazione. Il vecchio continuava:
            «"Ah, signore, il Capitano Brierly sarà ricordato qui, anche se sarà dimenticato in tutti gli altri luoghi della terra. Scrissi una lunga lettera a suo padre ma non ebbi un rigo di risposta - neanche un grazie, neanche un va' al diavolo! - nulla! Forse non volevano sapere".
            «La vista del vecchio Jones con gli occhi bagnati, che si asciugava la testa calva con un fazzoletto di cotone rosso, il doloroso guaito del cane, lo squallore di quella cabina infestata di mosche che rimaneva il solo santuario alla sua memoria - tutto ciò copriva con un velo di pathos volgare il ricordo della figura di Brierly, vendetta postuma del fato per quella fede nella propria splendida esteriorità che ne aveva quasi cancellato dalla vita i terrori. Quasi! Forse interamente. Chissà che anche nel suicidio non abbia visto un motivo di autocompiacimento?
            «"Perché ha commesso un atto tanto disperato, Capitano Marlow, me lo sa dire?", mi chiese Jones congiungendo le palme. "Perché? Questo è troppo per me! Perché?". Si batteva la fronte bassa e rugosa. "Fosse stato povero e vecchio e indebitato - e non l'ha mai dato a vedere - o altrimenti pazzo. Ma non era il tipo che diventa pazzo, proprio no. Dia retta a me. Quello che un secondo non sa del suo capitano è di scarsa importanza. Giovane, sano, ricco, senza preoccupazioni... Qualche volta mi soffermo a pensare, a pensare, finché mi gira la testa. Ci doveva essere un motivo".
            «"Può essere certo, Capitano Jones", gli risposi, "che non era nulla di ciò che avrebbe sconvolto lei o me". Così dissi, e allora, come se una luce si fosse accesa fulminea nella nebbia del suo cervello, il povero vecchio Jones trovò un'ultima frase di straordinaria profondità. Soffiandosi il naso mi disse, annuendo tristemente: "Eh, sì! né io né lei, signore, abbiamo mai pensato molto a noi stessi".
            «Naturalmente il ricordo della mia ultima conversazione con Brierly è condizionato dalla consapevolezza che la sua fine seguì subito dopo. L'ultima volta in cui gli parlai fu durante l'inchiesta. Fu dopo il primo aggiornamento, quando mi incontrò per strada. Era irritato, e lo notai con sorpresa, perché quando si concedeva alla conversazione il suo comportamento era perfettamente freddo, con una traccia di divertita tolleranza, come se l'esistenza del suo interlocutore fosse qualcosa di abbastanza comico. "Mi hanno preso per questa inchiesta, capisci", cominciò, e per un po' si soffermò a parlare con tono contrariato degli inconvenienti dovuti ad una frequentazione quotidiana del tribunale. "E Dio solo sa quanto durerà. Tre giorni, suppongo". Lo ascoltavo in silenzio; allora pensavo che lo dicesse per darsi arie. "A che serve? È l'esibizione più stupida che si possa immaginare", proseguì scaldandosi. Gli feci notare che era inevitabile. Mi interruppe esplodendo con una sorta di violenza repressa. "Mi sento continuamente come un povero idiota". Lo guardai. Era un'espressione troppo forte per un Brierly - che stesse parlando di Brierly. Si arrestò, e prendendomi per il bavero della giacca mi tirò leggermente verso di sé. "Perché tormentiamo quel giovanotto?", chiese. Questa domanda suonava così bene con il rintoccare di un pensiero che mi ossessionava, che avendo davanti agli occhi la figura del rinnegato latitante, risposi senza esitazioni: "Mi impicchino se lo so, a meno che non sia quasi lui a volerlo". Fui sbalordito nel vedere che, per così dire, mi seguiva in quel discorso, che invece gli sarebbe dovuto suonare abbastanza criptico. Disse furioso: "Ma certo. Non vede che quello sciagurato del suo capitano se n'è scappato? Cosa pensa che avvenga? Non c'è nulla che lo possa salvare. È spacciato". Facemmo qualche passo in silenzio. "Perché mangiare tutta quella spazzatura?", esclamò con un vigore espressivo orientale - più o meno il solo tipo di vigore di cui si trovi traccia ad est del cinquantesimo meridiano. Mi stupii moltissimo di dove volesse andare a parare, ma ora sospetto che fosse un discorso di grande coerenza: in ultima analisi il povero Brierly doveva pensare a se stesso. Gli feci notare che notoriamente il capitano del Patna si era fatto dei bei soldi con mezzi illeciti, e che poteva procurarsi quasi dovunque i mezzi per fuggire. Per Jim era diverso: per il momento il governo lo teneva all'Ostello del marinaio, e probabilmente non aveva in tasca un soldo. Per scappare occorre denaro. "Davvero? Non sempre", disse con una risata piena di amarezza, e aggiunse, in risposta a una mia osservazione: "Bene, allora se ne vada sette metri sotto terra e ci resti! Santo cielo! Io lo farei". Non so perché, ma mi sentii punto sul vivo dal suo tono e risposi con energia: "C'è un certo coraggio nell'affrontare la situazione come fa lui, sapendo bene che se andasse via nessuno si preoccuperebbe di inseguirlo". "Al diavolo il coraggio!", ruggì Brierly. "Questo genere di coraggio è inutile quando si deve rigare diritto, e non me ne importa un fico secco di questo coraggio. Capirei se tu mi dicessi che è stato vile - che ha avuto un momento di debolezza. Sai che ti dico? Metto a tua disposizione duecento rupie se tu ne metti altre cento e fai in modo che il poveretto tagli la corda domattina presto. È un gentiluomo, anche se non bisogna toccarlo troppo - capirà. Deve capire! Questa infernale pubblicità è disastrosa: se ne sta lì seduto mentre tutti questi dannati indigeni, seranglascar e quartiermastri fanno deposizioni che basterebbero a incenerire un uomo dalla vergogna. Tutto ciò è abominevole. Ma come, Marlow, non pensi, non senti che sia abominevole? Ma via! - non lo pensi, come uomo di mare? Se lui se ne andasse, tutto questo finirebbe subito". Brierly pronunciò queste parole con una straordinaria vivacità e fece il gesto di tirar fuori il portafoglio. Lo fermai e dichiarai freddamente che la codardia di questi quattro uomini non mi sembrava degna di tanto interesse. "E ciò nonostante ti reputi un uomo di mare, suppongo", esclamò furioso. Gli dissi che era vero, e che speravo anche di averlo dimostrato. Mi ascoltò, e con un gesto del suo grosso braccio parve voler annullare tutta la mia personalità, ricacciarmi in mezzo alla massa. "La cosa peggiore è", disse, "che mancate tutti di dignità; non pensate abbastanza a quello che dovreste essere".
            «Avevamo camminato lentamente e ci fermammo di fronte agli uffici portuali, non lontano dal punto da cui l'immenso capitano del Patna era sparito come una piuma spazzata via da un uragano. Sorrisi. Brierly proseguì: "È un fatto gravissimo. Fra di noi ci sono uomini di ogni risma - e alcuni sono autentici mascalzoni; ma, accidenti, dobbiamo mantenere una certa dignità professionale, se non vogliamo diventare come una massa di sbandati. La gente si fida di noi. Capisci? - si fida! Francamente non mi importa un fico secco di tutti i pellegrini dell'Asia, ma una persona per bene non si sarebbe comportata a quel modo neanche con un carico di balle di stracci. Noi non siamo un corpo organizzato, e la sola cosa che ci tiene uniti è proprio la reputazione che abbiamo. Una faccenda del genere distrugge la nostra fiducia. Si può anche fare tutta una carriera in mare senza mai avere l'occasione di alzare neppure un dito. Ma quando viene il momento... Ah!... Se io..."
            «Si interruppe e, cambiando tono: "Ora io ti do le duecento rupie, Marlow, e tu parli a questo giovanotto. Accidenti a lui! Magari non fosse mai arrivato da queste parti. Il fatto è che mi pare che alcuni dei miei uomini sappiano qualcosa di lui. Il suo vecchio è un parroco, e mi sono ricordato di averlo conosciuto l'anno scorso, quando sono andato nell'Essex a trovare mio cugino. Se non mi sbaglio sembrava orgogliosissimo di questo suo figlio in marina. Orribile. Personalmente io non posso fare nulla - ma tu...".
            «Quindi, occupandomi di Jim ebbi modo di scoprire qualcosa del vero Brierly pochi giorni prima che lui affidasse il suo mondo interiore, e la facciata che lo nascondeva, alla custodia del mare. Naturalmente rifiutai. Il tono di quell'ultimo "ma tu" (che il povero Brierly non poté evitare), pronunciato in modo da sottolineare implicitamente che ero trascurabile quanto un insetto, provocò la mia reazione indignata, ma mi diede la certezza, vuoi per questa frase vuoi per qualche altra ragione, che l'inchiesta si sarebbe conclusa con una severa punizione per questo Jim, e che il fatto che egli l'avesse affrontata, praticamente di sua spontanea volontà, rappresentava una sorta di riscatto del suo comportamento abominevole. In precedenza non ne ero stato così sicuro. Brierly se ne andò risentito. Allora il suo stato d'animo era per me più misterioso di quanto non lo sia adesso.
            «Il giorno dopo, essendo arrivato al tribunale in ritardo, mi sedetti in un posto isolato. Naturalmente non riuscivo a dimenticare la conversazione avuta con Brierly, e ora li avevo entrambi sotto gli occhi. Il contegno dell'uno era indice di cupa impudenza, quello dell'altro di annoiato disprezzo; tuttavia né l'uno né l'altro, forse, erano sinceri, ed io me ne resi conto. Quella di Brierly non era noia - era esasperazione; e quindi quella di Jim probabilmente non era impudenza. Secondo la mia teoria non lo era. Me lo immaginavo disperato. Fu allora che i nostri sguardi si incontrarono. Si incontrarono, e l'occhiata che mi diede frustrò ogni intenzione che avessi avuto di parlargli. In un'ipotesi o nell'altra - insolenza o disperazione - capii che non potevo essergli utile. Ciò avvenne nel secondo giorno della causa. Subito dopo quello scambio di occhiate l'inchiesta fu nuovamente rinviata al giorno successivo. I bianchi cominciarono subito ad affollarsi all'uscita. Poiché già in precedenza era stato invitato a scendere dalla pedana, Jim poté essere fra i primi a lasciare la sala. Potevo vederne le larghe spalle e la testa stagliarsi alla luce della porta; quindi, mentre mi avviavo lentamente all'esterno conversando con qualcuno - un estraneo che mi aveva rivolto casualmente la parola - lo scorsi dall'interno dell'aula delle udienze, con i gomiti appoggiati alla balaustra della veranda e le spalle girate a quel piccolo flusso di persone che scendevano per la scalinata. Si udiva il mormorio delle voci e il fruscio dei passi.
            «La causa successiva riguardava una denuncia per aggressione e percosse, credo ai danni di uno strozzino; e l'imputato - un uomo dall'aspetto venerabile, con una lunga barba bianca, che abitava in un villaggio - era seduto su una stuoia poco fuori dalla porta con i figli, le figlie, i generi, le nuore e una folla, che pensai dovesse essere mezza popolazione del paese, accovacciata o in piedi accanto a lui. Una snella donna dalla pelle scura, che aveva parte della schiena e una spalla nude e un sottile anello d'oro al naso, cominciò improvvisamente a parlare con voce stridula e bisbetica. L'uomo che era con me, istintivamente, alzò lo sguardo verso di lei. In quel momento avevamo appena superato la porta, passando dietro alle robuste spalle di Jim.
            «Non so se il cane giallo fosse stato portato da quei paesani. In ogni caso, c'era un cane che si infilava fra le gambe della gente in quel modo silenzioso e furtivo che hanno i cani degli indigeni, e il mio compagno vi inciampò. Il cane balzò via senza un verso e l'uomo, alzando leggermente la voce, disse, con una risatina: "Guardi quel miserabile animale"; subito dopo fummo separati dalla massa di quelli che spingevano per entrare. Io mi appoggiai per un momento alla parete mentre l'altro scese i gradini e sparì. Vidi che Jim si girava. Fece un passo in avanti e mi sbarrò la strada. Eravamo soli; mi fissò insistentemente, con aria di sfida. Mi accorsi che mi stava trattenendo su un sentiero, per così dire, in un bosco. Ormai la veranda era vuota e il frastuono e il movimento erano cessati all'interno del tribunale: un grande silenzio era caduto su tutto il palazzo, in cui, in una parte remota, una voce orientale aveva cominciato un piagnucoloso lamento. Proprio nel momento in cui cercava di infilarsi nella porta, il cane si fermò improvvisamente per spulciarsi.
            «"Ha detto a me?", chiese Jim a voce bassa e piegandosi in avanti, non tanto verso di me quanto "contro" di me, se capite quello che voglio dire. Subito risposi: "No". C'era qualcosa in quel suo tono tranquillo che mi induceva a stare in guardia. Lo osservai. Era proprio come incontrare qualcuno in un bosco, con la sola differenza che l'esito era più incerto perché lui non poteva volere né la mia borsa né la mia vita - non poteva volere nulla che io gli potessi dare o difendere coraggiosamente. "Lei dice di no", continuò lui, tetro. "Ma io ho sentito". "Ci deve essere un errore", protestai imbarazzato, ma senza togliergli gli occhi di dosso. Osservare la sua faccia era come seguire il progressivo rabbuiarsi del cielo prima del tuono, con l'impercettibile addensarsi delle ombre e l'infittirsi misterioso della tenebra nella calma della violenza crescente.
            «"Per quanto ne so non ho aperto bocca a una distanza da cui lei potesse sentirmi", risposi, ed era la pura verità. Stavo anche cominciando ad essere irritato da quell'incontro così assurdo. Riflettendoci ora, credo di non essere mai stato tanto vicino a fare a pugni - voglio dire, in senso letterale, botte e pugni. Immagino di avere avuto una vaga sensazione che qualcosa del genere fosse nell'aria. Non che lui avesse un'aria veramente minacciosa. Era invece stranamente passivo - e tuttavia, non capite? con quel cipiglio pur non essendo un vero e proprio gigante, sembrava in grado di buttar giù un muro. Il segnale più rassicurante che notai era una sorta di esitazione lenta e ponderosa, che io presi come un tributo all'evidente sincerità dei miei modi e del mio tono. Eravamo uno di fronte all'altro. In tribunale si discuteva la causa per aggressione. Percepii le parole: "Bene - bufalo - bastone - ero spaventatissimo...".
            «"Perché ha continuato a fissarmi tutta la mattina?", mi chiese Jim infine. Alzò lo sguardo, e quindi lo riabbassò. "Pretendeva che ce ne stessimo tutti seduti a testa china per rispetto della sua suscettibilità?", ribattei seccamente. Non avevo alcuna intenzione di accettare in modo remissivo quelle sue ubbie. Egli sollevò di nuovo gli occhi e questa volta mi guardò fisso in faccia. "No. Va benissimo", esclamò con voce lenta, come se stesse riflettendo sulla verità dell'affermazione che stava per fare. "Va benissimo. Questo l'accetto. Solo" - e qui parlò un po' più velocemente - "non permetto a nessuno di insultarmi fuori del tribunale. C'era un tale con lei. Lei gli ha parlato - oh, sì - lo so; è tutto a posto. Lei parlava con questa persona, ma voleva che io sentissi...".
            «Lo assicurai che era tutto un equivoco; non capivo come fosse potuto capitare. "Lei pensa che non avrei il coraggio di reagire a una simile offesa", disse con una certa debole amarezza. Ero teso a cogliere anche le minime sfumature della sua voce, ma questa affermazione non mi chiarì nulla; e tuttavia c'era forse qualcosa in queste parole, o magari solo nell'intonazione della frase, che improvvisamente mi spinse a cercare per lui ogni possibile giustificazione. Adesso non mi infastidiva tanto l'incredibile situazione in cui mi trovavo, quanto il fatto che quell'uomo si sbagliava; aveva frainteso e io intuivo che si trattava di un errore antipatico e odioso. Ero ansioso di por fine a quella scena per una questione di dignità, proprio come quando vogliamo interrompere un'abominevole confidenza non richiesta. Il buffo era che, in mezzo a tutte queste considerazioni di carattere superiore, ero conscio di nutrire una certa apprensione per l'eventualità - o meglio, per la concreta possibilità - che questo incontro finisse in una volgare rissa che non poteva avere alcuna spiegazione e che mi avrebbe coperto di ridicolo. Non aspiravo a un'effimera celebrità per essere l'uomo che si era preso un occhio nero o qualcosa di simile dal primo ufficiale dei Patna. Molto probabilmente egli era indifferente alle proprie azioni, o comunque se ne sentiva completamente giustificato. Nonostante il suo atteggiamento tranquillo e persino indolente, non ci voleva un mago per capire che era straordinariamente adirato per qualcosa. Non nego che desideravo calmarlo a tutti i costi, se solo avessi saputo come. Ma non lo sapevo, come potete bene immaginare. Buio completo, senza un minimo sprazzo di luce. Ci fissavamo in silenzio. Per una quindicina di secondi lui si trattenne, quindi avanzò di un passo e io mi preparai a parare il colpo, anche se penso di non aver mosso un muscolo. "Le direi quello che penso di lei", disse a voce bassissima, "anche se lei fosse grosso il doppio e avesse la forza di sei uomini. Lei...". "Un momento!", esclamai. Per un attimo si interruppe. "Prima che lei mi dica che cosa pensa di me", proseguii velocemente, "vuole spiegarmi gentilmente che cosa io avrei detto o fatto?". Durante la pausa che seguì mi scrutò indignato, mentre io facevo sforzi sovrumani di memoria, infastidito dalla voce orientale che all'interno del tribunale protestava in modo appassionato ma confuso contro l'accusa di falsità. Riprendemmo a parlare quasi contemporaneamente. "Le dimostrerò subito che non lo sono", disse lui con un tono che faceva pensare all'imminente esplosione della crisi. "Ripeto che non capisco", dichiaravo io con calore nel medesimo momento. Egli cercò di incenerirmi con uno sguardo sprezzante. "Ora che vede che non ho paura, tenta di venirne fuori", disse. "Dunque, chi è un animale - eh?". Finalmente compresi.
            «Mi esaminava la faccia come alla ricerca di un posto dove piazzare il pugno. "Non permetto a nessuno...", borbottò minacciosamente. Era davvero un abominevole equivoco; si era tradito del tutto. Non potete immaginare quanto ne fui sconcertato. Suppongo che egli scorgesse nel mio volto un riflesso di quello che provavo, perché la sua espressione mutò leggermente. "Buon Dio!", balbettai, "non penserà che io". "Ma io sono sicuro di avere sentito", insistette, alzando per la prima volta la voce dall'inizio di quella deplorevole scena. Poi, con un'ombra di sdegno aggiunse: "Allora non è stato lei? Bene; troverò questa persona". "Non sia sciocco", gridai esasperato; "non è proprio ciò che lei pensa". "Ma ho sentito", ripeté con un'insistenza cupa e ostinata.
            «Qualcuno avrebbe potuto ridere di tanta pertinacia. Io no. Oh, proprio no! Mai uomo era stato tradito in modo così spietato dai propri impulsi. Era bastata una parola per strappargli la riservatezza - quella riservatezza che è più necessaria alla rispettabilità del nostro animo di quanto lo siano i vestiti al decoro del nostro corpo. "Non sia sciocco", ripetei. "Allora l'ha detto l'altro, questo non può negarlo", esclamò con voce chiara e guardandomi in faccia senza battere ciglio. "No, non lo nego", risposi fissandolo a mia volta. Infine i suoi occhi seguirono la direzione del mio indice puntato. Dapprima non parve comprendere, quindi sembrò confuso, e infine stupito e spaventato, come se quel cane fosse stato un mostro, e come se non avesse mai visto un cane in vita sua. "Nessuno si è mai sognato di insultarla", dissi.
            «Contemplò la povera bestia, che stava immobile come una figura dipinta; era seduta con le orecchie dritte e il muso affilato puntato alla soglia, e improvvisamente cercò di catturare una mosca con un moto da automa.
            «Lo guardai. Il rosso della sua carnagione bruciata dal sole divenne più vivo sotto la peluria delle guance, si sparse sulla fronte, si diffuse fino alla radice dei capelli ricci. Le orecchie si fecero color porpora, e persino l'azzurro chiaro degli occhi assunse una tinta molto più intensa per l'afflusso di sangue alla testa. Le labbra gli si incresparono leggermente e tremarono come se fosse stato sul punto di scoppiare in lacrime. Intuii che era incapace di dire una sola parola, tanto si sentiva umiliato. Forse provava anche delusione - chi lo sa? Magari era ansioso di darmi una severa punizione per riabilitarsi, per riacquistare la tranquillità. Chi può dire quale sollievo si attendesse da questa occasione di rissa? Era ingenuo al punto da aspettarsi qualunque cosa, ma in questo caso si era lasciato andare inutilmente. Era stato schietto con se stesso - come del resto con me - nella vana speranza di arrivare in tal modo a un qualche reale confronto, ma le stelle si erano rivelate ironicamente avverse. Emise un suono inarticolato, come un uomo mezzo tramortito da una botta al capo. Faceva pietà.
            «Non riuscii a raggiungerlo che un po' di tempo dopo che ebbe oltrepassato il portone. Infine dovetti persino trottare un po', ma quando fui alla sua altezza e gli rinfacciai, ansimando, di essere fuggito, rispose: "Mai!", e fermatosi si girò verso di me con aria aggressiva. Gli spiegai che non avevo inteso dire che volesse fuggire lontano da me. "Da nessuno - da nessun uomo della terra", dichiarò con ostinazione. Mi astenni dal ricordargli l'unica ovvia eccezione, che avrebbe fatto scappare anche il più coraggioso di tutti gli uomini: pensavo che presto l'avrebbe scoperta da solo. Mi guardò con pazienza mentre io pensavo a qualcosa da dire senza riuscire a trovare nulla nell'ansia del momento, ed egli riprese a camminare. Gli rimasi al fianco e, ansioso di non perderlo, dissi frettolosamente che non volevo lasciarlo con la falsa impressione della mia - della mia - mi impappinai. Mentre tentavo di finirla, fui spaventato dalla stupidità di quella frase, ma il potere delle parole non ha nulla a che vedere con il loro senso o con la logica della loro costruzione. Quel mio bofonchiamento idiota parve piacergli. L'interruppe dicendo, con una quieta cortesia che era prova di un'immensa capacità di autocontrollo o di una straordinaria duttilità dello spirito: "L'errore è mio". Rimasi molto sorpreso da questa espressione: sembrava che stesse parlando di un episodio di nessuna importanza. Che non avesse compreso tutto il deprecabile significato? "La prego di perdonarmi", continuò, e proseguì malinconicamente. "Tutta quella gente in tribunale che guardava - sembravano così stupidi che - era naturale che mi venisse quel sospetto".
            «Ciò aggiunse alla mia meraviglia un nuovo punto di vista su di lui. L'osservai incuriosito e m'imbattei in uno sguardo sfrontato e impenetrabile. "Non posso sopportare questo genere di cose", disse con molta semplicità, "e non intendo farlo. In tribunale è diverso; ci sono costretto - e lì mi riesce".
            «Non pretendo di averlo capito. I lati del suo carattere che mi permise di conoscere erano come quelle visioni che si hanno quando una fitta cortina di nebbia per un attimo si squarcia - frammenti di particolari vividi e brevissimi che non danno un'idea coerente del quadro generale del paese. Alimentarono la mia curiosità senza soddisfarla; e non mi servirono per orientarmi. Nel complesso mi aveva messo fuori strada. Fu questa la conclusione che trassi dopo che ci fummo lasciati nella tarda serata. Da qualche giorno io alloggiavo alla Malabar House, e fu qui che accettò di cenare con me cedendo ai miei pressanti inviti.
           
           
CAPITOLO 7     (Torna all'indice)



            «Quel pomeriggio era arrivato al porto un postale in viaggio d'andata, e la grande sala da pranzo dell'albergo era piena per più di metà di persone, turisti che facevano il giro del mondo con in tasca un biglietto di andata e ritorno da cento sterline. C'erano coniugi che nel bel mezzo del viaggio parevano quasi domati e infastiditi dalla vita in comune; c'erano piccole comitive e grandi comitive, e individui solitari che pranzavano con solennità o festeggiavano clamorosamente; ma tutti ragionavano, conversavano, scherzavano o si irritavano esattamente come a casa loro, tutti intelligentemente reattivi verso le nuove esperienze quanto i loro bauli su in camera. Da qui in avanti, li avrebbero muniti di etichette, a dimostrazione di essere stati in un luogo o nell'altro, e così avrebbero fatto anche per il loro bagaglio. Avrebbero considerato con orgoglio questa distinzione della loro persona, e conservato quelle etichette incollate al bagaglio come prove documentali, come la sola traccia permanente del loro sforzo di progredire. Servitori dalla faccia scura scivolavano senza far rumore sul vasto e lucido pavimento; di tanto in tanto si sentiva la risata di una ragazza, innocente e vuota come il suo cervello, oppure, fra uno sbattere di piatti e l'altro, il discorso affettato con cui qualche bello spirito descriveva per il divertimento dell'intera tavolata l'ultimo scandalo di bordo. Due zitelle giramondo vestite come regine compulsavano astiosamente il menu, muovendo in un bisbiglio le loro pallide labbra, legnose e stravaganti come sontuosi spaventapasseri. Un po' di vino aprì il cuore di Jim e gli sciolse la lingua. Notai anche che mangiava di buon appetito. Sembrava aver seppellito da qualche parte quell'episodio che aveva segnato l'inizio della nostra conoscenza. Era come una cosa di cui non si sarebbe mai più dovuto far menzione. E per tutto il tempo ebbi davanti a me quegli occhi azzurri e fanciulleschi che guardavano direttamente nei miei, quella giovane faccia, quelle spalle capaci, quella fronte abbronzata e aperta segnata da una linea bianca alla radice delle ciocche di capelli chiari, quella figura che a prima vista aveva suscitato tutte le mie simpatie, quell'aspetto franco, quel leale sorriso, quella serietà giovanile. Era come si deve; era uno di noi. Parlava sobriamente, con una sorta di composta schiettezza, e con un quieto contegno che sarebbe potuto essere il risultato di un virile autocontrollo, di impudenza, di insensibilità, di un'enorme incoscienza, di un colossale sotterfugio. Chi può dirlo? A giudicare dal tono, la nostra conversazione avrebbe potuto riguardare una terza persona, una partita di calcio, il tempo dell'anno scorso. La mia mente si disperse in un mare di congetture finché l'andamento della conversazione non mi permise di fargli osservare, senza risultare offensivo, che, nel complesso, l'inchiesta doveva essere stata molto logorante. Allungò di scatto le braccia sulla tovaglia e, afferrandomi la mano posata accanto al piatto, lanciò un'occhiata furiosa davanti a sé. Ne rimasi impressionato. "Dev'essere durissima", balbettai, confuso da questa muta espressione di emozioni. "Lo è - maledizione", sbottò con voce rauca.
            «Il suo gesto e le sue parole fecero sì che due distinti giramondo del tavolo vicino alzassero lo sguardo dal loro budino gelato, allarmati. Mi alzai e passammo nel primo salone per il caffè e i sigari.
            «Su piccoli tavoli ottagonali bruciavano candele in globi di vetro; mucchi di piante dalle foglie rigide formavano come salottini separati con comode sedie di vimini, e fra le colonne doppie allineate in una lunga fila, i cui fusti rossastri erano investiti dal luccichio delle alte finestre, la notte, cupa e scintillante, sembrava stendersi come uno splendido tessuto. Le mobili luci delle navi ammiccavano da lontano come le stelle al tramonto, e al di là della rada le colline parevano nere masse tondeggianti di pietrificate nuvole temporalesche.
            «"Non ho potuto andarmene", cominciò Jim. "Il capitano sì - buon pro gli faccia. Io non ne ho avuto la possibilità, né avrei voluto. Tutti se ne sono tirati fuori in un modo o nell'altro, ma per me non è giusto".
            «Ascoltavo attento e concentrato, senza neppure cambiare posizione sulla sedia; volevo capire - ma anche dopo tanto tempo non ci sono riuscito e posso solo fare delle congetture. In un solo attimo egli appariva fiducioso e depresso, come se qualche convinzione della propria innata innocenza avesse soffocato la verità che si sentiva continuamente torcere dentro. Cominciò col dire, con il tono di chi ammette la propria incapacità a saltare un muro di sette metri, che a casa non poteva più tornare; e questa dichiarazione mi fece venire alla mente ciò che aveva detto Brierly, secondo cui "il vecchio parroco dell'Essex sembrava orgogliosissimo di quel suo figlio in marina".
            «Non so dirvi se Jim si rendesse conto di essere oggetto di un "orgoglio" particolare, ma il tono delle sue allusioni al "mio papà" aveva lo scopo di farmi comprendere come il buon vecchio sacerdote di campagna fosse l'uomo migliore che mai si fosse afflitto per le cure di una famiglia numerosa da quando era stato creato il mondo. E ciò, pur non espresso esplicitamente, era suggerito con un'ansia di non lasciare alcun dubbio in proposito, il che era davvero molto sincero e simpatico, ma aggiungeva agli altri elementi della storia un'acuta tristezza per creature lontane. "Ormai avrà letto tutto sui giornali nazionali", disse Jim. "Non potrò più guardare in faccia il mio vecchio". A questa frase non osai alzare gli occhi su di lui finché non lo sentii aggiungere: "Non potrei mai spiegarglielo. Non capirebbe". Quindi alzai lo sguardo. Stava fumando con aria meditabonda, e dopo qualche attimo si scosse e riprese a parlare. Mi rivelò subito il desiderio di non voler essere confuso con gli altri responsabili di quel - "di quel reato, chiamiamolo pure così". Non era come loro; era un tipo completamente diverso. Non lo contraddissi. Non avevo alcuna intenzione, per il rispetto della nuda verità, di sottrargli la minima particella di grazia salvifica che potesse giungere sul suo cammino. Non so quanto ne fosse convinto lui stesso. Non so a che cosa mirasse - ammesso che mirasse a qualcosa - e sospetto che non lo sapesse neanche lui; perché sono convinto che nessuno capisce mai fino in fondo i propri abili sotterfugi, messi in opera per evitare l'inquietante ombra della conoscenza di sé. Non intervenni mai, ogni volta che ripeté di non sapere cosa sarebbe stato meglio fare dopo che "fosse finita quella stupida inchiesta".
            «Evidentemente condivideva la sprezzante opinione di Brierly su queste procedure imposte dalla legge. Mi confessò di non sapere dove andare, chiaramente pensando più ad alta voce che non parlando direttamente a me. Ritiro della licenza, carriera finita, mancanza di soldi per potersene andare, nessun lavoro in vista. Forse a casa avrebbe potuto ottenere qualcosa, ma ciò avrebbe significato chiedere aiuto ai suoi, e questo non l'avrebbe mai fatto. Non vedeva altra possibilità che imbarcarsi come marinaio semplice - magari sarebbe riuscito ad avere un ingaggio come quartiermastro su qualche piroscafo. Come quartiermastro sarebbe andato bene... "Pensa di riuscirci?", gli chiesi impietosamente. Balzò in piedi, e andando alla balaustra di pietra guardò fuori nella notte. Dopo un momento tornò, e si fermò ritto davanti alla mia sedia, imponente nella sua alta statura; la sua faccia giovanile era offuscata dal dolore di un'emozione dominata. Aveva capito molto bene che non stavo mettendo in dubbio la sua capacità di governare una nave. Con voce leggermente tremante mi chiese perché avessi detto quell'ultima frase, io che ero stato "infinitamente" gentile con lui. Non avevo neppure riso di lui quando - e qui cominciò a farfugliare - "quell'errore, capisce - ha fatto di me un maledetto imbecille". L'interruppi dicendogli con tono vivace che per me un errore di quel genere non era una cosa di cui si potesse ridere. Si sedette e bevve lentamente il caffè, vuotando la tazzina fino all'ultima goccia. "Questo non significa dire che io ammetta neanche per un momento che l'osservazione fosse giusta", esclamò con voce chiara. "No?", domandai. "No", ribadì con calma determinazione. "Sa che cosa avrebbe fatto lei? Lo sa? Eppure lei non si considera," e deglutì... "non si considera un - un - animale?".
            «E a questo punto - parola d'onore! - mi guardò con aria interrogativa. Evidentemente mi era stata rivolta una domanda - una domanda in buona fede! Tuttavia non attese la mia risposta. Riprese a parlare prima che io potessi riavermi, con gli occhi fissi davanti a sé, come se stesse leggendo qualcosa nella materia stessa della notte. "Tutto sta nell'essere pronti. Io non lo ero; no - non allora. Non voglio cercare scuse; ma vorrei spiegare - vorrei che qualcuno capisse - qualcuno - almeno una persona! Lei! Perché non lei?".
            «Era una scena solenne, e anche un po' ridicola, come lo sono sempre gli sforzi dell'individuo che cerca di salvare dalla distruzione l'idea di ciò che dovrebbe essere la sua identità morale, questa preziosa nozione di una convenzione, che è solo una delle regole del gioco, nulla più, e che tuttavia è terribilmente efficace nell'affermazione del suo illimitato dominio sugli istinti naturali, nelle spaventose punizioni per le sue mancanze. Cominciò il suo racconto con tono abbastanza tranquillo. A bordo di quel piroscafo della Dale Line che aveva raccolto i quattro alla deriva in una barca, alla luce discreta del mare al tramonto, dopo il primo giorno avevano cominciato a guardarli con sospetto. Il grasso capitano aveva dato una certa versione, gli altri erano rimasti zitti, e inizialmente la storia era stata creduta. Nessuno sottopone a interrogatorio dei poveri naufraghi che ha avuto la fortuna di salvare, se non da una morte crudele, almeno da crudeli sofferenze. In seguito, avuto il tempo di rifletterci, gli ufficiali dell'Avondale dovettero essere colpiti dal dubbio che ci fosse "qualcosa di losco" in quella faccenda, ma naturalmente tennero la cosa per sé. Avevano raccolto il capitano, il secondo e due motoristi del piroscafo Patna affondato in mare e questo, molto opportunamente, era quanto bastava. Non chiesi a Jim quali fossero i suoi pensieri durante i dieci giorni trascorsi a bordo. Da ciò che disse di questo periodo io ero autorizzato a pensare che fosse rimasto in parte sgomento dalla scoperta che aveva fatto - dalla scoperta di se stesso - e senza dubbio era impegnato a spiegarne il senso al solo uomo in grado di apprezzarne la spaventosa enormità. Dovete capire che non tentò di minimizzarne l'importanza. Di questo sono certo; ed è qui la differenza. Quanto alle sensazioni che provò scendendo a terra e udendo le impreviste conclusioni sulla vicenda in cui aveva avuto una parte tanto squallida, non mi disse nulla, ed è difficile immaginarle.
            «Mi chiedo se non si sentisse mancare la terra sotto i piedi. Chissà. Comunque, molto presto riuscì a ritrovare un punto di appoggio. Attese a terra per due settimane all'Ostello del Marinaio, e poiché allora vi alloggiavano sei o sette uomini ebbi modo di avere qualche notizia di lui. Senza entusiasmo questi mi dissero quel che ne pensavano: pareva che, oltre a tutti gli altri difetti, fosse un tipo assai scontroso. Aveva passato quei giorni sulla veranda, sepolto in una sedia a sdraio, e uscendo dal suo sepolcro solo all'ora dei pasti o a tarda notte, quando camminava sulle banchine tutto solo, ignaro di quanto lo circondava, incerto e silenzioso, come uno spettro che non avesse trovato una casa per le sue apparizioni. "In tutto questo tempo credo di non aver detto più di due o tre parole ad anima viva", disse, ispirandomi una grande compassione; e immediatamente aggiunse: "Uno o l'altro di quegli individui avrebbe certamente detto qualcosa che avevo deciso di non tollerare da parte di nessuno, e io non volevo litigare. No! Allora no. Ero troppo - troppo non me la sentivo". "Dunque la paratia aveva tenuto, dopo tutto", osservai scherzosamente. "Sì", mormorò, "aveva tenuto. Eppure le giuro che l'avevo sentita con la mano mentre si curvava". "È straordinario quale pressione sia in grado di sostenere il ferro vecchio, qualche volta", dissi. Reclinato all'indietro sulla sedia, con le gambe allungate e rigide e le braccia penzoloni, annuì lievemente diverse volte. Non avreste potuto immaginare spettacolo più triste. Improvvisamente sollevò la testa, drizzò la schiena e si battè una gamba. "Ah! Che occasione perduta! Mio Dio! Che occasione perduta!", esclamò di scatto, ma il suono dell'ultimo "perduta" sembrò un grido strappato dal dolore.
            «Tacque di nuovo; quieto e distaccato, il suo volto esprimeva il feroce rammarico di aver sciupato quell'opportunità, con le narici che si dilatarono per un attimo, quasi inalando l'ubriacante sentore dell'occasione sprecata. Se pensate che io ne fossi sorpreso o scandalizzato, mi fate più volte torto! Ah, era davvero un povero diavolo ricco di fantasia! Si era tradito; si era arreso. Nel suo sguardo, che puntava nelle tenebre della notte, vidi il suo essere interiore trasportato, proiettato a capofitto nel regno fantastico delle aspirazioni eroiche e avventate. Non ebbe modo di rimpiangere ciò che aveva perso, era assorbito così totalmente e naturalmente da quanto non era riuscito ad ottenere. Era lontanissimo da me, che pure lo guardavo da meno di un metro. Ad ogni momento si addentrava sempre più profondamente nel mondo impossibile delle imprese romantiche. Era arrivato al cuore di quel mondo, finalmente! Una strana espressione di beatitudine si diffuse sul suo viso, e gli brillarono gli occhi alla fiamma delle candele che ci separavano; giunse a sorridere! Era penetrato nel cuore stesso di quel mondo - nel cuore stesso. Era un sorriso estatico che sulle vostre facce non comparirà mai, ragazzi miei - e neppure sulla mia, del resto. Lo richiamai alla realtà dicendogli: "Intende dire, se lei fosse rimasto sulla nave!".
            «Si girò verso di me con gli occhi improvvisamente sgomenti e pieni di dolore, con un viso sbalordito, perplesso, sofferente, come se fosse caduto giù da una stella. Né voi né io guarderemo mai nessuno in questo modo. Ebbe un brivido profondo, come se un dito gelido gli avesse toccato il cuore. Alla fine sospirò.
            «Io non ero di un umore particolarmente tenero. Trovavo irritanti quelle sue contraddittorie confidenze. "È una sfortuna che lei non l'abbia capito prima!", dissi malignamente; ma il mio perfido strale non lo colpì - cadde ai suoi piedi come una freccia senza spinta, senza che egli si preoccupasse di raccoglierlo. Forse non l'aveva neppure visto. Subito disse, allungandosi sulla sedia: "Accidenti! Le dico che si curvava. Tenevo la luce lungo l'angolare del ponte inferiore quando una scaglia di ruggine grande come la palma della mia mano cadde dalla lastra, senza che nessuno la toccasse". Si passò la mano sulla fronte. "Si agitava e vibrava come una cosa viva mentre l'osservavo". "Questo l'ha molto preoccupata", commentai con semplicità. "Immagina che stessi pensando a me stesso", disse, "con alle spalle centosessanta persone, tutte profondamente addormentate, nel solo interponte di prua - e altri a poppa; e altri ancora sul ponte - che dormivano - che non ne sapevano niente - una quantità tre volte superiore ai posti sulle scialuppe, anche se ci fosse stato il tempo? Mi aspettavo di vedere il ferro aprirsi davanti a me e l'acqua investirli mentre erano lì sdraiati... Che cosa potevo fare - cosa?".
            «Me lo posso facilmente immaginare, nel buio popolato di quel luogo cavernoso, alla luce della lampada che illuminava una piccola parte della paratia che dall'altro lato reggeva il peso dell'oceano, e nelle orecchie il respiro dei dormienti inconsapevoli. Lo vedo scrutare il ferro, trasalire alla caduta della ruggine, schiacciato dalla consapevolezza della morte incombente. A quanto capii, questa era la seconda volta che era stato mandato a prua da quel suo comandante che, ho motivo di pensare, voleva tenerlo lontano dal ponte. Mi disse che il suo primo impulso era stato di gridare e di far sì che tutte quelle persone si svegliassero di colpo davanti al terrore; ma fu sopraffatto da un tale senso di impotenza che non fu in grado di emettere alcun suono. Immagino che tale sia la sensazione che si prova quando si dice di sentirsi la lingua appiccicata al palato. "Troppo secca", fu l'espressione concisa da lui adoperata per descrivere il suo stato. Senza alcun rumore, dunque, si arrampicò in coperta attraverso il boccaporto numero uno. Una vela lì attrezzata oscillò e lo colpì per caso, e ricordò che il tocco leggero della tela sulla faccia lo fece quasi ricadere giù dalla scaletta del boccaporto.
            «Confessò di essersi sentito mancare non poco le ginocchia, osservando sul ponte di prua un'altra distesa di folla addormentata. Dal momento che erano state fermate le macchine, il fumo usciva a sbuffi. Il suo profondo brontolio faceva vibrare la notte come una corda di basso, e con sé la nave.
            «Qua e là scorse una testa che si sollevava dalla stuoia, una vaga forma che si alzava a sedere, e dopo avere ascoltato per un istante nel dormiveglia ripiombava distesa, in un'ondeggiante confusione di casse, argani a vapore, ventilatori. Si rese conto che tutte queste persone non ne sapevano abbastanza per capire cosa significasse quello strano rumore. La nave di ferro, gli uomini con la faccia bianca, le visioni, i suoni - tutto quello che era a bordo era ugualmente estraneo a quell'ignorante e pia moltitudine, e rassicurante come se per sempre fosse destinato a restar loro incomprensibile. Gli venne in mente che ciò era una fortuna. Al solo pensarci, era terribile.
            «Dovete ricordare che egli era convinto, come chiunque altro al suo posto, che la nave stava per affondare da un momento all'altro; quelle lastre arrugginite, che trattenevano l'oceano, dovevano cedere fatalmente, tutto d'un tratto, come una diga minata, e lasciar passare una piena improvvisa e devastante. Si fermò a guardare quei corpi distesi: lui, un uomo dal destino segnato, cosciente del suo fato, osservava la silenziosa brigata dei morti. Erano morti! Nulla poteva salvarli! Forse c'erano scialuppe sufficienti per la metà di loro, ma non c'era tempo. Non c'era tempo! Non c'era tempo! Non gli sembrava valesse la pena aprire la bocca, muovere un dito o un piede. Prima che potesse urlare due parole, o fare due passi, sarebbe stato immerso in un mare terribilmente biancheggiante per gli sforzi disperati degli esseri umani, risonante dell'angoscia delle grida di aiuto. Non vi era alcun aiuto. Ebbe un'esatta percezione di ciò che sarebbe avvenuto; lo sperimentò mentre restava immobile accanto al boccaporto con la lampada in mano - lo sperimentò fino all'ultimo straziante dettaglio. Penso che l'abbia di nuovo sperimentato raccontandomi queste cose, che in tribunale non aveva potuto dire.
            «"Vidi con la stessa chiarezza con cui ora vedo lei che non c'era nulla che potessi fare. Mi parve che ciò mi svuotasse di ogni forza. Pensai che sarei anche potuto stare lì fermo ad aspettare. Non pensavo di avere molti secondi...". Improvvisamente il vapore smise di sbuffare. Osservò che quel rumore lo aveva fatto impazzire, ma il silenzio divenne subito opprimente in modo insopportabile.
            «"Sentivo che sarei soffocato prima di annegare", disse.
            «Protestò di non avere pensato a salvare se stesso. Il solo pensiero che prendeva continuamente forma nel suo cervello, che spariva e si riformava, era: ottocento persone e sette scialuppe, ottocento persone e sette scialuppe.
            «"Qualcuno parlava a voce alta dentro la mia testa", esclamò come un poco fuori di sé. "Ottocento persone e sette scialuppe - e non c'era tempo! Ci pensi un momento". Si chinò verso di me sopra al tavolino, e io cercai di evitare il suo sguardo. "Pensa che avessi paura della morte?", chiese con voce molto aspra e bassa. La sua mano aperta piombò sul tavolo con un colpo tale che fece traballare le tazze del caffè. "Sono pronto a giurare di no - no... per Dio - no!". Si tirò su e incrociò le braccia; il mento gli cadde sul petto.
            «Un lieve tintinnio di piatti ci arrivava attenuato attraverso le alte finestre. Ci fu un vociare improvviso, e diversi uomini uscirono nel salone, di ottimo umore. Stavano scambiandosi scherzose reminiscenze sugli asini del Cairo. Un giovane pallido e ansioso che si muoveva con leggerezza sulle lunghe gambe era oggetto delle canzonature di un giramondo impettito e rubicondo, a proposito degli acquisti che aveva fatto al bazar. "No, davvero? - pensa proprio che mi abbiano raggirato così?", chiese con un tono di grande serietà e ponderazione. La comitiva si disperse, lasciandosi andare a mano a mano sulle sedie; si accendevano fiammiferi che illuminavano per un secondo facce prive di ogni parvenza d'espressione e il lucido piatto biancore degli sparati delle camicie; il ronzio di quelle cento conversazioni animate dall'ardore dell'allegria mi pareva assurdo e infinitamente lontano.
            «"Parte dell'equipaggio dormiva sopra il boccaporto numero uno, vicinissimo a dove mi trovavo", riprese Jim.
            «Dovete sapere che su quella nave si adottavano i turni Kalashee, con l'equipaggio che poteva riposare per tutta la notte e il servizio notturno affidato solo ai quartiermastri e alle vedette. Egli ebbe la tentazione di afferrare per le spalle il marinaio indigeno più vicino e di scuoterlo, ma non lo fece. Qualcosa gli trattenne le braccia inerti lungo i fianchi. Non ebbe paura - oh no! solo non poté - tutto qui. Forse non ebbe paura della morte, ma sapete che cosa penso? - ebbe paura dell'emergenza. La sua maledetta immaginazione aveva evocato in lui tutti gli orrori del panico, la massa che calpesta, le grida pietose, le scialuppe inondate - tutti gli spaventosi episodi delle catastrofi in mare di cui aveva sentito parlare. Forse si sarebbe rassegnato a morire, ma sospetto che volesse morire senza un'aggiunta di quei terrori, tranquillamente, in una sorta di pacifica trance. Una certa predisposizione alla morte non è rarissima, ma difficilmente si incontrano uomini il cui animo, reso acciaio dall'armatura impenetrabile della risolutezza, è pronto a combattere fino in fondo una battaglia perduta: il desiderio di pace si rafforza con l'affievolirsi della speranza, e alla fine soffoca la volontà stessa di vivere. Chi di noi qui non ha osservato questo fenomeno, o magari non ha provato personalmente qualcosa di questa sensazione - quest'estrema stanchezza delle emozioni, la vanità degli sforzi, la brama del riposo? Lo sanno bene tutti coloro che lottano contro forze soverchianti - i superstiti dei naufragi nelle scialuppe, i viaggiatori sperduti nel deserto, gli uomini che si battono contro le forze cieche della natura o la stupida brutalità delle folle».
           
           
CAPITOLO 8     (Torna all'indice)

             «Per quanto tempo sia rimasto immobile accanto al boccaporto in attesa che la nave gli sprofondasse sotto i piedi da un istante all'altro e che la violenza dell'acqua lo colpisse alla schiena e lo travolgesse come un fuscello, non saprei dirlo. Non molto - forse due minuti. Un paio di uomini che non riuscì a individuare cominciarono a conversare con voce assonnata, e contemporaneamente, non sapeva dire dove, percepì un curioso scalpicciare di passi. Al di sopra di questi tenui rumori c'era la terribile quiete che precede la catastrofe, il tremendo silenzio dell'attimo prima dello schianto; quindi gli venne in mente che forse avrebbe avuto il tempo di precipitarsi a tagliare le cimette delle rizze, per permettere alle scialuppe di galleggiare quando la nave fosse affondata.
            «Il Patna aveva un lungo ponte sul quale si trovavano tutte le scialuppe, quattro da un lato e tre dall'altro: la più piccola di loro era a babordo e quasi a ridosso dell'agghiaccio. Mi assicurò, palesemente ansioso di essere creduto, di aver fatto molta attenzione a che fossero predisposte per essere utilizzate immediatamente. Conosceva i suoi doveri. Direi che da questo punto di vista era un buon primo ufficiale. "Ho sempre pensato che in ogni momento si dovesse essere pronti per il peggio", commentò fissandomi ansiosamente in viso. Annuii a quel saggio principio, distogliendo lo sguardo dalla sottile mancanza di solidità dell'uomo.
            «Cominciò a correre con grande difficoltà. Doveva scavalcare gambe, evitare di urtare contro le teste. Improvvisamente qualcuno gli afferrò la giacca da sotto il gomito, e una voce preoccupata gli parlò da dietro le spalle. La luce della lampada che portava nella mano destra cadde su una faccia scura rivolta verso l'alto, i cui occhi lo supplicavano insieme con le parole. Avendo imparato qualcosa di quell'idioma, riuscì a comprendere la parola acqua, ripetuta diverse volte in tono di insistenza, di preghiera, quasi di disperazione. Diede uno strattone per liberarsi e si sentì abbracciare una gamba.
            «"Quel poveraccio si aggrappava a me come uno che sta affogando", disse con enfasi. "Acqua, acqua! Di che acqua parlava? Che cosa sapeva? Con la voce più calma che potei gli ordinai di lasciarmi andare. Mi stava trattenendo, mentre era rimasto pochissimo tempo e altri uomini avevano cominciato a muoversi; avevo bisogno di tempo - di tempo per liberare le scialuppe. Mi prese le mani, e sentii che avrebbe cominciato a urlare. Mi venne in mente come in un lampo che tanto sarebbe bastato a creare del panico, e muovendomi con il braccio libero lo colpii in faccia con la lampada. Il vetro tintinnò, la luce si spense, ma il colpo gli fece abbandonare la presa e io corsi via - volevo arrivare alle scialuppe; volevo arrivare alle scialuppe. Lui mi balzò dietro. Mi girai ad affrontarlo. Non voleva star quieto; cercò di urlare; lo strinsi fin quasi a soffocarlo prima di riuscire a capire che cosa volesse. Voleva un po' d'acqua - acqua da bere; sa, c'era un rigoroso razionamento delle scorte e lui aveva con sé un ragazzino che avevo notato diverse volte. Il bambino era malato - e aveva sete. Avendomi visto passare mi chiedeva dell'acqua. Tutto qui. Eravamo al buio sotto il ponte. Continuava a stringermi i polsi; non c'era modo di liberarsi di lui. Mi precipitai nella mia cuccetta, afferrai la bottiglia dell'acqua e gliela ficcai nelle mani. Sparì. Solo allora mi resi conto di quanta voglia di bere fosse venuta anche a me". Appoggiandosi a un gomito si portò la mano agli occhi.
            «Mi sentii rabbrividire lungo la schiena; in tutto ciò c'era qualcosa di strano. Le dita che gli coprivano gli occhi tremavano lievemente. Ruppe quel breve silenzio.
            «"Sono cose che capitano una sola volta nella vita di un uomo e... Ah! bene! Quando infine arrivai al ponte, quei miserabili stavano togliendo una delle scialuppe dalle morse. Una scialuppa! Stavo salendo di corsa la scaletta, quando mi arrivò sulla spalla un colpo violento che mi mancò di poco la testa. Non riuscì a fermarmi, e il primo motorista - ormai l'avevano tirato giù dalla cuccetta - sollevò di nuovo il puntapiedi. In qualche modo non riuscivo più a sorprendermi di niente. Tutto ciò mi parve naturale - e terribile - e terribile. Scansai quel maledetto pazzo e lo sollevai dal ponte come se fosse stato un bambino. Cominciò a piagnucolarmi fra le braccia: 'No! No! Ti avevo preso per uno di quei negri'. Lo scaraventai via e lui ruzzolò per il ponte andando a far cadere quello piccolo, il secondo motorista. Il capitano, che era occupato con la scialuppa, mi venne incontro a testa bassa, ringhiando come una belva. Non battei ciglio. Rimasi fermo come questo muro", e batté leggermente con le nocche sulla parete accanto alla sedia. "Era come se avessi già sentito tutto, visto tutto, provato tutto una ventina di volte. Non avevo paura di loro. Mi misi in guardia stringendo i pugni e lui si arrestò borbottando:
            «"'Ah! È lei. Mi dia una mano, svelto.'
            «"Ecco quello che disse. Svelto! Come se si potesse essere abbastanza svelti. 'Lei ha intenzione di fare qualcosa?', chiesi. 'Sì. Tagliare la corda', ringhiò girando la testa.
            «"Non credo di avere capito allora quello che intendesse dire. Nel frattempo gli altri due si erano rimessi in piedi e si erano precipitati alla scialuppa. Facevano una gran confusione, ansimavano, spingevano, imprecavano contro la barca, contro la nave, si insultavano - insultavano me. Tutto fra versi e mugolii. Io non mi mossi, non parlai. Osservavo l'inclinazione della nave. Rimaneva ferma, come posata sull'invasatura di un bacino di carenaggio - solo che era così". Sollevò la mano con la palma sotto e le punte delle dita inclinate verso il basso. "Così", ripeté. "Vedevo la linea dell'orizzonte chiarissima davanti a me, al di sopra della ruota di prua; vedevo in lontananza il baluginare nero dell'acqua, che era immobile - immobile come uno stagno, di un'immobilità mortale, immobile quale il mare non era mai stato, così immobile che non riuscivo a guardarla. Ha mai visto una nave rimanere a galla inclinata di prua e impedita dall'affondare da una lastra di ferro vecchio troppo marcio perché lo si possa riparare? L'ha mai vista? Sì. Ripararla... Ci avevo pensato - avevo pensato a tutto ciò a cui si può pensare; ma si può riparare una paratia in cinque minuti - o anche in cinquanta? Dove avrei trovato gli uomini disposti a scendere lì sotto? E il legname - il legname! Lei avrebbe avuto il coraggio di vibrare il primo colpo di mazza a quella paratia se l'avesse vista? Non dica di sì; lei non l'ha vista; nessuno l'avrebbe fatto. Maledizione - per fare una cosa di questo genere bisognava credere che ci fosse almeno una possibilità, una su mille, uno straccio di possibilità, e neanche lei ci avrebbe creduto. Non ci avrebbe creduto nessuno. Lei mi considera un animale per essere rimasto lì fermo, ma che cosa avrebbe fatto lei? Che cosa? Non può dirlo - non può dirlo nessuno. Non c'era neppure il tempo di voltarsi. Che cosa avrebbe voluto che facessi? Che favore avrei fatto a tutte quelle persone, che da solo non avrei mai potuto salvare, che nulla avrebbe potuto salvare, facendole impazzire dalla paura? Mi guardi. È tutto vero, come è vero che sono seduto qui davanti a lei".
            «Ad ogni breve frase respirava intensamente e mi lanciava rapide occhiate in faccia, come se nella sua angoscia ne sorvegliasse l'effetto. Non stava parlando con me: stava solo parlando davanti a me, in una disputa con una personalità invisibile, un compagno inseparabile e antagonista della sua vita - un comproprietario della sua anima. Erano questioni che andavano al di là della competenza di un tribunale: era un dibattito sottile ma di grande importanza sulla vera essenza della vita, e non aveva bisogno di un giudice. Aveva bisogno di un alleato, di un collaboratore, di un complice. Avvertii il rischio che correvo di essere raggirato, accecato, allettato, magari intimorito, perché prendessi una precisa posizione in una disputa impossibile da decidere se si voleva mantenere l'imparzialità verso quei fantomatici contendenti - verso l'onestà che aveva i suoi diritti, e verso la disonestà che aveva le sue esigenze. Non riesco a spiegare a voi, che non lo avete visto e che sentite le sue parole solo di seconda mano, quanto fossero confusi i miei sentimenti. Mi sembrava di essere impegnato a comprendere l'Inconcepibile - e non conosco nulla che sia paragonabile al disagio di una tale situazione. Fui indotto ad osservare quanta convenzionalità si annidasse in ogni verità e quanta fosse la sincerità essenziale della menzogna. Egli faceva appello contemporaneamente a più lati - al lato sempre volto alla luce del giorno, e a quello che, come l'altra faccia della luna, ha un'esistenza segreta avviluppata in un'oscurità perpetua, sui cui confini cade talvolta solo un cinereo e spaventoso riflesso. Mi dominava. Lo ammetto, lo confesso. Il fatto era oscuro, insignificante - tutto quello che volete: un giovanotto perduto, uno su un milione - ma lui era uno di noi; l'episodio era del tutto privo di importanza, come l'inondazione di un formicaio, e tuttavia il mistero di quel suo comportamento mi aveva afferrato, come se egli fosse un singolo esemplare all'avanguardia di quelli come lui, come se quell'oscura verità coinvolta fosse così importante da modificare la concezione che l'umanità aveva di se stessa... ».
            Marlow si fermò per riaccendere il sigaro che si era spento, parve dimenticarsi completamente della storia, e improvvisamente riprese.
            «Era colpa mia, naturalmente. Non c'è motivo di interessarsi a un fatto del genere. È una mia debolezza. La sua era diversa. La mia debolezza consiste nel non avere la capacità di distinguere i fatti accidentali, i fatti esteriori - di non distinguere né gli stracci del barbone né i bei vestiti del primo che incontro. Ecco, del primo che incontro. Ho incontrato tanti uomini», proseguì con un attimo di tristezza - «e li ho incontrati anche con un certo - un certo impatto, diciamo; come questo individuo, per esempio - e in ciascun caso tutto ciò che riuscii a scorgere fu solo l'essere umano. È una qualità di visione dannatamente democratica, che può essere migliore di una cecità totale, ma che a me non ha portato vantaggio alcuno, posso assicurarvelo. La gente pretende considerazione per i propri bei vestiti. Ma io non sono mai riuscito ad entusiasmarmi per queste cose. Oh, è un difetto; è un difetto; e poi viene una dolce serata; e un bel po' di uomini troppo indolenti per fare una partita a whist - e un racconto...».
            Si fermò di nuovo, forse in attesa di un incoraggiamento, ma nessuno parlò; solo il padrone di casa mormorò, quasi sentendosene obbligato controvoglia:
            «Lei è così sottile, Marlow...»
            «Chi? Io?», disse Marlow a bassa voce. «Oh, no! Lui sì; e nonostante faccia di tutto per assicurare il successo a questa storia, ci sono molte sfumature che non riesco a comunicare - erano così sottili, così difficili da tradurre in parole incolori. Perché anche lui complicò tutto con la sua estrema semplicità - era l'essere più semplice che abbia conosciuto!... Per Giove! Era sbalorditivo. Se ne stava lì a dirmi tranquillamente che non aveva paura di nulla - e ci credeva pure. Vi dico che la sua incredibile innocenza era smisurata, smisurata! L'osservai furtivamente, come se avessi sospettato che volesse prendersi proprio gioco di me. Era certo che, in un combattimento leale, "leale, badi bene!", non c'era nessuno che lui non fosse in grado di affrontare. Sin da quando era "alto così" - "un ragazzino imberbe", si preparava a tutte le difficoltà che si possono incontrare per terra e per mare. Confessò con orgoglio di ricordare questa sua lungimiranza. Si era raffigurato pericoli e aveva predisposto difese, aveva previsto il peggio, aveva fatto le prove per combattere al meglio. Deve essere vissuto in una continua esaltazione. Ma ci pensate? Un succedersi di avventure, la gloria, un crescere pieno di vittorie! e il profondo senso della sua sagacia a coronare ogni giornata della sua vita interiore. Si era dimenticato di sé; gli brillavano gli occhi; e ad ogni parola sentivo che il mio cuore, scrutato dalla luce di quell'assurdità, mi opprimeva sempre più il petto in modo indicibile. Non avevo intenzione di ridere, e per paura che mi scappasse un sorriso diedi al mio volto un'espressione impietrita. Egli diede segni di irritazione.
            «"Quello che avviene è sempre l'inatteso", dissi in tono conciliante. La mia ottusità provocò in lui uno sprezzante "Puah!". Immagino che con questo volesse dire che l'inatteso non poteva toccarlo; nulla se non l'inconcepibile poteva avere la meglio sulla sua perfetta preparazione. Era stato colto di sorpresa - e bisbigliò fra sé e sé una maledizione alle acque e al firmamento, alla nave, agli uomini. Ogni cosa lo aveva tradito! Lo aveva malignamente indotto a quella specie di nobile rassegnazione che gli impediva persino di alzare un dito, mentre quegli altri, che avevano una chiarissima percezione dell'effettiva necessità, si urtavano l'un l'altro e sfacchinavano come disperati intorno alla scialuppa. Qui, all'ultimo momento, qualcosa non aveva funzionato. Sembra che nella gran fretta avessero manovrato in modo da bloccare il chiavistello della morsa superiore, perdendo per questo inconveniente quel poco di equilibrio mentale che era loro rimasto. Doveva essere un bello spettacolo, la frenetica attività di quei miserabili tesi e affannati su un bastimento immobile che galleggiava quietamente nel silenzio di un mondo addormentato, in lotta contro il tempo per liberare la scialuppa, che brancolavano carponi, che si rialzavano per la disperazione, che tiravano, che spingevano, che si ringhiavano insulti velenosi, pronti a uccidere, pronti a piangere, trattenuti nella loro voglia di scagliarsi l'uno contro l'altro solo dalla paura della morte che li osservava, ritta e silenziosa dietro a loro come un freddo e inflessibile sorvegliante. Oh, sì! Dev'essere stato proprio un bello spettacolo. Ed egli lo vide dal principio alla fine, e poteva parlarne con disprezzo e amarezza; sono arrivato alla conclusione che lo ricordava nei minuti dettagli grazie a una sorta di sesto senso, perché mi giurò di essersene rimasto in disparte senza neppure degnare di un'occhiata i compagni e la scialuppa - neanche per un momento. E io gli credo. Direi che era troppo occupato ad osservare la pericolosa inclinazione della nave, la minaccia incombente rivelatasi nel mezzo della sicurezza più totale - ed era affascinato da quella spada appesa per un filo sopra la sua testa in tumulto.
            «Nulla al mondo si muoveva davanti ai suoi occhi, ed egli poteva liberamente raffigurarsi la brusca salita del cupo orizzonte, l'improvvisa impennata della vasta distesa del mare, l'ascesa rapida e costante, la stretta dell'abisso, la lotta senza speranza, la luce delle stelle che gli si chiudeva sopra per sempre come la volta di una tomba - la ribellione della sua giovane vita - la tenebra finale. Poteva raffigurarselo! Per Giove! chi non ne sarebbe stato capace? Dovete ricordare che in questo campo era un vero artista, era un povero diavolo dotato di fulminee capacità di preveggenza. Ciò che queste gli mostrarono lo raggelò dalla punta dei piedi alla radice dei capelli, ma nel suo cervello c'era una danza scatenata di visioni, una danza di pensieri zoppi, ciechi e muti - un vorticare di esseri orribilmente deformi. Non vi ho detto che egli si confessò davanti a me come se io avessi il potere di legare e di sciogliere? Scavò a fondo, a fondo, nella speranza di una mia assoluzione, che non poteva avere alcun valore per lui. Era uno di quei casi che nessuna solenne falsità può lenire, in cui nessuno può essere d'aiuto, in cui anche il Creatore sembra abbandonare il peccatore a se stesso.
            «Si trovava a dritta del ponte, per quanto poté capire da quell'accapigliarsi intorno alla scialuppa, che continuò con l'eccitazione della pazzia e con la segretezza di una congiura. Nel frattempo i due malesi erano rimasti a tenere la ruota del timone. Immaginatevi per un momento i protagonisti di questo, grazie a Dio! unico episodio di mare: quattro fuori di sé per i loro sforzi frenetici e furtivi, e tre che osservavano nella completa immobilità, al di sopra dei tendoni che coprivano la profonda ignoranza di centinaia di esseri umani, con la loro stanchezza, i loro sogni, le loro speranze, arrestati, trattenuti da una mano invisibile a un passo dall'annientamento. Che fosse così, non ne ho alcun dubbio: considerando lo stato della nave, si tratta della descrizione più micidiale possibile dei fatti. I miserabili della scialuppa avevano tutto il diritto di impazzire di paura. Francamente, fossi stato lì, anch'io non avrei dato un soldo per la possibilità che la nave restasse ancora a galla il secondo dopo. E tuttavia rimase a galla! Quei pellegrini addormentati erano destinati a compiere il loro pellegrinaggio sino all'amarezza di qualche altra fine. Era come se l'Onnipotente cui rivolgevano le loro preghiere avesse avuto bisogno della loro umile testimonianza sulla terra ancora per un po', e avesse guardato giù all'oceano, comandandogli con un segno: "Tu non lo farai!". La loro salvezza mi turberebbe come un evento prodigioso e inspiegabile se non sapessi quale resistenza può avere il ferro vecchio - la stessa capacità di tener duro che troviamo a volte nello spirito di uomini conosciuti qua e là, ridotti a larve e pur tuttavia ancora in piedi sotto il peso della vita. Non meno sorprendente di questi venti minuti è per me il comportamento dei due uomini al timone. Erano fra i diversi indigeni portati lì da Aden per testimoniare all'inchiesta. Uno di loro, che era in preda a una forte timidezza, era molto giovane, e per la sua pelle gialla e liscia e l'espressione allegra sembrava anche più giovane di quanto fosse. Ricordo perfettamente che Brierly gli chiese, attraverso l'interprete, che cosa avesse pensato allora, e l'interprete, dopo un breve colloquio, disse rivolgendosi al tribunale con tono solenne:
            «"Dice che non ha pensato a nulla".
            «L'altro, un uomo con un'espressione paziente negli occhi semichiusi, un fazzoletto di cotone azzurro sbiadito dai molti lavaggi legato con un nodo elegante su folti ciuffi grigi, un viso cupo e incavato e una pelle bruna resa più scura da un reticolo di rughe, spiegò che ebbe coscienza che qualcosa di male stava capitando alla nave, ma non c'era stato nessun ordine; non ricordava nessun ordine; perché doveva lasciare il timone? Sottoposto ad ulteriori domande, scrollò le gracili spalle e dichiarò che allora non gli venne mai in mente che gli uomini bianchi fossero in procinto di abbandonare il piroscafo per paura della morte. E non lo credeva neanche adesso. Forse c'erano delle ragioni segrete. Scosse la vecchia testa con aria d'intesa. Ah! ragioni segrete. Era un uomo di grande esperienza, lui, e voleva che quel Tuan bianco sapesse - e si volse verso Brierly che non sollevò il capo - che aveva imparato molte cose servendo gli uomini bianchi in mare per un grande numero di anni - e improvvisamente, con un tono sempre più animato, riversò sulla nostra affascinata attenzione una valanga di nomi strani, nomi di comandanti morti e scomparsi, nomi di navi locali dimenticate, nomi familiari pronunciati con suoni distorti, come se la muta mano del tempo vi avesse lavorato sopra per secoli. Alla fine lo fermarono. Sul tribunale cadde il silenzio - un silenzio che rimase ininterrotto per almeno un minuto e che fu seguito da un lieve e diffuso brusio. Quell'episodio fu il più sensazionale dell'udienza del secondo giorno - e coinvolse tutto il pubblico, coinvolse tutti tranne Jim, che era seduto meditabondo all'estremità del primo banco, e che non guardò mai questo straordinario teste d'accusa che sembrava possedere una misteriosa teoria difensiva.
            «Così i due malesi rimasero attaccati al timone di quella nave priva di abbrivio, dove li avrebbe trovati la morte se questo fosse stato il loro destino. I bianchi non rivolsero loro nemmeno una fuggevole occhiata: probabilmente si erano dimenticati della loro esistenza. È certo che Jim non se n'era ricordato. Ricordò che non poteva fare niente; non poteva fare niente, ora che era solo. Non c'era altro da fare che affondare con la nave. Era inutile agitarsi tanto. Non era vero? Aspettò in piedi, senza emettere un suono, irrigidito nell'idea di un eroismo discreto. Il primo motorista, con cautela, attraversò di corsa il ponte a tirarlo per la manica.
            «"Venga ad aiutare! Per amor di Dio, venga ad aiutare!".
            «Tornò alla scialuppa correndo in punta di piedi e ricominciò subito a tormentargli la giacca, con implorazioni miste ad imprecazioni.
            «"Credo che mi avrebbe baciato le mani", disse Jim selvaggiamente, "ma subito dopo si mette a bisbigliarmi con la bava alla bocca guardandomi in faccia: 'se avessi tempo ti spaccherei la testa.' Lo spinsi via. Improvvisamente mi afferrò per il collo. Accidenti a lui! Lo colpii. Menavo colpi senza guardare. 'Ma non vuoi salvarti la vita - maledetto codardo?', dice singhiozzando. Codardo! Mi ha chiamato maledetto codardo! Ah! ah! ah! ah! Mi ha chiamato - ah! ah! ah!...".
            «Si era tirato indietro sulla sedia sussultando per il gran ridere. In vita mia non avevo mai sentito nulla di più amaro di quel suono. Cadeva come gelo su tutta quell'allegria causata da asini, piramidi, bazar e il resto. Per tutta la lunghezza oscura del salone le voci cessarono, i pallidi tondi delle facce si volsero verso di noi con un unico movimento, e il silenzio divenne così profondo che il chiaro tintinnio di un cucchiaino caduto sul pavimento a mosaico della veranda risuonò come un minuscolo grido argentino.
            «"Non deve ridere così in mezzo a tutta questa gente", gli dissi in tono di rimprovero. "Non sta bene, capisce?".
            «Dapprima non diede segno di aver capito, ma dopo un po', con uno sguardo che, ignorandomi del tutto, sembrava scrutare un'orribile visione, borbottò con noncuranza: "Oh, penseranno che sono ubriaco".
            «E dopo di ciò si sarebbe detto, dal suo aspetto, che non avrebbe più aperto bocca. Niente paura! Ormai per lui tacere era altrettanto impossibile quanto cessare di vivere con un semplice atto di volontà».
           
           
CAPITOLO 9 

  «"Dicevo fra me: 'Affonda, maledetta! Affonda!'". Furono queste le parole con cui riprese a parlare. Voleva farla finita. Era disperatamente solo e formulò nel proprio cervello questa imprecazione all'indirizzo della nave, mentre, contemporaneamente, aveva il privilegio di assistere - da quanto si può giudicare - a scene farsesche. Il comandante stava dando ordini: "Andate sotto e cercate di sollevare"; gli altri naturalmente si tiravano indietro. Capirete che infilarsi sotto la chiglia di una scialuppa non era proprio la cosa più desiderabile, nell'eventualità che la nave affondasse all'improvviso. "Perché non ci vai tu - che sei il più forte?", piagnucolò il piccolo motorista. "Gott for-dam! Io sono troppo grosso", urlò disperato il capitano. Era tutto così comico che avrebbe fatto ridere anche i sassi. Si fermarono per un momento, finché il primo motorista si scagliò contro Jim.
            «"Vieni ad aiutare, forza! Sei matto a sprecare l'unica occasione di salvezza! Vieni ad aiutare, forza! Forza! Guardate lì - guardate!".
            «E finalmente, guardando a poppa, Jim vide quello che l'altro indicava con insistenza maniacale. Un silenzioso piovasco nero che occupava già un terzo del cielo. Sapete bene come sorgano i temporali da quelle parti in questo periodo dell'anno. Prima si nota un rabbuiarsi dell'orizzonte - solo questo; poi si leva una nube densa come un muro. Una colonna di vapore orlata di inquietanti striature bianche sorge da sud-ovest, inghiottendo intere costellazioni di stelle; la sua ombra vola sulle acque e fonde mare e cielo in un unico abisso di oscurità. E tutto è calmo. Non ci sono tuoni, vento, rumori; non un guizzo di lampi. Quindi compare un arco livido nella tenebrosa immensità; passano una o due onde lunghe che sembrano fluttuazioni dell'oscurità stessa e, improvvisamente, vento e pioggia colpiscono insieme con una violenza straordinaria, come se avessero appena abbattuto qualcosa di solido che li tratteneva. Quella nube si era addensata senza che loro se ne accorgessero. La scorsero, e capirono subito che se in condizioni di perfetta quiete il bastimento aveva qualche remota possibilità di restare a galla ancora per qualche minuto, il minimo turbamento del mare avrebbe voluto dire la fine immediata. La prima oscillazione all'ondata che precede lo scoppio di un simile temporale sarebbe stata anche l'ultima, sarebbe diventata un tuffo in avanti, si sarebbe prolungata, per così dire, in una lunga discesa a capofitto, giù, giù fino al fondo. Di qui questi altri soprassalti di paura, questi nuovi lazzi con cui mostravano la loro assoluta avversione alla morte.
            «"Era nera, nera", proseguì Jim con cupa ostinazione. Ti era arrivata addosso da dietro. Quella cosa infernale! Immagino che in fondo ai miei pensieri ci fosse ancora qualche speranza. Non so. Ma adesso era finita. Ammattivo al pensiero di essere così in trappola. Ero arrabbiato, come se mi avessero messo in una gabbia. Ero in trappola! Ricordo anche che era una notte calda. Non c'era una bava d'aria".
            «La ricordava così bene che, ansimando nella poltrona, sembrava sudare e soffocare davanti ai miei occhi. Non c'è dubbio che quell'idea lo facesse impazzire; in certo qual modo fu un colpo inatteso, ma gli fece anche venire in mente che si era dimenticato del solo scopo per cui si era precipitato sul ponte. Era venuto lì per liberare le scialuppe della nave. Estrasse di scatto il coltello e cominciò a tagliare a destra e a manca, come se non avesse visto nulla, non avesse sentito nulla, non conoscesse nessuno a bordo. Gli altri pensarono che fosse irreparabilmente uscito di senno, ma non osarono opporsi esplicitamente a questa inutile perdita di tempo. Quando ebbe finito, tornò al posto esatto in cui si trovava prima. Il primo motorista era ancora lì, pronto a riafferrarlo e a bisbigliargli vicinissimo all'orecchio, con voce ringhiosa, quasi avesse voluto mangiarglielo:
            «"Pazzo imbecille! Pensi che avrai uno straccio di possibilità quando quella massa di animali sarà in acqua? Da quelle scialuppe cercheranno di spaccarti la testa".
            «Si torceva le mani a fianco di Jim, che l'ignorava. Il capitano continuava a rigirarsi rimanendo nello stesso posto, e a balbettare: "Martello! martello! Mein Gott! Prendete un martello".
            «Il motorista piccolo piagnucolava come un bambino, ma considerando il braccio rotto e tutto il resto finì per essere, come si vede, il meno vile del gruppo, riuscendo anche a raccogliere le forze per scendere alla sala macchine. Ad essere giusti, deve essergli costato non poco. Jim mi disse che diede occhiate disperate, come uno che non può più sfuggire, lanciò un debole lamento e schizzò via. Issandosi a fatica sulla scala, fu subito di ritorno, in mano il martello, e senza por tempo in mezzo si scagliò contro il chiavistello. Gli altri due abbandonarono subito Jim e gli corsero vicino per aiutarlo. Udì i colpi, i colpi del martello e il suono del chiavistello aperto che cadeva. La scialuppa era libera. Solo allora si girò a guardare - solo allora. Ma si tenne a distanza - si tenne a distanza. Voleva farmi sapere che si era tenuto a distanza; che non c'era niente in comune fra lui e quegli uomini - che avevano il martello. Proprio niente. È più che probabile che si considerasse separato da loro da uno spazio invalicabile, da un ostacolo insuperabile, da un baratro senza fondo. Fra sé e loro mise tutto lo spazio che poté - l'intera larghezza della nave.
            «Aveva i piedi incollati in quel punto remoto, e gli occhi gli rimanevano fissi a quell'ammasso indistinto di persone chine l'una sull'altra e appese come nel vuoto del tormento comune della paura. Una lampada a mano attaccata a un puntale al di sopra di un tavolino montato sul ponte - il Patna non aveva una sala nautica a mezza nave - gettava luce sulle loro spalle irrequiete, sulle loro schiene arcuate e sussultanti. Spingevano la prua della scialuppa; spingevano con grande forza nel buio della notte; spingevano senza più guardarlo. Lo avevano dato per perso come se fosse stato davvero troppo lontano, troppo irreparabilmente staccato da loro, per meritare un'invocazione, un'occhiata, un segno. Non avevano tempo per riflettere sul suo passivo eroismo, per sentire il rimorso del suo rifiuto. La scialuppa era pesante; loro spingevano la prua e non avevano fiato per parole di incoraggiamento; ma il turbine del terrore che aveva disperso il loro autocontrollo come pula al vento trasformò quegli sforzi disperati in scatti adatti, parola mia, più alle buffonerie dei pagliacci nelle farse. Spingevano con le mani, con il capo, spingevano per salvarsi la vita con tutto il peso del corpo, spingevano con tutta la potenza dell'anima - e non appena riuscivano a liberare dalla gru la poppa della scialuppa scattavano come un sol uomo, precipitandosi a bordo in un groviglio selvaggio. Inevitabilmente la barca arretrava di colpo, ricacciandoli all'indietro a urtarsi l'un l'altro. Per un istante restavano interdetti a scambiarsi con voce bassa e tagliente tutti i peggiori insulti che venivano loro in mente, e si ributtavano dentro. Tutto ciò si ripeté per tre volte. Jim mi descrisse la scena con cupa pensosità. Non aveva perso un solo movimento di quella comica impresa. "Li detestavo. Li odiavo. Fui costretto a vedere tutto", disse senza enfasi, volgendo su di me uno sguardo tetro e penetrante. "Ci fu mai qualcuno sottoposto a prova più vergognosa?".
            «Per un istante si prese la testa fra le mani, come un uomo spinto alla pazzia da un oltraggio indicibile. Erano cose che non poteva dire in tribunale - e neppure a me; neanch'io sarei stato in condizioni di ricevere le sue confidenze, se non fossi riuscito a capire il senso delle pause fra le parole. In questo attentato alla sua forza d'animo c'era lo scherno intenzionale di un'astiosa e ignobile vendetta; c'era qualcosa di burlesco in quel cimento - la degradazione dello sberleffo nell'avvicinarsi della morte o del disonore.
            «Non ho dimenticato i fatti che riferì, ma a questa distanza di tempo non posso ripeterli con le parole da lui usate: ricordo solo che riuscì ad esprimere meravigliosamente, insieme con la nuda esposizione degli eventi, l'intenso rancore che provava. Per due volte, mi disse, chiuse gli occhi nella certezza che la fine era prossima, e per due volte dovette riaprirli. Ogni volta notò l'oscurarsi di quella grande calma. L'ombra della nube silenziosa cadeva sulla nave dallo zenit e sembrava averne cancellato ogni suono di vita pullulante. Non sentiva più le voci sotto i tendoni. Mi disse che, ogni volta che chiudeva gli occhi, un lampo di intuizione gli mostrava, chiara come il giorno, quella folla di corpi, distesi ad aspettare la morte. E quando li riapriva, scorgeva la lotta confusa di quattro uomini impegnati in una folle battaglia con una barca ostinata. "Ad ogni attacco ricadevano all'indietro, si rialzavano imprecando l'uno contro l'altro e all'improvviso ritentavano un altro assalto tutti insieme... C'era da morire dal ridere", osservò con gli occhi bassi; quindi, alzandoli per un momento e fissandomi in viso, aggiunse con un mesto sorriso: "Avrò da divertirmi per il resto della vita, per Dio! perché prima di morire vedrò ancora molte volte questa buffissima scena". Abbassò di nuovo lo sguardo. "La rivedrò e la risentirò... La rivedrò e la risentirò", ripeté due volte, a lunghi intervalli riempiti da uno sguardo fisso nel vuoto.
            «Si scosse.
            «"Decisi di tenere gli occhi chiusi", disse, "e non ci riuscii. Non ci riuscii, e non m'importa che qualcuno lo sappia. Che provino una cosa del genere, prima di parlare. Ci provino - e facciano di meglio - ecco tutto. La seconda volta spalancai gli occhi e anche la bocca. Avevo sentito che la nave si muoveva. La prua si inclinava e si rialzava lievemente - e lentamente! con una lentezza eterna, in modo impercettibile. Erano giorni che non lo faceva. La nube era avanzata rapidamente e la prima ondata parve correre su un mare di piombo. Era un agitarsi senza vita, ma sufficiente a sconvolgermi la mente. Che cosa avrebbe fatto, lei? Lei, che è così sicuro di se stesso, no?, che cosa farebbe se adesso - proprio in questo momento - la casa in cui siamo si muovesse, si muovesse solo un po' sotto la sedia? Farebbe un balzo! Santo cielo! spiccherebbe un salto da dove si trova e finirebbe in mezzo ai cespugli qui sotto".
            «Stese il braccio verso la notte al di là della balaustra di pietra. Io rimasi in silenzio. Mi guardò molto fisso, con uno sguardo molto severo. Non c'era alcun dubbio: mi stava provocando, ed era opportuno che non facessi alcun segno per non essere indotto, da un gesto o da una parola, a fare una qualche fatale ammissione che avrebbe potuto influire in qualche modo sulla faccenda. Non ero disposto a correre rischi di sorta. Non dimenticate che l'avevo di fronte a me, e che era veramente troppo simile a noi per non essere pericoloso. E, se proprio volete saperlo, sono pronto a dirvi che effettivamente stimai, con una rapida occhiata, la distanza da lì alla massa più scura che si trovava in mezzo alla distesa erbosa davanti alla veranda. Esagerava. Io avrei mancato i cespugli di qualche metro - e questa è l'unica cosa di cui sono abbastanza certo.
            «La stretta finale era giunta, così pensò, e non si mosse. I piedi gli rimasero incollati alle tavole del ponte mentre i pensieri gli mulinavano confusamente nella testa. Fu proprio allora che vide uno degli uomini intorno alla scialuppa indietreggiare improvvisamente, agitare freneticamente le braccia alzate, barcollare e crollare. Per l'esattezza non cadde, ma scivolò dolcemente a sedere, tutto raggomitolato e con le spalle appoggiate a un fianco del lucernario della sala macchine. "Era quello che azionava le macchine ausiliarie. Un tipo magro e macilento, dai baffi incolti. Fungeva da terzo motorista", spiegò.
            «"Morto", dissi. Ne avevamo sentito parlare in tribunale.
            «"Così si è detto", dichiarò con cupa indifferenza. "Naturalmente non ne ho mai avuto la certezza. Era debole di cuore. Qualche tempo prima si era lamentato di non sentirsi bene. Emozione. Sforzo eccessivo. Lo sa il diavolo. Ah! Ah! Ah! Era facile capire che non voleva morire nemmeno lui. Buffo, no? Che mi prenda un accidente se non è vero che quegli altri lo hanno indotto ad ammazzarsi con un raggiro! Con un raggiro - né più né meno. Con un raggiro, per Dio! proprio mentre io... Ah! Se fosse rimasto tranquillo; se avesse detto loro di andarsene al diavolo quando sono venuti a tirarlo giù dalla cuccetta perché stava affondando la nave! Se fosse rimasto li ad insultarli con le mani in tasca!".
            «Si alzò, agitò il pugno, mi guardò furioso e si rimise a sedere.
            «"Ha perso un'occasione, eh?", mormorai.
            «"Perché non ride?", disse. "Uno scherzo infernale. Debole di cuore!... Qualche volta rimpiango di non esserlo stato anch'io".
            «Questo mi fece arrabbiare. "Davvero?", esclamai con profonda ironia. "Sì! Non capisce?", gridò. "Non so che cos'altro potrebbe desiderare", dissi rabbiosamente. Volse su di me uno sguardo vacuo: non aveva assolutamente capito. Anche questo colpo aveva mancato il bersaglio, ed egli non si preoccupava delle frecce vaganti. Parola mia, era troppo lontano dal sospettare: non c'era neanche gusto. Fui contento che il mio proiettile fosse andato a vuoto, che egli non avesse sentito neppure la vibrazione dell'arco.
            «Naturalmente allora non poteva sapere che l'uomo era morto. Il minuto che seguì - il suo ultimo a bordo - fu colmo di un tumulto di eventi e sensazioni che si scatenarono su di lui come il mare su uno scoglio. Uso questo paragone a ragion veduta, perché la sua relazione mi induce a credere che per tutto il tempo egli abbia mantenuto una strana illusione di passività, quasi non avesse avuto alcuna parte attiva ma si fosse lasciato trasportare dalle potenze infernali che lo avevano scelto come vittima del loro scherzo atroce. Il primo di questi avvenimenti fu lo sferragliante movimento delle pesanti gru che finalmente uscivano fuori dalle murate - uno stridio che sembrava entrargli nel corpo dal ponte attraverso le piante dei piedi, e arrivargli su per la spina dorsale fino alla nuca. Poi, con la tempesta ormai vicinissima, un'ondata più grossa sollevò lo scafo inerte in un'impennata minacciosa che gli fece mancare il respiro, mentre il cuore e il cervello erano trafitti da grida di terrore come da pugnali. "Lascia andare! Per amor di Dio, lascia andare! Sta affondando". Subito dopo i tiranti della scialuppa aprirono le morse, mentre sotto i tendoni molti uomini cominciarono a parlare con voce preoccupata. "Quando i miserabili scesero in mare, le loro urla erano tali che avrebbero svegliato i morti", disse. Subito dopo il forte rumore della barca, lasciata letteralmente cadere in acqua, venne il suono sordo dei corpi che si agitavano furiosamente dentro di essa, unito a grida confuse: "Sgancia! Sgancia! Spingi! Sgancia! Spingi se non vuoi morire. Ci arriva addosso il temporale...". Udì, alto sopra la testa, il debole mormorio del vento, e al di sotto dei piedi un urlo di dolore. Sottobordo una voce dispersa prese ad imprecare contro un gancio a tornichetto. La nave cominciò a ronzare a prua e a poppa come un alveare infastidito, e con la stessa tranquillità con cui ormai mi raccontava tutto quello che accadeva - perché proprio in quel momento era molto calmo nell'atteggiamento, in volto e nella voce - e senza che nulla, per dir così, preannunciasse quanto mi diceva, osservò: "Gli inciampai nelle gambe".
            «Seppi così per la prima volta che si era mosso. Non potei frenare un grugnito di sorpresa. Qualcosa lo aveva messo in movimento, infine, ma dell'esatto momento e della causa che lo aveva strappato alla sua immobilità ne sapeva quanto l'albero sradicato sa del vento che l'ha abbattuto. Tutto gli era piombato addosso: i suoni, le visioni, le gambe del morto - per Giove! Un demonio gli aveva fatto ingoiare quel boccone infernale, ma - badate bene - lui non era disposto ad ammettere nemmeno di aver aperto la bocca e deglutito. È sorprendente come potesse comunicarvi il senso della sua illusione. Ascoltavo come se fosse stato il racconto di una magia nera celebrata su un cadavere.
            «"Cadde su un fianco, piano piano, e questa è l'ultima cosa che ricordo di aver visto a bordo", continuò. «Non mi preoccupai di quello che faceva: sembrava che stesse cercando di tirarsi su, pensai che stesse cercando di tirarsi su, naturalmente: mi aspettavo di vederlo passare di corsa e scavalcare la ringhiera per saltare nella scialuppa dietro agli altri. Li sentivo agitarsi lì sotto, e una voce, come dal fondo di un pozzo, chiamò 'George!'. Quindi tre voci si levarono insieme a urlare. Le percepii separatamente: un belato, uno strillo, un ululato. Uh!".
            «Rabbrividì lievemente, e l'osservai alzarsi con lentezza, come se dall'alto una mano ferma lo stesse tirando su dalla sedia afferrandolo per i capelli. Su, lentamente - fino a quando non fu completamente eretto, e quando le ginocchia furono tese, la mano lo lasciò andare ed egli barcollò. Quando disse "Urlarono", diede l'idea, con il volto, i movimenti e la voce stessa, di un terribile silenzio - e involontariamente tesi le orecchie a cogliere il fantasma di quell'urlo, che avrei percepito immediatamente grazie al falso effetto del silenzio. "C'erano ottocento persone su quella nave", disse, inchiodandomi allo schienale della sedia con quel suo tremendo sguardo vuoto. "Ottocento persone vive, e loro urlavano all'unico morto di scendere a salvarsi. 'Salta, George! Salta! Oh, salta!' Rimasi lì con la mano sulla gru. Ero molto tranquillo. Ormai il buio era fittissimo. Non si poteva vedere né il cielo né il mare. Sentii la scialuppa che sbatteva, sbatteva sottobordo e per un po' non avvertii alcun suono da giù, ma la nave sotto di me era piena di voci. Improvvisamente il comandante gridò: 'Mein Gott! La tempesta! La tempesta! Tira via!' Al primo scroscio di pioggia e alla prima raffica di vento urlarono: 'Salta, George! Ti prendiamo noi! Salta!' La nave cominciò a inclinarsi lentamente in avanti; la pioggia l'investiva come un mare infuriato; mi volò via il berretto dalla testa; il respiro mi si mozzò in gola. Udii, come se fossi stato in cima a una torre, un altro urlo selvaggio: 'Geo-o-o-orge! Oh, salta!' La nave andava giù, giù, di prua, sotto i miei piedi...".
            «Sollevò deliberatamente la mano al viso e agitò le dita come se volesse togliersi delle ragnatele, guardandosi poi la palma aperta per mezzo secondo prima di esplodere:
            «"Ero saltato". Si fermò e distolse lo sguardo... E poi soggiunse: "Evidentemente".
            «I suoi occhi azzurri si volsero a fissarmi con un'espressione penosa, e vedendolo lì in piedi davanti a me, triste e sbigottito, fui oppresso da un senso doloroso di rassegnata saggezza, misto alla divertita e profonda pietà che prova un vecchio impotente davanti a qualche disastro infantile.
            «"Pare proprio di sì", mormorai.
            «"Non me ne resi conto fino a quando non guardai in su", si affrettò a spiegare. È possibile anche questo. Bisognava ascoltarlo come si fa con un fanciullo nei guai. Non se ne rendeva conto. Era andata così. Non sarebbe accaduto mai più. Era caduto in parte su qualcuno e aveva urtato il bordo di uno dei sedili. Ebbe l'impressione di essersi rotto tutte le costole del lato sinistro; quindi rotolò su se stesso, e vagamente vide la nave che aveva abbandonato torreggiare su di lui, con la luce del fanale di via che rosseggiava, ingrandita dal riflesso della pioggia come un falò sulla costa di una collina attraverso la foschia. "Sembrava più alta di una muraglia; incombeva sulla scialuppa come una scogliera a picco sul mare... Avrei voluto morire", esclamò. "Non c'era modo di tornare indietro. Era come se fossi saltato dentro un pozzo - in un buco profondissimo ed eterno..."».
           
           
CAPITOLO 10

  

            «Intrecciò le dita e quindi le riaprì. Nulla poteva essere più vero: aveva proprio fatto un salto in un buco profondissimo ed eterno. Era precipitato da un'altezza che non sarebbe più riuscito a risalire. La scialuppa aveva ormai superato la prua della nave. Era troppo buio perché i naufraghi potessero vedersi, ed erano inoltre accecati e pressoché sommersi dalla pioggia. Mi disse che era come essere investiti da un'ondata all'interno di una caverna. Volsero la schiena alla tempesta; a quanto pare il capitano mise un remo a poppa per tenere la barca con la prua al vento, e per due o tre minuti sembrò che fosse arrivata la fine del mondo con il diluvio che si era scatenato nell'impenetrabile oscurità. Il mare rumoreggiava "come ventimila pentole in ebollizione". La similitudine è sua, non mia. Immagino che non ci fosse molto vento dopo la prima raffica, ed egli stesso aveva ammesso, all'inchiesta, che quella notte il mare non si era particolarmente alzato. Si accoccolò a prua e si voltò a lanciare indietro un rapido sguardo. Vide solo il bagliore giallo della luce dell'albero di maestra, alto e confuso come l'ultima stella che sta per dissolversi. "Vedere ancora la nave mi terrorizzò", disse. Disse proprio questo. Ciò che lo terrorizzava era il pensiero che non ci fosse ancora stato il naufragio. Senza dubbio voleva che quell'abominio si compisse il più presto possibile. Nella barca nessuno fiatava. Nel buio sembrava volare, ma naturalmente non poteva avere molto abbrivio. Quindi il temporale passò davanti a loro, e il grande, insopportabile frastuono battente seguì la pioggia che si allontanò e sparì. Poi non sentirono più nulla, tranne uno sciabordio leggero contro i fianchi della scialuppa. Qualcuno batteva violentemente i denti. Una mano lo toccò sulla schiena. Una debole voce disse: "Sei lì?". Un'altra esclamò tremolante: "Se n'è andata!", e tutti si alzarono a guardare a poppa. Non videro luci. Solo buio fitto. Sulla faccia sentivano ora una pioggerella fredda e sottile. La barca sbandò leggermente. L'uomo riprese a battere i denti più rapidamente, si fermò e ricominciò altre due volte, prima di riuscire a padroneggiare il tremito tanto da dire: "A... Appena in tem-tempo... Brrr". Riconobbe la voce del primo motorista che diceva cupamente: "L'ho vista andar giù. Per caso avevo guardato da quella parte". Il vento era caduto quasi completamente.
            «Scrutarono nelle tenebre, con la testa mezzo girata dalla parte del vento, come se si aspettassero di sentire delle grida. Dapprima fu contento che la notte avesse impedito ai suoi occhi di vedere quella scena; subito dopo il sapere che fosse avvenuta senza avere scorto o udito nulla gli parve il momento culminante di una terribile catastrofe. "Strano, vero?", mormorò, interrompendo quella sconnessa narrazione.
            «A me non sembrava strano. Inconsciamente doveva essere convinto che la realtà non poteva essere brutta, angosciosa, spaventosa e maligna come il terrore creato dalla sua immaginazione. Credo che, in quel primo momento, avesse il cuore straziato da tutta quella sofferenza, e che il suo animo assaporasse l'accumularsi di tutta la paura, di tutto l'orrore, di tutta la disperazione di ottocento esseri umani ghermiti nella notte da una morte improvvisa e violenta. Perché mai, altrimenti, avrebbe detto: "Sentii che dovevo saltare fuori da quella barca maledetta e tornare a nuoto a vedere - mezzo miglio - di più - qualunque distanza - proprio fino a quel punto..."? Perché questo impulso? Capite l'importanza? Perché proprio fino a quel punto? Perché non annegarsi sottobordo - se proprio voleva annegarsi? Perché tornare fino a quel punto, per vedere - come se la sua immaginazione dovesse essere consolata dalla certezza che tutto era finito, prima che la morte arrivasse anche per lui come un sollievo? Sfido chiunque di voi a darne una spiegazione diversa. Fu come una visione bizzarra ed esaltante in uno squarcio di nebbia. Fu una rivelazione straordinaria, che egli diede come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. Tuttavia soffocò quell'impulso, e fu allora che divenne consapevole del silenzio. Fu lui stesso a dirmelo. Il silenzio del mare e del cielo si fondevano in un'immensità indefinita, quieta come la morte attorno a quelle vite salvate e palpitanti. "Nella barca si sarebbe potuto sentir cadere uno spillo", disse con una curiosa contrazione delle labbra, come un uomo che, raccontando un fatto estremamente commovente, cerchi di controllare le proprie emozioni. Il silenzio! Dio solo, che lo aveva fatto a quel modo, sa che cosa provò in cuor suo. "Non pensavo che potesse esistere sulla terra un luogo così pieno di silenzio", disse. "Non si poteva distinguere il cielo dal mare; non c'era nulla da vedere e nulla da sentire. Non un bagliore, non una forma, non un suono. Si sarebbe potuto credere che ogni pezzetto di terraferma fosse finito in fondo all'acqua; e che ogni uomo della terra fosse annegato tranne me e quei miserabili". Appoggiò le nocche sul piano del tavolo fra tazze di caffè, bicchieri di liquore, mozziconi di sigaro. "Dovetti crederlo anch'io. Tutto era scomparso - tutto era finito..." sospirò profondamente..., "per me".
            Marlow rizzò improvvisamente la schiena e gettò via con forza il sigaro, che disegnò una fiammante traccia rossa, come quella di un razzo di carnevale lanciato da dietro una parete di rampicanti. Nessuno si mosse.
            «Ehi, che cosa ne pensate?», esclamò con improvvisa animazione. «Non pare anche a voi che sia stato coerente con se stesso? Quella vita che aveva salvato era finita, per mancanza di terreno sotto i piedi, di cose per gli occhi, di voci per le orecchie. Fu come un annientamento! E per tutto il tempo ci fu solo cielo nuvoloso, mare che non si aprì, aria che non si mosse. Solo notte; solo silenzio.
            «Per un po' andò avanti così, e quindi provarono tutti insieme il desiderio di commentare ad alta voce lo scampato pericolo. "Ho capito subito che sarebbe affondata". "Proprio all'ultimo momento". "C'è mancato un pelo, perdio!". Lui non disse nulla, ma sentì alzarsi di nuovo il vento che era caduto, una dolce brezza che spirava fresca e costante, mentre il mare aggiungeva il suo mormorio alla loquacità con cui gli uomini reagivano ai momenti di muto terrore. Era affondata! Era affondata! Non c'erano dubbi. Nessuno avrebbe potuto evitarlo. Ripeterono più volte le stesse frasi, come se fossero stati incapaci di fermarsi. Non avevano mai dubitato che sarebbe affondata. Le luci erano scomparse. Senza ombra di equivoco. Le luci erano scomparse. Non ci si poteva aspettare altro. Doveva affondare... Egli notò che parlavano come se alle spalle non si fossero lasciati altro che una nave vuota. Conclusero che non doveva aver impiegato molto ad andar giù, e ciò parve dar loro un senso di soddisfazione. Si rassicurarono l'un l'altro col dire che non doveva aver impiegato molto - "Era piombata giù come un masso". Il primo motorista dichiarò che al momento di affondare la luce dell'albero di maestra sembrava cadere "come un fiammifero buttato via acceso". A questa osservazione il secondo motorista ebbe una risata isterica. "Sono co-contento, sono co-contento". I denti gli continuarono a battere "come un sonaglio elettrico", disse Jim, "e all'improvviso cominciò a piangere. Piangeva e frignava come un bambino, trattenendo il respiro e singhiozzando: 'Povero me! Povero me! Povero me!'. Cessava per un po' e all'improvviso riprendeva: 'Oh, il mio povero braccio! oh, il mio povero bra-aaccio!'. Mi era venuta voglia di stenderlo con una botta in testa. Uno o due erano seduti in fondo a poppa. Riuscivo appena a distinguerne le forme. Mi pervenivano voci, borbottii, grugniti. Tutto questo mi sembrava insopportabile. E avevo freddo. E non potevo fare nulla. Ma pensai che se mi fossi mosso sarebbe stato per buttarmi in mare e...".
            «Allungò la mano cautamente, senza guardare, e sfiorando un bicchierino la ritirò di scatto, come se avesse sentito un tizzone ardente. Io spinsi leggermente avanti la bottiglia. "Ne vuole ancora?", dissi. Mi guardò infuriato. "Crede che abbia bisogno di farmi coraggio con l'alcol per raccontare quello che c'è da raccontare?", chiese. Il battaglione di turisti era andato a letto. Eravamo soli tranne che per una vaga forma bianca in piedi nella penombra, che quando si vide osservata avanzò leggermente imbarazzata, esitò, indietreggiò in silenzio. Si stava facendo tardi, ma non lo diedi a vedere al mio ospite.
            «Mentre rimaneva lì a riflettere tutto sconsolato udì i suoi compagni cominciare ad insultare qualcuno. "Che cosa ti impediva di saltare, pazzo?", disse una voce rabbiosa. E sentì che il primo motorista lasciava la poppa e avanzava barcollando, quasi con fare minaccioso, verso "il più grande idiota mai esistito". Dalla sua posizione al remo il capitano scagliava con la sua voce rauca epiteti offensivi. In mezzo a quel frastuono Jim alzò la testa e percepì il nome "George", mentre una mano sbucata dal buio lo colpiva al petto. "Che cos'hai da dire adesso, stupido?", domandò qualcuno con una specie di virtuoso furore. "Ce l'avevano con me", osservò. "Mi insultavano - mi insultavano... chiamandomi George".
            «Si fermò a guardare fisso, cercò di sorridere e proseguì volgendo gli occhi. "Il motorista piccolo mi mette la testa sotto il naso: 'Accidenti, è quel maledetto primo ufficiale'. 'Cosa?', ulula il capitano dall'altra estremità della scialuppa. 'No!', strilla il primo motorista. E anche lui si fermò a guardarmi in faccia".
            «Improvvisamente il vento aveva abbandonato la barca. Era ricominciato a piovere, e il debole, ininterrotto e misterioso suono con cui il mare riceve il temporale saliva da ogni parte nell'oscurità. "Dapprima rimasero così sbalorditi che non riuscirono a parlare", disse riprendendo la narrazione, "e io che cosa avrei potuto dir loro?". Esitò per un momento e fece uno sforzo per proseguire. "Mi lanciavano ingiurie terribili". La sua voce, abbassata quasi ad un sussurro, ogni tanto esplodeva all'improvviso, indurita da un furore sdegnoso, come se stesse rivelando segreti abominevoli. "Non importa che cosa mi dissero", aggiunse cupamente. "Sentivo l'odio nelle loro voci. E questa era una cosa buona. Non mi perdonavano di essere su quella barca. Non potevano sopportarlo. Li mandava su tutte le furie". Fece una risatina. "Ma questo mi trattenne da... Guardi! Ero seduto a braccia conserte sul bordo!...". Si appoggiò con cura sull'orlo del tavolo e incrociò le braccia... "Così - vede? Sarebbe bastato sporgersi un po' all'indietro e sarei andato giù - dietro agli altri. Solo sporgersi un po' - un niente - un niente". Aggrottò la fronte e, toccandosi la testa con la punta del medio: "Ce l'ho avuta qui per tutto il tempo", disse in tono solenne. "Per tutto il tempo - quell'idea. E la pioggia - fredda, fitta, fredda come neve appena sciolta - più fredda - sui miei vestiti leggeri di cotone - non avrò mai più tanto freddo in vita mia, lo so. E il cielo era nero - tutto nero. Non una stella, non una luce tutt'intorno. Nulla, al di fuori di quella dannata barca e di quei due che abbaiavano stizzosamente come due cagnacci bastardi a un ladro rifugiato su una pianta. Bau! Bau! 'Che ci fai qui? Sei proprio un bel tomo! Troppo signore, lui, per dare una mano. Ti sei svegliato finalmente, eh? E sei venuto giù zitto zitto. Vero?' Bau! Bau! 'Non meriti di vivere!' Bau! Bau! Facevano a gara a chi abbaiava più forte. E quell'altro a poppa, dietro a una cortina di pioggia - non riuscivo a vederlo - non riuscivo a distinguerlo - a vomitare insulti con la sua linguaccia. Bau! Bau! Grrr-grrr-grrr! Bau! Bau! Era un sollievo sentirli; mi tennero in vita, le dico. Mi hanno salvato la vita. E continuavano, come se volessero buttarmi fuori con lo strepito che facevano!... 'Strano che tu abbia avuto il coraggio di lanciarti. Qui non ti vogliamo. Se avessi saputo chi eri ti avrei buttato fuori con le mie mani - animale schifoso. Che ne hai fatto dell'altro? Dove hai trovato il coraggio per saltar giù - vigliacco? Non so che cosa ci trattenga dallo scaraventarti in mare...' Erano senza fiato; sul mare il temporale era passato. Quindi, più nulla. Intorno alla barca non c'era nulla, neppure un suono. Mi volevano vedere in mare, non è così? Per l'anima mia! Credo che li avrei accontentati se solo se ne fossero rimasti zitti. Scaraventarmi in mare! Davvero? 'Provateci', dissi. 'Lo farei per due soldi'. 'Troppo per uno come te', risposero insieme con le loro voci stridule. Era così buio che ero certo di vederli solo quando si muovevano. Perdio! Avrei davvero voluto che ci provassero".
            «Non potei fare a meno di esclamare: "Una cosa davvero singolare!".
            «"Niente male, eh?", rispose lui, come sorpreso. "Mi fecero capire che secondo loro avevo fatto fuori il motorista ausiliario per qualche ragione. Perché l'avevo fatto? E che diavolo ne sapevo? Non ero finito, in qualche modo, dentro la barca? In quella barca - io..." I muscoli intorno alle labbra gli si contrassero in una smorfia inconscia che sconvolse la maschera della sua espressione consueta - qualcosa di violento, breve e illuminante come lo zigzagare di un lampo che per un istante rivela all'occhio le segrete circonvoluzioni di una nuvola. "Certamente. C'ero anch'io lì con loro - no? Non è terribile essere spinti a fare una cosa del genere - ed esserne responsabili? Che ne sapevo io di quel loro George di cui continuavano a blaterare? Ricordavo di averlo visto accasciato sul ponte. 'Vigliacco assassino!', continuava a urlarmi il primo motorista. Sembrava che sapesse solo quelle due parole. Non me ne curavo, ma cominciavo ad essere preoccupato del fracasso che faceva. 'Chiudi il becco', dissi. Al che raccolse tutte le sue forze per emettere uno strillo infernale. 'L'hai ammazzato. L'hai ammazzato'. 'No', urlai, 'ma adesso ammazzo te'. Balzai in piedi e lo sentii cadere all'indietro al di là dell'asse del sedile, con un tonfo che risuonò fortissimo. Non so come. Troppo buio. Immagino che abbia tentato di indietreggiare. Rimasi in piedi immobile a guardare verso poppa, e il povero secondo motorista cominciò a piagnucolare: 'Non vorrai picchiare uno con un braccio rotto? - e ti reputi pure un gentiluomo'. Udii un passo pesante - uno - due - e un grugnito ansimante. Stava arrivando verso di me l'altro animale, armeggiando rumorosamente con il remo a poppa. Lo vidi muoversi, grasso, grosso - come si scorge un uomo nella nebbia, in un sogno. 'Vieni', gridai. L'avrei voluto buttar fuori come un sacco di stracci. Si fermò, borbottò qualcosa fra sé e tornò al suo posto. Forse aveva sentito arrivare il vento. Io no. Fu l'ultima raffica forte. Mi dispiacque. Avrei voluto cercare di...".
            «Aprì e richiuse le dita piegate e agitò le mani con un gesto deciso e crudele. "Calma, calma", mormorai.
            «"Eh? Che cosa? Non sono agitato", protestò profondamente offeso, facendo cadere la bottiglia del cognac con un brusco movimento del gomito. Io feci un balzo in avanti, con grande fracasso della sedia. Lui si allontanò di scatto dal tavolo, come se gli fosse esplosa una bomba alle spalle, e fece un mezzo giro prima di accovacciarsi davanti a me pallido, con gli occhi sbarrati e le narici frementi. Assunse un'espressione di profonda contrarietà. "Mi dispiace moltissimo. Che stupido sono stato!", bofonchiò con grande irritazione, mentre l'acuto odore dell'alcol versato ci avvolse all'improvviso, immergendo la fresca e pura oscurità della notte nell'atmosfera di una volgare bettola. Nella sala da pranzo le luci erano spente; la nostra candela splendeva solitaria nel salone, e le colonne erano totalmente immerse nel buio. Alla vivida luce stellare l'alto spigolo degli uffici portuali spiccava distintamente al di là del lungomare, come se quella cupa massa fosse scivolata accanto a noi per vedere e sentire.
            «Assunse un'aria indifferente.
            «"Direi che sono meno tranquillo adesso di allora. Allora ero pronto a tutto. Quelle erano sciocchezze..."
            «"Ha passato dei bei momenti su quella scialuppa", osservai.
            «"Ero pronto", ripeté. "Dopo la scomparsa delle luci della nave, su quella barca sarebbe potuto accadere di tutto - di tutto al mondo - senza che il mondo ne sapesse niente. Io lo sentivo, e ne ero soddisfatto. Era anche molto buio. Eravamo come uomini murati vivi in un sepolcro spazioso. Nessun contatto con l'esterno. Nessuno a fare commenti. Nulla contava". Per la terza volta durante la nostra conversazione scoppiò in una fragorosa risata, ma non c'era nessuno vicino a noi che potesse ritenerlo semplicemente ubriaco. "Nessun timore, nessuna legge, nessun rumore, nessuno sguardo - e neanche il nostro, d'altronde, fino - almeno fino all'alba".
            «Fui affascinato dalla suggestiva verità delle sue parole. C'è qualcosa di strano in una piccola barca dispersa nella vastità del mare. Sulle vite appena sottratte all'ombra della morte sembra cadere l'ombra della follia. Quando viene a mancare la nave, pare che venga a mancare tutto il mondo; il mondo che vi ha creato, che vi ha educato, che si è preso cura di voi. È come se le anime di uomini sospesi su un abisso e a contatto con l'immensità fossero libere di commettere qualunque eccesso di eroismo, di assurdità, o di abominio. Naturalmente, come per la fede, il pensiero, l'amore, l'odio, la certezza, e persino l'aspetto esterno delle cose materiali - ogni naufragio è diverso dall'altro così come ogni uomo è diverso dall'altro, e in questo c'era qualcosa di abietto che rendeva l'isolamento ancora più completo - nelle sue circostanze c'era un'infamia tale che isolava ancor più completamente questi uomini dai loro simili, il cui ideale di condotta non era mai stato messo alla prova da uno scherzo infernale e spaventoso. Erano esasperati con lui per quel suo vile opportunismo: lui riversava su di loro il suo odio per tutto ciò che era avvenuto, e avrebbe voluto vendicarsi concretamente per la terribile opportunità a cui lo avevano esposto. Una scialuppa in alto mare è il luogo ideale per far emergere l'Irrazionale che si annida in fondo a ogni pensiero, sentimento, sensazione, emozione. Il fatto che non siano venuti alle mani fa parte del farsesco squallore che pervadeva quel particolare naufragio. Fu tutta una minaccia, una finzione straordinariamente efficace, un'impostura dal principio alla fine, preparata dalla tremenda indignazione delle Potenze Oscure, i cui veri terrori, sempre prossimi al trionfo, sono sempre frustrati dalla saldezza degli uomini. Dopo avere atteso per un po' chiesi: "E poi, che avvenne?". Domanda inutile. Ne sapevo già troppo per sperare in un tocco di grazia che li nobilitasse, nel favore di un'ombra di follia, di un accenno d'orrore. "Niente", disse. "Io facevo sul serio, mentre per loro era tutta una scena. Non avvenne niente".
            «E il sorgere del sole lo ritrovò ancora alla prua della barca, proprio come quando era saltato giù. Quale costanza nel rimanere all'erta! E per tutta la notte aveva tenuto in mano la barra del timone. Il resto del timone l'avevano fatto cadere in mare mentre cercavano di caricarlo sulla scialuppa, e suppongo che un calcio avesse mandato la barra a prua durante quei loro frenetici tentativi su e giù dalla barca, quando cercavano di fare tutto quell'enorme numero di cose per allontanarsi dal fianco della nave. Era un pezzo lungo e pesante di legno duro, e a quanto pare lo strinse per circa sei ore. Questo significa essere all'erta! Ve lo immaginate, in piedi e in silenzio per metà della notte, con il viso rivolto alle raffiche di pioggia, impegnato a scrutare forme scure, attento a vaghi movimenti teso a cogliere i rari sussurri che provenivano dalla poppa? Fermo coraggio o disperata paura? Voi che ne pensate? Certamente un'innegabile capacità di resistenza. Circa sei ore sulla difensiva; sei ore di vigile immobilità mentre la scialuppa andava lentamente alla deriva o galleggiava immobile a seconda del capriccio del vento; mentre il mare, ormai calmo, finalmente dormiva; mentre le nuvole gli passavano sopra la testa; mentre l'immensità nera e opaca del cielo digradava in una volta scura e lucida, scintillava di uno splendore più intenso, sbiadiva ad est, impallidiva allo zenit; mentre le nere sagome che a poppa coprivano la vista delle stelle più basse assumevano forma e rilievo; diventavano spalle, teste, facce, fattezze - e lui si trovava di fronte a sguardi tetri, capelli scarmigliati, vestiti laceri, pupille arrossate socchiuse al biancore dell'alba. "Sembravano uomini che per una settimana avessero girato ubriachi per le fogne della città", fu la vivace descrizione che ne diede Jim; e quindi mormorò qualcosa sull'alba, che da come si presentava annunciava una giornata calma. Conoscete la tipica abitudine dei marinai, che in ogni circostanza parlano del tempo. Le poche parole che sussurrò furono dunque sufficienti a farmi vedere il bordo inferiore del sole che rischiarava la linea dell'orizzonte e il tremolio riflesso che si stendeva su tutta la vasta superficie del mare, come se le acque fossero state colte da un brivido mettendo al mondo quel globo di luce, mentre l'ultimo soffio del vento muoveva l'aria in un sospiro di sollievo.
            «"Sedevano a poppa spalla a spalla, con il capitano in mezzo, come tre sordidi gufi, e mi fissavano". Pronunciò questa frase con un'intenzione d'odio che instillava in quelle banali parole i succhi corrosivi della virtù, come una goccia di potente veleno trasforma un bicchiere d'acqua; ma i miei pensieri si soffermavano su quell'alba. Immaginavo, sotto il vuoto trasparente del cielo, quei quattro uomini imprigionati nella solitudine del mare, mentre il sole solitario, incurante di quel briciolo di vita, saliva la chiara curva del cielo come per guardare ardentemente, da ancora più in alto, il proprio splendore riflesso sull'oceano immobile. "Mi chiamarono da poppa", disse Jim, "come se fossimo stati vecchi amici. Li sentii. Mi pregavano di avere un po' di buon senso e di mettere giù 'quel dannato pezzo di legno'. Perché volevo andare avanti con quella storia? Loro non mi avevano fatto alcun male, no? Non c'era stato alcun male... Alcun male!".
            «Divenne rosso in faccia, come se non potesse liberarsi dell'aria nei polmoni.
            «"Alcun male!", esclamò. "Lascio a lei giudicare. Lei ha capito, vero? Ha visto, no? Alcun male! Buon Dio! Cos'altro avrebbero potuto fare? Oh, sì, lo so benissimo - sono saltato giù. Certamente. Sono saltato giù. Gliel'ho detto che sono saltato giù; ma le dico anche che erano insopportabili per chiunque. Era opera loro, come se mi avessero tirato su loro con una gaffa. Capisce? Deve capire! Su, parli - dica la sua opinione".
            «I suoi occhi inquieti si erano incollati ai miei, mi interrogavano, mi pregavano, mi sfidavano, mi supplicavano. Io non riuscii a trattenermi e mormorai: "È stata per lei una prova molto dura". "Più di quanto sia giusto", aggiunse lui immediatamente. "Non ho avuto neanche mezza possibilità - con una combriccola come quella. E ora erano tutti gentili - oh, così schifosamente gentili! Vecchi amici, compagni. Tutti nella stessa barca. Cavarsela il meglio possibile. Non avevano nulla contro di lui. Non gli importava un accidente di George. Per qualche motivo George era tornato alla sua cuccetta all'ultimo momento e non aveva fatto più in tempo. Era notoriamente un po' tonto. La cosa era molto triste, naturalmente... I loro occhi mi guardavano; le loro labbra si muovevano; dall'altra estremità della scialuppa scuotevano la testa - tutti e tre; facevano segno - a me. Perché no? Non ero saltato anch'io? Non dissi niente. Non ci sono parole per le cose che volevo dire. Se allora avessi aperto bocca sarei stato capace solo di ululare. Mi chiedevo quando mi sarei scosso. Alzando la voce, mi sollecitarono ad andare a poppa ad ascoltare tranquillamente ciò che aveva da dirmi il capitano. Saremmo certamente stati raccolti prima di sera - eravamo proprio sulla rotta di tutto il traffico del Canale di Suez; si vedeva fumo a nord-ovest".
            «"Provai un terribile tuffo al cuore nel vedere quella riga sottile, sottile, quell'impercettibile traccia di foschia bruna attraverso la quale si scorgeva la linea fra cielo e mare. Risposi loro forte e chiaro che li sentivo benissimo anche restando dove mi trovavo. Il capitano cominciò ad imprecare rauco, gracchiando come una cornacchia. Non aveva intenzione di urlare per fare un piacere a me. 'Ha paura di essere sentito a terra?', chiesi. Mi lanciò un'occhiata torva, come se avesse voluto farmi a pezzi. Il primo motorista gli consigliò di non contrariarmi. Gli disse che non ero ancora a posto con la testa. L'altro si tirò su a poppa come una montagna di grasso - e parlava - parlava...".
            «Jim rimase pensoso. "E allora?", chiesi. "Che m'importava della storia che avevano deciso di propinare?", esclamò in tono di sfida. Potevano raccontare quello che volevano. Era affar loro. Io sapevo come era andata. Nulla di ciò che fossero riusciti a far credere alla gente poteva alterare la verità, per me. Lo lasciai parlare, discutere - parlare, discutere. Continuò per parecchio tempo. All'improvviso mi sentii venir meno le gambe. Mi girava la testa ed ero stanco - stanco da morire. Feci cadere la barra, girai loro la schiena e mi sedetti sul sedile più a prua. Ne avevo abbastanza. Mi chiesero se avevo capito - non era la verità, pura e semplice? Era la verità, per Dio! a modo loro. Non volsi il capo. Li udivo ciarlare fra loro. 'Non vuole dire niente, quell'asino'. 'Oh, capisce benissimo'. 'Lasciatelo in pace; si riprenderà'. 'Che cosa può fare?'. Che cosa potevo fare? Non eravamo tutti sulla stessa barca? Tentai di essere sordo. A nord il fumo era scomparso. C'era calma piatta. Bevvero dal barile dell'acqua, e bevvi anch'io. Poi si diedero un gran da fare per stendere la vela appoggiandola ai bordi della barca. Ero disposto a fare un turno di guardia? Si infilarono sotto scomparendo alla vista, grazie a Dio! Mi sentivo esausto, esausto, sfinito, come se non avessi mai avuto un'ora di sonno dal giorno in cui ero nato. Non riuscivo a vedere l'acqua per il riflesso del sole. Di tanto in tanto uno di loro scivolava fuori, si rizzava a dare uno sguardo tutt'intorno e tornava giù. A volte, sotto la vela, sentii russare. Qualcuno di loro riuscì a dormire. Almeno uno. Io no! C'era solo luce, e la scialuppa sembrava precipitarvi dentro. Ogni tanto mi sorprendevo di essere ancora seduto sul sedile...".
            «Cominciò a camminare a passi misurati avanti e indietro davanti alla mia sedia, con una mano nella tasca dei pantaloni e la testa piegata in un'espressione pensierosa, alzando a lunghi intervalli il braccio destro in un gesto che pareva fatto per spingere lontano da sé un invisibile intruso.
            «"Lei penserà che stavo per impazzire", cominciò in tono mutato. "E si può capire, perché ricorderà che avevo perso il berretto. Per tutto il suo tragitto da est a ovest, il sole mi arrivò sul capo scoperto, ma quel giorno non poté farmi un gran male, suppongo. Il sole non poteva farmi ammattire...". Col braccio destro allontanò l'idea della pazzia... "Né poteva uccidermi...". Di nuovo il suo braccio respinse un'ombra... "Ma quello dipendeva da me".
            «"Davvero?", chiesi, incredibilmente sorpreso da questa nuova svolta, e lo guardai con la stessa espressione che avrei avuto se egli, dopo una giravolta su se stesso, mi fosse ricomparso davanti con un volto del tutto nuovo.
            «"Non mi venne un'insolazione, e non crollai morto", continuò. «Non mi preoccupai affatto del sole che mi picchiava in testa. Riflettevo con la stessa freddezza che avrei avuto se fossi stato seduto all'ombra. Quell'animale untuoso del capitano sbucò con la sua testa rapata da sotto la tela e sbarrò i suoi occhi di pesce nel vedermi. 'Donnerwetter! morirai', brontolò ritirandosi come una tartaruga. L'avevo visto. L'avevo udito. Non mi interruppe. Proprio allora stavo pensando che non mi sarei mosso".
            «Jim tentò di sondarmi nel pensiero lanciandomi uno sguardo attento mentre passava. "Intende dire che stava meditando di lasciarsi morire?", chiesi con il tono più impenetrabile che potei. Annuì senza fermarsi. «Sì, mentre sedevo lì da solo ero arrivato a questa conclusione", disse. Continuò a camminare fino al termine del suo giro immaginario, e quando si voltò per tornare indietro si ficcò le mani a fondo nelle tasche. Si fermò proprio davanti alla mia sedia e abbassò gli occhi. "Non ci crede?", domandò con una curiosità inquieta. Sentii l'impulso di dichiarargli solennemente che ero pronto a credere senza riserve a tutto ciò che avesse ritenuto opportuno raccontarmi».
           
           
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