sabato 9 novembre 2019



TUTTI  I CAVALLI DEL RE
Estratto da "Tutti  i racconti" 
Kurt Vonnegut

TUTTI I CAVALLI DEL RE 
Il colonnello Bryan Kelly, bloccando con l’immensa corporatura la luce che filtrava nello stretto corridoio alle sue spalle, si appoggiò per un attimo alla porta chiusa in uno spasmo d’ansia e di rabbia impotente. La piccola guardia orientale sgranò con le dita un mazzo di chiavi, cercando quella che apriva la porta. Il colonnello Kelly tese l’orecchio alle voci nella stanza. “Sergente, non credo che oserebbero alzare la mano su un americano, vero?”La voce era giovane e incerta. “Cioè, la pagherebbero cara se facessero del male...”“Chiudi il becco. Vuoi che i figli di Kelly si sveglino e ti sentano straparlare così?”Questa voce era burbera e stanca. “Ci rimetteranno in libertà quanto prima, sergente, scommettiamo?”insistette la voce giovane. “Oh, certo, ragazzo, sono innamorati degli americani da queste parti. Sarà forse di questo che volevano parlare con Kelly, e in questo preciso momento gli staranno mettendo nei cestini le birre e i panini col prosciutto per noi. L’unico motivo del ritardo è che non sanno quanti devono farne con la senape e quanti senza. Tu il tuo come lo vuoi?”“Io vorrei solo...”“Chiudi il becco.”“Okay, solo...”“Chiudi il becco.”“Vorrei solo sapere cosa sta succedendo, tutto qui.”Il giovane caporale tossì. “Taci e passa quella cicca,”disse una terza voce pronta all’ira. “Ci sono ancora dieci tirate buone, lì dentro. Non fumartela tutta, ragazzo.”Altre due o tre voci mormorarono la loro approvazione. Il colonnello Kelly aprì e chiuse nervosamente le mani, chiedendosi come avrebbe fatto a dire ai quindici esseri umani dietro la porta del colloquio con Pi Ying e del folle cimento che avrebbero dovuto affrontare. Pi Ying sosteneva che la loro lotta contro la morte non sarebbe stata diversa, filosoficamente, da ciò che tutti loro, tranne la moglie e i figli di Kelly, avevano conosciuto in combattimento. A mente fredda, era vero: filosoficamente, non c’era nessuna differenza. Ma il colonnello Kelly era più scosso di quanto fosse mai stato in combattimento. Il colonnello Kelly e i quindici dall’altro lato della porta avevano fatto, due giorni prima, un atterraggio di fortuna sul continente asiatico dopo essere stati spinti fuori rotta da una tempesta improvvisa e avere perso ogni contatto radio. Il colonnello Kelly stava andando, con la famiglia, a occupare un posto di attaché militare in India. A bordo dell’aereo da trasporto dell’esercito c’era un gruppo di genieri di cui avevano bisogno in Medio Oriente. L’aereo aveva preso terra in una zona che era stata invasa da un capo guerrigliero comunista, Pi Ying. Erano tutti sopravvissuti: Kelly, sua moglie Margaret, i due figli gemelli di dieci anni, il pilota, il copilota e i dieci soldati semplici. Quando erano usciti dall’aereo avevano trovato una dozzina degli stracciati fucilieri di Pi Ying che li stavano aspettando. Non riuscendo a comunicare con coloro che li avevano catturati, gli americani erano stati costretti a marciare per una giornata attraverso le risaie e le propaggini della giungla fino a quando, al tramonto, avevano raggiunto un palazzo in rovina. Là erano stati chiusi in un sotterraneo, senz’avere la minima idea di quale avrebbe potuto essere il loro fato. Ora, il colonnello Kelly stava tornando da un colloquio con Pi Ying, che gli aveva detto quale sarebbe stata la sorte dei sedici prigionieri americani. Sedici: Kelly scosse il capo mentre questo numero si ripeteva nei suoi pensieri. La guardia lo spinse da un lato con la pistola e infilò la chiave nella serratura, e la porta girò sui cardini e si aprì. Kelly rimase sulla soglia, in silenzio. Una sigaretta passava di mano in mano. La brace proiettava per un attimo il suo riverbero su ogni faccia in attesa, a turno. Ora faceva risplendere il viso rubicondo del giovane e ciarliero caporale di Minneapolis, ora gettava ombre fonde nelle orbite e sopra le folte sopracciglia del pilota di Salt Lake, ora tingeva di rosso le labbra sottili del sergente. Lo sguardo di Kelly passò dagli uomini a quello che alla luce del crepuscolo sembrava un monticello vicino alla porta. Là sedeva sua moglie Margaret, con le teste bionde dei figli addormentati in grembo. La donna gli sorrise, con gli occhi velati di lacrime nel viso pallido. “Caro, stai bene?”chiese sommessamente. “Sì, sto bene.”“Sergente,”disse il caporale, “gli chieda cos’ha detto Pi Ying.”“Chiudi il becco.”Il sergente fece una pausa. “Allora, signore... Buone o cattive notizie?”Kelly fece alla moglie una carezza sulla spalla, cercando le parole giuste: parole che infondessero a tutti un coraggio che non era sicuro di avere. “Brutte notizie,”disse infine. “Pessime.”“Be’, sentiamo,”disse ad alta voce il pilota dell’aereo da trasporto. Kelly pensò che parlava in tono brusco e con voce tonante per tranquillizzarsi. “La cosa peggiore che possano fare è ammazzarci. È così?”Si alzò in piedi e si ficcò le mani in tasca. “Non oserebbe mai!”disse il giovane caporale minacciosamente, come se schioccando le dita potesse sfogare su Pi Ying tutta l’ira dell’esercito americano. Il colonnello Kelly guardò il giovanotto con un misto di curiosità e abbattimento. “Guardiamo in faccia la realtà. L’ometto al piano di sopra ha tutti gli assi in mano.”Un’espressione presa in prestito da un altro gioco, pensò oziosamente. “È un fuorilegge. Non ha niente da perdere a sfidare gli Stati Uniti.”“Se vuole ammazzarci, lo dica!”scattò il pilota. “Così ci ha messo con le spalle al muro! Cosa vuole fare?”“Ci considera prigionieri di guerra,”disse Kelly, sforzandosi di restare calmo. “Gli piacerebbe fucilarci tutti.”Si strinse nelle spalle. “Non volevo tenervi col fiato sospeso. Stavo cercando le parole giuste, e non ce ne sono. Pi Ying vuole spassarsela più di quanto lo divertirebbe fucilarci. E per soprammercato vorrebbe dimostrare che è più furbo di noi.”“In che modo?”chiese Margaret. Aveva spalancato gli occhi. I due bambini si stavano svegliando. “Tra poco Pi Ying e io ci giocheremo a scacchi le vostre vite.”Strinse il pugno sulla mano della moglie, ormai priva di energia. “E le mie quattro vite. È l’unica chance che Pi Ying ci darà.”Alzò le spalle e sorrise sardonicamente. “Sono un giocatore sopra la media: un po’sopra la media.”“Ma è pazzo?”disse il sergente. “Lo vedrete con i vostri occhi,”disse il colonnello Kelly con semplicità. “Lo vedrete quando il gioco avrà inizio: Pi Ying e il suo amico, il maggiore Barzov.”Aggrottò la fronte. “Il maggiore dice che gli dispiace, ma che nella sua veste di osservatore dell’esercito russo non può intercedere per noi. Dice anche che abbiamo tutta la sua comprensione. Sospetto che sia un dannato bugiardo in entrambi i casi. Pi Ying ha di lui una paura birbona.”“Potremo assistere alla partita?”mormorò nervosamente il caporale. “Noi sedici, soldato, siamo i pezzi con cui giocherò.”La porta girò sui cardini e si aprì... “Riesce a vedere tutta la scacchiera da laggiù, Re Bianco?”
gridò allegramente Pi Ying da un balcone dominante la sala con la cupola azzurra. Guardava sorridendo dall’alto in basso il colonnello Bryan Kelly, la sua famiglia e i suoi uomini. “Lei sarà il Re Bianco, sa? Altrimenti, non potremmo essere sicuri che sarebbe con noi per tutta la partita.”Il viso del capo guerrigliero era diventato rosso. Il suo sorriso mostrava un’ironica sollecitudine. “Felice di vedervi tutti quanti!”Alla destra di Pi Ying, confuso tra le ombre, si trovava il maggiore Barzov, il taciturno osservatore militare russo, che rispose all’occhiata di Kelly con un lento cenno del capo. Kelly continuò a guardarlo fisso. L’arrogante maggiore dai capelli ispidi mostrava una certa inquietudine, incrociando e abbassando le braccia, dondolandosi ripetutamente avanti e indietro negli stivali neri. “Vorrei poterla aiutare,”disse infine. Non era una gentilezza, ma una sprezzante canzonatura. “Io qui sono solo un osservatore,”disse Barzov gravemente. “Buona fortuna, colonnello,”soggiunse, e gli voltò le spalle. Seduta alla sinistra di Pi Ying c’era una delicata giovane donna orientale. Il suo sguardo inespressivo era puntato verso il muro sopra le teste degli americani. Sia lei sia Barzov erano stati presenti quando Pi Ying aveva parlato per la prima volta al colonnello Kelly del gioco che voleva fare. Quando Kelly aveva implorato Pi Ying di risparmiare sua moglie e i suoi figli, gli era parso di vedere nei suoi occhi un barlume di pietà. Quando adesso alzò lo sguardo alla ragazza, immobile come un oggetto ornamentale, comprese che doveva essersi sbagliato. “Questa sala fu un capriccio dei miei predecessori, che per generazioni hanno tenuto il popolo in schiavitù,”disse Pi Ying in tono sentenzioso. “Fungeva egregiamente da sala del trono. Ma il pavimento è un intarsio di quadrati, sessantaquattro: una scacchiera, vede? I precedenti inquilini avevano fatto costruire quei bei pezzi grandi come un uomo che sono davanti a lei per potersi sedere quassù, loro e i loro amici, e ordinare ai servitori di spostarli qua e là.”Si girò l’anello che aveva al dito. “Era un’idea già abbastanza fantasiosa, e noi non abbiamo dovuto far altro che dare al gioco questo nuovo sviluppo. Oggi, naturalmente, useremo solo i pezzi neri, i miei.”Si voltò verso il maggiore Barzov, che appariva inquieto. “Gli altri pezzi li hanno forniti gli americani. Un’idea affascinante.”Il suo sorriso svanì quando vide che Barzov non lo ricambiava. Pi Ying pareva ansioso di compiacere il russo. Barzov, al contrario, sembrava pensare di Pi Ying che non valesse nemmeno la pena di ascoltarlo. I dodici soldati americani erano addossati al muro e tenuti sotto stretta sorveglianza. Istintivamente, si strinsero tra loro lanciando occhiate astiose a quel padrone di casa che li trattava con tanta condiscendenza. “Datevi una calmata,”disse il colonnello Kelly, “o perderemo l’unica occasione che abbiamo.”Studiò per un momento i due gemelli, Jerry e Paul, che si guardavano intorno sereni e interessati, strizzando gli occhi ancora un po’assonnati al fianco della madre inebetita. Si chiedeva perché mai fosse così poco emozionato mentre vedeva la sua famiglia a un passo dalla morte. La paura che aveva provato mentre attendevano nella loro prigione buia era svanita. E lui ora sentiva nuovamente la strana calma –una vecchia compagna del tempo di guerra –in cui riprendeva a funzionare il freddo macchinario dei sensi e del cervello. Era il narcotico dei comandanti. Era l’essenza della guerra. “Adesso attenzione, amici miei,”disse Pi Ying con aria d’importanza. Si alzò in piedi. “Le regole del gioco sono facili da ricordare. Vi dovete tutti comportare come vi dice il colonnello Kelly. Quelli di voi che avranno la sfortuna di essere mangiati da uno dei miei pezzi saranno uccisi rapidamente e prontamente in un modo indolore.”Il maggiore Barzov guardava il soffitto come se dentro di sé stesse criticando tutto quello che diceva Pi Ying. A un tratto il caporale sbottò in un fiume di furiose oscenità: metà ingiurie, metà autocommiserazione. Il sergente tappò la bocca del giovanotto con una mano. Pi Ying si sporse dalla balaustra e puntò il dito sul soldato che si dibatteva. “Per quelli che protestano o lasciano la scacchiera, si potrà decidere una forma speciale di morte,”disse bruscamente. “Il colonnello Kelly e io dobbiamo concentrarci, e per questo abbiamo bisogno di un assoluto silenzio. Se il colonnello sarà così bravo da vincere la partita, tutti quelli di voi che sono ancora qui quando mi sarà dato scacco matto riceveranno un lasciapassare per uscire incolumi dal mio territorio. Se perde...”Pi Ying fece spallucce e tornò a sedersi su un mucchio di cuscini. “Ora dovete stare allo scherzo,”disse vivacemente. “Gli americani sono noti per essere persone di spirito, credo. Come può dirvi il colonnello Kelly, accade raramente che una partita a scacchi si possa vincere –non più di quanto si possa vincere una battaglia –senza sacrifici. Non è vero, colonnello?”Il colonnello Kelly annuì meccanicamente. Stava pensando a quello che Pi Ying gli aveva detto prima: che la partita che stava per giocare non era diversa, filosoficamente, da ciò che aveva conosciuto in guerra. “Come può far questo a dei bambini!”gridò Margaret all’improvviso, liberandosi di una guardia e attraversando a lunghi passi la scacchiera per andare a mettersi proprio sotto il balcone di Pi Ying. “Per amor di Dio...”attaccò. Pi Ying la interruppe rabbiosamente. “È per amor di Dio che gli americani fabbricano bombe, jet e carri armati?”Spazientito, a gesti la invitò ad allontanarsi. “Portatela via.”Si coprì gli occhi. “Dov’ero rimasto? Stavamo parlando di sacrifici, no? Volevo chiederle chi aveva scelto come pedone di re,”disse Pi Ying. “Se non l’ha ancora scelto, colonnello, vorrei raccomandarle il turbolento giovanotto che è laggiù: quello trattenuto dal sergente. Una posizione delicata, il pedone di re.”Il caporale cominciò a scalciare e a divincolarsi con rinnovato furore. Il sergente gli strinse le braccia intorno al corpo. “Tra un minuto il ragazzo si calmerà,”disse a fior di labbra. Voltò la testa verso il colonnello Kelly. “Qualunque cosa sia il pedone di re, quello sono io. Dove mi metto, signore?”Il giovanotto si rilassò e il sergente lo lasciò libero. Kelly gli indicò il quarto riquadro nella seconda fila dell’enorme scacchiera. Il sergente lo raggiunse e ingobbì le spalle larghe. Il caporale borbottò qualche parola incoerente e prese posto nel riquadro accanto a quello del sergente: un secondo sacrificabile pedone. Gli altri esitavano. “Colonnello, ci dica lei dove dobbiamo andare,”disse con aria incerta un allampanato geniere di quarto grado. “Cosa ne sappiamo degli scacchi? Ci metta dove vuole.”Il pomo d’Adamo gli andava su e giù. “Tenga i posti più comodi per sua moglie e i suoi figli. Sono quelli che contano. Ci dica lei dove andare.”“Non ci sono posti comodi,”disse il pilota sardonicamente, “non ci sono posti comodi per nessuno. Scegli una casella, una qualunque.”Mise un piede sulla scacchiera. “Cosa divento su questa casella?”“Un alfiere, tenente, l’alfiere di re,”disse Kelly. Si ritrovò a pensare al tenente in questi termini: non più umano, ma un pezzo capace di muoversi diagonalmente attraverso la scacchiera; capace, quando attaccava con la regina, di fare terribili danni agli uomini neri dell’altro schieramento. “E io che sono andato in chiesa solo due volte in vita mia.* Ehi, Pi Ying,”gridò il pilota senza alcun rispetto, “quanto vale un alfiere?”Pi Ying, divertito, rispose: “Un cavallo e un pedone, ragazzo mio; un cavallo e un pedone.”Grazie a Dio per il tenente, pensò Kelly. Uno dei soldati americani sorrise. Si erano stretti gli uni agli altri, addossati al muro. Cominciarono a parlare tra loro, come una squadra di baseball che fa riscaldamento. Sotto la direzione di Kelly, apparentemente quasi inconsapevoli del significato delle loro azioni, entrarono nella scacchiera per andare ai loro posti. Pi Ying stava parlando di nuovo. “Tutti i suoi pezzi sono a posto, adesso, tranne i cavalli e la regina, colonnello. E lei, naturalmente, sarà il re. Su, coraggio. La partita dev’essere finita prima dell’ora di cena.”Dolcemente, guidandoli con le lunghe braccia, Kelly condusse sua moglie, Jerry e Paul fino ai loro riquadri. Si detestava per la calma e il distacco con cui lo faceva. Vedeva negli occhi di Margaret 
biasimo e paura. Lei non poteva capire che doveva comportarsi così: che nella sua freddezza era riposta la loro unica speranza di sopravvivere. Distolse lo sguardo da Margaret. Pi Ying batté le mani per chiedere silenzio. “Ecco, bene; ora possiamo cominciare.”Si tirò il lobo di un orecchio con aria meditabonda. “Credo che questo sia un modo eccellente di riconciliare lo spirito dell’Oriente con quello dell’Occidente, non le pare, colonnello? Noi qui mettiamo d’accordo l’amore degli americani per il gioco d’azzardo col nostro apprezzamento del teatro classico e della filosofia.”Il maggiore Barzov, spazientito, gli sussurrò qualcosa all’orecchio. “Oh, sì,”disse Pi Ying, “altre due regole: sono concessi dieci minuti per ogni mossa e –s’intende –le mosse non si possono ritrattare. Molto bene,”disse, premendo il bottone di un contaminuti e posandolo sulla balaustra, “l’onore della prima mossa spetta agli uomini bianchi.”Sorrise. “Un’antica tradizione.”“Sergente,”disse il colonnello Kelly, con un nodo alla gola, “vada avanti di due caselle.”Si guardò le mani, che avevano cominciato a tremare. “Forse sarò un po’anticonformista,”disse Pi Ying, voltandosi a mezzo verso la ragazza, probabilmente per assicurarsi che condivideva il suo divertimento. “Muovi il mio pedone di regina avanti di due caselle,”ordinò a un servo. Il colonnello Kelly guardò il servo che faceva scivolare la massiccia scultura in avanti, fino a costituire una minaccia per il sergente. Il sergente lanciò a Kelly un’occhiata interrogativa. “Tutto okay, signore?”E atteggiò la bocca a un pallido sorriso. “Spero di sì,”disse Kelly. “Ecco la tua difesa... Soldato,”ordinò al giovane caporale, “avanza di una casella.”Là; era tutto ciò che poteva fare. Ora non ci sarebbe stato alcun vantaggio nella mossa di Pi Ying se avesse mangiato il pedone che minacciava, il sergente. Tatticamente sarebbe stato uno scambio inutile, un pedone per un pedone. Nessun vantaggio, dal punto di vista di un buon giocatore di scacchi. “È una mossa molto discutibile, lo so,”disse Pi Ying in tono blando. Fece una pausa. “Be’, però è vero, non sono tanto sicuro che uno scambio sarebbe saggio. Con un avversario così brillante, forse farei meglio a giocare in modo impeccabile, e a dimenticare le molte tentazioni.”Il maggiore Barzov gli sussurrò qualcosa. “Ma ci farebbe entrare subito nello spirito del gioco, non le pare?”“Di cosa sta parlando, signore?”chiese il sergente, preoccupato. Prima che Kelly potesse riordinare le idee, Pi Ying diede l’ordine. “Mangia il suo pedone di re.”“Colonnello! Cosa...”gridò il sergente. Due guardie lo strapparono dalla scacchiera e lo spinsero fuori dalla sala. Una porta coperta di borchie si chiuse rumorosamente alle loro spalle. “Uccidete me!”urlò Kelly, lanciandosi fuori dalla sua casella. Una mezza dozzina di baionette lo ricacciarono sulla scacchiera. Senza batter ciglio, il servo fece scivolare il pedone di legno intagliato di Pi Ying sulla casella prima occupata dal sergente. Dall’altro lato della grossa porta venne l’eco di uno sparo, e le guardie rientrarono nella sala. Pi Ying non sorrideva più. “A lei muovere, colonnello. Forza, forza: sono già passati quattro minuti.”La calma di Kelly era andata in briciole, e con essa l’illusione del gioco. I pezzi di cui disponeva erano ridiventati degli esseri umani. Il colonnello Kelly aveva perso la brutale ma preziosa durezza del comando. Non era più adatto della recluta più inesperta a prendere decisioni di vita o di morte. Stordito, si rese conto che l’obiettivo di Pi Ying non era vincere rapidamente la partita, ma decimare gli americani a uno a uno con inutili e tormentose scorrerie. Altri due minuti passarono lentamente mentre lottava con se stesso per tornare alla razionalità. “Non ce la faccio,”mormorò alla fine. Ormai, stava nella sua casella come un sacco di patate. “Vuole che vi faccia fucilare tutti su due piedi?”chiese Pi Ying. “Devo dire che la trovo piuttosto patetico, colonnello. Tutti gli ufficiali americani si danno per vinti così facilmente?”“Gli dia una bella strigliata, colonnello,”disse il pilota. “Su. Si sprema le meningi. Su!”“Tu adesso non corri alcun pericolo,”disse Kelly al caporale. “Mangia il suo pedone.”“Come faccio a sapere che non mi sta dicendo una bugia?”disse in tono aspro il giovanotto. “Mi ammazzeranno!”“Ubbidisci!”disse seccamente il pilota. “No!”I due giustizieri del sergente lo presero per le braccia e gliele incollarono al corpo. Poi alzarono lo sguardo in attesa della decisione di Pi Ying. “Giovanotto,”disse premurosamente Pi Ying, “preferirebbe morire sotto le torture o piuttosto fare come le sta dicendo il colonnello Kelly?”A un tratto il caporale girò su se stesso mandando le guardie a gambe levate. Entrò nella casella occupata dal pedone che aveva mangiato il sergente, fece volar via il pezzo con un calcio e si piantò là dentro con le gambe divaricate. Il maggiore Barzov sbottò in una sghignazzata. “Così impara a fare il pedone,”ruggì. “È un talento orientale che gli americani farebbero bene a imparare per i giorni che li aspettano, eh?”Pi Ying rise con Barzov e carezzò il ginocchio della ragazza che era sempre seduta, impassibile, al suo fianco. “Be’, finora siamo in perfetta parità: un pedone per un pedone. Diamo inizio, sul serio, alla nostra offensiva.”Schioccò le dita per richiamare l’attenzione del servitore. “Il pedone di re da 4 a 3D,”ordinò. “Là! Ora la mia regina e il mio alfiere sono pronti per una spedizione nel territorio dell’uomo bianco.”Premette il pulsante dell’orologio marcatempo. “A lei, colonnello...”Fu obbedendo a un vecchio riflesso che il colonnello si girò verso la moglie in cerca di compassione e incoraggiamento. Poi distolse subito lo sguardo: l’aspetto di Margaret lo impaurì e gli spezzò il cuore, e non c’era niente che potesse fare per lei tranne vincere. Niente. Aveva gli occhi vuoti e sembrava istupidita. Si era rifugiata in uno choc che la rendeva sorda, cieca e insensibile. Kelly contò i pezzi ancora in piedi sulla scacchiera. Dall’inizio della partita era passata un’ora. Cinque pedoni erano ancora vivi, tra i quali il giovane caporale; un alfiere, l’irascibile pilota; le due torri; i cavalli, due bambini spaventati di dieci anni; Margaret, una regina irrigidita e con lo sguardo fisso; e lui stesso, il re. E i quattro pezzi mancanti? Massacrati: massacrati in scambi insensati che erano costati a Pi Ying solo quattro pezzi di legno. Gli altri soldati tacevano, chiusi nei loro astiosi mondi separati. “Credo che per lei sia ora di ammettere la sconfitta,”disse Pi Ying. “Siamo quasi alla fine, temo. Vuole darsi per vinto, colonnello?”Il maggiore Barzov guardò gli scacchi con la fronte aggrottata e un’aria giudiziosa, scosse lentamente il capo e sbadigliò. Il colonnello Kelly cercò di rimettere a fuoco mente e occhi. Aveva la sensazione di scavare, scavare, scavare una specie di tunnel in una montagna di sabbia calda, e di dover continuare così, scavando, torcendosi per passare, soffocato, cieco. “Va’all’inferno,”bofonchiò, concentrandosi sulla disposizione dei pezzi sulla scacchiera. Dal punto di vista di un intenditore, quell’orribile partita era stata assurda. Pi Ying aveva giocato senz’altro obiettivo che quello di annientare gli uomini bianchi. Kelly aveva mosso per difendere a ogni costo ognuno dei suoi pezzi, senza rischiarne nessuno per attaccare. La potente regina, i cavalli, le torri, erano ancora inutilizzati nella relativa sicurezza delle prime due file di caselle. Apriva e stringeva i pugni, frustrato. Le truppe disordinate del suo avversario mostravano larghi vuoti. Dare scacco matto al re di Pi Ying sarebbe stato possibile, se il cavallo nero non avesse dominato il centro della scacchiera. “Muova, colonnello. Due minuti,”lo blandì Pi Ying. E allora Kelly lo vide: vide il prezzo che avrebbe pagato, che tutti loro avrebbero pagato, per la maledizione di avere una coscienza. Pi Ying doveva solo muovere la sua regina diagonalmente, tre caselle a sinistra, per dargli scacco. Dopodiché doveva fare un’altra mossa –inevitabile, irresistibile –e sarebbe stato scacco matto, la fine. E Pi Ying l’avrebbe mossa, la regina. Sembrava che per lui il gioco avesse perso ogni sapore; aveva l’aria di un uomo desideroso di passare ad altro. Il capo guerrigliero adesso era in piedi e si sporgeva dalla balaustra. Alle sue spalle, il maggiore Barzov stava infilando una sigaretta in un bocchino d’avorio lavorato. “Gli scacchi hanno una cosa che è davvero antipatica,”disse ammirando il bocchino e girandolo qua e là. “Non c’è un briciolo di fortuna in questo gioco. Chi perde non ha scuse.”Il suo tono era pedante, con la boria di un maestro che impartisce profonde verità a studenti troppo immaturi per comprenderle. Pi Ying fece spallucce. “Vincere questa partita mi dà pochissima soddisfazione. Il colonnello Kelly è stato una delusione. Non volendo rischiare nulla, ha privato il gioco delle sue sottigliezze e della sua genialità. Potevo aspettarmi più inventiva dal mio cuoco.”Il rosso vivo della collera avvampò sulle guance di Kelly e gli infiammò le orecchie. I muscoli del ventre si strinsero in un nodo; le gambe si divaricarono. Pi Ying non doveva muovere quella regina. Se Pi Ying avesse mosso la regina, Kelly avrebbe perso; se Pi Ying avesse tolto il cavallo dalla linea di attacco di Kelly, Kelly avrebbe vinto. Solo una cosa poteva indurre Pi Ying a muovere il cavallo: una nuova e irresistibile occasione di esercitare il proprio sadismo. “Si arrenda, colonnello. Il mio tempo è prezioso,”disse Pi Ying. “È finita?”chiese in tono querulo il giovane caporale. “Tieni la bocca chiusa e resta dove sei,”disse Kelly. Attraverso le sottili fessure dei suoi occhi penetranti guardava il cavallo di Pi Ying, ritto in mezzo agli scacchi viventi dei suoi uomini. Il collo scolpito del cavallo s’inarcò. Le sue narici si allargarono. La pura geometria della sorte dei pezzi bianchi irruppe nella coscienza di Kelly. La sua semplicità ebbe l’effetto di un vento fresco e tonificante. Bisognava offrire un sacrificio al cavallo di Pi Ying. Se Pi Ying accettava il sacrificio, la vittoria sarebbe stata di Kelly. La trappola era perfetta e mortale, tranne un dettaglio: l’esca. “Un minuto, colonnello,”disse Pi Ying. Kelly passò rapidamente lo sguardo da un viso all’altro, restando impassibile davanti all’ostilità o alla sfiducia o alla paura che vedeva in ogni paio d’occhi. A uno a uno eliminò i candidati alla morte. Questi quattro erano essenziali per l’attacco improvviso che avrebbe schiacciato l’avversario, e questi dovevano difendere il re. La necessità, come un bambino che fa la conta nella cerchia dei compagni, puntò il dito sull’unico pezzo che poteva essere sacrificato. Ce n’era solo uno. Kelly non si permise di pensare al pezzo come a qualcosa di più di una cifra in una rigida ipotesi matematica: se x muore, tutti gli altri vivranno. Percepiva la tragedia di questa decisione solo come un uomo che conoscesse la definizione di tragedia, non come uno che la sentisse. “Venti secondi!”disse Barzov. Aveva tolto il contaminuti a Pi Ying. Il fermo proposito abbandonò Kelly per un istante, e in questo istante il colonnello vide tutto il pathos della sua posizione: un dilemma vecchio come l’umanità, nuovo come la lotta tra Oriente e Occidente. Quando si attaccano gli esseri umani, x, moltiplicato per centinaia o per migliaia, deve morire, mandato alla morte da coloro che lo amano di più. Il mestiere di Kelly era scegliere la x. “Dieci secondi,”disse Barzov. “Jerry,”disse Kelly, con voce forte e sicura, “avanti di una casella e a sinistra di due.”Fiduciosamente, suo figlio lasciò la retroguardia ed entrò nell’ombra del cavallo nero. La consapevolezza di cosa questo significasse sembrò filtrare lentamente negli occhi di Margaret, che aveva voltato la testa quando suo marito aveva aperto bocca. Pi Ying abbassò lo sguardo alla scacchiera e sgranò gli occhi, stupito. “Ha perso la testa, colonnello?”chiese infine. “Si rende conto di quello che ha appena fatto?”Un pallido sorriso alterò l’espressione di Barzov, che si piegò in avanti come per sussurrare qualcosa a Pi Ying, ma poi evidentemente ci ripensò. Appoggiò le spalle a una colonna per seguire ogni mossa di Kelly attraverso il velo di fumo della sigaretta. Kelly si finse disorientato dalle parole di Pi Ying. Poi nascose il viso tra le mani e lanciò un grido straziante. “Oddio, no!”“Un errore squisito, non c’è dubbio,”disse Pi Ying, che poi si rivolse alla ragazza al suo fianco per spiegarle la mossa sbagliata. Lei voltò la testa per guardare altrove e lui sembrò infuriato dal suo gesto. “Deve permettermi di ritirarla,”pregò Kelly con voce rotta. Pi Ying tamburellò sulla balaustra con le nocche. “Senza regole, amico mio, i giochi diventano assurdi. Abbiamo convenuto che ogni mossa sarebbe stata definitiva, e così è.”Fece un cenno a un servitore. “L’alfiere di re da C8 a C6.”Il servo spinse il pezzo nella casella dove si trovava Jerry. L’esca era stata inghiottita, e d’ora in avanti la partita era di Kelly. “Cosa sta dicendo?”mormorò Margaret. “Perché tiene sua moglie in sospeso, colonnello?”disse Pi Ying. “Faccia il bravo marito e risponda alla domanda, o devo farlo io?”“Suo marito ha sacrificato un cavallo,”disse Barzov alzando la voce per sovrapporla a quella di Pi Ying. “Lei ha appena perso suo figlio.”La sua espressione era quella di uno sperimentatore, attenta, ansiosa, rapita. Kelly udì il singhiozzo soffocato nella gola di Margaret e l’afferrò prima che cadesse. Le strofinò i polsi. “Cara, ti prego... ascoltami!”La scosse più ruvidamente di quanto avesse inteso. La reazione della donna fu esplosiva. Un torrente di parole uscì dalla sua bocca: un isterico balbettio di condanna. Kelly, tenendola per i polsi, incassò quegli insulti spasmodici senza dire una parola. Pi Ying aveva gli occhi fuori dalle orbite, pietrificato dal dramma che stava svolgendosi davanti a lui e dimentico delle lacrime e dell’agitazione della ragazza alle sue spalle che, implorante, lo tirava per la giubba militare. La respinse senza distogliere lo sguardo dalla scacchiera. L’allampanato geniere di quarto livello si gettò sulla guardia più vicina, colpendola al petto con la spalla e assestandole un pugno al ventre. I soldati di Pi Ying lo circondarono, lo atterrarono e lo trascinarono nella sua casella. In mezzo a questo bailamme Jerry scoppiò in lacrime e corse dai genitori, terrorizzato. Kelly lasciò Margaret, che cadde in ginocchio per abbracciare il bimbo tremante. Paul, l’altro gemello, era rimasto al suo posto, rabbrividendo e fissando stolidamente il pavimento. “Vogliamo riprendere la partita, colonnello?”chiese Pi Ying, alzando la voce. Barzov voltò le spalle alla scacchiera, come per impedire, o almeno non vedere, gli sviluppi. Kelly chiuse gli occhi e attese che Pi Ying desse l’ordine ai carnefici. Non aveva il coraggio di guardare Margaret e Jerry. Pi Ying alzò la mano per fare silenzio. “È con profondo rimpianto...”attaccò. Le sue labbra si chiusero. L’espressione minacciosa abbandonò improvvisamente il suo viso, lasciandovi solo sorpresa e stupidità. L’ometto si accasciò sulla balaustra, scivolò dall’altra parte e cadde tra i suoi soldati. Il maggiore Barzov stava lottando con la ragazza cinese, che nella piccola mano ancora libera dalla sua presa impugnava un sottile coltello. La ragazza se lo piantò nel petto e cadde contro il maggiore. Barzov la lasciò cadere e si avvicinò alla balaustra. “Tenete i prigionieri dove sono!”gridò alle guardie. “È vivo?”Nella sua voce non c’era né collera né dolore: soltanto irritazione, risentimento per l’inconveniente. Un servo alzò gli occhi e scosse la testa. Barzov ordinò ai servi e ai soldati di portar via i corpi di Pi Ying e della ragazza. Era più l’atto di una massaia scrupolosa che di un uomo devoto in lutto. Nessuno mise in dubbio la sua spiccia autorità. “Questo è dunque il suo ruolo, dopo tutto,”disse Kelly. “I popoli dell’Asia hanno perso un grandissimo leader,”disse Barzov severamente. Rivolse a Kelly uno strano sorriso. “Anche se aveva i suoi punti deboli, vero, colonnello?”Si strinse nelle spalle. “Lei, comunque, ha preso solo l’iniziativa, non ha vinto la partita; e ora dovrà fare i conti con me, al posto di Pi Ying. Resti dov’è, colonnello. Torno subito.”Spense la sigaretta schiacciandola sulla balaustra decorata, con uno svolazzo rimise in tasca il bocchino e sparì dietro i tendaggi. “Jerry starà bene?”sussurrò Margaret. Era un’implorazione, non una domanda, come se toccasse a Kelly essere o non essere clemente. “Solo Barzov lo sa,”disse lui. Ardeva dalla voglia di spiegarle le sue mosse, di farle capire perché non aveva avuto scelta; ma sapeva che una spiegazione avrebbe reso la tragedia infinitamente più crudele per lei. Poteva essere in grado di capire una morte provocata da un errore; ma la morte come il prodotto di un freddo ragionamento, del passo avanti di una logica, non avrebbe mai potuto accettarla. Piuttosto che accettarla, avrebbe scelto che morissero tutti. “Solo Barzov lo sa,”ripeté stancamente il colonnello. L’accordo era sempre valido, il prezzo della vittoria pattuito. Evidentemente Barzov doveva ancora capire cos’era che Kelly comprava con una vita. “Come facciamo a sapere che Barzov ci lascerà andare se vinciamo?”disse il geniere allampanato. “Non lo sappiamo, soldato. Non lo sappiamo.”E poi un altro dubbio cominciò a insinuarsi nella sua coscienza. Forse non aveva vinto altro che un breve rinvio... Il colonnello Kelly non avrebbe saputo dire da quanto tempo erano là che aspettavano sulla scacchiera il ritorno di Barzov. Il suo sistema nervoso era stato reso insensibile da un’ondata dopo l’altra di rimorsi e dalla continua pressione della sua terribile responsabilità. Sulla sua coscienza era calato il tramonto. Margaret, sfinita, dormiva tenendo Jerry, di cui nessuno aveva ancora chiesto la morte, tra le braccia. Paul si era acciambellato nella sua casella, coperto dalla giubba del giovane caporale. Su quella che era stata la casella di Jerry svettava il cavallo nero di Pi Ying, con la testa scolpita ringhiante come se gli eruttassero fiamme dalle narici. Kelly quasi non udì la voce dalla balconata: l’aveva scambiata per un altro scabro frammento di un incubo. La sua mente non attribuì alcun senso alle parole, delle quali aveva colto solo il suono. Poi aprì gli occhi e vide che le labbra del maggiore Barzov si muovevano. Vide la sfida arrogante nei suoi occhi e comprese le parole. “Poiché tanto sangue è stato versato in questa partita, lasciarla irrisolta sarebbe un deprecabile sciupio.”Barzov si adagiò regalmente sui cuscini di Pi Ying, accavallando gli stivali neri. “Mi propongo di batterla, colonnello, e sarò sorpreso se mi darà dei problemi. Sarebbe davvero sconcertante farla vincere col trasparente stratagemma che ha ingannato Pi Ying. Non sarà più così facile. Lei ora gioca con me, colonnello. Per un attimo ha preso l’iniziativa. Adesso avrà me come avversario e la partita riprenderà senz’altri ritardi.”Kelly si alzò in piedi, dominando con la sua mole i pezzi bianchi degli scacchi seduti nelle caselle intorno a lui. Il maggiore Barzov non mostrava di disapprovare quel tipo di passatempo che Pi Ying aveva trovato così divertente. Ma Kelly colse una differenza tra il comportamento del maggiore e quello del capo guerrigliero. Il maggiore voleva riprendere il gioco, non perché gli piacesse, ma perché voleva dimostrare che lui era proprio un tipo in gamba, mentre gli americani non valevano una cicca. Evidentemente, non si era reso conto che Pi Ying aveva già perso la partita. O era così, o Kelly aveva sbagliato i suoi calcoli. Kelly mosse mentalmente ogni pezzo sulla scacchiera, costringendo la propria immaginazione a mostrargli la pecca del suo piano, se c’era una pecca: se quell’infernale e straziante sacrificio alla fine sarebbe stato inutile. In una diversa occasione, senz’altra posta che qualche pezzetto di legno, avrebbe chiesto all’avversario di arrendersi, e la partita sarebbe finita lì. Ma ora, mentre giocava per salvare la vita dei suoi uomini e dei suoi cari, un dubbio penoso e inestirpabile gettò la propria ombra sulla ferrea logica del risultato che si aspettava. Kelly non osava rivelare di aver pianificato un attacco per vincere in tre mosse, non finché non avesse fatto le mosse, non finché Barzov non avesse perduto ogni chance di sfruttare la pecca, se ce n’era una. “E Jerry?”gridò Margaret. “Jerry? Oh, certo, il bambino. Be’, colonnello, e Jerry?”chiese Barzov. “Le farò, se crede, una speciale concessione. Vuole per caso rifare la mossa?”L’atteggiamento del maggiore era cortese, una caricatura della più gioconda ospitalità. “Senza regole, maggiore, i giochi diventano assurdi,”disse Kelly in tono deciso. “Sarei l’ultimo a chiederle di violarle.”Sul viso di Barzov si dipinse un’espressione di profonda simpatia. “È suo marito, Madame, che ha preso la decisione, non io.”Schiacciò il pulsante del contaminuti. “Può tenere il ragazzo con lei finché il colonnello, giocando così male, non avrà buttato via tutte le vostre vite. Muova, colonnello. Dieci minuti.”“Mangia il suo pedone,”ordinò Kelly a Margaret. Lei non obbedì. “Margaret! Mi hai sentito?”“L’aiuti, colonnello, l’aiuti,”lo incitò Barzov. Kelly prese sua moglie per il gomito e la guidò, senza incontrare resistenza, fino alla casella di un pedone nero. Jerry si accodò, tenendo sua madre tra Kelly e sé. Poi il colonnello tornò alla propria casella, si ficcò le mani in tasca e guardò il servo che portava via dalla scacchiera il pedone nero. “Scacco, maggiore. Il suo re è in scacco.”Barzov alzò un sopracciglio. “Scacco, ha detto? Come potrò rispondere a questa seccatura? Cosa dovrò fare per convincerla a occuparsi di alcuni dei problemi più interessanti che ci sono sulla scacchiera?”Alzò la mano per chiamare un servo. “Muovi il mio re di una casella a sinistra.”“Si sposti in diagonale di una casella verso di me, tenente,”ordinò Kelly al pilota. Il pilota ebbe un’esitazione. “Forza! Mi ha sentito?”“Signorsì.”Il tono era beffardo. “Ci ritiriamo, eh, signore?”Il tenente si stravaccò nella casella lentamente e senza nascondere la propria arroganza. “Di nuovo scacco, maggiore,”disse Kelly con voce piana. Fece un cenno al tenente. “Ora il mio alfiere dà scacco al suo re.”Chiuse gli occhi e tornò a ripetersi che non aveva sbagliato i suoi calcoli, che con quel sacrificio aveva vinto la partita, che per Barzov non poteva esserci scampo. Proprio così: ecco l’ultima delle tre mosse. “Be’,”disse Barzov, “tutto qui? Mi basterà mettere la regina davanti al re.”Il servo mosse il pezzo. “Ora sarà tutta un’altra storia.”“Mangiagli la regina,”disse Kelly al suo pedone più lontano, lo strapazzato geniere di quarto livello. Barzov balzò in piedi. “Un momento!”“Non se n’era accorto? Vorrebbe rifare la mossa?”disse Kelly per stuzzicarlo. Barzov andava avanti e indietro sulla balconata, respirando affannosamente. “Certo che me n’ero accorto!”“Era l’unica cosa che poteva fare per salvare il suo re,”disse Kelly. “Torni pure indietro, se vuole, ma scoprirà che è l’unica mossa che può fare.”“Mangiate la regina e andiamo avanti con la partita,”urlò Barzov. “Mangiatela!”“Mangiatela,”fece eco Kelly, e il servo trascinò l’enorme pezzo fuori dalla scacchiera. Ora il geniere, sorpreso, si trovava faccia a faccia col re di Barzov, a pochi centimetri di distanza. Stavolta il colonnello lo disse piano piano: “Scacco.”Barzov sbuffò, esasperato. “Scacco, sì.”La sua voce diventò più forte. “Non per merito suo, colonnello Kelly, ma grazie alla monumentale stupidità di Pi Ying.”“E questa è la fine della partita, maggiore.”Il geniere scoppiò a ridere come un idiota, il caporale si mise a sedere, il tenente buttò le braccia al collo del colonnello Kelly. I due bambini lanciarono un urrà. Solo Margaret rimase immobile, sempre rigida e spaventata. “Il prezzo della sua vittoria, naturalmente, deve ancora essere pagato,”disse Barzov acidamente. “Presumo che ora lei sia pronto a pagarlo?”Kelly sbiancò in viso. “Questa era l’intesa, se le darà soddisfazione che io la consideri ancora valida.”Barzov infilò un’altra sigaretta nel bocchino d’avorio, impiegandovi un minuto di cipiglio. Quando parlò, lo fece ancora una volta nel tono di un pedante, del custode di profonde verità. “No, il ragazzo non m’interessa. Sul vostro conto la penso come Pi Ying: che voi, come americani, siete il nemico, che esista ufficialmente uno stato di guerra o meno. Io vi considero dei prigionieri di guerra. “Tuttavia, se ufficialmente non siamo in guerra, non ho altra scelta, come rappresentante del mio governo, che farvi arrivare tutti quanti oltre le linee sani e salvi. Questo era il mio piano quando ho ripreso la partita da dove l’aveva lasciata Pi Ying. La vostra liberazione non ha niente a che fare con i miei sentimenti personali, né con l’esito della partita. Vincere mi avrebbe fatto piacere e le avrebbe dato un’utile lezione. Ma non avrebbe cambiato la vostra sorte.”Si accese una sigaretta e continuò a guardarli con severità. “Molto cavalleresco da parte sua, maggiore,”disse Kelly. “Giochi di potere, le assicuro. Non converrebbe a nessuno provocare un incidente tra i nostri due paesi in questo momento. Per un russo, essere cavalleresco verso un americano è un’impossibilità spirituale, una contraddizione in termini. In una storia lunga e acrimoniosa abbiamo imparato, e imparato bene, a riservare la nostra cavalleria ai russi.”La sua espressione era ormai di assoluto disprezzo. “Forse non le spiacerebbe fare un’altra partita, colonnello: semplici scacchi con pezzi di legno, senza le ricercatezze di Pi Ying. Mi secca che lei se ne vada credendo di giocare meglio di me.”“Molto gentile da parte sua, ma non questa sera.”“Be’, allora un’altra volta.”Il maggiore Barzov fece segno alle guardie di aprire la porta della sala del trono. “Un’altra volta,”ripeté. “Ci saranno altri Pi Ying desiderosi di giocare con lei con uomini vivi, e spero di avere ancora il privilegio di essere un osservatore.”Lo guardò con un sorriso smagliante. “Quando e dove vorrebbe che fosse?”“Disgraziatamente, toccherà a lei scegliere tempo e luogo,”disse stancamente il colonnello. “Se insisterà per organizzare un’altra partita, mi mandi un invito, maggiore, e non mancherò.”* In inglese “alfiere”è bishop, che significa “vescovo”. (N.d.T.) D.P. Ottantuno barlumi di vita umana erano tenuti in un orfanotrofio messo in piedi dalle suore cattoliche in quella che era stata la casa del guardacaccia di una vasta tenuta da cui si godeva una bella vista sul Reno. Questo orfanotrofio si trovava nel villaggio tedesco di Karlswald, nella zona di occupazione americana. Se non fossero stati tenuti là dentro, se non avessero ricevuto il cibo, il calore e gli indumenti che si potevano raccogliere per loro, i bambini avrebbero potuto vagare fino ai confini della terra, cercando genitori che da un pezzo avevano smesso di cercarli. Ogni pomeriggio di bel tempo le suore li facevano marciare, a due a due, attraverso i boschi fino al villaggio e ritorno, per la loro razione di aria fresca. Il carpentiere del villaggio, un vecchio abituato a prendersi brevi pause di riposo e riflessione tra una botta e l’altra dei suoi attrezzi, usciva sempre dalla sua bottega per guardare quell’allegra e lacera sfilata saltellante e chiacchierina, e per fare congetture, con i fannulloni che attirava la sua bottega, sulle nazionalità dei genitori dei bambini che passavano. “Ecco la francesina,”disse un pomeriggio. “Guardate il lampo di quegli occhi!”“E guardate come dondola le braccia quel piccolo polacco. Amano le marce, i polacchi,”disse un giovane meccanico. “Polacco? Dov’è questo polacco?”disse il carpentiere. “Là: quello magrolino dall’aria giudiziosa davanti a tutti,”rispose l’altro. “Aaah. È troppo alto per essere polacco,”disse il carpentiere. “E quale polacco ha dei capelli biondi come quelli? È un tedesco.”Il meccanico fece spallucce. “Ormai sono tutti tedeschi, quindi che differenza c’è?”disse. “Chi può provare cos’erano i suoi genitori? Se tu avessi combattuto in Polonia sapresti che era un tipo molto comune.”“Guarda... guarda chi arriva adesso,”disse il carpentiere con un sorriso. “Tu, che sei sempre pronto a discutere, non vorrai contraddirmi anche su questo. Ecco un americano!”E gridò al bambino: “Joe, quando vincerai di nuovo il campionato?”“Joe!”gridò il meccanico. “Come sta oggi il Bombardiere Nero?”Proprio in fondo alla sfilata, un ragazzo di colore con gli occhi celesti, isolato, sorrise dolcemente, un po’a disagio, a quelli che ogni giorno gli rivolgevano la parola. Fece un piccolo inchino, educatamente, n un saluto in tedesco, l’unica lingua che sapeva. Il suo nome, scelto arbitrariamente dalle suore, era Karl Hei nz. Ma il carpentiere gli aveva dato un nome che gli era rimasto appiccicato, il nome dell’unico uomo di colore che avesse mai lasciato la sua impronta nella mente dei paesani, l’ex campione del mondo dei pesi massimi Joe Louis. “Joe!”gridò il carpentiere. “Su con la vita! Fammi vedere quei bei denti bianchi e luccicanti che hai, Joe.”Joe obbedì, timidamente. Il carpentiere diede una manata sulla schiena del meccanico. “E se non è tedesco pure lui! Forse è l’unico modo in cui potremo avere un altro campione dei pesi massimi.”Joe girò un angolo, espulso dal campo visivo del carpentiere dalla suora che chiudeva la retroguardia. Lei e Joe passavano molto tempo insieme, perché Joe, qualunque fosse il suo posto nella fila, restava sempre indietro. “Joe,”disse la suora, “tu sei proprio un sognatore. La tua gente, sono tutti sognatori come te?”“Scusi, sorella,”disse Joe. “Stavo pensando.”“Sognando.”“Sorella, sono il figlio di un soldato americano?”“Chi te l’ha detto?”“Peter. Peter ha detto che mia madre era tedesca e mio padre un soldato americano che se n’è andato. Ha detto che mi ha lasciato con voi e poi se n’è andata anche lei.”Non c’era tristezza nella sua voce: solo perplessità. Peter era il ragazzo più grande dell’orfanotrofio, un vecchio amareggiato di quattordici anni, un ragazzo tedesco capace di ricordare i genitori, i fratelli, le sorelle e la sua casa, e la guerra, e cibi di ogni genere che Joe non riusciva neanche a immaginare. Agli occhi di Joe, Peter era un superuomo, un uomo che aveva fatto molte volte la spola tra paradiso e inferno, e che sapeva esattamente perché tutti loro erano dov’erano, come vi erano arrivati e dove avrebbero potuto essere. “Non devi preoccuparti, Joe,”disse la suora. “Nessuno sa chi erano i tuoi genitori. Ma dovevano essere bravissime persone, perché tu sei tanto buono.”“Cos’è un americano?”disse Joe. “È una persona di un altro paese.”“Vicino a noi?”“Ce ne sono alcuni vicino a noi, ma le loro case sono lontano, molto lontano, oltre una grande distesa di acqua.”“Come il fiume.”“Più acqua di così, Joe. Più di quanta tu ne abbia mai vista. Non si riesce nemmeno a vedere l’altra sponda. Potresti salire su una barca e navigare per giorni e giorni, e non arrivare ancora dall’altra parte. Un giorno ti mostrerò una carta geografica. Ma non badare a Peter, Joe. Lui s’inventa le cose. Non sa proprio niente di te. E raggiungi gli altri, adesso.”Joe allungò il passo e raggiunse la fine della fila, dove marciò con aria vigile e risoluta per qualche minuto. Ma poi riprese a ciondolare, inseguendo spettrali parole che turbinavano nella sua mente: ... soldato... tedesca... americano... la tua gente... campione... Bombardiere Nero... più acqua di quanta tu ne abbia mai vista. “Sorella,”disse Joe, “gli americani sono come me? Sono neri?”“Alcuni sì, altri no, Joe.”“Sono molte, le persone come me?”“Sì. Molte, molte persone.”“Perché io non ho visto nessuno?”“Nessuno di essi è venuto al villaggio. Hanno dei posti tutti loro.”“Voglio andarci.”“Non sei felice qui, Joe?”“Sì. Ma Peter dice che non è il mio posto, che non sono tedesco e non potrò esserlo mai.”“Peter! Non badargli.”“Perché la gente sorride quando mi vede, e cerca di farmi cantare e parlare, e poi ride quando lo faccio?”“Joe, Joe! Guarda, presto!”disse la suora. “Lo vedi? Là, sull’albero. Vedi quel piccolo passerotto con la zampina rotta? Oh, poverino, che creaturina coraggiosa... si muove ancora abbastanza bene. Lo vedi, Joe? Oplà, come saltella!”Un cocente giorno d’estate, mentre la fila degli orfanelli passava davanti alla sua bottega, il carpentiere uscì per dire a Joe qualcosa di nuovo, qualcosa che accese il suo entusiasmo e lo terrorizzò. “Joe! Ehi, Joe! Tuo padre è in città. Non l’hai ancora visto?”“Nossignore... no, non l’ho visto,”disse Joe. “Dov’è?”“Ti sta prendendo in giro,”disse la suora, seccata. “Vedrai se ti sto prendendo in giro, Joe,”disse il carpentiere. “Basterà che tu tenga gli occhi aperti quando passi davanti alla scuola. Dovrai guardare bene, su per la collina e dentro il bosco. Vedrai, Joe.”“Chissà dov’è oggi il nostro piccolo amico, il passerotto,”disse la suora vivacemente. “Santo cielo, speriamo che la sua zampina stia migliorando, eh, Joe?”“Sì, sì, certo, sorella.”Lei continuò a ciarlare del passerotto, delle nuvole e dei fiori mentre si avvicinavano alla scuola, e Joe smise di rispondere. Il bosco sopra la scuola sembrava silenzioso e deserto. Ma poi Joe vide un nero massiccio, a torso nudo e con una pistola, uscire dal folto degli alberi. L’uomo bevve un sorso da una borraccia, si asciugò le labbra col dorso della mano, sorrise con aristocratico disdegno al mondo che era ai suoi piedi e sparì di nuovo nel crepuscolo del bosco. “Sorella!”disse Joe. Era rimasto senza fiato. “Mio papà... ho appena visto mio papà!”“No, Joe... no, non è così.”“È là nel bosco. L’ho visto. Voglio andare lassù, sorella.”“Non è tuo padre, Joe. Non ti conosce. Non vuole vederti.”“È uno dei miei, sorella, la mia gente!”“Non puoi andare lassù, Joe, e non puoi stare qui.”Lo prese per un braccio per costringerlo a muoversi. “Joe... ti stai comportando male, Joe.”Joe obbedì, stordito. Non disse più nulla per il resto della passeggiata, che li portò a casa per un’altra strada, lontana dalla scuola. Nessun altro aveva visto quel padre meraviglioso, o creduto che Joe lo avesse visto. Joe non scoppiò in lacrime fino alle preghiere di quella sera. Alle dieci la giovane suora trovò la sua cuccetta vuota. Sotto una grande rete tesa trapunta di stracci, un pezzo di artiglieria era acquattato nel bosco, nero e unto, con la bocca rivolta al cielo notturno. Gli autocarri e il resto della batteria erano nascosti più in alto sul pendio. Joe guardava e ascoltava i soldati, tremebondo, attraverso una sottile cortina di arbusti, figure confuse nell’oscurità, trincerate intorno al cannone. Le parole che udiva non avevano alcun senso. “Sergente, perché dobbiamo scavare delle trincee se domani mattina ci muoviamo, e tanto sono soltanto manovre? Mi sa che potremmo risparmiare le nostre forze, e grattare appena un po’qua e là per far vedere dove c’eravamo trincerati, se fosse una cosa ragionevole.”“Per quel che ti riguarda, ragazzo, potrebbe diventare ragionevole prima di domani,”disse il sergente. “Hai dieci minuti per andare in Cina e portarmi un codino. Capito?”Il sergente mise piede in un pezzo di terra rischiarato dalla luna, con le mani sui fianchi, le grosse spalle tirate indietro, l’immagine di un imperatore. Joe vide che era lo stesso uomo davanti al quale era rimasto a bocca aperta quel pomeriggio. Il sergente ascoltò i rumori dello sterro, soddisfatto, e poi, con grande allarme di Joe, avanzò a grandi passi verso il suo nascondiglio. Joe non mosse un muscolo finché lo scarpone lo colpì a un fianco. “Ach!”“Chi c’è?”Il sergente lo alzò da terra e lo mise in piedi. “Cavolo, ragazzo, cosa fai qui? Smamma! Va’a casa! Questo non è un posto per venirci a giocare.”Puntò la torcia elettrica sulla faccia di Joe. “Dannazione,”borbottò. “Da dove vieni?”Lo tenne a mezzo metro di distanza e gli diede una scossetta, come se fosse una bambola di stracci. “Ragazzo, come sei arrivato qui? A nuoto?”Joe balbettò in tedesco che stava cercando suo padre. “Coraggio... come sei arrivato fin qui? Cosa fai? Dov’è la tua mamma?”“Cos’ha trovato, sergente?”disse una voce nell’oscurità. “Non so bene come chiamarlo,”disse il sergente. “Parla come un crucco ed è vestito come un crucco, ma lo guardi un momento.”Presto Joe fu circondato da una dozzina di uomini che parlavano prima ad alta voce, poi più piano, come se pensassero che per farsi capire occorresse cercare il tono giusto. Ogni volta che Joe cercava di spiegare la sua missione, ridevano stupiti. “Come hai fatto a imparare il tedesco? Parla.”“Dov’è tuo padre, ragazzo?”“Dov’è la tua mamma?”“Sprecchen zii dacce, ragazzo? Guardami. Visto? Fa’sì con la testa. Lo parla, eccome.”“Oh, correntemente, correntemente. Fagli un’altra domanda.”“Andate a chiamare il tenente,”disse il sergente. “Lui può parlare con questo ragazzo e capire cosa sta cercando di dire. Guardate come trema. È terrorizzato. Vieni qui, ragazzo; non aver paura, su.”Strinse Joe tra le sue braccia muscolose. “Calmati, adesso... andrà tutto be-e-e-ne. Vuoi vedere cos’ho qui? Perbacco, non credo che questo ragazzo abbia mai visto prima del cioccolato. Forza... assaggialo. Non ti farà male.”Joe, al sicuro in un fortilizio di tendini e ossa, circondato da occhi luminosi, affondò i denti nella stecca di cioccolato. L’interno roseo della sua bocca, e poi tutta la sua anima, furono inondati da un piacere intenso e caldo, e il bimbo reagì con un sorriso raggiante. “Ha sorriso!”“Guardate come si è illuminata la sua faccia!”“Crederà di essere finito dritto in paradiso, dannazione! Dico davvero!”“A proposito di profughi,”disse il sergente, abbracciando Joe, “questo è il profugo più piccolo che io abbia mai visto. Dritto, rovescio e in qualunque altra posizione.”“Tieni, ragazzo... ecco un altro po’di cioccolato.”“Non dategliene più,”disse il sergente in tono di biasimo. “Volete farlo star male?”“Ma no, sergente, andiamo... nessuno vuole fargli del male. Nossignore.”“Cosa succede qui?”Il tenente, un negro piccolo ed elegante, si avvicinò al capannello col raggio della torcia che danzava davanti a lui. “Abbiamo trovato un ragazzino, tenente,”disse il sergente. “Era qui che gironzolava nel campo. Dev’essere striscia sotto il naso delle sentille.”t’, lo mandi a casa, sergente.”