martedì 16 giugno 2020

INGANNO Philip Roth




INGANNO

Philip Roth

È un libro che mi piace molto. E lo rileggo.   Sono 151 pagine di dialoghi. Nessuna descrizione, nessun intermezzo, nessuna introduzione. Sei destabilizzato e catturato dentro la lettura. Devi orientarti  senza aiuto dello scrittore.  Roth ti fa origliare ciò che si dice nella stanza del peccato e ti permette  di assistere a ogni scambio di battute tra i due amanti senza darti nessun indicazione. Roth chiede al lettore di ricostruire il come, il dove e il quando di ogni scena. Per me quei dialoghi sono così coinvolgenti che non mi ha interessato la collocazione spazio-temporale degli eventi.


Inganno

Traduzione di Raul Montanari
Einaudi
ET Scrittori 1418
Titolo originale: Deception
© 1990 Philip Roth. All rights reserved
© 2006 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino
ISBN 88-06-18293-5
– Io scrivo. Tu comincia.
– Come si chiama questa cosa?
– Non so. Come la vogliamo chiamare?
– Questionario sul sogno di fuggire insieme.
– Questionario sul sogno di fuggire insieme di due amanti.
– Questionario sul sogno di fuggire insieme di due amanti di mezza età.
– Tu non sei di mezza età.
– Come no?
– A me sembri giovane.
– Sì? Be', questo dovrà saltar fuori dal questionario, sicuro. Entrambi gli aspiranti sono tenuti a rispondere a tutti i quesiti.
– Comincia.
– Qual è la prima cosa che ti farebbe saltare i nervi, riguardo a me?
– Quando sei al tuo peggio, qual è il tuo peggio?
– Sei davvero così pieno di vita? I nostri livelli di energia corrispondono?
– Sei un'estroversa equilibrata e affascinante, o sei invece una nevrotica solitaria?
– Entro quanto tempo potresti sentirti attratto da un'altra donna?
– O da un uomo.
– Non devi mai invecchiare. Pensi lo stesso di me? Ci pensi, in generale?
– Quanti uomini o donne hai bisogno di avere contemporaneamente?
– Quanti bambini vuoi che interferiscano con la tua vita?
– Fino a che punto sei ordinata?
– Sei eterosessuale al cento per cento?
– Hai un'idea precisa di cosa trovo io d'interessante in te? Puntualizzare, prego.
– Dici bugie? Mi hai già mentito? Pensi che mentire sia semplicemente normale, o sei contrario?
– Ti aspetti di sentirti dire la verità, se la chiedi?
– Pretendi la verità?
– Pensi che la generosità sia un segno di debolezza?
– Vuol dire qualcosa per te la debolezza?
– Vuol dire qualcosa per te la forza?
– Quanti soldi posso arrivare a spendere senza che tu ti irriti? Mi lasceresti in mano la tua carta di credito senza far domande? Mi permetteresti di avere un qualche potere sul tuo denaro?
– Sotto quali aspetti sono già una delusione?
– Cosa ti imbarazza? Dimmelo. Ma lo sai, poi?
– Cosa pensi veramente degli ebrei?
– Morirai? Sei a posto sia mentalmente che fisicamente? Specificare, prego.
– Non preferiresti una persona più ricca?
– Fino a che punto ti dimostreresti inetto se ci scoprissero? Cosa diresti se qualcuno entrasse da quella porta? Chi sono io, e perché è tutto a posto?
– Quali sono le cose che non mi dici? Fanno venticinque. Ce n'è ancora?
– A me non ne viene in mente nessuna.
– Io ho voglia di sentire le tue risposte.
– E io le tue. Aspetta, ne ho una.
– Sì?
– Ti piace come mi vesto?
– Che assurdità.
– Niente affatto. Più un difetto è banale, più fa rabbia. Lo so per esperienza.
– Okay. Un'ultima domanda?
– Eccola. Eccola, l'ultima domanda. In qualche modo, in qualche angolo del tuo cuore, culli ancora l'illusione che il matrimonio sia una questione d'amore? Se così fosse, potrebbero nascere un sacco di guai.
– L'altro giorno l'amichetta di mio marito gli ha fatto un regalo. È un tipo pretenzioso, lei, una di quelle persone possessive e ambiziose. Quando c'è di mezzo lei, tutto deve avere un tono altamente drammatico. Insomma, gli ha preso un disco.
Adesso non me lo ricordo, ma è un pezzo molto famoso, molto bello, di Schubert: lui l'ha composto dopo che aveva perduto la più grande passione della sua vita, la donna più affascinante del secolo, un tipo alto e sottile. Questo è l'argomento del pezzo, capisci. Le note di copertina spiegano bene tutta la faccenda, che questa è la più grande passione che potrebbe mai esser concepita, autentico connubio dì due anime autentiche, e giù con tutta una tiritera altisonante sull'infelicità e l'estasi di venire separati dal destino crudele. Un regalo chiaramente pretenzioso. Lui commette l'errore di parlare apertamente di cose di questo genere, capisci. Avrebbe potuto dirmi che se l'era comprato lui, e basta. Invece mi ha detto che gliel'aveva preso lei.
Secondo me, non aveva dato neanche un'occhiata al retro. Una sera ero ubriaca, allora ho preso quella specie di penna color rosa che serve a evidenziare, e ho evidenziato sei o sette frasi che prese così facevano veramente ridere. Poi, con tutta calma, ho assunto un'aria di dignitoso riserbo e gli ho allungato la copertina del disco. Pensi che sia stato orribile da parte mia?
– Perché eri ubriaca?
– Non è che fossi ubriaca. Mi ero fatta un bel po' di drink.
– Di sera bevi sempre molto.
– Già.
– Quanto?
– Oh, bevo un sacco. Dipende. Certe sere non bevo per niente. Ma se comincio posso anche bere parecchi doppi prima di cena, e parecchi anche dopo, e vino mentre mangio. Però non mi ubriaco. Mi sento soltanto, come dire, su di giri.
– Quindi, non dedichi molto tempo alla lettura, in questi giorni.
– No. Comunque non bevo da sola. C'è qualcuno quando bevo. Anche se in realtà non stiamo granché insieme. Be', ultimamente è anche capitato... ma non è nella norma.
– Che strana vita fai.
– Sì, è strana. È tutta un errore. Ma, insomma, è la mia vita.
– Sei molto infelice?
– Direi che va a periodi. Uno passa dei periodi spaventosi. E poi, invece, lunghi periodi di quasi tranquillità, e amore. Per parecchio tempo mi è sembrato che tutto non facesse che peggiorare. Poi c'è stato un breve periodo in cui è sembrato che la situazione si risolvesse. Adesso penso che nessuno di noi due ha voglia di affrontare l'altro troppo spesso. Tanto non serve a niente. Rende solo più difficile vivere nella stessa casa.
– Dormite ancora insieme?
– Ero sicura che me lo avresti chiesto. Ma io non ho voglia di rispondere. Se hai intenzione di andare da qualche parte in Europa, io so esattamente dove vorrei andare.
– Tu e io?
– Mmh. Amsterdam. Non ci sono mai stata. E c'è una mostra fantastica.
– Stai guardando l'orologio per vedere che ora è.
– Capita spesso che la gente che beve troppo guardi l'orologio prima di attaccare il primo drink. Non si sa mai.
– Qual è il problema?
– Oh, niente. Due balie, due bambini, e due donne delle pulizie che non fanno altro che litigare, e la solita umidità inglese. E poi mia figlia, da quando è stata malata, ha preso il vizio di svegliarmi a ogni momento, tre, quattro, cinque volte. La cosa davvero stancante e che io mi sento responsabile di tutte le mie responsabilità.
Ho bisogno di una vacanza. E non credo che possiamo continuare ad avere una relazione intima. La giornata è troppo corta.
– Davvero? È un bel guaio.
– No, non credo proprio che possiamo. Non sei d'accordo, forse? L'ultima volta che ne abbiamo parlato, non era lì che stavi andando a parare?
– Oh, capisco. La miglior difesa è l'attacco. Okay. Tutto quello che vuoi.
Ride. – Be', per me è la cosa migliore. Credo che tu ti sia espresso molto chiaramente quella volta che hai detto che ti stava facendo impazzire.
– Cosa mi stava facendo impazzire?
– Be’, tutte queste faccende di sesso. Hai detto che non pensavi di essere molto disponibile a un'amicizia romantica e basta.
– Capisco.
– Questa è la tua espressione tipica per dire: be', lasciamo perdere.
– No, niente affatto. È la mia espressione tipica per dire: sono tutt'orecchie.
– Be', forse non avrei dovuto semplificare così.
– Davvero? Oh, semplificherò io per te, se vuoi le cose semplici.
– Non stare zitta. Non lo sopporto quando stai zitta.
– È molto strano vederti.
– Più strano il contrario, no?
– No. Di solito io non ti vedo.
– Sembri un po' cambiato. Cosa ti è successo?
– Per farmi cambiare? Tu dimmi in cosa mi trovi cambiato e io ti dirò perché.
Mi vedi più alto, più basso, più largo, più grasso?
– No, è appena una sfumatura.
– Una sfumatura? Vuoi saperlo davvero? Mi sei mancata.
– Sono andata a trovare una nostra amica che ha lasciato il marito. È una donna molto intelligente, molto bella, e ha molto successo. È anche estremamente coraggiosa e autodisciplinata. E ha un sacco di soldi. E ha un aspetto orribile.
– Da quanto tempo vive sola?
– Due mesi.
– Peggiorerà.
– Non solo guadagna un mucchio di soldi facendo un lavoro interessante, ma ne aveva un sacco anche prima, per cui problemi proprio non ce ne sono.
– Ha figli?
– Due figli.
– Una visita d'ammonimento.
– Be', se non riesce a farcela lei, be', ecco... È appena stata male da morire, ha cambiato casa, ha appena divorziato, e i suoi figli soffrono e la fanno dannare e... io non potrei neanche cominciare. Io non potrei neanche cominciare.
– Tu però non vuoi che lui la lasci, vero? Non vuoi dirgli: «Se non la lasci, me ne vado a dormire nell'altra stanza. O scopi me o scopi lei, scegli».
– No. No. Sono convinta che lei è davvero una parte importante della sua vita.
Non sarebbe solo una follia, sarebbe da egoista.
– Egoista da parte tua?
– Sì.
– Davvero? È questo il tuo punto di vista? Allora sposiamoci subito. È un punto di vista affascinante... mai sentita prima una cosa del genere. Un donna che dice:
«Sarebbe egoista da parte mia chiedere a mio marito di lasciare la sua amichetta».
– Eppure lo penso davvero.
– Sai, di solito la gente pensa che sia egoistico da parte dell'uomo pretendere di tenersi un'amica, e non egoistico da parte di sua moglie il fatto di chiedergli di lasciarla.
– Un punto di vista ragionevole e giusto difficilmente ti viene subito spontaneo.
Quella che dici tu era stata la mia prima reazione. Ma adesso la penso così... Mi rendo conto di essermi comportata da vera stupida con mio marito, ma forse il motivo è che non so di preciso dove ho sbagliato. Lui ha dovuto sorbirsi per anni e anni una moglie tremendamente depressa e malinconica. Probabilmente non c'era troppo da meravigliarsi: stavo sempre da sola, lui era così spesso via di casa e lavorava sodo.
Non ho mai avuto altre storie, perché ho sempre pensato che lui era vulnerabile e doveva essere protetto.
– A me non sembra un tipo così vulnerabile.
– Insomma, lui è al sicuro in una stanza d'ospedale. Che ne dici, ci sarà la sua pupa là con lui?
– «Pupa» è una parola bellissima.
– Sapevo che ti sarebbe piaciuta. Adesso puoi prenderti la tua piccola vacanza, finalmente.
– Be', ho l'impressione di avergli fatto cattiva pubblicità, e immeritatamente. Lui ha molte, molte qualità. Ma, per dirla tutta, era da un bel pezzo che non dormivo così bene. Stamattina mi sono svegliata sentendomi perfettamente a posto.
– Hai ascoltato il disco che ti ho regalato?
– No. Ho dovuto nasconderlo.
– E perché hai dovuto nasconderlo?
– Perché non sembrerebbe una cosa normale che io compri un disco. Non capita spesso.
– Cosa pensi di farne, allora?
– Be', lo metterò su la sera, quando sono sola.
– Cosa pensi di farne se lo scopre? Sale e pepe e te lo mangi?
– Per la verità ne compravo, di dischi, ma rimanevo così sconvolta, dopo, che...
bah, è acqua passata.
– Cosa vuoi dire? Litigavate anche su quello?
– Sì.
– Sul serio?
– Sì.
– Ma non ha senso.
– No.
– Sei carina. Bello, quel completo. Ma l'hai indossato al contrario?
– No, ho un sacco di vestiti con le cuciture esterne. Non ci hai mai fatto caso. È
una cosa sciccosissima, dà l'idea che una sia un po' anarchica.
– Be', sei davvero carina ma hai una voce terribilmente stanca. E stai ricominciando a dimagrire. Non prendi le vitamine e tutte quelle altre cose?
– Non regolarmente. Il fatto è che non mangio da tre giorni. Sono talmente occupata.
– Troppo occupata.
– Già. Me ne sto seduta in questa stanza a cercare di battere a macchina qualcosa, ed ecco che arriva la piccolina e tanto per cominciare fa pipì sul tappeto.
Poi esce e piange un altro po' e poi torna dentro. Poi mi scompiglia un bel po' di pagine, qua e là, poi sgancia il telefono e poi viene qui da me e mi riempie il divano di pupù. Dopodichè devo andare al lavoro e leccare i piedi al mio capo per otto ore filate.
– E tuo marito?
– È più facile, quando non ti vedo. Ci si dà una regolata, si va a cercare le proprie distrazioni da qualche altra parte... e si dimentica, sai? Così non ti devo coinvolgere in paragoni assurdi. Chissà quante volte avrei voluto spiegarti cosa mi stava passando per la testa. Mi sembra che forse sto abusando di te, e non voglio farlo. Sai cosa voglio? Smettere di doverti spiegare tutte queste cazzate. Non ti dirò di no se me lo chiedi, ma preferirei davvero non parlarne.
– Parlane. Mi piace sapere cosa ti passa per la testa. Ho una passione per la tua testa.
– Ho appena avuto qui mia madre per il fine settimana. E lui è scomparso dalla circolazione. Ho avuto mia madre sulle spalle per tutto il fine settimana. E non riesco a dormire decentemente da notti e notti. E ti penso tantissimo. E domani devo pranzare con mia suocera, un'esperienza un tantinello estenuante... è una donna che sa davvero essere critica. Sa rendersi così stramaledettamente sgradevole che uno cerca in tutti i modi di tenerle le cose fuori portata. E la bambinaia è una testona. Saltellano tutte da una casa a un'altra, le bambinaie, fanno paragoni fra i genitori, e la nostra è diventata una gran testona. E... tu sai cos'è una cervice, no?
– Credo di sì.
– Che parola idiota, «cervice». Be', sulla mia c'è una protuberanza. Devo andare a fare un esame o qualcosa del genere. E mio marito dice che ho rovinato la sua vita sessuale. Dice: «Sei così pesante, è tutto talmente serioso, uno strazio, non c'è gioia, non c'è allegria, non c'è humour in niente», e ha ragione, immagino. Immagino che esageri della grossa, ma nel complesso ha ragione. Non mi godo il sesso, per niente.
Mi sembra tutta una cosa di solitudine, una cosa difficile. D'altronde la vita è così, no?
– Perché non fai un piacere a tuo marito e ti sforzi di venire?
– Non voglio.
– Fallo. Lasciati andare. Dicono che è meglio che litigare.
– Mi arrabbio tanto con lui.
– Non arrabbiarti. È tuo marito. Ti sta scopando. Lascialo fare.
– Secondo te dovrei mettercela tutta.
– No. Si. Fallo e basta.
– Queste cose non si possono controllare coscientemente.
– Sì, invece. Limitati a fare la baldracca per una mezz'ora. Non ci morirai.
– Le baldracche non vengono. Sta' sicuro che non ne hanno nessuna voglia.
– Recita la parte della puttana. Non prenderla troppo seriamente.
– Questo è il suo problema, è lui che la prende troppo seriamente. Sai, è uno di quelli che pensano che le donne dovrebbero avere orgasmi multipli e che si dovrebbe sempre venire insieme. Questo è perfettamente normale, d'accordo, è quello che succede quando si è giovani, quando è tutto facile. Ma aspetta di avere un passato, qualche risentimento: oh, c'è tanto di quell'antagonismo fra noi due. E perché poi uno perde completamente l'attrazione sessuale per un altro?
– Tanto varrebbe che mi chiedessi perché nevica.
– Ma è un motivo per lasciarlo, no?
– Non è questo il motivo per cui lo lasci, se mai lo lascerai.
– No. Ma se esamino bene la faccenda, c'è sotto proprio questo. Lui non potrebbe sopportare di non essere più attraente per me.
– Come stai?
– Oh, indaffarata e incavolata, al solito.
– Hai l'aria stanca.
– Be', niente di strano, no? Ho paura che il mascara mi sia colato sulla faccia.
– Perché sei arrabbiata?
– Ho avuto una scenata tremenda con mio marito. Ieri. Era San Valentino, e una scenata è inevitabile. Qualcuno gli ha detto che lui non è il marito giusto per me perché a me piace essere viziata, e io naturalmente mi sono molto indignata... anche se qualche volta mi viene il sospetto che sia vero.
– Be', forse è stato perché era San Valentino, ma io mi sono svegliato nel cuore della notte e avevo l'incredibile sensazione che tu mi tenessi una mano sul cazzo.
Adesso che ci penso, magari era la mia, di mano. Ma no, no... era la tua.
– Non era la mano di nessuno. È stato un sogno.
– Già, un sogno che si intitola: «Buon San Valentino». Di', com'è che mi sono preso questa cotta tremenda per te?
– Sarà perché passi tutto il giorno in questa stanza. Te ne stai qua dentro e non hai nessuna nuova esperienza.
– Ho te.
– Io non sono niente di speciale.
– Oh, sì invece. Tu sei adorabile.
– Davvero? Lo pensi proprio? Io mi sento un mezzo sfacelo, a dir la verità. Mi sento molto vecchia.
– Da quanto tempo va avanti?
– Noi due? Sarà un anno e mezzo. Generalmente le mie faccende non durano più di due anni. Lavoro e cose del genere, intendo. A pensarci bene, io non so niente di te, sai? Be', qualcosina sì. Ho letto i tuoi libri. Ma non è molto. È difficile conoscere una persona stando in una sola stanza. Tanto varrebbe che ce ne stessimo rintanati in una soffitta come la famiglia di Anna Frank.
– Be', è la nostra condanna.
– Suppongo di si. È la vita.
– Non ce n'è un'altra.
– Perché non mi versi qualcosa da bere?
– Stai per piangere, vero?
– Credi? Ho un tale bisogno di privacy. Ho voglia di dormire da sola da tanto di quel tempo che non mi ricordo più quando è cominciata. No, adesso esagero. Ma alla fine di una giornata; quando mi sento davvero esausta ed è in arrivo un'altra battaglia emotiva... E poi non è solo questo, ma il disturbo di sentire qualcuno che dorme di fianco a me. Abbiamo un letto molto grande, ma non abbastanza. Che tristezza, vero?
Voglio dire, lui ha così tante meravigliose qualità... Potrei avere quel drink, per favore? Il mio equilibrio non è quel che si dice un portento, oggi. Trovo assolutamente insopportabile che lui mi dica: «Ho mollato tante cose per te, e non ne valeva la pena». Fa talmente male. Me l'ha ripetuto due volte negli ultimi quindici giorni. Perché le cose non possono andare meglio? Andiamo così d'accordo! E poi ci tengo davvero a lui. Mi mancherebbe tremendamente se non fossi lì. Ci sono tante cose che mi piacciono in lui... Comunque, non credo che dovrei tirarla così per le lunghe con te.
– Perché no?
– Oh, non so cos'è che voglio.
– Quello che vuoi è non rimanere ancora in questa situazione.
– È questo che voglio? È questo?
– Pensi che servirebbe se andassi da uno psichiatra? Perché quello che ancora non ho capito è cosa voglio veramente. Se qualcuno mi dicesse: «Guarda che tuo marito smetterà di fare il cretino in giro e ti tratterà con grande rispetto e deferenza, e sarà assolutamente affascinante, ma tu non cambierai idea sul sesso con lui, non sentirai nessuna attrazione sessuale, e dovrai rassegnarti a...».
– Provi attrazione per qualcuno?
– Adesso, o anche prima?
– Tutti e due.
– Una volta mi piaceva molto, farlo.
– E adesso? Non hai voglia di fare l'amore con me, ora?
– Non ho voglia di fare l'amore con nessuno. Nessuno. E non so spiegarmelo.
Non credo che ci sia qualcosa che non funziona nella mia sessualità, in generale. Ma in questo momento c'è di sicuro. E sono arrivata allo stadio in cui la cosa mi causa addirittura dolore.
– La risposta alla tua domanda se sia il caso di andare da uno psichiatra è sì.
– È difficile trovarne uno in gamba.
– Hai intenzione di farlo di nascosto, o apertamente? E se lo farai apertamente, che motivi ne darai?
– La sola ragione per cui non lo farei apertamente è che poi potrebbero dire che sono inadatta a fare la madre, che sono una nevrotica e quindi sarebbe molto meglio che la bambina stesse col padre.
– Nessun tribunale accetterebbe mai queste argomentazioni.
– Ma io non voglio andare in tribunale... voglio solo che le cose siano diverse da come sono.
– Sai che cosa faccio martedì? Vado da un avvocato.
– Per il divorzio?
– Be', non esattamente. Solo per farmi dire com'è la situazione. Probabilmente arriverò qui da te molto su di giri.
– Bene. È una prospettiva interessante.
– Cosa succede se lui ti chiede come ti sei fatta quel livido sulla coscia?
– Me l'ha già chiesto.
– Ah. E tu?
– Gli ho detto la verità. Dico sempre la verità. Così non possono mai beccarti a dire una bugia.
– Cosa gli hai detto?
– Gli ho detto: «Mi sono fatta questo livido durante un torrido amplesso con uno scrittore disoccupato in un appartamento di una casa senza ascensore a Notting Hill».
– E allora?
– Suona come uno scherzo stupido. Grandi risate.
– E tu conservi l'illusione di essere una donna onesta.
– Nel modo più assoluto.
– Stai tremando. Stai male?
– Sono eccitata.
– Ho un'aria spaventosa, vero?
– Una buona dose di whisky è quel che ti ci vuole.
– Se do sul serio il via a questa faccenda del divorzio, dovrò comportarmi in modo impeccabile. Ma non credo che lo farò.
– Allora non farlo.
– Non conosco le mie intenzioni. Ho dovuto sforzarmi per raccontare tutte queste cose a un avvocato mai visto prima. Quello che ho trovato offensivo è che fosse presente anche una giovane avvocatessa molto attraente. Sono stata lì lì per dire che lei se ne doveva andare, poi ho pensato che era meglio non partire con il piede sbagliato. Tutto sommato, non mi stavo confessando o cose del genere. Ma ci sono certe domande inevitabili del tipo: «Suo marito ha commesso adulterio?»
– Cos'hai risposto?
– Ho risposto di sì. Lo fa da anni. Be', pare che se tu accetti l'adulterio di tuo marito per sei mesi equivale a condonarglielo, e non può più valere come causa di divorzio. Erano curiosissimi di sapere come mai io accettavo la cosa. Allora gli ho detto di lasciar perdere, che i fatti in realtà stavano in questi termini: lui si è creato un giro perfetto che gli permette di fare esattamente quello che vuole, e io ho scoperto che questo suo giro è una cosa davvero fuori del comune, e se io non riesco ad avere per me una sistemazione del genere, be', allora è proprio il caso di farla finita. E la ragazza era tutta sconvolta a sentirmi parlare in modo così frivolo. Ma è molto difficile discutere di queste cose. La verità è che non hai affatto voglia di parlarne con quella gente.
– Eppure devi farlo.
– Sai, una volta io vivevo in campagna, e prima di passare tutto questo tempo in città mi sentivo una persona semplice, e volevo rimanere semplice. Ma è una cosa che ti muore dentro, dopo che hai tanto lottato. Ero un tipo molto divertente.
– A me piaci come sei adesso.
– Oggi continuo a versare lacrime sul fatto che non abbiamo nessun tipo di vita sessuale. Voglio dire, di qualunque tipo sia la vita sessuale che abbiamo, non è quella che vorrei io.
– L'hai detto agli avvocati?
– Questo? No, certo che no. Lui per il sesso ci va matto, ma dal mio punto di vista, così come stanno le cose adesso, non ha nessun senso.
– Me l'hai detto. Lo sopporti e basta.
– Be', neanche più quello. Ho deciso di smetterla.
– Allora non c'è più bisogno degli avvocati, basterà questo a mettere la parola fine.
– Lo so. Ma mi sembra troppo stupido. È buffo, e anche strano, ma penso che ci sarebbero dei buoni argomenti a favore...
– Della castità?
– Non era quello che volevo dire, comunque penso che sia vero. Il lavoro se ne avvantaggia: adesso ho molte più idee e ho un maggiore controllo di me stessa. Mi viene anche molto più facile pensare alle cose che voglio E non sono più tremendamente distratta com'ero prima. Secondo me è come se tu tirassi giù la saracinesca, sessualmente parlando. Vai in letargo. Non so perché non l'ho fatto prima. Non è una cosa naturale, per me. Ero piuttosto arrogante in fatto di sesso, perché filava via tutto così liscio.
– Una volta.
– Già.
– Sono ragazza di Cecoslovacchia laureata di letteratura russa. Sono emigrata in USA nel 1968, dopo che arrivano i carri armati russi. Ho vissuto in USA per sei anni, nell'Upper East Side, e adesso torno.
– Benvenuta.
– Mi sono innamorata follemente di mia nuova patria, nel '68. Tutto era nuovo, in America: ho dovuto imparare tante cose, e presto. Ho studiato recitazione, ma non sono andata più oltre di provino in bikini per la Paramount. Allora sono entrata nella moda, ma il lavoro non mi piaceva tanto; adesso quello che mi piacerebbe è scrivere libro. Per questo sono venuta da te.
– Mi fa piacere che l'abbia fatto, ma non sono sicuro di poterle essere d'aiuto.
– Quando sono arrivata in USA, all'inizio ho lavorato per produttore televisivo, stavo nella sua casa in città come una baby sitter alla pari. Pensavo: questa è l'America. Quando ho lasciato quella casa mi sono trovata appartamento nell'East Side. Ho scoperto che il mio corpo era fuori del normale. Mi hanno offerta di fare la modella. Mi hanno messo indosso vestaglia di seta tutta ricavata d'oro. Io guardo giù quello che lui sta facendo e ho visto il suo grosso grosso pene e lui aspettava se io guardo il pene o sto a badare solo a posare con vestaglia. Io lascio stare il pene, allora lui chiede della mia amica. Era chiaro per me che devo fare la mia vita da sola.
– E come ha fatto?
– L'uomo che vedevo mi ha preso nuovo appartamento in palazzo di celebrità.
Nell'aldilà del corridoio vive bellissima modella nera. Ho visto il bellissimo uomo nero che le porta fuori la spazzatura. Corro tutte le volte solo per stare vicino a loro nell'ascensore. Poi l'attore che vive nel palazzo mi porta pure a trovare la sua amichetta. Lui fa l'amore con tutte e due e poi fa orgasmare solo l'altra ragazza. Io ero disperata. Lui me lo faceva dappertutto. Qualcuna delle mie amiche diventano prostitute. Tornano a casa al mattino col portafoglio pieno di biglietti di cento dollari.
Riesco ad avere lavoro come modella di reggiseni. Mi danno vestito nero di Valentino che con quello sfilo. Ho tenuto il vestito e comincio a fare il giro dei bar all'Hotel Pierre e al Plaza. Come sono gli uomini? Gli piaccio? 
– Gli piaceva? 
– Gli piacevo troppo. Ho cominciato a odiare il mio corpo. Il mio grosso seno lo schiaccio sotto i vestiti e vado a prendere lezioni di voce e di dizione per togliere un po' mio accento. Perché ho scoperto che c'entrava anche l'accento. Ma con la mia carnagione superbianca non ci potevo fare niente. Ho cominciato a odiare i soldi. 
Tutto quello che sogno era l'amore. Credo che andrò dal dottore Sigmund Freud. 
– È entrata in analisi. 
– No. Sono diventata una ragazza da party. Lui mi portava a vedere party d'affari, party di ragazze squillo, party delle Nazioni Unite. Divento una del jet-set. 
Volo ad Acapulco e sprecavo il mio tempo in un modo bellissimo. Trovo un miliardario belga di cinquantaquattro anni e per due anni ci divertiamo con tutto quello che i soldi possono comperare e dovunque di bellissimi posti ti possono portare. Tu conosci la mentalità: lui si porta nel letto mezza discoteca ma se ne va sempre via insieme con me. Io ho cominciato a fare lo stesso, perché sentivo che ero donna ed era tempo della liberazione della donna. Per me essere realizzata era volare a Montecarlo, discoteca di Régine, cinque bellissimi amanti che vengono nel mio appartamento in Fifth Avenue, Parke-Bernet, vestiti di couturier, ristoranti francesi eccetera. La mia vita era molto senza senso ma era sempre meglio di sposare poveraccio, vivere a Brooklyn, e avere tre figli. Dappertutto io sentivo che era sempre la stessa cosa, solo l'esteriore cambiava. E il conto lo passavano al mio boyfriend. 
Tutti e due abbiamo cominciato a sognare di posti stranieri e gente straniera. E tutti quelli che mi vedevano ciascuno cominciavano a parlare del suo aeroplano e a tirare fuori i suoi soldi e le carte di credito. Sono diventata molto curiosa del sesso e comincio a fare esperimenti da sola, perché vedevo che tutti lo fanno. Mi sono presa il meglio che Manhattan può offrirmi. Risultato: finisco in ospedale con le turbe emozionali. 
– Per quanto tempo? 
– Due mesi. Vengo fuori. Faccio la vita brillante ma continuo a studiare. 
Divento arredatrice di professione, poi sono andata a scuola per diventare stilista, ho preso corsi di cucina francese, scuola di perfezionamento per giovani signore. Lavoro con disciplina. E siccome i miracoli si fanno tante volte con la disciplina, questo capita a me. 
– E la disciplina... è questo il lieto fine della storia? 
– No. No, no. Nella discoteca di Régine a Montecarlo ho incontrato bellissimo straniero e mi sono lasciata innamorare follemente di lui. Era arabo. Vivo con lui un anno in grande stile a Parigi, dove vado a scuola di francese e lui mi sposa. Sono andata a vivere con lui nel Kuwait. C'era un prezzo per queste mille e una notte. Io continuavo a svenire dappertutto nella casa: bang!, e stavo giù stesa sul pavimento. 
Lui si è trasformato nell'uomo duro, intelligente, brutale. Poi il palestinese mi ha stuprato, loro mi hanno detto che mio marito era pagato per sposarmi. Mi hanno portata dentro l'ambasciata, mi hanno detto che mio marito era comunista e mi offrono di firmare contratto per duecentomila dollari. Ho scoperto la connection fra l'ambasciatore alle Nazioni Unite che io trovavo sempre ai party dell'Upper East Side. 
Loro mi seguono. Comunisti. Io corro all'ambasciata ceca. Sanno già tutto. Io ero sconvolta. Dicono: «Tu vai in USA e lavori per noi. Vai e stanghi gli ebrei». 
– La cosa non mi sorprende del tutto. 
– Mi hanno portata alla stazione di polizia e le suonano di sacra ragione a un criminale sotto i miei occhi finché sono svenuta. Sono corsa alle Nazioni Unite, la commissione per i diritti umani. Loro hanno detto non possiamo fare niente per te. È 
attentato criminale alla sicurezza delle Nazioni Unite. 
– Non la seguo. 
– Hanno detto tu sei una testimone politica molto importante. Mi ricordo tutti questi anni che ero outsider della società, e adesso non c'è neanche legge giusta per me. 
– E ora, cosa vuole da me? 
– Per favore, io amo Kafka e ho studiato Freud. E io amo e rispetto profondamente gente ebrea. Io ammiro la loro intelligenza. Cerco qualcuno che legge e mi aiuta col mio libro. 
– Di cosa parla il suo libro? 
– Non è stato pubblicato in tutta la storia un libro su prostitute scritto da una prostituta. Ho bisogno di trovare qualcuno che mi aiuterà a farmi pubblicare. Sarò così felice se potresti essere tu. 
– Tu pensi che gli ebrei in Inghilterra si diano parecchio da fare? 
– Si. 
– Ma non ci vuole granché a darsi molto da fare in Inghilterra. 
– Sciocchezze. Sul serio, l'idea che hai dell' Inghilterra è molto diversa dalla mia. 
– Il più basso tasso di produzione pro capite del mondo è in Inghilterra. 
– Parli degli operai delle industrie. Quelli non sono scemi. Perché dovrebbero sgobbare? Ma la gente che ha veramente qualcosa da guadagnare lavorando, in quel paese, lavora eccome. Gliel'ho visto fare coi miei occhi. 
– E gli ebrei lavorano ancora più sodo di loro. 
– No. Ho solo detto che si danno da fare più di me. 
– Hai un'amica ebrea? 
– No. Perlomeno non un'amica intima, altrimenti mi verrebbe in mente. Sto provando a pensare a un'amica non proprio intima. Be', ho avuto, – ride – degli amici intimi ebrei... maschi, però. 
– Che tipo preferisci? 
– Non mi va di parlarne. 
– Ma io voglio saperlo. Che tipo preferisci? 
– Per giocherellarci, quello non circonciso. Trovo interessante far scivolare il prepuzio giù dalla punta. 
– E per scopare? 
– Non puoi fare una domanda del genere a una donna inglese di ottima educazione. 
– Per scopare? 
– Quello circonciso. 
– Perché? 
– E come se fosse nudo. 
– Il pene nudo. 
– Diciamo così. 
– Ti giuro che è vero, credimi. Non ho mai praticato la masturbazione prima dei ventisette anni. 
– Condoglianze. 
– Chiudi gli occhi. 
– Oh-oh. 
– Chiudili. 
– Non mi va di farmi legare. 
– Mia cara amica, chi ha mai avanzato la proposta di legarti, così, appena cominciato? 
– Queste cose le ho lette nei libri. 
– E allora? 
– Quei libri li hanno scritti degli scrittori. 
– Chiudi gli occhi. 
– Se proprio devo. 
– Verifichiamo il tuo spirito di osservazione. Descrivi questa stanza. 
– Per cominciare, è decisamente troppo piccola per ospitare due amanti. 
– Non si potrebbe trovare da qualche parte una casa fornita di letto? 
– No. Niente da fare. Ci ho pensato. Ho degli amici che hanno case fornite di letti, ma è impossibile. C'è un esercito di donne delle pulizie, bambinaie, bimbi... 
– E allora ci dovrà bastare questa stanzetta sfornita di letto, non ti pare? 
– Be', ha due graziose portefinestre che danno su un praticello verde e un albero in fiore. Queste finestre, in linea con l'austerità puramente funzionale della stanza, non hanno né avvolgibili né tende, per cui sono sicurissima che la gente che sta nella casa dall'altra parte del giardino può vedere tranquillamente tutto quello che succede qui dentro. 
– Più che altro vedranno un tale che batte a macchina. Qualche volta lo vedranno leggere. Se a volte vedono qualcosa di più interessante, se lo meritano. 
– C'è una poltrona di pelle nera molto comoda sulla quale sta seduta una donna che dovrebbe essere già tornata al lavoro. Su una poltroncina di pelle da ufficio c'è un uomo che ha due elastici intorno a un polso, e sta piegando e tormentando le graffette con le quali non smette un istante di giocherellare mentre ascolta la donna lamentarsi del suo matrimonio. La sua scrivania, circa un metro per un metro e mezzo, è formata da un piedistallo grigio, di metallo, e da un piano di formica, di colore chiaro, che non offre uno spettacolo di perfetto ordine come ti aspetteresti conoscendo il carattere maniacale dell'uomo, anche se lui sembra non avere dubbi su quale delle pile instabili di fogli di carta che adornano il piano è un manoscritto incompleto, e quale invece è un cumulo di lettere inevase, e quale infine è la raccolta di trafiletti su Israele che lui ritaglia dai giornali londinesi per dimostrare alla donna che gli inglesi sono antisemiti. La macchina per scrivere è posta su un banchetto apposito che fa angolo retto con la scrivania, ed è una IBM Correcting Selectric Two. Nera e solenne. 
Caratteri: Prestige Pica 72.
– Molto bene. 
– Scaffali per i libri fissati lungo la parete dietro la scrivania. Grandi lagnanze sulla scarsa professionalità della manodopera inglese durante l'installazione degli stessi. Libri:  La commedia ebraica di Heine di Prawer,  Gli ebrei come paria di Hannah Arendt,  Notti bianche di Menachem Begin, eccetera eccetera. Nel complesso, troppi libri sugli ebrei, scritti da ebrei e destinati a ebrei. Un lampadario a globo giapponese, polveroso e strappato, appeso sopra la scrivania, proprietà del precedente inquilino. Due lampade cromate da architetto, o come accidenti le chiamano, una per ciascuno dei due piani di lavoro. Due stufette elettriche Dimplex, bianche. Moquette da ufficio blu acciaio. Un tappeto da palestra per fare esercizi contro il mal di schiena e consumare adulteri. Varie riviste letterarie londinesi impilate vicino a una radio Roberts sintonizzata sul terzo canale, il tutto sopra un economico tavolino da caffé in vimini e vetro. Edizione parigina dell'«Herald Tribune», aperta e ripiegata sulla pagina sportiva. Un cestino di misura extra per i rifiuti, in vimini, pieno zeppo di vecchi numeri dell'«Herald Tribune», fogli d'appunti scartati e pagine di manoscritto strappate; nonché parecchie scatole di cartone della Spud-U-Like che contenevano patate arrosto farcite con un ripieno di ratatouille, segno che il pranzo qui è spartano come tutto il resto. Unico dettaglio voluttuoso: motivi floreali in gesso sulla modanatura del soffitto. 
– È tutto? 
– Purtroppo sì. Adesso chiudi tu gli occhi. 
– Okay. 
– Verifichiamo il  tuo spirito di osservazione. 
– Avanti. 
– Descrivi me. 
– Ho rotto le scatole a tutti per sapere le loro intenzioni riguardo al bambino, se per caso non fosse stato normale. Volevo un dottore disponibile a sopprimerlo. Ne ho trovato più d'uno. Andavo da quei dottori e gli dicevo: cosa farebbe se il bambino avesse qualche grossa anomalia Naturalmente loro non sono disposti a sopprimere un bambino dall'aspetto sano solo perché tu hai paura che magari il suo cervello è danneggiato. Parlavo di un bambino con la spina bifida o di un mongoloide, problemi davvero grossi, insomma. E so di cosa sto parlando. Ho discusso con quattro dottori. 
Allora c'era in giro molto interesse su queste cose io ne ero particolarmente turbata perché c'erano stati due casi clamorosi, appena prima che per me arrivasse il nono mese. Uno era il caso di un tale che aveva ucciso un bambino ed era stato riconosciuto colpevole. Di omicidio. C'era stata una polemica tremenda, sui giornali, perché il tribunale aveva riconosciuto che lui era una persona perbene, attaccatissima al bambino. Aveva tirato su un piccolo handicappato tutto da solo, per cui benché l'avesse ammazzato lo rilasciarono, Eppure l'aveva fatto. Aveva smesso di assistere il bambino e non gli aveva dato da mangiare abbastanza. Però, a farli morire di fame ci metti dei secoli. Se vuoi davvero fare le cose come si deve, gli devi dare una botta in testa. Devi scegliere fra ammazzarli e lasciarli morire. Ma la cosa tremenda è che i bambini gravemente anormali spesso sono molto resistenti, altrimenti sarebbero morti nel grembo materno o sarebbero stati abortiti. L'altro caso era quello di una donna che non ce la faceva più a tirare avanti con un figlio mongoloide e aveva cercato di ucciderlo, e a quel punto si era fatto avanti qualcuno e l'aveva adottato. Ci sono in giro un sacco di strani tipi che vogliono allevare bambini handicappati. 
– Tu non sei di quelli. 
– E tu? Tu non vuoi allevare neanche un bambino sano. Il primo dottore da cui sono andata era una persona molto perbene, e mi disse che approvava il mio atteggiamento ma non se la sentiva di rischiare la carriera per una cosa del genere. E 
questo è tutto. Un altro mi disse che naturalmente era d'accordo con me e che non dovevo preoccuparmi. Era facile sbarazzarsi di un bambino spingendogli in gola dei tamponi da sala operatoria finché non soffocava. Be', io gli risposi che mi sembrava un po' eccessivo, e che ci dovevano essere metodi più gentili per uccidere i bambini. 
Il dottore più bravo e il più carino come persona accettò, ma si vedeva chiaramente che per lui sarebbe stato terribilmente doloroso e difficile... oh, quanto me ne sono preoccupata. E poi c'era un'altra cosa che avevo scoperto e che mi confortava. Devi sapere che se tu sei una donna e commetti un crimine di qualsiasi genere entro sei settimane da un parto, quasi sicuramente non verrai nemmeno portata davanti a un tribunale per questo. Perché la legge prevede un trattamento speciale per le donne in quel periodo, e poi anche fino a un anno dal parto, insomma, danno per scontato che tu sia un tantino fuori di testa. Perciò potresti ucciderlo e passarla più o meno liscia, credo. Si deve stare maledettamente attente, ma credo proprio che finiresti per passarla liscia. 
– Non hai quasi aperto bocca. Fai quasi sempre così, sai, quando sono qui. 
– Sto ascoltando. Ascolto. Sono un  écouteur, un audiofilo. Sono un feticista delle parole altrui. 
– Ummm. È davvero erotico, averti qui ad ascoltare. 
– Non è poi così strano. 
– No, vero? 
– Tenevamo la televisione nella camera da letto ed era una cosa normale che tutti venissero a guardarla nel nostro grandissimo lettone a due piazze. Fu 1'inizio di un sacco di alleanze rovinose. Per amore della comunità fummo costretti a toglierla dalla camera. Almeno tre coppie si erano messe assieme guardando la tivù sul nostro letto. 
– Suona niente male come idea. 
– No, non facilitava molto le cose. 
– Domenica scorsa hai detto: «Devo tornare a casa sennò lui comincerà a far domande». Cosa t'importa se lui fa domande 
– Perché allora devo dirgli delle bugie e non mi piace farlo Devo conservare un alone di verità senza farmi sorprendere, ed è estremamente irritante. Fastidioso. Ecco cos'è. Ho un sacco di altre cose a cui pensare senza dover stare lì a inventarmi centinaia di false piste per lui. 
– Si sta bene qui con te quando nevica. Stare sdraiati così, con la neve che scende fra gli alberi. È meraviglioso. 
Spogliandolo. – È nuova questa cintura. 
Dopo che lui è venuto. Sottovoce. – Stai bene? 
– Dolcezza... 
– Cosa pensi? 
– Niente. Non è bello, così? 
– È sublime. 
– Sinceramente: ti capita di pensare di buttarti giù da una finestra? 
– Oh, sì. 
– Spesso? 
– Di frequente. 
– E cosa te lo impedisce? 
– Il fatto che non vorrei davvero morire, vorrei vivere... vivere meglio. Vorrei che la vita fosse più bella, così capisco che la cosa migliore è restare viva ancora un po'. 
– A casa c'era un funzionario della Prevenzione crimini. E  anche mio marito. Mi hanno trattenuta per un po'. 
– Stai bene? 
– Sì. Posso sedermi, per favore? 
– Certo, si sieda lì, signorina. 
– Sono stata molto sorpresa di trovare quei due a casa. 
– Mi piace «la Prevenzione crimini». 
– Lo so. Me l'immagino. Ma quell'uomo non pensava al mio crimine. C'è stato uno stupro nella nostra via. La porta accanto, per la precisione. Perciò ero preoccupata per la nostra casa, che è piena di finestre. E con noi c'è una ragazza molto bella, la bambinaia. Così la polizia è venuta a trovarmi. Un giovane poliziotto molto attraente, in borghese, è venuto da me. Voleva fare due chiacchiere. 
– Cosa fa un funzionario della Prevenzione crimini? 
– Cerca di prevenire i crimini. Cerca di prevenire, in particolare, il crimine di qualcuno che entra nella nostra casa, che non è protetta come dovrebbe. 
– Ma per questo c'è Banham's. 
– Già, li avevo fatti venire, quelli. Hanno fatto un lavoro così scadente che in quella casa sarei capace di entrarci anch'io. 
– E stuprarti da sola. 
– Ho altre cose da fare quando sono in casa. Insomma, è per questo che sono in ritardo. Sono stata presa alla sprovvista. 
– Come hai fatto a filartela? 
– Oh, non è stato affatto semplice, perché mio marito dava per scontato che io fossi di ritorno dal lavoro e a quel punto mi fermassi a casa a prendere il tè con la bambina. 
– Allora, tu cos'hai detto? 
– Ho detto che dovevo uscire. 
– E lui? 
– Ha chiesto dove andavo. E io gli ho detto: non ho intenzione di dirtelo. Ma in modo molto amichevole. E così sono uscita. Ed eccomi qua. 
– Irritata con me perché per venire qui hai dovuto sottoporti a tutto questo. 
– No, per niente. 
– Okay. 
– Non mi pare di essere irritata. 
– Be', adesso lo scopriremo. 
– Non hai ricevuto la mia lettera? 
– Sì. Era meravigliosa. L'ho strappata. Ho pensato che fosse l'unica cosa giusta da fare. 
– Sono le cinque. È l'ora in cui voialtri gentili cominciate a bere, non è vero? 
– Credo di sì. 
– Davvero notevole. 
– Cosa? 
– Tu con i capelli raccolti. 
– Non mi stanno bene. 
– Stanno bene a  me. 
– Perché non sei felice con tua moglie? Perché non ti basta? 
– Perché a te non basta tuo marito? 
– Io ti ho parlato moltissimo di lui. Adesso voglio sentire te. Di me ti ho parlato più che a sufficienza. Voglio sapere perché lei non ti basta. 
– Mi stai ponendo la domanda sbagliata. 
– E quale sarebbe la domanda giusta? 
– Non lo so. 
– Perché sono qui? 
– Perché mi sono lasciato portare fin dove la tentazione mi ha condotto. Adesso che sono invecchiato, faccio così. 
– Sembrano le parole di una canzone da hit parade. 
– È per questo che le canzoni entrano nelle hit parade. 
– Perché sei così ansioso di non ferirla? 
– Perché mai dovrei desiderare di ferirla. 
– Non intendevo dire che lo desiderassi o che dovessi farlo. Il fatto è che non mi sembri libero di fare tutto quello che... 
– E chi è libero. Tu? 
– Liberuccia. Più di te. 
– Sciocchezze. 
– Ma se tu ti preoccupi di una persona tanto da volerla proteggere... Mi domando solo perché lei dovrebbe essere in una posizione tanto vulnerabile. 
– Parli per eufemismi. 
– Non è vero. 
– Allora sono io che non capisco. 
– Avrei immaginato che lei tenesse ancora viva la tua attenzione, o comunque più di quanto pare aver fatto. E mi sembra strano che non sia così. Ma probabilmente la gente dice lo stesso di me. Riguardo a mio marito, capisci. 
– Forse faremmo meglio a chiudere questa conversazione. 
– Perché mai, se ci sono cose di te che voglio sapere? 
– Perché una storia funziona meglio, forse, se è solo uno dei due complici di una relazione adulterina a lamentarsi delle sue frustrazioni familiari. Se cominciano a farlo tutti e due, è improbabile che rimanga tempo sufficiente per la storia in sé. 
– E così le tue frustrazioni restano fuori. Tranne le frustrazioni riguardanti l'Inghilterra e la mentalità inglese. 
– Non è possibile che le frustrazioni familiari, indipendentemente dal contrasto di culture, non abbiano niente a che vedere con il fatto che mi sono innamorato di te? 
Non è possibile che tutte queste cose mi pesino meno di quanto pesano a te, e che di conseguenza abbia meno da dire al riguardo Non è possibile che i miei problemi stiano altrove? 
– È il contrasto di culture che ti ha attirato in questa storia... è questo che stai cercando di dirmi? 
– Qualcosa del genere, forse. 
– Potresti spiegarti un po' meglio, per piacere? 
– Come si dice in una lingua più sintetica della nostra,  Il faut coucher avec son dictionnaire. 
– Così, la nostra non è una storia d'amore, in realtà: è una storia culturale. È 
questa la cosa che ti interessa. 
– Questo mi interessa sempre. 
– E questo spiega le tue donne gentili, giusto Ti innamori per puro gusto antropologico. 
– C'è di peggio. Ci sono altri modi di affrontare le differenze antropologiche, sai. 
Quel vecchio classico, per esempio, l'odio. Poi c'è la xenofobia, la violenza, l’assassinio, e poi il genocidio... 
– Insomma, tu saresti per così dire l’Albert Schweitzer del fottimento transculturale. 
Ride. – Be', non un uomo  così santo. Mi basterebbe essere il Malinowski. 
– Ero una ragazzina ceca e sono venuta nel tuo hotel e tu volevi che io andavo su nella tua stanza per prendere certi libri e aiutarti a portarli. Erano le dieci di mattina. Loro sono stati molto villani. Mi hanno trattata come una puttana e allora tu hai fatto una scenata. Poi ti ho portato dall'altra parte del Charles Bridge. E tu mi hai insegnato tutte quelle parole colloquiali. Abbiamo mangiato nel tuo hotel. Tu non ti interessavi molto a me, perché quando sono venuta nel tuo hotel stavi seduto a bere qualcosa. Avevo ventuno o ventidue anni. Adesso sono molto più vecchia. 
– Come si chiama quel parco nella parte alta di Praga, dove siamo andati a sederci? 
– Non so. Non siamo andati là. Devi esserci stato con qualcun'altra. 
– No, non c'era nessun'altra. Io mi interessavo  molto a te. 
– Una volta mi hai telefonato per invitarmi a un'orgia. Ti ricordi? E io ho detto che mi andava solo di guardare. E tu hai detto: no, devi partecipare. Allora io non ho avuto abbastanza coraggio da venirci. 
– Non ti sei persa niente. 
– Eri sempre pedinato, e quando ci fermavamo in un ristorante quel tizio si sedeva vicino a noi e non potevamo sopportarlo. Non era stato molto intelligente da parte mia andare a lavorare alla Biblioteca americana. Il lavoro me l'aveva trovato il mio professore. Aveva detto, quasi per scherzo, che sarebbe stato bello per tutti noi, perché avremmo potuto avere i libri pur non potendo andarci. Pensavamo tutti che io avrei passato il tempo in biblioteca a lavorare coi libri e leggere. Per due anni è stato così. Era un gran bel lavoro, un lavoro fantastico, ma alla fine ha cominciato a darmi dei problemi. Dovevo decidere se lavorare per i servizi segreti o andarmene. Ancora adesso io non avrei il per messo di parlare di queste cose. 
– Sei a Londra. Non c'è problema. Parlane. 
– Sai come mi hanno dato il lavoro? Ero andata a parlare con l'addetto culturale. 
E lui mi ha detto: «Oh, mi interesseresti molto perché hai studiato letteratura eccetera». Era un uomo molto simpatico. Di origine ceca. Allora lui è piaciuto a me e io sono piaciuta a lui, e lui mi ha dato questo lavoro, nessun problema. A questo punto però bisogna presentarsi all'organizzazione ceca, e loro decidono se dartelo davvero o no. L'organizzazione si occupa di tutti quelli che hanno un lavoro che ha a che fare con l'estero, e in realtà dipende dai servizi segreti. Io non lo sapevo. Ero solo una stupida ragazzina tutta eccitata per questo lavoro. Pensavo che sarebbe stato fantastico, che avrei avuto tanti contatti con tutto quello che avevo studiato. E così mi sono fatta dei buoni amici, ed ero popolare, ma più diventavo popolare con gli americani più mi mettevo nei guai. L'organizzazione mi ha lasciata lavorare per due anni, poi mi mandano a chiamare e mi dicono: «Oh, siamo sicuri che ti piace il tuo lavoro, e che guadagni molti più soldi con questo lavoro che con qualsiasi altro e anche un sacco di extra». Loro contano sul fatto che tu non avrai il coraggio di andartene ma resterai a lavorare per loro. E poi è anche molto difficile andarsene perché dopo nessuno mi prenderà come insegnante. Prima mi danno un pezzo di carta da firmare, dicendo che la discussione che dovevamo fare era segreto di stato e che se mai io ne parlo a qualcuno, possono mettermi in prigione. Be', potevano mettermi in prigione comunque perché io ne parlo con le mie amiche e con parecchie persone, perché avevo molta paura. Mi hanno informata che questa discussione stava sotto il paragrafo tale e talaltro e insomma è segreto di stato. E se io rivelo questa cosa a qualcuno, anche a uno della mia famiglia, posso essere processata e messa in prigione fino a sette anni. Io ho chiesto: «Cosa volete che faccia?» e loro hanno detto che non me lo dicevano finché non firmavo. Allora io ho detto: «Non posso firmare se non so di cosa parliamo». E loro hanno chiesto: «Vuoi qualche giorno per decidere?» E io ho detto: «No, posso dirvelo subito. Non posso farlo, non voglio farlo». Allora hanno risposto: «Dovrai trovarti un altro lavoro. Perché non c'è futuro per te alla biblioteca». 
Non mi hanno licenziata, hanno solo detto che dovevo trovarmi un altro lavoro. Non mi hanno fatto niente, mi hanno solo detto che non c'era futuro per me e che alla fine dovevo andarmene. Sono tornata al lavoro e non ho aperto bocca con nessuno. Per giunta, gli americani hanno fatto la stessa cosa. Mi hanno detto che avevano molto interesse per me. È andata allo stesso modo, io ho rifiutato. Non volevano farmi firmare qualcosa, mi hanno solo chiesto di lavorare per loro. Io ho detto no, che non volevo farlo. Così da quel momento la mia situazione è cominciata a diventare assolutamente tremenda. Da tutte e due le parti. Interessavo a tutti e due per il fatto di parlare le lingue. So anche il tedesco. Probabilmente è per questo che gli andavo bene. Ero brava a tradurre. Mi è sempre piaciuta la letteratura, e traducevo racconti per i giornali cechi. Insomma, da allora ho cominciato a non essere più bene accetta né dagli uni né dagli altri. Me ne sono andata dopo poco. Me ne sono andata e si sono dimenticati di me. Per fortuna ho trovato un lavoro da insegnante. L'ho fatto per altri due anni, poi mi sono sposata. Lui è venuto in Cecoslovacchia e mi ha sposata. Nel frattempo ero stata innamorata di un professore americano molto serio, ma non mi permettevano di vederlo: i cechi non volevano lasciarmi uscire dal paese e lui viveva a Toronto. Stava anche divorziando e non sapeva cosa fare e gli uomini che non sanno cosa vogliono mi sconvolgevano, perciò ho sposato questo stupido inglese che perlomeno sapeva che voleva me. 1978. È stata una cosa assolutamente scema perché lui era un inglese facilone e tutto quello che gli piace è il football e il cricket, il tipo che va nei pub. Ho passato sei mesi abbastanza interessanti a vedere cavalli e cani e pub. Non posso biasimare lui, biasimo solo me stessa.
– L'hai sposato per fuggire. 
– Non lo so, avevo voglia di qualcosa di bello, di qualcosa... Quando sono partita dalla Cecoslovacchia lui non mi piaceva neanche più, perché non lo vedevo da un anno intero. Mi ci è voluto più di un anno per riuscire a partire. Per mettere insieme tutti i miei documenti, perché, sai, ce ne vogliono centinaia; se sei una che ha studiato, ti complicano le cose. Quando sono arrivata in Inghilterra piangevo e lui era così sconvolto, e io ero uno straccio, e non potevo farci niente. Non potevo farci niente e basta, era troppo difficile. Così lui ha cominciato a odiarmi. Si aspettava che io fossi tanto felice, visto che mi aveva salvata da quel paese terribile, spaventoso. 
Ma io non lo ero. Ero uno straccio e stavo male e mi mancavano tutti i miei amici. Tu probabilmente non hai mai avuto a che fare con certi inglesi, perché tu stai con gente diversa, persone interessanti, di cultura. Ma quando devi stare in mezzo alla gente qualsiasi, gente che può anche non essere cattiva, ma tu parli una lingua diversa... 
Non hai niente in comune con loro. È stato così brutto per me cercare di vivere qui e cercare di trovarmi un lavoro qualsiasi, ma quando dici che sei appena arrivata in Inghilterra nessuno ti vuole. Così è stato tutto molto difficile. Ho fatto tutti i lavori possibili, battere a macchina e vendere libri da Foyle's, ma mi hanno buttata fuori il terzo giorno perché il direttore era insopportabile e io gli ho risposto e in questo paese non si può fare. Così mi hanno licenziata. Ma ero ancora me stessa. Mi sentivo ancora ceca. Per piacere, non ho voglia di raccontarti la storia della mia vita. L'ho già fatto a Praga. 
– Ma allora era una storia diversa. 
– Dovresti raccontarmi tu la storia della tua vita. È più interessante. 
– Non lo è. Va' avanti. 
– Lui non era un uomo cattivo, ma io ero una che veniva dritta dalla Cecoslovacchia, dritta da... be', laggiù avevo avuto una vita abbastanza bella, una vita facile, a parte quelle volte che i servizi segreti mi avevano dato noia. Comunque non mi avevano fatto del male. Mi avevano solo chiesto se volevo lavorare per loro, avevo detto no, e penso che loro più o meno si sono limitati a lasciarmi andare. Ma io avevo paura solo a pensare che c'erano. Li ho incontrati la prima volta proprio quando ho incontrato te. Quando mi hanno trovata con te nell'hotel, mi hanno chiamata appena tu sei partito per l'aeroporto, e volevano farmi un sacco di domande sul tuo conto. Quella volta ero assolutamente terrorizzata. Una paura terribile. Mi tremavano le mani. Mi hanno chiesto cosa facevo nell'hotel con te. E com'era andata che ti avevo conosciuto. E se avevo dormito con te. Avevo solo ventun anni, figurati. Mi hanno portata nei loro uffici. In quel palazzo. Improvvisamente li ho trovati davanti alla mia porta, mi hanno mostrato il distintivo e mi hanno portata via. Io gli ho detto: «L'ho conosciuto, ho parlato con lui, mi è piaciuto, tutto qui». Non mi hanno interrogata a lungo, sarà durato un'ora. Uno era minaccioso e l'altro era gentile. Sai, prendono questi due ruoli. È stata la mia prima volta. In Cecoslovacchia senti sempre parlare di questa gente, ma non li incontri mai. Ma stavolta c'ero proprio  io, e stavo seduta lì, e non sapevo cosa stava per succedermi. Ero troppo giovane per rendermi conto che in realtà non potevano farmi granché. Adesso non ho paura quando li vedo, ma allora ne avevo. Sai, ero spaventata perché tutto quello che avevo fatto era stato venire nella tua stanza e tu mi avevi chiesto se potevo aiutarti con certi libri. Avevano fatto così a sapere chi ero: avevano preso la mia carta d'identità, il mio nome e l'indirizzo e tutto il resto, e sembrava che l'avevano fatto appena eri partito... e io ero molto presa da te, non so dire, c'era qualcosa di bello in te, mi piacevi molto, davvero. All'inizio no, ma quando siamo passati sul Charles Bridge, è stato come se... era una cosa bellissima per me stare con qualcuno di cui avevi letto il libro. Uno di loro ha detto: «Farai meglio a dirci tutto perché noi sappiamo tutto comunque». E io ho risposto: «Se sapete tutto, perché me lo chiedete? Perché lo chiedete a me se lo sapete? » Non mi hanno chiesto niente di te. Gli interessava soprattutto sapere se avevo dormito con te. 
Forse pensavano che uno che scrive un libro come quello dev'essere un maniaco sessuale. Vanno a raccogliere tutto quello che possono sapere sulle persone. 
Insomma, tu sei stato la causa di tutto... adesso almeno pagami da bere. 
– Com'è andata a finire con il tuo marito inglese? 
– Ho visto un annuncio, cercano guide che parlano le lingue. Sono andata a un colloquio e quel tale era un greco con gli occhi neri, un bell'uomo. Allora gli inglesi li odiavo, perché sono così perbene, ma appena io aprivo la bocca e loro sentivano l'accento straniero ero spacciata. E non serviva a niente che gli dimostravo di essere piuttosto intelligente, perché non gliene poteva importare di meno. Siccome lui era greco, mi ha detto che neanche a lui piacevano gli inglesi e mi ha dato subito il lavoro. Ero felice, ero assolutamente entusiasta del fatto che dopo un anno finalmente trovavo qualcosa da fare per mettere insieme un po' di soldi. Gli ho detto che ero sposata e che volevo fare solo pochi tour perché non potevo occuparmi di quel lavoro a tempo pieno. Lui era d'accordo, quel dirigente, e ha detto che era okay, potevo anche fare solo qualche tour. Così sono tornata a casa e ho detto a William che avevo accettato quel lavoro e lui ha chiesto: «Bene, sei convinta di volere quel lavoro?» E io ho risposto di sì. E allora lui ha detto: «Bene, fa' le valigie e vattene dal mio appartamento». Così ho fatto. Fine della storia. Non è stata una cosa piacevole perché erano più o meno le undici di sera. E io mi sono ritrovata in mezzo alla strada, seduta sulle mie valigie. Da un lato ero molto contenta, perchè ero uscita da qualcosa che non mi piaceva. Ma non era una cosa piacevole, perché una ragazza ceca seduta sulle sue valigie alle undici di sera a Londra... Be', ho telefonato a un'amica che era anche lei ceca e come me aveva avuto un'esperienza difficile qui, lei era emigrata nel 1968, quando i russi avevano invaso il nostro paese, e non parlava la lingua, per cui ha capito. Ha detto: «Oh, era da un po' che mi aspettavo questa telefonata. Non muoverti di lì», e così lei e il suo amico sono venuti a prendermi. Mi hanno ospitata per qualche giorno. Sono stata molto fortunata. Poi ho  preso un appuntamento col direttore e gli ho detto che non avevo un posto dove andare, così ci siamo messi d'accordo che avrei lavorato per tutta la stagione. E ho fatto così; per dormire passavo da un albergo all'altro, ogni notte in un letto diverso. Ho tenuto duro. Avrei potuto mollare tutto e tornare a casa, e ricominciare da capo. Ma c'era qualcosa dentro di me... passato il peggio ho potuto comprare un appartamento, e poi mi sono innamorata di una persona che amavo molto ma era sposata. Quella è stata la cosa più triste che mi è successa. È finita solo da poco. Non funzionava, ecco tutto. All'inizio è stato molto bello. Ci voleva moltissimo entrambe. Aveva due bambini. 
Quarantacinque anni. Era molto intelligente e interessante e carino. Faceva il dirigente nella mia agenzia. Un posto importante. Per circa un anno è stato totalmente innamorato di me. Ma tutto è andato storto quando lui ha cominciato ad avere paura. 
Sai, in Inghilterra la gente è così innamorata della propria casetta, e del  giardino. E 
della moglie. E lui aveva figli. Io non pensavo a sposarlo. Volevo solo stare con lui. 
Volevo solo che lui mi amasse. Mi sono resa conto che stavo per perderlo, perché sua moglie ha cominciato a dire: «Ti distruggerò». Lui all’inizio mi diceva che erano più o meno separati. Poi tutto è diventato orribile, davvero. Per poco non prendevo la strada sbagliata. Ma ero io che facevo funzionare la cosa. Lei ha cominciato a preoccuparsi parecchio di poter perdere suo marito e anche tutti i soldi. Ma io non avevo in mente i soldi. Io volevo lui. Eppure, la cosa tragica era che pian piano mi accorgevo che l'avrei perduto. Perché non volevo davvero combattere. Volevo che lui mi amasse perché mi amava, non perché io l'avevo messo in trappola. Lei era in gamba, usava tutte le tecniche possibili contro di me. Sapeva di me. L'ho anche vista, un paio di volte. È venuta lei a trovarmi. Per parlarmi. Per dirmi che ci avrebbe distrutti. Ma io ero forte, perché non me ne importava. Non avevo niente da perdere. 
Ho trentadue anni, adesso, e quando arrivi a questa età scopri... 
– Scopri cosa? Cos'hai scoperto, tu? 
– Cercavo sempre di essere il più possibile come gli altri e mi preoccupavo di quello che pensavano di me. 
Adesso so che sono diversa. Voglio essere me stessa. Voglio qualcuno che è disposto ad amarmi, e che io sono disposta ad amare. Non è necessario per me sposare qualcuno, tutto quello che voglio è... Ma la gente qui ha delle regole, come dappertutto. Odio la Cecoslovacchia perché là le regole sono molto strette. Non ti lasciano respirare. Non mi piace più di tanto l'Inghilterra perché qui c'è un altro tipo di regole. Belle casette con piccoli giardini ben tenuti, ecco, avere cose del genere è tutta la loro vita. Io non riesco a essere così. Sai, quell'uomo mi faceva sentire bene accetta. Perché lui si interessa molto alla guerra e all'Europa dell'Est. Ne sapeva un sacco. Non era come la maggior parte della gente di qui, che sono tipicamente inglesi e non sanno quasi niente sul resto del mondo. Lui sapeva com'ero, e potevamo parlare di moltissime cose. Era meraviglioso. Non mi sentivo più come prima, mi piaceva stare qui. Ecco perché ci sono rimasta così male, perché sono tornata a essere una... 
be', adesso c'è di nuovo distacco. Odio questo distacco. Siccome ho avuto un'istruzione, io appartengo di più a quella classe in cui non ho abbastanza soldi per entrare. Ho molte più cose in comune con queste persone che con quelle che sono costretta a frequentare per via dei soldi. Sono fuori posto. Completamente. 
– Sei dimagrito. 
– No, sei tu che ti sei di nuovo abituata a qualcuno meno magro di me. 
– Be', io sono ingrassata parecchio. 
– Sì? È bello vederti. 
– Mi sarebbe piaciuto se fossi potuto venire a sciare. Giovedì ho preso una tale botta al ginocchio che sono rimasta due giorni sdraiata sul sofà. Ma è così bello, in ogni caso. C'è una pace. Sali su per il pendio con lo skilift, piano piano. E c'è tanta di quella neve che non riesci a vederci bene. Senti solo il fruscio dei tuoi sci. 
– Sei stata visitata da qualche nuovo pensiero? 
– Pensiero? No. Non puoi pensare quando stai scendendo. Troppa eccitazione, troppi brividi. Sono stata assolutamente senza pensare. I nostri amici avevano in visita un nipote esistenzialista di ventun anni. Si è messo a spiegarci perché non esistevamo. O forse esistevamo. Gli abbiamo detto: «Guarda, abbi pazienza, tutte queste cose le abbiamo lette anche noi. Lasciaci perdere. Non abbiamo voglia di star qui seduti a soffrire. Abbiamo voglia di andare a sciare». Tu sei stato con me su molte montagne. 
– Io? 
– Sì. Mentre cavalcavo la barra a T. 
– Io e il fruscio degli sci. 
– Già.
– Avrei proprio voglia di pranzare. 
– Posso offrirti rimasugli e morselli assortiti. 
– Sì? 
– Adesso vediamo se si riesce a mettere insieme un pasto per te. Tutto bene a casa? 
– Sì. Non c'è male. 
– Per un matrimonio, non c'è niente di meglio che avere un vecchio caro amante sempre disponibile? 
– Lo pensi davvero? 
– Vuoi che giochiamo al gioco dei ruoli? 
– Perché no.
– Mia madre mi ha insegnato a non sedermi mai con la fica in vista. 
– E con le gambe sulle spalle di un gentiluomo. 
– Questo non me l'ha mai detto. Penso che non le passasse nemmeno per la testa che avrei avuto a che fare con cose del genere. 
– Si chiama Jack Daniel's. Senti che profumo. 
– Mmmh. Ha davvero un buon profumo. 
– Sai qual è stata un'esperienza che mi ha scioccata? Sentire il profumo di questa donna addosso alla mia bambina. E, ironia finale, si trattava di un profumo che usavo anch'io, quando ero molto più giovane. 
– E a lui piace. 
– Lui non sa nemmeno che è per questo che gli piace tanto. Io me n'ero stancata e avevo smesso di usarlo poco prima che diventasse così comune. Perché adesso è tremendamente comune. Si chiama Fidji. Queste cose valgono tanto più quanto più sono rare. Se è un profumo che puoi annusare in qualsiasi negozio, allora vale poco eccetera eccetera. D'altronde, me l'aveva regalato  lui. 
– Mi sento come se non avessi una fica. Oggi la mia fica me la sono lasciata chissà dove. Non mi va che mi ricordino di averne una. 
– Okay. 
– Vuoi che me ne vada? 
– Per niente. Oggi sei di nuovo vicina alle lacrime. 
– Mi senti di umore un po' lacrimoso, è vero. Posso avere qualcosa da mangiare? 
– Be', ci sono delle fragole, dei meloni, un po' di pane, e poi del vino e della marijuana. 
– Posso avere un assaggio di tutto, per piacere? 
– Non sei costretta a scopare anche quando c'è tua madre, vero? Puoi evitare almeno quello? 
– No. Devo fare tutto. Scopare, succhiare. Tutto. Cucinare. Tutte quelle sostanze che entrano ed escono dalla bocca della gente. Certe volte è questo che mi viene da pensare. Devo provvedere che tutto sia a posto e su di giri. Un bel barile di allegria. 
– È difficile fornire allegria a comando. 
– Lo è, eccome. 
– Magari potresti semplicemente metterti a fare la prostituta. 
– Oh, non credo che sarei una brava prostituta. 
– Saresti una prostituta fantastica. 
– Sì? E che specializzazione potrei avere? Perché non credo che andrei bene per il trattamento solito, capisci, quello che la gente normale si aspetta dalle prostitute. 
– Stai scherzando? 
– Dovrei specializzarmi nella parte della governante, non ti pare? 
– Ah, ho capito, per avere clienti che vogliono disciplina. Accento ricercato e sguardo gelido. 
– Esatto. Per quelli che vogliono avere una rispettabile istitutrice scolastica che li sistemi a dovere. 
– Si, potresti fare soldi in questo modo. 
– Mmmh. Quei soldi mi farebbero comodo. È un'idea. 
– Supponiamo che io muoia e che un biografo esamini i miei appunti e finisca per trovare il tuo nome. Lui ti chiede: «Lo conosceva?» Tu vuoteresti il sacco? 
– Dipende dalla sua intelligenza. Se fosse una persona veramente seria, sì, potrei aprirmi con lui. Potrei dirgli: «Lei però deve lasciarmi vedere tutto quello che c'è scritto negli appunti prima che io decida se parlare o no». 
– «Lei gli piaceva molto, questo glielo posso assicurare. Può dirmi qualcosa di lui?» 
– Perché stai mettendo in piedi questa cosa? 
– Per curiosità. «Ho intenzione di chiarire questo punto e lei mi può aiutare. Ho parecchio da perdere nel mio lavoro se traviso questo elemento, e anche lui. Anche lei, se è per questo. Lui era un uomo molto franco, dunque perché non aiutarmi a chiarire la cosa?» 
– Se pensassi che questo tizio è solo un idiota non aprirei bocca con lui, perché traviserebbe ancora di più le cose. A che mi servirebbe? 
– Consideriamo la migliore delle ipotesi, non la peggiore. 
– Va bene, d'accordo, allora parlerei con lui. 
– Cosa gli diresti? 
– «Lui non ha scritto nessuno dei suoi libri. Sono stati tutti scritti dalle sue amanti, una dopo l'altra. Io ho messo giù gli ultimi due e mezzo. E anche quegli appunti che ha preso di suo pugno erano sotto la mia dettatura.» 
– «Guardi, signorina, lei è molto dolce e graziosa, e magari potremmo fare colazione insieme prima o poi e sicuramente la troverei incantevole come oggi. Ma ora non mi sta dicendo la verità. Che tipo di storia è stata la vostra?» 
– «Assolutamente transitoria». 
– «Era innamorato di lei?» 
– «Non so darle una risposta». Quello che lui vorrebbe davvero sapere è com'eri tu in realtà. Come pensavo io che tu fossi in realtà. Io sarei bravissima in questo. 
– Davvero? 
– Sì. 
– Allora, qual è la risposta? 
– Non si può rispondere in due parole. 
– «Lei stava per dirmi com'era». 
– «Non ho affatto intenzione di dirglielo. Anche se lo facessi, lei traviserebbe tutto nel suo libro». 
– «Com'era, con lei?» 
– «Era molto carino». 
– «Carino? Questo non coincide con le mie informazioni. Com'era?» 
– «Alto e magro e al polso un orologio da due soldi». 
– «Avrebbe voluto sposarlo?» 
– Questo è un abile trucco per farmi scoprire le mie carte, vero? Ma io non parlo. O mi trovo davanti un Leon Edel oppure non apro bocca. 
– Trovo terribilmente imbarazzante l'idea che tu potresti tenere il telefono con una mano e cincischiarti con l'altra. Non lo fare. 
– Non con te, tesoro. 
– Sono contenta di sentirtelo dire. Non è una cosa da farsi. 
– È capitato. 
– Oh, lo so. So che capita spesso. Eccitare uno via telefono. 
– Tu mi dicevi che io ti eccitavo via telefono. 
– È vero. Ma non è detto che io debba per forza ricambiare. 


– Ti ricordi di me, vero? 
– Si, pian piano sta riaffiorando. 
– Okay. Fa' con calma. 


– Cosa posso fare per te, oggi? 
– Gradirei qualcosa da bere. 
– Fuori è bellissimo. 
– Sì? Non ci ho fatto caso. 
– Non mi sembri troppo di buon umore. 
– Sabato sera siamo stati fuori a cena. E... a me piace ballare. 
– Non lo sapevo. 
– Ballare disco-music. Sono molto brava, davvero. Credo di essere di una bravura fuori del normale. Non sono sempre nello stato d'animo di farlo perché penso che sia una forma di esibizione sessuale. E mi sconvolge un pochino l'idea di essere in un posto e andare qua e là a esibirmi sessualmente. Penso che sia terribilmente sexy, e non so bene come gestire la cosa. Insomma, ho bisogno di avere bevuto un bel po' per farlo. Poi c'è da dire che non mi è mai piaciuto molto ballare disco-music con mio marito. Anche se lui è molto adatto e bello di fisico ed elegante nei movimenti, la cosa non mi è mai andata a genio. E lui lo sa da sempre, anche se io ho fatto di tutto per nasconderlo. Per di più noi abbiamo la tessera di un solo night-club, e secondo me è sempre pieno di gente noiosa e di mezza età. Voglio dire di mezza età ma sul serio. 
Gente che rimorchia le puttane e le porta lì . Te lo dico perché è indispensabile per capire bene la faccenda. Insomma, per arrivare al dunque, siamo andati a una cena con certi vecchi amici, tutti piuttosto dimessi, di sinistra. Sopravvissuti dei tardi anni Sessanta, insomma. Gente che non è mai cresciuta veramente, e la maggior parte di loro non si è mai sposata e non ha figli. Di fianco a mio marito stava seduta una ragazza molto attraente. Assomigliava un pochino alla sua amichetta. Per farla breve, l'ha presa e l'ha portata via con sé, a un night-club. Se l'è filata via a metà della cena, senza neanche aspettare il dolce, e ha messo le cose in modo da escludermi dall'invito, molto sottilmente. Se l’è filata con una delle invitate molto prima che la serata finisse! E questo contro la volontà di tutti i presenti.
– Eri imbarazzata? 
– No, non imbarazzata... non posso permettermi di essere imbarazzata. Avrei voluto essere molto imbarazzata, se capisci cosa voglio dire. 
– Capisco cosa vuoi dire. E c'era un uomo per te? 
– Be', qualcuno in effetti era libero. Eravamo una specie di compagnia mista. Mi sentivo sempre più sottosopra. Anche se, in un certo senso, era impossibile non ammirare lo stile e la determinazione con cui l'aveva fatto. E poi aveva un'aria così straordinariamente affascinante mentre agiva. Non vedeva l'ora di andare a ballare, tanto era stufo di quella gente. 
– L'ha scopata? 
– Non credo, comunque non gliel'ho chiesto. 
– E io posso chiederti cosa pensi di tutto questo? 
– Ero tutta sottosopra, mi sentivo da cani. Quando lui è tornato a casa abbiamo avuto la più tremenda delle scenate. 
– Che ore erano? 
– Le tre e mezzo, circa. 
– Allora l'ha scopata. E cos'è successo dopo, ha scopato anche te? 
– No di certo. La sua tesi è stata questa: «A te non piace ballare con me. Non ti vado a genio. Non essere ipocrita, è così. Non puoi pretendere da me cose che tu stessa non dai». Abbiamo avuto una lunga conversazione, naturalmente, molto seria. 
– Eri molto arrabbiata? 
– Ero assolutamente furibonda. Ma perché lui  dovrebbe sentirsi obbligato verso qualcuno?... 
– E perché dovresti esserlo tu? 
– Sono terribilmente arrabbiata con lui. Ma è anche vero che non sono nella posizione per potermi arrabbiare... è questa la cosa insopportabile. È davvero difficile, sai. Come si devono prendere queste cose? Io non provo nessun sentimento per lui, nessuno. Eppure sento questa terribile gelosia... cosa sarà? Qual è il messaggio, dottore? 
– Tesoro mio, il messaggio è che tu hai davanti una scelta, hai un'opzione, solo che ti risulta inaccettabile. 
– E quale sarebbe? 
– Indovina. 
– Fa sempre queste cose quando io sono così indifesa. Quando mi sento in cima al mondo lui si comporta che è una meraviglia. Ma appena tira aria che sto per perdere il lavoro, o quando ho un bambino piccolo... 
– O quando non hai un amante. 
– Eccetera eccetera. Ma cosa posso farci? Potrei cercare di convincermi che la situazione non è poi tanto male, che lui può fare tutto quello che vuole finché gli riesce di comportarsi bene... 
– E finché paga i conti. 
– E finché paga i conti. 
– Forse potresti davvero arrivare a questo compromesso. Sei molto brava ad articolare i termini delle questioni ad alta voce. 
– Posso chiederti una cosa? Perché non avrebbero dovuto andarsene a ballare? 
Probabilmente è stato davvero solo per ballare, ma se non è così, cosa importa? 
Perché non avrebbe dovuto? Cosa c'è di sbagliato? 
– Sai una cosa? Tu sei ipnotizzata dai cattivi comportamenti. Ti sembrano di gran classe. 
– Rispondimi, per piacere. Ti sto riferendo quello che dice lui. Dimmi cosa c'è di sbagliato. La sua posizione è questa. 
– Basta che tu gli dica: «Non so cosa c'è di sbagliato, probabilmente è una cosa splendida, ma a me non va». 
– Oppure posso dirgli: «Guarda, le tue esigenze non mi interessano, voglio che tu stia a casa. E che non mi pianti in asso per andare con donne sconosciute»? 
– Giusto. 
– «Non mi interessa se ti senti frustrato e irrequieto. Stai a casa e basta». 
– C'è un altro modo per farlo, naturalmente. 
– Quale? 
– Si chiama andare dall'avvocato. Si chiama divorziare, così lui potrà andare a ballare tutte le sere della settimana fino a farsi scoppiare quel suo cuore del cazzo, senza per questo umiliarti. 
– È una fantasia che mi viene un giorno sì e uno no. 
– Sei troppo giovane per avere paura di andartene. 
– Perché ho tanta paura? Non è perché non lo voglia fare. 
– Lo vuoi eccome. È questo che ti fa paura. 
– Se gli avessi detto che volevo venire via con loro... non avevo voglia di farlo, per la verità, ma avevo la possibilità di dire che volevo venire via con loro. 
– E perché avresti dovuto dirlo? «Voglio venire anch'io». No. Cosa sei, un'altra bambina al seguito? 
– Lui ha cercato di convincerci tutti ad andare via, e noi a dirgli: no, no, no. 
Quella ragazza non ha avuto il coraggio di guardarmi negli occhi quando è uscita. Ha salutato tutti tranne me. Sapeva che non era giusto. 
– Lui ti ha messa sotto un'altra volta. Gli eri sfuggita di mano fino a circa tre o quattro mesi fa, ma adesso ti ha messa sotto di nuovo. 
– Perché le cose non possono migliorare semplicemente? 
– Non capita mai. È come un dramma a teatro. Neanche i drammi finiscono bene, di solito. Se ti viene l'idea di andartene durante l'intervallo di un dramma ti conviene farlo, perché di sicuro non è destinato a migliorare. 
– Ma io non so cosa voglio. 
– Te l'ho già detto un milione di volte. Tu non vuoi questi casini. Ed è per questo che vieni qui e fai quattro cazzate da niente con me. 
– Sì, è vero che a farmi sentire libera sono le quattro cazzate con te, come dici tu. 
– Da niente. 
– Quando ci siamo conosciuti, e io ti dissi che volevo distrarmi, be', era davvero quello che mi spingeva. Ed è stato così. 
– Okay, ti ho procurato un po' di distrazione, per quello che può esser servito, quindi adesso sei arrivata lo stadio successivo. Quello che arriva sempre dopo distrazione. Lo chiamano: prendere in mano la propria vita. 
–  Potrei andare da un altro avvocato. Più rapace è, meglio è. 
– Non trovandomi nei panni di tuo marito, sono accordo. 
– Ma a questo punto loro cosa tirerebbero fuori contro di  me? E dico «loro» 
perché non si tratterebbe solo di lui, ci sarebbe anche la sua terribile madre. 
– Che già adesso non è esattamente pazza di te. 
– Be', non è solo questo, è malvagia. Non è solo una sposa infelice, è malvagia per natura. E ha una vera ossessione per sua nipote. L'altro giorno mi ha detto: «Lo sai, no,che si può ricorrere al tribunale per avere il permesso di vedere un nipote?» 
– Avresti dovuto darle un calcio nel culo. 
– Non è nel mio stile. 
– Ma è nel tuo stile andare di nuovo da un avvocato; questo è perfettamente coerente con la tua logica e tua concretezza. 
– Sì, ma allora perché mi sento così paralizzata? 
– Sei terrorizzata. 
– Non sono terrorizzata da lui. 
– No, ma dall'idea di ritrovarti sola e senza un soldo. 
– Come potrebbe non essere terrorizzata una persona che ha visto nella propria famiglia quello che ho visto io? Io ho visto l'insicurezza finanziaria, e ne sono rimasta segnata. Pensi ancora che servirebbe a qualcosa andare da uno psicanalista? Perché quello che proprio non so è cosa voglio. 
– Lo ripeti in continuazione. 
– E lui, mio marito, ha una fissa incredibile per la potenza sessuale. È un vero problema. Per questo è successo, per la sua ossessione per la potenza sessuale. Se guardo in giro, fra quelli che potrei chiamare i nostri conoscenti medioborghesi, vedo che tutti accettano limitazioni alla propria vita sessuale. 
– Lui invece non le vuole accettare. 
– Be', io l'ho fatto. 
– Per alcuni è così. 
– Lui è talmente strano. 
– A me sembra piuttosto tipico. 
– Un uomo tipico? 
– No, tipico di un uomo come lui. Penetrare e ritirarsi. Dentro e fuori. Per certi versi può essere straordinario, ma non si può definirlo strano. 
– Perché tutti questi amici nostri sono relativamente soddisfatti mentre io mi sento così infelice? 
– Come fai a saperlo che sono soddisfatti? Non sai un accidente di niente finché non hai visto la posizione dei loro piedi quando stanno a letto. 
– Grazie, dottore. 
– Non sono il tuo dottore. Sono un tuo amico. Un tuo ammiratore. 
– Vede, dottore, non è stato uno spasso per lei tornare a visitarmi. Avrei dovuto avvertirla. 
– Sarei venuto comunque. 
– Per il weekend sono andata a trovare mia madre, che sta molto meglio. Me ne stavo lì seduta come se fossi anestetizzata. Come se qualcuno mi avesse iniettato qualche... qualche droga che ti fa invecchiare di colpo. Capisci, qualcosa che inaridisce il tuo spirito. Anche lei ha notato la cosa. Non ero in grado di muovere un dito. Mio Dio, ne ho passate tante con quella donna, situazioni terribili da affrontare, anni e anni spaventosi da sopportare in qualche modo dopo la morte di mio padre. E 
adesso, finalmente, lei sembrava tutta un'altra persona e io mi sentivo uno straccio. 
– Quando il paziente guarisce l'infermiera si ammala. 
– Già, qualcosa del genere. Mi ricordo di aver pensato che per riuscire a non impazzire, io e mia sorella, era essenziale che il suo spirito si fiaccasse e che lei fosse messa in un angolo. Mi ricordo di aver pensato a una specie di complotto di famiglia. 
Anche i miei zii e le mie zie pensavano la stessa cosa: lei doveva togliersi dai piedi. 
– Sono brutti pensieri. 
– Con tutti i problemi pesanti che devo affrontare qui, dover anche andare da lei, e andarci sempre da sola... Non mi è mai piaciuto farlo perché sapevo che mio marito intanto se la spassava a Londra, ed è orribile che lui non sia mai voluto venire, che sia morta quella forma di decenza esteriore per cui lui avrebbe l'obbligo di sostenermi di più in una situazione del genere. Mentre stavo laggiù con mia madre mi sentivo come se stessi aspettando di morire. Lei era su di giri, stava bene, e mi deprimeva in un modo spaventoso. Certe volte, quando uno si trova in una brutta situazione, sembra che la vita non abbia più niente da dire e che tu aspetti solo di esserti consumato del tutto. Non hai mai provato una cosa del genere? 
– Certo. 
– Con tuo padre? 
– No, non con lui. Il mio vecchio genitore è arzillo come non mai. Ha opinioni su ogni cosa, e spesso non coincidono con le mie. Certe volte con mio padre devo farmi forza per ricordarmi che non ho più quattordici anni. Quando sto con mio padre, più che aspettare di morire, mi sento come se stessi aspettando ancora che la vita cominci. L'estate scorsa è andato su tutte le furie quando uno dei figli di mio fratello ha deciso di sposare una portoricana. Siccome lui non è capace di nascondere quello che pensa, e di solito non ci prova nemmeno, il risultato è stato che il ragazzo si è infuriato a sua volta, e a quel punto mio fratello si è arrabbiato e mi ha chiamato, e così io sono saltato in macchina e me la sono fatta d'un fiato dal Connecticut al New Jersey. Quando sono arrivato lui ha attaccato anche con  me. Sono stato ad ascoltarlo per una buona mezz'ora, poi ho deciso che aveva bisogno di una piccola lezione di storia. Gli ho detto: « Tuo padre, all'inizio del secolo, aveva tre scelte. Uno: sarebbe potuto rimanere con la nonna nella comunità ebraica in Galizia. E, se fosse rimasto, cosa sarebbe successo? A lui, a lei, a te, a me, a Sandy, alla mamma, insomma a tutti noi? Okay, questo era il numero uno: saremmo finiti tutti in cenere. Numero due. 
Sarebbe potuto emigrare in Palestina. Tu e Sandy avreste combattuto contro gli arabi nel 1948 e, se anche uno di voi due non si fosse fatto addirittura ammazzare, di sicuro qualcuno ci avrebbe rimesso almeno un dito, un braccio, un piede. Nel 1967, io avrei combattuto nella Guerra dei sei giorni, e almeno un piccolo  shrapnel  me  lo  sarei beccato. In testa, per esempio, con il risultato di perdere la vista da un occhio. I tuoi due nipoti avrebbero combattuto in Libano e, be', tanto per non esagerare, immaginiamo che solo uno di loro due ci avrebbe lasciato le penne. Questo per quanto riguarda la Palestina. La terza possibilità che gli rimaneva era quella di venire in America. Ed è quello che ha fatto. E qual è la peggior disgrazia che può capitarci, qui in America? Che tuo nipote sposi una portoricana. O vivi in Polonia e subisci le conseguenze del fatto di essere un ebreo polacco, o vivi in Israele e subisci le conseguenze del fatto di essere un ebreo israeliano, oppure vivi in America e subisci le conseguenze del fatto di essere un ebreo americano. Dimmi tu quale preferisci.