domenica 9 ottobre 2022

ANTEROS. L'AMANTE VISIVO Estratto da "Il libro dell'inquietudine" Fernando Pessoa


 

ANTEROS. L'AMANTE VISIVO

Estratto da "Il libro dell'inquietudine" Fernando Pessoa
Nelle religioni dell'antica Grecia, Anteros (in greco anticoἈντέρωςAntérōs) è il dio dell'amore corrisposto oppure dell'amore non corrisposto e quindi "vendicativo".)

[...] Amo in questo modo: fisso una figura di donna o di uomo (laddove non c’è desiderio, non c’è preferenza di sesso) per la sua bellezza, avvenenza o per un qualsiasi altro modo di essere amabile e questa figura mi ossessiona, mi cattura, si impossessa di me. [...]

Ho dell’amore profondo e del suo uso pratico un concetto superficiale e decorativo. Sono soggetto a passioni visuali. Custodisco intatto il cuore, riservato a destini più irreali.
  Non ricordo di aver amato altro che il “quadro” di qualcuno, la sua pura esteriorità – in cui l’anima non ha altra funzione se non quella di rendere animata e viva questa esteriorità – che è cosa diversa dai quadri dipinti dai pittori.
  Amo in questo modo: fisso una figura di donna o di uomo (laddove non c’è desiderio, non c’è preferenza di sesso) per la sua bellezza, avvenenza o per un qualsiasi altro modo di essere amabile e questa figura mi ossessiona, mi cattura, si impossessa di me. Però, non desidero altro che vederla, né vedo nient’altro con più orrore che la possibilità di arrivare a conoscere e a parlare con la persona reale che questa figura rappresenta nell’apparenza.
  Amo con lo sguardo, non con la fantasia. Perché non fantastico nulla su questa figura che mi cattura. Non riesco a immaginarmi legato a essa in alcuna maniera, perché il mio amore decorativo non ha nulla di fisico. Non mi interessa sapere chi è, cosa fa, cosa pensa la creatura che mi concede di vedere il suo aspetto esteriore.
  L’immensa serie di persone e di cose che forma il mondo è per me una galleria interminabile di quadri, il cui lato interiore non mi interessa. Non mi interessa perché l’anima è monotona e sempre uguale in tutti; differisce soltanto nelle sue manifestazioni personali e il suo lato migliore è quello che trasmette al viso, ai modi, ai gesti, entrando così nel quadro che mi cattura e a cui, in modo diverso ma costante, mi affeziono.
  Per me, questa creatura non possiede anima. L’anima riguarda solo lei. (Caeiro – l’uomo nella casa in lontananza)
(Pessoa con tutta probabilità rimanda alla poesia del suo eteronimo Alberto Caeiro dall’incipit: “É noite. A noite é muito escura. Numa casa a uma grande distância”. Alberto Caeiro è considerato il Maestro di tutti gli altri eteronimi. NdC. )
  Così vivo, nella pura visione, l’esterno animato delle cose e degli esseri come un dio di un altro mondo indifferente al loro contenuto-spirito. Approfondisco solo la superficie e solo all’esterno, e quando desidero profondità, la cerco in me e nella mia nozione delle cose.
Cosa mi può offrire conoscere personalmente la creatura che amo in décor? Non una delusione, perché, siccome ne amo soltanto l’aspetto esteriore e non vi fantastico sopra, la sua stupidità o mediocrità nulla toglie, perché non mi attendevo null’altro fuorché l’aspetto che non dovevo attendermi, e l’aspetto perdura. Ma la conoscenza personale è deleteria perché inutile, e l’inutile concreto è sempre deleterio. A che serve sapere il nome della creatura? ed è sempre la prima cosa di cui, quando ci presentano, vengo a conoscenza.
  La conoscenza personale mi priva inoltre della libertà di contemplazione, che la mia forma di amare richiede. Non possiamo fissare, contemplare in libertà chi conosciamo personalmente.
  Ciò che è superfluo è dannoso per l’artista, perché turbandolo diminuisce l’effetto.
  Il mio naturale destino di contemplatore indefinito e innamorato delle apparenze e delle manifestazioni delle cose – oggettivista dei sogni, amante visivo delle forme e degli aspetti della Natura < >
  Non si tratta di un caso che gli psichiatri denominano onanismo psichico e neppure di ciò che chiamano erotomania. Non ho fantasie, come nell’onanismo psichico; non mi vedo in sogno come un amante carnale e nemmeno come semplice amico della creatura che guardo e ricordo: non fantastico nulla di essa. E neppure, come l’erotomane, la idealizzo e la trasporto al di fuori della sfera dell’estetica concreta: di essa non voglio, né penso, se non ciò che offre ai miei occhi e alla memoria diretta e pura di quanto gli occhi hanno visto.
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  L’amante visivo
  Non sono solito intrecciare alcuna trama di fantasia attorno alle figure nella cui contemplazione mi intrattengo. Tutto ciò che aggiungessi le diminuirebbe, poiché diminuirebbe, per così dire, la loro “visibilità”.
  Tutto quello che potrei fantasticare su di esse lo riconoscerei giocoforza come falso nello stesso momento in cui ne fantasticassi; e se le cose sognate mi piacciono, le cose false mi ripugnano. Il sogno puro mi affascina, il sogno che non ha alcun rapporto né alcun punto di contatto con la realtà. Il sogno imperfetto, il cui punto di partenza è la vita, non mi piace o piuttosto non mi piacerebbe, se mi ci rifugiassi.
  Per me l’umanità è un vasto motivo decorativo che vivo attraverso gli occhi e gli orecchi e anche attraverso l’emozione psicologica. Non voglio altro dalla vita se non assistervi. Non voglio altro da me se non assistere alla vita. Sono come un essere di un’altra esistenza che transita mosso da un interesse indefinito attraverso questa esistenza. Sono estraneo a essa in tutto. Tra me e la vita c’è una specie di vetro. Voglio che questo vetro sia sempre molto limpido, per poterla esaminare senza l’opacità di un mezzo frapposto; ma comunque voglio sempre questo vetro.
  Per ogni spirito scientificamente costituito, vedere in una cosa più di quanto in essa vi sia significa vedere meno questa cosa. Ciò che vi si aggiunge materialmente, spiritualmente la riduce.
  Attribuisco a questo stato d’animo la mia ripugnanza verso i musei. Il museo per me è la vita intera, in cui la pittura è sempre esatta e dove l’inesattezza può esistere solo nell’imperfezione del contemplatore. Ma tento di attenuare questa imperfezione o, se non ci riesco, mi accontento che sia così, dato che, come tutto, può essere solo così.