martedì 6 febbraio 2018


SENTIMI!

Estratto da “Notte fantastica.” 
Stefan Zweig

[...]Una persona, una sola, avevo trovato infine, che non fosse del tutto avulsa dalla natura, che ardesse anche lei dell'incendio del mondo, e volevo rivelarle la nostra affinità. Avrei voluto gridarle: «Su, senti la mia presenza! Sentimi! Anch'io sono desto come te, anch'io soffro! Sentimi! Sentimi!» L'avvolsi con l'ardente magnetismo del mio desiderio. Fissavo la sua schiena, accarezzavo con gli occhi i suoi capelli, la trafiggevo con lo sguardo, la chiamavo a fior di labbra, la tenevo stretta, e la fissavo, la fissavo, cacciando fuori tutta la mia febbre, affinché lei lo avvertisse con sensi sororali. Ma non si voltò. Rimase lì seduta immobile, freddo ed estraneo simulacro. Nessuno mi venne in aiuto. Nemmeno lei mi sentiva. Nemmeno in lei c'era il mondo. Io ardevo da solo. Oh, quell'afa, fuori e dentro, non la sopportavo più. L'effluvio unto e dolciastro delle pietanze calde era un supplizio, ogni rumore mi trapassava i nervi. Mi sentivo il sangue ribollire e sapevo d'essere prossimo a un purpureo deliquio. Tutto in me anelava alla frescura e alla solitudine, e quella prossimità con i miei simili, così soffocante, mi opprimeva. Accanto a me c'era una finestra. L'aprii, anzi la spalancai. E, meraviglia: eccolo di nuovo, nel suo pieno mistero, quel guizzo inquieto nel sangue, ma sciolto adesso nello sconfinato cielo notturno. D'un bianco giallastro, la luna tremolava lassù come un occhio infiammato in un anello rosso di vapori, e sui campi scendeva, furtiva e spettrale, una pallida caligine. Si udiva, febbrile, il frinire dei grilli; pareva che funi metalliche, tese nell'aria, mandassero suoni striduli e acuti. Di tanto in tanto si sentiva anche il gracidare sommesso e insensato di un ululone, e i cani abbaiavano, lanciando alti latrati; da qualche parte in lontananza il bestiame muggiva, e io mi sovvenni che in notti come queste la febbre potrebbe avvelenare il latte alle mucche. La natura era malata, anche laggiù la tacita furia dell'esasperazione, e io guardavo dalla finestra come in uno specchio del sentimento. Tutto il mio essere si sporgeva fuori, la mia il frinire dei grilli; pareva che funi metalliche, tese nell'aria, mandassero suoni striduli e acuti.
Di tanto in tanto si sentiva anche il gracidare sommesso e insensato di un ululone, e i cani abbaiavano, lanciando alti latrati; da qualche parte in lontananza il bestiame muggiva, e io mi sovvenni che in notti come queste la febbre potrebbe avvelenare il latte alle mucche. La natura era malata, anche laggiù la tacita furia dell'esasperazione, e io guardavobdalla finestra come in uno specchio del sentimento. Tutto il mio essere si sporgeva fuori, la mia arsura e quella del paesaggio fluivano l'una nell'altra, in un abbraccio umido e muto."