SINFONIETTA DI JANÁČEK
Estratto da "1Q84"
Haruki Murakami
Mise sul piatto il disco della Sinfonietta di Janáček, e premette il bottone
«automatic play». Era la Chicago Symphony Orchestra diretta da Ozawa
Seiji. Il piatto cominciò a girare per circa un minuto alla velocità di 33 giri,
poi il braccio si mosse verso l'interno e la puntina scese nel solco. Dagli
altoparlanti vennero fuori in successione l'attacco degli ottoni e il suono
vivace dei timpani. Era il punto preferito da Tengo.
Ascoltando quella musica, il viso rivolto allo schermo del suo word
processor, scriveva. Ascoltare la Sinfonietta di Janáček di prima mattina era
ormai un'abitudine quotidiana. Da quando l'aveva eseguita come percus-
sionista improvvisato ai tempi del liceo, aveva acquistato per Tengo un
significato particolare. Quella musica lo incoraggiava e lo proteggeva. O
almeno a lui sembrava così.
L'aveva ascoltata qualche volta anche insieme alla sua amica. La trova-
va «niente male». Ma lei, più che la musica classica, amava i vecchi dischi
di jazz. Più erano vecchi più le piacevano. Era un gusto abbastanza insoli-
to per una donna della sua generazione. Aveva una predilezione speciale
per il disco in cui il giovane Louis Armstrong cantava i blues di W. C.
Handy. Barney Bigard suonava il clarinetto e Trummy Young il trombone.
Lo aveva regalato anche a Tengo. Non tanto per farlo ascoltare a lui, ma
per ascoltarlo lei stessa.
Lo sentivano spesso insieme, a letto, dopo aver fatto l'amore. Per quan-
te volte lo potesse sentire, lei non se ne stancava mai. «Sulla tromba e la
voce di Louis naturalmente nulla da eccepire, è straordinario. Ma a mio
parere devi ascoltare con la massima attenzione soprattutto il clarinetto di
Barney Bigard». In effetti nel disco Bigard aveva avuto poche occasioni di
fare degli assolo, ed erano per giunta molto brevi. La ragione, ovviamente,
era che si trattava di un disco con Louis Armstrong protagonista. Lei,
però, aveva memorizzato quei pochi assolo a uno a uno, con devozione, e
li accompagnava sempre canticchiando a bocca chiusa.
Forse c'erano clarinettisti più grandi di Barney Bigard. Ma secondo lei,
per quanto si potesse cercare, era impossibile trovare qualcuno capace di
esecuzioni che avessero tanto calore e sensibilità. Le sue esecuzioni –
naturalmente solo le migliori – avevano il potere di suscitare visioni nella
mente dell'ascoltatore. Tengo ignorava quali fossero gli altri clarinettisti
jazz. Ma a forza di sentire quel disco cominciò un poco alla volta a capire
che le esecuzioni di clarinetto in esso contenute possedevano davvero una
bellezza particolare, e pur nella loro discrezione, erano straordinarie per
intensità e potere evocativo. Ma per rendersene conto ebbe bisogno di
ascoltarlo più volte con attenzione, e dell'aiuto di una brava guida. Se si
fosse limitato a un ascolto distratto, quegli aspetti gli sarebbero sfuggiti.
«L'esecuzione di Barney Bigard è splendida, come nel baseball il gioco
di una seconda base di genio, – gli spiegò lei una volta. – Gli assolo sono
bellissimi, ma è quando suona all'ombra degli altri che il suo talento
emerge ancora di più. Fa delle cose di una difficoltà estrema come se
niente fosse. Solo gli ascoltatori più attenti si accorgono di quanto è bra-
vo».
Ogni volta che iniziava il sesto brano del lato B dell'LP, Atlanta Blues,
lei stringeva sempre Tengo in qualche parte del corpo ed esaltava l'assolo
laconico e magistrale di Bigard. Quell'esecuzione era incastonata tra il
canto e l'assolo di tromba di Louis Armstrong. «Ecco, ascolta bene. Prima
c'è una specie di lungo urlo che ti fa sobbalzare, come il grido di un bam-
bino. Potrebbe essere un'esclamazione di sorpresa, un'esplosione di gioia
incontenibile, o una dichiarazione di felicità. Poi si trasforma in un sospiro
di piacere, avanza serpeggiando lungo un bellissimo canale, e infine si
dissolve dolcemente in un luogo sconosciuto e armonioso. Ecco, senti. Un
assolo così, capace di farti rimescolare tutto, non può farlo nessun altro.
Jimmy Noone, Sidney Bechet, Pee Wee Russell, Benny Goodman sono
stati tutti clarinettisti eccellenti, ma nessuno di loro sarebbe in grado di
realizzare un cesello di questa finezza».
«Come mai sei così esperta di vecchia musica jazz?» le chiese una volta
Tengo.
«Ci sono molte cose del mio passato che non conosci. Cose che nessuno
può cambiare», rispose. Quindi prese a massaggiargli i testicoli col palmo
della mano.