COME SI LEGGE UN RACCONTO
COME SI LEGGE UN RACCONTO
DI ANTON ČECHOV
Come nasce un racconto breve, quali sono le dinamiche e le
strategie, gli strumenti adottati dall'autore? Proviamo a capirlo leggendo un
racconto straordinario di Cèchov, Lo
specchio storto, nell'edizione Sansoni, nel 1963, con una bella
introduzione di Emilio Cecchi. Il racconto apre l'intera raccolta dei racconti,
disposta cronologicamente secondo le ultime volontà dell'autore, a partire dal
1883, anno in cui Cèchov aveva solo 23 anni. La buona traduzione è di Giovanni
Faccioli. Non dimentichiamo che stiamo lavorando su una traduzione, non sulla
lingua originale. Cominciamo a leggere:
LO SPECCHIO STORTO
(racconto di Natale)
Io e mia moglie
entrammo nella sala. Ci si sentiva odor di muffa e di umidità. Milioni di sorci
e di topi si sbandarono da tutte le parti, quando noi rischiarammo quei muri
che non avevano veduto la luce nel corso di un secolo intero. Quando chiudemmo
la porta dietro di noi, soffi una folata
di vento e agit dei mucchi di carte e
vedemmo dei caratteri antichi e delle figure medievali. Sulle pareti, rese
verdi dal tempo, erano appesi i ritratti degli avi. Essi ci guardavano alteri
ed arcigni, come se volessero dire:
-Bisognerebbe
frustarti, mio caro!
I nostri passi
rimbombavano per tutta la casa. Ai miei colpi di tosse rispondeva l'eco, quella
stessa eco che un tempo aveva risposto ai miei avi…
Il racconto breve non permette preamboli. Si entra subito
nell'azione. Questo accade anche per il romanzo, ma nel racconto è
assolutamente necessario vista la brevità di spazio. Bisogna stampare in
pochissime righe, tre, quattro cartelle al massimo. Lo spazio è quello e non ci
sono deroghe, altrimenti si rischia di essere tagliati. Il racconto breve va
sempre pensato per una pubblicazione in un giornale, che ha spazi ferrei. Così
hanno lavorato autori come Maupassant, Guareschi, Collodi, Parise, Zavattini e
molti altri scrittori, tanto per citarne qualcuno, che hanno pubblicato sui
giornali. All'inizio di questo racconto,
dei protagonisti conosciamo solo che sono marito e moglie e che entrano in una
vecchia casa di avi. Non dice nomi, non dice perché sono lì, se sono nobili o
meno, se questi due hanno ereditato la casa. Sicuramente fanno parte di una
famiglia nobile, visto che solo nelle casate con una storia secolare c'era
l'uso dei ritratti degli avi.
Cechov è uno scrittore della reticenza, del silenzio. Il
racconto breve si presta dunque ad usare procedimenti di silenzio. Lo scrittore
tace, allude, lascia in sospeso. Spesso taglia. I protagonisti non sappiamo chi
sono, perché sono lì, davanti a noi. Agiscono precisi come in scena. Aprono la
porta, la chiudono. La candela che illumina le facce arcigne degli avi è
probabilmente tenuta in mano dal marito. Tutto il resto della casa non conta.
La eco dei passi dice molto di più di quel luogo di tante descrizioni. La casa
probabilmente è vuota, per questo i passi rimbombano. Oppure è molto grande e
per il racconto questo basta. Uno scrittore principiante si sarebbe allungato a
descrivere quella sala, se era spoglia o se era piena di mobili, ma Cechov sa
che è inutile. Non è funzionale al racconto. Non c'è spazio per descriverla
perché il racconto deve essere breve. Anche la stessa casa, piena di sorci, di
cartacce che si alzano al vento, è di carattere "medievale" e
nient'altro.
E' importante per ora sottolineare il doppio aggettivo
"alteri ed arcigni" riferito alla faccia degli avi, e il fatto che il
loro sguardo non è molto benevolo con i propri discendenti. Procediamo con la lettura:
I nostri passi
rimbombavano per tutta la casa. Ai miei colpi di tosse rispondeva l'eco, quella
stessa eco che un tempo aveva risposto ai miei avi…
E il vento urlava e
gemeva. Nella cappa del camino qualcuno piangeva e in questo pianto si sentiva
la disperazione. Grosse gocce di pioggia picchiavano contro le fosche oscure
finestre e il loro rumore infondeva l'angoscia.
-O, avi, avi- dissi
io, sospirando profondamente.- Se io fossi scrittore, guardando i vostri
ritratti, scriverei un lungo romanzo. Infatti ciascuno di questi vecchi un
tempo fu giovane e ciascuno o ciascuna ebbe il suo romanzo…e quale romanzo!
Guarda, per esempio, questa vecchia mia bisavola. Questa donna brutta e
mostruosa ha una storia in sommo grado interessante.
Bisogna sottolineare che il racconto è scritto in prima
persona e non in terza. Questo fatto cambia molto. Un esercizio utile, che ci
facevano fare anche alle elementari, (e sarebbe così utile riprendere quegli
esercizi che ci sembravano tanto stupidi!) è quello di riportare questo
racconto di Cechov dalla prima alla terza persona. Cambia tutto, si
allungherebbe il brodo perché si cambia il punto di vista sul fatto che si sta
raccontando, e molte reticenze andrebbero risolte con spiegazioni, altrimenti
il racconto perderebbe senso. La scelta del punto di vista è anche una
questione di economia su ci che si
racconta.
Cechov si sta divertendo un mondo. Sembra che scrivi con il
sorriso sulle labbra. Infatti sta facendo la parodia di certi romanzi gotici,
quelli ambientati in castelli o in case medievali piene di fantasmi e di
presenze inquietanti. C'è un piccolo repertorio di topoi classici di questa letteratura: i sorci che fuggono, il vento
che geme, il rumore della pioggia contro i vetri, il vento che soffia nel
camino e il sibilo che produce è come un pianto disperato.
Un'altra cosa che Cechov non dice ma s'intuisce dal testo è
che questi due individui, marito e moglie, non hanno molta paura, anzi. Il
marito si permette perfino di fare dell'ironia sulla mostruosa bruttezza dei
propri avi. "Oh, avi avi…" dice sospirando profondamente. " Se
io fossi uno scrittore, guardando i vostri ritratti - dice - scriverei un lungo
romanzo". E' importante questo passo perché Cechov lancia un'idea di
poetica. Parla di sé. Potremmo quasi dire che i suoi avi hanno una faccia da
romanzo. Così Cechov prende in giro se stesso, il suo essere scrittore. Ma c'è
una nota di poetica importante quando dice che ogni suo avo, uomo o donna, ebbe
il suo romanzo. Ognuno ha un mondo che pu
essere raccontato a forma di romanzo. In ogni trama si rivela il destino
di una persona. La trama è qualcosa in più di un semplice meccanismo letterario
o tecnico, è qualcosa che va in fondo alla vita di un uomo. La trama coincide
con il destino di un uomo e con la sua faccia, e
questo è determinante ai fini della comprensione piena del
racconto.
Ancora una volta Cechov non dice nulla del sentimento dei
protagonisti, di come affrontano la scena. Lo intuiamo da quello che dicono e
da come si muovono i protagonisti. Un principiante credo avrebbe descritto il
terrore negli occhi di quegli avventori, il loro passo esitante, l'urlo della
moglie alla vista dei topi… e invece Cechov non dice niente, anzi ironizza.
Permette ai suoi protagonisti di fare dell'ironia sulla bruttezza dei propri
avi. E' importante questo passaggio come vedremo più avanti, perché questo è
una specie di innesco umoristico assai intelligente e sottile: non solo prepara
il finale, ma costringe il lettore a ritornare, verso la fine, su questo passo.
E' un punto strategico del racconto.
Vorrei infine sottolineare come Cechov sia riuscito nel
giro di una pagina a costruire un'atmosfera, un ambiente, una situazione ben
precisa, con pochi tratti. Non dobbiamo dimenticare infine il sottotitolo, che
non è messo per caso. Nella tradizione inglese e probabilmente non solo in
quella, era d'uso raccontare storie paurose, per spaventare i bambini nella
notte della vigilia o durante il giorno di Natale. Pensate a certi racconti di
Dickens.
Riprendiamo la lettura.
Questa donna brutta e
mostruosa ha una sua storia in sommo grado interessante. Vedi tu - domandai a
mia moglie - vedi tu quello specchio appeso là nell'angolo? E le indicai un
grande specchio dalla nera cornice di bronzo che era appeso nell'angolo accanto
al ritratto della mia bisavola. - Quello specchio possiede delle qualità
magiche: esso condusse alla rovina la mia bisavola. Ella lo pag una somma enorme e non se ne separ fino alla morte. Vi si rimirava giorno e
notte, senza posa, vi si rimirava perfino quando beveva e mangiava. Coricandosi
lo poneva sempre accanto a sé nel letto, e morendo, preg che lo si mettesse con lei nella bara. Questo
suo desiderio non fu appagato soltanto perché lo specchio non entrava nella
bara.
-Era forse civetta?-
domand mia moglie.
-Poniamo pure. Ma non
aveva forse altri specchi? Perché aver messo tanto amore proprio a questo
specchio, e non a uno qualsiasi? Non ne aveva forse dei migliori? No, mia cara,
qui si nasconde un qualche spaventoso mistero. Non pu essere altrimenti. La leggenda dice che nello
specchio c'è un diavolo e che la mia bisavola aveva un debole per i diavoli.
E', evidentemente, un'assurdità, ma non c'è dubbio che lo specchio della
cornice di bronzo possiede una forza occulta.
Al centro della narrazione vien posto lo specchio. Tutto
quello che è stato raccontato fino adesso è finalizzato ed è funzionale per
cogliere le potenzialità magiche dello specchio. Il narratore che racconta che
la sua bisavola è brutta e mostruosa e che non voleva mai separarsi dallo
specchio. "Era forse civetta" dice la moglie? Evidentemente questa
battuta è umoristica ed è detta dalla moglie con un filo di sottile ironia.
Dunque lo specchio è qualcosa di terribile e mostruoso, di diabolico. Dentro ci
vive un diavolo. Se pensate alla novella intitolata Lo specchio nella raccolta di racconti Gimpel l'idiota del premio Nobel Isaac B. Singer, anche lì troviamo
un diavolo che all'improvviso sbuca da dentro uno specchio proprio mentre una
giovane ragazza rossa si sta accarezzando un capezzolo, rimirando la propria
bellezza. Anche lì lo specchio è visto come qualcosa di terribile, dimora di
demoni. Proviamo a leggere un pezzettino dell'inizio del racconto de Lo specchio tratto da Gimpel l'idiota, perché poi lo leggeremo
interamente più avanti:
Vi è una sorta di
rete che è antica quanto Matusalemme, delicata come una ragnatela e altrettanto
piena di buchi, eppure ha conservato la propria forza fino ad oggi. Quando un
demone si stanca di inseguire l'ieri o di girare in circolo su un mulino a vento,
pu sistemarsi in uno specchio. Là
aspetta come un ragno nella sua tela, ed è certo che la mosca rimarrà presa.
Dio ha prodigato vanità alle femmine, in particolare alle ricche, alle
graziose, alle sterili, alle giovani, che hanno molto tempo a loro disposizione
e poca compagnia.
Il ricordo non ci pu
non portare a pensare al quadro in cantina di Dorian Gray o ad Alice
oltre lo specchio. Ma di questo ne riparliamo alla fine. Sottolineiamo il fatto
che è proprio di questo racconto l'idea che è la donna ad essere preda dello
specchio e non l'uomo. Andiamo avanti nella lettura di Cechov:
Diedi una spolverata
allo specchio e guardandomici mi misi a ridere. Al mio riso rispondeva
sordamente l'eco. Lo specchio era storto e la mia fisionomia si contorceva in
tutti i sensi, il naso era venuto a trovarsi sulla guancia sinistra, il mento
si era sdoppiato e se n'era andato di sbieco.
Finalmente capiamo che lo specchio deforma i lineamenti.
Non è uno specchio normale che rispecchia fedelmente la realtà ma la deforma.
La sua superficie non rende la realtà com'è. La descrizione della deformazione
del volto, chissà perché, mi ricorda certi quadri non tanto di Picasso, ma
certe forme oblunghe e disperate di Bacon che nulla hanno di umoristico e
spiritoso. Il protagonista del racconto rimane piuttosto impassibile, anzi, fa
un commento sulla propria bisavola, e leggiamo:
-Strani gusti aveva
la mia bisavola!- dissi.
Ricordatevi che è una bruttona, e anche questa battuta, se
doveva essere recitata, ci voleva da parte dell'attore un taglio fortemente
ironico, per portare così il pubblico al riso.
Mia moglie si
avvicin esitante allo specchio, anche
lei vi si rimir , e immediatamente accadde qualcosa di spaventoso. Ella
impallidì, si mise a tremare in tutto il corpo e lanci un grido. Il candeliere cadde di mano,
rotol al suolo e la candela si spense.
Fummo avvolti dalle tenebre, Nello stesso istante udii cadere sul pavimento
qualcosa di pesante: mia moglie aveva perduto i sensi.
Il vento si mise a
gemere ancora più lamentosamente, i topi ripresero a correre e a frusciare tra
le carte. Mi si drizzarono i capelli in fronte, quando l'imposta di una
finestra si stacc e piomb abbasso. Nella finestra comparve la luna…
Afferrai mia moglie,
la cinsi alla vita e la portai fuori dalla dimora dei miei avi. Ella rinvenne
soltanto la sera dopo.
-Lo specchio! Datemi
lo specchio! - disse tornando in sé -Dov'è lo specchio?
Dal punto di vista stilistico Cechov usa spesso una frase
ternaria, spezzata in tre. Sono utilissime per i narratori principianti e non
solo. E' prima di tutto una struttura ritmica, quasi sillogistica se vogliamo.
"Afferai mia moglie", primo movimento, "la cinsi alla vita"
secondo movimento, " e la portai fuori dalla dimora dei miei avi"
terzo e conclusivo movimento. Questo tipo di struttura narrativa è molto usata
anche per la sintesi che offre di gesti. L'azione si risolve in tre movimenti
senza prolissità, risolvendo narrativamente tutto in un periodo che chiude,
dopo i primi due movimenti, con un terzo finale legato dalla congiunzione, come
se fosse la perfetta chiusura di un gesto. Questo tipo di frase è usata
spessissimo, dicevo, dai narratori. Chi comincia a scrivere, dovrebbe imparar
bene questo tipo di struttura che poi pu
avere molte varianti, ma la cui base è questa.
Torniamo al racconto.
Mentre il marito-narratore rimane indifferente la moglie si
spaventa e prende paura. Forse avrà visto il suo volto stravolto. La luce si
spegne e allora anche il marito comincia ad avere paura. La donna ha subìto un
colpo dal quale si riprenderà solo il giorno dopo.
Rimase poi un'intera
settimana senza bere, senza mangiare e senza dormire, e continuamente
supplicava che le portassero lo specchio. Singhiozzava, si strappava i capelli
in testa, si agitava e finalmente, quando il dottore dichiar che poteva morire d'inedia e che il suo stato
era sommamente pericoloso, io, sormontando la mia paura, scesi di nuovo abbasso
e le portai lo specchio della mia bisavola. Vedendola, ella si mise a ridere di
felicità, poi lo prese in mano, lo baci e vi fiss
dentro gli occhi.
"Scesi di nuovo abbasso" scrive Cechov. Dunque in
quella casa ci abitano o ci sono andati ad abitare. Cechov non ce lo dice,
per lo intuiamo, e allora cambia anche
il senso del racconto. Probabilmente quella casa l'hanno ricevuta in eredità e
ci sono andati ad abitare dopo molto tempo che è stata disabitata, ma questo
non importa al narratore. Lo si intuisce.
Dunque la moglie, di fronte allo specchio rinasce non solo
fisicamente ma anche psicologicamente. Ha dei sintomi anoressici che molto
assomigliano a quelli dell'innamoramento, e ne guarisce solo quando si trova di
fronte allo specchio. Torna felice, lo specchio che deforma il reale la rende
felice. C'è qualcosa di malvagio e di pericoloso in quello specchio, ma ancora
non sappiamo cos'è, lo possiamo solo supporre, ma qui il racconto ha una svolta
temporale lunghissima.
Un'altra annotazione importante è il fatto di baciare lo
specchio che è l'equivalente di baciare la propria immagine. Lo specchio
riporta al mito di Narciso che, innamorato della propria immagine, muore
annegando nell'acqua che lo rispecchia. Il desiderio di combaciare con la
propria immagine, si riunirsi con la propria immagine, porta alla morte.
L'immagine è qualcosa di esterno che non pu
essere la realtà. Il desiderio di far coincidere la realtà con
l'immagine riflessa porta alla morte, sembra suggerirci il mito classico.
Ed ecco che sono
passati già più di dieci anni ed ella si guarda ancora nello specchio, senza
staccarsene un solo istante.
-Sono forse io?-
mormora mentre sul suo volto, insieme con un lieve rossore, spunta
un'espressione di beatitudine e di estasi. -Sì, sono proprio io! Tutto
mentisce, all'infuori di questo specchio! Mentisce la gente, mentisce mio
marito! Oh, se mi fossi veduta prima, se avessi saputo come ero in realtà, non
avrei sposato quest'uomo! Egli non è degno di me! Ai miei piedi devono
prostrarsi i più belli, i più nobili cavalieri!…
Adesso sappiamo che la moglie ha passato dieci anni a
rimirarsi allo specchio, guardando la sua stupenda bellezza, denigrando perfino
suo marito, il narratore, che non dovrebbe essere certamente contento del fatto
che adesso lei lo ritiene indegno della sua bellezza. Insomma il narratore non
dev'essere stato un adone, come dicono le facce degli avi, è indegno della
nuova bellezza della moglie e lo specchio ne ha accentuato la bruttezza. La
moglie si vede bellissima, insegna dell'armonia nel mondo. Poi il
narratore-marito riporta le parole della moglie e dice cose importantissime:
che tutto mente, il mondo, la gente, suo marito, e solo quello specchio dice la
verità. L'incantesimo diabolico consiste in ci : perdere la percezione della
realtà, per cui ci che è vero è
l'immagine, e non la cosa reale. Credere nell'immagine è l'incantesimo dello
specchio. Non c'è altra verità oltre quella, il resto è tutto falso.
Chissà perché qui mi viene in mente la strega di Biancaneve
che chiede al suo specchio quale sia la più bella del reame. In questo racconto
di Cechov c'è anche questa componente fiabesca. Il che non vuol dire aver preso
direttamente da Biancaneve, ma nell'autore russo c'è anche questa componente
popolare della tradizione fiabesca portata per
a vivere in una narrazione non fiabesca. Quando la moglie desidera ai
suoi piedi i più belli e nobili cavalieri, siamo nel mondo dei racconti
fiabeschi. Adesso possiamo dire
sicuramente che la moglie non è bellissima, anzi. Tutti gli dicono che è
brutta: solo lo specchio le dice la verità, che lei è bellissima. In un certo
senso questa moglie è la strega di Biancaneve a cui lo specchio dice sempre sì.
Il racconto si chiude con lo svelamento del segreto di quello specchio che
deforma in meglio solo le fattezze delle donne e non degli uomini.
Un giorno, stando
dietro a mia moglie, guardai inopinatamente nello specchio e scopersi il
terribile segreto. Nello specchio io vidi una donna di abbagliante bellezza,
quale mai avevo incontrato nella mia vita. Era un prodigio di natura,
un'armonia di bellezza, eleganza, di amore. Ma in che consisteva il segreto?
Che cosa era accaduto? Perché la brutta e goffa mia moglie nello specchio
appariva così bella? Perché?
Perché lo specchio
storto aveva deformato in tutti i sensi il viso di mia moglie e, per questo
sconvolgimento dei suoi tratti, esso si era fatto casualmente bellissimo. Il
meno moltiplicato per meno dava il più.
Diciamo proprio che sono gli ultimi di una famiglia di
brutti personaggi, la cui faccia merita un romanzo. Lo specchio rivela solo
alla donna una realtà falsificata, che per loro è l'unica verità. Ci che mente è il mondo, non lo specchio. La
moglie è "incantata" nel vero senso della parola, è ammaliata dallo
specchio. Siamo nel pieno dell'incantesimo, anche se non siamo in un clima di
fiaba. Cechov si porta dentro al racconto la tradizione fiabesca e cavalleresca,
la tradizione dei romanzi gotici che continua a parodiare attraverso gli
strumenti del racconto umoristico. La chiusa è esemplare, perché anche il
narratore s'incanta di fronte alla magia dello specchio che trasforma la figura
grottesca della moglie in un esempio perfetto di armonia e di bellezza. E'
questa la trovata che fa diventare originale il racconto. Per questo fa ridere
pensare che lui commenti la bruttezza dei suoi avi come dicevamo all'inizio. La
parte finale del racconto svela l'aspetto umoristico dell'inizio, gli dà una
profondità diversa, perché i protagonisti sono mostri come gli avi e all'inizio
si permettevano di fare dell'ironia sulle loro fattezze.
E ora tutti e due, io
e mia moglie, stiamo davanti allo specchio e, senza staccare gli occhi un momento,
guardiamo: il mio naso scivola sulla guancia destra, il mento si sdoppia e si
torce di sbieco, ma il volto di mia moglie è incantevole, e una furiosa, folle
passione s'impadronisce di me.
-Ah! ah! ah!-
sghignazzo selvaggiamente.
Ma mia moglie mormora
in modo appena percettibile:
-Come sono bella.
Il narratore chiude il racconto e commenta con una risata.
Il vero finale è quello. La battuta della moglie è solo l'epilogo. Il riso del
marito è anche il riso del narratore Cechov che sa di aver preso un po' in giro
il lettore.
Proviamo a fare un altro esercizio, a tagliare il finale di
Cechov.
1)
Prima ipotesi. Se Cechov avesse tagliato le
ultime tre righe chiudendo con "…e una furiosa, folle passione
s'impadronisce di me", avrebbe sottolineato l'aspetto amoroso del
racconto, la passione del marito verso la moglie.
2)
Seconda ipotesi. Se avesse chiuso con la risata
senza il commento "Sghignazzo selvaggiamente!", allora il racconto
avrebbe avuto un altro significato, molto più generico, perché la risata
potrebbe essere quella del marito narratore ma anche di Cechov. La risata in
verità, anche nel racconto intero è il vero commento di Cechov a tutto il
racconto.
È la chiusura voluta da Cechov con la battuta della moglie,
prima di tutto è comica, e poi sottilinea l'incanto, la meraviglia dello
specchio che illude. La risata è il "non-commento" di Cechov che se
la ride e prende un po' in giro anche il lettore. Ma la cosa più interessante è
che questo racconto assume anche significati poetici più profondi perché è in
una posizione di apertura di tutta la raccolta di racconti di Cechov.
L'edizione Sansoni del 1963 è importante perché i racconti sono posti in
maniera cronologica secondo le ultime volontà dell'autore. E allora questo
racconto sembra un commento poetico letterario. Cechov vive nel doppio sguardo
della moglie e del marito. La letteratura, sembra dirci Cechov, incanta, è solo
un'immagine deforme della realtà che fa ridere e nello stesso tempo per la sua
bellezza. Ma è solo uno specchio.
In fondo non è la narrazione un incantamento che fa perdere
completamente il senso del reale? La lettura porta in un altro tempo che non è
quello reale.
Il mito di Narciso si frantuma in una miriade di
possibilità narrative legate allo specchio. Abbiamo citato Lo specchio di Singer, Alice
oltre lo specchio di Carrol, abbiamo citato la fiaba di Biancaneve e Il ritratto di Dorian Gray, dove lo
specchio assume le forme del quadro che specchia la realtà malvagia del
protagonista in una corruzione del quadro. E' l'immagine che si corrompe e non
la realtà. La verità ancora una volta sta nello specchio e non fuori. Il mondo
è apparenza, lo specchio dice sempre la verità.
Lo specchio è sempre un fatto di rivelazione, di
svelamento. Pensiamo allo specchio di Uno
nessuno centomila di Pirandello. Il protagonista perde il senso della
realtà e della propria identità attraverso l'immagine dello specchio che
riflette il suo naso storto. Non ci aveva mai fatto caso prima, ma da quel
momento, lui comincia a "riflettere" su se stesso, la propria immagine
e sugli altri che lo vedono in maniera diversa rispetto a quella che lui
pensava. Siamo di fronte alla crisi dell'identità novecentesca, che porterà
Picasso alla tragedia di dover ridare al volto dell'uomo una nuova armonia, una
nuova immagine sconvolta, o alle deformazioni di Bacon comincia a dipingere
dove il cubismo aveva lasciato. Il racconto di Cechov del 1883 è dunque un
archetipo di questo tipo di narrativa della perdita dell'identità che poi
ritroveremo in tutto il Novecento. Dorian Gray di Wilde è del 1890.
Infine facciamo alcune considerazioni sul racconto come
genere.
Cechov scrive spesso nelle sue lettere di dover lottare con
lo spazio che gli danno sulle riviste. Vogliono racconti di cento righe e si
lamenta spesso coi direttori, perché gliene concedano almeno dieci in più.
Dieci righe sono tantissime per un narratore di racconti brevi. E scrive nella
lettera del 12 gennaio del 1883, indirizzata a Nikolaj Lejkin, l'anno in cui
scrive Lo specchio storto:
"Anch'io sono un
accanito partigiano delle storielle brevi e se pubblicassi una rivista
umoristica, sopprimerei tutte le prolissità. Io solo nelle redazioni moscovite
insorgo contro le lungaggini (il che non m'impedisce peraltro di commetterne
ogni tanto qualcuna…Contro la forza ragion non vale!) Ma, nello stesso tempo,
lo confesso, l'aver spazio limitato "da qui fino a là" mi procura non
pochi dispiaceri. Rassegnarsi a tali limitazioni riesce talvolta tutt'altro che
facile. Per esempio…Voi non ammettete articoli che superino le cento righe e
avete i vostri motivi…Io ho un tema. Mi metto a scrivere. Il pensiero delle
"cento e non più" mi fa venire i crampi alla mano sin dalla prima
riga. Riduco fin che posso, filtro, cancello e talvolta (come mi suggerisce il
mio fiuto d'autore) a detrimento del tema e soprattutto della forma. Dopo aver
ridotto e filtrato, mi metto a contare…Conto cento-centoventi-centoquaranta
righe (di più non ne ho mai scritte per "Schegge") mi spavento e…non
spedisco. Appena attacco la quarta pagina d'un foglio di carta da lettere di
piccolo formato, i dubbi cominciano a rodermi e…non spedisco. Molto spesso mi
tocca abborracciare il finale e mandare una cosa diversa da quella che
volevo…Come per esempio delle mie pene vi mando l'articolo L'unico rimedio.
L'ho accorciato e ve lo mando nella forma più ridotta; e tuttavia mi sembra
diabolicamente lungo per voi, mentre mi pare che se l'avessi fatto due volte
più lungo avrebbe avuto due volte più sale e contenuto. Ho delle cosette più
brevi, ma anche per esse nutro timore. A volte spedirei, ma non oso…
Da quanto sopra
deriva la seguente preghiera: estendete i miei diritti fino a centoventi
righe…Sono sicuro che di rado mi varr di
questa facoltà, ma la coscienza d'averla mi salverà dai crampi alla mano.
E con ci gradite l'assicurazione del rispetto e della
devozione del vostro umilissimo servitore.
A.Cechov.
Più ci s'impone e ci vengono imposte delle limitazioni, più
si vede la capacità letteraria di uno scrittore. Non sono tanto le libertà
quanto le limitazioni che s'impongono o vengono imposte ad un autore a renderlo
virtuoso a raccontare storie. Il racconto breve insegna a essere precisi, a non
sbrodolare, a non perdersi, a concentrarsi sopra un fatto e a raccontarlo bene.
Il romanzo è un'altra cosa, funziona in maniera diversa, ma penso che per un
principiante, la forma del racconto breve sia quella che maggiormente si adatti
alla sua formazione. Come si vede, poi, la scrittura breve costringe anche
grandi autori, a grandi sacrifici, a lavorare, tagliare, ricucire, cambiare i finali,
facendo racconti diversi da quelli che si erano progettati, magari anche
peggiori. Lo scrittore di racconti brevi è tormentato, sempre, domanda dieci
righe in più. Restare dentro un campo di lavoro è un primo ottimo esercizio
stilistico e narrativo. Molti scrittori, chiamati a scrivere su giornali
racconti brevi in cento righe, fanno cilecca. E' una tecnica e una capacità che
misura il talento.
Lo specchio storto
è un modello di racconto "a chiave". Siamo di fronte, cioè, ad un
racconto dove c'è "una trovata narrativa". Spesso i racconti brevi si
giocano su questo modello. La vera trovata di questo racconto non è tanto lo
specchio che ammalia la moglie, quanto il marito ammaliato dall’immagine
meravigliosa della moglie, e lui perde la testa. E' lì la trovata. E' la
bellezza effimera e falsa che ammalia, che "incanta" e lui è
consapevole dell’inganno ma perde la testa lo stesso. Il racconto è malleabile
molto più di una struttura da romanzo. Si presta di più al pluristilismo. Per
esempio il racconto Il pino nano di
Salomov è la descrizione in tre pagine di un pino che cresce nella pianura
russa. Ci possono essere racconti scritti solo in forma di dialogo, oppure
racconti come frammenti di vita quotidiana, come fa Carver, per esempio nel
racconto Mirino dove c'è la comparsa
di un venditore di fotografie con gli uncini di ferro al posto delle mani.
Tondelli, nel racconto La casa la casa,
del 1981, oggi edito nella raccolta uscita postuma L'abbandono, scrive un racconto alla Céline, con i tre puntolini
che assumono un valore ritmico di frammento prosastico. Con questo voglio dire
che la forma racconto pu essere per lo
scrittore, un vero e proprio laboratorio di scrittura, di prove, di
sperimentazioni che non superano mai le dieci, dodici cartelle. Ma per il
racconto breve da pubblicare su giornale o su rivista non bisogna mai superare
le tre, quattro cartelle. E' solo la misura che costruisce il genere, almeno
per il racconto breve, ma la sua fortuna sta proprio nella sua mancanza di
forma perché pu essere tutto. Il
racconto, più del romanzo, si presta ad un lavoro sulle forme e le
sperimentazioni, perché richiedono minore energia e tempo del romanzo. E' un
modo per imparare più velocemente le tecniche della scrittura.