SCENDERE DALLA COLLINA
Estratto da "TUTTA LA VITA”
Alberto Savinio
(Adelphi).
Leone ha quei minimi contatti con la vita senza i quali un uomo rimarrebbe immobile come un albero, non allungherebbe più la mano per prendere il cibo e portarselo alla bocca, non si coricherebbe ogni sera per dormire, ma una volta sola per morire. Leone è più che un timido: è un assente. Egli sa che gli uomini si movono molto e sono molto attivi. Sa che alcuni vanno tutti i giorni in grandi uffici lucidi di silenzio, s'infilano sopra la manica della giacca una soprammanica di alpaca, mettono in bella calligrafia le lettere che il loro capufficio ha tracciato con scrittura napoleonica, tirano le somme con la matita in mano e la penna dietro l'orecchio sotto altissime colonne di numeri. Sa che alcuni sono soldati e si destano all'alba al suono della diana, vanno all'assalto tra gli urrà e gli squilli delle fanfare, cadono in mezzo a un campo di grano con una stella nera in mezzo alla fronte. Sa che altri ancora costruiscono delle case per tenerci prigionieri dentro i loro fratelli, buttano ponti sul verde ribollimento dei fiumi impetuosi, alzano ciminiere altissime per bombardare il cielo di fumo; sa che altri coperti di impermeabili lustri e neri come il pelame della foca navigano i mari, salgono e scendono dai treni reggendo una valigia in mano, si aggirano carponi nei budelli della terra vestiti da spettri e con un lume in fronte; sa che altri ancora non fanno un lavoro determinato, non esercitano una professione precisa ma si agitano egualmente perché agitarsi è per gli uomini una organica necessità. Ma a questi uomini variamente attivi Leone pensa come a creature diverse e lontanissime, a quel modo che un europeo pensa talvolta alle silvestri attività dei boscimani. E Leone, lo abbiamo già detto, non esercita quanto a sé nessuna attività, fa appena i movimenti indispensabili al coricarsi la sera, al levarsi dal letto la mattina, al nutrirsi quel tanto che basta per non morire.
Nota. Il modo come Leone immagina le varie attività dei suoi contemporanei, mostra quale conoscenza anacronistica egli ha della vita. Leone potrebbe conoscere la vita indirettamente ossia attraverso i libri, e infatti così è; ma le letture di Leone si sono fermate ai romanzi del secolo passato. E Leone crede presente tuttavia un tipo di burocrate che le Olivetti e le macchine calcolatrici hanno scacciato violentemente dagli uffici. Crede che le battaglie si combattono ancora a suon di musica, e anche quell'accenno all'illeggibilità della scrittura di Napoleone, testimonia il ritardo di questo uomo sulle attuali condizioni di vita.
Leone sa pure che gli uomini a partire da una certa età si uniscono con le donne, le baciano, le stringono nude tra le braccia; e lo sforzo che gli toccava fare per ricomporre nella mente queste misteriose operazioni, la fatica che doveva compiere per immaginare « come son fatte le donne » lo immergeva in lunghi e torturanti delirii. Ma questo avveniva in passato: ora non più. Prima che la vita degli altri diventasse quello spettacolo distante e opaco quale ormai è per lui. Suo padre gli mise nome Leone col magisti- co fine di farne un uomo forte, ma per sua fortuna morì prima di vedere così crudelmente frustrate le sue speranze. Leone di cognome si chiama Leoni. I nomi animaleschi sono molto in uso nella sua famiglia. Sua madre si chiama Orsa e nasceva Pantera. Passando dalla condizione di nubile a quella di maritata, la madre di Leone diventò Pantera in Leoni. Se Leone avesse tanta intelligenza da poter esaminare il proprio caso nelle sue cause riposte, scoprirebbe che egli costituisce l'esempio più singolare e drammatico di uomo schiacciato dal proprio nome. Ma Leone non lo può capire. Non lo capirà mai. E se Leone vive, è perché anche una foglia galleggia immobile sull'acqua di uno stagno. Non lasciate, genitori, che i vostri bimbi crescano all'ombra di un grande uomo. I grandi uomini dovrebbero o non avere figli o, avendoli, farli partire in tenera età di là dagli oceani, sotto altro nome come i figli degli assassini. Non lasciate egualmente che i vostri figli crescano all'ombra di un grande fatto o di una grande idea, e ora possiamo anche aggiungere: non lasciate che i vostri figli crescano all'ombra di un grande nome. E come voler far crescere una pianticella sotto un ferro da stiro. Vengono su piatti e dissugati.
Leone vive circondato di vuoto. Sta dentro un involucro di vuoto. Si porta addosso questo involucro di vuoto come altri porta il cappotto per guardarsi dal freddo o l'impermeabile per guardarsi dalla pioggia, come i guerrieri antichi portavano l'armatura per guardarsi dai colpi del nemico. Leone si porta addosso questo involucro di vuoto per preservarsi dal contatto degli altri uomini, dalla loro vita agitata e spaventosa. L'impartecipazione di Leone alla vita altrui ha operato anche sul fisico. Gli ha spianato i tratti. Lo ha «neutralizzato». Non appare in mezzo al suo viso sporgenza di naso. I suoi occhi sono come velati da una membrana. La faccia tutta è come contenuta dentro una ineffabile guaina. Indifferenza perfetta. E se lui per istrada non si accorge degli uomini che gli passano vicino, e talvolta lo sfiorano, e talvolta lo urtano, i passanti per parte loro non si accorgono di lui. Meno che se fosse un fantasma, la cui presenza tuttavia noi avvertiamo a un sottilissimo soffio di aria morta che ci sfiora.
Leone sa vagamente che gli uomini ora si fanno la guerra, ma in che consista la guerra Leone non se lo rappresenta chiaramente, né fa il minimo sforzo per rappresentarselo: non ci pensa. Del resto nella città in cui Leone vive, alla maniera di un arbusto nano in mezzo a un deserto, segni diretti della guerra finora non sono apparsi. Tuttavia, e per una maggiore premunizione, Leone ha diradato anche più i suoi contatti con gli uomini, si è chiuso anche più stretto dentro il suo involucro di vuoto. Leone ieri sera se ne ritornava a casa circa le dieci, dopo aver pranzato alla sua solita trattoria. Il cielo sopra di lui era splendidamente stellato. Tra il timone del Carro era visibile a occhio nudo una piccolissima cometa, ma Leone non badava alla piccolissima cometa, perché la sua indifferenza alle cose terrestri si continua anche alle cose celesti. La città era buia. Leone seguiva l'orlo del marciapiede, che nella via intenebrata tracciava una pallida guida. Le strade erano deserte, pure Leone era guardingo più del solito, quasi temendo che dai muri delle case, dall'asfalto stesso della via venissero fuori a un tratto uomini a frotte, e lo coinvolgessero nella loro vita insidiata e pericolosa. D'un tratto una voce spaventosa ruppe sopra la testa così leggera di Leone e glie la empì di rombo. La casa presso la quale egli si trovava a camminare, posata al margine della via come un enorme dado nero, aveva tirato su quella voce dal fondo delle sue viscere tenebrose e l'aveva cacciata fuori dalla testa buttando all'aria il tetto. A quella voce doveva seguire una grande fiammata accompagnata da un'alta colonna di fumo, ma questo non avvenne e il cielo rimase puro e sereno intorno alla piccolissima cometa.
A cinque riprese echeggiò l'urlo spaventoso dell'allarme aereo, e tra urlo e urlo il silenzio si riassorbì più cupo, come un abisso che si rifa la pelle. Altre sirene risposero con il loro urlo da vari punti della città. In fondo alla via passarono alcuni uomini correndo, passò una motocicletta tossendo fragorosamente; poi fu assoluto silenzio, inerzia totale. Leone intuì che una volontà perentoria aveva dato ordine a tutti gli abitanti della città di starsene chiusi nelle loro case, e per la prima volta in vita sua Leone si sentì libero, sicuro, padrone del mondo e della vita.
Un'onda improvvisa di vitalità prima contorse il suo corpo più vegetale che animale, poi lo distese quanto era lungo; e poiché l'involucro di vuoto intorno a lui si era talmente allargato che ora arrivava ai confini del mondo, Leone, esaltato da questa felicità di spazio, cominciò a saltare e a ballare in mezzo alla via deserta e buia, e infine si mise a correre.
Traversò altre vie spinto avanti avanti dalla irrefrenabile gioia della sua libertà, come un albero che per una improvvisa voluttà di movimento si è sradicato dalla terra e corre attraverso la città; arrivò ai limiti dell'abitato, continuò su per la costa di una collina, che era cinta come un parco da un viale a nastro.
Arrivò in vetta e ballava ancora. Sotto, nel grave silenzio, giaceva il fantasma bianco della città.
Il cielo nel frattempo si era coperto di nubi a pecorelle. Era un cielo morbido e di mezza età. Un cielo brizzolato. Un cielo in parrucca.
Strani abitanti popolavano il cielo. Numerosi e invisibili. E spandevano un ronzio come uno sciame di altissime api. D'un tratto un anello di fiamme si accese intorno alla città, seguito da uno spaventoso boato. Di rimando luci abbaglianti si accesero nel cielo e calarono lente sulla città come gigantesche meduse, illuminandola tutta. Sul fuoco che saliva dalla terra altro fuoco scendeva dal cielo, come grossi fiori rossi su un prato rosso.
Gioco lontano e incomprensibile: terribile gioco. Anche ora Leone si trova lontano dagli uomini, che assiste a questo lontano e incomprensibile gioco. Perché? E che fare?
Allora, alla luce abbagliante delle gigantesche meduse che calano lente dal cielo, la mente di Leone all'improvviso si chiarisce. Leone vede. Vede e capisce. Vede e capisce gli uomini che si uniscono con le donne, e si baciano, e si abbracciano. Vede e capisce come da questo abbraccio nascono altri uomini, i quali a loro volta si uniscono con altre donne, e si baciano, e si abbracciano. E vede e capisce assieme che questi medesimi uomini non si uniscono soltanto per baciarsi e abbracciarsi, ma per scontrarsi ancora e per uccidersi in un misterioso e terribile gioco.
Che strano gioco! Ma che gioco affascinante pure!
Allora Leone che fino allora ha galleggiato assente sulla vita perché anche una foglia galleggia immobile sull'acqua di uno stagno, questo uomo sente come tanti rami liquidi e caldi che gli salgono serpeggiando su dalle viscere e gì'infiammano la faccia, gl'induriscono le mascelle, gli bruciano gli occhi. E velato dal proprio pianto come un cieco dalla sua cecità, Leone scende a precipizio dalla collina e si tuffa nella città che arde.
E diventato uomo