martedì 13 febbraio 2018




OLTRE IL LIMITE
Rudyard Kipling
"Oltre il limite ed altri racconti"
"L'amore non bada a caste,
né il sonno a un letto rotto.
Io andai in cerca d'amore e mi persi."
​Proverbio indù

​In qualsiasi circostanza, un uomo dovrebbe sempre rimanere fedele alla propria casta, razza e stirpe. Che i bianchi stiano con i bianchi e i neri con i neri. Allora, qualunque cosa accada, rientra nel normale corso degli eventi - non è né improvviso, né strano, né imprevisto.
​Questa è la storia di un uomo che oltrepassò deliberatamente i limiti sicuri della rispettabile convivenza quotidiana e pagò un prezzo molto alto.
​In primo luogo sapeva troppo; e poi vide troppo. Si interessò troppo alla vita indigena, ma non lo farà mai più.
​Lontano, sprofondato nel cuore della città, dietro il bustee di Jitha Megij, c'è il vicolo di Amir Nath, che termina in un muro cieco sul quale si apre una sola finestra munita di una grata. All'inizio del vicolo c'è una grossa vaccheria, e i muri su entrambi i lati del vicolo sono privi di finestre. Né Suchet Singh né Gaur Chand approvano che le loro donne vedano il mondo. Se Durga Charan fosse stato della stessa opinione, oggi sarebbe un uomo più felice, e la piccola Bisesa potrebbe impastare con le proprie mani il pane che mangia. La sua stanza guardava, attraverso la finestra con la grata, nello stretto e buio vicolo dove non arrivava mai il sole, e dove i bufali sguazzavano nel liquame azzurro. Era una vedova di circa quindici anni e pregava gli dèi, giorno e notte, che le mandassero un amante, perché non si rassegnava a vivere sola.
​Un giorno un uomo di nome Trejago, girovagando da quelle parti, capitò nel vicolo di Amir Nath; e, dopo aver oltrepassato i bufali, inciampò in un grosso mucchio di foraggio.
​Allora vide che il vicolo era senza uscita e udì una risatina dietro la finestra con la grata. Era una risatina graziosa e Trejago, sapendo che, per qualsiasi scopo pratico, le vecchie Mille e una notte costituiscono una valida guida, giunse fin sotto la finestra e sussurrò quella strofa del Canto d'amore di Har Dyal che inizia:
​Può un uomo star dritto in faccia al Sole ignudo, o un innamorato alla Presenza della propria Amata?
​Se i piedi mi tradiscono, O Cuore del mio Cuore, son forse da biasimare, essendo accecato dalla visione fugace della tua bellezza?
​Da dietro la grata giunse il fioco tintinnio di braccialetti femminili, e una vocina riprese il canto dal quinto verso:
​Ahimè! Ahimè! Può forse la Luna dire al Loto del proprio amore, quando i Cancelli del Cielo son chiusi e le nubi s'addensano per le Piogge?
​Han preso la mia Amata e l'hanno condotta al Nord con dei cavalli da soma.
​Vi sono catene di ferro ai piedi ch'erano posati sul mio cuore.
​Chiamate gli arcieri affinché si preparino...
​La voce s'interruppe all'improvviso e Trejago uscì dal vicolo di Amir Nath, chiedendosi chi mai potesse completare con tanta precisione il Canto d'amore di Har Dyal.
​Il mattino seguente, mentre si recava in ufficio, una vecchia gettò un pacchetto nel suo calesse. Dentro il pacchetto c'era la metà di un braccialetto di vetro rotto, un fiore rosso sangue di dhak, un pizzico di bhusa, o foraggio per il bestiame, e undici semi di cardamomo. Quel pacchetto era una lettera - non una lettera sgraziata e compromettente, ma una innocente, inintelligibile epistola d'amore.
​Come ho detto, di queste cose Trejago se ne intendeva anche troppo. Nessun inglese dovrebbe essere in grado di tradurre lettere composte di oggetti. Ma Trejago sparse tutte quelle carabattole sul coperchio della valigetta da ufficio e iniziò a decifrarne il significato.
​Un braccialetto di vetro rotto indica, in tutta l'India, una vedova indù; poiché, quando muore il marito, alla donna vengono infranti i braccialetti ai polsi. Così Trejago chiarì il significato del frammento di vetro. Il fiore di dhak può significare cose diverse - 'desiderio', 'vieni', 'scrivi' o 'pericolo' - a seconda degli oggetti che l'accompagnano. Un seme di cardamomo significa 'gelosia'; ma quando, in una lettera di questo genere, un oggetto è duplicato, perde il suo significato simbolico e dà semplicemente una indicazione di tempo, o, se accompagnato da incenso, giuncata o zafferano, di luogo. Il messaggio dunque diceva: 'Una vedova - fiore di dhak e bhusa - alle undici'. Il pizzico di bhusa illuminò Trejago. Egli capì - questo tipo di lettera lascia molto all'intuito - che la bhusa si riferiva al grosso mucchio di foraggio sul quale era caduto nel vicolo di Amir Nath, e che il messaggio doveva venire dalla persona nascosta dietro la grata; che era una vedova. Quindi il messaggio diceva: 'Una vedova, nel vicolo dove c'è il mucchio di bhusa, desidera che tu venga alle undici'.
​Trejago gettò tutte quelle cianfrusaglie nel camino e rise. Sapeva che in Oriente gli uomini non fanno l'amore sotto le finestre alle undici di mattina, né le donne fissano gli appuntamenti con una settimana di anticipo. Così, quella sera stessa alle undici, si recò nel vicolo di Amir Nath avvolto in una boorka, che nasconde sia un uomo che una donna. Non appena i gong della città batterono l'ora, la vocina dietro la grata riprese il Canto d'amore di Har Dyal dal verso in cui la ragazza pathan invoca Har Dyal perché ritorni. Nel dialetto indigeno il canto è molto bello. Tradotto perde il suo carattere lamentoso. Dice press'a poco così:

​Sola sui tetti delle case, al Nord
​Mi volgo e guardo i lampi nel cielo, -
​L'incanto dei tuoi passi nel Nord.
​Ritorna mio Diletto, altrimenti morrò!
​Ai miei piedi silenzioso si stende il bazar -
​Molto, molto più in basso riposano i cammelli stanchi,
​I cammelli e i prigionieri della tua razzìa.
​Ritorna mio Diletto, altrimenti morrò!
​La moglie di mio padre è vecchia e arcigna,
​E di tutta la casa paterna son io la bestia da soma. -
​Dolore è il mio pane e lacrime la mia bevanda.
​Ritorna mio Diletto, altrimenti morrò!

​Quando il canto finì, Trejago andò sotto la grata e sussurrò: "Sono qui".
​Bisesa era bella a vedersi.
​Quella notte segnò l'inizio di molte cose strane e di una doppia vita così pazzesca che ancora oggi, alle volte, Trejago si domanda se non sia stato tutto un sogno. Bisesa, o la sua anziana serva che aveva recapitato la lettera composta di oggetti, aveva staccato la pesante grata dalla cornice di mattoni; cosicché la finestra poté scivolare all'interno, lasciando soltanto un riquadro di mattoni grezzi, nel quale un uomo agile poteva arrampicarsi.
​Di giorno Trejago svolgeva il consueto lavoro d'ufficio, o indossava gli abiti da visita e andava a trovare le signore della comunità inglese, chiedendosi fino a quando avrebbero continuato a riceverlo, se avessero saputo della povera piccola Bisesa. Di notte, quando tutta la città era silenziosa, compiva la passeggiata sotto la boorka maleodorante, la ricognizione attraverso il bustee di Jitha Megji, la rapida svolta nel vicolo di Amir Nath, tra il bestiame addormentato e i muri ciechi, e poi, finalmente, trovava Bisesa, e il respiro profondo e regolare della vecchia, addormentata fuori della porta della spoglia stanzetta che Durga Charan aveva destinato alla figlia di sua sorella. Chi o che cosa fosse Durga Charan, Trejago non lo chiese mai; e perché non venisse scoperto e accoltellato non gli passò mai per la testa, finché la sua pazzia non ebbe fine e Bisesa... Ma questo vien dopo.
​Bisesa rappresentava un piacere senza fine per Trejago. Era ignorante come un uccello, e le sue versioni distorte dei rumori che le giungevano dal mondo esterno divertivano Trejago quasi quanto i suoi blesi tentativi di pronunciare il suo nome, Christopher. La prima sillaba costituì sempre una difficoltà insormontabile; e lei faceva dei piccoli gesti buffi con le mani simili a foglie di rosa, come se volesse gettare via il nome, e poi, inginocchiandosi davanti a Trejago, gli domandava, proprio come farebbe una donna inglese, se fosse certo di amarla. Trejago giurava di amarla più di qualsiasi altra persona al mondo. Ed era vero.
​Dopo un mese di questa follia, le esigenze dell'altra sua vita costrinsero Trejago a prestare particolare attenzione a una signora di sua conoscenza. Potete star certi che una cosa di questo genere non viene notata e discussa solo all'interno della comunità europea, ma anche da un centinaio e mezzo di indigeni. Trejago doveva andare a passeggio con questa signora e conversare con lei presso il palco della banda, e una volta o due dovette accompagnarla in calesse; tutto questo lo fece senza mai pensare, per un solo istante, che potesse compromettere la sua vita segreta, a lui ben più cara. Ma la notizia volò, nel solito modo misterioso, di bocca in bocca, finché la vecchia governante di Bisesa la sentì e la riferì a Bisesa. La fanciulla ne fu così turbata che fece malamente i lavori di casa e, di conseguenza, venne picchiata dalla moglie di Durga Charan.
​Una settimana dopo Bisesa accusò Trejago di questo flirt. Non conoscendo sfumature, parlò apertamente. Trejago rise, e Bisesa batté i piedini per terra - quei piedini delicati come calendule, che potevano stare nel palmo della mano di un uomo.
​Molto di ciò che è stato scritto sulla passionalità e l'impulsività degli orientali è esagerato e frutto di informazioni di seconda mano; ma un poco è vero e, quando un inglese scopre quel poco, si accorge che è altrettanto sorprendente di una qualsiasi passione vissuta da un uomo della sua stessa razza. Bisesa s'infuriò, fece una scena e alla fine minacciò di uccidersi se Trejago non avesse lasciato immediatamente la Memsahib straniera che si era frapposta tra loro.
​Trejago cercò di spiegare e di dimostrarle che lei non capiva queste cose da un punto di vista occidentale. Bisesa si alzò in piedi e disse semplicemente:
​"No, non capisco. Io so solo questo: non è bene che abbia fatto di te una cosa più cara del mio stesso cuore, Sahib. Tu sei un inglese, mentre io sono soltanto una ragazza di colore, - ed era più bionda dei lingotti d'oro alla Zecca - e la vedova di un uomo di colore.
​Poi aggiunse, tra i singhiozzi: "Ma sulla mia anima e sull'anima di mia Madre, ti amo. A te non accadrà nulla di male, qualunque cosa possa succedere a me".
​Trejago discusse ancora con la fanciulla cercando di calmarla, ma lei sembrava turbata in maniera del tutto irragionevole. Nulla poteva soddisfarla, se non la completa cessazione dei loro rapporti. Lui doveva andarsene immediatamente. E così fece. Mentre si calava dalla finestra, lei lo baciò due volte sulla fronte, e lui tornò a casa alquanto stupito.
​Passarono una, due, tre settimane senza alcun segno da parte di Bisesa. Trejago, pensando che la rottura fosse durata abbastanza, si recò nel vicolo di Amir Nath per la quinta volta in tre settimane, nella speranza che i suoi colpetti sul davanzale della grata mobile ricevessero una risposta. Infatti non venne deluso.
​C'era una luna giovane, e un fascio di luce inondava il vicolo di Amir Nath colpendo la grata, che venne rimossa mentre lui bussava. Dalla nera oscurità, Bisesa tendeva le braccia al chiaro di luna. Entrambe le mani erano state recise ai polsi e i moncherini erano quasi guariti.
​Allora, mentre Bisesa chinava il capo tra le braccia e singhiozzava, nella stanza qualcuno grugnì come una bestia selvaggia, e qualcosa di acuminato - coltello, spada o lancia - venne scagliato contro la boorka di Trejago. L'arma mancò il busto ma raggiunse un muscolo dell'inguine, ed egli zoppicò leggermente per il resto dei suoi giorni.
​La grata ritornò al suo posto. Dall'interno della casa non venne alcun segno, null'altro che la striscia di luce lunare sull'alto muro e l'oscurità del vicolo di Amir Nath alle spalle.
​La prima cosa che Trejago ricorda, dopo aver perso la testa e gridato come un pazzo tra quelle mura spietate, è di essersi trovato in prossimità del fiume mentre stava albeggiando, di aver gettato via la boorka ed essere tornato a casa a capo scoperto.
​Come fosse avvenuta la tragedia - se Bisesa, in un momento di disperazione senza motivo, avesse raccontato tutto, o se la tresca fosse stata scoperta e la fanciulla costretta a parlare sotto tortura; se Durga Charan sapesse il suo nome, e cosa avvenne di Bisesa - Trejago non lo sa ancora oggi. Era accaduto qualcosa di orribile, e il pensiero di ciò che può essere stato coglie ogni tanto Trejago la notte, e gli tiene compagnia fino al mattino. Un aspetto particolare della vicenda è che lui non sa dove sia la facciata della casa di Durga Charan. Può dare su un cortile comune a due o più case, o può trovarsi dietro uno qualsiasi dei cancelli del bustee di Jitha Megji, Trejago non può dirlo. E non può riavere Bisesa, la povera piccola Bisesa. L'ha perduta nella città dove la casa di ogni uomo è sorvegliata e impenetrabile come la sua tomba; e la grata che guardava sul vicolo di Amir Nath è stata murata.
​Ma Trejago compie le sue visite regolarmente ed è considerato una persona assai rispettabile.
​Non v'è nulla di strano in lui, tranne una lieve rigidità della gamba destra, conseguenza di una caduta da cavallo.