COVID: SVEZIA, GIAPPONE E ITALIA
Roberto: Ho avuto una riunione skype ieri coi colleghi svedesi, le cose sono un po' diverse dall'Italia. Poi ad alcuni, che preferiscono autoconsolarsi "dai che noi non siamo malaccio, siamo i primi nel giro Covid di quest'anno", lascio il loro Prozac. A me non fa paura la situazione e quindi la guardo tranquillamente, nel buono che c'è e nel non buono che pure c'è e nel male. Sono a rischio, lo so. Si può fare di più, lo so. Poi il discorso Svezia riguarda un'altra cosa. Un discorso sui valori che anche Silvia ha tentato di fare in modo analogo per il Giappone.
Questo discorso l'ho chiuso perché a tutte le argomentazioni sia a me che Silvia veniva risposto "... sì ma mettiamo la mascherina".
Paolo: Grazie Roberto. Capisco molto bene il tuo punto di vista. È soprattutto importante capirsi. Siamo distanti sul tema "valori". Per me vale come non mai ciò che sosteneva Locke: esiste una libertà di natura che consiste in una norma di reciprocità per cui si riconoscono agli altri le stesse possibilità che si riconoscono a sé.
La reciprocità deve essere "garantita" da norme adeguate . L'autodeterminazione non è, in situazioni estreme, una garanzia. E questa è una situazione estrema. In altre parole la nostra libertà in realtà dipende dalla nostra autolimitazione della stessa, che in una società democratica per definizione collaborativa e quindi superiore dovrebbe nascere dalla condivisione di valori di base e non imposta con meccanismi autoritari, se non per situazioni molto particolari. Se tuttavia viene meno questa autodisciplina il meccanismo si infrange e i costi sociali possono diventare enormi.
Per questo la società non può che utilizzare il diritto, cioè la “leva giuridica” mediante la quale si possono modificare comportamenti ritenuti socialmente dannosi. Il "mondo perfetto" dell'autodeterminazone razionale fa parte dell'utopia, non della realtà.
Sono d'accordo con te, Roberto, che gli uomini diventano liberi non quando gli si impone di agire in certi modi, ma quando acquisiscono la consapevolezza del perche' devono agire in quei modi; nella societa' ideale (che e' "costituita da esseri pienamente responsabili", non c'e' bisogno di regole e la liberta' (autonomia) coincide con la legge (autorita'). Ma noi non siamo in una società "ideale". Poi possiamo discutere sul piano delle idee all'infinito sulla liberta' "negativa", [come definita da Isaiah Berlin] che implica un'idea di individuo oggetto, per cui si decide: e' l'idea che spesso caratterizza dei governi che individuano traguardi per gli individui che questi ultimi non riescono a vedere, trattati come oggetti privi di volonta' propria....etc etc
https://mabastainsoma.blogspot.com/2021/01/liberta-isaiah-berlin.html?m=1
Roberto: Condivido pienamente tutti i punti. Sulla teoria siamo d’accordo io, te, gli svedesi e i giapponesi. Il problema è che la stessa teoria porta a risultati pratici diversi. Non voglio discutere quale è meglio, voglio contestare l’affermazione che la nostra applicazione della teoria è quella giusta. Voglio contestare che quando gli altri hanno un problema questo dimostra che il nostro esercizio della libertà è quello giusto. Pensiero deficitario sul piano logico e che è alla base delle notizie sull‘Inghilterra sulla Svezia ecc. Faccio un esempio. Il semplicistico principio che la mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro la posso dire all’altro, che la sua libertà finisce dove inizia la mia. Due limiti diversi. Bisogna scegliere un punto di mezzo. Ecco questo limite è culturalmente diverso in Italia, Svezia e Giappone. E hanno ragione tutti tre.
Paolo: Se sottintendi che Svezia, Giappone e Italia hanno deciso diversamente perché hanno "valori" differenti riguardo alla libertà, non sono d'accordo. Hanno ragione tutti se le decisioni sono basate non su principi astratti ma su ragionevole previsione di risposta in termini di comportamenti.
In generale le leggi esistono per determinare cambiamenti nei comportamenti umani. Va da sé che la loro idoneità al cambiamento si misura con il minimo costo per la società che a sua volta dipende da quanto è valido nella specifica comunità l'accuratezza del “modello comportamentale” di riferimento.
Ogni modello comportamentale si fonda su due prospettive del “come” le persone effettivamente si comporteranno e del “perché” si comporteranno in tal modo. L’esperienza culturale di cui siamo portatori è frutto di un’elaborazione del nostro cervello evoluto in contesti sociali differenti.
La validità delle scelte normative si misura solo dai risultati. I valori c'entrano poco. I comportamenti previsti sì.
Roberto: Questo è quello che Silvia e io abbiamo come esperienza all’estero in due paesi diversi. Prendono misure consone con la loro cultura. Non mi sembra sorprendente.
Personalmente ho sperimentato che in Svezia, dove la sanità pubblica è ancora più gratuita che in Italia, vige un principio purtroppo ineludibile.
Alla tua salute ci pensi tu. Ti serve qualcosa? Chiedilo e te lo diamo gratis.
Credi che questo principio non abbia inciso sulle misure adottate in primavera? Vecchietti chiudetevi in casa, giovani le ammucchiate cercate di ridurle.
Paolo: Certo cultura. Sono d'accordo.
Roberto: Poi che l’individuo non conti nulla che conti la società e come viene indirizzata dal mandriano di turno, è la base del comunismo “scientifico” sovietico la cui discussione richiede camino, Gewurtztraminer e una settimana di ritiro in baita. I valori, tra cui il concetto di libertà personale, sono appunto la cultura di un paese.
Diversi da paese a paese.
Paolo: La diversità tra paese e paese mi interessa poco. La differenza è qualcosa di più profondo. Libertà come semplice possibilita' di scelta al di la' del bene e del male, denota assenza di morale se e' priva di coordinate, di una posizione determinata. Di questo parliamo. Delle coordinate parliamo e di chi deve stabilirle e farle rispettare. Questo vale per tutto. Il vivere civile è incompatibile con la libertà personale se questa può danneggiare l'altro.